Il rapporto. Migranti, i centri della vergogna di MaltaSara Lucaroni martedì 16 dicembre 2014
https://www.avvenire.it/attualita/pagin ... a-di-maltaSecondo l’inchiesta, arrivata in Parlamento dopo la morte di un profugo 32enne, maltrattamenti e abusi da parte di personale militare non addestrato sono frequenti in luoghi di detenzione «disumanizzati, orrendi e in stato pietoso» .
Un contesto «disumanizzato», in cui i migranti sono trattati come «oggetti illegali», privi di ogni diritto. Sono le parole con cui l’inchiesta «Valencia», presentata solo pochi giorni fa da una commissione governativa al Parlamento di Malta e aperta nel 2012 dopo la morte di un migrante del Mali ospitato al Detention centre for immigrant di Safi, riaccende la polemica sul sistema di accoglienza dell’isola. «Luoghi orrendi», si legge, «strutture in stato pietoso», nessuna privacy, stanzoni dormitorio con caldo estremo e 300 letti, e dove «circa il 70% dei soldati assegnati al servizio di detenzione erano scarti dell’esercito», perché essere assegnato alla detenzione era considerata una punizione.
E ancora, casi di molestie sessuali da parte del personale, utilizzo di soldati al posto di assistenti sociali, inadempienze nelle procedure sono descritti da alcune ong, da testimoni e soprattutto dall’allora capo dei servizi di detenzione, il colonnello Brian Gatt.
Tutto ciò fa da cornice alla morte del 32enne Mamadou Kamara, avvenuta dopo un tentativo di fuga. Secondo la ricostruzione, l’uomo sarebbe deceduto per un attacco cardiaco causato da un forte trauma contusivo. Respinto dal Mount Carmel Hospital dove gli agenti dovevano accompagnarlo «per liberarsi di lui» perché dava in escandescenze, secondo il rapporto Mamadou avrebbe aggredito un ufficiale prima di fuggire. Catturato di nuovo, ha aggredito un altro militare. A quel punto, ammanettato, sarebbe stato fatto salire in un furgone dotato di una gabbia di acciaio, per essere trasportato ad un altro centro di cura. Ma chi lo accompagnava, lo avrebbe colpito all’inguine con una ginocchiata, procurandogli un dolore così forte da fermargli il cuore.
L’attuale responsabile dei servizi, il colonnello Mario Schembri, al Times of Malta parla di episodi che riguardano il passato, sottolineando la riduzione dell’organico attuale e l’assenza, tra il personale sotto la sua direzione, dei nomi implicati nelle vicende ricostruite nell’inchiesta. «Nessuno ne parla mai apertamente, ma tagli di fondi, scarso addestramento, i primi grandi numeri dell’emergenza e l’assenza di controlli adeguati sui soggetti che arrivano, anche potenziali terroristi o criminali nel loro paese, e che spesso si rivoltano durante la detenzione, non hanno messo gli operatori nella possibilità di lavorare sempre con serenità e professionalità – conferma un ex soldato che conosce bene la situazione – così la morte di quel migrante ha riacceso le polemiche sui centri di detenzione.
Giusto, ma se ti lanciano urina, arance con dentro lamette da barba, o ti pungono con forchette sporche di sangue per infettarti o ti sputano perché vogliono uscire, non riesci sempre a porgere l’altra guancia». La pubblicazione del rapporto esplicita ancora una volta la durezza del sistema con cui Malta accoglie i migranti e ha riacceso il dibattito sull’assoluta necessità di gestire con personale specializzato i momenti più delicati del sistema migrazione, i cui limiti sono sempre stati denunciati dalle stesse organizzazioni umanitarie. In una nota congiunta le associazioni umanitarie maltesi, tra cui Jesuit refugee service, puntano il dito contro chi sapeva e non ha agito: «Abbiamo sempre espresso la nostra preoccupazione per la situazione in Safi e la caserma di Lyster e, nonostante i miglioramenti minimi spesso di tipo estetico, le nostre preoccupazioni restano valide e urgenti più che mai. Il regime di detenzione di Malta resta una macchia indelebile nel quadro del rispetto dei diritti umani». «Concordiamo con la conclusione principale dell’indagine, che indica la necessità di rivedere il sistema di detenzione», ha detto Jon Hoisaeter, rappresentante dell’Acnur a Malta, che spiega anche come molti problemi non abbiano ancora una soluzione, come la mancanza di adeguato sostegno psicologico per chi arriva. A Malta la detenzione per i migranti arrivati dal mare è la diretta conseguenza di una legge del 1970, che definisce la clandestinità "reato amministrativo". Dopo un colloquio per l’identificazione e la formulazione della