Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » lun lug 17, 2017 7:12 pm

???

Kepel: "Migranti, l'Italia non può diventare la discarica di tutta l'Africa"
Lorenzo Cremonesi
Milano, 17 luglio 2017

http://www.corriere.it/esteri/17_luglio ... b8c9.shtml

L’intervista
Il celebre politologo: «L’Italia non può accogliere le navi straniere colme di migranti


«Occorre assolutamente che i leader europei, in particolare di Francia, Germania e Italia, si riuniscano a Bruxelles per elaborare una politica comune di fronte al problema migranti. L’Italia non può accogliere le navi straniere colme di migranti, come del resto non può diventare la discarica delle masse di persone che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente mentre l’Europa non fa nulla per aiutarla». È molto determinato Gilles Kepel mentre riflette sulle questioni poste dai massicci arrivi di migranti sulle nostre coste. Il celebre politologo francese, noto per i suoi studi sull’estremismo islamico, si occupa anche di questo tema in una serie di lezioni che sta tenendo all’Università di Lugano.

Centinaia e centinaia di migranti continuano ad arrivare sulle coste italiane. Nelle ultime ore sono approdate nei porti italiani anche navi battenti bandiera tedesca e britannica. Non crede che queste navi dovrebbero portare i migranti a casa loro?

«Credo che nei confronti della questione migranti l’Europa stia conducendo una politica assolutamente irresponsabile. Manca un coordinamento gestito da Bruxelles. L’Italia non può diventare uno spazio grigio dove arrivano i migranti senza alcun controllo e senza alcun coordinamento con gli altri partner di Bruxelles. Si rischia in questo modo di destabilizzare l’Italia in vista degli importanti appuntamenti elettorali dei prossimi mesi. E la questione migranti rischia di spostare il vostro elettorato verso le destre nazionaliste e il Movimento 5 Stelle. È tempo che le istituzioni europee smettano di disperdersi nei rivoli burocratici infiniti dei loro meccanismi interni e assumano finalmente le loro responsabilità nei confronti di questi giganteschi ed epocali movimenti di popolazioni che premono alle nostre coste meridionali. Il tema sarà sempre più esistenziale per l’unità europea. Occorre darci criteri di accoglienza e di divisioni dei compiti. Senza questo l’Italia diventerà sempre più una zona anarchica di accoglienza. La Germania continuerà a scegliere a suo piacimento gli elementi migliori tra i migranti. La Francia sempre più sarà costretta a ricevere i migranti che la Germania espelle. Mentre i Paesi dell’Est europeo continueranno a rifiutarli tout court».

Ma lei crede che le Ong abbiano davvero legittimità per andare a raccogliere i migranti al largo della Libia per portarli in Italia?

«No, non lo credo affatto. Non è compito delle Ong andare a raccogliere i migranti per portarli in Europa. Certo, a prima vista, è giusto e bello andare a salvare dal mare le masse di poveri in arrivo dall’Africa e dal Medio Oriente. È umanitariamente comprensibile, è giusto dar loro un pasto caldo, vestiti, le prime cure mediche, un passaggio verso i porti della Penisola. Però ci si deve rendere anche conto che per queste persone i problemi cominciano dopo lo sbarco. Ma soprattutto il problema è molto più complesso ed è compito degli Stati, in particolare dell’Unione Europea a Bruxelles, di decidere sulle politiche migratorie verso i nostri Paesi. Inoltre l’operato delle Ong indirettamente rinforza e aiuta l’attività dei trafficanti di esseri umani e i criminali in combutta con le milizie in Libia. Occorre comprendere che non è compito delle singole Ong andare a prendere i migranti in mare ma piuttosto aiutarli in Europa».

A parole il nuovo presidente francese Macron si dice vicino all’Italia. Ma in realtà la Francia non sta facendo nulla per aiutarci a risolvere il problema. Cosa ne pensa?

«In Francia sta crescendo una nuova emergenza per il fatto che negli ultimi mesi siamo costretti a ricevere masse di migranti espulse dalla Germania. Lo si vede tra i nuovi campi di tende e caravan cresciuti a nord di Parigi, attorno all’aeroporto Charles de Gaulle e ai nostri confini orientali. Persino la tristemente celebre “giungla” di Calais, che era stata smantellata di recente dalla polizia, è tornata a nuova vita. Non posso che tornare a ripetere che il problema va risolto assieme a livello di istituzioni europee. Nessun Paese da solo nell’Unione può farcela senza gli altri. In particolare i massimi responsabili di Germania, Italia e Francia devono riunirsi al più presto ed elaborare politiche comuni».
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » mer lug 19, 2017 1:54 pm

Immigrazione, il Belgio vuole mandare le navi in acque libiche
Ivan Francese - Mar, 18/07/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 21873.html

Il ministro degli Esteri di Bruxelles, Didier Reynders, propone di inviare le navi della missione Sophia fin sotto i porti libici per fermare l'immigrazione verso l'Europa

Una flotta di navi militari dei Paesi Ue pronta a sconfinare anche nelle acque territoriali libiche, pronte a tutto pur di fermare l'immigrazione clandestina: la proposta arriva dal ministro degli Esteri del Belgio, Didier Reynders, che la ha avanzata durante il vertice di ieri a Bruxelles.

In vista del rinnovo della missione Sophia, che scade il prossimo 27 luglio, il ministro belga ha proposto - come suggeriva peraltro già da tempo - di estendere il raggio d'azione delle navi dei Paesi Ue ben oltre il limite delle acque territoriali controllate dal governo di Tripoli. Questa mossa, ha spiegato, consentirebbe di passare alla "terza fase" della lotta ai trafficanti di uomini. Senza questa evoluzione, ha spiegato infatti, la missione rischia di trasformarsi in un pull factor per i migranti, spingendo il Belgio a ipotizzare l'abbandono della missione stessa, come già suggerito fra gli altri dal sottosegretario fiammingo all'immigrazione Theo Francken.

"Non ha senso attendere i migranti e i trafficanti nelle acque internazionali - commentava già il 17 luglio scorso Reynders - C'è qualcosa di cinico in questo." Fra le altre proposte dell'esecutivo belga per l'aggiornamento delle condizioni operative di Sophia, anche il controllo delle frontiere libiche a sud e al confine con la Tunisia.

Quello che è certo è che, come ha ricordato anche l'Alto commissario Ue per la Politica estera e la Sicurezza comune Federica Mogherini in un'intervista al quotidiano francese Le Monde, è praticamente impossibile che i flussi di immigrazione dalla Libia si interrompano prima che nel Paese torni a regnare la stabilità politica.
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » gio lug 20, 2017 2:09 am

Migranti, altolà dell'Ue all'Italia: "No ai visti umanitari, limitano Schengen"
Sergio Rame - Mar, 18/07/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/mig ... 21654.html

Bruxelles contraria al piano "nucleare" dell'Italia. L'Austria minaccia: "Pronti a proteggere la frontiera al Brennero". E Alfano frena sui visti umanitari
Bruxelles ha già stoppato l'idea dell'Italia di concedere visti umanitari a centinaia di migliaia di persone che sbarcano sul suo territorio.

Ieri, durante il vertice tra i ministri degli Esteri Ue, è stato ricordato ad Angelino Alfano che la Commissione aveva già chiesto all'Italia di imporre "restrizioni" alla libertà di movimento degli immigrati e di "evitare di fornire documenti di viaggio ai richiedenti asilo per prevenire movimenti secondari".

La posizione dell'esecutivo comunitario è contenuta nel piano d'azione adottato il 4 luglio scorso a sostegno dell'Italia. Secondo la legislazione europea, non è possibile concedere permessi di soggiorno che permettano ai richiedenti asilo di viaggiare in altri Paesi membri dell'area Schengen. Quanto alla direttiva numero 55 sulla protezione temporanea del 2001, che era stata approvata dopo la crisi del Kosovo, agli occhi della Commissione è destinata a una situazione in cui i cittadini di un'unica nazionalità chiedono asilo in massa. A quanto si apprende, l'esecutivo comunitario non ritiene che sia applicabile nel caso dell'Italia, come non lo era stato nella crisi dei rifugiati nel 2015 in Grecia. In ogni caso, la direttiva 55 del 2001 può essere attivata solo da una decisione del Consiglio adottata a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.

Se l'Italia dovesse oncedere forme di permesso di soggiorno ai migranti economici, compresi documenti di viaggio come era accaduto nel 2011, la Commissione ritiene che potrebbe avere un impatto negativo sul funzionamento dell'area Schengen. In altre parole, l'esecutivo comunitario potrebbe autorizzare gli Stati membri confinati a reintrodurre controlli sistematici alle frontiere con l'Italia per un periodo fino a due anni. Al Consiglio Esteri a Bruxelles il ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, è tornato a ventilare la possibilità che il suo Paese "protegga la frontiera al Brennero". A Vienna l'ipotesi dei "visti umanitari" ha messo in giro non poca preoccupazione. In realtà Alfano ha già escluso che questo sia una priorità del governo. "Non è una questione che noi abbiamo all'ordine del giorno - ha detto il titolare della Farnesina - di certo abbiamo una strategia che vuole essere efficace e ha la necessità di una cooperazione europea".
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » gio lug 20, 2017 1:08 pm

???

Defend Europe, l'operazione di respingimento in mare che aggira le leggi (e aggredisce i migranti)
Iside Gjergji
2017/07/20

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... ti/3740677

L’operazione “Defend Europe” rivela la tendenza più nascosta e inquietante delle politiche migratorie degli ultimi anni: la tendenza alla privatizzazione. I soggetti privati (le imprese) sono ormai diventati attori centrali nella gestione dei movimenti migratori. L’operazione “Defend Europe” rappresenta, in questo senso, un caso tangibile. L’operazione è condotta con l’utilizzo della nave “C-Star”: la nave è affittata dall’organizzazione di estrema destra europea, “Generazione identitaria” e ha come obiettivo il respingimento in alto mare dei migranti e dei richiedenti asilo che vogliono raggiungere l’Europa. Obiettivo assolutamente illecito secondo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che semplicemente vieta ogni respingimento collettivo, anche in acque internazionali. (???)

