Il caso Siria e l'esodo dei siriani

Il caso Siria e l'esodo dei siriani

Messaggioda Berto » mar gen 19, 2016 8:00 am

Siria
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Nella intricata e torbida questione siriana, come orientarsi e con chi stare?
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: El caxo Siria e łi so migranti

Messaggioda Berto » ven apr 26, 2019 11:45 am

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 21/04/2019, a pag.1/17, l'editoriale del direttore Maurizio Molinari dal titolo "Assad contro il ritorno dei profughi"
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=74392

È la prima volta che un quotidiano italiano a diffusione nazionale descrive la reale situazione della Siria nei confronti dei propri profughi. I numeri che il direttore della Stampa elenca con estrema precisione, oltre a inorridire, pongono una domanda che ogni lettore serio dovrebbe porsi: come mai nessun altro organo d'informazione ha mai descritto con questa chiarezza l'orrore messo in atto da un dittatore spietato come Assad? È finita così in basso la credibiità della maggioranza dei nostri media?

Per l'Europa in affanno davanti al fenomeno dei migranti un nuovo campanello d'allarme arriva dalla Siria dove il presidente Assad, dopo aver prevalso sul fronte militare, sta ostacolando il ritorno in patria di 5,5 milioni di profughi causati dalla guerra civile.
Su 18 milioni di abitanti, la Siria conta ben 11,6 milioni di profughi 5,5 espatriati e 6,1 senza dimora dentro i confini ovvero un terzo del totale dei rifugiati dell'intero Pianeta.
La maggior parte degli espatriati, causati dalla guerra civile iniziata nel 2011, si trova nei Paesi confinanti: 3,3 milioni in Turchia, 1 milione in Libano e 650 mila in Giordania a cui bisogna aggiungere un altro mezzo milione in Europa e 68 mila in Nordamerica.
Si tratta di milioni di famiglie che sono state accolte nella convinzione che una volta terminata la guerra civile sarebbero tornate in patria ma ora tale prospettiva si allontana. Il primo a sollevare l'allarme su quanto sta awenendo è stato Jumblatt, leader socialista druso libanese, e poi è toccato a Kuyumijan, ministro degli Affari Sociali a Beirut, rivelare che "meno del 20% dei profughi che hanno tentato di rientrare in Siria sono riusciti a farcela". Da Amman trapelano cifre ancora più ridotte: con solo pochi profughi siriani ammessi, in maniera sporadica, al rientro.
L'Alto commissariato per i rifugiati dell'Onu (Unhcr) ha documentato come alcuni profughi tornati dalla Germania in Siria abbiano ricevuto ogni sorta di maltrattamenti e alla fine hanno rinunciato. L' Istituto olandese per le relazioni internazionali è andato oltre, riuscendo a individuare "sette misure normative" che il regime di Assad ha adottato per limitare al massimo il ritorno di profughi che considera avversari: dalle norme sull'emissione di nuove carte di identità alla possibilità di privare della nazionalità chi ha commesso "reati contro lo Stato" trovandosi all'estero.
Ma è in particolare la legge numero 10, emanata nell'aprile 2018, a ostacolare i rimpatri perché consente al regime di Assad di requisire terreni e proprietà private per destinarle alla ricostruzione se i proprietari, tornati dall'estero, non hanno specifici "attestati di possesso".
Poiché gran parte dei siriani fuggiti dal 2011 vengono da aree rurali e piccoli villaggi dove questi "attestati di possesso" non esistevano, la decisione ora di renderli indispensabili significa ostacolarne il ritorno. Sradicandoli per sempre dalle loro terre. E poiché gran parte dei profughi sono sunniti, il timore fra gli esuli come nei Paesi arabi della regione è che Assad stia adoperando la legge 10 per generare tm ricambio di popolazione: sostituire l'etnia a lui più avversa con sciiti, cristiani ed altre minoranze che hanno invece sostenuto il regime durante una guerra civile che ha causato almeno mezzo milione di vittime.
Assad infatti appartiene alla minoranza alawita, ha avuto negli sciiti il maggior alleato militare e vede nella popolazione sunnita una sorta di cavallo di Troia delle nazioni mediorientali a lui più ostili: Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar.
Ovvero, dopo aver vinto la guerra con il sostegno militare di Iran e Russia, Assad punta oggi a trasformare la ricostruzione in un volano per eliminare dalla popolazione quanti più rappresentanti possibili delle etnie non gradite.
Per scongiurare nuove rivolte popolari in futuro contro il suo regime. E una forma sofisticata, spietata, di pulizia etnica, che alcuni recenti studi dell'Alto commissario per i rifugiati dell'Onu avvalorano attestando che "molti profughi siriani vogliono tornare ma temono di farlo in questa situazione".
A dimostrarlo sono i numeri: dall'inizio del 2018 appena 8.070 profughi sono rientrati dalla Giordania e 14.496 dal Libano. Da qui l'ipotesi che l'Europa e i Paesi arabi possano decidere di condizionare gli aiuti economici alla ricostruzione della Siria ad un cambiamento radicale della posizione del regime sul rientro dei profughi.
Facendo leva, come suggeriscono fonti diplomatiche a Bruxelles, sulla posizione della Russia maggiore protettore di Assad che sta chiedendo proprio all'Ue di essere protagonista della ricostruzione di un Paese devastato da distruzioni e stragi.
In attesa di vedere se Assad accetterà di far tornare i profughi sunniti nelle loro case, possono esserci pochi dubbi sul fatto che la pulizia etnica in corso in Siria ribadisce come dietro le grandi migrazioni che investono l'Europa c'è la ferocia di regimi e dittatori che disprezzano la propria gente.


