Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » dom giu 02, 2019 8:04 am

"Immigrazione e multiculturalismo Il silenzio degli «accoglienti»"
Da Il Corriere del 25/05/2019
Ernesto Galli della Loggia

https://alleanzacattolica.org/immigrazi ... t.facebook

Vi sono libri importanti in ragione del loro argomento e del modo in cui esso viene trattato, oppure in ragione di qualche peculiarità del loro autore, e vi sono libri, poi la cui importanza dipende da un’altra ragione ancora: dal clamore straordinario o all’opposto dal silenzio sospetto che li accoglie. Il libro di Raffaele Simone L’ospite e il nemico (Garzanti) ha la singolarità di segnalarsi per tutti e tre i motivi ora detti: non solo perché tratta di un tema chiave come la grande migrazione dal Sud del mondo di cui l’Europa è la meta da anni, ma perché il tema stesso, a differenza di tante altre pubblicazioni analoghe, è svolto in modo quanto mai documentato e soprattutto con una totale spregiudicatezza; infine perché dell’uscita del libro nessuno ma proprio nessuno ha mostrato di accorgersi. Un silenzio davvero singolare per non autorizzare un dubbio: e cioè che il mainstream culturale devoto al politicamente corretto — il Club Radicale come viene definito in queste pagine — abbia così voluto punire chi mostrava di non tenere alcun conto delle sue fisime e dei suoi tabù. Soprattutto perché chi osava tanto era uno studioso come Simone — il quale, lo ricordo, professionalmente è un linguista — la cui produzione di saggistica politica si è sempre mossa in una prospettiva schiettamente di sinistra. E che dunque oggi al suddetto Club deve essere apparso un transfuga, un traditore.

Che cosa sostiene di così scandaloso per il benpensante progressista il libro di cui stiamo parlando? Innanzitutto un criterio di metodo: «Non c’è nessun immigrato, in quanto persona, leggiamo, che visto da vicino, non susciti compassione e impulso al soccorso (…). Ma si possono osservare i fenomeni collettivi persona per persona?». Simone non ha dubbi: non è possibile. L’immigrazione verso l’Europa è un evento di una tale vastità potenziale che, incontrollato, non potrebbe che condurre questa parte del mondo a un’autentica catastrofe, più o meno analoga a quella rappresentata a suo tempo dalle invasioni barbariche. Si tratta di una presa di posizione niente affatto ideologica: infatti è davvero impressionante, in proposito, la vasta e varia documentazione, la quantità di notizie, di dati, di fatti di cronaca, circa le conseguenze negative già in atto o assai prevedibili contenute nel libro. Il cui autore, proprio perciò, sottolinea come siano a dir poco sorprendenti lo «spesso clima di ipocrisia e di falsità», «la sceneggiatura irenico-umanitaria» e la «sconsiderata rilassatezza» delle politiche migratorie praticate finora: attuate «quasi tutte — si aggiunge — contro il parere del popolo». Ce n’è abbastanza, come si vede, per giustificare la censura decretata al libro dal Club Radicale.

Sono due i principali obiettivi della polemica di Simone, dura quanto lucidamente argomentata. Il primo è l’insulsa colpevolizzazione che da tempo l’Europa va facendo del proprio passato, alimentando un vero e proprio odio di sé che in particolare il suo ceto politico-intellettuale e la sua scuola non si stancano di accrescere, costruendo l’idea di un debito che il continente sarebbe oggi chiamato giustamente a pagare, ad espiazione delle sue passate malefatte verso i popoli del Sud del mondo, sotto forma per l’appunto di un indiscriminato obbligo di accoglienza.

Ne è nata una vera e propria «cultura del pentimento e della discolpa» ormai diffusa in tutta la sfera pubblica occidentale, che conduce a considerare ad esempio come delittuosa «islamofobia» ogni pur ragionata valutazione critica della religione e della cultura islamiche. Arrivando, ad esempio, perfino al caso di indagini di polizia che in più occasioni tacciono l’origine islamica dell’indagato per il timore d’incorrere nell’accusa di razzismo. Secondo Simone si tratta di un indirizzo ideologico che, appunto per la «bramosia di penitenza» di cui si sta parlando, tende alla fine a cancellare il carattere fondamentale dell’identità europea, fondata sull’assoluta peculiarità del binomio Cristianesimo-Illuminismo e dei suoi mille esiti positivi rispetto a qualunque altra cultura. Sfidando il politicamente corretto l’autore ha il coraggio di porsi una domanda decisiva: «Cosa vogliamo preservare da qualunque rischio di alterazione? (…) Ci sono valori europei (corsivo nel testo) che bisogna assolutamente proteggere?».

Il secondo dei due principali bersagli del libro è la latitudine tendenzialmente indiscriminata del concetto di accoglienza, che è stato il criterio morale di fondo a cui il politicamente corretto occidentale si è fin qui sentito in dovere di guardare, sia pure con le inevitabili incertezze e contraddizioni del caso.

Ricordando come nell’antichità indoeuropea ospite e nemico fossero indicati dalla stessa parola (ne è rimasta traccia in latino: hospes/hostis) Simone fa una distinzione assai importante. Un conto è il diritto all’ospitalità, cioè ad essere accolto temporaneamente in un luogo e con il beneplacito dell’accogliente — secondo il modello così diffuso in moltissime culture — un conto ben diverso è il presunto diritto a stabilirsi dove uno vuole, indipendentemente dalla volontà (e dal numero!) di chi in quel luogo abita da tanto tempo, avendovi magari profuso da generazioni lavoro e cura per renderlo ciò che esso è oggi. Senza dire che quando parliamo di ospitalità intendiamo da sempre quella riservata ad una sola persona o ad un piccolo gruppo, non di certo a una massa. In questo caso sembra davvero più appropriato parlare al limite di invasione anziché di ospitalità.

Presumere che esista un diritto all’accoglienza illimitata comporta logicamente né più né meno che teorizzare la cancellazione virtuale dei confini: cioè di qualcosa che l’autore stesso definisce «una necessità etologica dei gruppi umani».

Naturalmente nessun «accogliente» ha il coraggio politico e intellettuale di trarre una simile conseguenza dalla propria posizione. La retorica serve per l’appunto a rimediare a questa falla dispiegando le sue armi, quelle che Simone chiama per l’appunto le «retoriche dell’accoglienza» (da «siamo stati tutti migranti e siamo tutti meticci» a «dall’arrivo dei migranti abbiamo da trarre solo vantaggi» e così via seguitando). Retoriche che egli smonta una per una, con precisione, con i fatti, ragionando. Un libro assolutamente da leggere, insomma, non foss’altro che per discuterlo: proprio come al Club Radicale non piace mai fare con chi non la pensa come lui.
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » ven feb 14, 2020 7:49 pm

Texas annuncia,'non accogliamo migranti' - Nord America
Agenzia ANSA
11 gennaio 2020

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/n ... Ql4ezARbwY


Il Texas diventa il primo stato a rifiutare di accogliere i rifugiati nel 2020, in base all'ordine del presidente americano Donald Trump, che a settembre aveva lasciato ai singoli stati Usa la scelta di accettarli o meno.
Il governatore Greg Abbott ha spiegato in una lettera al dipartimento di Stato che il Texas deve concentrare i suoi finanziamenti "su quelli che sono già qui, contando anche i rifugiati, i migranti e i senzatetto, di fatto tutti texani". E che lo stato, che ha accolto dal 2010 circa il 10% dei rifugiati accettati dagli Usa, deve far fronte ad un "problema migratorio sproporzionato" con l'arrivo dal 2018 di decine di migliaia di migranti attraverso il confine messicano.


