Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni

Ecco quando le migrazioni sono invasioni

Messaggioda Berto » mer feb 21, 2018 11:31 pm

"Bergoglio sui migranti sbaglia. L'Europa ha bisogno d'altro"
Giuseppe Aloisi - Mar, 20/02/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 96537.html

L'intellettuale Laurent Dandrieu ha criticato Bergoglio per l'approccio dottrinale al tema dell'immigrazione.

L'occasione per esporre un'analisi su quella che alcuni hanno definito la "teologia immigrazionista" del papa argentino è stata un convegno organizzato a Roma lo scorso 2 febbraio, in una sala del Senato di Piazza Capranica. Promotore dell'evento il quotidiano liberale ‘L’Opinione.

Secondo quanto riportato su Rossoporpora, l'incontro ha registrato la partecipazione di esponenti culturali e politici portatori di visioni differenti sul tema dibattuto: oltre a Dandrieu, infatti, sono intervenuti l'arcivescovo Silvano Maria Tomasi, il senatore Maurizio Gasparri, il demografo Gian Carlo Blangiardo, l'esponente del Partito Democratico Luciano Nobili, il presidente della stampa estera in Italia Philipp Willan e, appunto, il direttore de 'L'Opinione, Arturo Diaconale. E sempre il sito diretto dal vaticanista Giusepppe Rusconi ha pubblicato buona parte del virgolettato del pensatore d'oltralpe.

"Mi esprimo da fedele cattolico. Se sono spinto a criticare assai duramente le posizioni della Chiesa sull’immigrazione, non lo faccio con cuore allegro né per infierire, ma per aiutarla a uscire da ciò che io considero una situazione terribile", ha premesso l'autore di "Eglise et immigration: le grand malaise. Le pape et le suicide de la civilisation européenne (Plon, 2017)", un pamphlet sulla scomparsa della civilità occidentale, che sta continuando a suscitare molto clamore in Francia.
"A intervalli regolari - ha detto Laurent Dandrieu - i discorsi del Papa richiamano la virtù della prudenza nell’accogliere, riconoscono il diritto degli Stati di limitare l’immigrazione nella prospettiva del bene comune di cui sono responsabili", ma la frequenza di queste affermazioni è minimale "rispetto al torrente di dichiarazioni in favore della logica dell’accoglienza", ha sottolineato il pensatore francese. Il "diritto a non emigrare", teorizzato e promosso da Joseph Ratzinger, cioè la tendenza a preferire che i popoli conservino un diritto a rimanere nella propria terra d'appartenenza, sarebbe stato in qualche modo rimosso dal magistero di Papa Francesco.

Gli europei, invece, sarebbero angosciati per i rischi derivanti da un'immigrazione sostanzialmente incontrollata. E si aspetterebbero dalla Chiesa un atteggiamento materno invece di essere accusati di "non fare abbastanza per l’accoglienza dello straniero". "Le loro inquietudini - ha detto Dandrieu riferendosi sempre ai cittadini europei - sono assimilate a reazioni razziste". L'ansia per la scomparsa della civiltà del vecchio continente, insomma, verrebbe scambiata per suprematismo etnico. La Chiesa, poi, commetterebbe due grossi sbagli: guardare all'immigrazione solo attraverso il punto di vista del migrante e non mettere in conto "le differenze culturali o religiose concrete, come se ciò non incidesse sulla capacità delle società di accoglienza di integrarli". Il buonismo teorizzato da Bergoglio, quindi, finirebbe per non tenere presente le sofferenze inflitte alle popolazioni d'Europa.

Critiche da Dandrieu, poi, sono arrivare rispetto all'assolutizzazione del diritto a migrare: "Tale visione di una immigrazione di massa che contribuisce all’unità della famiglia umana spinge ad adottare una visione messianica delle migrazioni, che diventano una manifestazione dello spirito di Dio", ha evidenziato l'intellettuale francese. E ancora:"La posizione della Chiesa sull’immigrazione è in amplissima misura una posizione ideologica e politica, in cui la questione del bene concreto delle persone diventa secondaria in rapporto a questa visione messianica dell’immigrazione". La Chiesa, dunque, sarebbe finita nel vortice dell'ideologia immigrazionista, ma avrebbe bisogno di tutt'altra base culturale.

Un altro discorso cattolico - ha chiosato lo scrittore d'oltralpe - è necessario per la sopravvivenza del cattolicesimo europeo: "Ne va dell’avvenire dell’Europa, ma anche dell’avvenire della Chiesa, poiché essa – mostrandosi compiacente verso l’invasione di migranti – allarga sempre il fossato che la separa dalle popolazioni europee". "Così facendo - ha evidenziato l'intellettuale - si preclude essa stessa le vie della nuova evangelizzazione". La rievangelizzazione del nostro continente, in definitiva, non può passare per il sacrificio forzato di un'accoglienza pretesa a tutti i costi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ecco quando le migrazioni sono invasioni

Messaggioda Berto » ven mar 30, 2018 7:54 pm

Tentativo di aggressione-invasione dei nazisti maomettani palestinesi a Israele, ma con gli ebrei di Israele non si scherza, essi difendono la loro vita, la loro terra, il loro paese o spazio vitale con le unghie e con i denti, con il cuore e con estrema intelligenza e determinazione: W Israele e W i suoi ebrei.


LA REALTÀ CHE INCALZA E LE MENZOGNE DELLA PROPAGANDA
Niram Ferretti
30/03/2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La cosiddetta marcia pacifica organizzata a Gaza in nome del diritto al ritorno dei palestinesi, in parole povere tutti i discendenti dei palestinesi che lasciarono la Palestina come conseguenza della Guerra del 1948, circa cinque milioni, il che significherebbe, ovviamente, la fine dello Stato ebraico, non è altro che una prova generale. La prova generale per il Nakba Day, ovvero il giorno della "catastrofe" per la nascita di Israele. Quel giorno sarà il 15 di maggio, quando, secondo il calendario, l’Amministrazione Trump forse nella persona stessa del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, inaugurerà l’apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme.

In merito ai rifugiati, al diritto del ritorno e alla nakba, occorre dire alcune cose.

“La degiudaizzazione della nazione israeliana attraverso il ritorno in massa dei rifugiati è ancora oggi all’ordine del giorno, ha scritto Pierre André Taguieff. Questa e non altra, infatti, è la ragione principale per la quale dal 1948 in poi i rifugiati arabi-palestinesi sono stati mantenuti tali in campi profughi dagli stati arabi limitrofi mentre nessuno dei profughi ebrei (820,00 circa) espulsi dagli arabi dall’Egitto, dall’Iraq, dalla Libia, dalla Siria, dallo Yemen, dall’Algeria, tra il 1948 e il 1972 si è trovato in una situazione analoga essendo stati tutti assimilati dall’Europa, dagli Stati Uniti e da Israele, che da solo ne ha assorbiti ben 586,000.

Nel novembre del 1975, l’ONU istituì il Committe for the Exercise of the Inalienable Rights of the Palestinian People, (CEIRPP) il quale ha avuto nel corso degli anni come suo scopo principale quello di promuovere il rimpiazzo di Israele con uno stato palestinese. Il Comitato, tra le altre iniziative, avrebbe provveduto a perorare uno dei cavalli di battaglia (e vero e proprio cavallo di Troia) dell’offensiva araba contro Israele, il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi della guerra del 1948, diritto esteso non solo ai sopravvissuti della guerra ancora in vita all’epoca, ma anche a tutti i loro discendenti. Uno caso al mondo, quello dei rifugiati arabi palestinesi, in cui lo statuto di rifugiato si eredita per discendenza.

La vittimologia palestinese, categoria fondamentale all’interno del conflitto arabo-israeliano è uno strumento decisivo della propaganda antisionista. Si parte, naturalmente dalla Guerra di Indipendenza del 48-49 e dal numero di palestinesi, tra 600,000 e 700,000 che lasciarono la Palestina come conseguenza del conflitto. L’esodo sarà trasformato post factum dalla narrativa palestinese nella Nakba, e attribuito indiscriminatamente alla “pulizia etnica” da parte dell’esercito israeliano. Questa narrativa martirologica è consustanziale a quella del sionismo come impresa colonialista tesa a dispossessare un popolo autoctono dalla sua terra originaria. La realtà è ben altra rispetto alla mitologia fondata dalla propaganda.

Non ci fu nessuna pulizia etnica, a meno che non si intenda qualcosa di diverso da ciò che la definizione significa, la sistematica evacuazione o eliminazione di una popolazione dal territorio nel quale risiedeva da parte di un altro popolo o etnia. Curioso caso quello di un paese appena nato il cui esercito provvede a "pulirlo etnicamente" da coloro i quali diventeranno poi un quinto dell’attuale popolazione risiedente. Quello che accadde fu in realtà un combinato di vari fattori, intimazione da parte degli stati arabi rivolti alla popolazione palestinese di lasciare le proprie abitazioni in attesa di un prossimo ritorno dopo che Israele fosse stato sconfitto, abbandono volontario e anche, necessariamente, evacuazione forzata da parte dell’esercito israeliano. Nonostante ciò la Nakba è stata istituzionalizzata e presentata come un esempio oggettivo della violenza ebraica. Naturalmente, se il nascente stato ebraico fosse stato distrutto dagli eserciti arabi e tutti gli ebrei sterminati, come era dichiarato intento dei comandi militari arabi dell’epoca, non ci sarebbe alcuna Nakba da celebrare e lo sterminio degli ebrei in Medioriente si sarebbe trasformato, come era già nelle intenzioni di Amin al Husseini, in una appendice della Shoah da commemorare qui in Occidente a occhi lucidi.