???
Chi frena il rientro dei rifugiati siriani e perché il Libano rischia di esplodere
Chiara Clausi - Ven, 26/04/2019
Il Paese ospita oltre 1,5 milioni di profughi. Ma per l'Onu rimpatriarli significa ammettere che Assad ha vinto. E l'accoglienza muove tanti soldi
da Beirut

http://www.ilgiornale.it/news/chi-frena ... 84815.html

Alle porte della valle della Bekaa la strada si arrampica attraverso colline verdi e casette contadine finite a metà. È una regione a maggioranza drusa. Questa minoranza religiosa è più attenta all'ambiente e qui la natura è rimasta quasi incontaminata.

Gli alberi sono già in fiore ma sui monti che quasi si possono toccare c'è ancora la neve. Fino al 2005, prima dell'assassinio del premier Rafik Hariri, la zona era controllata dai siriani. Ora le tracce della guerra sono cancellate. Si susseguono terreni con mais, verdure, grano, frutta. Poi una strada sterrata conduce al campo di Chtoura. Come una prigione, è circondato dal filo spinato e le baracche sono costruite con teloni dell'Unhcr e pali di legno. I rifugiati hanno appeso coperte colorate di lana che utilizzano per ripararsi dal freddo nella notte sui rami degli alberi all'ingresso. La cucina è angusta, ci sono delle provviste in barattoli di vetro, conserve. Il bagno è fatiscente, alcune tinozze blu dove le persone del campo si lavano.

Sono le condizioni terribili dei rifugiati siriani in Libano. Il Paese, più piccolo dell'Abruzzo, ha accolto al suo interno quasi due milioni di siriani, 1,5 secondo stime dell'Unhcr, che assieme a circa 200 Ong gestisce aiuti per quasi mezzo miliardo di dollari all'anno. Per il governo i siriani non hanno lo status di rifugiati ma sono «displaced», sfollati. Il Libano infatti non ha firmato l'Accordo di Ginevra sui rifugiati. La posizione di Beirut è chiara: il Paese non li può più accogliere perché è in corso una grave crisi economica, sociale e demografica. Il Libano non può fornire luce, acqua, infrastrutture, ospedali, cibo, non ha le risorse finanziarie sufficienti per garantire una vita dignitosa ai rifugiati. Ora che il presidente siriano Bashar al-Assad ha vinto la guerra e gran parte del territorio è tornato sotto il suo controllo, non ci sono ragioni, secondo il governo, perché gli sfollati non ritornino in Siria.