richiesta di asilo, i migranti vengono accompagnati in queste carceri/caserme in attesa che venga valutata la loro domanda. Ma qui rimangono anche fino a 18 mesi. Secondo i dati ad ottobre di Alto commissariato Onu per i rifugiati di Malta, sono stati 250 i migranti accolti nei centri di detenzione, 960 quelli qui transitati nell’intero 2014 e 885 quelli trasferiti in uno dei sei centri aperti, spesso gestiti da ong o dalla Chiesa, dopo il riconoscimento di una qualche forma di protezione internazionale, l’assegnazione di un documento di viaggio e 4 euro al giorno. Sono somali per il 23%, il 13% è siriano, e poi eritrei, etiopi e nigeriani, soprattutto uomini. Il 47% del totale di chi arriva sull’isola riceve protezione, solo il 5% ottiene lo status di rifugiato e il 22 % viene respinto. Al momento sono due i centri di detenzione operativi. Quello di Safi, al centro dell’inchiesta, si trova nell’area della caserma del terzo reggimento delle forze armate maltesi. Ad Hal Far, "città dei ratti," si trova invece la caserma di Lyster Barracks, che ospita il 1° reggimento. Nei periodi di massima emergenza, nell’estate del 2011, anche i tre magazzini di Safi, i magazzini militari, furono trasformati in dormitori con bagni, docce e cucine. Qui, molti degli stessi alloggi dei soldati furono assegnati ai migranti soccorsi in mare. Da allora le cose non sono cambiate. Le notizie di rivolte, fughe, proteste e la morte di un altro migrante, nel 2011, ogni tanto riempiono le cronache maltesi, alimentando l’immagine negativa di queste strutture e di chi è costretto a passarci mesi.
Alberto Pento
Bavi maltesi, difendetevi e fatevi rispettare!???
Malta dalla parte dei migrantiL’isola del Mediterraneo propone di tagliare gli aiuti UE ai paesi africani che non accolgono gli immigrati rimpatriati
30 Ott , 2013
http://100passijournal.info/malta-dalla ... i-migrantiLa scorsa notte il Primo Ministro maltese Joseph Muscat ha annunciato la presa di posizione dell’isola di Malta nei confronti dell’impegno comunitario riguardante l’immigrazione. Muscat ha dichiarato l’intenzione di proporre, al prossimo vertice UE, la sospensione degli aiuti UE umanitari e allo sviluppo per i paesi africani liberi da conflitti che rifiutano di accogliere gli immigrati rimpatriati.
Non è la prima volta che Malta si pronuncia riguardo questo tema: in occasione dei lavori preparatori per la creazione della task force del Mediterraneo, annunciata nell’ultimo vertice del Consiglio Europeo, Muscat ha criticato l’operato dell’Agenzia Frontex, che non ha provveduto al suo mandato riguardo il rimpatrio aereo dei migranti.
A questo proposito Malta interviene a ragion veduta, in quanto l’arrivo sulle sue coste dei migranti “senza meta” è un fenomeno che il governo tenta di arginare da anni. Proprio per la consapevolezza del problema l’Ambasciatrice maltese in Europa Marlene Bonnici ha proposto di creare un comitato UE-Africa per l’immigrazione illegale, iniziativa appoggiata dalla gran parte dei paesi membri.
La presa di posizione dell’isola, ultimo confine dell’Europa nel Mediterraneo, può essere interpretata come un concreto segno dell’intenzione dei paesi membri di occuparsi del tema immigrazione. Tuttavia la vicenda non è esente da critiche, infatti si teme che le pressioni diplomatiche ai paesi africani possano suscitare un irrigidimento dei rapporti con l’Africa, in quanto risulta controverso che l’Europa sproni il paese ad accogliere migranti che essa stessa ha rigettato.
Malta, l’isola dove si arenano i migranti africaniIn questi giorni la visita di Barrot nei centri di detenzione
15 marzo 2009
http://www.meltingpot.org/Malta-l-isola ... ViX7en-ujIIl Commissario dell’Unione europea Barrot, dopo Lampedusa, ha raggiunto l’isola di Malta per effettuare anche lì la sua ispezione nei centri di detenzione. Come a Lampedusa, a Malta la condizione dei diritti fondamentali dei migranti è disperata. Come a Lampedusa, probabilmente, tutto verrà preparato in maniera tale che il Commissario possa andar via dicendo che in fondo le cose non vanno poi così male, che i governi si impegnano per fronteggiare al meglio una situazione da decenni definita come emergenziale. Per questa ragione traduciamo e pubblichiamo un importante articolo uscito sul giornale francese Le Figaro, dove è possibile leggere delle testimonianze dirette di chi, al di là delle strategie e dei discorsi ufficiali, la detenzione amministrativa la vive tutti i giorni sulla propria pelle.
