Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » ven ago 06, 2021 5:43 am

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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » ven ago 06, 2021 5:44 am

La confessione di Palamara: "De Ficchy mi avvisò che ero indagato..."
Paolo Comi
7 Luglio 2021

https://www.ilriformista.it/la-confessi ... to-233296/

Quando c’è di mezzo un magistrato il segreto istruttorio non vale: le indagini vengono immediatamente partecipate al diretto interessato. Peccato che ciò non avvenga per i comuni mortali. Sarebbe molto bello, quindi, che la Guardasigilli Marta Cartabia, nella sua prossima riforma della giustizia, prevedesse questa possibilità per tutti e non solo per le fortunate toghe. La sorprendente circostanza, anche se ormai quando si parla di vicende che riguardano i magistrati si fa sempre più fatica a sorprendersi, è stata raccontata ieri da Luca Palamara.

L’ex zar delle nomine al Consiglio superiore della magistratura, in audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia presieduta dal grillino Nicola Morra, ha ricostruito la genesi dell’indagine per corruzione aperta nei suoi confronti della Procura di Perugia. Il 3 maggio del 2018, ricostruisce Palamara, dalla Procura di Roma venne trasmesso a Perugia, ufficio competente per i reati commessi dai magistrati della Capitale, un fascicolo a suo carico.
L’informativa, scritta dal Gico della guardia di finanza, riguardava i rapporti fra Palamara ed il faccendiere Fabrizio Centofanti. Quest’ultimo, in particolare, aveva pagato all’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati pranzi, cene e viaggi in cambio di varie utilità. La nota di trasmissione venne firmata dai tre aggiunti della Capitale: Paolo Ielo, Giuseppe Cascini e Rodolfo Sabelli.

Il 15 giugno successivo, e qui viene il bello, il procuratore di Perugia Luigi De Ficchy si precipita a Roma da Palamara. L’incontro avviene lontano da occhi indiscreti: nell’ufficio di Palamara al Csm. Palamara avrebbe chat e messaggi che provano quell’incontro, oltre alla testimonianza della sua segretaria e di un usciere. De Ficchy, racconta Palamara, mi «avvisò che era arrivato un fascicolo da Roma e che riguarda i miei rapporti con Centofanti». De Ficchy gli preannunciò che comunque sarebbero stati fatti accertamenti e i “dovuti riscontri”. I riscontri dureranno mesi. A gennaio 2019, dopo oltre sei mesi, Perugia deciderà di iscrivere Palamara nel registro degli indagati per corruzione. E a febbraio, per avere ulteriori riscontri, chiederà di intercettarlo. Riscontri, evidentemente, non ancora non sufficienti dal momento che il successivo mese di marzo i pm umbri chiederanno di poter inserire il virus trojan nel cellulare di Palamara. Ottenuto il decreto da parte del gip, il trojan sarà però attivato solo dopo due mesi, a maggio. In questo modo tutto particolare di svolgere le indagini, Centofanti, il presunto corruttore di Palamara, sarà iscritto nel registro degli indagati solo alla fine di maggio del 2019, senza peraltro essere mai intercettato.

Palamara, nella sua incredibile deposizione, ha anche affermato che Centofanti sarebbe stato in rapporti con lo stesso De Ficchy, il quale non avrebbe gradito di fare il procuratore di Perugia. La sua aspirazione, infatti, era di essere nominato a Roma. Nel 2013, racconta ancora Palamara, De Ficchy era il magistrato più titolato per essere nominato procuratore aggiunto a Roma. L’anno prima, il 2012, il Csm aveva nominato come procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, in precedenza procuratore di Reggio Calabria. Insieme a De Ficchy aveva fatto domanda Michele Prestipino, fino a quel momento aggiunto a Reggio Calabria con Pignatone. Prestipino, pur essendo più giovane e con meno titoli, era poi riuscito a spuntarla su De Ficchy. Lo “scontento” procuratore di Perugia, infine, secondo le testimonianze dell’avvocato Piero Amara ai pm di Milano, sarebbe poi uno degli esponenti di punta della loggia ‘Ungheria’, l’associazione segreta composta da magistrati, ufficiali delle Forze dell’ordine, professionisti, nata per pilotare gli incarichi nella pubblica amministrazione.




Palamara, la Cassazione conferma la sospensione dalla magistratura
Ilaria Sacchettoni
4 agosto 2021

https://www.corriere.it/cronache/21_ago ... 6b25.shtml

La decisione era stata già presa dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Secondo i giudici, l’ex magistrato voleva pilotare le nomine dei procuratori di Roma e Perugia
La Cassazione conferma la sospensione di Luca Palamara dalla magistratura, come deciso dalla sezione disciplinare del Csm. L’ obiettivo di Palamara era, secondo i giudici, «condizionare in modo occulto l’attività del Csm», pilotando le nomine dei procuratori di Roma e di Perugia, e proponendosi egli stesso come procuratore aggiunto della Capitale dopo aver cercato di delegittimare Paolo Ielo.

La difesa di Palamara

Palamara si era difeso dalla principale accusa, quella di aver tentato di pilotare la nomina del Procuratore capo a Roma nella riunione all’Hotel Champagne, sostenendo che quello era un brain storming su temi importanti ma negando la volontà di interferire con le nomine. E aveva definito l’incontro «un laboratorio politico istituzionale di teste pensanti e volenterose rispetto al problema del più importante ufficio giudiziario italiano».
I togati della Cassazione hanno respinto questa prospettazione dei fatti e confermato che dietro quell’appuntamento all’Hotel Champagne, al quale partecipò anche l’imputato Luca Lotti, vi era «una strategia unitaria da parte dell’incolpato (Palamara, ndr) a ricercare una soluzione di discontinuità rispetto alla gestione Pignatone». Fatti considerati gravissimi e di particolare «dispregio verso regole codificate e standard». Palamara è tuttora a processo per corruzione a Perugia.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » ven ago 06, 2021 5:44 am

"È una guerra di potere, escono male tutti"
Stefano Zurlo
5 agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1628140997

Un altro colpo alla credibilità della magistratura. «Questo verdetto disorienta ancora di più l'opinione pubblica - spiega Gaetano Pecorella, uno dei più noti avvocati italiani ed ex deputato di Fi -. Nessuno ne esce vincitore, la percezione è quella di una guerra di potere, meglio di una faida interna alla magistratura».

Il procuratore generale della Cassazione aveva chiesto l'allontanamento di Storari da Milano. È stato sconfessato?

«Mi pare che il Csm l'abbia delegittimato. Salvi aveva chiesto in via cautelare, insomma d'urgenza, il trasferimento di Storari e l'addio alla carriera di pm. Per carità, il procedimento disciplinare va avanti, ma a parte i tecnicismi è evidente che Salvi ha perso su tutta la linea. E altrettanto forte mi pare lo schiaffo dato dal Csm al procuratore di Milano Francesco Greco che aveva denunciato la scorrettezza di Storari, ma evidentemente la difesa del pm è stata convincente e ora Greco è un capo debolissimo, abbandonato da sessanta colleghi che si sono schierati con Storari, per nemesi storica nella città di Mani pulite e di tante inchieste importantissime».

Chi ha torto e chi ha ragione in questa storia?

«Mi pare che nessuno faccia una bella figura. Greco e Salvi incassano una sconfitta clamorosa, ma anche Storari non brilla: ha consegnato sottobanco i verbali ancora segreti dell'avvocato Amara a Piercamillo Davigo, venendo meno alle regole della professione e al principio di lealtà verso i suoi superiori. È un quadro imbarazzante, da qualunque parte lo si guardi».

Il Csm?

«I suoi vertici e numerosi consiglieri erano a conoscenza da mesi di queste carte e della guerra che si combatteva dietro le quinte alla procura di Milano. Sapevano ma hanno gestito il caso in modo approssimativo e opaco. Si resta sconcertati davanti a questi comportamenti».

Insomma, per tornare alla domanda decisiva: hanno tutti torto?

«Le ragioni degli uni e degli altri hanno un'importanza relativa, perché quello che emerge è la guerra di potere e dunque ogni passaggio viene letto come la vittoria o la sconfitta di una fazione contro l'altra».

Intanto le procure indagano sulle procure.

«È un'altra nemesi storica. Con Mani pulite la magistratura ha messo in ginocchio la politica e il conflitto si è trasferito dentro la corporazione togata».

Risultato?

«Le guerre di potere seguono le stesse dinamiche anche se si veste la toga. Una corrente attacca l'altra, una sale, l'altra scende, tutte si azzannano. Il potere non basta mai e alla fine chi era sul piedistallo cade».

D'accordo ma la magistratura non dovrebbe essere impermeabile ai meccanismi della politica?

«Invece li ha mutuati. E questo è gravissimo perché mina la nostra fiducia nel sistema giudiziario. Un imputato penserà magari sbagliando che la sua sentenza sia il frutto di accordi, di amicizie o inimicizie, di scambi di favori».

I correttivi?

«Anzitutto dobbiamo portare la sezione disciplinare fuori dal Csm. Non possono essere i giudici a giudicare altri giudici. Se ne parla da molti anni ma finora non si è mai fatto nulla».

Poi?

«La prima e più importante riforma da mettere in cantiere è quella della separazione delle carriere, non mi interessa se con referendum o altro strumento».

Ma perché è la più urgente?

«Perché i conflitti che abbiamo visto in questi mesi partono sempre dai pm. E i pubblici ministeri, che oggi non sono separati dai giudici, trascinano in questo disastro i colleghi che dovrebbero essere terzi, imparziali, distanti. Invece, vengono risucchiati in questo pantano. Sono molto preoccupato perché stiamo perdendo l'immagine sacrale del giudice che in passato ci aveva sempre rassicurato».
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » gio ago 12, 2021 8:39 pm

"Niente di penalmente rilevante". Così il gup smonta il teorema su Salvini
Francesca Galici
12 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 68697.html

Depositate le motivazioni della decisione del gup di non mandare a processo Matteo Salvini per sequestro di persona nell'ambito del caso Gregoretti
"Niente di penalmente rilevante". Così il gup smonta il teorema su Salvini

A tre mesi dalla sentenza di non luogo a procedere contro Matteo Salvini per il caso dei migranti a bordo della nave Gregoretti, il gup Nunzio Sarpietro ha depositato le motivazioni per la sua decisione di non mandare a processo il leader della Lega, che all'epoca dei fatti ricopriva il ruolo di ministro dell'Interno, con l'accusa di sequestro di persona.