Risale al 23 febbraio 2012, infatti, la sentenza della Corte europea di Strasburgo, con la quale furono dichiarate illegali le operazioni di respingimento in alto mare, effettuate dal governo Berlusconi (2009), subito dopo il Trattato di amicizia con la Libia di Gheddafi. In altre parole, la Corte europea ha chiarito che, accordo bilaterale o no, nessuno Stato può respingere collettivamente le persone che emigrano. Occorre che prima sia vagliata la loro situazione individuale, secondo le norme internazionali e nazionali. Principio semplice e ragionevole, conquista del diritto europeo del Dopoguerra, dopo la tragica esperienza del fascismo e del nazismo, dove a contare non era l’agire individuale, ma l’appartenenza a una categoria sociale o razziale.

Gli Stati, dunque, avrebbero in qualche modo le mani legate: certe operazioni non potrebbero (e dovrebbero) farle. I lacci e lacciuoli del diritto internazionale (ancora) in vigore sono troppo vincolanti per consentire la realizzazione veloce delle politiche migratorie più à la page, quelle della serie “aiutiamoli a casa loro”. Ecco, allora, che parte delle operazioni vengono “appaltate” ad altri Stati, decisamente meno ipocriti in tema di diritti umani: alla Turchia, ad esempio, abbiamo dato sei miliardi di euro affinché ci levasse di torno i siriani che scappano da bombe lanciate da molti Stati, anche europei.

Gli “appalti” nelle politiche migratorie non si fermano però agli Stati extra-europei: laddove serve entrano in scena i soggetti privati, le imprese. La fase di accoglienza e detenzione amministrativa degli immigranti è quasi interamente gestita da soggetti privati in Europa. Multinazionali gigantesche, come G4S e Serco, e tante altre ancora, stanno spazzando via le medie e piccole cooperative. Così come accade in ogni settore del mercato libero e sovrano, i pesci più grandi mangiano quelli più piccoli. L’obiettivo di queste imprese è il profitto, non la realizzazione dei principi umanitari o dei diritti sanciti nei trattati. A loro è delegata la gestione di una delle fasi più delicate del processo migratorio: il momento dell’arrivo che coincide con l’ingresso nel mercato del lavoro dei paesi europei. Il modo in cui gli immigrati sono trattati in questo particolare momento inciderà pesantemente per tutto il resto del loro percorso migratorio. Se saranno maltrattati, umiliati e abusati, costretti a lavorare gratis o per pochi euro, se avranno ingiustificatamente limitata la propria libertà personale o di movimento, c’è il forte rischio che siano educati all’iper-sfruttamento (di altre imprese), cioè educati ad accettare ogni paga e condizione lavorativa.

Con l’arrivo nel Mediterraneo della nave “C-Star”, che Famiglia Cristiana ha svelato essere legata a multinazionali di mercenari che già operavano in teatri bellici (Iraq, Afghanistan) e in operazioni anti-pirateria, per conto degli Stati che le ingaggiano, si può dire che un nuovo passo verso la privatizzazione delle politiche migratorie potrebbe compiersi molto presto. Del resto, a pensarci bene, l’operazione “Defend Europe” non si colloca lontano da quanto voluto da molti governi: bloccare le partenze o respingere indietro gli emigranti. Al contrario, la “C-Star” potrebbe fornire una soluzione operativa, molto pratica, togliendo dall’imbarazzo i governi che, in questo modo, non sarebbero costretti a violare i trattati internazionali sui diritti umani, sul diritto di navigazione e sul diritto d’asilo e, nel contempo, non sarebbero neanche costretti a cambiare il sistema normativo per adeguarlo agli obiettivi delle nuove politiche migratorie.

Inoltre, la “C-Star” non deve neanche sottoscrivere il codice di condotta che si vuole imporre alle navi delle Ong che soccorro gli emigranti nel Mediterraneo, poiché la “C-Star” non intende portare gli emigranti nei porti italiani: li vuole riportare in Libia. Non avrà cioè i limiti delle altre navi: potrà entrare nelle acque libiche e potrà spegnere il transponder, come e quando vorrà. Non sarà tenuta a sottostare alle regole degli altri. Avrà le mani libere.

L’ingresso dei soggetti privati nel sistema di governo delle migrazioni equivale, dunque, a creare una zona grigia e opaca nella gestione dei movimenti migratori, che non può che finire per eliminare, prima di tutto, i diritti degli emigranti e dei richiedenti asilo. Se l’obiettivo è il profitto, come lo è, viene meno lo spazio per i diritti.



Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

https://it.wikipedia.org/wiki/Convenzio ... ndamentali

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o CEDU (in francese: "Convention européenne des droits de l'Homme") è una Convenzione internazionale redatta e adottata nell'ambito del Consiglio d'Europa.
La CEDU è considerata il testo centrale in materia di protezione dei diritti fondamentali dell'uomo perché è l'unico dotato di un meccanismo giurisdizionale permanente che consenta a ogni individuo di richiedere la tutela dei diritti ivi garantiti, attraverso il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo.
Il documento è stato elaborato in due lingue, francese e inglese, i cui due testi fanno egualmente fede.


http://www.asgi.it/wp-content/uploads/p ... o.2012.pdf


Strasburgo, l'Italia condannata per i respingimenti verso la Libia
Sentenza storica della Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo che condanna l'Italia all'unanimità. Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, è stato violato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. Il nostro Paese dovrà versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime. Riccardi: "Ripensare alla nostra politica sull'immigrazione". La Cancellieri: "Sentenza va rispettata"
di VLADIMIRO POLCHI
(23 febbraio 2012)


Strasburgo, l'Italia condannata per i respingimenti verso la Libia

http://www.repubblica.it/solidarieta/im ... i-30366965

ROMA - Stop ai respingimenti in mare. Bocciate le espulsioni collettive. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato all'unanimità l'Italia per i respingimenti verso la Libia. Nel cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone nel 2009, è stato violato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura. Strasburgo ha così posto un freno ai respingimenti indiscriminati in mare e ha stabilito che l'Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive, oltre al diritto effettivo per le vittime di fare ricorso presso i tribunali italiani. L'Italia è stata condannata a versare un risarcimento di 15mila euro più le spese a 22 delle 24 vittime, in quanto due ricorsi non sono stati giudicati ammissibili.

La Farnesina.
"Il trattamento riservato a migranti e profughi messi in salvo è stato sempre conforme agli obblighi internazionali ed informato ai fondamentali principi di salvaguardia dei diritti umani". Così fonti della Farnesina commentano la sentenza di Strasburgo aggiungendo che l'Italia "rispetta" e "analizzerà " il verdetto.

Il ministro dell'Interno.
"La sentenza - ha detto in un comunicato stampa Annamaria Cancellieri - in quanto proveniente da un alto organo giurisdizionale europeo, va rispettata e non commentata. Il Governo si confronta con i mutati scenari in Libia e sono in corso contatti con la nuova dirigenza per riavviare la collaborazione operativa fra i due Paesi. Ogni iniziativa sarà improntata all'assoluto rispetto dei diritti umani, ma con altrettanta fermezza sarà contrastata l'immigrazione illegale".

Riccardi.
La sentenza della Corte di giustizia di Strasburgo che ha condannato l'Italia per i respingimento in Libia di alcuni immigrati "sarà ricevuta e valutata con grande attenzione" dal governo italiano "e ci farà pensare e ripensare alla nostra politica per l'immigrazione". Così il ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi, a margine della due giorni Ifad sull'agricoltura sostenibile. Il ministro ha spiegato che come governo "ne prenderemo insieme visione e capiremo che fare. Io l'accetto con molto rispetto per le istituzioni europee", ha aggiunto Riccardi, sottolineando che il fine del governo è quello di "fare una politica chiara, trasparente e corretta sull'immigrazione".

Maroni.
Di "incomprensibile picconata del buonismo peloso" parla invece l'ex ministro dell'Interno, Roberto Maroni, principare sponsor della politica di respingimenti inaugurata dal governo Berlusconi. "È una sentenza politica di una corte politicizzata", dice Maroni. "Rifarei esattamente quello che ho fatto: impedire ai barconi di clandestini di partire dalla Libia, salvare molte vite umane e garantire maggiore sicurezza ai cittadini".

I precedenti.
La politica migratoria del vecchio governo Berlusconi continua a perdere pezzi. A picconare i pacchetti sicurezza e la Bossi-Fini sono tribunali ordinari, Consiglio di Stato, Corte di Cassazione, Consulta e Corte di giustizia dell'Unione europea. Sotto le loro sentenze cadono: l'aggravante di clandestinità, il divieto di matrimonio con irregolari, il reato di clandestinità (nella parte che punisce con il carcere gli immigrati irregolari). Ora a crollare è il muro dei respingimenti in mare dei migranti, sotto i colpi della Corte europea dei diritti dell'uomo

Il respingimento del 6 maggio 2009. La sentenza della Corte di Strasburgo colpisce i respingimenti attuati dall'Italia verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglato dal governo Berlusconi. "Il 6 maggio 2009, a 35 miglia a sud di Lampedusa - spiega il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) - in acque internazionali, le autorità italiane hanno intercettato una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza).

I migranti - stando al ricorso - sono stati trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà, senza essere prima identificati, ascoltati né preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione. I migranti non hanno avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia. Di queste 200 persone, 24 (11 somali e 13 eritrei) sono state rintracciate e assistite in Libia dal Cir e hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo".

Le condizioni di detenzione in Libia. "Le successive condizioni di vita in Libia dei migranti respinti il 6 maggio 2009 sono state drammatiche - sostengono dal Cir - La maggior parte è stata reclusa per molti mesi nei centri di detenzione libici, dove ha subito violenze e abusi di ogni genere. Due ricorrenti sono deceduti nel tentativo di raggiungere nuovamente l'Italia a bordo di un'imbarcazione di fortuna. Altri sono riusciti a ottenere protezione in Europa, un ricorrente proprio in Italia. Prima respinti e poi protetti, a dimostrazione della contraddittorietà e insensatezza della politica dei respingimenti". Al riguardo va ricordato che, secondo le stime dell'Unhcr, circa 1.500 migranti hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l'Italia via mare nel 2011.