Prigioniero incredulo dentro il centro di detenzione per irregolari di Ta’Kandja, John Oruru, un nigeriano di una ventina d’anni, ha scarabocchiato di fretta un messaggio che porge al visitatore di passaggio allo stesso modo in cui lancerebbe una bottiglia nel mare: « sono solo in mezzo a cento somali con cui non riesco a capirmi perchè non parlo la loro lingua. Faccio del mio meglio per stare bene, ma è troppo difficile per me rimanere in queste condizioni”, scrive in un inglese esitante. “ Quando un figlio chiede al proprio padre del pane o da bere, lui non gli dà una pietra, nè un serpente. Nel nome del Padre, io chiedo di essere trasferito in un altro centro”, conclude.
Ogni singolo detenuto nella prigione maltese, di suppliche come questa, ne esprime all’infinito. Un uomo di origine somale chiede ancora una volta della moglie incinta, rinchiusa in una cella vicina e che lui non vede più da tre settimane. Un adolescente mostra sul suo gomito e sulla coscia, le bruciature dovute all’incendio della sua casa, in Somalia, e chiede di essere curato. Uno dei suoi compagni di sventura, visibilmente minorenne, chiede di essere ricongiunto a sua sorella, che si trova in un altro centro, ad Hal Far. Una giovane nigeriana dal sorriso triste, Abraham Meicy, si lamenta del cibo che viene regolarmente servito dentro la prigione : pollo e patate. Tutti, comunque, attendono la stessa scadenza: poter infine “incontrare la commissione per i rifugiati” nella speranza di ottenere, su questa terra maltese di cui loro non sapevano niente prima della traversata clandestina, il diritto d’asilo.
Nell’attesa, sono 460, di cui la maggior parte giovani donne, che provengono principalmente dalla Somalia, ma anche dalla Nigeria, dall’Eritrea e dalla Costa d’Avorio, ad ammassarsi dentro questo centro “chiuso”, situato al confine con l’aeroporto nazionale.
Nove anni fa, questa vecchia caserma dell’esercito britannico è stata riconvertita in prigione per immigrati irregolari. Di recente, le autorità del paese hanno iniziato a restaurarla, cosa che ne fa, agli occhi delle ONG maltesi, una prigione di lusso se comparata alle altre due, Safi (circa 1000 detenuti) e Hal Far (500), di cui viene regolarmente denunciato lo stato di insalubrità.
Per protesta, contro la “scelta” della autorità maltesi di mettere “sistematicamente” in detenzione i nuovi clandestini, l’associazione Medici senza frontiere ha deciso di sospendere la propria missione umanitaria sull’isola. Il commissario europeo per la giustizia, Jacques Barrot, è partito giovedì per una vista di due giorni nel Mediterraneo per indagare nel merito. Arriverà a Malta venerdì sera.
L’incomprensione tra i carcerieri e i detenuti
A Ta’Kandja, gli edifici in calce viva sono stati costruiti rapidamente. Ciascuna delle celle, l’equivalente di un dormitorio, accoglie una cinquantina di migranti irregolari, e dà su una piccola corte interna circondata da late mura, accessibile ogni giorno dalle dieci di mattina alle quattro del pomeriggio. Una semplice porta in legno, chiusa a doppia mandata, le separa dagli spazi comuni. A turno,ai prigionieri vengono destinati dei lavori “domestici”. Una volta la settimana, gli uomini e le donne si ritrovano all’esterno per chiacchierare una o due ore.
A dispetto di questa apparenza di vita che si organizza, le autorità maltesi sono sempre più incalzate. Dall’inizio dell’anno, nonostante le tempeste invernali del Mediterraneo, quasi 800 “clandestini”- ovvero più di un terzo di quelli registrati durante tutto l’anno precedente ( 2.775) sono sbarcati sulle coste di Malta provenendo dalla Libia.
Molti di loro sognavano di un falso eldorado italiano, ma a causa delle correnti contrarie, della vigilanza delle pattuglie marittime o della svogliatezza dei passeurs (ai quali hanno dato tra settecento e mille dollari), sono finiti rinchiusi in quest’isola minuscola popolata da 400000 abitanti e della quale ignoravano persino l’esistenza.