Veniamo ai nostri giorni. Ci sono già sette vittime palestinesi, uomini che si sono avvicinati troppo alla barriera di confine tra l’enclave costiera di Gaza e il territorio israeliano. Lo hanno fatto consapevolmente e a loro rischio e pericolo. Israele aveva preventivamente avvisato di non oltrepassare il perimetro consentito, 700 metri dal confine. Naturalmente sono già partiti i titoli criminalizzanti dei soliti giornali di area progressista. L’Huffington Post titola, ISRAELE SPARA SULLA MARCIA PALESTINESE, e Repubblica, che non si fa mai mancare nulla, titola SALE LA TENSIONE A GAZA. CINQUE PALESTINESI UCCISI DALL’ESERCITO ISRAELIANO. CENTINAIA DI FERITI.

Altri titoli verranno. Non abbiamo da stupirci. La demonizzazione non perde colpi. Nemmeno uno. Non può. Ma intanto la storia si muove. Verso altri lidi. La causa palestinese è un cadavere ambulante mantenuto in vita in Medioriente solo dall’Iran e, ovviamente, in Occidente dall’Europa.

L’amministrazione Trump ha fatto saltare i vecchi parametri americani di oggettivo appoggio all’Autorità Palestinese. Sono stati tagliati i fondi all’UNRWA e sospesi quelli all’Autorità Palestinese fintato che cesserà di pagare, con i soldi dei contribuenti americani, i terroristi. Gerusalemme è stata dichiarata capitale di Israele con il consenso degli stati arabi, Arabia Saudita in testa, i quali si sono limitati a protestate solo ritualmente. Ma la demonizzazione persiste. E’ normale. Cinquanta anni indefessi di propaganda contro Israele non cessano da un momento all’altro. Cesseranno solo quando la realtà obbligherà gli arabi-palestinesi a riconoscere che hanno perso, che Israele non si autodissolverà e che dovranno accettare le condizioni poste agli sconfitti, come è sempre stato per chi perde una guerra da parte della potenza vincitrice.

Spetterà a Israele assumere con determinazione questo ruolo.


Dragor Alphandar
I palestinesi non esistono, sono arabi e basta..E dovrebbero smettere di trasmettersi il titolo di rifugiato da una generazione all'altra. Hanno un solo diritto: andare in Giordania, grande 5 volte Israele, il territorio che è stato assegnato agli arabi alla spartizione della Paestina. E il dovere di lasciare in pace gli israeliani.

Francesco Birardi
E andrebbero anche convinti ad andarci, in Giordania.... con le buone (soldi) o con le cattive (calci nel culetto). Giudea e Samaria SONO Israele!!!

Lucas Palomo
Già peccato che la Giordania ne sterminò alvune migliaia e ne cacciò una buona parte nel famoso Settembre Nero. Sembra che nessuno li sopporti.




Morti e feriti palestinesi al confine di Gaza.
Giulio Meotti
30/03/2018

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 9542181682

Hamas ha incitato 20mila persone a entrare in Israele ed è la sola responsabile di queste vittime. Lo chiamano "diritto di ritorno". È soltanto Jihad e terrorismo. E Israele difende i suoi confini, a differenza dei paesi occidentali. Cosa farebbero questi ultimi se l'Isis avesse organizzato una simile manifestazione a Calais, a Mentone, sul Brennero, a Melilla? Cosa chiedono i benpensanti a Israele, di far entrare migliaia di palestinesi di Gaza per una merenda nei kubbutz ebraici al confine? Hamas e l'Isis sono figli della stessa serpe malata. Entrambi usano i civili come scudi umani e legna da ardere in olocausto. Anzichè l'istruzione, hanno le marce ai confini. Anzichè le infrastrutture, hanno i tunnel e i missili. Non c'è alcuna occupazione a Gaza dal 2005. Ma Hamas vuole tutto, Ashkelon, Giaffa, Gerusalemme. Per questo vogliono sfondare i confini israeliani. In tutto il mondo si manifesta con cartelli e slogan. A Gaza con molotov e fucili. E portano pure i bambini a queste manifestazioni violente. Ma non ci riusciranno. La capacità di Israele di "tenere" è unica al mondo. Quale altro stato democratico e occidentale resisterebbe al suo posto? No al terrorismo.



LE TECNICHE BEN NOTE
30/03/2018
Niram Ferretti

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il solito tentativo da parte di Hamas di usare i civili come carne da cannone nella speranza di lucrare sulle vittime.

Sembra che attualmente i morti palestinesi siano sette ma l'IDF non conferma la cifra. Secondo l'esercito gli organizzatori della protesta hanno cercato deliberatamente di posizionare i civili in modo da pregiudicare la loro incolumità. Una bambina di sette anni è stata spedita verso la barriera di sicurezza in modo che potesse essere colpita dall'esercito israeliano. La bambina morta sarebbe stato poi il trofeo da esibire come prova della "bestialità" israeliana. Fortunatamente le truppe impiegate hanno avuto sentore di quanto stava accadendo e hanno fatto in modo che la bambina non venisse colpita.

Il cinismo di Hamas, un gruppo di criminali, per cui la morte è da preferire alla vita, non conosce limiti. In Europa gli antisionisti e i propalestinesi accaniti non vedono l'ora di potere contare le vittime palestinesi in modo da potere esercitarsi nel loro sport preferito, la criminalizzazione di Israele.



Gaza, scontri al confine: uccisi 13 palestinesi
davide lerner
2018/03/29

http://www.lastampa.it/2018/03/29/ester ... agina.html


È di tredici morti e almeno 1100 feriti il bilancio degli scontri fra palestinesi al confine fra Israele e la Striscia di Gaza. Un palestinese è stato ucciso dal fuoco di un tank israeliano questa mattina mentre altri dodici sono rimasti uccisi durante le manifestazioni. L’esercito israeliano ha confermato che gruppi di attivisti sono impegnati in una «sommossa in sei luoghi lungo la Striscia di Gaza, bruciando gomme, lanciando sassi alla barriera di sicurezza e verso le truppe israeliane che rispondono con mezzi di dispersione e sparando verso i principali istigatori».

La Giornata della Terra segna l’inizio di un mese e mezzo di proteste. Questa mattina un colpo di cannone ha ucciso Ahmed Wahid Samour (27 anni), agricoltore, colpito dalle “schegge di un proiettile” vicino a Khan Younis. Poi Hamas ha dato il via alle proteste in cui sono morti sono un 38enne di nome Amin Muamar, proveniente da Rafah, e Muhammed Najar, caduto a est della città di Jabalia. Più tardi le altre dieci vittime. Migliaia di persone, moltissime donne e bambini, sono stati fatti affluire nei giorni scorsi a ridosso delle frontiera fra la Striscia Gaza e Israele. L’intento è di sfondare la recinzione e occupare simbolicamente un pezzetto del territorio israeliano. Israele ha risposto con un imponente cordone di sicurezza e ha schierato anche 100 cecchini al confine.

Il 30 marzo per i palestinesi è la Giornata della Terra, anniversario dell’espropriazione da parte del governo israeliano di terreni di proprietà araba in Cisgiordania, nel 1976. Hamas ha allestito otto tendopoli di civili che marceranno lungo la frontiera e cercheranno di forzare la recinzione per mettere in difficoltà l’esercito. Le proteste dureranno da domani, Giornata della Terra, al 15 maggio, Giorno della Nakba, la data dell’indipendenza di Israele e dell’inizio della guerra 1948-1949 conclusa con la sconfitta degli eserciti arabi e palestinesi. Quest’anno il 15 maggio segnerà anche il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme.

Linea rossa

È stato il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, Gadi Eizenkot, ad annunciare il dispiegamento di “oltre 100 cecchini” e che non sarà permessa alcuna violazione della frontiera. Israele si oppone a qualsiasi ritorno di rifugiati su larga scala, perché “distruggerebbe il carattere ebraico” del Paese. “Cercheremo di usare la forza minima necessaria per evitare feriti e vittime palestinesi, ma la linea rossa è molto chiara: restino dalla parte di Gaza e restiamo in Israele”, ha dichiarato Yoav Galant, del gabinetto di sicurezza del premier Benjamin Netanyahu.

Arabi in crescita

Il braccio di ferro con Hamas arriva dopo che il Cogat, Coordination of Government Activities in the Territories, ha lanciato l’allarme sulla crescita della popolazione araba in Israele, Gaza e Cisgiordania. Nel complesso ha quasi raggiunto quella ebraica. In Cisgiordania ci sono 2,7 milioni di arabi, 2 milioni a Gaza, 1,8 milioni in Israele. In totale fanno 6,5 milioni, mentre gli ebrei che vivono in Israele sono 6,7. Ciò significa, ha notato il colonnello Uri Mendes, che per la prima volta dal 1967 gli arabi hanno quasi raggiunto la parità con gli ebrei nel complesso dei Territori sotto controllo totale o parziale di Israele.