Nel luglio 2019, Matteo Salvini ritardò lo sbarco ad Augusta, in provincia di Siracusa, dei 131 migranti a bordo della nave Gregoretti in uso alla guardia costiera italiana. Il gup ha dichiarato che "la formula 'il fatto non sussiste' è stata adottata perché l'imputato ha agito non contra ius, bensì in aderenza alle previsioni normative primarie e secondarie dettate nel caso di specie". Quindi, l'azione di Matteo Salvini è stata ineccepibile davanti alla legge. come prosegue il gup nelle sue motivazioni, "allo stesso non può essere addebitata alcuna condotta finalizzata a sequestrare i migranti per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile".

Il giudice per l'udienza preliminare ha smontato su tutta la linea l'accusa, sottolineando anche che Matteo Salvini, in qualità di ministro dell'Interno, non è stata penalmente rilevante, "dovendosi affermare che gli elementi proposti dal tribunale per i reati ministeriali di Catania, come legittimanti il rinvio a giudizio, si sono rivelati non fondati e comunque bilanciati da altri chiari e probanti dati probatori a favore dell'inquisito che li rendono contraddittori, e soprattutto inidonei a sostenere l'accusa in un giudizio dibattimentale".

Il gup Nunzio Sarpietro non ha individuato nessun elemento valido per procedere con il rinvio a giudizio di Matteo Salvini, pertanto ha ritenuto di chiedere l'archiviazione per la posizione dell'ex ministro dell'Interno con il non luogo a procedere. Come sottolineato dallo stesso gup nelle sue motivazioni, la formula assolutoria adottata "appare più favorevole all'imputato rispetto a quella invocata dalla difesa di ritenere il fatto come discriminato ai sensi dell'articolo 51 del Codice Penale". Questo perché "l'imputato avrebbe agito nell'esercizio di un diritto o comunque nell'adempimento di un dovere".

Le motivazioni si concludono da parte del gup evidenziando il fatto che "la ricorrenza di una causa di giustificazione richiederebbe pur tuttavia la integrazione dell'elemento materiale del reato ad avviso del giudice non configurabile". Per il gup Nunzio Sarpietro non c'erano pertanto gli estremi per accusare Matteo Salvini di sequestro di persona, visto che l'ex ministro in quell'occasione ha agito nel pieno rispetto delle sue facoltà.

"Dopo tanti insulti, invenzioni, intercettazioni 'alla Palamara' e attacchi politici di ogni genere, vedere riconosciuta, nero su bianco, la correttezza del mio operato alla guida del Viminale è fonte di grande soddisfazione", ha commentato Matteo Salvini su Facebook. Il leader della Lega, quindi, ha ricordato che a settembre sarà a processo per un caso simile: "Purtroppo a settembre, per un caso analogo (riguardante la Ong spagnola 'Open Arms'), sarò a processo a Palermo accusato di 'sequestro di persona', fino a 15 anni di carcere la pena prevista: spero che sarete al mio fianco, credo di avere dimostrato concretamente da Ministro dell'Interno che cosa si possa ottenere nella gestione dell'immigrazione clandestina, a difesa dell'Italia". In conclusione, Salvini ha dichiarato: "L'ho fatto realizzando ciò che mi avevano chiesto gli italiani con il loro voto e lo rifarò: volere è potere. Grazie Amici per tutto il supporto che mi avete dato e per quello che mi darete, per me è fondamentale".


La previsione dell'avvocato Giulia Bongiorno dopo la decisione del gup di Catania. Adesso crolla il processo Open Arms a Palermo?
"Ricadute inevitabili su Open Arms". Cosa può succedere ora a Salvini
Luca Sablone
13 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1628890126

La decisione del gup di Catania avrà dei riflessi sulla vicenda Open Arms? Per l'avvocato Giulia Bongiorno sarà proprio così, ma solo il tempo ci fornirà la risposta a una domanda che appare enigmatica. Nella giornata di ieri il giudice per l'udienza preliminare della città siciliana ha deciso il non luogo a procedere per Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona per la nave Gregoretti poiché - secondo l'accusa - avrebbe ritardato l'attracco della nave con a bordo 131 migranti. Ma il gup ha spiegato che al leader della Lega ha agito "in aderenza alle previsioni normative primarie e secondarie dettate nel caso di specie", e per questo non gli può essere "addebitata alcuna condotta finalizzata a sequestrare i migranti per un lasso di tempo giuridicamente apprezzabile".

Crolla il processo Open Arms?

La decisione arrivata ha ovviamente fatto felice il numero uno del Carroccio, che adesso esulta ma guarda già al prossimo 15 settembre quando - davanti alla seconda sezione penale del tribunale di Palermo - prenderà il via la prima udienza del caso relativo a Open Arms. Salvini dovrà rispondere di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio per avere impedito alla Ong (con 147 migranti soccorsi in mare) di attraccare a Lampedusa, costringendo i profughi a restare per giorni davanti alle coste dell'isola.

Tuttavia quanto deciso dal gup di Catania potrebbe avere ripercussioni proprio su questa vicenda. A sostenerlo è Giulia Bongiorno, avvocato del leader leghista, secondo cui gli argomenti della sentenza "avranno inevitabilmente ricadute sul procedimento sul caso Open Arms pendente a Palermo". La senatrice del partito di via Bellerio ha ribadito a gran voce che "non ci sono margini di dubbio sull'operato di Matteo Salvini".

L'avvocato Giulia Bongiorno è convinta del fatto che le motivazioni della sentenza di Catania "sono nitide nell'affermare la piena legittimità e l'assoluta correttezza dell'agire" dell'allora ministro dell'Interno, non solo nell'ambito dello sbarco della nave Gregoretti ma anche per quanto riguarda la politica in materia di immigrazione "portata avanti per tutelare l'ordine pubblico nazionale, nel pieno rispetto della normativa interna e internazionale". Effettivamente con la formula più ampia è stata esclusa la sussistenza dell'ipotesi accusatoria avanzata a carico di Salvini, proprio perché è stata analizzata "globalmente la linea sul controllo dei flussi migratori del governo Conte I, passando in rassegna plurimi sbarchi di migranti sulle nostre coste".
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » lun set 06, 2021 8:47 pm

Il leader della Lega, a pochi giorni dall'inizio del processo sul caso Open Arms che lo vede imputato, ha chiesto l'accesso agli atti dell'indagine condotta a Trapani sul modus operandi delle Ong
Caso Open Arms, processo al via: la mossa di Salvini
Mauro Indelicato
2 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 1630601344

Caso Open Arms, processo al via: la mossa di Salvini

Due inchieste sulle Ong che potrebbero a breve intrecciarsi. È sull'asse Palermo – Trapani che Matteo Salvini ha iniziato a giocare il primo round della partita processuale che inizierà il 15 settembre, giorno della prima udienza sul caso Open Arms. Si tratta della vicenda per la quale l'ex ministro dell'Interno è stato rinviato a giudizio. Nelle scorse ore si è appreso che l'avvocato di Matteo Salvini, Giulia Bongiorno, ha richiesto a Trapani gli atti di un'altra indagine, quella relativa alle Ong.


L'inchiesta sul caso Open Arms

Nel 2017 è partita un'inchiesta che a marzo ha portato all'invio di 24 notifiche di fine dell'indagine ad altrettanti soggetti. Tra questi ci sono tre Ong: Save the Children, Medici Senza Frontiere e Jugend Rettet. Gli inquirenti hanno puntato il dito su presunte connessioni tra gli equipaggi delle navi umanitarie e gli scafisti dei gruppi criminali libici. Il periodo dei fatti contestati risale agli anni dei record di approdi di migranti dal nord Africa. Tra il 2016 e il 2017 infatti, sono arrivate irregolarmente in Italia più di 250mila persone. Secondo gli autori delle indagini, che si sono avvalse anche di infiltrati delle forze dell'ordine a bordo delle navi umanitarie, potrebbero esserci stati diretti accordi tra i trafficanti e i rappresentanti delle Ong. In almeno un caso è stata accertata la presenza, a bordo di uno dei gommoni usati dagli scafisti per avvicinarsi alle navi a largo della Libia, di un membro del clan Al Dabbashi, uno dei più pericolosi nella gestione della tratta di esseri umani.


La mossa di Salvini in tribunale

La richiesta di Matteo Salvini la si può forse motivare con l'esigenza di mostrare, in fase processuale, il modus operandi contestato alle Ong a Trapani. Anche se per la verità l'inchiesta in corso nella città siciliana si basa su fatti accaduti in un periodo diverso rispetto a quelli contestati a Salvini nel processo in procinto di partire a Palermo. L'inchiesta Open Arms è infatti nata nel 2019, quando Salvini era ministro dell'Interno. L'attuale segretario del Carroccio è stato accusato dalla procura di Agrigento di sequestro di persona e abuso di ufficio per non aver fatto sbarcare subito la nave dell'Ong spagnola Open Arms. Essendo all'epoca Salvini un membro del governo, il fascicolo per competenza è passato a Palermo dove si è insediato il tribunale dei ministri.

I giudici hanno deciso per il rinvio a giudizio, confermato poi dopo le udienze preliminari svolte nei mesi scorsi. Da Trapani hanno fatto sapere di aver riconosciuto un "interesse qualificato" a Salvini per la visione degli atti, invitando però al contempo l'avvocato Giulia Bongiorno a specificare le parti dell'indagine di cui si vuol ottenere una copia.



Il piano di Salvini per "ribaltare" Open Arms
Mauro Indelicato
6 settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 1630940866

Matteo Salvini è atteso a Palermo il prossimo 15 settembre. Qui inizierà il processo sul caso Open Arms che lo vede imputato per abuso di ufficio e sequestro di persona. Dopo la notizia della richiesta di acquisizione di atti a Trapani sull'inchiesta relativa alle Ong portata avanti dal 2017, nelle ultime ore sono emersi ulteriori dettagli sulla strategia difensiva dell'ex ministro dell'Interno.


31 nomi chiamati a testimoniare

La vicenda è nata nell'agosto del 2019, quando Salvini in qualità di titolare del Viminale ha ordinato lo stop allo sbarco dei migranti a bordo della nave Open Arms, Ong spagnola in quel momento presente a largo di Lampedusa. Il 20 agosto di quell'anno il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, è salito a bordo dell'imbarcazione imponendone il sequestro. In tal modo i migranti sono sbarcati a dai suoi uffici della città siciliana il magistrato ha aperto il fascicolo contro Salvini.