Alberto Pento
Finalmente, grazie Texas, grazie USA, grazie Trump!
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » ven feb 14, 2020 7:49 pm

Accoglienza: l’insegnamento degli Apostoli
Pubblicato 11 Gennaio 2020 | Da daniele
https://www.life.it/1/accoglienza-linse ... i-apostoli

I principi degli apostoli sembrano ben diversi da quelli dell’attuale Chiesa cattolica e di troppi politici: i 5 che seguono sono tratti dalla DIDACHÉ o Dottrina dei Dodici Apostoli e insegnano come comportarsi nei confronti di chi arriva pellegrinando (andare vagando qua e là, da un luogo all’altro, fuori della propria terra), tema di estrema attualità

1. Ogni pellegrino che viene nel nome del Signore (Sal 117,26; Mt 21,9), sia accolto: in seguito però esaminatelo e rendetevi conto chi sia; avete infatti senno abbastanza per distinguere la destra dalla sinistra.

2. Se è solo di passaggio, aiutatelo come potete; ma non rimanga presso di voi più di due o tre giorni, se è necessario.

3. Se vuole stabilirsi tra di voi, e ha un mestiere, lavori per mantenersi.

4. Se invece non ha mestiere, prendete provvedimenti con prudenza, perché non viva tra di voi un cristiano ozioso.

5. Se non si vuole assoggettare, è una sfruttatore di Cristo: guardatevi da questa gente.

La Didaché:

“Ciò che è anche emerso da questo studio è che questa stesura redazionale del testo della Didaché condivide con il vangelo di Matteo non solo le massime della fonte “Q” della tradizione di Gesù, ma anche una comune concezione teologica e strutturale. Che questi abbiano avuto origine nella medesima comunità è difficile da negare; essi respirano la stessa aria e riflettono lo stesso sviluppo storico. Quello che deve restare materia di dibattito è il problema della priorità. La nostra tesi è che la Didaché è la regola comunitaria della Comunità di Matteo, regola in costante processo evolutivo. Naturalmente, se così fosse, alcune sue parti rifletteranno una situazione presupposta dal vangelo di Matteo, altre parti possono riflettere una situazione posteriore alla sua composizione. Solo un’accurata analisi redazionale può indicare in che modo vi giochi l’influenza in uno specifico caso. Tuttavia, per quanto riguarda le istruzioni per gli apostoli, sembra che il testo della Didaché costituisca la fonte del materiale di Matteo.” Estratto e tradotto da: Novum Testamentum XXXIII, 4 (1991) – Torah and troublesome Apostles in the Didaché community” di J.A. Draper – Ed. Brill

“Nel corso della prima metà del secondo secolo d.C., abbiamo la Didaché, il più antico, unico e completo ancora esistente insieme di regole per una comunità cristiana, seguita da altri testi di quel genere nei secoli terzo e quarto”. Estratto e tradotto da: “Die griechische und lateinische Literatur der Kaiserzeit” di Albrecht Dihle – Ed. Bec

Argomento segnalato da Giorgio Vigni


Alberto Pento
Qui si parla di chi viene in nome del Signore, dello stesso Dio degli apostoli e della comunità cristiana e non di stranieri indistinti e adoratori di altre divinità
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » ven feb 14, 2020 7:50 pm

Ministro greco: L'Asilo per i "cosiddetti profughi" non è a tempo indeterminato
10 Febbraio 2020

https://www.islamnograzie.com/ministro- ... lRDCUF-24s


ATENE (AFP) – Il ministro della migrazione del governo conservatore Notis Mitarachi ha detto in un’intervista pubblicata Domenica “La Grecia concederà la protezione dei rifugiati solo per tre anni vista la quasi impossibilità ad integrare gli immigrati” .

La Grecia l’anno scorso è stata il primo porto UE di ingresso per i migranti e ha lottato per gestire l’afflusso, con campi sovraffollati nelle isole dell’Egeo vicino alla costa turca.

“Il manicomio ha una durata di tre anni, non è a tempo indeterminato”, ha detto Mitarachi al settimanale To Vima.

“Se le condizioni cambiano nel paese [di origine], l’asilo non può essere rinnovato”, ha aggiunto Mitarachi.

“E ‘difficile integrare diverse popolazioni”, ha detto.

Più di 36.000 richiedenti asilo sono attualmente stipati in campi su cinque isole, dove la capacità ufficiale è di 6.200 persone le cui condizioni sono state più volte condannate dalle agenzie umanitarie.

La sovrappopolazione nei campi di Lesbo e le altre isole vicino la Turchia ha causato la rabbia nei giorni scorsi tra i residenti dell’isola e dei richiedenti asilo.

Dal momento della crisi migratoria scoppiata nel 2015, alimentata dalla guerra in Siria, la Grecia ha concesso asilo a circa 40.000 persone.

Altre 87.000 domande di asilo sono in attesa, ha aggiunto

Il rimpatrio dei richiedenti asilo le cui domande vengono respinte devono essere discussi in una revisione della politica migratoria dell’UE il mese prossimo.

“Operazioni di rimpatrio congiunte saranno predominanti nelle nuove proposte della Commissione europea che ci attende in marzo e aprile”, ha detto Mitarachi.

Il nuovo governo ha introdotto norme più severe in materia di asilo, e il mese scorso ha indetto un bando per una barriera galleggiante nel Mar Egeo per fermare le barche dei migranti.

Il sistema – criticato come immorale e poco pratico dai gruppi per i diritti umani e dai partiti di opposizione – comporterà barriere o reti, lunghe 2,7 chilometri (1,7 miglia), e saranno utilizzate come misura di emergenza da parte delle forze armate greche.

Mitarachi ha detto che il progetto delle barriere è solo un “provino” e sarà implementata se ritenuto efficace.
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » ven feb 14, 2020 7:51 pm

Corte europea salva la Spagna: "Giusto respingere i migranti"
Mauro Indelicato - Ven, 14/02/2020

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... Rb2Z4HXPSY

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha accolto il ricorso del governo spagnolo, condannato nel 2017 per aver rimpatriato due migranti intercettati all'interno dell'enclave di Melilla. Il commento di Salvini: "La Spagna può rimpatriare ed io a processo"

Potrebbe, oltre a far discutere, anche creare un precedente importante la sentenza giunta ieri dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

In particolare infatti, i giudici hanno assolto la Spagna per due casi di rimpatri immediati avvenuti nel 2014.

I fatti risalgono a sei anni fa: in quell’occasione, le autorità spagnole hanno provveduto a riportare immediatamente in Marocco due migranti che erano riusciti ad entrare nella città di Melilla. Quest’ultima, insieme a Ceuta, costituisce un’enclave spagnola in territorio marocchino da sempre costretta a convivere con il fenomeno migratorio.

Chi arriva a Ceuta od a Melilla entra in un territorio a tutti gli effetti spagnolo e, di conseguenza, europeo. Un pezzo di vecchio continente quindi posizionato in Africa, il quale ovviamente fa gola a tutti coloro che vorrebbe raggiungere l’Europa.

