Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 2:14 am

Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose
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Malattie importate dai clandestini, dagli irregolari e di altri stranieri più o meno regolari o in attesa di regolarizzazione o di respingimento, senza controlli sanitari e liberi di circolare ...
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 2:17 am

La Ministra della Salute Lorenzin sensatamente ammette il legame tra africani e malattie contagiose, mentre la bugiarda Boldrini Presidenta della Camera demenzialmente e spudoratamente lo nega

https://www.facebook.com/14915185678056 ... 4112417756
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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 2:18 am

Altro che quarantena o esami sui barconi non c'è controllo
Stefano Zurlo - Ven, 10/10/2014

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 58549.html

I dottori salgono a bordo e valutano con una semplice occhiata lo stato di salute dei disperati. I poliziotti: "Può sbarcare dall'Hiv alla Tbc"

Il medico sale a bordo. Sul barcone stracolmo. Scruta quelle facce stremate. Valuta in pochi secondi lo stato di salute. L'Italia anti Ebola funziona così. Ad occhio. L'unica fortuna, si fa per dire, è la rapidità con cui si manifesta la malattia.

Dieci-dodici-quindici giorni. I migranti che premono alle porte dell'Italia dovrebbero ammalarsi prima di sbarcare. Perchè i viaggi della speranza durano spesso settimane e settimane se non mesi. Ma è un calcolo teorico. Oggi il solo filtro è l'occhio del medico. «Non esiste una cintura sanitaria - spiega Gianni Tonelli, poliziotto e sindacalista del Sap - vale per la Tbc, vale per la poliomelite, vale naturalmente anche per Ebola». E la diagnosi veloce se non tempestiva si gioca tutta in una sorta di esame collettivo. «Quando un barcone entra nei nostri porti - prosegue Tonelli -un medico sale a bordo. E dà un'occhiata ai clandestini». Sì, la visita si basa su uno sguardo, magari più attento se il poveraccio se la passa male. «In questo momento - insiste Toneli - sui migranti non si fa alcun tipo di esame strumentale o di minimo approfondimento. Niente controlli del sangue o delle urine, per intenderci». Chi vuole, a terra, con calma, va a farsi vedere dai medici di Emergency, presenti nelle strutture di accoglienza.

Si va avanti all'italiana. Fra un arrivo e l'altro. E il ministro della salute Beatrice Lorenzin prova persino a tranquillizzare l'opinione pubblica: «Abbiamo avuto modo di effettuare 80 mila controlli nell'ambito dell'operazione Mare nostrum. I controlli sono stati fatti a bordo delle navi e a terra e per questo è altamente improbabile che siano entrati in Italia migranti affetti da Ebola». Sarà. Basta intendersi sul significato della parola controllo. «Qua ad Augusta - spiega al Giornale un agente in prima linea - fra sabato e domenica sono arrivati quattro barconi. E le garantisco che con i clandestini può sbarcare l'Hiv, la Tbc, Ebola e qualunque altra malattia. È tutto nelle mani di un medico che si aggira fra centinaia di disperati. Poi, certo ci sono i centri di prima accoglienza. Chi vuole o non sta bene può farsi vedere e qualcuno lo fa. Ma in generale caos e approssimazione la fanno da padroni. Individuiamo i casi di scabbia perchè si notano quasi a prima vista. E se uno sta male lo portiamo in ospedale. Tutto qua».

Anzi no, perchè al peggio non c'è limite. Nemmeno nelle acque di Mare nostrum. «Buona parte dei clandestini -tuona un agente - sparisce letteralmente nel nulla. Altro che screening o prevenzione o quarantena. Questi signori se ne vanno senza nemmeno essere fotosegnalati». E qui la tragedia diventa una commedia all'italiana. Nei giorni scorsi l'Europa, indignata, ha tuonato contro la politica del tirare a campare del nostro governo: i migranti vengono salvati in mezzo al mare, ma poi li si lascia andare via senza prendere loro le impronte digitali. Così il cerino passa di mano. Il cerino riguarda soprattutto eritrei e siriani. L'Europa scopre le loro richieste d'asilo non a Lampedusa o Pozzallo ma a Stoccolma, Londra, Oslo. Dopo la tirata d'orecchie dell'Europa il Viminale ha inviato una circolare in cui imponeva la fotosegnalazione dei migranti. Come dire, il minimo sindacale. «Ma qua - risponde dalla Sicilia uno degli agenti - non è cambiato nulla. Io vado nei centri ma le assicuro che è difficile prendere le generalità a un fantasma». Quanti sono quelli che se ne vanno? Le stime divergono: c'è chi parla di un sessanta, settanta per cento, altri abbassano l'asticella al trenta per cento. La sostanza è che ci sono migliaia di persone a spasso fra l'Italia e l'Europa di cui non sappiamo nemmeno il nome. Figurarsi eventuali precedenti penali, patologie o infezioni. Il ministro dà i numeri, quelli ufficiali, i poliziotti incrociano le dita.



Malattie infettive e immigrazione: facciamo chiarezza
Francesco Castelli, Salvatore Geraci, Stella Egidi

http://www.saluteinternazionale.info/20 ... -chiarezza

Il messaggio che costantemente passa tra l’opinione pubblica è quello di una “pericolosità sanitaria” dell’immigrato, in particolare di chi sbarca, un “untore” da cui difenderci e da bonificare: è evidente che il tema infettivologico, pur riconoscendo alcune situazioni particolari, non è il principale problema del fenomeno migratorio, anzi ci può “distrarre” da una reale attenzione all’accoglienza, alla tutela della salute in senso globale: pensiamo ai traumi psicologici di persone che scappano da guerre e privazioni, che possono aver subito torture e stupri, che hanno visto annegare parenti e amici.

In un post pubblicato recentemente su questo blog, dal titolo Migrazione e salute: falsi miti e vere emergenze, avevamo discusso, prendendo spunto dal caso dell’ordinanza del Comune di Alassio (Ordinanza n. 214 del 01-07-2015), l’inconsistenza di un presunto rischio di emergenza sanitaria correlato alla presenza di cittadini stranieri sul territorio italiano. A completamento del precedente, vorremmo procedere con questo scritto a una breve disamina delle singole patologie menzionate nell’ordinanza in oggetto, peraltro spesso citate quali esempi di patologie “importate” e reintrodotte nel nostro paese dalla popolazione immigrata.

Tubercolosi

È innegabile che il “peso” rappresentato dagli immigrati sui numeri annuali di nuovi casi diagnosticati nel nostro paese sia in aumento. Il numero dei casi complessivi (italiani e stranieri) di Tubercolosi (TBC) notificati in Italia, nel periodo 2003-2012, ha fatto segnalare una lenta e progressiva diminuzione dell’incidenza, in accordo con quanto già accaduto nel decennio precedente, fino ai 3.142 casi riportati – seppur provvisoriamente – nel rapporto del Centro Europeo di Sorveglianza delle Malattie nel 2012 (5,2/100.000 abitanti)[1]. La popolazione residente in Italia, nel periodo 2003-2012, è cresciuta di poco più del 4%, mentre la popolazione straniera residente, nello stesso periodo, ha subito un incremento pari a circa il 154%, con rilevanti differenze tra le regioni.

In Italia, negli ultimi 10 anni, il numero di casi di TBC in persone nate all’estero è aumentato parallelamente all’incremento della loro numerosità: dal 2003 al 2012 la percentuale del numero dei casi di TBC registrati in cittadini nati all’estero è passata da circa il 37% al 58% del totale dei casi notificati. Analizzando, però, l’incidenza di casi di TBC notificati a persone nate all’estero rispetto alla popolazione residente straniera, si osserva un forte decremento con valori quasi dimezzati nell’arco del decennio di osservazione a fronte di una sostanziale stabilità dell’incidenza nel complesso della popolazione[2].

In altri termini, il numero dei casi di TBC nei migranti aumenta molto meno del loro incremento numerico. La condizione di “immigrato” rappresenta in qualche modo un fattore di rischio di sviluppare la tubercolosi per la maggiore prevalenza di infezione latente negli immigrati che provengono aree ad alta endemia, ma soprattutto per le condizioni di vulnerabilità e di precarietà, oltre che per le obiettive difficoltà di accesso ai servizi di prevenzione, diagnosi e cura che caratterizzano lo status d’immigrato[3]. Gli stranieri che provengono da paesi ad alta incidenza possono aver acquisito l’infezione prima di partire ma non hanno come destino ineluttabile quello di ammalarsi e diventare contagiosi: ricordiamo, infatti, che solo il 10% delle persone che acquisiscono l’infezione sviluppa in seguito la malattia tubercolare diventando contagioso per altri.

Nel caso del migrante, il rischio di riattivazione dell’infezione una volta a destinazione è più elevato a causa di una serie di fattori: le condizioni di vita (denutrizione o cattiva nutrizione, scarsa igiene), di lavoro e di alloggio (permanenza in luoghi chiusi, sovraffollati e scarsamente arieggiati e illuminati). Non a caso l’incidenza della malattia al momento dell’arrivo in Italia (agli sbarchi per esempio) è molto bassa e tende ad aumentare sino a pareggiare l’incidenza nella popolazione generale italiana dopo alcuni anni di permanenza in Italia. È necessario quindi che la vera attenzione sia posta nel modificare quei determinanti di salute come le condizioni abitative, di accoglienza e di lavoro che sembrano essere il vero fattore cruciale per consentire alle persone immigrate di mantenere il proprio stato di salute.

Di converso, agevolare l’orientamento dello straniero affetto verso gli opportuni percorsi di diagnosi e cura, assicurando la presa in carico ed evitando la stigmatizzazione, consentirebbe di circoscrivere eventuali focolai infettivi, a beneficio della salute di tutti.

HIV-AIDS

Anche in questo caso, non si intende negare l’evidenza. Molti degli immigrati che transitano sul suolo italiano provengono da paesi in cui l’infezione continua ad avere una tristemente elevata prevalenza. Rispetto alla popolazione italiana, quella straniera residente in Italia risulta avere un’incidenza dell’infezione (seppur con una diminuzione del numero assoluto dei casi)[4] di quasi quattro volte superiore alla popolazione italiana, sebbene un’analisi di incidenza normalizzata per fascia di età porterebbe verosimilmente ad una minore differenza di incidenza[5]. È peraltro superfluo ricordare come l’offrire alloggio e accoglienza, per la specifica modalità di trasmissione della malattia, non rappresenta un rischio per la popolazione residente. Sono i comportamenti cosiddetti a rischio (mancato utilizzo dei dispositivi di protezione – come i guanti – nel personale sanitario, rapporti sessuali non protetti, scambio di siringhe) a esporre le persone ad un eventuale contagio, non certo il semplice contatto o la condivisione dello stesso suolo di residenza con persone sieropositive.