Il rapporto punta a sottolineare i rischi di una annessione dei Territori, ormai proposta sempre più apertamente da partiti religiosi e ampi settori del Likud. Uno Stato unico significherebbe che gli ebrei si ritroverebbero nel giro di qualche anno in minoranza. I dati però sono contestati dalle associazioni degli insediamenti: l’Autorità palestinese tende a gonfiare il numero di abitanti in Cisgiordania, che sarebbero in realtà “meno di due milioni”.




LIVE dal confine con Gaza.
https://www.facebook.com/wallanews/vide ... 7866019737

https://www.facebook.com/YUSUFATAR2012/ ... 8002254781

Hamas nei giorni precedenti ha promosso "Great March of Return to Palestine"

La campagna organizzata dai leaders Palestinesi è una provocazione premeditata con lo scopo di infiammare il confronto con Israele ed incrementare la tensione

Come si vede dal video (e da alcune immagini che posteremo) sono a migliaia i palestinesi che stanno facendo pressioni al confine minacciando un'invasiano tutt'altro che pacifica sul suolo israeliano. Negli anni precedenti sono stati infatti centinaia i tentativi di infiltrazione da parte di palestinesi con l'obiettivo di rapire e uccidere civili israeliani.

Cosi com'è per tutti i paesi del mondo, Israele ha il sacrosanto diritto di difendere i propri confini e di prevenire delle “eventuali” infiltrazioni nel proprio territorio.

Nelle ultime 2 settimane, c’è stato un aumento importante di attentati terroristici, supportati ed incoraggiati dai leaders Palestinesi. Questi sono stati pesantemente sottovalutati dai media internazionali, perchè ormai considerati di piccola entità. Ma se In Italia accoltellassero ogni due giorni un cittadino, sarebbe normale?

https://www.facebook.com/GNNA.NOW/video ... 0968002731
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Re: Ecco quando le migrazioni sono invasioni

Messaggioda Berto » dom apr 01, 2018 9:30 am

La difesa del territorio del proprio paese (città, nazione, stato), coincide e corrisponde con la difesa del proprio domicilio, della propria casa, della proprietà privata e tutto ciò corrisponde alla difesa dello spazio vitale nelle sue varie estensioni a tutela e a difesa della propria persona, del proprio corpo e della propria vita.
È un'estensione sociale e politica della legittima difesa personale.



Legittima difesa
https://it.wikipedia.org/wiki/Legittima_difesa_(diritto)
La legittima difesa, in diritto, è un istituto giuridico previsto da vari ordinamenti giuridici, generalmente con finalità di tutela.
Cenni storici
La ragione dell'istituto è probabilmente ispirata al brocardo latino vim vi repellere licet e la ratio va individuata nella prevalenza attribuita, in un atto di autodifesa, all'interesse dell'ingiustamente aggredito piuttosto che all'interesse dell'aggressore.


La legittima difesa non solo è pienamente umana ma è anche pienamente cristiana e rientrante nei diritti e doveri umani universali
viewtopic.php?f=141&t=2540
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1356950777



Legittima difesa di Israele all'aggressione invasione dei nazisti maomettani palestinesi.
Quando si supera il confine/limite/linea fisica e pisichica di sicurezza. che è un valore segnale universale per tutte le specie animali, tra cui l'uomo, si configura pienamente la violenza aggressiva dello spazio vitale altrui con tutte le conseguenze possibili e ciò richiede una reazione di chiusura e difesa altrettanto violenta.


"Strage" e "Massacro", titola La Repubblica in prima pagina oggi sulla guerra che Hamas ha portato al confine di Israele. Non una riga sul diritto di Israele di proteggere i propri confini e i propri civili. Non era una "marcia". Era terrorismo che Hamas ha ordito con milioni di dollari al confine di Israele. Spari da parte di Hamas e Jihad Islamica? Scomparsi. Sommosse per abbattere il confine? Scomparse. "Uccisi" i palestinesi. Scomparsa la relazione di causa ed effetto. Cosi si demonizza il popolo di Israele e si processa il suo diritto a difendersi da una organizzazione terroristica che da trent'anni cerca di distruggerlo a suon di kamikaze e missili, che costruisce tunnel sotto quei confini e che ieri ha cercato di organizzargli una Pasqua di sangue. Che vergogna di giornalismo. Non ho visto gli stessi titoli di prima pagina sparati sui 5 israeliani uccisi dai terroristi palestinesi nelle ultime settimane. O me li sono persi?

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 4101535663



Stallo e impotenza Onu sul sangue di Gaza. Israele: "Se insistono la nostra risposta sarà più potente"
2018/03/31
https://www.huffingtonpost.it/2018/03/3 ... a_23399786

Il drammatico venerdì di sangue alla frontiera israeliana rischia di non rimanere un fatto isolato. L'Onu è in pieno stallo, dimostra tutta la sua impotenza annunciando un'indagine e dicendosi pronta a rilanciare i dialoghi di pace, ma Israele minaccia Hamas, se proseguiranno la protesta stavolta la risposta sarà ancora più imponente, e l'Autorità nazionale palestinese denuncia Israele di "omicidio premeditato". E non sfugge che tra le voci di condanna contro Israele sia arrivata prontamente quella dell'Iran, che denuncia il "tiranno sionista".

La situazione in Medio Oriente sta per precipitare e il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, chiede "un'indagine indipendente e trasparente" sui violenti scontri avvenuti al confine tra Israele e la Striscia di Gaza in occasione della Grande Marcia del Ritorno. Il bilancio è pesantissimo, stimato è di 17 palestinesi morti, con oltre 2 mila feriti. Secondo quanto riferito da un portavoce, l'Onu ha ribadito "la prontezza" dell'organismo mondiale a dare nuovo slancio agli sforzi per la pace. "C'è il timore che la situazione possa deteriorarsi nei prossimi giorni", ha spiegato l'assistente del segretario generale delle Nazioni Unite per gli affari politici, Taye-Brook Zerihoun. "Siamo profondamente rattristati dalla perdita della vita di oggi", ha aggiunto il diplomatico. "Il rischio di escalation è molto reale", ha affermato ricordando che "esiste la possibilità di un nuovo conflitto nella Striscia di Gaza".

Il portavoce dell'esercito israeliano, Ronen Manelis, ha detto che ieri è stato "il peggior giorno di sangue per Gaza dal 2014", ma se la protesta al confine proseguirà, la reazione di Israele sarà ancora più forte. Finora i soldati hanno reagito ai palestinesi che hanno provato a raggiungere la frontiera, ma se le incursioni proseguiranno la risposta verrà ampliata.

Il primo ministro dell'Anp Rami Hamdallah ha chiesto che Israele venga riconosciuto responsabile di quello che ha definito "omicidio premeditato" di palestinesi nella Striscia di Gaza. Sul suo account ufficiale di Facebook Hamdallah ha chiesto alla "comunità internazionale di riconoscere a Israele la piena responsabilità dell'omicidio premeditato del nostro popolo" per aver sparato e ucciso 15 civili palestinesi, oltre al ferimento di altre centinaia. Alla comunità internazionale, il premier dell'Anp chiede anche di prendere "azioni decisive per mettere fine all'occupazione, fornire protezione internazionale al popolo palestinese e trovare una soluzione allo status finale, soprattutto la questione dei rifugiati in base a quanto prevede la Risoluzione 194 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e la creazione di uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come sua capitale".

Oggi nei Territori occupati si celebra una giornata di lutto nazionale indetta dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, che ha accusato Israele di essere "pienamente responsabile dell'aggressione a Gaza e della morte dei palestinesi". Il Consiglio di sicurezza ha esortato entrambe le parti alla moderazione, ma non deciso nessuna azione nè rilasciato alcuna dichiarazione al termine della riunione.

L'ambasciatore palestinese al Palazzo di Vetro, Riyad Mansour, si è detto rammaricato che il Consiglio di Sicurezza non si sia unito nella condanna di questo "massacro odioso" di dimostranti pacifici e non abbia sostenuto la richiesta di protezione internazionale per i civili palestinesi. "Ci aspettiamo - ha aggiunto - che il Consiglio di sicurezza si assuma le proprie responsabilità" e "disinneschi questa situazione instabile, che costituisce chiaramente una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali".

Per l'ambasciatore israeliano Danny Danon, invece, "la comunità internazionale non deve essere ingannata" da quello che ha definito come "un raduno del terrore ben organizzata e violento" sotto le insegne di una manifestazione pacifica.

L'Iran, attaverso il portavoce del ministro degli Esteri ha condannato i fatti di sangue di Gaza parlando di "massacro selvaggio" del "regime sionista" di Israele nei confronti dei palestinesi. Anche il ministro Mohammad Javad Zarif ha denunciato il "tiranno sionista" con un tweet.

Timori sono stati espressi dall'ambasciatore svedese Carl Skauper per "una situazione estremamente preoccupante", con il pericolo che ci sia un escalation fuori controllo. Alcuni membri hanno raccomandato di tenere un'indagine, sostenendo che Israele dovrebbe usare la forza in modo proporzionato.