Le reazioni alla sentenza.
"Viene condannato il governo italiano ma vince lo spirito della nostra Costituzione, nonché la tradizione del popolo italiano - sostiene Andrea Olivero, presidente nazionale Acli - quella di un paese accogliente che non respinge i disperati in mare consegnandoli ad un tragico destino. Un monito durissimo per il governo che ha commesso quell'errore e per le forze politiche che non solo difesero, ma si fecero vanto di quell'azione, mentre tutte le organizzazioni della società civile per il rispetto dei diritti umani ne denunciavano l'illegalità e la disumanità".

Unhcr.
La sentenza è "un'importante indicazione per gli stati europei circa la regolamentazione delle misure di controllo e intercettazione alla frontiera". Lo ha affermato Laurens Jolles, il Rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) per il sud Europa: "ci auguriamo che rappresenti un punto di svolta per ciò che riguarda le responsabilità degli Stati e la gestione dei flussi migratori". L'Unchr comprende le "sfide che le migrazioni irregolari pongono all'Italia e agli altri paesi dell'Unione Europea e riconosce i significativi sforzi compiuti dall'Italia e dagli altri stati per salvare vite umane nell'ambito delle loro operazioni di ricerca e soccorso in mare". Ma, sottolinea l'Alto Commissariato, "Le misure di controllo alla frontiera non esonerano gli stati dai loro obblighi internazionali; l'accesso al territorio alle persone bisognose di protezione dovrebbe pertanto essere sempre garantito".

Amnesty International.
Ha definito "una pietra miliare" la sentenza emessa oggi dalla Corte europea dei diritti umani nel caso Hirsi Jamaa e altri contro l'Italia. L'Organizzazione era intervenuta come parte terza durante la procedura scritta dinanzi alla Corte, ricordando che l'azione delle autorità italiane aveva costituito l'avvio di una politica di respingimenti che aveva attirato numerose condanne e aveva rischiato di compromettere i principi fondamentali del diritto internazionale dei diritti umani. Il verdetto di oggi resta dunque un punto fermo "perché - si legge in una nota di Amnesty - rafforza e favorisce il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Europa e pone fine alle misure extraterritoriali di controllo delle migrazioni che non contemplano l'identificazione delle persone che gli stati sono invece obbligati a proteggere"



Alberto Pento
C'è qualcosa che non va in questa sentenze e nei commenti a favore, c'è qualcosa di profondamente ingiusto, dannoso e criminale.


Nota a C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 23.2.2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, pubblicata nella Rivista dell’associazione italiana dei costituzionalisti (A.I.C.)
I respingimenti nel Mediterraneo tra diritto del mare e diritti fondamentali
di Stefano Zirulia, avvocato del Foro di Milano e dottorando di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano
9 agosto 2012

http://www.meltingpot.org/I-respingimen ... XD6cOn-ujI
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » gio lug 20, 2017 8:51 pm

Nota a C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 23.2.2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, pubblicata nella Rivista dell’associazione italiana dei costituzionalisti (A.I.C.)
I respingimenti nel Mediterraneo tra diritto del mare e diritti fondamentali
di Stefano Zirulia, avvocato del Foro di Milano e dottorando di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano
9 agosto 2012

http://www.meltingpot.org/I-respingimen ... XD6cOn-ujI


L’autore, muovendo dalla premessa che il diritto del mare riconosce agli Stati - a certe condizioni - il potere di interdizione navale, esamina i due principali limiti che si frappongono all’esercizio di tale potere nei confronti dei migranti che tentano di attraversare il mediterraneo: ossia il principio di non-refoulment e il suo precipitato procedurale rappresentato dal divieto di espulsioni collettive.

Sommario: 1. La sentenza della Grande Camera Hirsi Jamaa e altri c. Italia. – 2. I profili di novità della sentenza Hirsi nel panorama della giurisprudenza di Strasburgo. – 3. I respingimenti in mare come strategia di contrasto alle migrazioni clandestine. – 4. I limiti al potere statale di respingimento in alto mare: a) il principio del non-refoulement. – 5. (segue): b) il divieto di espulsioni collettive. 6. Conclusioni: i diritti fondamentali nell’accordo italo-libico stipulato il 3 aprile 2012.

1. La sentenza della Grande Camera Hirsi Jamaa e altri c. Italia

Il 6 maggio 2009 tre barche provenienti dalla Libia con a bordo circa duecento migranti venivano intercettate nelle acque internazionali a sud di Lampedusa, mentre cercavano di raggiungere clandestinamente le coste italiane. Le autorità di frontiera – Guardia Costiera e Finanza – trasferivano gli stranieri sulle proprie imbarcazioni e li riconducevano immediatamente a Tripoli, consegnandoli alle forze dell’ordine libiche.
Il 23 febbraio 2012, con la sentenza che si commenta, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia in relazione a quell’operazione di respingimento in mare (cd. push back).
I giudici di Strasburgo, dopo aver rilevato che il respingimento si era svolto sotto la giurisdizione dello Stato italiano, hanno riscontrato la violazione degli artt. 3 CEDU, 4 del Protocollo n. 4, e 13 CEDU, così accogliendo all’unanimità il ricorso presentato da alcuni dei migranti coinvolti (tredici eritrei e undici somali).
A ciascuna delle vittime è stato riconosciuto un danno non patrimoniale pari a 15.000 euro, e il Governo italiano è stato altresì condannato a intraprendere ogni azione necessaria per ottenere dalle autorità libiche la garanzia che le persone respinte non saranno sottoposte a trattamenti incompatibili con l’art. 3 CEDU.
I passaggi fondamentali della sentenza possono essere riassunti come segue.

a) la giurisdizione italiana sul respingimento in alto mare (§ 63 - 82)

L’operazione di respingimento si era svolta in alto mare – vale a dire in acque internazionali – in particolare all’interno della SAR (Search and Rescue Region) maltese.
La Corte osserva tuttavia come, nel periodo compreso tra l’imbarco sulle navi italiane e la consegna alle autorità libiche, i ricorrenti si erano trovati sotto il controllo esclusivo di un equipaggio italiano (controllo de facto), a bordo di imbarcazioni battenti la bandiera italiana (controllo de jure).
Ciò è sufficiente, sulla base dei principi di diritto internazionale, ad affermare la giurisdizione dello Stato convenuto, senza che in alcun modo rilevino – come invece prospettato dal Governo – la natura e lo scopo dell’intervento: sulla scorta di tali considerazioni la Corte giudica infondato l’argomento – posto alla base dell’eccezione governativa sul difetto di giurisdizione italiana – secondo il quale l’obbligo di prestare soccorso in mare non potrebbe, di per sé, determinare quel particolare collegamento tra Stato e persone dal quale deriva la giurisdizione del primo sulle seconde.
In conclusione – dopo aver richiamato i propri precedenti conformi in tema di applicabilità extraterritoriale dalla Convenzione (1) – la Corte afferma il principio secondo cui anche il respingimento in alto mare costituisce un’ipotesi di esercizio extraterritoriale della giurisdizione, idoneo a determinare, ai sensi dell’art. 1 della Convenzione, la responsabilità dello Stato contraente per il mancato riconoscimento dei diritti in essa sanciti.

b) violazione dell’art. 3 CEDU, che sancisce il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti (§ 83 – 158)

La Corte osserva come il respingimento italiano abbia esposto i ricorrenti ad un duplice rischio: da un lato quello di subire trattamenti inumani e degradanti direttamente per mano delle autorità libiche; dall’altro quello di essere rimpatriati, sempre ad opera dello Stato libico, in Eritrea ed in Somalia.
Ne derivano due diversi profili di contrasto tra l’operazione italiana e l’art. 3 CEDU, a ciascuno dei quali la sentenza dedica una trattazione autonoma.

b.1) Quanto al rischio di subire maltrattamenti in Libia, la Corte ribadisce il consolidato principio (2) secondo cui dall’art. 3 CEDU discende il divieto di eseguire estradizioni, espulsioni o altre misure di allontanamento allorché vi siano fondati motivi (substantial grounds) di ritenere che, nel paese di destinazione, lo straniero si troverebbe esposto ad un rischio effettivo (real risk) di subire torture o trattamenti inumani e degradanti.
All’epoca dei fatti – si legge nella motivazione – gli stranieri illegalmente presenti in Libia, compresi i potenziali richiedenti asilo, venivano sistematicamente arrestati e detenuti in condizioni igienico-sanitarie inumane, cui spesso si affiancavano torture. Anche al di fuori dei centri di detenzione i migranti irregolari vivevano ai margini della società, in condizioni di estrema vulnerabilità e di esposizione al rischio permanente di subire atti di razzismo e xenofobia.
Siffatto contesto era ben noto nella Comunità internazionale, e comunque facilmente verificabile alla luce di numerosi autorevoli reports – a cura del Comitato contro la Tortura, di Human Rights Watch e di Amnesty International – nonché sulla base delle dichiarazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati: sicché, conclude la Corte, l’Italia sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che i migranti respinti correvano un rischio effettivo di subire trattamenti contrari all’art. 3 CEDU, e dunque che l’operazione di push back si poneva in frontale contrasto col diritto fondamentale sancito dalla norma convenzionale.

b.2) Un’ulteriore ed autonoma violazione dell’art. 3 CEDU deriva dal fatto che, in Libia, i ricorrenti sono stati esposti al pericolo di essere rimpatriati nei rispettivi paesi d’origine (Eritrea e Somalia).
Ciò in quanto – rileva la Corte richiamando i propri precedenti arresti sul punto (3) – l’obbligo di garantire che i destinatari di misure di allontanamento non subiscano torture, o trattamenti inumani e degradanti, abbraccia anche i cd. rimpatri indiretti, ossia le ipotesi in cui il paese ricevente disponga, a sua volta, l’espulsione dello straniero verso un paese terzo (di solito il paese di origine del migrante).
L’accertamento di tale violazione richiede, in prima battuta, di verificare se sia sostenibile (arguable) che il rimpatrio dei ricorrenti nei rispettivi paesi di origine avrebbe comportato la violazione dell’art. 3.
Nel caso di specie, la Grande Camera conclude in senso affermativo, citando i reports di UNHCR e Human Rights Watch che descrivono le torture e i maltrattamenti cui l’Eritrea sottopone i cittadini emigrati illegalmente; nonché richiamando il proprio precedente Sufi and Elmi (4) , nel quale erano emersi i gravi rischi per le persone rimpatriate in Somalia, legati alla diffusa violenza nell’area di Mogadiscio, al conflitto armato in corso, nonché alle inumane condizioni di vita all’interno dei campi profughi.
Nondimeno – prosegue la motivazione – la violazione dell’art. 3 può essere comunque esclusa nei casi in cui emerga che lo Stato parte della Convenzione, al momento dell’esecuzione della misura di allontanamento, potesse ragionevolmente confidare (could reasonably expect) nell’esistenza, presso lo Stato ricevente, di garanzie sufficienti (sufficient guarantees) per la prevenzione delle espulsioni arbitrarie.
Nel caso di specie, tuttavia, erano del tutto assenti garanzie in tal senso, dal momento che la Libia non disponeva di alcuna procedura per l’asilo politico, né riconosceva lo status di rifugiato assegnato dal locale ufficio dell’UNHCR.

c) violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, ai sensi del quale sono vietate le espulsioni collettive di stranieri (§ 159 - 186)

In via preliminare la Corte chiarisce – prendendo per la prima volta posizione sul punto – che il divieto di espulsioni collettive trova applicazione anche nel caso in cui la misura di allontanamento sia adottata al di fuori del territorio nazionale, dunque anche in alto mare.
La pronuncia richiama quindi il principio in base al quale l’espulsione deve considerarsi collettiva – e quindi illegittima ai sensi dell’art. 4 Prot. 4 – quando venga adottata senza valutare in concreto la posizione di ciascuno degli stranieri interessati (5).
Coerentemente – prosegue la motivazione – l’espulsione non può considerarsi collettiva per il solo fatto che più stranieri siano raggiunti da provvedimenti di rimpatrio dal contenuto analogo, a condizione che a ciascuno degli interessati sia stata offerta la possibilità di avanzare argomenti contro il proprio allontanamento dinanzi alle autorità competenti.
Queste premesse consentono alla Corte di affermare la responsabilità dell’Italia anche per la violazione della norma in esame. Nel corso delle operazioni di trasferimento in Libia, infatti, non vi è stata alcun tipo di valutazione delle posizioni individuali dei ricorrenti, né, tantomeno, gli stessi sono stati ascoltati dalle autorità italiane: conclusioni, queste, cui la pronuncia perviene osservando che migranti intercettati non sono stati nemmeno identificati, ed inoltre il personale di bordo non era addestrato a condurre interviste, né assistito da interpreti o esperti legali.

d) violazione dell’art. 13 CEDU in relazione ai precitati artt. 3 CEDU e 4 Prot. 4, ossia del diritto un rimedio effettivo dinanzi alle autorità nazionali avverso comportamenti pregiudizievoli per i diritti fondamentali sanciti dagli artt. 3 e 4 Prot. 4 (§ 187 - 207)

A bordo delle navi italiane non era prevista alcuna procedura finalizzata all’identificazione dei soggetti intercettati, né alla valutazione delle loro circostanze personali. Le autorità hanno inoltre lasciato credere agli stranieri che la destinazione del viaggio fosse l’Italia, e non li hanno informati in merito alle procedure da intraprendere nell’ottica di evitare il respingimento.
Sulla scorta di tali evidenze, la Corte afferma che i ricorrenti non hanno avuto accesso ad alcun rimedio interno effettivo, attraverso il quale lamentare l’incompatibilità del trasferimento in Libia con gli artt. 3 CEDU e 4 Prot. 4 (6).
Quanto ai caratteri che il rimedio deve presentare per essere considerato effettivo ai sensi dell’art. 13, la pronuncia sottolinea la necessità che lo stesso contempli un effetto sospensivo dell’esecuzione di misure che minacciano di violare i diritti fondamentali sanciti dagli art. 3 CEDU e 4 Prot. 4 .
Tale considerazione consente di superare l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sollevata dal Governo, secondo il quale i ricorrenti – quantomeno quelli cui l’UNHCR aveva riconosciuto lo status di rifugiati, e che come tali disponevano di un valido titolo di ingresso in Italia – avrebbero potuto adire ex post le competenti autorità italiane, lamentando in sede civile e penale la violazione dei diritti convenzionali ed ottenendo così un risarcimento del danno: siffatta via di ricorso – osserva la Corte – risulta per definizione carente del requisito di effettività – in quanto disponibile ex post e dunque priva di effetto sospensivo – e pertanto non può fondare un’eccezione di irricevibilità ex art. 35 CEDU.

2. I profili di novità della sentenza Hirsi nel panorama della giurisprudenza di Strasburgo (7)

Numerosi e di grande interesse sono i profili di novità che caratterizzano la pronuncia in esame, come conferma il fatto che le sia stato assegnato il livello massimo di rilevanza (importance level n. 1) (8), e come del resto era da attendersi a seguito dell’assegnazione della causa alla Grande Camera (9).
Si tratta, anzitutto, del primo intervento della Corte di Strasburgo avente ad oggetto la legittimità di un respingimento in alto mare: il carattere di novità della pronuncia si apprezza dunque, ancor prima del piano giuridico, già a livello del fatto preso in esame.
Il ricorso dal quale è scaturita la sentenza Hirsi, infatti, rappresenta il primo – e finora, a quanto consta, l’unico – atto di denuncia presentato alla Corte EDU dalle vittime di un’operazione di push back.
Il dato potrebbe sorprendere se si considera – come verrà meglio illustrato nel paragrafo seguente – che le prassi di respingimento in mare non sono nient’affatto nuove, né di raro utilizzo, nel panorama degli strumenti di contrasto all’immigrazione clandestina attuati da Stati membri del Consiglio d’Europa nel bacino del Mediterraneo.
È tuttavia verosimile che proprio l’allontanamento senza passare dalla terraferma, in uno con l’assenza di legali e interpreti a bordo delle navi impegnate nelle operazioni in alto mare, impediscano ai migranti di stabilire, e mantenere, un contatto con quelle figure – in primis associazioni e avvocati – che potrebbero perorare la loro causa dinanzi alle autorità competenti, ivi compresa la Corte EDU: tale considerazione potrebbe spiegare il carattere isolato della sentenza che si commenta.
Del resto, una delle eccezioni preliminari sollevate dallo Stato italiano nel caso in esame riguardava proprio l’asserita mancanza di collegamento tra difensori e ricorrenti, alla luce della quale si chiedeva alla Corte – invocando il precedente Hassun e altri c. Italia (10) – di cancellare la causa dal ruolo: l’argomento viene tuttavia giudicato infondato dalla sentenza, in base alla considerazione che i rappresentanti dei ricorrenti avevano costantemente fornito, nel corso dell’intera procedura, informazioni concernenti l’evolversi della situazione dei loro assistiti, dal che si poteva dedurre l’esistenza, e la perduranza, di un collegamento effettivo con gli stessi.
Pur in assenza di precedenti specifici in materia, i principali passaggi logico-giuridici della pronuncia in esame sono espressione di principi da tempo consolidati nella giurisprudenza di Strasburgo.
Nel corso degli anni, infatti, la Corte EDU si è a più riprese pronunciata in merito alla legittimità dei provvedimenti di estradizione ed espulsione emessi dagli Stati membri del Consiglio d’Europa, individuando – specie a partire dagli artt. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti) ed 8 (diritto alla vita privata e familiare) della Convenzione – una serie di limiti al potere sovrano di rimuovere i soggetti stranieri dal proprio territorio (11) .
L’elemento caratterizzante della sentenza Hirsi è l’aver applicato tali limiti – in particolare, come già visto esaminando la sentenza (12), quelli discendenti dall’art. 3 – ad una misura di allontanamento di diversa natura, vale a dire il respingimento in alto mare.
Ciò è stato possibile alla luce dei principi – anch’essi costituenti jus receptum nella giurisprudenza di Strasburgo – in materia di applicabilità ratione loci dell’art. 3: la sentenza, infatti, si è avvalsa dei propri precedenti relativi alla nozione di giurisdizione ai sensi dell’art. 1 CEDU (13).
La pronuncia in esame, peraltro, presenta contenuti innovativi anche in punto di diritto: in particolare la Corte si è trovata a doversi pronunciare, per la prima volta, in merito all’applicabilità dell’art. 4 del Protocollo 4 – che testualmente proibisce le espulsioni collettive – al diverso caso dei respingimenti collettivi.

3. I respingimenti in mare come strategia di contrasto alle migrazioni clandestine

I profili di novità contenuti nella sentenza Hirsi si traducono in altrettanti nuovi limiti per le politiche di contrasto all’immigrazione clandestina attuate dagli Stati membri del Consiglio d’Europa.
Come è noto, infatti, le intercettazioni marittime rappresentano un tipico strumento per l’attuazione di tali politiche, del quale da molti anni si avvalgono alcuni Stati europei che si affacciano sul Mediterraneo (14): basti pensare alle operazioni condotte dall’Italia, prima negli anni ’90 durante la c.d. crisi albanese (15), e poi a fronte degli arrivi dal nord d’Africa (16); ai pattugliamenti delle autorità spagnole e marocchine nel Mediterraneo occidentale (17); o ancora ai respingimenti da parte della Grecia di imbarcazioni provenienti dalla Turchia (18).
Dal punto di vista del diritto del mare, i respingimenti delle imbarcazioni che trasportano i migranti clandestini rappresentano azioni di carattere misto tra il soccorso in mare e l’interdizione navale (19).
Da un lato, infatti, i tentativi di raggiungere clandestinamente le coste europee sono spesso compiuti in condizioni tali da far scattare l’obbligo di soccorso sancito dall’art. 98 CNUDM (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, cd. Convenzione di Montego Bay). Dall’altro lato, e parallelamente, le autorità di frontiera possono invocare il cd. diritto di visita in mare, che contempla anche il potere di interdire la navigazione e di sequestrare le imbarcazioni impegnate nel compimento di attività illecite: tra le situazioni che giustificano l’esercizio del diritto di visita vengono in rilievo, nell’ambito delle migrazioni clandestine, l’ipotesi della nave senza bandiera (art. 110, lett. d, CNUDM), nonché i programmi di interdizione navale oggetto di specifica convenzione tra gli Stati interessati.
Rinviando alla letteratura di settore per un’analisi approfondita dei rilevanti aspetti di diritto del mare (20), preme in questa sede evidenziare come, alla luce della disciplina appena richiamata, la prassi dei respingimenti in mare non costituisca un comportamento illecito in sé.
Il vero problema col quale confrontarsi va individuato, piuttosto, nella ricerca dei limiti che circoscrivono il legittimo esercizio del potere di interdizione navale, nonché dei rimedi disponibili in presenza di condotte che detti limiti travalichino.
Con particolare riferimento all’ipotesi – che qui interessa – in cui l’interdizione navale sia rivolta nei confronti di imbarcazioni che trasportano stranieri sans papiers, i limiti più importanti sono rappresentati dal principio del non-refoulement e dal divieto di espulsioni collettive, ai quali occorre pertanto rivolgere lo sguardo.