Varrebbe pertanto la pena, invece di porre lo stigma sulla popolazione immigrata, incrementare gli sforzi per educare la popolazione alla prevenzione e a tenere comportamenti corretti e protettivi nei confronti del contagio (quale che sia la fonte, italiana o straniera).

Ebola

Ad arricchire la costellazione di fobie immotivate, è giunta ultima in ordine di tempo, l’infezione da virus Ebola. Non si insisterà mai a sufficienza su quanto improbabile sia – e i fatti lo dimostrano- l’arrivo del virus in Italia attraverso lo sbarco di immigrati. Il virus Ebola è estremamente letale e nella più parte dei casi provoca malattia sintomatica e poi morte nell’arco di pochi giorni dall’infezione. Questo vanifica la possibilità che una persona infettata si avventuri nel travagliato viaggio via terra e poi via mare che dovrebbe condurlo in Italia. In secondo luogo, si deve tener conto del fatto che generalmente i viaggi migratori hanno la durata di mesi, spesso anni, mentre il periodo massimo di incubazione è di 21 giorni. Nel corso di questo tempo, l’infezione avrebbe quindi abbondantemente concluso la sua evoluzione, conducendo o al decesso o alla sopravvivenza (e guarigione) della persona colpita.

L’attuale epidemia dei paesi dell’Africa occidentale fatica, purtroppo, a concludersi. Sebbene non con l’intensità che ha conosciuto nel corso dell’anno trascorso, l’infezione continua a circolare e casi sporadici continuano ad essere segnalati nei tre paesi colpiti[6]. La recente pubblicazione dei primi promettenti risultati del trial clinico condotto in Guinea sull’utilizzo del vaccino ricombinante[7], pur aprendo nuovi ottimistici scenari, non consentirà nell’immediato una vittoria sull’epidemia e non giustifica un abbassamento della guardia rispetto al suo potenziale di diffusione. Tuttavia, anche nell’ipotesi remota che un individuo infetto sbarchi in Italia, si deve ricordare come le modalità di contagio richiedano il contatto con i liquidi biologici della persona per provocare l’infezione (motivo per cui una persona infetta ma asintomatica non è contagiosa), e non la semplice permanenza sulla stessa barca o sullo stesso autobus. Nel nostro paese, un eventuale caso sarebbe rapidamente identificato come sospetto e posto in isolamento ospedaliero, precauzione questa più che sufficiente a evitare il rischio dello sviluppo di un’epidemia in Italia.
Nei fatti, dall’inizio dell’epidemia, i soli casi di Ebola notificati nel nostro paese sono stati quelli di operatori umanitari infettatisi nel corso delle loro missioni sul terreno e evacuati in Italia per ricevere le cure necessarie (esitate peraltro nella guarigione completa).

Scabbia e infestazioni cutanee

Nell’ordinanza di Alassio viene infine citata la scabbia. Si tratta di una malattia di così banale riscontro che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità fatica a fornire stime precise della sua incidenza. Sulla distribuzione, non vi sono dubbi: si tratta di una malattia globale, diffusa in ogni paese di ogni continente (compreso il nostro), e mantenuta in vita da condizioni di vita precarie e dalla scarsa igiene. È tipica di fasce sociali svantaggiate, di individui senza fissa dimora, di persone con grave disabilità psichiatriche e di comunità chiuse, proprio perché la scarsa igiene personale e il sovraffollamento abitativo sono i primi fattori di rischio per il contagio. Non vi sono fattori etnici o geografici predisponenti.

Stesso discorso vale per altre simili infestazioni, come la pediculosi (i pidocchi). Il fatto che spesso i migranti allo sbarco presentino queste patologie è semplicemente dovuto alle condizioni abitative e di vita che hanno conosciuto prima della partenza dal Nord Africa (dove spesso vengono detenuti o ammassati in centri di raccolta in attesa della partenza). Si ricorda peraltro come la terapia della scabbia sia estremamente semplice e richieda un breve trattamento topico (oltre che, ovviamente, la correzione dei fattori di rischio, pena la facile reinfezione) e che, per la prevenzione del contagio, siano sufficienti semplici dispositivi di barriera come i guanti usa e getta nel caso di un contatto diretto relativamente prolungato (come durante le visite mediche) ed il vecchio, insuperato, intramontabile e infallibile lavaggio delle mani. A fronte dei casi segnalati agli sbarchi e nei centri di accoglienza nei mesi passati, non vi è evidenza alcuna che essi abbiano esitato in epidemie tra gli italiani o tra gli operatori sanitari, a riprova del basso impatto sanitario di questi episodi patologici.

Immaginiamo che molti dei concetti qui esposti siano scontati per quanti ci leggono. Eppure il messaggio che costantemente passa tra l’opinione pubblica è quello di una “pericolosità sanitaria” dell’immigrato, in particolare di chi sbarca, un “untore” da cui difenderci e da bonificare: è evidente che il tema infettivologico, pur riconoscendo alcune situazioni particolari, non è il principale problema del fenomeno migratorio, anzi ci può “distrarre” da una reale attenzione all’accoglienza, alla tutela della salute in senso globale: pensiamo ai traumi psicologici di persone che scappano da guerre e privazioni, che possono aver subito torture e stupri, che hanno visto annegare parenti e amici… [8]. L’assenza di politiche comuni a livello internazionale in senso inclusivo, un’organizzazione frammentata e, a volte, improvvisata, una polemica politica e sociale continua, un “sentire collettivo” che si sta abituando anche alle morti evitabili e quindi crudeli e ingiuste[9], sono le reali emergenze da affrontare in modo concreto e positivo.

Auspichiamo in particolare che i medici, fedeli alla missione di tutela della salute e di contrasto alle disuguaglianze (vedi codice deontologico medico), vogliano farsi portatori di un messaggio di corretta informazione e vogliano contribuire a diffondere quello spirito di accoglienza e di equità sociale sola garanzia di benessere e salute per tutti.

Francesco Castelli (Società Italiana di Medicina Tropicale e Salute Globale), Salvatore Geraci (Società Italiana di Medicine delle Migrazioni), Stella Egidi (Medici Senza Frontiere)

Bibliografia

ECDC Annual Epidemiological report. Respiratory Tract Infections-Tuberculosis 2014: Tuberculosis surveillance and monitoring in Europe 2014.
Ministero della Salute. Dati pubblicati su Osservasalute 2014: pp 300-2.
Rapporto Ministero della Salute, 2008. Tubercolosi in Italia [PDF: 4,1Mb ]
Ministero della Salute. Dati pubblicati su Osservasalute 2014: pp 296:299.
Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di AIDS in Italia al 31 Dicembre 2013 [PDF: 5,3Mb ] Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità 2014. Supplemento 1 – Volume 27 – Numero 9
Ebola Situation Reports. WHO 2015
Henao-Restrepo AM, Longini IM, Egger M, et al. Efficacy and effectiveness of an rVSV-vectored vaccine expressing Ebola surface glycoprotein: interim results from the Guinea ring vaccination cluster-randomised trial. The Lancet 2015; 386 (9996): 857–866.
Gnolfo F e Santone G. La fuga impossibile: il trauma continuo dei migranti forzati. Salute Internazionale 10.06.2009.
Ferite Invisibili: riabilitazione psico-sociale delle vittime di tortura, violenza e altri traumatismi psichici tra gli immigrati e i rifugiati. Caritas di Roma Progetto Ferite Invisibili [PDF: 809Kb]

In meno di due anni nel Canale di Sicilia sono morte oltre 6.000 persone nel tentativo di raggiungere l’occidente: Missingmigrants.iom.int

Tag:Epidemie-pandemie-endemie, La salute dei migranti





Migranti, basta dire che portano malattie
di Cristina Da Rold
2017/05/10

http://espresso.repubblica.it/attualita ... e-1.301195

Sono oltre 500 mila le persone sbarcate sulle coste italiane negli ultimi anni: 170 mila nel 2014, 154 mila nel 2015 e 170 mila circa nel 2016. Una cifra che corrisponde, grosso modo, agli abitanti di una città come Genova, anche se per una grossa fetta di coloro che arrivano nel nostro Paese l'Italia è solo un paese di passaggio.

C'è chi ha parlato addirittura di “sesto continente” riferendosi ai movimenti migratori, volontari e non, che interessano l'intero pianeta; anche se nel caso italiano più che a un sesto continente siamo di fronte alla Terra dei fraintendimenti. Il più grave, quello per cui la vulnerabilità sanitaria dei migranti viene interpretata come un problema che può mettere a repentaglio la salute degli autoctoni.

“Il vero problema che dobbiamo affrontare oggi riguardo alla salute di chi sbarca sulle nostre coste non è rappresentato dalle gravi malattie infettive e diffusive, la cui incidenza è assai contenuta per il fenomeno del “migrante sano” ormai ampiamente dimostrato dai dati, ma dal disagio psicologico di queste persone” spiega all'Espresso Giovanni Baglio, epidemiologo della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM).

“Dal punto di vista della salute mentale, l’effetto migrante sano tende a esaurirsi rapidamente, già prima dell’arrivo, a seguito delle condizioni spesso estreme in cui il percorso migratorio si compie: coloro che arrivano, donne, uomini e bambini, sono estremamente vulnerabili e manifestano forme reattive quali depressione, disturbi di adattamento, disordini post-traumatici da stress, stati d’ansia”.

Non si tratta di nascondersi dietro a un dito, di spostare l'attenzione da un problema a uno pseudoproblema, come sottolinea nientemeno che il prestigioso Karolinska Insitutet svedese sulle pagine dell'altrettanto prestigiosa rivista Nature , dove gli esperti hanno affermato senza mezzi termini che “I paesi ospitanti devono affrontare i livelli elevati di disordini della salute mentale nei migranti, nell'ottica di far sì che essi si integrino il meglio possibile”.

Mentre nel nostro paese si fa politica intorno alle millantate conseguenze epidemiologiche dell'accoglienza, il focus sulla salute mentale è entrato oramai a pieno titolo nelle agende internazionali. L'Organizzazione Mondiale della Sanità per esempio ha dedicato la giornata mondiale della salute 2017 proprio alla salute mentale, anche in relazione al fenomeno delle migrazioni. Tuttavia, una primo passo l'abbiamo fatto anche in Italia: il 3 aprile scorso sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

IL FRAINTENDIMENTO METODOLOGICO

I principali spauracchi sono le malattie che in una storia più o meno recente sono state sinonimo di epidemia: tubercolosi, polio, ebola. “Chi alimenta la paura della diffusione di malattie come la tubercolosi o ebola, divulgando l'idea del migrante-untore, vettore anche asintomatico di temibili pestilenze, ignora le evidenze epidemiologiche basilari: il viaggio risulta essere troppo lungo per ebola, ma troppo breve per la tubercolosi, nonostante le condizioni di grave deprivazione che accompagnano i migranti in fuga” spiega Baglio. I tempi con cui si sviluppa la tubercolosi sono infatti lunghissimi, possono durare anche anni, molto di più dunque di una traversata, e quindi anche se un migrante parte perfettamente sano ma con un'infezione latente abbiamo tutti gli strumenti per agire bene per tempo se si dovesse manifestare l'infezione una volta stabilitosi in Italia. Specularmente, i tempi in cui ebola si manifesta sono molto più brevi di quelli di una traversata in mare. “Se davvero dovesse esserci un caso di ebola a bordo – cosa assai improbabile –difficilmente il malato, o chi eventualmente venisse contagiato, arriverebbe vivo in Italia, rappresentando un problema per noi”.