Il caso poi è passato per competenza al tribunale dei ministri di Palermo e il Senato nel luglio 2020 ha dato il via libera al processo. Dopo il rinvio a giudizio arrivato ad aprile, Salvini con l'avvocato Giulia Bongiorno ha iniziato a studiare le strategie difensive.

Così come riportato dall'AdnKronos, il segretario della Lega potrebbe chiamare a testimoniare ben 31 persone. Tra questi spiccano politici, diplomatici e funzionari di Polizia. Nell'elenco che il collegio difensivo sarebbe pronto a presentare ai giudici spunterebbe anche il nome dell'ex presidente del consiglio Giuseppe Conte. Ma anche dell'attuale ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Nella lista anche ministri dell'esecutivo Conte I, quello dove Salvini era ministro dell'Interno. Si va da Danilo Toninelli, ex minsitro dei Trasporti, a Moavero Milanesi, ex titolare degli Esteri, fino a Giovanni Tria, al ministero dell'economia durante l'esperienza gialloverde. Ad essere chiamati in causa potrebbero essere anche i sottosegretari Stefano Candiani, Nicola Molteni e Stefano Lucidi. Ma tra i politici a spiccare è il nome di Joseph Muscat, ex premier maltese.

Da La Valletta potrebbe arrivare a Palermo l'ambasciatrice Vanessa Franzier. E a proposito di diplomatici, nella lista che i giudici dovranno vagliare per l'ammissione al processo vi è anche l'ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente dell'Italia all'Unione Europea. C'è poi il nome di Elisabetta Belloni, all'epoca segretaria generale della Farnesina e nominata poche settimane fa a capo del Dis.

Lunga anche la lista dei funzionari di Polizia e dei burocrati nell'elenco dei 31. C'è infatti l'attuale prefetti di Roma, Matteo Piantedosi, all'epoca capo di gabinetto di Salvini. Così come il questore di Agrigento, Maria Rosa Iraci, e il dirigente della Squadra Mobile della città dei templi, Giovanni Minardi.

Tra i possibili testimoni potrebbero esserci due importanti membri di Open Arms: il comandante della nave spagnola, Marc Reig Creus, e la capo missione Ana Isabel Montes. Creus potrebbe quindi essere presente nel doppio ruolo di testimone e di parte civile.


L'obiettivo di Salvini

Per diversi politici inclusi nell'elenco non si tratterebbe della prima deposizione in un processo che riguarda Salvini. Conte, Lamorgese e Di Maio su tutti sono stati già ascoltati nell'ambito delle udienze preliminari sul caso Gregoretti, svoltesi a Catania. In quell'occasione i giudici si sono espressi per il non luogo a procedere. Ed è proprio la sovrapposizione tra il caso Gregoretti e quello Open Arms la prima carta difensiva del segretario leghista.

I due procedimenti sono stati definiti quasi gemelli. A Catania il Gup ha parlato di scelte politiche operate da Salvini condivise collegialmente con il governo di allora. Da qui la strategia volta a dimostrare la similarità con il caso Open Arms.

Salvini vuole dimostrare che lo stop allo sbarco si è inserito nell'ambito di una linea politica volta a richiamare l'Europa alle sue responsabilità e alla redistribuzione dei migranti. Una linea che, secondo l'ex ministro, era condivisa da tutto il governo Conte I.

Le eventuali testimonianze dei diplomatici e dei funzionari di Polizia invece, mirerebbero a dimostrare un altro possibile pilastro della difesa salviniana. Ossia che l'Italia non era chiamata in quel frangente ad assegnare un porto sicuro e che questo onere sarebbe spettato o alla Spagna, in quanto Paesi di bandiera della Open Arms, o a Malta.



"La nave iberica Open Arms - ha spiegato Liardo - rifiutò di dirigersi in Tunisia, di sbarcare 39 immigrati a Malta, di fare rotta in Spagna (diniego ribadito in due occasioni), non fornì dettagli sullo stato di salute delle singole persone a bordo (domandò di farle sbarcare tutte, ma esclusivamente in Italia)". Non solo, perché il contrammiraglio spiega che l'imbarcazione fece rotta verso la Libia "mentendo alle autorità italiane, visto che partì verso Tripoli dopo aver comunicato che si sarebbe fermata a Lampedusa".


Open Arms, l'ammiraglio scagiona Matteo Salvini: "Ecco le menzogne della Ong"
Giorgio Carbone
17 dicembre 2021

https://www.liberoquotidiano.it/news/te ... e-ong.html

Matteo Salvini ancora in Aula a Palermo per il caso Open Arms. Il leader della Lega, nella giornata di venerdì 17 dicembre, è tornato di fronte ai giudici assieme al suo avvocato Giulia Bongiorno. La vicenda è ormai nota: Salvini, ai tempi ministro dell'Interno, è accusato di aver negato nell'agosto 2019 lo sbarco ai migranti a bordo della ong spagnola. Tra i testimoni ascoltati anche l’ammiraglio Sergio Liardo, che prende le difese del leghista. La sua testimonianza è infatti importantissima perché conferma che la nave vagò per il Mediterraneo, ignorando le richieste e le proposte di Madrid e de La Valletta dal 2 al 15 agosto 2019 e mettendo così a rischio la salute delle persone a bordo.
"La nave iberica Open Arms - ha spiegato Liardo - rifiutò di dirigersi in Tunisia, di sbarcare 39 immigrati a Malta, di fare rotta in Spagna (diniego ribadito in due occasioni), non fornì dettagli sullo stato di salute delle singole persone a bordo (domandò di farle sbarcare tutte, ma esclusivamente in Italia)". Non solo, perché il contrammiraglio spiega che l'imbarcazione fece rotta verso la Libia "mentendo alle autorità italiane, visto che partì verso Tripoli dopo aver comunicato che si sarebbe fermata a Lampedusa".

Non è tutto, perché Liardo accusa anche la ong di aver caricato più persone di quanto la nave permettesse: a conti fatti "avrebbe potuto accogliere a bordo solo 19 persone ma ne caricò più di 150 in tre eventi diversi". Sempre in difesa del numero uno del Carroccio, l'ammiraglio aggiunge che l'imbarcazione in acque italiane era "costantemente controllata, vigilata, assistita". Come già più volte precisato da Salvini, "vennero consentite la rotazione dell’equipaggio e lo sbarco delle persone realmente in cattivo stato di salute. Di più: sulla barca salirono senza problemi alcune autorità, a partire dal sindaco di Lampedusa, a dimostrazione di un costante monitoraggio". Un processo, quello contro Salvini, molto simile al caso Gregoretti su cui però il gup ha ritenuto di non procedere.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab set 25, 2021 9:29 am

Le toghe vogliono il suo scalpo
"Vivo o morto Berlusconi va condannato", la persecuzione senza fine del partito dei Pm
10 Settembre 2021

https://www.ilriformista.it/vivo-o-mort ... refresh_ce

Non lo vogliono mollare. L’ordine del partito dei Pm è quello: prendetelo. Vivo o morto. Dead or alive, si diceva nel lontano west. Qui da noi è uguale. Nei prossimi giorni Silvio Berlusconi compirà 85 anni. Da una trentina d’anni è fra i tre o quattro leader politici più prestigiosi dei quali l’Italia disponga. Da altrettanti è il capo indiscusso della destra e dei liberali. È conosciuto nel mondo come statista. È stato varie volte presidente del Consiglio, varie volte capo dell’opposizione. Ha una carriera da imprenditore lunga oltre sessanta anni. I primi trenta tranquilli. In quel periodo ha accumulato una quantità inaudita di ricchezze e neppure un avviso di garanzia. I secondi trenta, cioè da quando è entrato in politica, sono stati invece anni molto turbolenti.

Dal dicembre del 1994 è stato circondato da un numero incredibile di Pm, con ogni probabilità coordinati, i quali hanno cercato in tutti i modi di metterlo in prigione, di eliminarlo dalla lotta politica. Raramente, molto raramente i suoi avversari si sono opposti a questo disegno. I Pm però non sono riusciti a metterlo in prigione: cento volte, più o meno, hanno avviato un processo. Li hanno persi tutti. Tranne uno, quello concluso con la sentenza della sezione feriale della Cassazione, presieduta dal famoso giudice Esposito. Lo condannarono, in quell’occasione, per un’evasione fiscale di circa due milioni su alcuni miliardi di dichiarazione dei redditi. Nella dichiarazione lui non c’entrava nulla, era la dichiarazione di Mediaset. Lui all’epoca era presidente del Consiglio, non compilava certo lui le carte fiscali dell’azienda. L’amministratore delegato che firmò quella dichiarazione fu assolto. Una condanna di questo genere, per una evasione fiscale della quale oltretutto non si è responsabili, non esiste in giurisprudenza. Precedenti zero.

Recentemente è stata resa pubblica una dichiarazione di uno dei giudici della Cassazione che lo condannarono, il quale confessò che la condanna era frutto di un complotto. Ora la sentenza è all’esame della corte di Strasburgo. E a Brescia pende una richiesta di revisione del processo. Le cifre comunque dicono che nella grande guerra contro Berlusconi i Pm sono stati sconfitti su tutta la linea. In 27 anni di strenue battaglie (costosissime per l’erario) hanno ottenuto un solo risultato: tenere sotto botta il capo della corrente liberale dello schieramento politico e impedire in questo modo una riforma ragionevole della giustizia, in linea con la Costituzione.

A loro non basta. Loro vogliono lo scalpo. Vogliono una condanna penale vera e piena. A 85 anni di età, a 90, a 100 , prima o dopo la morte, non gliene frega niente: lo scalpo, lo scalpo, lo scalpo. Ora una Pm milanese si oppone alle dichiarazioni dei medici che sostengono che Berlusconi non sta bene. Lei nega. Chissà perché, e su che basi. Dice solo, sprezzantemente: è vecchio, i vecchi stanno male, si sa, niente di nuovo: ma io lo voglio alla sbarra. Chissà, magari un giorno diventerà vecchia anche lei, e imparerà il rispetto. Probabile la prima ipotesi, meno la seconda. Lo vuole in aula, lo vuole condannato. Lo accusa di avere troppi avvocati e troppi medici che lo curano. È una colpa. Pensa probabilmente che la giustizia migliore sia quella fatta in presenza di pochissimi avvocati, magari un po’ incompetenti, meglio se nessuno. E alla larga dai medici, vil razza dannata.