La Spagna ha investito diverse somme negli ultimi anni per migliorare la sicurezza lungo i confini e rinforzare i controlli, così come da Madrid più volte sono giunte indicazioni di attuare immediati rimpatri nei casi ritenuti più pericolosi.

Ed è quanto accaduto nell’episodio in questione. In particolare, come detto, le autorità iberiche avevano rintracciato due persone che erano riuscite a passare il confine. Subito dopo per loro è scattato l’immediato rimpatrio in Marocco. Ma questo ha suscitato critiche al governo di Madrid, allora retto dal popolare Mariano Rajoy, con la questione che è arrivata quindi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Qui hanno prevalso adesso le ragioni della Spagna. Secondo i giudici le autorità di Madrid non hanno attuato violazioni nelle procedure, il respingimento è stato quindi legale e giustificato dalla situazione riscontrata dalle autorità stesse: “I due migranti si erano messi in una situazione illegale – si legge in un passaggio della sentenza della Corte Europea – e avevano tratto vantaggio dal gruppo numeroso in cui si trovavano e dall'uso della forza”.

Dunque, nulla di irregolare e tutto nella norma: due persone stavano eludendo i controlli per entrare irregolarmente in un altro territorio e le autorità hanno provveduto al loro rimpatrio. Nel 2017 però, la stessa Corte aveva dato un parere opposto ed aveva condannato la Spagna per quanto attuato. Il governo di Rajoy aveva però fatto ricorso, vinto nelle scorse ore dopo la nuova pronuncia dei giudici.

La sentenza ha comunque suscitato reazioni di ordine politico. E questo anche nel nostro paese, dove è intervenuto nelle scorse ore l’ex ministro dell’interno Matteo Salvini: “La Corte Europea dei Diritti Umani – si legge in un post pubblicato su Facebook dal segretario del carroccio – ha stabilito che la Spagna può respingere direttamente in Marocco i clandestini che scavalcano le barriere a Melilla. Intanto, in Italia, un ministro dovrà finire a processo per aver difeso i propri confini. Pazzesco”.

Il riferimento di Salvini è al recente via libera del Senato al processo sul caso Gregoretti, il cui procedimento vedrà l'ex ministro accusato di sequestro di persona per aver negato lo sbarco di alcuni migranti a bordo della nave Gregoretti della Guardia Costiera nel luglio 2019.
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » sab feb 15, 2020 10:29 am

Naufraghi, migranti, profughi, clandestini: ecco cosa ci dicono il diritto e il principio di realtà
Atlantico Quotidiano
Roberto Ezio Pozzo
15 febbraio 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... rkcwfrimg4

Naufrago non si può diventarlo con la preordinazione di esserlo e non può esistere immigrazione senza regole: nessuno stato di diritto può ammettere sul proprio territorio chi vi s’introduca con l’inganno o di nascosto

Facciamo un pò di chiarezza sulla questione del “salvataggio” in mare dei c.d. “migranti”, come sembrerebbe obbligatorio definirli tutti. Occorre operare una distinzione tra le varie fattispecie di persone che si trovino in mare e richiedenti di essere trasportate “in salvo”, per quanto ampiamente normate dalle convenzioni e dai trattati internazionali. La questione attiene, oltre che a motivazioni d’ordine morale ed etico, a precise casistiche, ben diverse e non sovrapponibili tra loro. Partiamo dalla varia nomenclatura con la quale, spesso a fini suggestivi, vengono denominate le persone che le nostre navi militari e quelle delle ong “soccorrono” nel tratto di mare tra le coste africane ed il nostro meridione.

Si parla spesso di naufraghi. Quasi sempre il termine è inappropriato, perché “naufrago” è soltanto chi sia stato espulso da un mezzo di navigazione marittimo o aereo per causa di un incidente di qualsivoglia natura. Con un pò di interpretazione estensiva del termine, naufrago potrebbe forse essere anche chi si trovi ancora a bordo del mezzo di trasporto ormai divenuto ingovernabile. Ma non sarà mai tale chi si trovi a bordo di una nave o aeromobile ancora in grado di governare autonomamente. Togliamo, di conseguenza, una bella fetta di persone dalla categoria protetta dei naufraghi tra le migliaia che si avvicinano alle nostre coste. Non parliamo nemmeno di quelli che hanno pagato (cifre enormi) a dei criminali per avere un passaggio verso l’Italia, concordando con precisione satellitare luogo ed ora del trasbordo su altre navi che li attendevano.

Non guasta ricordare che, dalle Convenzioni di Ginevra ed ai loro Protocolli aggiuntivi (in questo caso il terzo) in avanti, la tutela, persino in tempo di guerra, distingue tra quelli che sono da considerarsi intoccabili, come nel caso di un pilota che si cali col paracadute in suolo nemico dopo l’abbattimento del suo aereo, sul quale non si può sparare, e quelli che, pure col paracadute, si calino al suolo per compiere azioni di guerra, ed in quel caso è più che lecito mirare a loro anche fintanto si trovino, pressoché indifesi, ancora in cielo. È il principio delle finalità con le quali un soggetto si introduca, sia pure con mezzi di fortuna, al suolo estero, quello che, giustamente, rileva, più che il mezzo tecnico con il quale egli lo fa. Naufrago non si può diventarlo con la preordinazione di esserlo. Non basta essere a bordo di un barcone più o meno fatiscente per godere di tutela internazionalmente garantita, tranne nel caso in cui i trasportati non versino in stato di pericolo di vita. In tal senso s’esprime il nostro Codice della Navigazione, ove prevede (art. 1158) l’autonomo reato di omissione di assistenza a navi o persone in pericolo e le convenzioni SOLAS e SAR, che obbligano, nelle medesime circostanze e solo in quelle, di prestare soccorso ed assistenza per accompagnare in un luogo sicuro o, almeno, assicurarsi che alle persone in pericolo venga loro garantito tale soccorso.

La questione è spinosa e di non semplice attuazione pratica, soprattutto ove sia necessario identificare quale possa essere considerato “luogo sicuro”, più che “porto sicuro”, tenendo conto di circostanze inerenti le convenzioni specifiche interstatuali e le condizioni tecnicamente rilevanti, come quelle meteorologiche o derivanti dalla presenza di minori o ammalati a bordo del natante che s’intenda soccorrere. Il cosiddetto “porto sicuro”, evoluzione tecnica del “luogo sicuro” potrebbe essere tale dal punto di vista della sua idoneità a prestare efficace soccorso ed offrire rifugio a chi ne abbisogni, ma non essere idoneo perché non disponibile per scelte politiche di questo o di quello Stato (sovrano, non dimentichiamolo) che non volesse accogliere i soccorsi. Interi tomi di diritto internazionale e diritto marittimo si occupano della questione del salvataggio in mare, ed ovviamente ne abbiamo, qui, soltanto fatto un conciso accenno, ma rimane il fatto che se non esiste un pericolo attuale e reale per la vita dei naviganti, non esista obbligo alcuno di recare loro salvataggio.