Se c'è un problema riguardo alla tubercolosi, riguarda gli immigrati residenti, che di fatto si ammalano di più rispetto agli autoctoni, e al momento nessuna regione italiana propone uno screening sistematico per la tubercolosi fra gli stranieri residenti, anche se complessivamente il paese sta assistendo a una diminuzione dei casi anno dopo anno. Secondo quanto riportato dall'ultimo rapporto Osservasalute , i casi di tubercolosi notificati in Italia mostrano una lenta e progressiva diminuzione dell’incidenza, in accordo con quanto già accaduto nel corso degli anni (da 7,7 casi per 100.000 abitanti nel 2006 a 6,3 casi per 100.000 nel 2015). Insomma: la presenza dei migranti, anche quando diventano cittadini italiani, non ha impattato minimamente sul trend del numero dei casi di tubercolosi in Italia.

Lo stesso si verifica per l'HIV. I dati in merito sono lapalissiani: le ondate migratorie non hanno influenzato il trend complessivo dei nuovi contagi da HIV in Italia, anzi i dati del Centro Operativo AIDS (COA) dell'Istituto Superiore di Sanità mostrano che stiamo assistendo a una costante diminuzione dei casi. “Sebbene non siano untori, non significa che il problema non sussista – precisa Baglio – dal momento che comunque gli stranieri, anche se residenti, hanno maggiori difficoltà di accesso ai servizi, nonostante le cure siano assicurate presso le strutture del Servizio sanitario nazionale anche a chi non ha il permesso di soggiorno. Occorrono dunque maggiori sforzi a sostegno di una più efficace azione preventiva, di un accesso tempestivo al test diagnostico e di una maggiore fruibilità dei percorsi di cura, con particolare riferimento al grado di adesione dei pazienti ai protocolli terapeutici”.

ALLERTA NON SIGNIFICA EPIDEMIA

Circa 180 mila dei 500 mila sbarcati, stando alle statistiche più recenti, sono accolti nei centri di accoglienza, che sono i luoghi dove chi arriva sano ma vulnerabile può ammalarsi, se non vengono assicurate le misure minime di igiene e di controllo. Ancora una volta i dati sono chiari: la maggior parte delle malattie che si riscontrano nei centri di accoglienza sono problemi dermatologici non gravi in termini infettivi: scabbia e ustioni, queste ultime dovute alla commistione fra carburanti e acqua di mare, a cui i migranti, in particolare le donne che viaggiano di norma al centro dei gommoni, sono sottoposti.

Non si tratta di opinioni, sono i dati a metterlo nero su bianco, come emerge ancora una volta dall'ultimo rapporto di Osservasalute, che riporta i risultati dell'ultima Sorveglianza sindromica nei Centri per migranti della regione Sicilia nel periodo marzo- agosto 2015. Delle 13 malattie incluse nella sorveglianza, che ha coinvolto 21 centri di accoglienza in 5 province siciliane, per un totale di oltre 5000 migranti osservati ogni giorno, si sono riscontrate oltre 2000 sindromi, ma altro non erano che scabbia e ustioni. Nessun caso di diarrea con sanguinamento, sindromi gastroenteriche, meningiti, encefaliti, sindromi neurologiche, sepsi o shock inspiegabili, emorragie o ittero. E soprattutto solo un caso di tubercolosi polmonare latente.

Qui entra in gioco un secondo fraintendimento, questa volta di carattere linguistico, che deriva dall'utilizzare a sproposito i termini allerta e allarme. Questa sorveglianza sindromica riporta infatti 48 allerte e 16 allarmi nel periodo esaminato, in questa coorte di 5000 persone. “Si tratta di parole che fanno risuonare l'idea di gravi pericoli incombenti, mentre si tratta solo di termini tecnici utilizzati da noi epidemiologi – spiega Baglio – per descrivere situazioni che vale la pena controllare. Un'allerta statistica si verifica quando, nell’analisi giornaliera dei dati, la frequenza di una certo problema di salute (sia esso un episodio di bronchite o un caso di varicella) supera il livello atteso, mentre si parla di allarme quando l’allerta ricorre per almeno due giorni consecutivi. L’obiettivo è riuscire a intercettare il maggior numero di situazioni dubbie su cui poi si procede con la conferma diagnostica e l’eventuale trattamento”.

Importanti sono anche i risultati, riportati sempre da Osservasalute, che emergono dagli interventi effettuati a Roma fra il 2014 e il 2015 sui migranti in transito, per un totale di 3.870 visite effettuate dalle équipe sanitarie operanti sulle unità mobili nel 2014 e 8.439 nel 2015. Per quanto riguarda le malattie infettive sistemiche, nel 2014 sono state effettuate 21 segnalazioni (pari allo 0,5% della casistica totale), così distribuite: 7 persone con sospetta tubercolosi polmonare, per nessuna delle quali è stata poi confermata la diagnosi; 8 casi di malaria e 6 casi di varicella. Nel 2015, le segnalazioni di sospetta malattia infettiva sono state in tutto 108, e hanno riguardato prevalentemente casi di varicella (70) e malaria (27). I casi sospetti di tubercolosi sono stati 7 e solo per 2 di questi è stata confermata la diagnosi.

Certo, i problemi di igiene in molti casi rimangono, e in generale, nonostante non dobbiamo prestare attenzione ad alcun monatto manzoniano, non possiamo abbassare la guardia sul fronte dei controlli. A tale riguardo, sta per essere pubblicata dall’Istituto Nazionale Salute, Migrazioni e Povertà, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e con la SIMM, la linea guida “Controlli sanitari all’arrivo e percorsi di tutela per i migranti ospiti presso i centri di accoglienza”. Si tratta di un documento, elaborato da un panel multidisciplinare di esperti, che intende offrire raccomandazioni basate sulle migliori evidenze scientifiche disponibili sulla pratica dei controlli, per la quale esiste a tutt’oggi elevata incertezza e discrezionalità. Prima della stesura definitiva, sarà avviata una fase di revisione aperta, mediante consultazione pubblica, al fine di consentire un confronto trasparente, partecipato e costruttivo tra gli stakeholder e gli operatori sanitari, volto a sollecitare osservazioni e suggerimenti.

SALUTE PUBBLICA PER CHI?

È oltremodo curioso inoltre assistere alle rimostranze in termini di fantomatiche malattie infettive – che poi altro non sono che scabbia, varicella, eventualmente morbillo – e dall'altra al pericoloso aumento di chi decide per scelta per esempio di non vaccinare i propri figli. Anche qui il concetto di salute pubblica è perlomeno frainteso: ci si sente in pieno diritto di gridare agli untori, se ci sentiamo potenzialmente minacciati, ma non ci autodefiniamo tali se le nostre scelte possono mettere a rischio indirettamente e potenzialmente qualcun altro. “Rispetto alle malattie prevenibili con vaccino - precisa Baglio - il problema viene affrontato dalle Linee guida in precedenza ricordate, che raccomanderanno di vaccinare i bambini migranti ospiti presso i centri di accoglienza per le principali malattie, secondo il calendario nazionale vigente, in relazione all’età”.

“Il vero grosso fraintendimento è dunque quello di considerare come problema di salute pubblica primariamente ciò che avvertiamo come emergenza, in termini di ciò che può avere conseguenze dirette su di noi, mentre qui si tratta di allargare lo sguardo e considerare nel complesso il benessere di chi arriva. Ci riferiamo solitamente alla salute pubblica mettendo al centro noi, gli autoctoni, e le conseguenze delle azioni degli 'altri' – i migranti, gli stranieri – su di noi, ma è una prospettiva parziale” conclude Baglio. “Si tratta di pensare invece alla salute pubblica davvero in termini universali, e non solo per noi, gli autoctoni. I dati mostrano in maniera evidente che qui a essere vulnerabili sono loro, non noi.”
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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 2:27 am

Migranti e malattie infettive: il legame c’è eccome, ma non si puo’ dire
NEWS, Sanità e Salute domenica, 30, luglio, 2017
di Lorenza Formicola

http://www.imolaoggi.it/2017/07/30/migr ... i-puo-dire

Da un po’ di tempo, in Germania, è tornata la paura per tutte quelle malattie che si ritenevano debellate, o a scarsissima diffusione in Occidente. Da quando, per esempio, è emerso il caso di un richiedente asilo dello Yemen, affidato ad una chiesa a Bünsdorf, nella Germania settentrionale, per evitarne l’espulsione, e che avrebbe contagiato almeno 50 bambini di tubercolosi, la malattia infettiva ha scalato nuovamente la classifica delle malattie a più alto rischio di contagio. Ma non capeggia certo da sola.

Lo stato di cose nella Germania della cancelliera Merkel è visibilmente critico, pericoloso. Nonostante quel che i giornaloni diano in pasto ai lettori ignari. Il Robert Koch Institute (RKI), l’organizzazione responsabile per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive che fa parte del Ministero federale della salute tedesco, di anno in anno pubblica rapporti sempre più funesti e che non fanno che confermare l’aumento globale delle malattie soprattutto dal 2015 – l’anno in cui la Merkel “ha aperto le porte” ad un numero senza precedenti di migranti. L’ultima relazione è stata pubblicata il 12 luglio 2017 e fornisce dati sullo stato di oltre 50 malattie infettive in Germania nel 2016. Dal botulismo all’echinococcosi, dalla sifilide alla tubercolosi. Il quadro è terso, eppure tetro.