Il processo ennesimo al quale Berlusconi è sottoposto è un processo del tutto folle. Da commedia surreale. È uno strascico del processo Ruby (fatti di 12 o 13 anni fa). Ma nel processo Ruby, Berlusconi è stato del tutto assolto. Innocente, hanno stabilito la corte d’Appello e poi la Cassazione, facendo fare una figura barbina ai Pm e al tribunale di primo grado. Anche a parecchi giornali e giornalisti. E allora? I Pm non hanno accettato la sentenza. Hanno preteso i tempi supplementari. Hanno detto: i giudici dell’Appello e della Cassazione erano dei cretini e hanno creduto ai testimoni: se lo hanno assolto è perché i testimoni erano falsi. Da cosa si deduce? Dal semplice fatto che Berlusconi è colpevole perché è colpevole perché è colpevole. Se qualcuno dice che è innocente, evidentemente mente. Va processato anche lui, o anche lei. E condannato. Quindi: nuovo processo.

Roba da Venezuela, da Turchia, probabilmente da Corea del Nord. Se la sentenza non soddisfa i Pm si rifà tutto daccapo e si chiede che siano escluse le prove di innocenza. Una volta sentivo sempre ripetere, solennemente: le sentenze si rispettano, si rispettano. Sì, ma se sono di colpevolezza, altrimenti si stracciano. Vivo o morto, lo vogliono. Non c’è da stupirsi: si sa, il partito dei Pm è questa piccola cosa qui. E chi non lo sa si legga Palamara. Ma i partiti politici? Neanche ora trovano il coraggio per insorgere? Per dire: Berlusconi è un capo politico. È stato perseguitato da un’orda di Pm. Assolto da centinaia di giudici. Lasciatelo stare. Basta con le belve.

Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.



Tiziana Parenti: «I miei ex colleghi di Mani pulite puntavano alla presa del potere»
di Errico Novi
13 settembre 2021

https://www.ildubbio.news/2021/09/13/ti ... el-potere/


«Erano convinti di doversi assumere la responsabilità del potere».

Di dover cambiare l’Italia attraverso le indagini?

«No, anche di assumersi direttamente la responsabilità del potere politico».

Tiziana Parenti, da tempo ormai avvocato del Foro di Genova e dunque lontana non solo dalla toga di pm ma anche dallo scranno parlamentare, è una figura atipica nella storia a di Mani pulite. Corpo estraneo rispetto al resto del Pool, presto convintasi a lasciare la Procura milanese e la magistratura e a schierarsi in politica con Forza Italia, ha già raccontato altre volte delle iperboli che, a suo giudizio, hanno pesato sul percorso degli ex colleghi. Stavolta lo fa a poche ore dal nuovo scontro fra Piercamillo Davigo e Francesco Greco.
Non finisce nel migliore dei modi, avvocato Parenti, l’epopea di Mani pulite e della mitica Procura di Milano anni Novanta.

Distinguiamo però le due cose. Francesco Greco non ha fatto parte del Pool all’epoca di Tangentopoli, Davigo sì. Ma è vero che le nuove tensioni mostrano quanto sia pericoloso per la magistratura eccedere nel protagonismo. Finisce male perché a un certo punto alcuni magistrati, inclusi i miei ex colleghi di Milano, hanno smesso di intendere la loro funzione in termini di esclusiva ricerca della giustizia rispetto al caso concreto.

In che senso?

Hanno ritenuto di doversi assumere una responsabilità più grande, di doversi fare carico di un progetto di
cambiamento del Paese in cui appunto sarebbero stati protagonisti.

Be’, in effetti con Mani pulite sono diventati fatalmente protagonisti: hanno disarcionato la politica.

Sì ma, non saprei dire se per un inappropriato senso di responsabilità, in quella parte della magistratura, Procura di Milano inclusa, si era radicata la convinzione che alcuni esponenti del mondo togato potessero anche impegnarsi direttamente in politica, pur senza cercare collocazione in uno dei pochi partiti sopravvissuti. E certo il clima di Mani pulite, nel 93, ha esasperato questa convinzione.

Nel Pool di Milano non si escludeva un impegno politico diretto di qualche componente?

Io non partecipavo ad alcune delle riunioni più delicate, innanzitutto a quelle in cui si discuteva dei filoni investigativi dei quali non avevo diretta competenza, quelli sui partiti di governo. Io ero la sola a lavorare sul Pds. Ma posso dire, ad esempio, che c’era nei componenti storici del Pool la consapevolezza di un quadro politico successivo alle inchieste in cui la sinistra politica sarebbe rimasta sola o quasi.

Non eravate mica tutti di sinistra?

Assolutamente no, ma non era una questione ideologica. Certamente le idee politiche personali di ciascuno, nella Procura di Milano, erano assai diverse. Però, in un’ottica in cui la magistratura avrebbe avuto un proprio peso politico, il Pds, la sinistra, rappresentavano certamente l’interlocutore ritenuto, dalle toghe, più adeguato al realizzarsi dell’obiettivo.

Le sue sono affermazioni impegnative.

Ma come sa non è la prima volta che ne parlo. Il progetto di una magistratura più influente sul quadro democratico generale inizia, se è per questo, una trentina d’anni prima di Mani pulite. Con la lotta al terrorismo, le leggi speciali, alcune garanzie ottenute dall’ordine giudiziario, non esclusi i 45 giorni di ferie e l’incremento della retribuzione. Mani pulite è semplicemente il momento in cui la magistratura comprende che il principale ostacolo al compiersi di quel progetto generale, vale a dire i partiti della prima Repubblica, era stato eliminato, e che dunque il campo era più libero.

Siamo partiti da quel clima, ci troviamo con uno scontro molto duro fra Greco e Davigo: come si spiega?

Non si può fare a meno di recuperare la storia. Primo, Silvio Berlusconi era un altro interlocutore che la Procura di Milano riteneva prezioso, durante la fase originaria dell’inchiesta. Con le sue tv, ricorderete i report di Andrea Pamparana, diede grande risonanza al lavoro del Pool, e al pari del Pds era considerato, seppur per motivi diversi, una controparte appunto utile.

Cosa si diceva di Berlusconi a Palazzo di giustizia?

A me parve di capire che non vi fosse alcuna intenzione di coinvolgerlo nelle indagini.

E poi che è successo?

Che Berlusconi ha sparigliato il tavolo: inventa Forza Italia, vince le elezioni e occupa il centro della scena, il vertice della politica.

Cos’altro avrebbe dovuto fare?

Io mi candidai con Forza Italia. Gli dissi: “Presidente, temo che una sua nomina a presidente del Consiglio possa provocare ricadute sfavorevoli sul piano giudiziario”. Mi rispose: “Ho vinto le elezioni, perché non
dovrei diventare capo del governo?”. Come dargli torto. Ma la mia fu una facile previsione.
Berlusconi quindi potrebbe essere, lei dice, la variabile che ha alterato la prospettiva immaginata dalla magistratura.

Lo fu. Berlusconi è l’antitesi di un processo storico. La sintesi successiva ha visto la magistratura trasformarsi da forza di potere, con prospettive anche propriamente politiche, a potere solo burocratico, che è stato comunque forte ma ha finito per sclerotizzare la giustizia. I riti del potere giudiziario, la difesa delle prerogative, sono la prima vera causa delle lentezze.

Lei operò ha lasciato anche la politica, nel 2001: perché?

Fu insopportabile la delusione per la Bicamerale. Ci avevo lavorato. Credevo nella possibilità di poter inserire, fra le riforme condivise, anche quella della giustizia. Berlusconi, bombardato dalle indagini, decise di lasciare il tavolo. Compresi le sue motivazioni, ma per me fu un colpo troppo pesante.
Ha letto però l’intervento di Berlusconi a proposito di giustizia uscito domenica sul “Giornale”? Le è piaciuto?

Molto, parla di princìpi per i quali avrei voluto battermi, dalla separazione delle carriere all’inappellabilità delle sentenze di assoluzione e, soprattutto, ai limiti nell’adozione delle misure cautelari.

Ma se il Cav le chiedesse di tornare in politica per dedicarsi di nuovo alla giustizia?

Mi farebbe piacere impegnarmi di nuovo, credo nei princìpi costituzionali, nella loro affermazione. Mi impegnerei volentieri, se si tratta di battersi per la giustizia sono sempre pronta ad accettare la chiamata.
Senta, ma in fondo può essere anche comprensibile che il caos generato da Mani pulite inducesse in alcuni magistrati la convinzione di dover assumere su di sé il peso di un potere devastato?

Può darsi che la devastazione politica prodotta da quell’inchiesta abbia in effetti suscitato in una parte della magistratura la convinzione che, spianato il deserto, occuparsi del potere diventava doveroso, necessario. Non lo so, ripeto: a certe riunioni io non partecipavo, ero esclusa. Ma l’aria che si respirava nella magistratura italiana, nel 1993, era quella. D’altronde, un conto è cercare la verità su un fatto specifico, altro è assumere iniziative che rovesciano il Paese come un calzino.

Era esagerato?

Direi di sì, e probabilmente la durezza di quell’indagine fu incoraggiata anche da potenze straniere, che non avevano più bisogno della classe dirigente grazie alla quale, per l’intero dopoguerra, l’Italia era rimasta un’avanguardia contro l’avanzare del comunismo.
Lei è stata nel Pool di Mani pulite, seppur per un tempo limitato. È una testimone diretta.

Appunto. Pochi meglio di me possono parlare di quel periodo. Di cosa circolasse nella magistratura. C’era un’idea di potere da assumere, in modo anche diretto. Poi Berlusconi si è frapposto e quell’idea è svanita. Ma a quale prezzo, almeno per Berlusconi, lo abbiamo visto.

A cosa si riferisce?

Berlusconi è stato al centro di una vicenda giudiziaria che ha assunto anche tratti persecutori. Ripeto: prima del 1994 non c’era un magistrato che avesse detto “Silvio Berlusconi finirà sotto indagine”. Poi Forza Italia vinse le elezioni e nulla fu più come prima.




"Dal tribunale una richiesta offensiva e umiliante. Con altri imputati sarebbero stati più rispettosi"
Anna Maria Greco
17 settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1631854599

Avvocato Giandomenico Caiazza, lei è presidente dell'Unione dei penalisti italiani, che effetto le fa vedere un leader politico ed ex premier sottoposto a perizia medica, anche psichiatrica, da un tribunale che vuole processarlo?