Ma quando non si possa parlare di naufraghi, bensì si tratti di migranti, ossia persone che ritengano opportuno, di loro volontà, trasferirsi in altri Paesi per motivi economici, la questione cambia radicalmente. In questo caso, la legge del mare e le convenzioni internazionali non possono trovare applicazione, se non limitatamente alle garanzie che chiunque ha a proposito di trattamento conforme alla dignità umana ed alla sua inviolabilità personale. Le norme sulla migrazione, trattate peraltro non uniformemente da ogni nazione, sono le uniche alle quali sarà possibile fare riferimento e le uniche da rispettare e delle quali pretendere il rispetto, come per ogni norma. Un atteggiamento, potremmo dire “buonistico”, molto diffuso nella cultura politically correct della nostra sinistra, che pervade larga parte del mainstream italico, porterebbe a non porre alcun limite, nemmeno puramente numerico, alle istanze di coloro che ritengano l’Italia (e forse anche l’Europa, ma intanto sbarcano da noi) un luogo dove si viva meglio e ciò è un gravissimo errore. Non abbiamo certo scoperto adesso che l’Africa, o perlomeno la sua parte centrale, non offra grandi prospettive ai suoi abitanti, ma non per questo possiamo accoglierli tutti, anche perché non siamo minimamente in grado di offrire loro qualcosa di realmente migliore. Non coglie affatto nel segno ricordare le nostre migrazioni verso le Americhe, o verso il Canada e l’Australia degli anni 50-60 del secolo scorso, anzi, riafferma il principio secondo il quale se si emigra in altra parte del mondo bisogna prima sapere cosa si va a fare, avere i documenti in regola, rispettare le leggi dei Paesi che ci accoglieranno e potranno darci lavoro, con le loro modalità che non potremo certo modificare noi. Si pensi soltanto, per parlare di oggi, di quali limiti la civilissima e mai stigmatizzata Australia ponga all’emigrazione per scopi di lavoro o di semplice turismo. Sono severissimi, non concedono sconti né deroghe e va bene a tutto il mondo, e tutti li lasciano (giustamente) fare, mentre a noi tutti fanno la morale. Non esiste né potrà mai esistere emigrazione senza regole, senza documenti, senza rispetto di norme anche sanitarie (ora più che mai cogenti e necessarie) e certamente mai potrà essere definita emigrazione quella di chi s’introduce sul suolo altrui contro la volontà e le norme degli abitanti di quel Paese. Qualcuno parla, invece, d’invasione. Difficile dare loro torto del tutto, se non per questione di numeri, anche se, su quelli, basterà aspettare qualche anno ancora e poi, semmai, riparlarne.

Profughi, esiliati o rifugiati allora? in questo caso, la definizione è applicabile unicamente alle persone che hanno dovuto lasciare il loro Paese perché perseguitati (in modo grave e dimostrabile, e non per semplice dissenso con l’autorità statale) o perché colpiti da guerre e calamità che ne avrebbero compromesso l’incolumità e l’esercizio dei loro diritti insopprimibili. Tale condizione deve essere valutata caso per caso e non certo concedibile d’ufficio a chiunque provenga da una data nazione. Il c.d. diritto umanitario è in costante sviluppo, benché molte siano le critiche ad alcune sue emanazioni di parte o dettate da interessi economici. È materia davvero ostica e non facilmente applicabile senza conoscere le reali condizioni dei singoli, soprattutto nel caso in cui gli stessi si professino, per fare un esempio largamente attuale, appartenti ad una nazionalità diversa da quella reale, approfittando, magari, della circostanza che in una nazione vi sia effettivamente o meno la guerra. È forse il caso più spinoso da affrontare e, comunque, la soluzione non è mai tabellare. Si pensi al caso di Paesi in cui la costante violazione dei diritti fondamentali dei singoli sia la norma quotidiana (e ne conosciamo a decine se non centinaia, e quasi tutti popolosissimi); che fare in quei casi? Li dichiariamo tutti rifugiati e li accogliamo tutti? Attenti con le definizioni e con l’ecumenismo.

E che dire dei clandestini, infine? Unico caso, almeno in linea teorica, di soluzione più semplificata. Nessuno stato di diritto può ammettere sul proprio territorio chi vi s’introduca con l’inganno o nascostamente. Se mettessimo in dubbio questo elementare principio di civiltà sarebbe la fine della legalità. Eppure qualcuno vorrebbe equipararli ai migranti, ai naufraghi, agli esiliati. A quel punto, per coerenza e dirittura morale, bisognerà non perseguire nemmeno chi ruba per fame, chi si sottrae al fisco per bisogno economico, chi persino uccida per provata esasperazione. Ma la legge va rispettata, pur con il contemperamento delle attenuanti di pena da essa previste, come quelle dell’art. 62 del Codice Penale vigente. Ma la clandestinità, in Italia come in ogni altro Paese civile, è ancora un reato. Lo si tolga, magari (con le conseguenze del caso) e poi non faremo più nulla nei confronti di chi si è introdotto clandestinamente da noi.


Alberto Pento
L'articolista si è dimenticato alcuni aspetti importanti a cui va in ogni caso subordinata l'accoglienza:
1) i costi dell'accoglienza e le possibilità economico-finanziarie del paese,
2) la sicurezza dello stato e il benessere dei cittadini,
3) la compatibilità politico colturale dei migranti e dei naufraghi con con il paese che potrebbe accoglierli.
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » mer feb 03, 2021 4:02 am

Incostituzionale negare la casa agli stranieri, la Consulta spalanca le porte agli irregolari
Chiara Giannini - Mar, 10/03/2020


https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 9_aibhU72g

Sentenza choc: "Alloggio popolare anche a chi non è residente da tempo"

La nuova sentenza della Corte costituzionale è destinata a far discutere. La Consulta ha infatti stabilito, con la sentenza 44 depositata lunedì 9 marzo, che «è irragionevole negare l'accesso all'edilizia residenziale pubblica (ovvero le case popolari) a chi, italiano o straniero, al momento della richiesta non sia residente o non abbia un lavoro nel territorio della Regione da almeno cinque anni».

La relatrice, Daria De Pretis, ha esposto i termini della decisione spiegando come la censura fosse stata sollevata dal Tribunale di Milano sul requisito «della residenza o dell'occupazione ultraquinquennale stabilito dalla legge della Regione Lombardia 16 del 2016 per accedere ai servizi abitativi (articolo 22, primo comma, lettera b)». Come si legge nelle motivazioni, «questo requisito, infatti, non ha alcun nesso con la funzione del servizio pubblico in questione, che è quella di soddisfare l'esigenza abitativa di chi si trova in una situazione di effettivo bisogno». Il requisito delle residenza per 5 o più anni, insomma, ai fini della concessione dell'alloggio popolare non ha giustificazione perché non costituisce indice «di un'elevata probabilità di permanenza», ma anche perché il fatto che il richiedente sia radicato sul territorio non costituisce metro per l'esclusione dal diritto di avere un alloggio.

Il periodo di cinque anni potrebbe quindi essere fondamentale solo per la formazione delle graduatorie. Per la Corte la norma viola i principi di uguaglianza e ragionevolezza perché discrimina una fascia di persone. Oltretutto, secondo i giudici che hanno emesso la sentenza, quella stessa norma va a contrastare anche con il principio di uguaglianza sostanziale, perché il requisito temporale richiesto contraddice la funzione sociale dell'edilizia residenziale pubblica. Un problema, quello delle case popolari, molto sentito anche a causa del numero degli stranieri che negli anni hanno superato per assegnazioni e in graduatoria moltissimi cittadini italiani.