L’incidenza di epatite B è aumentata del 300% negli ultimi tre anni, tra il 2014 e il 2015 quella di morbillo ha superato il 450%, mentre dal 2015 i migranti hanno contribuito al 40% di nuovi casi di AIDS. Per quel che riguarda la tubercolosi, invece, nel 2016 sono stati riscontrati 5.915 casi a fronte del 4.488 del 2014. Un medico intervistato da Focus ha voluto evidenziare il fatto che le autorità tedesche hanno perso le tracce di centinaia di migliaia di ‘migranti’ che possono essere infetti. Ma, soprattutto, ha voluto enfatizzare quel 40% di tutti gli agenti patogeni della tubercolosi che si sta diffondendo e che risultano resistenti alle terapie. Dato comune per tutta l’Europa, Italia compresa: il micobatterio, in alcune situazioni, si è trasformato in modo da non essere sensibile agli antibiotici che cinquant’anni fa sembravano averlo debellato. Tra il 2013 e il 2016 il numero di persone a cui è stata diagnosticata la scabbia solo nella Renania Settentrionale-Vestfalia è aumentato di quasi il 3000%. Per non parlare, poi, del focolaio di morbillo diffuso in tutti i 16 stati federali tedeschi tranne uno – Mecklenburg-Vorpommern -, lo stato con la percentuale di immigrati più bassa.

Eppure i numeri forniti dal RKI rappresentano solo la punta dell’iceberg, e per qualcuno non coprono che una parte dei pericoli diffusi. Sono tanti i medici che ritengono che le percentuali reali dei casi di tubercolosi, per esempio, siano molto più elevate e accusano il RKI di ridimensionare la minaccia al fine controllare i sentimenti anti-immigrazione.

E se in Germania le cose stanno così, in Italia non suona una sinfonia troppo diversa. L’unica differenza sta nel fatto che, da noi, solo una piccola percentuale di immigrati si trattiene. Semplicemente la nostra penisola è zona di transito, e pertanto il confronto non reggerebbe. Eppure il politicamente corretto dei dati ha colpito anche il Bel Paese. Ovviamente. Non sono reperibili tabelle ben stilate, e i cocktail party organizzati dalle fondazioni filantropiche si tengono a debita distanza, pur di non denunciare il pericolo. Né dati, né statistiche, insomma, il binomio immigrati-malattie non esiste e non deve esistere. Soprattutto in un momento storico dove il colpo di frusta del suddetto binomio non è proprio previsto.

A rendere un tantino paradossale il contesto, però, ci pensano come sempre i fatti, come il moltiplicarsi di seminari in contesti medico ospedalieri che cercano di monitorare la situazione perché “i migranti pongono una questione di sanità pubblica ineludibile” (Francesco Blasi presidente della Società italiana di pneumologia). Di tanto in tanto salta fuori qualche numero, come gli oltre duemila casi di scabbia e i 38 di tubercolosi che rientrano nel bilancio 2016 dei centri di accoglienza di Milano. Ma per il resto c’è mancanza di una metodologia sistematica per la raccolta dei dati che, dove disponibili, risultano stravecchi. La questione della diffusione di malattie legate all’immigrazione è stata ormai liquidata dalla versione offerta dai vari pulpiti altisonanti e che coincide con un’unica sentenza: partono sani e se è vero che si ammalano, è colpa del clima insalubre italiano, o più in generale, occidentale, e delle condizioni di vita in cui si vengono a trovare.

Addirittura il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi, ha dichiarato che gli immigrati che arrivano nel nostro Paese sono in generale “in buona salute” e sono “più vaccinati degli italiani”, sia perché in molti Paesi le coperture sono più elevate sia perché “li vacciniamo all’arrivo”. Se le cose stessero così, perché partono? E perché ogni migrante ospitato nei campi viene vaccinato contro la difterite, il tetano e la poliomielite se, come gli antivax da una vita ci raccontano, queste malattie in Italia sono praticamente estinte da tempo? E invece non vengono vaccinati contro l’epatite B, siccome in gran parte dei Paesi di provenienza dei migranti è endemica.

Ci sono, poi, i giornaloni, sempre made in Italy, che raccontano l’altra storiella per cui, più che malati, gli immigrati, sono traumatizzati. E via a ruota libera sulla xenofobia, il razzismo e i dati che sono solo allarmismo e niente più. E’ più facile con il buonismo eludere la questione piuttosto che fotografare il momento storico con onestà intellettuale e denunciare i danni di una scellerata politica immigrazionista.


La ministra Lorenzin ha detto:
“Dobbiamo garantirci da malattie di ritorno con milioni di persone che arrivano da Paesi in cui queste malattie ci sono”.
https://www.facebook.com/verita.nascost ... 8512299646

https://www.veritanascoste.com/news/lor ... -scomparse
“Dobbiamo garantirci da malattie di ritorno con milioni di persone che arrivano da Paesi in cui queste malattie ci sono”. Avete capito, cari italiani che vi siete posti la domanda del perché, con decreto, il governo dell’Invasione intenda obbligare le famiglie a vaccinare per dodici malattie, alcune delle quali debellate in Italia da anni? La verità è sfuggita in una battuta della ministra alla Salute, l’esponente del partito di Alfano, Beatrice Lorenzin, che lo ha dichiarato chiaramente: l’invasione di immigrati.

Pd-Ncd impongono agli italiani di vaccinarsi mentre il loro Governo continua con la politica delle frontiere aperte, permettendo a centinaia di migliaia di persone di entrare senza controlli adeguati con il rischio di una pandemia che colpirebbe non solo i bimbi.

Immediata l’azione della propaganda: le principali testate giornalistiche hanno immediatamente lanciato una campagna per classificare come strani e trogloditi “no-vax” i genitori che invece si pongono legittime domande sull’obbligo vaccinale e nel contempo giornali e Tv lavorano a tutela delle case farmaceutiche che nell’iniziativa del Governo vedono un’impennata al rialzo dei loro fatturati e che continuano ad investire per riempire pagine di giornali e spazi televisivi di spot che ne aumentino il favore tra gli editori.

Baluardo della verità è la Regione del Veneto che con il coraggioso presidente Luca Zaia ha annunciato di voler impugnare il decreto. Per ora è tristemente solo.




VIETATO CHIEDERE CERTIFICATO MEDICO AI MIGRANTI: PER I BUONISTI E' DISCRIMINAZIONE
2017/08/01

http://www.norazzismoversoitaliani.it/2 ... ua-leggere

GENOVA. 30 LUG. “Comuni di Alassio e Carcare. Il Tribunale di Genova ordina di revocare le due delibere discriminatorie contro migranti e senza dimora. Una vittoria delle associazioni promotrici ARCI, Avvocato di strada Onlus, ASGI e Federazione Regionale Solidarietà e Lavoro”.

Ieri i rappresentanti delle associazioni pro migranti hanno comunicato così la decisione del Tribunale in merito al caso delle ordinanze emesse l’anno scorso dai sindaci del Ponente ligure “allo scopo di tutelare e garantire il diritto alla sicurezza sanitaria di tutti i cittadini”.

I provvedimenti, infatti, prevedono sostanzialmente il divieto di dimora, anche occasionale, sui territori comunali, per tutte le persone prive di certificato sanitario, ovvero che non si sottopongono a visite e normali cure, provenienti da Paesi ad alta incidenza di malattie infettive potenzialmente pericolose per la salute degli altri.

“Il Tribunale di Genova (Giudice Unico Dott. Laura Casale) – hanno spiegato le associazioni che si sono rivolte al giudice civile – ha accolto il ricorso per condotte andiscriminatorie dei Comuni di Alassio e Carcare presentato da ARCI, Avvocato di strada Onlus, ASGI Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Federazione Solidarietà e Lavoro di Genova, difesi dagli Avv. Alberto Guariso, Emilio Robotti e Alessandra Ballerini.

Il ricorso era stato presentato contro due ordinanze. L’ordinanza del Comune di Alassio vietava alle ‘persone prive di fissa dimora, provenienti da Paesi dell’area africana, asiatica e sud americana, se non in possesso di regolare certificato sanitario attestante la negatività da malattie infettive trasmissibili, di insediarsi anche occasionalmente nel territorio comunale’. Analogamente, l’ordinanza del Comune di Carcare, vietava la ‘dimora, anche occasionale, di persone provenienti da paesi dell’area africana o asiatica presso qualsiasi struttura di accoglienza, prive di regolare certificato sanitario attestante le condizioni sanitarie e l’idoneità a soggiornare’.

Per le persone bersaglio dell’ordinanza, si faceva presente nel ricorso, era difficile, quando non impossibile, ottenere il certificato richiesto. Non è infatti possibile certificare in un soggetto l’assoluta assenza di malattie infettive trasmissibili che potrebbe, ad esempio, essere in incubazione. Il divieto era inoltre rivolto solo a cittadini stranieri, provenienti da diverse zone del mondo, e in assenza di una qualsiasi situazione di emergenza sanitaria nel territorio comunale ed italiano. Le ordinanze erano dunque finalizzate unicamente ad evitare il transito e la permanenza di stranieri nel territorio. Una barriera invalicabile che valeva anche per profughi e richiedenti asilo in fuga da guerre e persecuzioni.

Il Tribunale, nell’accogliere il ricorso, ha dichiarato il carattere discriminatorio della condotta tenuta dal Comune di Alassio e dal Comune di Carcare nell’adottare le ordinanze ancora oggi vigenti. Ha inoltre ordinato alle due Amministrazioni Comunali di cessare le condotte discriminatorie di cui sopra e pertanto di revocare con effetto sin dalla loro emanazione le delibere, ha imposto a ciascuna di esse di pubblicare a proprie spese la decisione del Tribunale su un quotidiano a tiratura nazionale (a caratteri doppi) e la pubblicazione dell’intero provvedimento per la durata minima di tre mesi sulla home page del rispettivo sito istituzionale. Le Amministrazioni Comunali sono anche state condannate al pagamento delle spese legali.

I problemi sociali e le emergenze umanitarie non si combattono a colpi di ordinanze. Siamo molto soddisfatti per la decisione del Tribunale di Genova e ci auguriamo che in futuro questa sentenza possa dissuadere altri comuni dal replicare iniziative simili a quelle dei Comuni di Alassio e Carcare”.



In Germania, con l'insediamento dei migranti si diffondono le malattie infettive
Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.

https://it.gatestoneinstitute.org/10785 ... i-malattie


Un richiedente asilo yemenita respinto, che è stato ospitato in una chiesa nel nord della Germania per evitargli l'espulsione, ha potenzialmente infettato più di 50 bambini, avendo contratto un ceppo altamente contagioso di tubercolosi.

L'uomo, accolto in una chiesa di Bünsdorf tra gennaio e maggio scorso, è stato in stretto contatto con i bambini, alcuni di tre anni, che frequentavano un asilo della struttura. A giugno è stato ricoverato in un ospedale a Rendsburg dove gli è stata diagnosticata la tubercolosi – una malattia che solo di recente è tornata alla ribalta in Germania.