La forza di Israele e la debolezza dell’Europa
31/03/2018
Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/la-forza-di-is ... delleuropa

Durante l’estate del 2014, mentre era in corso l’operazione Margine di Protezione, l’ultimo conflitto diretto tra Israele e Hamas, il filosofo Gianni Vattimo affermava durante una trasmissione radiofonica di stare dalla parte del gruppo integralista islamico.

Vattimo è solo uno della schiera degli intellettuali europei e più in generale occidentali che hanno girato le spalle a Israele per abbracciare il jihadismo scambiandolo per “resistenza” nei confronti dell’oppressore. Si tratta di una capitolazione radicale dell’intelletto che vanta nomi illustri e che nel passato, sia a destra come a sinistra si è votato, da Sartre a Saramago, da Céline a Hamsun da Neruda a Schmitt, alle ragioni del totalitarismo nazista e comunista.

Oggi che nazismo e comunismo hanno terminato la loro corsa, (anche se il secondo continua come uno zombie a ripresentarsi sullo scenario della storia), resta pur sempre a una Europa sempre più afflitta da una profonda crisi identitaria, l’esecrazione di Israele. Non è qui possibile tracciare la genesi di questa affezione patologica, ma occorre dire che essa si nutre in parte sostanziale di terzomondismo e di anti-atlantismo declinato in modo classico come avversione nei confronti degli Stati Uniti.

I fatti recenti accaduti in Israele. I sedici morti arabi-palestinesi uccisi dall’esercito israeliano durante la manifestazione orchestrata a Gaza ai confini della barriera di separazione dallo Stato ebraico, hanno nuovamente dato la stura all’abituale coro di attacchi contro Israele per la sua risposta armata.

Il copione è fisso da decenni. Quando Israele interviene per difendere le proprie ragioni scatta subito l’esecrazione pubblica. I palestinesi uccisi diventano immediatamente vittime e i soldati israeliani carnefici. Lo abbiamo visto massimamente nel 2014 quando le piazze soprattutto europee si riempivano di manifestazioni anti-israeliane e i manifestanti marciavano con chi glorificava e glorifica gli estremisti islamici di Hamas.

Per costoro, che Hamas controlli dal 2007 dopo un golpe in cui esautorò Fatah dal potere, l’enclave costiera di Gaza, imponendo un regime di terrore costruito sulla violenza, la delazione, la corruzione e avvilendo in modo drammatico le condizioni di vita della popolazione, è irrilevante. Come è irrilevante sapere che dieci degli arabi palestinesi uccisi dal soldati israeliani ieri, appartenessero alla Brigata Izz ad-Din al-Qassam, l’ala armata del gruppo jihadista.

Quello che conta è la narrazione secondo la quale la Marcia per il Ritorno, che ha portato ai confini tra Gaza e Israele 30.000 persone, sia una manifestazione pacifica perché così è stata annunciata dagli organizzatori e che, improvvisamente, soldati killer israeliani abbiano deciso di sparare a casaccio sulla folla. Si vuole credere questo, è necessario credere questo. Se così non fosse bisognerebbe ammettere che il cosiddetto “ritorno” invocato dagli aderenti alla marcia e abilmente orchestrato da Hamas che si trova in un momento di estrema debolezza e tenta così di rilanciarsi, significa, come scritto chiaramente nella Carta programmatica del gruppo, la presa di tutta la Palestina. Significa la fine di Israele in quanto stato ebraico.

Bisognerebbe ammettere che Hamas, e prima di Hamas l’OLP di Arafat hanno sempre e solo cercato di giungere a questo obbiettivo attraverso la lotta armata e il terrorismo. Bisognerebbe ammettere che le ragioni di Hamas sono quelle del jihad islamico, bisognerebbe ammettere che se Hamas avesse la meglio e Israele scomparisse, al suo posto ci sarebbe un altro stato islamico fondato sul rigorismo della sharia.

Ma siccome ammettere questo significa dovere riconoscere la verità e capitolare difronte alla realtà, si preferisce rappresentare Israele come una potenza malvagia e assassina e chi ha in odio la democrazia, la libertà e il pluralismo, come “resistente” e “vittima”.

D’altronde, quanti qui in Europa nelle file della sinistra, al cospetto della terribilità del totalitarismo sovietico e dei suoi regimi satelliti, osava denunciarne l’orrore e la disumanità, e non preferiva invece esaltarne supposte virtù di eguaglianza, progresso, emancipazione umana dalle storture del liberalismo e del capitalismo?

Leggere la stampa italiana (ma non solo) a proposito dei fatti accaduti al confine tra Gaza e Israele insieme alle dichiarazioni di alcuni esponenti politici, tra cui l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, provoca nel lettore il solito senso di vertigine per l’incapacità strutturale di vedere chiaramente la realtà e capire senza fallo da che parte abitino quei valori che l’Europa, nella sua travagliata storia si è conquistata faticosamente, e da che parte sta invece la barbarie.

Ma è uno dei segni terribili dei nostro tempo e di questa Europa che si crede al riparo dalle minacce rappresentate da chi ha in odio la democrazia e i suoi corollari, non sapersi riconoscersi senza se e senza ma nell’unico paese in Medioriente che sa difenderla senza indugio. Ed è forse questo il punto, che mentre Israele non ha mai smesso di difenderla, l’Europa sta progressivamente rinunciando a farlo.



In Israele si rischia una Pasqua di rappresaglia
Fiamma Nirenstein - Sab, 31/03/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 10965.html

C'è confusione sui numeri ma non sul significato della «Marcia del ritorno», come l'ha chiamata Hamas.

15 morti, 1.400 feriti e 20mila dimostranti sul confine di Israele con Gaza, in una manifestazione organizzata per essere solo la prima in direzione di una mobilitazione di massa che dovrebbe avere il suo apice il 15 di maggio, giorno della Nakba palestinese, il «disastro», festa dell'indipendenza di Israele, che coinciderà anche con il passaggio dell'ambasciata americana a Gerusalemme.

Un'escalation continua di eccitazione mentre cresceva l'incitamento ha visto per ben quattro volte unità di giovani armati di molotov, bombe a mano e coltelli, infiltrati dentro il confine. Un esempio limitato di quello che Hamas vorrebbe riprodurre su scala di massa, ovvero l'invasione di Israele, come nei loro discorsi ieri hanno ripetuto i leader massimi Ismail Hanyie e Yehyia Sinwar. Non a caso nei giorni della preparazione si sono svolte esercitazioni militari con lanci di razzi e incendi di finti carri armati, pretesi rapimenti e uccisioni che hanno persino fatto scattare i sistemi antimissile spedendo gli israeliani nei rifugi. Il messaggio di Hamas era chiaro: marciate, noi vi copriamo con le armi. Ma le intenzioni terroriste sono state incartate dentro lo scudo delle manifestazioni di massa e l'uso della popolazione civile, inclusi donne e bambini, è stato esaltato al massimo. Molti commentatori sottolineano che se Hamas decide di marciare, non ci sia molta scelta. E una marcia di civili risulta indiscutibile presso l'opinione pubblica occidentale, ma il messaggio sottinteso è stato spezzare il confine sovrano di Israele con la pressione della folla civile, utilizzare le strette regole di combattimento dell'esercito israeliano che mentre lo stato maggiore si arrovellava, si è trovato nel consueto dilemma delle guerre asimmetriche: tu usi soldati in divisa e il nemico soldati in abiti civili, donne, bambini, talora palesemente utilizzati come provocazione. L'esercito ha confermato che una piccola di sette anni per fortuna è stata individuata in tempo prima di venire travolta negli scontri. E in serata Israele ha bombardato con cannonate e raid aerei tre siti di Hamas a Gaza in risposta a un tentativo di attacco armato contro soldati.

La protesta di Hamas - che arriva alla vigilia della festa di Pesach, la Pasqua ebraica - ha vari scopi: il primo è legato alla situazione interna di Gaza. L'uso militarista dei fondi internazionali e il blocco conseguente del progresso produttivo ha reso la vita della gente miserabile e i confini restano chiusi. È colpa della minaccia che l'ingresso da Gaza di uomini comandati da un'entità terrorista, comporta per chiunque, israeliani o egiziani. Hamas con la marcia incrementa la sua concorrenza mortale con l'Anp di Abu Mazen, cui ha cercato di uccidere pochi giorni fa il primo ministro Rami Hamdallah; minacciata di taglio di fondi urla più forte che può contro Israele, cosa su cui la folla araba, anche quella dei Paesi oggi vicini a Israele come l'Arabia Saudita e l'Egitto, la sostiene. Il titolo «Marcia del ritorno» significa che non può esserci nessun accordo sul fondamento di qualsiasi accordo di pace, ovvero sulla rinuncia all'ingresso distruttivo nello Stato ebraico dei milioni di nipoti dei profughi del '48, quando una parte dei palestinesi fu cacciata e una parte se ne andò volontariamente certa di tornare sulla punta della baionetta araba.