La legge in questione era stata approvata nel 2016 dal governo presieduto da Roberto Maroni e guidato dalla Lega, che tutt'oggi è al governo della Regione Lombardia. Nella stessa come requisito si richiedeva la prova della «residenza anagrafica» per accedere alla graduatoria per le case popolari. Il requisito andava a escludere gli extracomunitari che da poco sono sul territorio nazionale. Requisito che aveva fatto scaturire la protesta di numerose associazioni legate al mondo dell'accoglienza. Già alcuni anni fa proprio la Lega aveva proposto di estendere la durata della permanenza sul territorio a 15 anni. Ora, però, con questa sentenza si va ad annullare la possibilità che i cittadini italiani possano avere la priorità sugli stranieri. Con la conseguenza di inevitabili proteste e polemiche che, questo è certo, potranno scaturire sia da parte di chi difende il diritto alla casa per i residenti che degli stessi richiedenti.




Alberto Pento
L'errore (se di errore si tratta e non di un crimine contro i cittadini italiani) di questa magistratura demosinistra è quello di considerare i cittadini e i non cittadini alla stessa stregua come aventi tutti lo stesso diritto, cosa che non è perché i non cittadini per esempio non hanno i diritti politici (e non votano) e non vedo perché dovrebbero godere dei diritti civili legati alla cittadinanza; ciò che i non cittadini debbono avere di uguale ai cittadini sono i soli diritti umani e i diritti civili legati al lavoro, alla tassazione e alla contribuzione.
I diritti civili come quello alla casa fornita dalla comunità (in modo permanente a chi si trovasse in difficoltà per qualche ragione non legata a colpe e a dolo) dovrebbe maturarsi solo con l'acquisizione della cittadinanza e del relativi diritti politici. Oppure nel caso di non cittadini residenti che hanno contribuito con il lavoro e la tassazione per un certo periodo minimo a loro si potrebbe riconoscere il diritto a un alloggio in caso di necessità e solo per un periodo minimo da definire. Ai non cittadini clandestini, irregolari e se regolari e che non lavorano sia per cause a loro imputabili sia per crisi economica non veve essere riconosciuto questo diritto e nadrebbero espulsi.
I non cittadini non possono essere equiparati in tutto e per tutto ai cittadini e godere dei diritti civili e politici legati alla cittadinanza.
Eppoi andrebbe fatta una ulterione considerazione in relazione al principio di reciprocità vigente con i vari paesi di provenienza dei non cittadini garantendo loro solo quello che i loro paesi garantiscono ai migranti non cittadini di provenienza italiana.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » mer feb 03, 2021 4:02 am

Europa e migrazioni: a che punto siamo?
9 settembre 2020

https://www.ispionline.it/it/pubblicazi ... s.facebook

La pandemia non ci ha reso migliori, e, rinchiusi nei loro egoismi, i paesi europei non riescono ad accordarsi per una politica comune sulle migrazioni. Intanto il campo profughi di Moria a Lesbo è stato ridotto in cenere da un incendio e migliaia di persone sono in fuga.

Il campo di Moria, sull’isola greca di Lesbo, che ospita circa 12.600 richiedenti asilo, è stato quasi completamente distrutto dalle fiamme. Numerosi incendi, nella notte, hanno ridotto gran parte del campo in cenere e sarebbero migliaia le persone in fuga. Si indaga sull’ipotesi di un incendio doloso appiccato contro le misure di lockdown, imposte dopo alcuni casi di contagio da coronavirus. Le metafore, sui giornali, si sprecano: “la ground zero dell’Europa”, “la vergogna europea in fumo”. Intanto, dopo una breve pausa registrata durante le settimane di picco europeo della pandemia, fragili imbarcazioni hanno ripreso il mare, principalmente dalla Libia, nel disperato tentativo di raggiungere le coste europee. La guardia costiera dell'Unione europea, Frontex, ha smesso da tempo di pattugliare ovunque nel Mediterraneo e lungo le rotte più ‘calde’ per l’attraversamento, le navi di soccorso gestite dai gruppi non governativi, così come i mercantili di passaggio, tentano di colmare la lacuna come possono. Per i ‘fortunati’ che ce la fanno, spesso feriti e malati, e i loro soccorritori, dopo il salvataggio in mare inizia un cinico braccio di ferro: possono trascorrere settimane senza che le persone, stipate su barche sovraffollate, riescano a mettere piede a terra mentre i governi europei litigano su chi ha la responsabilità e dove farli sbarcare. È il caso recente di Sea Watch 4, imbarcazione che a fine agosto ha dovuto attendere 10 giorni prima di poter trasferire i 353 migranti soccorsi su una seconda nave, dove stanno ancora oggi trascorrendo il periodo di quarantena. Intanto da anni l’UE cerca (invano) un accordo sulla riforma del sistema di Dublino, che carica sulle spalle dei paesi di primo approdo gli oneri connessi all’arrivo dei migranti e richiedenti asilo. Il fallimento nell’adozione di un criterio strutturale che consenta di condividere le responsabilità relative a migranti e rifugiati è alla base di politiche che violano i diritti umani, ‘appaltando’ ad altri, come la sedicente guardia costiera libica, il lavoro sporco.

Nuovo patto UE sui migranti?

Un anno fa, a La Valletta, i governi di Germania, Francia, Italia e Malta si erano impegnati per istituire un meccanismo automatico di ricollocamenti volontari. Dopo alcuni mesi in cui l’accordo ha retto, da gennaio scorso si è tornati allo status quo ante: Malta e Italia, i luoghi sicuri più vicini per chi fugge dalla Libia, continuano a rimbalzarsi responsabilità e soccorsi. Una svolta è necessaria e urgente. Invece di estenuanti trattative ad ogni attracco, i singoli paesi membri dovrebbero concordare in anticipo come condividere la responsabilità del ricollocamento. Con un accordo permanente, infatti, paesi di primo approdo come Malta e Italia non avrebbero motivo di opporsi allo sbarco immediato delle persone soccorse. Per questo la Commissione Europea sta pensando di rilanciare settimana prossima un nuovo ‘Patto sulla migrazione e l’asilo’, per cercare di superare lo stallo di Dublino.

Che effetto ha avuto la pandemia?

La comparsa del nuovo coronavirus in Europa, verso la fine di febbraio 2020, è coincisa con una corsa alla chiusura delle frontiere che non ha risparmiato i migranti. Dopo l’Austria, che ha chiuso le frontiere con l’Italia l’11 marzo, in totale ben 18 paesi Schengen su 26 hanno reintrodotto i controlli ai valichi di terra, con l’intento esplicito di tenere sotto controllo il flusso di cose e persone e limitare la diffusione del virus. Ma oltre a chiudersi le porte in faccia gli uni con gli altri, i paesi membri che fanno parte dello spazio di libera circolazione si sono dimostrati inflessibili con potenziali rifugiati oltrefrontiera. Con il collasso della solidarietà intraeuropea si è scelto di concentrarsi sull’unica risposta che è parsa funzionare, almeno nel breve periodo: chiedere ai paesi limitrofi e che si trovano lungo le rotte migratorie (Turchia e Libia in primis) di fare di tutto per impedire il passaggio in direzione del Vecchio continente.