Secondo le autorità sanitarie locali, bambini, genitori, insegnanti e parrocchiani sono stati sottoposti a controlli per verificare se avessero contratto la malattia, che può avere un periodo di incubazione di mesi o anche di anni. Non è chiaro se l'uomo al suo arrivo in Germania sia stato sottoposto agli esami clinici necessari o se fosse uno delle centinaia di migliaia di migranti che sono passati inosservati.

La paura della tubercolosi ha riacceso i riflettori sul rischio maggiore di contrarre malattie infettive da quando la cancelliera tedesca Angela Merkel ha consentito a circa due milioni di migranti provenienti dall'Africa, dall'Asia e dal Medio Oriente di entrare nel paese.

Un nuovo rapporto del Robert Koch Institute (RKI), l'istituzione centrale del governo federale tedesco per il monitoraggio e la prevenzione delle malattie, conferma un aumento generalizzato delle malattie dal 2015, quando la Germania ha accolto un numero senza precedenti di migranti.

Il Rapporto annuale sull'epidemiologia delle malattie infettive – che è stato pubblicato il 12 luglio 2017 e fornisce dati sullo stato di oltre 50 malattie infettive diagnosticate in Germania nel 2016 – offre un primo spaccato delle conseguenze sulla salute pubblica dovute al massiccio afflusso di migranti alla fine del 2015.

Il rapporto mostra maggiori incidenze in Germania di patologie come congiuntivite da adenovirus, botulismo, varicella, colera, cryptosporidiosi, febbre dengue, echinococcosi, Escherichia Coli enteroemorragico, giardiasi, infezioni da Haemophilus influenzae, infezioni di Hantavirus, epatite, febbre emorragica, HIV/AIDS, lebbra, febbre ricorrente trasmessa dai pidocchi, malaria, morbillo, meningite meningococcica, meningoencefalite, parotite, paratifo, rosolia, shigellosi, sifilide, toxoplasmosi, trichinellosi, tubercolosi, tularemia, tifo e pertosse.

La Germania è riuscita – almeno finora – ad evitare lo scenario peggiore: la maggior parte delle malattie tropicali ed esotiche portate nel paese dai migranti sono state contenute e non ci sono epidemie di massa tra la popolazione in generale. Tuttavia, le malattie più comuni, molte delle quali sono direttamente o indirettamente legate all'immigrazione di massa, sono in aumento, secondo il rapporto.

L'incidenza di epatite B, ad esempio, è aumentata del 300 per cento negli ultimi tre anni, secondo il Robert Koch Institute. Nel 2016, sono stati segnalati 3.006 casi in Germania; nel 2014, erano 755. Nella maggior parte dei casi sono coinvolti migranti non vaccinati provenienti dall'Afghanistan, dall'Iraq e dalla Siria. Tra il 2014 e il 2015, l'incidenza di morbillo è salita di oltre il 450 per cento, si registra anche un aumento del numero di casi di varicella, meningite, parotite, rosolia e pertosse. Secondo un rapporto separato del RKI, nel 2015, i migranti hanno rappresentato almeno il 40 per cento dei nuovi casi diagnosticati di HIV/AIDS.

Le statistiche del Robert Koch Institute possono essere solo la punta dell'iceberg. Nel 2016, sono stati segnalati 5.915 casi di tubercolosi; nel 2014, erano 4.488, pertanto, è stato registrato un aumento di oltre il 30 per cento. Alcuni medici, però, ritengono che il numero reale di casi di tubercolosi sia molto più elevato e hanno accusato il RKI di minimizzare la minaccia per evitare di alimentare i sentimenti contrari all'immigrazioni.

In un'intervista a Focus, Carsten Boos, un chirurgo ortopedico, ha avvertito che le autorità tedesche hanno perso le tracce di migliaia di migranti infetti. E ha aggiunto che il 40 per cento di tutti i patogeni della tubercolosi sono multiresistenti e pertanto sono intrinsecamente pericolosi per la popolazione in generale:

"Quando i richiedenti asilo provengono da paesi con un elevato rischio di infezioni da tubercolosi, il Robert Koch Institute, quale organo più elevato tedesco per la protezione delle infezioni, non dovrebbe sminuire il pericolo. È un istituto federale che usa la correttezza politica per nascondere la spiacevole realtà?

"I media riportano che nel 2015 la polizia federale ha registrato la presenza di circa 1,1 milioni di rifugiati. Sono state presentate 700-800mila domande di asilo e sono scomparsi 300mila profughi. Sono stati sottoposti a controlli? Provengono da paesi ad alto rischio?

"Si ha l'impressione che nel Robert Koch Institute la mano sinistra non sa quello che fa la destra".

Joachim Gauck, l'allora presidente della Germania, parla con i medici nell'infermeria di un centro di accoglienza per migranti, il 26 agosto 2015 a Wilmersdorf, un quartiere di Berlino, in Germania. (Foto dell'immagine: Jesco Denzel/Bundesregierung via Getty Images)

I quotidiani tedeschi hanno pubblicato una serie di articoli sulla dimensione sanitaria della crisi migratoria. Gli articoli spesso citano operatori sanitari che si occupano in prima persona della cura dei migranti. Molti ammettono che la migrazione di massa ha aumentato il rischio di malattie infettive in Germania. Qui di seguito alcuni titoli:

"I profughi spesso portano malattie sconosciute ai paesi ospiti"; "I profughi portano malattie rare a Berlino"; "Profughi in Assia: Tornano le malattie rare"; "I profughi spesso portano malattie sconosciute in Germania"; "Gli esperti: I profughi portano 'malattie dimenticate'"; "Si sono triplicati i casi di epatite B in Baviera"; "I casi di tenia in Germania sono aumentati di oltre il 30 per cento"; "Malattie infettive: I profughi portano la tubercolosi"; "La tubercolosi in Germania è di nuovo in aumento, soprattutto nelle grandi città, a causa della migrazione e della povertà"; "I profughi stanno portando la tubercolosi"; "Aumentano le malattie in Germania: Torna la tubercolosi"; "Medico teme il rischio di tubercolosi per l'ondata di profughi"; "Molti più casi di tubercolosi nel Baden-Württemberg: Spesso ne sono affetti i migranti"; "Un esperto: La politica per i rifugiati è responsabile dell'epidemia di morbillo"; "Sono in aumento i casi di scabbia nel Nord Reno-Westfalia"; "Malattie semidimenticate come la scabbia tornano a Bielefeld"; "Venite in contatto con i profughi? Dovreste portare attenzione" e "Profughi: Un'ampia gamma di malattie".

Al culmine della crisi migratoria nell'ottobre 2015, Michael Melter, primario presso la Clinica universitaria di Regensburg, ha dichiarato che i migranti arrivavano nel suo ospedale con malattie mai viste in Germania. "Non vedevo da 20-25 anni alcuni di quei disturbi", egli ha detto, "e molti dei miei colleghi più giovani non li hanno mai visti".

Marc Schreiner, responsabile delle relazioni internazionali per la Società tedesca ospedaliera (Deutschen Krankenhausgesellschaft), fa eco alle preoccupazioni di Melter:

"Nelle cliniche, è sempre più comune vedere pazienti con malattie considerate debellate in Germania, come la scabbia. Tali malattie devono essere diagnosticate con attendibilità, il che è una sfida".

Christoph Lange, esperto di tubercolosi presso il Centro di Ricerca Borstel, ha detto che i medici tedeschi disconoscono molte delle malattie importate dai migranti: "Sarebbe utile se le malattie tropicali e le altre malattie rare avessero un ruolo più importante nella formazione dei medici".

La Società tedesca di gastroenterologia, malattie digestive e metaboliche, di recente ha tenuto un simposio di cinque giorni ad Amburgo per aiutare i medici a diagnosticare malattie che si vedono raramente in Germania. Tra queste patologie spiccano:

La febbre ricorrente trasmessa da pidocchi. Secondo un rapporto del Robert Koch Institute, nel corso degli ultimi due anni, ad almeno 48 persone in Germania è stata diagnosticata questa patologia inesistente nel paese prima della crisi migratoria del 2015. La malattia, che è trasmessa dai pidocchi, è prevalente tra i migranti provenienti dall'Africa orientale che viaggiano per mesi per raggiungere la Germania senza potersi cambiare i vestiti. "C'eravamo tutti dimenticati della febbre ricorrente da pidocchi", ha detto Hans Jäger, un medico di Monaco. "Ha un tasso di mortalità fino al 40 per cento se non è diagnosticata e trattata con antibiotici. I sintomi sono simili a quelli della malaria: febbre, mal di testa, eruzioni cutanee".

Febbre di Lassa. Nel febbraio 2016, un paziente che è stato infettato in Togo, nell'Africa occidentale, ha ricevuto le cure mediche in Germania, ma non è riuscito a farcela. Dopo la sua morte, a un operatore sanitario che era entrato in contatto con la salma del migrante è stata diagnosticata un'infezione da febbre di Lassa. L'uomo è stato messo in quarantena e curato, riuscendo a guarire. Si tratta del primo caso documentato di trasmissione del virus di Lassa in Germania.

Febbre dengue. In Germania, nel 2016, a quasi un migliaio di persone è stata diagnosticata la febbre dengue, una malattia tropicale trasmessa dalle zanzare. Questa patologia è in aumento del 25 per cento rispetto al 2014, quando sono stati diagnosticati 755 casi.

Malaria. Il numero di persone alle quali è stata diagnosticata la malaria è nettamente aumentato nel 2014 (1.007 casi) e nel 2015 (1.063), ma è diminuito nel 2016 (970). La maggior parte dei pazienti affetti ha contratto la malattia in Africa, in particolar modo in Cameron, Ghana, Nigeria e Togo.

Echinococcosi. Tra il 2014 e il 2016, a più di duecento persone in Germania è stata diagnosticata l'echinococcosi, un'infezione da tenia. Questo rappresenta un aumento di circa il 30 per cento. I pazienti hanno contratto la malattia in Afghanistan, Bulgaria, Grecia, Kosovo, Iraq, Macedonia, Marocco, Siria e Turchia.

Difterite. Tra il 2014 e il 2016, in Germania sono stati diagnosticati più di trenta casi. Le persone affette l'hanno contratta in Etiopia, Eritrea, Libia, Sri Lanka e Tailandia.

Scabbia. Tra il 2013 e il 2016, il numero di persone affette da scabbia nel Nord Reno-Westfalia è aumentato di circa il 3.000 per cento.

Intanto, in Germania si registrano focolai epidemici di morbillo che le autorità sanitarie hanno collegato ai flussi migratori dalla Romania. Secondo il Robert Koch Institute, nel paese, nei primi sei mesi del 2017, sono stati diagnosticati circa 700 casi, rispetto a 323 casi del 2016. L'epidemia di morbillo si è diffusa in tutti i 16 stati federati tedeschi tranne uno: il Mecklenburgo-Pomerania, un land con una presenza molto bassa di migranti.