4. I limiti al potere statale di respingimento in alto mare: a) il principio del non-refoulement

In base alla nozione tradizionale, «non-refoulement is a concept which prohibits States from returning a refugee or asylum seeker to territories where there is a risk that his or her life or freedom would be threatened on account of race, religion, nationality, membership of a particular social group, or political opinion» (21).
Il principio nasce nel diritto internazionale dei rifugiati, e, in tale contesto, trova la sua espressione più nota nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951.
Nel corso degli anni, tuttavia, il concetto di non-refoulement è stato protagonista di una progressiva espansione: da un lato il suo ambito di applicazione è andato via via dilatandosi; dall’altro, si è assistito al suo germogliare in settori dell’ordinamento internazionale diversi dal diritto dei rifugiati in senso stretto, e segnatamente nei campi dell’universal human rights law e del regional human rights law.
A ben vedere – come limpidamente illustra lo studio di Lauterpacht e Bethlehem (22), uno dei più autorevoli sul tema – i due citati aspetti dell’evoluzione del non-refoulement sono tra loro legati a filo doppio: contaminando settori diversi da quello in cui era nato, infatti, il principio in parola si è a sua volta arricchito di sfaccettature che originariamente non gli appartenevano.
Quanto appena affermato trova riscontro esaminando i rapporti tra il divieto di refoulement proprio del diritto dei rifugiati e l’analogo principio scaturente dalla giurisprudenza di Strasburgo (23).
La Convenzione EDU e i Protocolli addizionali dedicano alla materia dell’ingresso e dell’allontanamento degli stranieri soltanto due previsioni espresse (l’art. 5, lett. f, in materia di privazione della libertà personale; l’art. 4 Prot. 4 relativo al divieto di espulsioni collettive), all’interno delle quali non è contemplato il diritto d’asilo politico.
Come è noto, tuttavia, la consolidata giurisprudenza della Corte EDU afferma che il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti (art. 3 della Convenzione) impone agli Stati firmatari non solo di astenersi dal porre direttamente in essere tali condotte, ma anche di non allontanare lo straniero verso paesi dove rischierebbe di subirle, o dove risulterebbe esposto al pericolo di un’ulteriore espulsione verso paesi terzi, nei quali correrebbe il rischio di subirle (24).
Questa tecnica di protezione – definita in dottrina par ricochet, ossia di riflesso (25)– è evidentemente debitrice, sul piano strutturale, del concetto tradizionale di non-refoulement, in quanto fa scattare la responsabilità di uno Stato in presenza di un rischio promanante da un altro Stato, così risolvendosi in una nuova forma di tutela – testualmente non prevista dalla Convenzione – a favore dello straniero destinatario di misure di allontanamento.
Specularmente, il diritto dei rifugiati ha attinto dalla giurisprudenza di Strasburgo principi e argomenti che hanno nutrito l’evoluzione in senso estensivo del non-refoulement. La giustificazione di tale operazione ermeneutica va rinvenuta nella considerazione secondo cui «l’art. 33(1) [della Convenzione di Ginevra], che racchiude l’essenza umanitaria della Convenzione del 1951 e garantisce i diritti fondamentali dei rifugiati, deve essere interpretato in maniera coerente con gli sviluppi del diritto internazionale dei diritti umani» (26).
Proprio alla luce del diritto internazionale dei diritti umani, in effetti, sono maturati alcuni dei più recenti approdi esegetici relativi all’art. 33 della Convenzione di Ginevra. A titolo esemplificativo si possono citare i seguenti:
- la norma non si applica soltanto ai titolari dello status di rifugiato – come il suo tenore letterale parrebbe suggerire – ma a tutti gli asylum seekers, fino al momento in cui la procedura per il riconoscimento formale dello status non si sia conclusa (27);
- il requisito della minaccia per la vita e la libertà, tradizionalmente agganciato al solo rischio di persecuzione, deve essere in realtà esteso al rischio di tortura o trattamenti inumani e degradanti, nonché alle altre minacce per la vita, l’integrità fisica e la libertà personale (28);
- quanto all’applicabilità dell’art. 33 ratione loci, «il criterio decisivo non è se quella persona si trovi sul territorio nazionale di quello Stato, o all’interno di un territorio che sia de jure sotto il controllo sovrano dello Stato, quanto piuttosto se egli o ella sia o meno soggetto all’effettiva autorità di quello Stato» (29), sicché nulla osta all’operatività del non-refoulement anche in contesti extraterritoriali (come i respingimenti in alto mare).
Il dialogo tra human rights law e refugee law non comporta, beninteso, l’identificazione completa dei due concetti di non-refoulement, i quali mantengono, accanto ai profili di analogia, differenze piuttosto marcate (30).
Sul punto, la Corte EDU ha più volte affermato che «the protection afforded by Article 3 is wider than that provided by Article 33 of the 1951 Convention relating to the Status of Refugees» (31).
Anzitutto la protezione offerta dall’art. 3 CEDU risulta più intensa in ragione del carattere assoluto ed inderogabile del divieto, laddove invece la Convenzione di Ginevra non può essere invocata dal soggetto che costituisca una minaccia per la sicurezza collettiva (art. 33, par. 2).
In secondo luogo, ciò che cambia è la platea dei soggetti tutelati. Mentre il refugee law è rivolto soltanto ai richiedenti asilo ed a coloro che ottengono lo status formale di rifugiato – e dunque opera solo in presenza dei requisiti fissati dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra –, i principi promananti dalla giurisprudenza di Strasburgo si applicano a chiunque corra un rischio effettivo di subire trattamenti incompatibili con l’art. 3 CEDU, a prescindere dalla sussistenza di profili persecutori o discriminatori (32) .
Proprio l’elemento da ultimo evidenziato consente di concludere che il non-refoulement di cui all’art. 3 CEDU costituisce – rispetto all’omonimo principio derivante dal refugee law – uno strumento più efficace nell’ottica della tutela degli stranieri irregolari avverso le operazioni di interdizione navale, in quanto idoneo a ricomprendere nel proprio ombrello protettivo anche i migranti economici.
Vero è, come la dottrina ha evidenziato (33), che la Convenzione EDU, a differenza di quella di Ginevra, non prevede che lo Stato accordi un titolo di soggiorno al migrante: sicché quest’ultimo, una volta “scampato” al refoulement grazie all’art. 3, si troverebbe in una sorta di limbo giuridico, a cavallo tra la condizione di non espellibilità e quella di sans papiers.
Tale rilievo, tuttavia, potrebbe essere superato attraverso un’opportuna interpretazione conforme alla CEDU dei requisiti per ottenere titoli di soggiorno diversi dall’asilo politico, come la protezione sussidiaria e il permesso per motivi umanitari (34).

5. (segue): b) il divieto di espulsioni collettive

Il secondo limite che incontrano gli Stati nell’esercizio del potere di interdizione navale è rappresentato dal divieto di espulsioni collettive.
La sua fonte, come noto, risiede nell’art. 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione EDU.
Dal punto di vista letterale, la norma si riferisce soltanto alle espulsioni collettive: ci si chiede, pertanto, se il divieto in essa previsto sia applicabile anche ai respingimenti. La questione è stata affrontata dalla Corte per la prima volta proprio nella sentenza che si commenta.
Secondo la tesi avanza dal Governo italiano, il concetto di “espulsione” presupporrebbe, letteralmente e logicamente, l’avvenuto ingresso dello straniero sul territorio nazionale.
L’argomento non ha fatto breccia dinanzi alla Grande Camera, la quale ha privilegiato una lettura sistematica e teleologica dell’art. 4, capace di rendere il diritto fondamentale in esso sancito concreto ed effettivo, e non meramente teorico ed illusorio.
In quest’ottica la sentenza valorizza anzitutto l’evoluzione delle tecniche di controllo dei flussi migratori, le quali negli ultimi anni hanno assunto – come visto – anche la veste dei respingimenti in mare: sicché, escludere in tali casi l’applicabilità della norma in esame, significherebbe ridurne in maniera considerevole l’effettività.
In secondo luogo la pronuncia evidenzia la necessità di armonizzare il concetto di “espulsione” ex art. 4 Prot. 4 con quello di “giurisdizione” ex art. 1 della Convenzione: quest’ultimo – come pure già visto – abbraccia tutte le condotte che esprimono l’effettivo controllo del Stato su determinati soggetti, in disparte la loro collocazione territoriale o extraterritoriale.
Una volta stabilito che il divieto di cui all’art. 4 riguarda anche i respingimenti in alto mare, la responsabilità dello Stato per la violazione di tale previsione può essere valutata alla luce dei canoni già elaborati dalla Corte con riferimento alle espulsioni collettive (35).
In particolare, occorrerà valutare se lo Stato che ha condotto l’operazione ha preso in esame la situazione di ciascuno degli stranieri irregolari: solo un esame in concreto, condotto caso per caso, consente infatti di accertare che nessuno dei soggetti coinvolti corra il rischio di subire, a seguito dell’allontanamento, trattamenti contrari all’art. 3 CEDU.
Tale essendo la ratio del principio racchiuso nell’art. 4, sembra condivisibile la sua riconducibilità, dal punto di vista sistematico, nell’ambito dei profili procedurali del principio di non-refoulement (36).