Una crisi che non c’è?

Tutto ciò accade mentre i numeri non sono certo quelli del 2015, quando la crisi spinse verso l’Europa circa un milione di persone. Secondo le elaborazioni ISPI su dati del ministero degli Interni, il periodo di alta stagione degli sbarchi in Italia è terminato ormai da oltre tre anni, esattamente da metà luglio 2017, in seguito all’azione diplomatica e di intelligence italiana ed europea in Libia che ha indotto le milizie e i trafficanti a trattenere i migranti più a lungo nei centri di detenzione e a ritardarne la partenza (menzione particolare merita il memorandum italo-libico del febbraio 2017). Inoltre, nel corso della “prima ondata” della pandemia in Italia (fine febbraio - inizio maggio 2020), gli sbarchi in Italia si sono considerevolmente ridotti anche rispetto al periodo precedente. A marzo, in particolare, complici condizioni atmosferiche avverse, gli arrivi irregolari sulle coste italiane sono diminuiti dell’80%. Malgrado questa estate gli sbarchi siano invece tornati ad aumentare, per fine 2020 si prevede che potrebbero sbarcare irregolarmente nel nostro paese un totale di circa 25.000 persone: una cifra dell’85% inferiore rispetto a quella registrata nel 2016.

Tempo di una svolta?

Il nuovo “Patto sulle migrazioni e l’asilo” che sarà presentato in occasione del discorso di Ursula von der Leyen sullo Stato dell’Unione, il prossimo 16 settembre, intende sancire “un nuovo inizio” per le politiche UE in questo campo. Ma soprattutto punta a coinvolgere i paesi dell’Europa centrale, storicamente i più restii ad assumersi la loro parte di responsabilità, unendo il tema dei migranti a quello della protezione delle frontiere esterne. La strategia è quella di un ‘approccio globale’, che consenta di superare stalli e resistenze in un momento favorevole, con numeri bassi e senz’altro gestibili in una regione di 500 milioni di abitanti. A ben guardare, infatti, a rimanere “in ostaggio” dei carcerieri, dello stallo normativo e dello scontro tra paesi membri dell’Unione non sono solo coloro che fuggono e i loro soccorritori: anche la democrazia europea appare sotto assedio da movimenti populisti e dell’estrema destra che un po’ ovunque in Europa hanno ripreso forza. Un approccio coordinato fermerebbe l'inutile crudeltà di costringere le persone in fuga a sopportare lunghe attese su navi anguste, restituirebbe ai diritti umani il loro ruolo di principi guida della politica dell'UE nel Mediterraneo e interromperebbe la spirale di una narrazione mediatica su cui prospera l'estrema destra.

Il commento

di Matteo Villa, ISPI Research Fellow

“Sono ormai trascorsi cinque anni dall’inizio dell’ultimo ciclo di riforme delle politiche migratorie in Europa. Da allora, purtroppo, di passi avanti non ne sono stati fatti molti. È inevitabile, visto che le visioni dei paesi del sud e dell’est Europa sembrano inconciliabili, con i primi che chiedono più solidarietà e i secondi che propongono solo nuove chiusure delle frontiere.

La pandemia di Covid-19 e l’ulteriore difficoltà a spostarsi a causa dell’emergenza sanitaria hanno messo in luce in tutta la loro paradossale crudezza le due facce delle migrazioni in Europa. Da un lato giudicate essenziali, almeno per alcuni settori economici che dalla primavera si sono trovati sprovvisti di decine di migliaia di lavoratori stagionali. Dall’altro facile preda di narrazioni populiste e xenofobe, ancor più oggi che l’emergenza sanitaria fornisce alle parti politiche un ulteriore argomento a favore di maggiori controlli e della massima riduzione degli ingressi dall’estero.

Staremo a vedere se da questo clima di incertezza uscirà, a sorpresa, qualcosa di buono. O se, come è più probabile, sarà necessario attendere tempi migliori perché finalmente l’Europa trovi il necessario equilibrio tra solidarietà, responsabilità e necessità di controllo”.

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)





Gino Quarelo
Articolo demenziale e falso. Difendere il proprio paese dall'invasione è un dovere e un diritto umano e civile e non egoismo.
L'accoglienza indiscriminata e scriteriata a prescindere dalle possibilità, dalla compatibilità, dalla volontà e dalla libertà è demenzialità e criminalità, intesa come solidarietà obbligatoria è la e più subdola e odiosa forma di schiavitù.






L'UE demenziale che viola i diritti umani, civili e politici dei cittadini europei


Corte europea condanna l’Ungheria: “Non ha accolto i migranti e ha violato diritto Ue”
Annalisa Cangemi
17 dicembre 2020

https://www.fanpage.it/politica/corte-e ... iritto-ue/

Ungheria ancora osservata speciale per le violazioni del diritto europeo. Le violazioni riguardano la limitazione dell'accesso alla procedura di protezione internazionale, il trattenimento irregolare in zone di transito dei migranti che richiedono la protezione, e la riconduzione in una zona frontaliera di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

"L'Ungheria è venuta meno agli obblighi del diritto dell'Unione in materia di procedure di riconoscimento della protezione internazionale e di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare", dice la Corte di giustizia dell'Unione europea in una sentenza. Ora l'Ungheria dovrà conformarsi alla sentenza: se non lo farà la Commissione potrà chiedere sanzioni pecuniarie.

In particolare, si legge, ha violato del diritto dell'Unione per "la limitazione dell'accesso alla procedura di protezione internazionale, il trattenimento irregolare dei richiedenti in zone di transito nonché la riconduzione in una zona frontaliera di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, senza rispettare le garanzie della procedura di rimpatrio".

La Corte ha accolto la parte essenziale del ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione contro l'Ungheria. Ed ha stabilito che il Paese guidato da Viktor Orban è venuto meno "al proprio obbligo di garantire un accesso effettivo alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale, in quanto i cittadini di Paesi terzi che desideravano accedere, a partire dalla frontiera serbo-ungherese, a tale procedura si sono trovati di fronte, di fatto, alla quasi impossibilità di presentare la loro domanda".

I giudici ricordano "che la presentazione di domanda di protezione internazionale, prima della sua registrazione, del suo inoltro e del suo esame, costituisce una tappa essenziale nella procedura di riconoscimento di tale protezione, e che gli Stati membri non possono ritardarla in modo ingiustificato. Al contrario, devono garantire che gli interessati possano essere in grado di presentare una domanda, anche alle frontiere, non appena ne manifestino la volontà".

Per la Corte Ue è poi una violazione delle norme europee anche "l'obbligo imposto ai richiedenti protezione internazionale di rimanere in una zona di transito durante l'intera procedura di esame della loro domanda", che "costituisce un trattenimento". Infine, l'Ungheria è venuta meno agli obblighi della direttiva ‘rimpatrio', "in quanto la normativa ungherese consente di allontanare i cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno nel territorio è irregolare senza rispettare preventivamente le procedure e le garanzie previste da tale direttiva".