L'epicentro dell'epidemia di morbillo è nel Nord Reno-Westfalia, lo stato più popoloso della Repubblica tedesca e quello con il maggior numero di migranti. Nei primi sei mesi del 2017, in questo land sono stati diagnosticati 500 casi di morbillo, la maggior parte dei quali a Duisburg ed Essen, dove una madre 37enne di tre bambini è morta a maggio. Ma anche a Berlino, Colonia, Dresda, Amburgo, Lipsia, Monaco e Francoforte, dove un neonato di nove mesi ha contratto la malattia.

Il 1° giugno scorso, il parlamento tedesco ha approvato una nuova legge controversa che impone alle scuole materne di informare le autorità tedesche se i genitori non riescono a dimostrare di aver consultato un medico per la vaccinazione dei loro figli. I genitori che non rispettano l'obbligo rischiano una multa di 2.500 euro. "Non possiamo essere indifferenti al fatto che la gente muore ancora di morbillo", ha detto il ministro tedesco della Salute Hermann Gröhe. "Ecco perché stiamo inasprendo le norme sulle vaccinazioni".

Qualcuno dice che la nuova legge non è sufficiente e invoca l'obbligatorietà delle vaccinazioni per tutti in Germania. Altri sostengono che la legge è eccessiva e viola le protezioni sulla privacy garantite dalla Costituzione; e che spetta ai genitori, e non al governo, decidere cosa sia meglio per i loro figli. Continuano le ripercussioni causate dalla politica migratoria delle porte aperte della cancelliera Merkel.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 2:27 am

In Italia la malaria è arrivata con gli immigrati. E nessuno può smentirlo
di Gabriele Alberti
2017/09

http://www.secoloditalia.it/2017/09/in- ... -smentirlo

Malaria, ora è panico su diffusione e contagio: e al dolore per la fine della bambina di 4 anni morta a Brescia si unisce la paura che il caso possa ripetersi; anche perché il decesso della piccola per «malaria cerebrale» è – come riconosciuto in queste ore anche da Gianni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, un caso criptico.


Malaria, ora è panico per il caso della bimba morta a Brescia

Ulteriormente complicato dal fatto che «questa particolare malattia viene trasmessa da un certo tipo di zanzara anofele che in Italia non c’è: non abbiamo un vettore competente1, ha aggiunto Rezza ricordando peraltro che «i rarissimi casi di malaria registrati negli ultimi anni nel nostro Paese erano da Plasmodium vivax, per cui invece abbiamo un vettore competente». E dunque, quello che dovrebbe rassicurare inquieta: già, perché se non esiste da noi una zanzara «autoctona» in grado trasmettere l’infezione malarica, come è potuto accadere quello che è successo a Brescia? Un interrogativo su cui pesa, peraltro, anche un’altra notizia in circolazione secondo cui «due bambini con malaria, poi fortunatamente guariti e dimessi, erano ricoverati nella stessa struttura sanitaria, in un reparto diverso, negli stessi giorni in cui la piccola Sofia si trovava nel reparto degli Spedali Civili di Brescia» ha fatto sapere Paolo Bordon, il direttore generale dell’Azienda per i servizi sanitari della Provincia di Trento, che poi ha anche aggiunto: «Ma dato che la trasmissione della malaria non avviene per via aerea o per contatto, stiamo indagando l’ipotesi, seppur rarissima, che i piccoli avessero delle zanzare nei bagagli o nei vestiti, che abbiano punto loro e poi la bambina».


Altri due bambini ricoverati con la piccola deceduta

Non solo, Bordon ha anche ricostruito il percorso ospedaliero della piccola che non c’è più che, «dopo essere stata ricoverata dall’ospedale Santa Chiara di Trento e di lì poi trasferita in condizioni disperate agli Spedali Civili. Bordon ricostruisce la storia degli ultimi giorni della bimba: «Il 13 agosto la bimba è stata ricoverata a Portogruaro per problemi legati al diabete; è stata poi trasferita il 16 agosto a Trento, all’ospedale Santa Chiara, dove è stata trattata per quel tipo di problema e dimessa il 21 agosto. Dopodiché si è rivolta nuovamente al nostro pronto soccorso il 31 agosto, con febbre alta e sintomi che prima non aveva. Le è stata diagnosticata una faringite: per una bambina che non ha fatto viaggi all’estero, non si poteva immaginare la malaria. È stata prescritta una terapia antibiotica e la piccola è tornata a casa». «La famiglia – prosegue e conclude il Dg – l’ha riportata da noi in gravissime condizioni sabato 2 settembre e a quel punto si è sospettata una epilessia, ma dopo primi accertamenti come Tac e risonanza, risultati negativi, si è esclusa. A quel punto è stato effettuato un ulteriore emocromo e grazie ad alcuni alert e alla competenza dei tecnici biologici si è cominciato a sospettare la malaria e a indagare su questo fronte. Poi purtroppo è stato riscontrato il parassita Plasmodium falciparum, il più aggressivo, ed è stata fatta la diagnosi e un primo trattamento». Infine, la bimba è stata trasferita a Brescia, dove è deceduta.


Ecco che cos’è e come si trasmette la malaria

La malaria, che ha colpito e ucciso una bambina di 4 anni a Brescia, è una malattia infettiva potenzialmente mortale causata da un protozoo, un microrganismo parassita del genere Plasmodium, che si trasmette all’uomo attraverso la puntura di zanzare del genere Anopheles. Le zanzare infette sono dette «vettori» della malaria e pungono principalmente tra il tramonto e l’alba. È quanto si legge sul sito del ministero della Salute. La malaria costituisce un enorme problema sanitario mondiale ed è la principale causa di morbilità e mortalità in numerose nazioni. In Italia è scomparsa a partire dagli anni ’50 e i casi di malattia che si verificano, comunque, ogni anno nel nostro Paese sono legati soprattutto ai turisti che rientrano da paesi malarici e all’immigrazione da tali paesi. E anche per questo adesso è panico.




Caso-malaria, dopo la miseria portano le malattie: l'articolo di "Libero" che ha scatenato la polemica
6 Settembre 2017
di Pietro Senaldi

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... naldi.html

Questo è un articolo che Libero non avrebbe mai voluto scrivere. Una bimba di quattro anni, ricoverata in ospedale a Trento per tutt’altre ragioni, è morta di malaria, malattia scomparsa in Italia da più di cinquant’anni, nel giro di ventiquattro ore. Sembra quasi certo che a trasmettergliela siano stati due fratellini del Burkina Faso, Africa nera, figli di immigrati. I piccoli erano tornati nel Paese d’origine per le vacanze e lì si sono ammalati. Rientrati in Italia, sono stati curati e grazie a Dio ora stanno bene, ma la sfortuna - e anche un po’ di malasanità - ha fatto sì che una zanzara pungesse nuovamente i ragazzini infetti e poi la piccola italiana, iniettandole la morte. Da qui il nostro titolo, crudo ma fattuale: «Dopo la miseria, portano le malattie».

Sicuramente verremo criticati per la sintesi brutale dei fatti ma è altrettanto vero che non siamo gli unici ad aver fatto questa valutazione. Anzi, siamo sicuri che la maggior parte la pensi come noi. Saremo accusati di strumentalizzare politicamente una disgrazia, ma non è così. Primo perché noi non facciamo politica, secondo perché quanto accaduto ci sgomenta e quello che descriviamo è semplicemente il nostro spavento e la nostra preoccupazione per noi stessi, visto che solo per un caso fortunato non siamo protagonisti della vicenda, e gli altri.

Sui giornali, in televisione, nelle discussioni personali, emerge sempre il desiderio di noi italiani di aiutare il prossimo senza badare troppo alle conseguenze né curarsi più di tanto di come farlo né di quanto questo sia possibile. Siamo un popolo con il cuore in mano ma non con la mano sul portafogli né tantomeno con il cuore collegato alla testa. Infatti preferiamo che il prossimo sia aiutato con i soldi pubblici, nell’illusione, derivante dal fatto che siamo tutti autarchici e viviamo lo Stato come un estraneo più straniero anche degli immigrati, che non siano nostri. Così, a parte coloro che hanno fatto dell’immigrazione un lavoro, quando non un affare lucroso, o chi suo malgrado vive in periferie disagiate a stretto contatto con gli immigrati, ci beiamo del nostro buonismo e tiriamo dritto. Finché non arriva la realtà a presentarci un conto salatissimo. Colpisce a caso: uno stupro, un contagio mortale, un pestaggio a sangue, ma può capitare a tutti, non solo a chi sta male e non può permettersi di vivere in centro.

Le vittime, una bambina, un’ottantenne, una ragazza polacca, chiunque, pagano anni di politica migratoria folle e suicida. Abbiamo aperto le porte a tutti con il risultato di non riuscire a controllare nessuno. Perdiamo tempo a distinguere tra profughi e migranti economici come se fuggire da una guerra fosse così diverso da scappare dalla fame più nera. Ci impieghiamo inspiegabili mesi a capire se un richiedente ha diritto all’asilo quando la situazione politica del suo Stato di provenienza, e quindi il suo diritto, dovrebbe essere del tutto nota agli operatori del settore; in caso di rifiuto, concediamo al non avente diritto di fare appello e restare qui, senza poter far nulla se non delinquere, come ha fatto il congolese che ha stuprato a Rimini la giovane turista polacca. Ovvio che messi come siamo, e con le persone che, fino a prima che il piano Minniti tamponasse qualcosa, arrivavano a migliaia al giorno, abbiamo importato una serie di malattie che avevamo debellato da anni. Lampedusa 2017 non è come Ellis Island 1890, quando gli immigrati venivano visitati e se non erano in salute lasciati fuori finché non guarivano. Non possiamo, e non vogliamo, visitare chi arriva, anche perché le rare volte che lo facciamo magari rischiamo di incappare in un giudice che ci accusa di violare la privacy di chi giunge illegalmente qui. Al solito, la legge e i diritti valgono solo per noi e non per chi manteniamo.

Da anni ci dicono che gli immigrati porteranno benessere e ci pagheranno le pensioni, ma chi lo sostiene è il primo a non crederlo, altrimenti non ci chiederebbe contestualmente di alzare l’età pensionabile per evitare il fallimento dell’Inps. Tutta la narrazione sui benefici dell’immigrazione sta crollando pezzo dopo pezzo, abbattuta dalla realtà. L’uomo da millenni si sposta per migliorare le proprie condizioni di vita, quindi giocoforza chi arriva qui sta peggio di noi. Il problema è che, siccome anche noi non stiamo benissimo, siamo pieni di debiti e siamo cronicamente disorganizzati, con uno Stato incapace di badare ad alcunché, l’immigrazione, anziché migliorare le vite di chi sbarca, peggiora le nostre.