Israele ha cercato invano di evitare che alle manifestazioni si facessero dei morti. Ma nessuno Stato sovrano accetterebbe da parte di migliaia di dimostranti guidati da un'organizzazione che si dedica solo alla sua morte una effrazione di confini. Hamas userà i nuovi shahid (povera gente) per propagandare la sua sete di morte in nome di Allah e contro Israele. Certo questo non crea in Israele maggiore fiducia verso una pace futura.




ISRAELE CI RICORDA
Niram Ferretti
01/04/2028

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Stiamo assistendo in queste ore all'abituale festival dell'esecrazione di Israele. Non poteva essere diversamente. Chi sta dalla parte dei jihadisti di Hamas non può non risentirsi per il fatto che Israele abbia impedito l'ingresso di terroristi all'interno del proprio confine.

Hamas ha utilizzato lo schermo della marcia "pacifica" per infiltrare miliziani, esattamente come, durante i conflitti con Israele, hanno usato la popolazione civile come carne da cannone.

Sia nel 2009 che nel 2014 hanno fatto credere che Israele avesse perpetrato crimini contro l'umanità, gonfiando le cifre, inventando i morti.

È' una vecchia tecnica. È la propaganda usuale. Winston Churchill diceva, "Durante la guerra la prima vittima è sempre la verità".

Il caso di Jenin, nel 2002 ha fatto scuola.

All'epoca Yasser Arafat proclamò che il “massacro di Jenin” poteva essere paragonato solo all’assedio di Stalingrado della seconda guerra mondiale. E l’ineffabile Erekat ( n.d. A. capo negoziatore palestinese) dichiarò alla stampa: “Il numero di morti si aggira sui 500”, aggiungendo: “Il campo profughi di Jenin non esiste più, e abbiamo notizia che vi avvengono esecuzioni di massa”. Cinque giorni più tardi, a combattimenti finiti, il Segretario Generale dell’Autorità Palestinese, Ahmed Abdel Rahman, dichiarò all’UPI che il numero era nell’ordine delle migliaia, usando la parola “genocidio”. E la notizia fece il giro del mondo.

Il numero effettivo dei morti a Jenin fu di 53 palestinesi e 23 soldati israeliani, ma prima che le cifre reali venissero verificate, la versione falsa del massacro israeliano era stata già propagata con successo per traslare poi, lo stesso anno, nel film “Jenin, Jenin” del regista arabo israeliano Mohammed Bakri. Nel film, il regista, successivamente portato in tribunale dai soldati reduci dell’episodio sostenuti nella loro azione dalle famiglie dei caduti, mostrava, alterando completamente la realtà dei fatti, l’esercito israeliano mentre sparava su donne, anziani e bambini. Bakri avrebbe poi affermato davanti ai giudici che la sua versione dei fatti era “artistica” e intesa a presentare “la verità palestinese”.

Israele, spara sui terroristi, decidendo di non farli entrare, e per questo viene linciato mediaticamente da una Europa fallimentare che ai terroristi non solo concede l'ingresso dentro le proprie frontiere, ma permette loro di costruire reti di affiliazioni, protetti dallo scudo dei "diritti umanitari".

L'Europa illusa, pensa che la guerra sia un'esperienza del passato, qualcosa di ormai concluso e che la pace sia acquisita. Per questa Europa la storia si è fermata. Non sappiamo più difenderci, non vogliamo più difenderci.

Israele ci ricorda che se vogliamo sopravvivere, la difesa è necessaria.


Alberto Pento
Anche se non fossero terroristi ma solo civili maleintenzionati, se entrassero senza permesso violando l'ordine e l'invito a non entrare, magari demolendo recinzioni, superando sbarramenti, sarebbe comunque un atto di aggressione e una invasione violenta che richiederebbe e giustificherebbe la reazione armata violenta come legittima difesa.
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Re: Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni

Messaggioda Berto » dom apr 01, 2018 3:41 pm

Bergoglio Israele e Gaza
Giulio Meotti
01/03/2018

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 3380727637

Caro Papa Francesco, nel suo intervento prima della benedizione Urbi et Orbi ha detto che "la Terra Santa in questi giorni è ferita da conflitti aperti che non risparmiano gli inermi". È giusto dolersi per la perdita di vite umane a Gaza. Ma sarebbe stato corretto soltanto se avesse ricordato i terroristi di Hamas al fianco degli "inermi" (quanti sono i terroristi e quanti i veri inermi?). Era talmente inerme la "marcia" di Hamas contro Israele che il capo degli islamisti di Gaza Sinwar ha detto che "mangeremo i fegati degli israeliani". I fegati... Caro Papa Francesco, li guardi 15 su 16 dei pacifisti palestinesi uccisi da Israele. ‎Vede pace nei loro sguardi? Osservi il funerale di uno di loro: si brandiscono fucili, non fiori, si spara in aria mascherati, non si piange a viso scoperto. Le guardi, le armi (Kalashnikov e granate) usate dalla cellula di Hamas che ha sparato ai soldati israeliani e che ha tentato di infiltrarsi oltre confine usando le famiglie palestinesi come scudi umani. Caro Papa Francesco, parlare di "inermi", lasciando intendere che sia colpa di Israele, senza denunciare il terrorismo che da 70 anni vuole buttare a mare gli ebrei, significa accettare di far parte della coreografia del terrore allestita da chi vuole "mangiare i fegati degli israeliani". Caro Papa Francesco, i cristiani del Medio Oriente sono scacciati e uccisi tutti da fondamentalisti islamici fratelli di fede e in armi di Hamas, in guerra con Israele. Non lo vede? Caro Papa Francesco, se fosse stato loro consentito di superare quei confini, anzichè dei terroristi morti avremmo avuto degli israeliani morti. Pensa che il mondo sarebbe stato forse piú a proprio agio se quegli "inermi" israeliani fossero stati assassinati come sa fare Hamas? Si puó essere cosi orbi, Papa Francesco?
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Re: Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni

Messaggioda Berto » dom lug 29, 2018 9:58 am

Migrazioni di massa: "L'ingrediente fatale che potrebbe sciogliere l'Ue"
Giulio Meotti

https://it.gatestoneinstitute.org/12770 ... ne-europea

"Anziché portare alla fusione, la crisi migratoria europea sta portando alla fissione", ha scritto di recente lo storico di Stanford Niall Ferguson. "Sono sempre più convinto che la crisi migratoria sarà vista dai futuri storici come l'ingrediente fatale che ha sciolto l'Ue". Settimana dopo settimana, la previsione di Ferguson sembra trasformarsi in realtà.

Non solo l'Europa continua a frammentarsi poiché il sentimento anti-immigrazione acquista forza politica, ma a seguito della crisi migratoria, la zona interna all'Unione europea senza frontiere, il gioiello più prezioso dell'Europa dopo la Seconda guerra mondiale, è ora definita "a rischio" dal governo italiano, ma anche da parte di altri governi, come l'Austria.

L'immigrazione sta inoltre ridefinendo l'accordo intraunionale.

La Repubblica ceca, l'Ungheria, la Polonia e la Slovacchia, il cosiddetto "gruppo di Visegrad", hanno recentemente invocato la difesa delle frontiere dell'Ue. "Noi dobbiamo avere un'Europa in grado di difenderci", ha affermato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, dopo essere stato invitato a partecipare alla riunione dei paesi del gruppo di Visegrad.

Quest'anno, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz (il secondo da sinistra) è stato invitato a unirsi ai leader dei quattro paesi del "gruppo di Visegrad" (Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia), al vertice del 21 giugno. In cima alle priorità c'erano le questioni delle migrazioni di massa e la protezione delle frontiere. (Fonte dell'immagine: Cancelleria federale austriaca)

Anche il nuovo governo populista italiano, dopo che l'Italia ha visto arrivare sulle proprie coste più di 700 mila migranti negli ultimi cinque anni, ha adottato una linea intransigente. Il ministro dell'Interno italiano Matteo Salvini ha di recente chiuso i porti italiani alle navi cariche di migranti. In Germania, dopo che la cancelliera tedesca si è scontrata sul tema dell'immigrazione con il ministro dell'Interno Horst Seehofer, la politica migratoria potrebbe anche portare alla "fine del mandato della Merkel".

"Il nuovo governo populista italiano segna una grande sfida per lor status quo europeo, ma non nel modo in cui la maggior parte degli osservatori si aspettava inizialmente", ha di recente commentato Walter Russell Mead su The Wall Street Journal. "La coalizione di governo ha messo da parte la sua sfida alla politica dell'euro. Invece la sta trasformando in un argomento su cui l'establishment europeo è più vulnerabile: l'immigrazione".

L'intero consenso politico europeo si sta frammentando sotto l'impatto sismico delle ondate migratorie. La migrazione verso l'Europa è diventata una questione politica "tossica come sempre", ha osservato il New York Times in merito al dibattito in corso nell'Unione europea. L'attuale problema dell'Ue sembra derivare da una sordità tra le élites politiche, che si rifiutano di prendere in considerazione i problemi che i loro cittadini si trovano a dover affrontare a causa di un'immigrazione di massa non controllata.