I giudici hanno anche "respinto l'argomento dell'Ungheria secondo cui la crisi migratoria avrebbe giustificato una deroga a talune norme delle direttive ‘procedure' e ‘accoglienza', al fine di mantenere l'ordine pubblico e di salvaguardare la sicurezza interna".
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » mer feb 03, 2021 4:03 am

La Camera approva il nuovo dl Sicurezza: stop multe a Ong e più accoglienza
Luca Sablone
9 dicembre 2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 08616.html


Inizia lo smantellamento dei decreti di Salvini: via le maxi sanzioni e vietato rimpatriare i migranti che si sentono perseguitati. Ira del centrodestra: "Grillini campioni di voltafaccia, oggi giornata nefasta per l'Italia"

Arriva l'ok della Camera al nuovo decreto Immigrazione con 279 voti favorevoli, 232 contrari e 9 astenuti. L'Aula di Montecitorio ha così dato il suo via libera finale al provvedimento che passa ora all'esame del Senato e che dovrà essere convertito in legge entro il 20 dicembre.

Sono stati tre i deputati del Movimento 5 Stelle ad aver espresso un parere contrario al dl in questione, andando in dissenso con la linea del proprio pruppo: si tratta di Fabio Berardini, Francesco Berti e Andrea Colletti. Invece 17 grillini non hanno partecipato al voto, 3 si sono astenuti e 22 risultano in missione. Dunque sono ufficialmente iniziate tutte le operazioni necessarie per smantellare i decreti Sicurezza che portano la firma di Matteo Salvini.

Con il voto finale passa la linea dell'accoglienza indiscriminata dei migranti "per favorire la mangiatoia delle cooperative rosse e le Ong per favorire la mangiatoia delle cooperative rosse e le Ong". Un traguardo negativo reso possibile dalla giravolta dei pentastellati, "campioni del voltafaccia, nel guinness dei primati per cambio di idee" e che si sono dimostrati "perfetti 'signor pronti a tutto' pur di non andare a casa". "Accettano i ricatti della sinistra per continuare una fallimentare esperienza di governo, dimostrando di non conoscere il significato della parola coerenza", è l'affondo che arriva da Francesco Lollobrigida di Fratelli d'Italia. Anche il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, è andato all'attacco ricordando il recente tradimento dei 5S sul fondo salva-Stati: "Tra il voto a favore del Mes e l'abrogazione del dl Sicurezza a suo tempo approvato dai grillini quando governavano con la Lega, il Movimento 5 Stelle ha scritto la pagina più nera del camaleontismo politico".

La Lega ha protestato alla Camera durante il dibattito sul nuovo decreto Sicurezza. I deputati del Carroccio hanno esposto uno striscione con su scritto "Stop decreto clandestini"; dalle tribune è stata fatta scendere una gigantografia con una foto del premier Giuseppe Conte e l'ex ministro dell'Interno Salvini quando avevano emanato i decreti per fermare gli sbarchi. "Via il cartello e via gli striscioni dalle tribune", ha detto il presidente della Camera Roberto Fico. La bagarre è proseguita per qualche secondo con una serie di cori che arrivavano dai banchi leghisti.

Cosa cambia

Sono diverse le novità rispetto alla normativa introdotta dal governo gialloverde: stop alle multe milionare alle Ong, eliminazione del tetto massimo di ingressi e ampliamento del sistema di accoglienza mediante l'introduzione del regime di protezione speciale. Potranno essere convertiti in permessi di lavoro il permesso di soggiorno per protezione speciale (ad eccezione dei casi per i quali siano state applicate le cause di diniego ed esclusione della protezione internazionale) e il permesso di soggiorno per calamità.

Sostanzialmente si torna all'era pre-decreti Sicurezza soprattutto sul tema delle sanzioni alle Organizzazioni non governative che trasportano gli immigrati: le uniche sanzioni saranno quelle previste dall'ambito penale e vanno da 10mila a 50mila euro; a irrogarle non sarà il prefetto ma il giudice, solo nel caso in cui ci dovessero essere le condizioni per un processo penale. Le vecchie norme invece prevedevano maxi multe da 150mila a un milione di euro con la confisca delle navi.

Rivista la norma che vieta le espulsioni di migranti verso i Paesi dove l'individuo potrebbe subire persecuzioni per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche e condizioni personali o sociali. Grazie all'approvazione di un emendamento sono stati aggiunti l'orientamento sessuale e l'identità di genere come criteri relativi alle possibili persecuzioni e di fronte ai quali non possono avvenire i rimpatri.

"Per i reati commessi con violenza alle persone o alle cose durante il trattenimento" nei centri di accoglienza "è facoltativo l'arresto dell'autore del fatto anche fuori dei casi di flagranza e si procede con rito direttissimo".
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Re: Migrare e non, accogliere e non, diritti e doveri

Messaggioda Berto » mer feb 03, 2021 4:05 am

Chi tiene ai diritti dell’uomo e alla libertà deve difendere Israele
Davide Cavaliere
13 luglio 2020

https://www.corriereisraelitico.it/chi- ... e-israele/

Ugo Volli è un semiologo, critico teatrale e accademico italiano. Ha alle spalle oltre duecento pubblicazioni scientifiche e una decina di libri. È stato professore ordinario di semiotica del testo all’Università di Torino e direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Comunicazione (CIRCe). Ha collaborato con Umberto Eco. Autore delle celebri «Cartoline da Eurabia» per Informazione Corretta. Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo: Israele. Diario di un assedio (Proedi editore, 2016) e Il resto è interpretazione. Per una semiotica delle scritture ebraiche (Belforte Salomone, 2019).

Ha accettato di rispondere ad alcune domande per il Corriere Israelitico.

È stato diffuso sui social media il video di un ragazzo che, in uno sfogo, apostrofa come «negra» una donna con cui ha avuto un incidente automobilistico. La vicenda, che fino a non molto tempo fa sarebbe stata derubricata come atto di maleducazione o «bravata», ha visto l’intervento della Digos, di due ministri e la società sportiva per la quale il diciannovenne giocava lo ha espulso. Secondo lei, abbiamo un problema con alcune parole? Corriamo, davvero, il rischio di una manipolazione del linguaggio e, di conseguenza, della realtà?

La linguistica ci insegna che il linguaggio funziona secondo un regime di arbitrarietà. Ciò comporta che non vi è un significato unico e autentico per le parole, né una loro connotazione valoriale fissa, ma il senso è fissato socialmente e muta con il cambiamento sociale. Per esempio la parola «giudeo» che in Italia ha un valore negativo e insultante, corrisponde etimologicamente a «jew», «Juif» e perfino all’ebraico «jehudì», che sono designazioni neutre di ciò che noi chiamiamo «ebreo». «Negro» non è intrinsecamente insultante, è ovviamente legato etimologicamente a «nero», che invece oggi è una dizione accettata. Le interdizioni linguistiche spesso seguono una dinamica dell’eufemismo: si proibisce di usare un termine che designa una realtà censurata (parti del corpo, luoghi e attività «impresentabili» ecc.) o che rappresenta qualcosa in maniera insultante ed esso è sostituito da un’altra parola, perché bisogna pure poter nominare la cosa; ma essa diventa a sua volta insopportabile ed è a sua volta sostituita… senza fine. Così per esempio la serie luogo di prostituzione → «postribolo» → «casino» → «casa chiusa» ecc. «Negro» è insultante perché è stato usato per insultare e per questo è ora interdetto. Ma proibire le parole non elimina i rapporti sociali che esse servono a designare. Il «politically correct» nel linguaggio ancor prima di essere una violenza è una sciocchezza che non può funzionare.