L’effetto al momento, sia dal punto di vista sociale sia della sicurezza, e adesso scopriamo perfino della sanità, è una regressione dell’Italia al livello dei Paesi di provenienza dei migranti, prima che un miglioramento delle loro vite. Il costo del lavoro è precipitato a livello immigrati, il capitolo sicurezza soffre della mancata integrazione degli extracomunitari, e non è solo una questione di stupri, che comunque non sarebbe marginale, ora scopriamo che ci arrivano pure le malattie.

Il nostro Parlamento non ha ancora approvato la legge sul suicidio assistito, malgrado la maggior parte degli italiani sia favorevole, ma procede a passi da gigante sulla via del suicidio, non assistito, della nazione. E non parliamo solo dello ius soli, su cui il governo vuol mettere la fiducia e il Pd è disposto a perdere le prossime elezioni, ma anche del fatto che spendiamo per un immigrato irregolare più di quanto non spendiamo per un povero italiano. Siamo fatti così, siamo buoni, ma pure fessi. Forse ci converrebbe diventare un po’ più cattivi, onde evitare di trasformarci in malvagi. Basterebbe fare come fanno nel resto d’Europa.

Ci costa, non la amiamo, ma almeno prendiamone esempio laddove ci potrebbe essere utile.




Malati immaginari - La Stampa
Mattia Feltri
07/09/2017

http://www.lastampa.it/2017/09/07/cultu ... agina.html

A Brescia sarà andata come sarà andata, ma è innegabile che un certo tipo di malattie è legato al fenomeno migratorio. Questa è di Matteo Salvini. Dicano quel che vogliono, purtroppo dietro la tragedia della bambina è molto probabile che vi sia il ritorno dall’estero di malattie debellate da tempo. Quest’altra è di Maurizio Gasparri. Poi c’è il professor Aldo Morrone, primario di Malattie tropicali al San Gallicano di Roma, che ha lavorato a Lampedusa per i governi Prodi e Berlusconi, e da anni spiega l’assenza di nessi fra immigrazione ed emergenze sanitarie. «Bisogna finirla, è un allarme prodotto da scarsa informazione e giochi politici», diceva un anno fa. Ieri, a Sky, Morrone ha ricordato che gli immigrati sbarcano in salute e se stanno male è per le conseguenze del viaggio: ferite, scottature, disidratazione. Ecco, già così si tenderebbe a dare credito allo scienziato.

Però, per prudenza, è meglio andare a vedere i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità e di strutture collegate. Dunque, in Europa gli immigrati incidono nel 2,6 per cento dei nuovi casi di Aids; dal 1990 al 2014 la Tbc è diminuita del 64 per cento; in Italia la malaria entra nel 20 per cento delle volte con gli italiani, nel 13 con immigrati al primo ingresso e il numero di episodi è stabile; solo un settimo dei malati di sifilide è immigrato; Ebola o Mers non arrivano quasi mai e, se arrivano, «sono importati da turisti o viaggiatori o operatori sanitari». Però, certo, può essere che insieme con l’immigrazione sia aumentata la balordaggine.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 2:33 am

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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 2:35 am

Linea guida per uniformare i controlli sanitari ai migranti
Ministero della Salute

http://www.salute.gov.it/portale/news/p ... ro&id=3006

La linea guida "Controlli sanitari all’arrivo e percorsi di tutela per i migranti ospiti nei centri di accoglienza" è stata presentata il 24 luglio alle ore 17.30 presso la sala stampa della Camera dei Deputati.

Il documento, che fornisce raccomandazioni sui controlli sanitari di profughi e richiedenti asilo intercettati dal sistema di accoglienza italiano, per fugare tutte le incertezze in materia, è stato illustrato dal Direttore Generale dell’INMP Concetta Mirisola, dal Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi, dal Presidente della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni - SIMM Maurizio Marceca e dal Direttore Generale della Prevenzione del Ministero Ranieri Guerra.

Si tratta del primo importante contributo scientifico a livello europeo su un tema estremamente attuale. Il documento è stato elaborato nell’ambito del Programma nazionale Linee Guida salute migranti, sviluppato dall’INMP in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, a partire dall’esperienza maturata nell’ambito del Sistema Nazionale Linee Guida, e con la SIMM, in quanto unico network scienti­fico specificamente volto alla tutela della salute degli immigrati e impegnato a sostenere le buone pratiche nell’assistenza sia a livello nazionale sia locale, attraverso i propri gruppi immigrazione e salute (GrIS).

La linea guida è rivolta ai decisori, agli enti gestori dei centri di accoglienza e agli operatori sociosanitari e fornirà un pratico ausilio a fronte dell’incertezza ed eterogeneità nei comportamenti adottati sul territorio nazionale.

All’elaborazione delle raccomandazioni ha lavorato un panel multidisciplinare e multiprofessionale di esperti, scelti in rappresentanza delle principali società scientifiche interessate e di istituzioni sanitarie nazionali e internazionali. È stata seguita una metodologia rigorosamente evidence-based, che ha previsto una ricognizione sistematica della letteratura biomedica sui temi d’interesse (in totale, 1.059 documenti reperiti e valutati criticamente).

Sono state prese in considerazione le principali malattie infettive e diffusive (tubercolosi, malaria, epatite B e C, HIV, parassitosi, infezioni sessualmente trasmissibili) e alcune patologie cronico-degenerative (diabete, anemie, ipertensione, carcinoma cervice uterina) la cui diagnosi precoce si associa a una riduzione degli esiti negativi per la salute e dei costi per il Servizio sanitario nazionale. Sono state anche considerate alcune condizioni – quali la gravidanza – meritevoli di particolare tutela e in grado di modificare il percorso di accoglienza. Alla luce delle evidenze emerse, per ciascuna delle patologie e condizioni individuate, gli esperti del panel hanno elaborato delle raccomandazioni di taglio clinico-organizzativo, incardinandole all'interno di un percorso modulato e progressivo, che va dalla valutazione iniziale in fase di soccorso alla visita medica completa in prima accoglienza, fino alla “presa in carico” vera e propria nella seconda accoglienza.

Prima della pubblicazione, il documento è stato sottoposto a revisione aperta, mediante consultazione pubblica via web, al fine di favorire un confronto trasparente, partecipato e costruttivo tra gli stakeholder e gli operatori sociosanitari, e costruire un consenso intorno alle raccomandazioni, che ne agevoli l’implementazione.

Alla guida faranno seguito altri documenti evidence-based su temi relativi alla salute dei migranti, selezionati come prioritari a partire dalle indicazioni dei rappresentanti regionali della rete nazionale coordinata dall’INMP, di esperti del settore e di qualificati stakeholder. L’insieme di tali documenti e raccomandazioni concorre alla definizione delle politiche pubbliche a tutela della salute dei migranti in un’ottica di Evidence-based Public Health e alla diffusione di modelli clinico-organizzativi che garantiscano appropriatezza e continuità delle cure.


Migranti e salute documentazione Italia
Pubblicazioni di carattere generale

http://www.epicentro.iss.it/argomenti/m ... Italia.asp

Controlli sanitari all’arrivo e percorsi di tutela per i migranti ospiti nei centri di accoglienza

Linea guida pubblicata a luglio 2017 e realizzata nell’ambito di un accordo di collaborazione tra l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp), l’Istituto superiore di sanità (Iss) e la Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm). Per maggiori informazioni leggi l’approfondimento “I controlli alla frontiera. La frontiera dei controlli” di Maria Elena Tosti, Franca D’Angelo, Luigina Ferrigno – Centro Nazionale per la salute Globale, Istituto superiore di sanità e scarica il documento completo (pdf 3,7 Mb).


Immigrazione e presenza straniera in Italia

Rapporto realizzato dal centro studi Idos per l’Ocse e presentato a febbraio 2017. Dal 2014, gli immigrati presenti in Italia superano i 5 milioni e l’Istat ha previsto, tra il 2011 e il 2065, 18 milioni di nuovi ingressi per mantenere inalterato il livello della popolazione a fronte del declino degli italiani (???). Uno scenario in cui gli stranieri arriveranno a incidere per un terzo sulla popolazione totale (attualmente l’incidenza è dell’8,3%). Per maggiori informazioni scarica il comunicato (doc 15 kb) e la scheda di sintesi del rapporto “Immigrazione e presenza straniera in Italia” (pdf 223 kb).


Malattie infettive dei migranti: controllo sanitario e profilassi
Report n. 57/2010

MALATTIE INFETTIVE DEI MIGRANTI ( CONTROLLO SANITARIO E PROFILASSI)

https://portale.fnomceo.it/fnomceo/Mala ... a&id=77407

I flussi migratori interes­sano il nostro Paese negli ultimi decenni, e hanno riflessi sanitari notevoli sia dal punto di vista della conoscenza che della pro­grammazione per una buona pro­filassi e I'accesso alle cure. Se ne è parlato a Torino al 4° congresso di Medicina dei Viaggi e delle Migrazioni, organizzato dalla Di­visione di Malattie Infettive del­I'Ospedale Amedeo di Savoia.

Tra gli interventi, coordi­nati dagli infettivologi Pietro Ca­ramello e Guido Calleri, quello di Marco Albonico, consulente Oms, che ha fatto il punto sulle popolazioni interessate che pro­vengono da situazioni critiche come la povertà e la precarietà sanitaria. «Sono diversi i fattori che sostengono Ie condizioni di malattia» ha spiegato «come quel­Ii costituzionali ereditari e deter­minanti sociali quali gli stili di vita, Ie reti sociali comunitarie, e tutto quanto incide sulla salute: dal lavoro, alla alimentazione, dal reddito all'abitazione; inol­tre, I'educazione ha un impatto rilevante sulla salute, e la scarsa alfabetizzazione delle donne, in particolare, incide molto sulla mortalità materna, infantile e ne­onatale».

At­tualmente gli immigrati nel no­stro Paese sono 4.400.000 (di cui 700 mila "irregolari"), prevalen­temente giovani. Le malattie infettive non sembrano essere un problema rilevante, fatta eccezio­ne per la tubercolosi (Tbc) e Ie malattie sessualmente trasmesse che interessano il 50% degli im­migrati. I casi di Tbc (15%) si riscontrano nel primo anno di arrivo in Italia, la parte restante si ammala in seguito alle condizio­ni di vita disagiate, e l'Aids inte­ressa il 20% dei casi, con notevoli difficoltà di cura a causa delle diseguaglianze, peraltro presenti anche nel nostro Paese.

Uno de­gli aspetti che "condizionano" i diritti e il rispetto della dignità di queste popolazioni è dato dal fe­nomeno della tratta degli esseri umani, con pesanti conseguenze dal punto di vista sociale e medi­co-infettivologico, tanto da com­portare un aumento dell'800%

dei casi di sifiIide.