«La perizia medica rientra nelle ordinarie attività di controllo del tribunale di fronte a richieste di impedimento, non è scandaloso disporla ma frequente nei processi penali. Quello che sorprende è addirittura la perizia psichiatrica. Nella nota di risposta di Berlusconi al tribunale, leggo un riferimento al fatto che la difesa abbia inserito un riferimento allo stress che potrebbe causare la partecipazione al processo su un imputato con malattie cardiologiche. Io non conosco l'ordinanza ma sarebbe molto strano che non contenesse una motivazione di una decisione del genere. Sono comunque stupito, perché l'imputato ha dedotto impedimenti di natura clinica oggettiva e il ricorso allo psichiatra, spero oltre le intenzioni dello stesso tribunale, suona offensivo ed umiliante per qualunque imputato. Ancor di più se si tratta di chi ha rivestito cariche pubbliche di primissimo livello ed è ancora un leader politico. Comprendo, dunque, la reazione dell'interessato».

Che cosa dovranno stabilire il medico legale, lo psichiatra e il cardiologo, incaricati dal tribunale di Milano, riguardo alla posizione di Berlusconi nel Ruby ter?

«Devono decidere se le ragioni sanitarie documentate siano tali da determinare un'impossibilità a comparire nel processo. E questo perché la stessa difesa ha prospettato che una condizione di stress per un processo di quella gravità può avere conseguenze pesanti sulle condizioni cardiache. Ma questo lo stabilisce il cardiologo, che c'entra lo psichiatra? Mi pare un'inutile mortificazione, una mancanza di rispetto verso Berlusconi».

La decisione arriva dopo che per diverse udienze la difesa ha opposto il legittimo impedimento, basato sui ricoveri e sulla necessità di riposo dell'imputato, ma per i pm il quadro non è grave, solo legato alla malattia di vecchiaia, dicono. Che ne pensa?

«C'è modo e modo di esprimere una legittima opinione diversa dall'imputato, ma ancora una volta parlare di vecchiaia in quei termini mi sembra una mancanza di riguardo, il sintomo di una particolare animosità nei suoi confronti».

La decisione, dice Berlusconi, è «lesiva della mia storia e della mia onorabilità» e mostra un «evidente pregiudizio nei miei confronti». È d'accordo con queste parole?

«Non so se in una condizione analoga e con un imputato diverso da Berlusconi si sarebbe parlato di vecchiaia in termini così sprezzanti e si sarebbe arrivati a disporre una perizia psichiatrica. Mi sembra legittimo dubitarne. Questa aggressività rispetto all'età e la decisione di ricorrere ad uno psichiatra non si giustificano visto che si discute sulla possibilità di un imputato di intervenire o meno al processo».

A questo punto il leader di Forza Italia dichiara di non poter accettare la decisione del tribunale, affermando che si può procedere in sua assenza alla celebrazione di un processo che definisce ingiusto. Che cosa succederà adesso?

«Mi pare di capire che Berlusconi rinunci ad eccepire l'impedimento a partecipare al processo e quindi a sospenderlo, ma preferisca che vada avanti senza di lui. Reagisce, in questo modo, ad una decisione che percepisce come offensiva nei suoi confronti».
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab set 25, 2021 9:29 am

Csm, Palamara e gli sms delle toghe venete
Alberto Zorzi
22 agosto 2020

https://corrieredelveneto.corriere.it/v ... 1jTHzNoacs

VENEZIA «Caro Luca, ti ringrazio per come hai accompagnato durante il tuo mandato me e mia moglie. Spero di vederti presto». Era la sera del 26 settembre 2018 e proprio in quei giorni il quadriennio del Consiglio superiore della magistratura eletto nel 2014 era terminato. «Luca» è Luca Palamara, il magistrato e, appunto, ex componente del Csm da mesi nella bufera con l’accusa di corruzione, violazione di segreto e altri reati, ma soprattutto per le migliaia di pagine di chat Whatsapp da cui emerge il ruolo di «facilitatore» per le nomine di Unicost. Chi scrive è il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi, anche lui della stessa corrente nella magistratura.

Il caso

D’altra parte Cherchi era stato nominato alla guida della procura distrettuale nel maggio del 2017; pochi mesi dopo, a fine anno, la moglie Barbara Bortot era stata messa a capo della sezione lavoro del tribunale di Venezia. E proprio in questo caso Cherchi aveva chiesto un piacere all’«amico»: «Maria Casola, direttore generale giustizia, la conosci? È ns (nostra, ndr)?», gli scrive la sera del 20 novembre 2017. «Assolutamente sì», risponde l’allora esponente del Csm. «Dovrei chiederle di rinviare a dopo Natale la pubblicazione nel bollettino del trasferimento di Bortot. Puoi chiamarla tu o mi dai il cellulare e la posso chiamare a nome tuo? - continua il procuratore lagunare - Più in là va e meglio è». Palamara gli dà subito il via libera: «Ok ti mando numero, chiamala a nome mio. È come se fossi io». I contatti più frequenti tra i due riguardano un convegno di metà gennaio a Padova, in cui furono presentati i candidati Unicost per il Csm successivo. «Per il 18 avrei bisogno di sapere i tuoi tempi, se ti fermi a PD a dormire (gradito ospite a casa nostra)», gli scrive il 5 gennaio. Anche lui poi gli chiede informazioni sulle nomine, sia quella di procuratore aggiunto a Venezia (che andrà al pm dell’inchiesta Mose Stefano Ancilotto), che i cosiddetti «semidirettivi» aperti, in primis la presidenza della sezione Gip e del tribunale del riesame di Venezia. «Carissimo Bruno, dal 7 maggio inseriamo posti Venezia», è la rassicurazione.

La sfida per il Gip lagunare

Cherchi a un certo punto chiede anche a Palamara se può metterlo in contatto con Giovanni Cicero, all’epoca sostituto pg in Corte d’appello e aspirante al ruolo di aggiunto a Venezia. «Buongiorno Luca sono Giovanni Cicero mi ha dato il tuo numero Bruno Cherchi quando posso chiamare senza recare disturbo?», gli scrive il 6 novembre 2017. Poi cerca di incontrarlo un paio di volte, ma non riescono a combinare. Dalle chat emerge poi la sfida soprattutto per il Gip lagunare. In pole position pareva esserci Stefano Manduzio, poi la spuntò Luca Marini. Tra i più attivi nelle segnalazioni c’è il pm Paolo Fietta, ora a Treviso. «Manduzio - indica il 14 maggio - stimato, esperto, pacato». Ma un mese dopo Palamara gli annuncia che sarà scelto Marini. «Manduzio non passa? - replica Fietta - è l’unico già qua». «Claudio Marassi è il più anziano e un sincero amico», dice ancora il pm trevigiano riguardo alla presidenza del Gip di Padova, salvo poi sbottare incredulo qualche settimana dopo: «Luca ma cosa è successo zero voti al nostro Marassi?». Più volte «spinge» Paola Di Francesco, che poi ce la farà, alla guida di una sezione civile del tribunale di Rovigo («curriculum eccezionale») e si informa del perché sia caduta all’improvviso la candidatura dell’amico Giovanni Parolin (fratello del segretario di Stato vaticano) a Trento. «La domanda non era accoglibile perché la distanza tra la sede dove presta servizio (Vicenza) e Trento è inferiore a 100 km», la risposta. Fietta perora infine la causa della procura di Rovigo disastrata: «Situazione allarmante per scoperture - scrive a Palamara - in via ordinaria nessuno fa né farà domanda mai... sono in fase di trasferimento 3 sostituti... Nalin sospeso... il quadro è grave». E una volta chiede una cosa anche per sé, per sapere se sarà pubblicato il posto lasciato libero proprio da Davide Nalin, coinvolto nello scandalo Bellomo sul «dress code». Infine tesse le lodi del presidente del tribunale di Rovigo Angelo Risi, sotto disciplinare per una ritardata scarcerazione, da cui poi sarà scagionato.

Gli articoli

Il collega del Csm Nicola Clivio a dicembre 2018 sottopone a Palamara gli articoli sulla «guerra» del pm Fabrizio Celenza, che Cherchi non aveva confermato alla Dda di Venezia e che aveva fatto ricorso al Tar. «Questa cosa può essere devastante - scrive - Celenza è amico mio. Cherchi si è impuntato da sardo, ma nel merito ha ragione lui». «Ora provo a parlare con Bruno», replica Palamara. Ci sono anche dei messaggi del deputato vicentino di FI Pierantonio Zanettin che chiede «al volo un parere emendamento appena presentato dal governo» sulle piante organiche.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab set 25, 2021 9:32 am

Loggia Ungheria, Alessandro Sallusti: "Non solo il Sistema smascherato da Palamara, esistono due livelli"
Alessandro Sallusti
18 settembre 2021

https://www.liberoquotidiano.it/news/co ... velli.html

Il pozzo ormai è avvelenato e chiunque pensi di abbeverarsi non la farà franca. La storia della presunta "Loggia Ungheria", riedizione della famigerata P2, è sfuggita di mano e sta rotolando come la palla di neve che diventa valanga. C'è da chiedersi perché per almeno due anni la Procura di Milano ha tenuto nel cassetto la deposizione fiume del faccendiere Piero Amara che faceva, probabilmente a vanvera, nomi eccellenti di magistrati, alti ufficiali e imprenditori di primo piano (compreso Carlo De Benedetti). E c'è anche da chiedersi perché detti verbali, trafugati da quel cassetto, siano rimasti così a lungo in un altro posto sicuro, cioè la redazione del Fatto Quotidiano che solo ieri ha ritenuto di renderli noti.

Le spiegazioni fornite dalla Procura di Milano e dal quotidiano in questione fanno acqua da tutte le parti, almeno agli occhi di chi ha un minimo di dimestichezza con questo tipo di faccende. L'ipotesi migliore è che ognuno tiene famiglia, e che è partita la faida tra famiglie rivali che si dividevano sia pure in precario equilibrio lo stesso territorio, quello della giustizia come arma di potere economico e politico. Se le stanno dando di santa ragione e ognuno mette in campo i suoi uomini del giornalismo e della politica.