Il movimento Black Lives Matter si è fatto portatore di un vero e proprio affatturamento linguistico: Colombo è diventato un «genocida» e Amedeo IV di Savoia un «colonizzatore». Quali sono le caratteristiche salienti del suddetto movimento? Rappresenta una minaccia alla democrazia?

«Black lives matter» è un movimento antidemocratico e fascistoide fin dal nome. I suoi aderenti hanno spesso sottolineato che intendono questa denominazione nel senso di dire che «solo» e non «anche» le vite dei neri contano, e hanno rifiutato con decisione ogni estensione a «tutte le vite». Di fatto il movimento è portatore di un’ideologia «rivoluzionaria» che nega l’uguaglianza dei diritti e discrimina gli avversari, spesso definiti in maniera razzista e discriminatoria: i «bianchi», gli ebrei, gli uomini, gli eterosessuali. I suoi metodi sono violenti, il suo rispetto per la libertà di chi non la pensa come loro è inesistente. È l’ennesima riedizione del tentativo di eliminare la civiltà liberale che ha fatto grande l’Occidente. Si tratta di un gruppo molto minoritario, che purtroppo è coperto oggi, per viltà o per interesse, da buona parte della sinistra anche democratica.

I militanti antirazzisti, oggi, sono fieri avversari di Israele. Quali sono le origini di questo odio «progressista» verso lo Stato Ebraico?

I veri militanti antirazzisti, a partire da Martin Luther King, sono sempre stati sostenitori di Israele. L’atteggiamento su Israele può essere preso come test per verificare l’autenticità dell’antirazzismo di un movimento. La ragione per cui alcuni movimenti che si pretendono «di liberazione» (riguardo al razzismo, ma anche agli orientamenti sessuali, al genere ecc.) sono anti-Israele si chiama «intersezionalità». Tutte le oppressioni, secondo questa teoria, avrebbero un’unica matrice, cioè il sistema occidentale della libertà politica ed economica. Con altro nome, è quel che già sosteneva Stalin, e poi da noi fu ripreso da Toni Negri: anche se la teoria marxista della lotta di classe non funziona e se gli operai hanno capito che il progresso sociale si ottiene col liberalismo e non col comunismo, quel che conta è unire tutti i nemici dello «stato di cose esistente». Di questo tentativo di coalizione dovrebbero far parte dunque non solo neri, donne, omosessuali e transessuali, ma anche gli islamisti, che pure sono portatori di un’ideologia clericale e reazionaria di oppressione delle donne e di violenta repressione dell’omosessualità, ma sono nemici dell’Occidente. E poiché odiano in maniera razzista gli ebrei e il loro stato, è «intersezionale» per gli «antirazzisti» condividere quest’odio razzista. Questa ragione politica si fonde poi col vecchio odio degli ebrei che da sempre ha un posto importante nei pregiudizi della cultura europea (oltre che islamica).

La civiltà occidentale ha sviluppato il concetto di «diritti dell’uomo» per proteggere gli individui dall’arbitrio del potere, attualmente hanno assunto i tratti di una religione secolare attraverso cui legittimare e giustificare il separatismo islamico nelle città europee, l’infibulazione, l’uso del burka… i «diritti umani» sono una minaccia alla sopravvivenza della civiltà europea?

Intesi secondo il buon senso e il significato originario, i diritti dell’uomo sono la sintesi dei valori occidentali, la parità di fronte alla legge, la libertà politica, l’integrità fisica e il diritto di proprietà. Gli islamisti non li hanno mai accettati, tant’è vero che ne hanno proposto una versione adulterata e musulmanizzata con la dichiarazione del Cairo del 1990. Non esiste nulla nelle dichiarazioni dei diritti dell’uomo (a partire da quella francese approvata nel 1789, fino a quella promulgata dall’Onu nel 1948) che autorizzi l’inferiorità delle donne sancita dall’obbligo del burka in certi stati islamici o addirittura alla loro mutilazione per impedirne la libertà sessuale con l’infibulazione. Nè in essi si può trovare la base per le censure dell’«islamofobia» che oggi è uno degli obiettivi dei movimenti islamisti e delle organizzazioni internazionali da essi influenzate come l’Unesco e altro organismi dell’Onu. Infine non vi è rapporto fra i diritti dell’uomo e la pretesa di un diritto generalizzato all’immigrazione. La cosiddetta «religione dei diritti umani» non è altro che una definizione propagandistica e deformante dell’agenda politica di sinistra, che tradisce le ragioni liberali su cui si è costruita l’idea dei diritti umani. È importante anche indicare che vi è un fondamento religioso, ebraico e poi cristiano dell’idea di una comune dignità degli esseri umani, che la tradizione rabbinica fa derivare dalla comune discendenza da una sola coppia di progenitori, com’è descritta all’inizio della Bibbia: il contrario di ogni possibile razzismo.

In che modo la retorica dei «diritti umani» viene impiegata per delegittimare Israele?

I diritti umani non hanno nulla a che fare con la delegittimazione di Israele (spesso praticata insieme alla sua demonizzazione, sulla base di un doppio standard: sono le tre «D» che Natan Sharansky ha proposto come test per definire la differenza fra un’opposizione legittima e l’antisemitismo). Israele viene spesso accusato di crimini inesistenti e bizzarri, che hanno senso solo per riattivare i vecchi miti antisemiti: per esempio ucciderebbe i bambini, sottrarrebbe ai nemici i loro organi interni, profanerebbe i luoghi sacri ecc. Sono calunnie insensate e senza base, come l’accusa spesso ripetuta di sottoporre i palestinesi alle stesse persecuzione che gli ebrei subirono dai nazisti. Si tratta in questo caso di un trasparente (anche se per lo più incosciente) tentativo di trasferire sulle vittime ebraiche le colpe dell’Europa. Di fatto Israele, anche se naturalmente non è perfetto e può compiere degli errori come tutti gli altri stati del mondo, è il solo paese nella vastissima area geografica fra l’Oceano Atlantico e l’India dove i diritti umani (e quelli politici e sociali) sono rispettati e attivamente promossi; in cui vigono le libertà di espressione, di associazione e di religione; in cui le minoranze etniche, religiose e politiche possono organizzarsi liberamente; in cui la magistratura è indipendente, i militari obbediscono alla politica, i governi sono liberamente scelti dall’elettorato; vi sono pari opportunità per uomini e donne e non sono ammesse discriminazioni sulla base degli orientamenti sessuali. Nonostante il terrorismo ininterrotto e le numerose guerre, i diritti umani, politici e sociali non sono mai stati sospesi in Israele e in buona parte si estendono anche ai non-cittadini, magari esplicitamente nemici come i sudditi dell’Autorità Palestinese. Chiunque provi a usare il criterio dei diritti umani per attaccare Israele, lo fa ignorando i fatti più elementari sulla vita del paese o in malafede. Al contrario, chi tiene ai diritti dell’uomo e alla libertà deve difendere Israele. Come diceva Spadolini, la libertà, anche quella dell’Europa, si difende sotto le mura di Gerusalemme.

Grazie professor Volli.
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