Negli ultimi anni, le migrazioni di massa hanno solo creato gravi problemi alla stabilità interna dell'Europa. Innanzitutto, c'è stata una sfida alla sicurezza. Secondo un nuovo rapporto della Heritage Foundation:

"Dal 2014, quasi mille persone sono state ferite o uccise in attacchi terroristici perpetrati da richiedenti asilo o profughi. Negli ultimi quattro anni, il 16 per cento degli attentati terroristici islamisti in Europa sono stati compiuti da richiedenti asilo o profughi. L'Isis ha connessioni dirette con la maggior parte degli attacchi, con la Germania che è stata colpita più frequentemente, e i siriani che sono maggiormente coinvolti rispetto a qualsiasi altra nazionalità. Quasi tre quarti degli attentatori entrano in azione, o vedono sventare i loro piani, entro due anni dall'arrivo in Europa.


"Dal gennaio 2014, 44 rifugiati o richiedenti asilo sono stati coinvolti in 32 attacchi terroristici islamisti in Europa. Questi attacchi hanno causato 814 feriti e 182 morti".

C'è anche una sfida importante per la coesistenza etnica e religiosa posta dall'immigrazione. Gli ebrei francesi sono vittime di una forma di pulizia etnica, secondo un manifesto firmato, tra gli altri, dall'ex presidente francese Nicholas Sarkozy e dall'ex premier francese Manuel Valls. "Il dieci per cento dei cittadini ebrei della regione di Parigi sono stati di recente costretti a spostarsi perché non erano più al sicuro in certi quartieri", si legge nel manifesto. "Questa è una pulizia etnica silenziosa."

La minaccia che l'Europa sta affrontando, se si rifiuta di chiudere i confini e controllarli, viene analizzata da Stephen Smith, un esperto di Africa apprezzato dal presidente francese Emmanuel Macron, nel suo nuovo libro La ruée vers l'Europe. Oggi, egli osserva, vivono nell'Unione europea 510 milioni di persone, a fronte di 1,3 miliardi di africani. "In trentacinque anni ci saranno 450 milioni di europei per 2,5 miliardi di africani, cinque volte di più", prevede Smith. Se la migrazione africana seguisse l'esempio di altre parti del mondo in via di sviluppo, come i messicani negli Stati Uniti, "tra trent'anni", secondo Smith, "l'Europa avrà da 150 a 200 milioni di afro-europei, rispetto ai 9 milioni di oggi". Smith chiama questo scenario "Eurafrica". La più grande ondata migratoria dopo la Seconda Guerra mondiale è diventata anche un problema sempre più urgente, visto che le popolazioni autoctone europee continuano a invecchiare e a diminuire di numero.

Il controverso sistema di quote per la ripartizione dei migranti ha già dato esiti fallimentari. Inoltre, i governi europei non possono espellere i migranti. Nel 2012, la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) condannò il governo italiano ordinandogli di pagare migliaia di euro a 24 immigrati che erano stati respinti in mare verso le coste libiche. Le autorità italiane avevano intercettato i migranti nel Mar Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l'isola italiana di Lampedusa dalla Libia. Tre anni dopo, la Corte europea condannò di nuovo il governo italiano per respingimento di migranti. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha inoltre condannato la Spagna per aver deciso di procedere all'espulsione di un gruppo di 75-80 migranti dall'enclave di Melilla. La Cedu ha poi condannato l'Ungheria per detenzione di profughi. Che cosa suggeriscono le autorità di Bruxelles? Portare tutti in Europa?

Andrew Michta, decano del College of International and Security Studies al George C. Marshall European Center for Security Studies, di recente ha scritto che, con queste migrazioni di massa le democrazie europee rischiano la "decomposizione". Non vedremo soltanto la "fissione" della già fragile Unione europea, ma anche quella della civiltà occidentale.
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Re: Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni

Messaggioda Berto » ven nov 02, 2018 5:57 am

Questa è migrazione clandestina e criminale


Il paradosso Tunisia: l'economia vola ma è boom di profughi
Alberto Giannoni - Gio, 01/11/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 95572.html

Inflazione, pil e lavoro meglio che in Italia Da lì proviene la maggior parte degli sbarchi

Tunisi - I nuovi sbarchi in Italia parlano tunisino. Lo certificano i dati del Viminale, i flussi verso il nostro Paese sono crollati dell'86% rispetto al 2017: dal 1° gennaio a ieri sono sbarcate 22.031 persone contro le 111mila dello stesso periodo dell'anno scorso.

Ora però fra le nazionalità dichiarate al momento dello sbarco i tunisini sono nettamente in testa: 4.827 arrivi, con largo vantaggio sugli eritrei, fermi a 3mila. «Nei nuovi sbarchi si rileva un cambio delle nazionalità» certifica anche l'Orim, l'Osservatorio regionale lombardo, che attesta lo sbarco di 4.700 tunisini al 1° ottobre.

Ma perché l'Italia accoglie tutti questi migranti tunisini? Non è facile dare una risposta, se si guarda alla attuale situazione politica ed economica dei due Paesi, dirimpettai sulle opposte sponde del Mediterraneo.

La Tunisia non è un Paese ricco, è vero, vive per lo più di agricoltura, tessile e spera in una ripresa del turismo. Ma fra l'economia italiana e quella tunisina, oggi, non c'è un abisso. La crescita del Pil in Italia, dato Istat dell'altro giorno, si è azzerata, quella della Tunisia secondo il Fondo monetario internazionale toccherà il 2,4% nel 2018 e arriverà al 2,9% l'anno prossimo, quando Dio solo sa cosa farà la nostra economia (a un'espansione crede solo il governo, e neanche tutto). La disoccupazione in Italia è di poco sopra il 10%, mentre in Tunisia scenderà al 14,8%, che significa il 7-8% nelle aree più sviluppate, nel Nord del Paese. L'inflazione tunisina - sempre stime Fmi - scenderà al 5,9% nel 2009, quando gli investimenti esteri dovrebbero aumentare del 2,4%. Molti sono italiani: l'interscambio fra i due Paesi supera i 5 miliardi e le imprese italiane attive in Tunisia sono 800. A fine settembre il ministro dell'Interno Matteo Salvini è volato in Tunisia per incontrare il presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, e l'omologo locale Hichem Fourati. «Voglio capire come possiamo fare per aiutarli a crescere e a dare lavoro e a controllare meglio le loro coste» ha detto. Oggi si lavora a nuovi accordi bilaterali.

Il quadro politico tunisino oggi è abbastanza stabile. Nonostante la minaccia del terrorismo, e nonostante il quadro pericoloso che la circonda - a partire dal caos libico - la Tunisia oggi è una democrazia: a giugno per la prima volta ha votato per i Comuni e l'anno prossimo rieleggerà il presidente. Il partito islamico «moderato» Ennahda è dato in crescita, ma il Paese resta laico e le donne godono di una sostanziale e formale parità, almeno nelle città. Gli unici che oggi patiscono un differente trattamento sono i non-musulmani. Gli ebrei all'inizio del secolo scorso erano fra i 50mila e i 65mila, oggi sono forse 1.500. Anche i cristiani tunisini sono pochi: i circa 30mila che vivono nel Paese possono professare la loro fede solo all'interno delle chiese e degli edifici delle congregazioni religiose. Ma sono per lo più italiani. Quali «persecuzioni», quali conflitti, quali pericoli dunque giustificano una migrazione dalla Tunisia? I transitanti da altri Paesi (come la Libia) sono appena il 10% circa del totale. La domanda dunque resta: cosa giustifica un esodo di tunisini verso l'Italia? «In Tunisia non c'è una dittatura - riflette l'assessore regionale lombardo Riccardo De Corato leggendo i dati dell'Orim - posso capire gli eritrei, o i sudanesi ma a Tunisi non c'è dittatura o repressone o instabilità. Questo arrivo è molto sospetto».
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Re: Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni

Messaggioda Berto » dom nov 11, 2018 9:24 pm

Questi sono migranti regolari che lavorano e fanno del bene e non clandestini che vivono da parassiti a nostre spese e che delinquono a nostro danno


IL RAPPORTO - «Migranti, valore aggiunto per la comunità locale»
Brescia e Hinterland
Nella Bassa. Molti gli immigrati che lavorano nelle stalle bresciane
11 novembre 2018

https://www.giornaledibrescia.it/bresci ... -1.3315254

Gli stranieri residenti nella provincia di Brescia sono sempre di meno. A dirlo è il rapporto annuale sulle migrazioni del Cirmib, il centro di iniziative e ricerche delle migrazioni dell’Università cattolica di Brescia, secondo cui nell’ultimo anno il numero di migranti è diminuito di 2517 unità, lo 0,2% in meno dell’anno precedente, lo 0,5% rispetto al 2016. In tutto al primo gennaio 2018 gli stranieri presenti in provincia sono 156mila, il 12,4% della popolazione complessiva.

Il calo è dovuto a due fattori: l’acquisizione della cittadinanza ( tra il 2013 e il 2017 a Brescia sono stati 6200 gli immigrati che hanno prestato giuramento come cittadini italiani) e al trasferimento della residenza. Un dato in controtendenza con la regione Lombardia dove la variazione è stata positiva +2,7% tra 2017 e 2018.