6. Conclusioni: i diritti fondamentali nell’accordo italo-libico stipulato il 3 aprile 2012

Come sopra rilevato, il diritto del mare riconosce agli Stati, a certe condizioni, il potere di interdizione navale.
Muovendo da tale premessa, sono stati esaminati, nei precedenti paragrafi, i due principali limiti che si frappongono all’esercizio di tale potere nei confronti dei soggetti stranieri che tentano di attraversare le frontiere territoriali: ossia il principio di non-refoulement e il suo precipitato procedurale rappresentato dal divieto di espulsioni collettive.
Ebbene, ad avviso di chi scrive, tali limiti risultano talmente pregnanti da eliminare, in concreto, qualsiasi margine di operatività all’esercizio lecito del potere di interdizione nei confronti di migranti irregolari.
Da un lato, infatti, nella maggior parte dei casi i migranti provengono da paesi in cui è notorio il rischio di subire quantomeno trattamenti inumani e degradanti (37): sicché non sarebbe nemmeno necessaria una valutazione caso per caso per affermare l’incompatibilità del respingimento col principio del non-refoulement ex art. 3 CEDU.
Dall’altro lato, non si vede come lo Stato firmatario della Convenzione possa effettivamente valutare la posizione di ciascuno dei soggetti rintracciati nell’ambito di un’operazione in alto mare: anche qualora fossero presenti, all’interno degli equipaggi, figure in grado di condurre interviste e di informare gli stranieri dei loro diritti, il risultato resterebbe comunque, inevitabilmente, un accertamento sommario, inidoneo a valutare adeguatamente la posizione di ciascun migrante, e pertanto incompatibile col divieto di espulsioni collettive ex art. 4 Prot. 4.
È alla luce di tali coordinate che, ad avviso di chi scrive, dovrà essere interpretato ed attuato il nuovo accordo sottoscritto il 3 aprile 2012 (38) dal Ministro dell’Interno Cancellieri e dal suo omologo libico Abdulali.
Si consideri che, al punto n. III del documento, dedicato al monitoraggio dei confini, le parti si impegnano “alla programmazione di attività in mare negli ambiti di rispettiva competenza, nonché in acque internazionali secondo quanto previsto dagli accordi bilaterali in materia e in conformità al diritto marittimo internazionale”.
Qualora si ritenesse – come prospettato da chi scrive – che i principi affermati dalla sentenza Hirsi si oppongano in maniera assoluta all’interdizione navale nei confronti dei migranti, il concetto di “attività in mare” potrebbe abbracciare soltanto azioni diverse dal respingimento verso il paese di provenienza, come il soccorso o il contrasto alle attività illecite di smuggling o trafficking. Similmente, il generico richiamo agli “accordi bilaterali in materia” – astrattamente idoneo a rievocare i patti stipulati con Gheddafi (39), sulla base dei quali avvenne anche il respingimento dei ricorrenti – non potrebbe estendersi alle clausole di quegli accordi che contemplavano le interdizioni navali.
Del resto, lo stesso accordo del 3 aprile 2012 consacra espressamente l’impegno delle parti “al rispetto dei diritti dell’uomo, tutelati dagli Accordi e dalle Convenzioni internazionali vigenti”: un richiamo, quest’ultimo, che evidentemente ricomprende anche i principi affermati dalla Corte EDU, interprete qualificato della Convenzione (art. 32).

NOTE

(1) Tra i quali Bankovic e altri c. Belgio e altri sedici Stati contraenti, 24 ottobre e 12 dicembre 2001 (dec.); Medvedyev e altri c. Francia, 29 Marzo 2010; Al-Skeini e altri c. Regno Unito, 7 luglio 2011.

(2) La sentenza richiama sul punto, tra l’altro, i noti precedenti Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989; Chahal c. Regno Unito, 15 novembre 1996; Saadi c. Italia, 28 febbraio 2008.

(3) T.I. c. Regno Unito, 7 marzo 2000 (dec.); M.S.S. c. Belgio e Grecia, 21 gennaio 2011.

(4) C. edu, sent. Sufi and Elmi c. Regno Unito, 28 giugno 2011.

(5) Sul punto la Corte si basa fondamentalmente sul proprio precedente Conka c. Belgio, del 5 febbraio 2002, unica pronuncia – prima di quella in commento – ad aver riscontrato una violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 4.

(6) A tale proposito la Corte richiama i propri precedenti Shamayev e altri c. Georgia e Russia, 12 aprile 2005; Jabari c. Turchia, 11 luglio 2000; Conka c. Belgio, del 5 febbraio 2002

(7) Tra i primi commenti alla sentenza, v. MASERA L., La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato i respingimenti collettivi verso la Libia operati nel maggio 2009 contrari agli artt. 3, 4 prot. 4 e 13 CEDU, in penalecomtemporaneo.it, 24 febbraio 2012; MORSELLI C., Hic sunt leones: la Corte di Strasburgo traccia l’invalicabile linea di interdizione nella carta geografica dei respingimenti in alto mare, in Dir. pen. proc., n. 4 del 2012, 509 ss.

(8) La funzione degli importance levels è ben chiarita sul portale della Corte EDU: «They enable you to perform a search according to the importance level of the case-law collection (s):
1 = High importance, Judgments which the Court considers make a significant contribution to the development, clarification or modification of its case-law, either generally or in relation to a particular State.
2 = Medium importance, Judgments which do not make a significant contribution to the case-law but nevertheless do not merely apply existing case-law.
3 = Low importance, Judgments with little legal interest – those applying existing case-law, friendly settlements and striking out judgments (unless these have any particular point of interest».

(9) Ai sensi dell’art. 30 della Convenzione devono essere trattata dalla Grande Camera, tra l’altro, le cause che sollevano «una questione grave relativa all’interpretazione della Convenzione o dei suoi protocolli».

(10) Si tratta di una decisione del 19 gennaio 2010, nella quale l’assenza di collegamento era stata valorizzata dalla Corte quale carenza sopravvenuta di giustificazione ad esaminare il ricorso (ai sensi dell’art. 37, par. 1, lett. c CEDU), e dunque causa di cancellazione dello stesso dal ruolo: il caso riguardava un respingimento differito – dunque posto in essere non in alto mare, bensì immediatamente dopo lo sbarco sul territorio italiano, ai sensi dell’art. 10, comma 2, T.U. imm. – ma dimostra, a fortiori, come le procedure sommarie di allontanamento rendano particolarmente difficile l’esercizio del diritto di difesa da parte dei soggetti rintracciati.

(11) Il tema, particolarmente vasto, è analiticamente affrontato, con riferimento a ciascuna delle norme citate, dal recente Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a cura di BARTOLE S., DE SENA P., ZAGREBELSKY V., 2012, CEDAM. Per una approfondita disamina ragionata delle più recenti pronunce in argomento, v. i contributi di COLELLA A. e BEDUSCHI L. relativi alla giurisprudenza di Strasburgo 2008 – 2010, in Diritto penale contemporaneo, Rivista Trimestrale, n. unico del 2011, http://www.penalecontemporaneo.it/rivista/rivista/1/.

(12) V. supra, par. 1., sub b).

(13) V. supra, par. 1., sub a).

(14) Con riferimento, più in generale, alle politiche di cd. esternalizzazione delle frontiere nell’UE, v. l’interessante studio di RODIER C., Analyse de la dimension externe des politiques d´asile et d´immigration de l´UE - synthèse et recommandations pour le Parlement européen, in http://www.europarl.europa.eu.

(15) Sul punto, v. TREVISANUT S., Respingimenti in mare dal punto di vista del diritto del mare, con particolare riferimento alla cooperazione tra l’Italia e la Libia, in Rass. dir. pubbl. europeo, luglio-dicembre 2011, p. 244 ss.

(16) Per una panoramica sulle azioni di respingimento realizzate dall’Italia nelle acque internazionali a partire dal 2009, nell’ambito degli accordi italo-libici, cfr. TERRASI A., I respingimenti in mare di migranti alla luce della Convenzione europea dei diritti umani, in Diritti umani e diritto internazionale, 2009, 591 ss.; DEL GUERCIO A., La compatibilità dei respingimenti di migranti verso la Libia con la Convenzione europea dei diritti umani alla luce del ricorso Hirsi e altri c. Italia, in Rass. dir. pubbl. europeo, luglio-dicembre 2011, p. 255 ss.; LIGUORI A., I respingimenti in mare e il diritto internazionale, relazione presentata al Convegno Il diritto d’asilo in Italia e in Europa, Roma 22 novembre 2010 (agg. 2011), disponibile su http://www.europeanrights.eu.

(17) V. ad esempio, i dati CESPI nel 2007 http://www.cespi.it/PDF/mig-mare.pdf.

(18) UNHCR, Considerazioni sulla Grecia come Paese d’asilo, 2009, in http://www.unhcr.it.

(19) Palmisano, Il trattamento del migrante clandestino, in Europa e Mediterraneo. Le regole per la costruzione di una società integrata, Atti del XIV Convegno della SIDI, Napoli, 2010, p. 319.

(20) Cfr., con specifico riferimento ai respingimenti in mare dei migranti, TREVISANUT S., Respingimenti in mare dal punto di vista del diritto del mare, cit., p. 239 ss., nonché la letteratura ivi citata.

(21) SIR ELIHU LAUTERPACHT - DANIEL BETHLEHEM, The scope and content of the principle of non-refoulement: Opinion, agg. 2003, disponibile su http://www.unhcr.org/419c75ce4.pdf, punto n. 2.

(22) V. nota precedente.

(23) Sul punto si rimanda altresì all’analitica concurring opinion pronunciata nella sentenza Hirsi dal giudice Pinto De Albuquerque.

(24) V. i riferimenti bibliografici citati supra alla nota n. 11.

(25) V. G. COHEN-JONATHAN, La Convention européenne des droits de l’homme, Paris, 1989, p. 84 e 304 ; F. SUDRE, Extradition et peine de mort : arret Soering de la Cour européenne des droits de l’homme du 7 juiliet 1989, in Rev. gen. dr. int. pub, 1990, 108.

(26) UNHCR, Parere consultivo sull’applicazione extraterritoriale degli obblighi di non-refoulement derivanti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal suo Protocollo del 1967, 2007, in http://www.unhcr.it, punto n. 34.

(27) SIR ELIHU LAUTERPACHT - DANIEL BETHLEHEM, The scope and content, cit., punto n. 98.

(28) SIR ELIHU LAUTERPACHT - DANIEL BETHLEHEM, The scope and content, cit., punti nn. 132, 133.