Probabilmente a rompere l'equilibrio - i tempi coincidono - è stato il caso Palamara, regista diventato improvvisamente incontrollabile e quindi scomodo al punto da dover essere eliminato. Ma la verità poi raccontata da Palamara nel suo libro-confessione è evidentemente soltanto una parte della storia. Il "sistema" occulto che ha controllato il paese negli ultimi vent'anni aveva più livelli, non so dire quanto comunicanti tra loro. Smascherarne uno, quello con a capo Palamara, ha messo in crisi l'altro, che magari non si chiama "Ungheria", magari non vede come attori principali quelli indicati da Amara (noto mestatore che mischia vero, verosimile e falso per depistare e consumare vendette) ma certamente da qualche parte esiste. Vogliamo lasciare ai magistrati, molti dei quali coinvolti in entrambi i livelli, il compito di cercarlo e accertare verità scomode? Per quel poco che ho capito non c'è da fidarsi.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » sab set 25, 2021 9:33 am

Sentenza Dell'Utri: assolti gli imputati principali della trattativa stato mafia
Giovanni Bianconi
23 settembre 2021

https://www.corriere.it/cronache/21_set ... P6wUZcY3VU

Cadono le accuse per gli ufficiali dei carabinieri Mori, Subranni e De Donno e anche per Marcello Dell’Utri. Quanto ai boss, prescrizione per Brusca, pena ridotta a Bagarella, condanna confermata per Cinà

Assolti gli ex carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e assolto l’ex senatore Dell’Utri: la trattativa non fu un reato. Prescritta la minaccia al governo Berlusconi nel 1994 da parte del boss Leoluca Bagarella, condannato a 27 anni di carcere per il ricatto contro il governo precedente, in carica tra il 1992 e il 1993. La sentenza d’appello ha ribaltato così il giudizio di primo grado che aveva bollato come reato il comportamento degli uomini delle istituzioni entrati in contatto con i rappresentanti della mafia al tempo delle stragi. Il clamoroso verdetto della corte d’assise d’appello di Palermo ha quindi cancellato ciò che in dieci anni la procura e la corte di primo grado avevano costruito con l’indagine e il processo sulla presunta trattativa.

Ribaltata la sentenza di primo grado

La sentenza di primo grado, pronunciata dalla corte d’assise il 20 aprile 2018, aveva stabilito che la minaccia allo Stato avanzata da Cosa nostra con le stragi del 1992 e del 1993 – un vero e proprio ricatt o: o si allenta la pressione antimafia o gli attentati proseguiranno – era stata «veicolata» da uomini delle istituzioni che in questo modo rafforzarono e resero più concrete le pretese dei boss: da un lato i carabinieri del Ros, gli ex generali Antonio Subranni e Mario Mori, e l’ex colonnello Giuseppe De Donno; dall’altro l’ex senatore Marcello Dell’Utri, che dall’inizio del ’94 avrebbe veicolato il messaggio mafioso al nuovo governo guidato da Silvio Berlusconi. Il quale, chiamato a deporre dai difensori di Dell’Utri, si è avvalso della facoltà di non rispondere in quanto indagato nel procedimento connesso sui mandanti occulti delle stragi del 1993.

Tutti condannati: Mori e Subranni a dodici anni di carcere come dell’Utri, De Donno a otto, insieme al boss Leoluca Bagarella (28 anni) e al medico legato a Cosa nostra Antonino Cinà (12 anni). La trattativa Stato-mafia era condensata in queste condanne, scaturite per un verso dagli incontri tra i carabinieri e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino nell’estate del 1992, e per l’altro dai collegamenti tra Dell’Utri e la mafia, con il boss Vittorio Mangano e non solo, che hanno contribuito anche alla condanna definitiva dell’ex senatore per concorso esterno in associazione mafiosa. Tra gli imputati c’era pure un altro politico, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, ulteriore presunto tramite del ricatto; anzi il promotore della trattativa, secondo l’accusa, nel timore di essere una vittima designata delle cosche. Lui però ha scelto di farsi giudicare con il rito abbreviato, ed è stato assolto «per non aver commesso il fatto» in tutti i gradi di giudizio.

L’assoluzione di Mannino

Tra la sentenza di primo grado e quella di oggi l’assoluzione di Mannino è diventata definitiva, e l’ultimo verdetto è stato abbastanza categorico nel contraddire la ricostruzione formulata dai pubblici ministeri; sia quelli della Procura, in primo grado, che quelli della Procura generale, in corte d’appello. Una sentenza che s’è posta in contrasto anche con la decisione della corte d’assise che in primo grado aveva condannato gli altri imputati.

Per la corte d’assise che ha dichiarato colpevoli i vertici del Ros, la proposta di «trattativa» dei carabinieri a Ciancimino ebbe l’effetto di «far sorgere o quantomeno consolidare il proposito criminoso risoltosi nella minaccia formulata nei confronti del governo della Repubblica sotto forma di richieste di benefici, al cui ottenimento i mafiosi condizionavano la cessazione delle stragi».

Per i giudici che hanno assolto Mannino, invece, l’iniziativa del Ros fu nient’altro che «un’operazione info-investigativa di polizia giudiziaria, realizzata attraverso la promessa di benefici personali al Ciancimino di assicurare, ove possibile, le richieste nell’esclusivo interesse di Ciancimino stesso; tale operazione si proponeva, mediante la sollecitazione a un’attività di infiltrazione in Cosa nostra del predetto Ciancimino, che ne avrebbe dovuto contattare i capi, il fine della cattura di Totò Riina, interrompendo così la stagione delle stragi».

Fu un ricatto allo Stato?

Due ricostruzioni e due valutazioni opposte, che racchiudono il nodo della presunta trattativa tra i boss e alcuni rappresentanti delle istituzioni al tempo delle stragi: ne scaturì un reato, agevolando il ricatto mafioso allo Stato, oppure no? È lo stesso nodo che ha dovuto affrontare la corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Angelo Pellino, seduto accanto al giudice a latere Vittorio Anania e ai sei componenti della giuria popolare.
L’assoluzione definitiva di Mannino è una delle novità intervenute durante lo svolgimento del processo d’appello. Insieme a nuove testimonianze come quelle proposte sia dall’accusa (ulteriori pentiti su presunti aspetti misteriosi delle stragi e dei contatti tra mafia e istituzioni) che dalla difesa (ad esempio la testimonianza dell’ex pm di Mani pulite Antonio Di Pietro, che ha raccontato i suoi dialoghi con Paolo Borsellino tra le stragi di Capaci e via D’Amelio, e l’interesse del magistrato assassinato per le inchieste sulla corruzione e gli appalti intrecciate con quelli milanesi).

Due anni di dibattimento

Due anni e mezzo di dibattimento in appello hanno prodotto la nuova sentenza. Pronunciata secondo i principi che il presidente Pellino aveva specificato nell’aprile 2019, alla prima udienza. Per replicare a chi si lamentava che quello sulla trattativa Stato-mafia è stato un processo alla storia anziché a singoli imputati accusati di specifici reati, il presidente chiarì: «Può accadere che in un processo che riguarda fatti molto eclatanti la riscrittura di un pezzo di storia di un Paese sia un effetto inevitabile dei temi trattati e del lavoro delle parti processuali che hanno concorso a scavare nei fatti; ma lo scopo del processo d’appello è verificare la tenuta della decisione di primo grado sotto la lente d’ingrandimento dei motivi d’appello. Gli imputati non sono archetipi socio-criminologici, bensì persone in carne e ossa che saranno giudicate per ciò che hanno o non hanno fatto, se si tratta di reati. Questo è l’impegno della corte, e mi sento di rassicurare le parti».

La sentenza di oggi è figlia di quell’impegno, e le motivazioni spiegheranno come ci si è arrivati.



Una sentenza che vale più di una riforma
Nicola Porro
24 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 1632459542

Ciò che ha dell'incredibile non sono le assoluzioni di ieri nel cosiddetto processo Stato-Mafia, ma il fatto che per venti anni siamo stati ostaggio di un gruppo di procuratori che ha costruito un teorema tanto mostruoso quanto fragile.

Una sentenza che vale più di una riforma

Ciò che ha dell'incredibile non sono le assoluzioni di ieri nel cosiddetto processo Stato-Mafia, ma il fatto che per venti anni siamo stati ostaggio di un gruppo di procuratori che ha costruito un teorema tanto mostruoso quanto fragile sin dalle fondamenta. Ci auguriamo che sia la fine dei processi, anzi delle accuse costruite sui teoremi.

Il reato di trattativa avrebbe coinvolto diversi governi, presidenti della Repubblica, generali dei carabinieri, ministri e forze politiche di tutti gli schieramenti. Il teorema è così riassumibile: dopo le stragi di mafia di inizio anni '90, un pezzo delle istituzioni è più o meno sceso a patti con la mafia per evitare che si ripetessero e per tutelare incolumità personali (è il caso di Calogero Mannino, per primo assolto). Ad un certo punto si è addirittura pensato che circolasse un vero e proprio contratto che sancisse questo accordo: un «papello» che, ovviamente, non è mai stato prodotto.

Una costruzione favolosa. Financo l'arresto di Riina da parte di uno degli imputati, ieri assolto, come il generale Mori, è stato considerato dall'accusa come una prova della trattativa. Verrebbe da dire: così vale tutto. Se non fosse che di mezzo è passata la vita di decine di persone che per venti anni hanno sofferto la più infamante delle accuse, soprattutto se uomini delle istituzioni: «flirtare» con i boss.

E così ieri pomeriggio la Corte di Assise di Palermo ha assolto i generali del Ros Mori e Subranni, il colonnello De Donno e Marcello dell'Utri che sarebbe stato, secondo l'accusa, lo sponsor della trattativa con Berlusconi.

Nulla di tutto ciò si è verificato.

Questa clamorosa assoluzione si intreccia con la recente riforma della giustizia, spacciata come epocale. Essa tra l'altro prevede che «per celebrare un processo non sia sufficiente avere elementi per sostenere l'accusa». Il pm infatti dovrebbe richiedere l'archiviazione «quando gli elementi acquisiti nelle indagini non consentono una ragionevole previsione di condanna».

Secondo il legislatore è sufficiente questa ipocrita petizione di principio, senza la previsione di alcun parametro oggettivo, affinché i procuratori, semplifichiamo, invece di andare a processo chiedano archiviazioni. E non perché li ritengano innocenti, ma perché pensino di non avere elementi sufficienti perché un giudice li condanni. Una cosa è pretendere che il procuratore, se in possesso di prove a tutela dell'indagato, le produca (cosa peraltro che non sarebbe avvenuta a Milano nel processo Eni), una cosa obbligarlo ad avere anche la testa del giudice terzo.

Chi ha pensato questa norma pensa di vivere in un altro mondo. Con una sua decisione la corte di Assise di Palermo ha fatto molto di più di una riforma che non c'è.