Prima di potere terminare i lavori – resta ancora da circondare la corte interna con il filo spinato – il direttore della prigione di Ta’Kandja ha dovuto accogliere questa popolazione di "indesiderabili". Sono stati aggiunti dei letti alle celle, aumentando così la promiscuità e i rischi di trasmissione di malattie contagiose: sono stati recensiti alcuni casi di tubercolosi.
Tra il carceriere e i suoi ospiti è l’incomprensione. Il primo dubita della verità delle testimonianze dei secondi che, a loro volta, non comprendono le ragioni della propria triste sorte. “non posso liberarti”, cerca di spiegare il direttore, Martin Wysen, a Meicy.
Quel che questa giovane nigeriana non sa ancora è che probabilmente Malta non le offrirà mai il futuro dorato che lei ha sognato. Gli argomenti che invoca per chiedere il diritto d’asilo – un oscuro conflitto religioso che ha messo in contrasto i suoi genitori e l’assenza di «futuro » - rischiano di non convincere la Commissione maltese per i rifugiati, l’organismo ufficiale incaricato di istruire le richieste d’asilo.
“Durante le interviste, i nigeriani ci parlano di sacre reliquie, di principesse, di cose molto complicate”, conferma il responsabile, Mario Guido Friggieri. Niente a che vedere con i racconti più precisi delle vittime somale della guerra civile o degli immigrati eritrei, arruolati di forza, a volte per dieci anni, nell’esercito nazionale.
Sulle 2692 decisioni prese l’anno scorso dalla Commissione, 1279 si sono tradotte in un diniego della richiesta di asilo. le persone rigettate vorrebbero essere espulse ma, nella pratica, è difficile effettuare queste operazioni. Solamente 19 migranti hanno avuto concesso lo status di rifugiati in virtù della Convenzione di Ginevra. 1 387 hanno invece ottenuto una « protezione sussidiaria », l’equivalente di un permesso di soggiorno, spesso accordato per un anno, ma quasi sempre rinnovato.
Fenomeni di ostracismo
Awil Ali Khadar è uno di questi fortunati eletti, anche se questo aggettivo può sembrare incongruo. Arrestato sulle coste maltesi il 30 maggio del 2008, questo somalo che è fuggito dai combattimenti della capitale Mogadiscio è stato imprigionato per otto mesi nel famigerato centro chiuso di Hal Far. «Fin dal primo momento dentro questa prigione si diventa pazzi », afferma Awil, che riscopre una libertà fittizia in questa isola mediterranea dell’Ue.
Da tre settimane ha avuto una protezione temporanea valida fino al 24 febbraio 2010, e il giovane uomo trascorre i suoi giorni dentro un campo di fortuna, tirato su di fronte alla sua vecchia prigione, con in tasca i 130euro del sostegno accordato ogni mese dalle autorità maltesi.
In questo luogo isolato, situato al margine di un deposito di container, il governo ha fatto mettere una quarantina di tende militari, sprovviste di luce e di riscaldamento, nella quale convivono una dozzina di persone. Quando scende la notte il freddo si fa sentire. In numero insufficiente, i bagni e le docce sono di una sporcizia ripugnante.
La scorsa settimana, la tenda di Awil è stata distrutta dalla tempesta e il giovane uomo ha dovuto cercare riparo dentro una baracca vicina. Su un muro della sala comune, restano attaccate delle vecchie offerte di lavoro su un foglio ingiallito. Gli abitanti del centro hanno teoricamente il diritto di lavorare, ma, a costo della crisi, i posti sono diventati sempre meno. “non so davvero cosa fare” conferma Awil.
Esiliati dal loro paese, questi rifugiati africani si imbattono inoltre in una popolazione locale che li paragona a «piccioni che si fiondano sui nostri chicchi di grano» e li accusano di occupare i posti di lavoro dei maltesi facendosi pagare due volte di meno. Questo fenomeno di ostracismo si spiega, secondo le autorità, con le misure dell’isola, su cui la densità di popolazione è una delle più elevate del mondo.
Secondo il governo, l’arrivo di un solo migrante a Malta equivale a quello di 1 129 in Germania e di 953 in Italia.
(traduzione a cura di Alessandra Sciurba)
Sui centri di detenzione a Malta vedi anche:
- Malta e le politiche migratorie dell’Unione Europea. Testimonianze da un’isola - prigione.
di Pierre Avril, da "le Figaro" (France), 13 marzo 2009