(29) UNHCR, Parere consultivo sull’applicazione extraterritoriale degli obblighi di non-refoulement, cit., punto n. 35.

(30) SIR ELIHU LAUTERPACHT - DANIEL BETHLEHEM, The scope and content, cit., passim.

(31) V., in particolare, sent. Chahal c. Regno Unito, 15 novembre 1996; Ahmed c. Austria, 17 dicembre 1996; Ryabikin c. Russia, 19 giugno 2008.

(32) Nonostante la segnalata progressiva estensione delle maglie dell’art. 33, infatti, resta pur sempre necessario che la minaccia per la vita o la libertà siano collegate ad una delle motivazioni espressamente previste dall’art. 1, lett. A, n. 2 della Convenzione, vale a dire razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un gruppo sociale, o opinioni politiche. In tal senso v. UNHCR Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugee Status, Conclusion No. 15 (XXX) 1979, para. 66, in http://www.unhcr.it.

(33) SACCUCCI A., Il diritto di asilo nella Convenzione europea dei diritti umani, in Rass. dir. pubbl. europeo, luglio-dicembre 2011, p. 101 s.

(34) Per l’esame di tali strumenti ed i requisiti per accedervi si rinvia all’ottimo Speciale su diritto d’asilo e accoglienza pubblicato l’11 giugno 2011 su http://www.meltingpot.org.

(35) V., per tutte, la più volte citata Conka c. Belgio, del 5 febbraio 2002.

(36) In tal senso si esprime la concurring opinion pronunciata nella sentenza Hirsi dal giudice Pinto De Albuquerque.

(37) Ciò emerge in maniera evidente dai reports delle organizzazioni internazionali citati nella sentenza Hirsi: v. supra, par. 1., sub b).

(38) Il testo dell’accordo, inizialmente segreto, è stato diffuso dal quotidiano La Stampa a metà giugno: http://www.lastampa.it/_web/tmplframe/d ... uotolo.pdf. Il medesimo testo è stato pubblicato dal sito dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, che ne ha criticato il contenuto ed ha rivolto un appello al Ministro Cancellieri affinchè garantisca che la gestione dei flussi migratori venga condotta nel rispetto dei diritti fondamentali: http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=2267&l=it.

(39) Con riferimento ai quali, v. bibliografia citata supra, alla nota n. 16.



Alberto Pento

C'è qualcosa che non va in questa sentenze e nei commenti a favore, c'è qualcosa di profondamente ingiusto, dannoso e criminale.

Se un uomo non è più libero di decidere chi può entrare o meno a casa sua, quest'uomo non è più un uomo libero;
se un paese-stato non può decidere chi può o non può entrare entro i suoi confini non è più un paese-stato libero ma un paese divenuto schiavo.
Se vi sono dei trattati, delle convenzioni, delle leggi, delle sentenze di qualche Corte che violano i nostri diritti umani, a casa nostra, in nome di presunti diritti umani universali di altri da applicare a casa nostra, questi trattati, queste convenzioni, queste leggi e sentenze sono irrispettabili, da cambiare e da bandire assulutamente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » ven lug 21, 2017 7:28 pm

Ora Orban attacca Gentiloni: "Chiudete tutti i porti italiani"
Chiara Sarra - Ven, 21/07/

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 23202.html

Il presidente ungherese e i Paesi dell'Est scrivono all'Italia: "Il flusso migratorio deve essere fermato in Libia"

"L'Italia chiuda i porti e blocchi i migranti in mare". Il diktat arriva stavolta dall'Est Europa e più precisamente da Viktor Orban e i leader del gruppo di Visegrad (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia).

I quattro hanno infatti scritto una lettera al presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, perché il Belpaese smetta di accogliere gli immigrati che vengono raccolti da Ong - che "sono finanziate e appoggiate da soros - e navi militari in mare.

Il premier ungherese Orban, in un'intervista alla radio pubblica Mr, definisce "irrealistiche" le proposte della Commissione europea. "Se non verranno chiusi i porti ai migranti il problema diventerà ingestibile, dato che tedeschi ed austriaci chiuderanno presto le loro frontiere", scrivono invece i Paesi di Visegrad, "Il flusso immigratorio deve essere fermato in Libia". E all'obiezione che in Libia non esiste un potere pronto a collaborare con l'Ue per fermare i trafficanti, Orban risponde: "Penso ad azioni militari".

"L'Italia sta facendo il suo dovere e pretendiamo che l'Europa lo faccia a fianco dell'Italia e non accettiamo improbabili lezioni o minacce come quelle che abbiamo ascoltato nei giorni scorsi", replica il premier, Paolo Gentiloni, intervenendo alla "Cooperativa Piergiorgio Frassati".


Migranti, Ungheria: 'Italia chiuda i porti' Gentiloni replica: 'No a lezioni e minacce'
di F. Q. | 21 luglio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... ce/3745755

“L’Italia chiuda i suoi porti“, consiglia l’Ungheria. E ipotizza: se Austria e Germania ripristineranno i controlli ai confini, tutti i migranti che arrivano da sud resteranno in Italia. “No alle minacce e alle improbabili lezioni“, replica Paolo Gentiloni. Sale la tensione tra Roma e i Paesi che in Europa si rifiutano di collaborare nel ricollocamento e nell’accoglienza dei richiedenti asilo: giovedì era stato il ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz a chiedere di “interrompere i trasferimenti dei migranti da Lampedusa“.

Di fronte ai flussi di migranti in arrivo dal mar Mediterraneo, Roma ha due opzioni: “chiudere” i porti o accettare l’assistenza europea che però è inefficace, ha detto il premier ungherese Viktor Orban in un’intervista a Kossuth Radio, ripresa dal sito ufficiale del governo. Orban ha chiesto una divisione razionale dei compiti all’interno dell’Ue, affermando che Bruxelles non possa fermare i flussi di migranti: “Non abbiamo bisogno di una politica comune europea sui migranti, e non abbiamo bisogno di un’agenzia comune europea per i migranti, perché porteranno soltanto caos, difficoltà e sofferenza”.

Il premier ungherese ha anche dichiarato che i Paesi del gruppo Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio italiano, in cui si dicono d’accordo sul fatto che i flussi debbano essere interrotti in Libia. “Una nazione che non è capace di difendere i suoi interessi non è una nazione, nemmeno esiste, e scomparirà“, ha affermato ancora Orban nell’intervista.

“Dai nostri vicini, dai Paesi che condividono il progetto europeo abbiamo diritto di pretendere solidarietà – la risposta di Gentiloni – non accettiamo lezioni né parole minacciose. Serenamente ci limitiamo a dire che noi facciamo il nostro dovere e pretendiamo che l’Europa faccia il proprio senza darci improbabili lezioni”.

Il punto è che l’Italia considera un atteggiamento solidale la partecipazione di tutti gli Stati Ue al ricollocamento dei richiedenti asilo, mentre i Paesi di Visegrad offrono al massimo aiuto di tipo economico. “I Paesi del V4 sono pronti a contribuire in modo significativo – si legge nella lettera inviata al premier italiano a metà settimana, dopo una riunione a Budapest – con contributi finanziari e di altro genere, in linea col nostro approccio generale e le nostre capacità nazionali, escludendo azioni o strumenti che potrebbero creare ulteriori e più forti fattori attrattivi (pull factor) per la migrazione, specialmente ricollocamenti o meccanismi obbligatori di ridistribuzione automatica (come le quote ipotizzate a partire dal 015 dalla Commissione Ue, ndr)”, scrivono i premier ceco Bohuslav Sobotka, slovacco Robert Fico, ungherese Orban e polacco Beata Szydlo.

Nel documento i quattro Paesi ribadiscono la necessità che “i veri richiedenti asilo” siano “identificati prima di entrare in Ue” e dettagliano i contributi che sono pronti a dare. Quindi contribuiti “alle attività Ue alle frontiere meridionali della Libia, su richiesta; ad organizzare, proteggere e creare condizioni di vita umana negli hotspot fuori dai territori Ue; ad addestrare i guardacoste libici; a rafforzare le capacità dell’Ufficio per l’asilo europeo (Easo); e per il Codice di condotta delle Ong.



Alberto Pento
Piena solidarietà a Orban
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » sab lug 22, 2017 1:22 pm

Buongiorno amici
22/07/2017

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 5512398699

Finora chi ci governa ha voluto far credere che mentre l'Italia fa la brava e accoglie a braccia aperte i poverini in fuga dalle guerre e dalle ingiustizie, l'Europa invece fa la cattiva rifiutandosi di aiutare l'Italia nell'accogliere delle quote di questi poverini e nel condividere i costi del generoso salvataggio in mare di milioni di disperati.
Ebbene la verità è esattamente l'opposto. È chi ci governa che si ostina, costi quel che costi, a promuovere e finanziare questa vera e propria auto-invasione dell'Italia, pretendendo che gli altri stati europei si rendano collusi con questa folle strategia suicida, acconsentendo che anche i loro paesi si facciano auto-invadere.

Questa verità è insita in una lettera dei capi di stato e di governo di quattro paesi europei, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, in cui si chiede all'Italia di "chiudere i porti" per porre fine all'auto-invasione: "Se non verranno chiusi i porti ai migranti il problema diventerà ingestibile, dato che tedeschi ed austriaci chiuderanno presto le loro frontiere".

Nella lettera inviata al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni i quattro leader europei chiariscono che "le nostre frontiere esterne devono essere protette", e che "il flusso immigratorio deve essere fermato in Libia". Al riguardo specificano che "i veri richiedenti asilo siano identificati prima di entrare in Ue"; "l'Ue ed i suoi Stati dovrebbero mobilitare risorse finanziarie e di altro genere per creare condizioni sicure e umane in hotspot o centri di accoglienza fuori dall'Ue".
Il premier ungherese Orban ha sostenuto che l'Europa deve essere pronta anche ad azioni militari per bloccare l'esodo in massa di milioni di giovani dalle coste libiche. E accusa le Ong che stanno favorendo questa auto-invasione, denunciando il fatto che "sono finanziate ed appoggiate da George Soros", il miliardario americano di origine ungherese.