L'assoluzione spiazza i colpevolisti. L'imbarazzo del M5s: "Non commentiamo"
"Schiaffo ai manettari". Letta disorientato: leggerò le motivazioni
Laura Cesaretti
24 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 77362.html


Spiazzati, confusi, imbarazzati: i colpevolisti che avevano sponsorizzato il surreale teorema della «trattativa», o che per acquiescenza o utilità politica lo avevano silenziosamente avallato si riconoscono subito. Sono tutti trincerati dietro la polverosa formula di rito: «Aspettiamo le motivazioni».

Ecco subito i Cinque stelle, ancora frastornati dalla sentenza che smonta anni di loro propaganda: «La rispettiamo e non la commentiamo - recita un comunicato imbarazzato dei parlamentari della commissione Giustizia -. Possiamo solo aggiungere che rimaniamo in attesa di conoscere nel dettaglio le motivazioni». Poi si aggrappano alla formula dell'assoluzione, «il fatto non costituisce reato», per alimentare un ultimo filo di speranza: «Lascia intendere che i fatti siano confermati e che a livello politico restino intatte le responsabilità». Ma è una speranza esile, tant'è che il sempre rumoroso presidente della Commissione Antimafia Morra stavolta evita di aprire bocca sul tema. Resta assai sul vago anche il leader Pd Enrico Letta: è «sorpreso», la sentenza «farà discutere», e comunque «su temi così complessi serve leggere le motivazioni». Altri, nel suo partito, sono meno incerti: «Tre servitori dello Stato e l'intera Arma dei carabinieri hanno visto infangato il loro nome per lunghi anni. Chi potrà risarcirli? Cosa cancellerà gli anni di dolore per un'accusa incomprensibile?», si chiede il parlamentare Umberto Buratti. Che non usa giri di parole e parla di inchiesta «farsa» e di «giustizialismo spettacolo che ammorba il paese».

Non si nasconde dietro ambigui paraventi neppure Matteo Renzi, che parla di «una pagina di storia giudiziaria decisiva per il paese» e afferma: «Ciò che per anni i giustizialisti hanno fatto credere nei talk show e sui giornali era falso: non c'è reato. Ha vinto la giustizia, ha perso il giustizialismo». Matteo Salvini si dice «felice» per l'assoluzione, che è «l'ennesima prova che è necessaria una vera e profonda riforma della giustizia, tramite i referendum promossi dalla Lega».

Un j'accuse durissimo arriva da Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia: «Ho sempre avuto dubbi sull'inchiesta, e ritenuto scorretto che a pomparla mediaticamente fossero i pm titolari: un comportamento che mio padre non avrebbe mai approvato». E denuncia: «Le energie dedicate alla trattativa potevano essere indirizzate verso piste che volutamente non si sono percorse». Per Giorgio Mulè «viene riconosciuto il calvario subito dai servitori dello Stato». Sempre da Forza Italia Franco Dal Mas parla di «carriere antimafia costruite su teoremi e pregiudizi». Per Vittorio Sgarbi è «una giornata memorabile che restituisce onore allo Stato».

E mentre qualche irriducibile come Leoluca Orlando geme che i giudici così «lasciano zone di ombra», esulta un'altra vittima, già assolta, del processo così miseramente crollato. «La cosiddetta trattativa Stato-mafia - dice l'ex ministro Nicola Mancino - è stata spazzata via da una sentenza scrupolosa che chiude un'intera vicenda giudiziaria che non avrebbe mai dovuto iniziare».




Sentenze ignorate, calunniatori e filoni nuovi. Perché il super-processo non stava in piedi
Mariateresa Conti
25 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1632544799

Sei anni di processo di primo grado, altri due di processo d'appello. Per non parlare di tutta la fase preliminare d'indagine, cominciata da Antonio Ingroia quando ancora indossava la toga, proseguita da Nino Di Matteo, oggi al Csm. Oltre un decennio speso a dare la caccia a «un fatto che non costituisce reato», per dirlo con la sentenza di due giorni fa. Eppure, a volerli guardare, gli elementi che non reggevano c'erano, eccome se c'erano. Bastava leggere le sentenze assolutorie (8 pronunciamenti in tutto, compreso quello di giovedì) dell'ex ministro Calogero Mannino e del generale Mario Mori, tutte acquisite e tutte agli atti.

A cominciare dalle più antiche, quelle al prefetto Mori per la mancata perquisizione del covo di Riina nel 1993 e per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 in un casolare di campagna in cui si teneva un summit, a Mezzojuso. Quella su Riina risale al 2006, il processo trattativa non era ancora nato (e tanto era granitica che l'allora pm Ingroia decise di non fare appello), L'altra un po' più recente, è diventata definitiva nel 2017.

Identico discorso per la sentenza assolutoria dell'ex ministro Calogero Mannino, definitiva da un anno. Mannino, che ha scelto il rito abbreviato per il processo trattativa, è stato assolto in tutti e tre i gradi di giudizio. Eppure nell'impostazione dell'accusa nulla è cambiato rispetto al ruolo, smentito per sentenza, dell'ex ministro. E neppure rispetto alle accuse ai generali Mori e Subranni e al colonnello De Donno.

Anche una sentenza di condanna agli atti, quella dell'ex senatore Marcello Dell'Utri, era istruttiva, molto. E avrebbe dovuto essere presa in considerazione. Dell'Utri infatti è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti antecedenti al 1992. Qui invece gli si assegna un ruolo di tramite delle minacce della mafia a Berlusconi tra il '93 e il '94. Peccato che non ce ne sia prova alcuna. E peccato che ci sia invece la controprova. Come ha detto in arringa l'avvocato di Dell'Utri, Francesco Centonze non c'è una prova che sia una «che ci sia stato un solo provvedimento legislativo, una norma, un codicillo varato dal governo Berlusconi favorevole a Cosa nostra». Dell'Utri, per la cronaca, è stato assolto «per non aver commesso il fatto».

Gran parte delle accuse si sono poi sviluppate sulle dichiarazioni a rate di Massimo Ciancimino, l'ex supertestimone che alla fine si è beccato una condanna per calunnia (poi caduta in prescrizione). Ricordate i chili di «pizzini» portati in Aula? C'era persino il celebre «papello», il padre di tutti i pizzini, la prova documentale che la trattativa ci fu. Peccato che sia stato accertato che era proprio un falso, magari con contenuti realistici ma falso.

Infine, un filone inesplorato, quello delle indagini che Paolo Borsellino conduceva sul rapporto Mafia e appalti del Ros. In primo grado la testimonianza di Antonio Di Pietro, invocata dalla difesa, non era stata ammessa: «superflua». In questo processo d'appello invece è arrivata. E va in rotta di collisione, ha ricordato in arringa l'avvocato di Mori, Basilio Milio, con la tesi accusatoria che ad accelerare l'uccisione di Borsellino sia stata la trattativa. Già, perché parla dell'interesse di Borsellino per quel rapporto e per quelle indagini. Interesse che le sentenze di Caltanissetta e di Catania sulla strage di Capaci individuano come acceleratore della sua uccisione. Altro che trattativa.



I grandi pentiti, gli 007 e la pista americana. Ecco tutti gli enigmi mai risolti dalla Procura
Felice Manti
25 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1632544784

Le indagini di Caltanissetta si fermarono prima di scoprire cosa dissero davvero Buscetta e Mutolo a Falcone e Borsellino. I veri killer impuniti
I grandi pentiti, gli 007 e la pista americana. Ecco tutti gli enigmi mai risolti dalla Procura

Adesso che è finita la caccia ai fantasmi, adesso che la folle idea che dietro le stragi di mafia ci fosse la nascita di Forza Italia e l'ascesa di Silvio Berlusconi c'è una verità che merita risposte. Chi ha ucciso veramente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino? A chi hanno giovato quelle morti? Ha agito la mafia, ma su ordine di chi? E perché Falcone fu ostacolato anni prima dal Csm nella corsa a poltrone prestigiose nella procura di Palermo?

Sin dall'inizio le indagini sulla morte dei due magistrati hanno registrato interferenze, depistaggi, manipolazioni. Lo sa bene Gioacchino Genchi, il consulente della Procura di Caltanissetta che in quei maledetti cinquanta giorni tra le due stragi analizzava le due agende elettroniche (una Casio e una Sharp) sulle quali Falcone registrava ogni cosa, come ricorda Edoardo Montolli, autore del libro I Diari di Falcone e Il caso Genchi. «Il processo sulla Trattativa è una delle più grandi assurdità partorita dalla giustizia italiana», disse Genchi nel 2014. La risposta alla strage di Capaci è invece forse nel viaggio in America di Falcone, dove avrebbe incontrato Tommaso Buscetta dopo il delitto di Salvo Lima? I magistrati di Caltanissetta guidata da Giovanni Tinebra, (che l'ex legale Eni Pietro Amara oggi accosta solo da morto alla famigerata loggia Ungheria), non vollero approfondire, Genchi se ne andò sbattendo la porta dopo una lite furiosa con Arnaldo La Barbera, considerato poi il suggeritore del depistaggio. È nella pista americana la chiave? E cosa disse veramente a Falcone l'autista di Riina Gaspare Mutolo nel 1991 nel carcere di Spoleto, incontro segreto di cui c'è traccia nell'agendina Sharp? Anche Borsellino quando ascoltò le rivelazioni del boss tre giorni prima di morire arrivò a casa sconvolto e secondo la moglie vomitò per la tensione, non prima di averne trascritto ogni dettaglio nella famosa agenda rossa. Sparita da via D'Amelio.

Sono passati 29 anni dalle stragi e ancora non sappiamo tutto neanche degli esplosivi. Fu la 'ndrangheta a fornirli dalla nave Laura C. affondata a largo di Saline Joniche? Le rivelazioni del killer pentito Maurizio Avola a Michele Santoro nel libro-inchiesta Niente altro che la verità sono poco credibili quando pretendono di confinare le stragi solo dentro il perimetro mafioso. I telefoni di Nino Gioè e Gioacchino La Barbera, registi della strage di Capaci, clonavano due numeri non ancora assegnati dalla Sip a Roma in una filiale che nascondeva una base dei servizi. Anche il commando era atipico. Non boss potenti ma mafiosi di secondo e terzo livello, tipo l'attendente di Riina Salvatore Biondino, che una volta in aula confessò a un legale: «Possibile che lo abbiamo fatto noi, quattro sprovveduti?». Ne è convinto anche l'autista di Falcone, Giuseppe Costanza: «Ha pagato solo la manovalanza, mai gli altri responsabili».