A Brescia città l’incidenza degli stranieri è pari al 18.5%, più alta se confrontata con quella della provincia che si attesta all’11,2%. Cala la disoccupazione che si attesta al 6,2% rispetto all’8,2% del 2016 con circa 20mila unità in più di lavoratori non italiani. Riguardo al sistema scolastico, invece, da qualche anno rimane invariata la proporzione di presenza in aula: gli studenti stranieri sono nel complesso quasi 33mila, pari al 17,7% degli alunni, lo 0,1% in più rispetto ad un anno fa.
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Re: Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni

Messaggioda Berto » sab dic 08, 2018 9:13 pm

Migrare e invadere la casa e il paese altrui non è un diritto ma un crimine, ed è un dovere impedirlo
viewtopic.php?f=205&t=2813
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674
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Re: Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni

Messaggioda Berto » lun gen 07, 2019 8:35 am

Sos imprese, il Giappone allenta le maglie sull’immigrazione
Stefano Carrer
2019-01-04

https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2 ... fromSearch

Un senso di cambiamento epocale aleggia sul Giappone, all’inizio di un anno che vedrà, a inizio maggio, l’avvio formale di una nuova era secondo il calendario nazionale, che cambia a ogni avvicendamento di imperatore. Non è solo la prossima fine dell’era “Heisei” iniziata nel 1989 a generare un confuso sentimento tra il nostalgico e l’irrequieto: sullo sfondo si profila il ritorno di un anno di Olimpiadi a Tokyo, a richiamo di quelle fortemente simboliche del 1964 che sancirono il ritorno del Paese come primattore sulla scena internazionale.

Se allora c’era molto ottimismo per un boom economico destinato ad accelerare, oggi le esigenze economiche pongono il Paese di fronte a scelte senza precedenti e piene di incognite.

Un aspro dibattito sull’immigrazione, tra Parlamento e opinione pubblica, ha caratterizzato la fine del 2018, finendo per investire i temi cruciali dell’identità nazionale e del futuro di una società che ancora si percepisce come omogenea («tanitsu minzoku»), con residenti stranieri ancora limitati a circa il 2% della popolazione (2,56 milioni, di cui 1,3 milioni di lavoratori). Eppure chiunque capiti a Tokyo può vedere segni evidenti di una rapida evoluzione. Quasi un terzo degli addetti agli ubiqui “kombini” (i negozietti aperti 24 ore su 24) non sono giapponesi: è successo nel giro di pochissimi anni, tra le maglie di normative molto restrittive che però consentono a studenti stranieri di lavorare per 28 ore settimanali.

Imperativi economici
La questione dell’immigrazione è stata posta all’ordine del giorno dallo stesso governo conservatore di Shinzo Abe, che ha forzato il passaggio parlamentare di una nuova legislazione che per la prima volta consentirà l’ingresso nel Paese a manodopera straniera generica. Non certo per buon cuore, ma su accorate pressioni di un mondo imprenditoriale alle prese con forti carenze di personale . Lo stesso esecutivo stima un fabbisogno non coperto di almeno 600mila lavoratori per quest’anno, proiettandolo in aumento a oltre 1,4 milioni entro 5 anni. Nella società più vecchia del mondo – e a più rapido invecchiamento e bassissima natalità - la popolazione diminuisce e ancora di più si contrae la forza-lavoro con il pensionamento di massa dei baby-boomers. Scontato che ai giovani non piacciano i lavori delle “3 K” («kitanai», «kitsui», «kiken»: sporchi, duri e pericolosi), le potenzialità dell’economia sono frenate non solo da una mancanza di autisti, muratori, agricoltori, ma anche di addetti a molti servizi: dall’assistenza domiciliare e infermieristica al settore alberghiero e della ristorazione.

Due nuove categorie di visti
Così l’esecutivo Abe ha deciso di introdurre due nuove categorie di visti: uno per lavoratori a bassa qualificazione in 14 settori, limitato a un massimo di 5 anni senza possibilità di portare le famiglie; uno per chi ha più specifici requisiti, che aprirà un percorso eventuale verso la residenza permanente. Per quanto lo stesso Abe abbia sottolineato che non si tratta di una politica sull’immigrazione – ma solo di supporto alle esigenze del mondo produttivo – le polemiche sono state accese. Con il paradosso che anche le opposizioni – per lo più orientate meno “a destra” – sono sembrate perdere la bussola nel contestare la nuova legge, sia pure allegando buoni motivi (come la necessità di predisporre le condizioni per un inserimento sociale di chi arriverà).

Eppure i numeri resteranno ben sotto controllo: il governo ha stimato in 345mila in 5 anni gli arrivi di manodopera non particolarmente qualificata, precisando che non si tratta di un tetto e che in parte i nuovi visti andranno a chi è già in Giappone nel quadro di programmi precedenti (come quello per i 274mila “apprendisti stranieri”, ampiamente sospettato di aver aperto la strada a abusi e sfruttamento di giovani asiatici).

«Se è lo stesso governo a ipotizzare che la popolazione in età da lavoro possa calare da 75,2 a 67,7 milioni già nel 2030, l’economia ristagnerà: il Paese dovrebbe sviluppare una comprensiva politica sull’immigrazione come parte integrante della strategia di sviluppo a medio termine», osserva John West, direttore dell’Asian Century Institute. Già da oltre un decennio un ex dirigente del Tokyo Immigration Bureau, Hidenori Sakanaka, sostiene che entro il 2050 il Giappone dovrebbe avere almeno 10 milioni di immigrati: se non altro, per una questione di sopravvivenza economica.

Problemi comuni: il caso tedesco
L’ultimo atto del 2018 dell’esecutivo Abe è stata l’adozione di 126 misure amministrative riguardanti i lavoratori stranieri: dalla creazione di un centinaio di centri di informazione e assistenza alla previsione di esami di lingua giapponese in alcuni Paesi asiatici per i candidati, fino a disposizioni per la lotta alle mediazioni illegali e allo sfruttamento. Molti osservatori, giapponesi e non, restano del parere che lo scopo del governo sia soprattutto quello di affrontare il problema immediato delle carenze di manodopera che frenano l’economia, senza prevedere un programma organico di integrazione sociale.

I problemi sono comuni ad altri Paesi avanzati: se è inimmaginabile oggi una Italia senza badanti, muratori o vendemmiatori stranieri, la Germania a dicembre, su pressione del mondo produttivo, ha allentato le regole sull’immigrazione per venire incontro alle esigenze della sua economia: la nuova «Fachkräftezuwanderungsgesetz» renderà più facile alle imprese reclutare lavoratori extra-Ue qualificati, visto che nemmeno gli europei non tedeschi sembrano in grado di coprire gli 1,2 milioni di posti vacanti di infermiere, carpentiere e così via. Ma se Berlino appare all’avanguardia negli sforzi di integrazione, secondo il sociologo Akihiro Koido il Giappone rimane restìo a staccarsi da un approccio simile a quello tedesco degli anni 50 del ’900, quando i «gastarbeiter» erano considerati, appunto, ospiti temporanei. Non immigrati e futuri cittadini.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni

Messaggioda Berto » gio gen 17, 2019 9:06 pm

Papa Francesco: "Gesù era un profugo, fuggì in Egitto per scampare alla furia omicida di Erode"
17 Gen. 2019

https://www.tpi.it/2019/01/17/papa-fran ... su-profugo

Gesù Cristo era un profugo. Lo dice papa Francesco, sostenendo ancora una volta che “le migrazioni arricchiscono le nostre comunità”. Non è la prima volta che papa Francesco si schiera a favore dei migranti.
“Spostarsi e stabilirsi altrove con la speranza di trovare una vita migliore per sé stessi e le loro famiglie: è questo il desiderio profondo che ha mosso milioni di migranti nel corso dei secoli”, scrive Bergoglio nella prefazione del volume “Luci sulle strade della speranza”, una raccolta del suo magistero in tema di migranti, rifugiati e tratta, pubblicata dalla sezione migranti e rifugiati del Dicastero vaticano per lo Sviluppo umano integrale.

Il parallelismo tra l’esperienza dei profughi e la vita di Gesù Cristo, da molti considerata fuori luogo e forzata, è uno dei punti cardine degli insegnamenti di Bergoglio. “Gli esodi drammatici dei rifugiati sono un’esperienza che Gesù Cristo stesso provò, assieme a i suoi genitori, all’inizio della propria vita terrena, quando dovettero fuggire in Egitto per salvarsi dalla furia omicida di Erode”, spiega il pontefice.

E l’esperienza della migrazione è una cosa che riguarda Bergoglio anche su un piano personale: i suoi nonni paterni erano emigranti italiani che fuggirono in Argentina nel 1929.

Il volume di Bergoglio si concentra in particolare sulla tratta degli esseri umani, spiegandone cause e suggerendo modalità per sconfiggere il fenomeno.

“Il viaggio dei migranti non è sempre un’esperienza felice. Basti pensare ai terribili viaggi delle vittime della tratta. Anche in questo caso, però, non mancano le possibilità di riscatto, come accadde per il piccolo Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto come schiavo dai fratelli gelosi, il quale in Egitto divenne un fiduciario del faraone”, scrive ancora il papa.