Cari amici, a conferma del fatto che chi ci governa vuole farci auto-invadere costi quel che costi, Gentiloni ha così reagito indispettito alla richiesta dei quattro leader europei: "Dai nostri vicini, dai Paesi che condividono il progetto europeo abbiamo diritto di pretendere solidarietà. Non accettiamo lezioni né parole minacciose. Serenamente ci limitiamo a dire che noi facciamo il nostro dovere e pretendiamo che l'Europa faccia il proprio senza darci improbabili lezioni".
Insomma per Gentiloni l'Europa non ha altra alternativa che rendersi complice della folle strategia suicida di farci auto-invadere, di condannare gli italiani all'auto-annientamento, di porre fine con le nostre stesse mani alla nostra civiltà, per dissolverci e confluire nell'umanità meticcia omogeneizzata, assoggettata al Nuovo Ordine Mondiale governato dalla grande finanza speculativa globalizzata.

E noi italiani che aspettiamo a insorgere? Possibile che devono essere i governanti degli altri stati europei a farci aprire gli occhi sul crimine epocale che si sta perpetrando nei nostri confronti?
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » sab lug 22, 2017 1:34 pm

???

Così rinasce l’alleanza «austro-ungarica» in nome del sovranismo
Paolo Valentino
Milano, 21 luglio 2017 - 22:45

http://www.corriere.it/esteri/17_luglio ... 3f02.shtml

«L’Italia dovrebbe chiudere i suoi porti» per arginare i flussi migratori nel Mediterraneo, è l’invito che ci viene rivolto da ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz e dal premier ungherese, Viktor Orbán

Quando in una pausa di seduta del Parlamento europeo, alcuni deputati popolari proposero a Otto d’Asburgo Lorena, eletto negli anni Ottanta nelle liste della Csu bavarese, di vedere insieme la partita di calcio Austria-Ungheria, l’ex erede al trono di Vienna ironizzando chiese: «Contro chi?». Contro l’Italia verrebbe di dire oggi, senza ironia purtroppo, dopo le ineffabili dichiarazioni rilasciate in non casuale successione dal ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, e soprattutto dal premier ungherese, Viktor Orbán.

«L’Italia dovrebbe chiudere i suoi porti» per arginare i flussi migratori nel Mediterraneo, è sostanzialmente l’invito che ci viene rivolto da questi due campioni del Ppe, partito baluardo dell’Europa cristiana e dei suoi valori. All’evidenza non era affatto iniziativa solitaria l’uscita del giovane ministro austriaco, cui Angelino Alfano ha replicato in modo un po’ blando liquidandola come semplice boutade elettorale. Perché se è vero che l’ambizioso Kurz è disposto a tutto pur di prevalere nella partita per la cancelleria viennese in programma a ottobre, il raddoppio di Orbán, nell’arco di appena 24 ore, fa piuttosto intravedere una strategia concertata.

Tanto più che il primo ministro ungherese, nella sua intervista radiofonica ripresa dal sito ufficiale del governo, ha solo anticipato il contenuto di una lettera inviata al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, dal gruppo di Visegrad, il forum nel quale Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia coordinano e fanno pesare le loro pulsioni antieuropee.

Bene ha fatto, quindi, il capo del governo a usare toni forti, nel respingere le «parole oltraggiose sul tema migranti» e nel ribadire che l’Italia «non accetta improbabili lezioni dai Paesi europei», dai quali «abbiamo invece diritto di pretendere solidarietà».

Ma la questione resta e presenta aspetti piuttosto insidiosi per il nostro Paese e per tutta la Ue. La lettera di Visegrad è infatti abilmente congegnata, nel senso che i quattro si dicono d’accordo con l’impostazione dei ministri degli Interni italiano e tedesco, secondo i quali i flussi vanno fermati in Libia e i veri richiedenti asilo devono essere identificati prima di entrare nella Ue. Di più, Budapest, Varsavia, Praga e Bratislava offrono addirittura un «contributo significativo a mobilitare risorse finanziarie per creare condizioni sicure in centri di accoglienza fuori dalla Ue».

Ma questo approccio, solo in apparenza solidale, ha una premessa di fondo, che Viktor Orbán chiarisce senza troppi giri di parole. «Non abbiamo bisogno di una politica comune né di un’agenzia europea per i migranti, porterebbero solo caos, difficoltà e sofferenza». Come dire, ognuno se la veda solo e se voi non chiuderete i porti, noi chiuderemo le nostre frontiere.

Ora, a parte che la generosità ostentata dai quattro Paesi, grandi beneficiari del bilancio comune, è tutta da verificare, siamo in presenza di una vera e propria fuga in avanti. Nessun accenno infatti il gruppo di Visegrad fa allo sfacelo istituzionale della Libia e all’assenza di un centro di potere unico e stabile nel Paese nordafricano. All’obiezione in tal senso, Orbán nell’intervista parla addirittura di «azioni militari». E chiosa con una dichiarazione proditoria e offensiva: «Una nazione che non è capace di difendere i suoi interessi non è una nazione, nemmeno esiste e scomparirà».

Dove il concetto di interesse è chiaramente sovranista e posto in totale contrapposizione a quello comune dell’Europa, continente al centro della tormenta globale delle migrazioni, cui non può che dare una risposta unitaria. Più grave è che Orbán sia già riuscito a spostare il terreno della discussione, rendendo impunemente «mainstream» posizioni che puntano al cuore della stessa idea europea. Fino a quando a Viktor Orbán verrà concesso di abusare della pazienza della Ue? Fino a quando il Partito popolare europeo continuerà a tollerare nelle sue file un leader antieuropeista, xenofobo e con venature antisemite, come dimostra la sua guerra sulle Ong con George Soros?



Alberto pento
Un giornalaccio schifoso che promuove la violazione dei diritti umani dei cittadini europei; un vero promotore di crimini contro l'umanità.
Questo schifosissimo giornale è lo stesso che ha promosso la I Guerra Mondiale che ha distrutto la terra veneta.
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » dom lug 23, 2017 6:48 pm

Modena, bombe molotov contro il centro d'accoglienza per immigrati
21 Luglio 2017

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... ritas.html

Hanno tentato di incendiare la sede di Porta Aperta, un'associazione di volontariato patrocinata dalla Caritas diocesana che si trova a Modena. La struttura ospita, fra gli altri, anche diversi migranti. Un attacco dietro al quale, ipotizzano gli inquirenti, ci potrebbe essere una rappresaglia di matrice razzista.

I responsabili hanno scagliato due molotov contro l'edificio, ma solo una delle due ha preso fuoco. Sul posto sono immediatamente intervenuti i vigili del fuoco che hanno fermato la propagazione delle fiamme. Sulla vicenda indagano le forze dell'ordine che stanno setacciando i filmati delle telecamere.
Come detto, l'ipotesi più probabile è che in seguito alle proteste dei residenti contro l'arrivo degli immigrati, qualcuno abbia deciso di passare ai fatti, con un pericoloso atto razzista.
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Re: Accoglienza imposta è un crimine contro l'umanità

Messaggioda Berto » dom lug 23, 2017 6:48 pm

Siamo di fronte ad un bivio: o blocchiamo l'auto-invasione di giovani maschi, fertili, musulmani e abili al combattimento o l'Italia morirà
Magdi Cristiano Allam
Il Giornale, 23 luglio 2017

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 6942230556

Abbiamo quattro certezze sul fenomeno epocale e senza precedenti dell'ingresso ininterrotto e incontrollato nel territorio nazionale di centinaia di migliaia di persone provenienti dall'Africa, dal Medio Oriente e dall'Asia. La prima certezza è che sono prevalentemente giovani di sesso maschile di età compresa tra i 20 e i 30 anni. La seconda è che nella stragrande maggioranza sono originari di paesi dove non sono in corso delle guerre. La terza è che sono quasi tutti musulmani. La quarta, acquisita grazie alle recenti ammissioni della Bonino, è che il governo Renzi nel 2014 ha voluto che gli sbarchi dalla costa libica avvengano tutti in Italia.

Manca la certezza più importante: chi sono veramente questi giovani, che vivono l'esplosione della fertilità maschile con la prospettiva di promuovere una società meticcia, il cui aspetto ci dice che non hanno mai conosciuto la fame, che sbarcano con il cellulare attivato e sono consapevoli dei loro «diritti», che potrebbero rivelarsi dei combattenti pronti a farci la guerra dentro casa nostra per sottometterci all'islam.

Nei bandi dei prefetti per l'individuazione delle «strutture di accoglienza temporanea», il Ministero dell'Interno li chiama in quattro modi: «cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale», «migranti», «profughi», ma soprattutto «ospiti». Il Presidente della Camera Boldrini li ha indicati come «una risorsa», «l'avanguardia umana della globalizzazione e del mondo futuro». Tito Boeri, presidente dell'Inps, li chiama «migranti», invoca frontiere aperte e la loro regolarizzazione, perché a suo avviso saranno loro a pagarci le pensioni.

Anche i mezzi di comunicazione di massa li chiamano «migranti». Per sano realismo hanno smesso di chiamarli «immigrati», perché chi meglio degli italiani sa che gli immigrati sono dei lavoratori, che appena sbarcano in un altro paese si rimboccano le maniche e si guadagnano il pane con il sudore della propria fronte. È vietato chiamarli «clandestini», anche se di fatto tutti quelli che sbarcano sono sprovvisti di documenti. Di fatto non sono «clandestini» perché non entrano furtivamente in Italia, siamo noi che li andiamo a prendere a casa loro e li portiamo sin dentro casa nostra. «Migrante» è il participio presente del verbo «migrare», indica un'azione in fieri, in addivenire, ma non connota lo status della persona.

La verità, a cui si perviene per esclusione, è che questi giovani maschi, fertili, musulmani e abili al combattimento sono lo «strumento umano» di una «auto-invasione», finalizzata alla nostra sostituzione etnica e al suicidio della nostra civiltà. L'Europa prende le distanze dall'Italia o perché, come nel caso di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, osteggiano il Nuovo Ordine Mondiale assoggettato alla grande finanza speculativa globalizzata, o perché, come nel caso di Francia e Germania, ritengono di aver tutto da guadagnare dalla dissoluzione dell'Italia.

Ecco perché siamo di fronte ad un bivio: o blocchiamo le frontiere o l'Italia morirà.
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