Adesso spetta alla Procura di Palermo fornire le risposte. E ai giornali il compito di non sposare tesi strampalate, come conferma l'amaro sfogo all'Huffington Post di Giovanni Fiandaca, giurista e mentore di Antonio Ingroia e Antonino di Matteo, colpevole di essersi bevuto le panzane del finto boss Vincenzo Scarantino: «Anche per i giornalisti contribuire alla lotta alla mafia non può equivalere a sostenere acriticamente ogni processo penale per fatti di mafia». Soprattutto se Il Fatto non sussiste.




"Assoluzioni assurde" Da Travaglio a Ingroia gli ultimi giapponesi del giustizialismo
Stefano Zurlo
25 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1632544780


Aspettano le motivazioni. Ma intanto sono loro ad anticiparle: una condanna senza appello dell'assoluzione. Gli orfani della trattativa si stracciano le vesti: la giustizia va benissimo quando conferma i loro teoremi, è da strattonare quando rovescia i loro pregiudizi. Marco Travaglio sul Fatto parla di una sentenza «da avanspettacolo» e gioca con le parole, trasformando il verdetto in un perfido scioglilingua: «Trattare con lo Stato è reato, trattare con la mafia non è reato». Insomma, la condanna del boss Bagarella, cui il direttore del Fatto quotidiano indirizza la sua ironica solidarietà, a questo punto è uno scandalo perché farebbe a pugni con l'assoluzione degli ufficiali dei carabinieri.

Le sentenze, dunque, si rispettano solo quando sono uno specchio dei propri convincimenti. Naturalmente, il fatto che il verdetto fosse in qualche modo atteso perché preceduto da altre assoluzioni in processi collegati diventa un'aggravante. Se l'accusa ha fatto cilecca anche con Mannino e con Mori, è colpa dei giudici e della corte d'appello di Palermo che ha restituito l'onore ai militari forse perché avevano agito «a loro insaputa o sovrappensiero».

Da Siracusa, dove presenta il suo libro Controcorrente, Matteo Renzi contrattacca: «Non si può dire che o ha ragione Marco Travaglio o siamo tutti collusi con la mafia», ma per i duri e puri le complicità sono ovunque, soprattutto ai piani alti dello Stato e tutto il resto è ipocrisia e menzogna.

Le vedove della trattativa non ammettono che la procura, forse, si è allargata, andando a riscrivere un pezzo di storia italiana e perdendo così di vista i fatti e gli eventuali reati. Per carità, l'epica dei pm che scoperchiano la botola dei segreti e dei rapporti inconfessabili non può essere messa in discussione, perché negli anni ha generato una militanza ed è diventata un genere letterario. Una visione del mondo non può entrare in crisi per un verdetto che rompe quell'interpretazione a reti unificate.

Antonio Ingroia, il pm che scandagliò quei presunti rapporti e oggi è avvocato, non si arrende: «Certamente lo Stato non esce assolto da questa vicenda. Sono un po' curioso di leggere le motivazioni per capire come sia possibile che ne rispondano solo i mafiosi ma nessun colletto bianco». Come dire, scetticismo e gocce di veleno per una pronuncia che sarebbe degna di un equilibrista.

Tutti vogliono leggere le motivazioni, ma nessuno ha la pazienza di aspettare e il verdetto viene tirato di qua e di là, nel tentativo di farlo combaciare con le teorie coltivate negli ultimi vent'anni. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho va a Skytg24 e riesce a leggere le assoluzioni come una conferma delle condanne di primo grado. I due verdetti si danno idealmente la mano: «Dal punto di vista dell'Antimafia, la sentenza determina esclusivamente un'indicazione sull'interpretazione, ma quel che l'Antimafia ha sviluppato è stata la ricostruzione di un percorso: i comportamenti posti in essere, i collegamenti che ci sono stati con i vertici mafiosi, tutto ciò che è riportato nella sentenza di primo grado poi verificato nella sentenza di secondo grado». Appunto, le assoluzioni sembrano non scalfire la narrazione di questi decenni: «Diciamo che la valutazione della sussistenza del reato ha riguardato l'aspetto psicologico di coloro che hanno operato». Dettagli, rispetto a un impianto che resterebbe in piedi.

Il partito giustizialista è anche negazionista: un'assoluzione assoluzione è impossibile e gira e rigira la si presenta come una nuova condanna. Anche se chi si aggrappava al verdetto di primo grado precipita nel lutto. Salvatore Borsellino pronuncia parole terribili che naturalmente vanno rispettate: «Sono amareggiato, mio fratello Paolo è morto invano».

I presunti esperti non smobilitano, restano acquattati nella giungla, pronti a cogliere le trame del nemico che ha solo vinto un round. «Le assoluzioni - ribatte Maurizio Gasparri - smentiscono quanti attribuivano ai carabinieri una resa alla mafia», ma molti continuano a vedere lo stesso film. «Esiste una verità giudiziaria - afferma il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra - poi esiste la verità dei fatti che si conquista scavando fino in fondo, anche nel torbido. Per verità e giustizia c'è ancora molto da lavorare». Un attimo di smarrimento, poi la lotta può ripartire.
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Re: Magistratura criminale ed eversiva, caso Salvini

Messaggioda Berto » dom ott 24, 2021 8:52 am

Le novità. La riforma del processo penale è legge: cosa cambia per i cittadini
Vincenzo R. Spagnolo
giovedì 23 settembre 2021

https://www.avvenire.it/attualita/pagin ... 1632405815

Con 177 voti a favore, il testo è stato approvato in via definitiva. Le novità sono tante e riguardano l'improcedibilità, i criteri di priorità, le pene alternative, le indagini preliminari

La riforma del processo penale è legge: cosa cambia per i cittadini

LaPresse

La riforma del processo penale diventa legge. Il Senato ha approvato il testo in via definitiva questa mattina con 177 voti a favore, 27 contrari e nessun astenuto, dopo che il 3 agosto era già stato approvato alla Camera. La riforma ha l'obiettivo di rispettare gli impegni presi con l'Europa in vista del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e in particolare di ridurre la durata media dei processi penali. Si tratta, per gran parte, di una legge delega, che il governo dovrà attuare con uno o più decreti legislativi entro un anno dall'entrata in vigore.


Ecco cosa cambia per i cittadini

Prescrizione e improcedibilità. La riforma contempera gli effetti della riforma Bonafede (stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado) con l'improcedibilità, oggetto di un dibattito acceso prima dell’approvazione. Con la nuova norma, un processo si estingue trascorsi 2 anni tra il primo grado e l’appello (prorogabili a 3 per reati gravi) e un anno tra appello e Cassazione (prorogabile a 18 mesi per i reati gravi). La riforma riguarda solo i reati commessi dopo il 1° gennaio 2020. Dall’improcedibilità sono esclusi i reati imprescrittibili, che hanno come pena l’ergastolo.

Il regime transitorio. La norma (che si applica a fatti commessi dopo il 1° gennaio 2020) entrerà in vigore gradualmente, per consentire agli uffici giudiziari di organizzarsi, con l’assunzione di 20mila assistenti e addetti amministrativi. Fino al 31 dicembre 2024, i termini saranno più lunghi (3 anni in appello; 1 anno e 6 mesi in Cassazione), con possibilità di arrivare fino a 4 anni in Appello (3+1 proroga); e fino a 2 in Cassazione (1 anno e 6 mesi +6 mesi di proroga) per tutti i processi in via ordinaria. Ogni proroga dovrà essere motivata dall’ordinanza di un giudice, impugnabile in Cassazione. Per alcuni reati gravi (associazione mafiosa, terrorismo, violenza sessuale, associazione finalizzata al narcotraffico) non ci sarà limite al numero di proroghe, purché motivate da un giudice. Per i reati con aggravante mafiosa saranno consentite altre due proroghe, oltre a quella prevista per qualsiasi crimine (ossia fino a 3, di un anno ciascuna, in Appello): ciò si traduce in un massimo di 6 anni in secondo grado e di altri 3 in Cassazione nel periodo transitorio, che scenderanno a massimo 5 in Appello e 2 anni e mezzo in Cassazione dal 2025.

Comitato di controllo. Ogni anno un Comitato tecnico scientifico del ministero della Giustizia riferirà sullo smaltimento dell’arretrato pendente e sulla durata dei procedimenti.

Processo telematico. Obiettivo della riforma è anche rendere più spedita la giustizia penale attraverso le tecnologie informatiche. Tra le altre cose, il deposito degli atti e le notifiche potranno essere effettuate in via telematica, per avere un risparmio di tempo.

Indagini e criteri di priorità. La riforma interviene sul contenimento dei tempi di indagine. Il pm potrà richiedere il rinvio a giudizio solo se gli elementi acquisiti consentano una «ragionevole previsione di condanna», altrimenti scatterà il non luogo a procedere. La durata massima delle indagini sarà rimodulata rispetto alla gravità del reato. Alla scadenza, salva la tutela del segreto investigativo, opererà a garanzia di indagato e vittima una discovery degli atti. E sarà previsto un mezzo di impugnazione straordinario in Cassazione, per far eseguire le sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo. In più, con una formulazione criticata dal Csm, si dispone che i pm «nell’ambito dei criteri generali indicati con legge del Parlamento, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati» da indicare nei progetti organizzativi delle procure «al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre».

Pene alternative, giustizia riparativa. Con la riforma si trasformano alcune misure alternative (come semilibertà, detenzione domiciliare, lavori di pubblica utilità e pene pecuniarie) in sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi. Uno degli obiettivi della riforma è infatti ridurre il sovraffollamento nelle carceri. La riforma delega inoltre l’esecutivo a disciplinare in modo organico la giustizia riparativa, nel rispetto di una direttiva europea del 2012, con programmi a cui si potrà accedere su base volontaria, col consenso di vittima e autore del reato e con la valutazione favorevole del giudice.

Violenza di genere. Si estende la portata delle norme introdotte con la legge sul Codice rosso al tentato omicidio e, in genere, ai delitti commessi in forma tentata. Per chi viola il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, nei casi ad esempio di maltrattamenti o stalking, si prevede l'arresto obbligatorio in flagranza. Sino ad ora non era previsto l'arresto obbligatorio e quindi chi violava il divieto spesso restava in libertà, con maggiore rischio di reiterare il reato.
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