“Come la storia umana, la storia della salvezza è stata segnata da itineranze di diverso genere – migrazioni, esili, fughe, esodi, tutte comunque motivate dalla speranza di un futuro migliore altrove. E anche quando l’itineranza è stata indotta con intenzioni criminali, come nel caso della tratta, non bisogna lasciarsi rubare la speranza di liberazione e di riscatto”, prosegue papa Francesco.

In questo articolo dal titolo: “Ma quindi, Gesù, Giuseppe e Maria, erano o non erano dei profughi?“, abbiamo fatto chiarezza sulla storia della “sacra famiglia”, in fuga dalla Palestina per riparare in Egitto e sottrarsi all’ira di Erode. Qui tutta la storia.


Alberto Pento

Stando a quanto racconta solo l'evangelista Matteo, l'ebreo Gesù Cristo, ancora in fasce, assieme alla sua famiglia, fuggì in Egitto per sottrarsi alla furia di Erode che temeva che Gesù gli sottraesse il trono come pronosticavano le profezie dell'idolatria religiosa ebraica.
Però Matteo non dice altro, non dice dove, come e da chi e nemmeno quanto durò l'esilio della famiglia di Gesù che sicuramente durò al massino fino alla morte di Erode che morì di lì a poco.
L'Egitto all'epoca era una provincia dell'impero romano come Israele/Palestina e quindi non ci volevano documenti particolari per passare da una provincia ad un'altra.
Sicuramente la famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria non ha fatto la parassita né i suoi genitori hanno fatto i criminali criminali, Maria non ha fatto la prostituta o rubato e Giuseppe non ha spacciato droga, rubato, rapinato, esorto, sequestrato e ucciso.
Non hanno certo vissuto alle spalle degli egiziani in alberghi o in ville, si saranno pagati il soggiorno presso conoscenti e amici e Giuseppe che era un bravo artigiano avrà lavorato senza problemi e sarà stato ricercato per la sua professionalità di falegname ebreo.
Alla morte di Erode sono tornati a casa loro, riprendendo la loro esistenza ordinaria.
Poi l'ebreo Gesù Cristo per il resto della sua vita in Israele non era uno straniero, non era un profugo o un rifugiato, non era un migrante economico parassita, non era un clandestino invasore e criminale, non era un terrorista arabo-palestinese, non era un nazista maomettano, era semplicemente e integralmente un ebreo di Israele come lo erano i suoi genitori e Israele è la terra degli ebrei come Gerusalemme è la loro capitale.
L'ebreo Gesù stava a casa sua nella sua terra di Israele che con suo padre Giuseppe si guadagnava il pane dapprima lavorando il legno e poi da adulto e da rabbino errante con le offerte e la carità di chi lo andava ad ascoltare e ne riceveva beneficio: non rubava, non rapinava, non spacciava, non estorceva, non viveva di assistenza pubblica, non era un parassita né un invasore clandestino.
Poi ricordo che l'ebreo Cristo vissuto e morto da ebreo, ucciso dagli invasori romani; probabilmente come suo padre Giuseppe portava anche la kippah prima che i romani gliela togliessero per torturarlo con la corona di spine per poi ucciderlo con la crocifissione.
I preti che la raccontano diversamente sono dei mentitori, dei bestemmiatori, degli eretici, dei figli del demonio.


Bergoglio è un bugiardo e promuove il male della terra.
A questo personaggio irresponsabile e fanatico ricordo che le migrazioni (emigrazioni/immigrazioni) sono un bene solo quando non sono invasioni,
quando cioè sono richieste, controllate, rispettose, compatibili, graduali, volontarie, libere, vincolate e se non gradite respinte.
Al contrario, le migrazioni (emigrazioni/immigrazioni) quando non sono gradite, quando sono imposte, quando avvengono con la violenza, la frode, l'inganno, l'imposizione, quando non sono libere, quando sono massicce, incontrollate, incompatibili sono un male, uno dei mali più grandi dell'umanità e diventano invasioni che portano guerra, miseria, distruzione e morte.


Gesù Cristo era ebreo e Israele è la terra degli ebrei
viewtopic.php?f=197&t=2814


Ecco quando le migrazioni sono e non sono invasioni e portano il bene e non il male
viewtopic.php?f=194&t=2603



“I popoli devono rimanere nelle loro terre”. Mons. Crepaldi si schiera con Salvini e la Dottrina Sociale della Chiesa contro la politica immigrazionista di Bergoglio

https://rivelazione.net/notizie/i-popol ... -bergoglio

“La dottrina sociale della Chiesa è chiara: i popoli devono rimanere nelle loro terre. La politica decide se accogliere o no, la religione deve annunciare Cristo. Ma forse qualcuno se n’è scordato…“

A parlare è Monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio cardinale Van Thuan sulla dottrina sociale.

E’ chiaro che sono parole in netto contrasto con la linea di Bergoglio.

Bergoglio che continuamente sostiene l’immigrazione e condanna il nostro Governo che chiude i porti.

Bergoglio che fa politica invece di preoccuparsi di evangelizzare Cristo.

Bergoglio che vuole arrivare ad un’unione tra le religioni senza tener conto delle differenze sostanziali che le dividono.

Vediamo ora di analizzare le discrepanze tra l’operato di Bergoglio e quanto afferma la dottrina della Chiesa secondo l’arcivescovo Crepaldi.

Prima di tutto Crepaldi, nell’affrontare il problema dei flussi migratori, afferma che bisogna tener conto “del bene comune non solo degli immigrati ma anche della nazione che li accoglie“. Bisogna “interrogarsi sulle reali possibilità di integrazione. Non solo i bisogni di chi chiede l’accoglienza. La politica deve regolare l’accoglienza in modo strutturale nella tutela del bene di tutti“. E riferendosi all’Italia non sottovaluta i problemi legati all’immigrazione: “Combattere la criminalità organizzata e non scaricare tutta la responsabilità sull’Italia” .

Dichiarazioni che suonano nuove per noi cattolici abituati a sentire Bergoglio che non perde occasione per incentivare l’accoglienza di tutti gli immigrati.

Chiediamo quindi a Bergoglio: accogliendo nel nostro Paese uomini forti africani che non scappano da guerre ma entrano irregolarmente con il solo scopo di portare la malavita impadronendosi anche di Paesi come Castel Volturno in mano alla mafia nigeriana, si fa il bene dell’Italia?

Chiediamo a Bergoglio: favorendo con l’immigrazione la criminalità organizzata si fa il bene di uomini, donne, bambini che, una volta entrati nel nostro Paese, non solo vengono costretti a prostituirsi ma macellati per togliere organi vitali e venderli?

Chiediamo a Bergoglio: questi uomini forti, robusti con cellulari all’ultima moda che una volta messo il piede sul territorio italiano si impongono, hanno solo pretese, non rispettano regole di convivenza, vogliono realmente integrarsi nel nostro Paese?

L’integrazione prima di tutto esige il rispetto per il Paese che ospita. I fatti dimostrano che sono gli italiani a subire!!!

Chiediamo a Bergoglio: come “capo” (presunto) della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, perché porta avanti l’obiettivo di costruire un’unica religione mondiale? Come poter accogliere e condividere “prassi contrarie al bene dell’uomo“?

L’arcivescovo Crepaldi proprio riferendosi all’integrazione afferma: “Non bisogna sottovalutare la religione delle persone che vengono accolte. In questo caso l’Islam. Non bisogna far finta che nella teologia islamica non ci siano elementi che rendono difficile l’integrazione“. Aggiunge: “Una società multireligiosa non è un bene in sè. Ci sono religioni che propongono e impongono prassi contrarie al bene dell’uomo, come la superiorità del maschio sulla femmina o le mutilazioni genitali“.

Anche qui doverose sono le domande da rivolgere a Bergoglio.

Chiediamo a Bergoglio: accogliendo tutti questi uomini prevalentemente di religione islamica non c’è il pericolo che l’Italia perda la sua identità di Paese con radici cristiane cattoliche?

Chiediamo a Bergoglio: come mai, invece di continuare ad evangelizzare Cristo, per rispetto verso gli immigrati e per non offenderli, ha appoggiato sacerdoti che si sono posti contro i presepi e hanno chiuso la Chiesa nel giorno del Santo Natale in segno di protesta verso un governo che chiude i porti per il bene del Paese?

Chiediamo a Bergoglio: come mai invece di difendere la religione cattolica non si è pronunciato quando nelle scuole hanno cercato di sostituire il nome di Gesù e Maria nelle canzoncine di Natale per non ferire bambini di religione islamica?

Chiediamo a Bergoglio: perché questi uomini forti, robusti che non scappano da guerre non rimangono nei loro Paesi per aiutare nello sviluppo, nella crescita? Hanno forse l’obiettivo, come del resto dimostrato, di destabilizzare il nostro Paese?

Chiediamo a Bergoglio: come mai è così appoggiato dalla Massoneria internazionale che arriva anche a ringraziarla pubblicamente?

Da non sottovalutare sono anche le posizioni dei vescovi africani che invitano i loro giovani a non emigrare sostenendo la Dottrina Cattolica della Chiesa che al riguardo dice: “Esiste prima di tutto un diritto a non emigrare e a rimanere nella propria nazione e presso il proprio popolo“.
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