I grandi scenari sono I'emarginazione umana in generale, I'emigrazione in occa­sione di guerre e per regioni ludiche. Ma particolarmente preoc­cupante è I'emigrazione che avviene per la tratta degli esseri umani, che va considerata come una moderna forma di schiavitù e, anche se I'emigrazione a fini sessuali rap­presenta solo una modesta per­centuale, non è meno importante in quanto legata a situazioni come Ie infezioni sessualmente trasmesse e Ie infezioni da Hiv.

Secondo I'Ente dell'Or­ganizzazione Internazionale delle Migrazioni sono circa 1 milione gli esseri umani oggetto di com­mercio ogni anno, la metà dei quali nella sola Europa. In Italia, sono 15-30 mila Ie persone che sono rese oggetto di una tratta di esseri umani, e Ie tipologie coinvolte riguardano quelle destinate alla prostituzione oltre ai minori (circa 1.500) che vengono sfruttati per accattonaggio o per fini sessuali.

Sono persone che provengono soprattutto dall'Est europeo, ma anche dalla Nigeria; tutte fanno parte di quella dise­guaglianza che ne rende sempre più difficile il controllo e I'acces­sibilità alle cure in particolare per quanto riguarda Ie malattie infet­tive, ed altre patologie a causa di condizioni di vita inumane: scar­sa alimentazione, maltrattamenti e precarie situazioni di lavoro cui sono sottoposte.

La prevenzione sanitaria in que­ste persone è virtualmente inesi­stente. Le donne che sono riusci­te a raggiungere i servizi sanitari, ad esempio, sono di basso livello culturale, e vivono in condizioni di particolare precarietà sociale nel Paese di origine; spesso sono già madri e l'80% delle quali ignora il proprio destino. Il 40% di loro non riesce a superare iI trauma della violenza psicologi­ca, sino ad avere danni perma­nenti come attacchi di panico, ridotta autostima e suicidio.

L'accesso ai servizi sanitari è per loro deficitario, e iI nostro Paese è tra i primi posti in fatto di protezione sociale, tant'è che nel 2006 ha speso più di 4 milioni di euro per i programmi di integra­zione sociale: dall'attività di al­fabetizzazione alla formazione lavorativa; ma anche al rimpatrio assistito, etc. Tra il 2000 e il 2006 sono state assistite in cam­po sociale oltre 11 mila persone.

La malaria, rispetto alla Tbc, sem­bra essere meno presente in Ita­lia, ma desta ancora una certa attenzione; si evidenzia I'importanza delle misure di pro­tezione personale, come pure la profilassi farmacologica e consi­gli rivolti in particolare ai mi­granti che tornano, sia pur per brevi periodi, nei Paesi di origi­ne.

Per quanto riguarda la nostra realtà i due terzi dei casi di ma­laria vengono diagnosticati in sog­getti immigrati, considerando che i migranti vengono in Italia al­meno per il 50% da continenti in cui esiste già la malaria, e il 25% dal continente per eccellenza ma­larico. Negli ultimi 10-15 anni è cam­biata la morfologia dell'immi­grato: oggi il 40% degli immigra­ti vive in Italia da oltre un decen­nio. II primo fattore di rischio per contrarre la malaria è la inade­guatezza o la mancata esecuzio­ne di una corretta profilassi, e questa soprattutto perchè il viag­giatore non percepisce o ignora il rischio, e a volte gli viene pre­scritto un farmaco non appro­priato, etc. Tra i gruppi più a rischio di contrarre all'estero la malaria sono gli immigrati, soli­tamente di etnie diverse che fan­no ritorno temporaneamente al Paese d'origine in visita a paren­ti. I rischi sanitari sono legati al viaggio, alla logistica dello stes­so o a malattie pregresse, per evitare i quali sarebbero utili politiche sanitarie per contenere i costi ed equilibrare la priorità delle strategie preventive, valuta­re la possibilità di collocare gli ambulatori di medicina dei viag­gi in strutture maggiormente fre­quentate dagli immigrati, e più attenzione alle barriere linguisti­che e culturali, etc.

P.S. Come sempre chi fosse interessato ad approfondire, la documentazione completa è a disposizione presso il Centro Studi e Documentazione della FNOMCeO

Roma 07/06/2010
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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 3:15 am

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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 3:15 am

Quarantena
https://it.wikipedia.org/wiki/Quarantena
La quarantena, detta anche contumacia, è un isolamento forzato, tipicamente utilizzato per limitare la diffusione di uno stato pericoloso (spesso una malattia). Il termine deriva da quaranta giorni, la durata tipica dell'isolamento cui venivano sottoposte le navi provenienti da zone colpite dalla peste nel XIV secolo.




Storia – Ellis Island e la quarantena degli italiani

Immigrati italiani arrivo a Ellis Island, New York, 1905 – Lewis Hine

https://raimondorizzo.wordpress.com/201 ... i-italiani

NEW YORK – Ellis Island, l’isola-avamposto nel porto di New York di fronte alla Statua della Libertà, il primo lembo di suolo americano dove venivano tenuti in quarantena coloro che chiedevano di entrare negli Stati Uniti come emigranti. In pratica una struttura antesignana dei nostri odierni Cpt, i Centri di permanenza temporanea istituiti nel nostro Paese per fronteggiare gli afflussi di immigrati provenienti dal Nordafrica.

Chi all’epoca arrivava ad Ellis Island – furono 12 milioni fra il 1892 e il 1924 – trovava subito ad aspettarlo una dura selezione che rispediva indietro malati e “poco intelligenti”.

Il 17 aprile 1907 fu un giorno da record: si toccò una cifra di sbarchi non più raggiunta negli anni successivi. È rimasta una data simbolo, per ricordare quanto hanno vissuto oltre 25 milioni di italiani che complessivamente – diretti verso i cinque continenti – hanno lasciato la patria fra la metà dell’800 e la metà del ‘900.

Cento anni fa record di immigrati a New York. Immigrati europei appena sbarcati a Ellis Island ai primi del '900 Ispezione sanitaria per i nuovi immigrati, Ellis Island, New York, 1920 italiani-in-fuga

A mia memoria, c’erano due luoghi di sbarco: uno per gli italiani e gli africani e l’ altro per il resto del mondo. Tanto per ricordarlo ai vari “giovanardi” italioti e ai movimentisti puri secondo cui l’immigrazione “non è da programma”.
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Re: Migranti, stranieri, clandestini e malattie contagiose

Messaggioda Berto » dom set 10, 2017 1:02 pm

Vietato collegarlo ai migranti, ma ora l’africano “Virus del Nilo” minaccia 22 città: ecco quali
di Prisca Righetti
sabato 9 settembre 2017

http://www.secoloditalia.it/2017/09/vie ... 9.facebook

E poi la Bonino dice che siamo patetici ad addebitare agli sbarchi l’insorgenza di virus e malattie letale di provenienza africana. I media si affannano a giustificare infestazioni di insetti fin qui sconosciuti al Belpaese e i casi di contagio gravi di virus e batteri a noi sconosciuti con tutto, fuorché che con l’ovvio. E intanto, a distanza di pochi giorni dalla morte della piccola Sofia, la cui vita è stata stroncata da una grave forma di malaria: dopo lo stop alle trasfusioni dato ad Anzio per i casi di chickungunya, le zanzare tornano, ancora una volta, «sotto accusa»: stavolta per problemi legati al virus del Nilo Occidentale (West Nile Virus), un arbovirus di origine africana che solo accidentalmente può infettare l’uomo, ma che da qualche anno colpisce in Italia, soprattutto nell’area della Pianura Padana.

A dispetto del nome “esotico” il “Virus del Nilo” preoccupa, e non poco: rilevato in 22 province tra Nord e Centro (in particolare in Lazio e Sardegna), il rischio di un suo proliferarsi ha indotto il Centro nazionale sangue a disporre la sospensione temporanea per 28 giorni dei donatori e di emocomponenti che abbiano soggiornato anche solo per una notte in queste province nella stagione estivo-autunnale 2017. Si tratta di: Reggio Emilia, Ravenna, Modena, Venezia, Rovigo, Brescia, Cremona, Bologna, Ferrara, Padova, Verona, Oristano, Mantova, Novara, Pavia, Milano, Piacenza, Lodi, Viterbo, Treviso, Vicenza, Livorno. «Il virus compare in Italia in agosto-settembre, viaggia con gli uccelli e viene trasmesso dalla zanzara culex, la zanzara comune. In particolare – spiega all’Adnkronos Salute Gianni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità – quest’infezione tende a colpire il cavallo e l’uomo. L’infezione umana è in oltre l’80% dei casi asintomatica; nel restante 20% dei casi i sintomi sono quelli di una sindrome pseudo-influenzale, ma nell’1% l’infezione virale può provocare meningite o meningo-encefalite. Insomma, si tratta di un’infezione più grave della Chikungunya, a cui sono risultate positive tre persone ad Anzio».

Un virus dal nome esotico, che viaggia attraverso la circolazione sanguigna fino a raggiungere il cervello e il midollo spinale, provocando un’infiammazione che può dare sintomi neurologici gravi e potenzialmente fatali. Il “Virus del Nilo Occidentale” ha avuto origine «in Africa molti anni fa, ma poi si è diffuso in tutto il mondo ed oggi è arrivato ad interessare anche Australia, Asia, Europa e Nord America – continua Rezza –. L’infezione è stata diagnosticata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1999. Il virus si trasmette solo direttamente, attraverso le zanzare, ma non da cavallo a cavallo o da cavallo a uomo». Nelle scorse settimane in Italia è stato segnalato un caso umano di febbre da West Nile Virus nella provincia di Vicenza e un caso di malattia neuro-invasiva nella provincia di Livorno. A Viterbo sono stati colpiti dei cavalli. «In generale in Italia – ricorda Rezza – l’area più colpita è quella della Pianura Padana, con Emilia, Veneto e anche una zona della Sardegna occidentale. In Europa si registrano casi nei Balcani, in Grecia e in genere vicino ai grandi fiumi. Ogni anno abbiamo nel nostro Paese qualche decina di casi sporadici, ma le infezioni sono più numerose perché asintomatiche, ecco perché è opportuno lo stop delle donazioni di sangue». Ma come si contrasta il Virus del Nilo? «La disinfestazione delle zanzare è l’arma migliore», assicura l’esperto. Le evidenze scientifiche nazionali ed internazionali hanno dimostrato l’efficacia dei piani di sorveglianza sistematica delle catture di zanzare vettrici e di sorveglianza attiva degli uccelli selvatici per fornire informazioni precoci sulla circolazione del West Nile Virus, l’ultimo minaccioso virus da importazione.
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