Ma l'Onu e le ong puntano i piedi. «Fino a poco tempo fa facevano compilare un questionario che di fatto dissuadeva i profughi a tornare e li obbligavano a rimanere», spiegano fonti riservate. L'Unhcr chiedeva il luogo in cui volessero ritornare, le ragioni, quando, se avessero qualche preoccupazione a riguardo, e ancora se fossero in possesso di tutti i documenti necessari. «Una serie di domande che di fatto instillavano dubbi e scoraggiavano il rientro», chiarisce la fonte. Ora l'Onu ha cambiato posizione. Se vogliono i rifugiati possono ritornare, ma non sono aiutati nel rimpatrio. «L'ammorbidimento della posizione dell'Unhcr - secondo la fonte -, è avvenuta anche perché il governo aveva congelato il rinnovo dei permessi di soggiorno dei funzionari dell'Unhcr. E tra l'altro esiste già un'iniziativa russa per fare ritornare i rifugiati in Siria». Ma fonti governative sottolineano che «l'Onu scoraggia il ritorno perché altrimenti dovrebbe ammettere che in Siria stia avvenendo una transizione pacifica. Sarebbe obbligato così a partecipare alla ricostruzione del Paese». Il premier Saad Hariri appoggiava inizialmente la posizione dell'Onu e delle ong, voleva cioè che fosse garantito un ritorno «sicuro» dei rifugiati nella propria terra. Ora secondo fonti governative «pare che anche il premier si sia allineato sulla posizione del rimpatrio».

Fra i due fuochi ci sono i siriani che non sanno cosa fare. Come Aisha, 31 anni, di Aleppo, studiava letteratura araba e il suo sogno era fare la giornalista. Indossa un vestito a quadri scuro e porta un velo blu sui capelli. Ha occhi profondi neri e carichi di speranza. «Vogliamo che ci siano garantite le condizioni minime di sicurezza. Non crediamo in nessun partito in Siria». Ma se fosse garantita la sicurezza torneresti? «Akiid, certo, ognuno vuole vivere nel proprio Paese. Qui sono una rifugiata, sono di seconda categoria. Non sono considerata una libanese, non ho gli stessi diritti. La nostra vita è come questo bicchiere di acqua, si è rotto e fatto in mille pezzettini, ma noi possiamo mettere insieme le parti e farne un bicchiere ancora più bello». Nel campo si riuniscono per chiacchierare, la sera, in una tenda con una piccola stufa al centro, per terra qualche vecchio e consumato tappeto e alcuni cuscini rossi di cotone su cui sedersi. Walid, ha 36 anni, dà il latte con il biberon alla sua bambina con un vestitino colorato e le scarpette rosa. «Ho perso due bambini e mia moglie. Ora ho soltanto lei. Non lavoro da sette mesi. E se ritorno in Siria verrò considerato un oppositore del regime solo per il fatto che sono scappato».

In un angolo della tenda siede Ammouna, è la nonna del campo. Non ricorda bene la sua età, forse, dicono gli altri, ha 60 anni. Ha un velo viola attorno alla testa e un vestito nero con dei fiori bianchi. Con rabbia si fa avanti e dice: «Quando tutto sarà normale io ritornerò. Tu credi che non vorremmo ritornare? Tutti qui vogliono ritornare!». Poi la interrompe Mouhammad, 38 anni, in jeans e maglietta: «Siamo in trappola non possiamo né stare qui, né con Daesh, né con il regime. Non abbiamo scampo». Falah, laureato in diritto, originario di Aleppo, in tutta azzurra chiarisce altri problemi: «Se ritorno dovrò fare il servizio militare. Non ho più la casa perché è stata distrutta. Dove dovrei vivere? Noi stiamo in mezzo, non siamo né con la Russia e Assad, né con la Turchia e la Free Syrian Army. Non abbiamo scampo. Mia madre è stata rapita sulla strada per arrivare in Libano, mio fratello è scomparso a Idlib, mio padre è morto venti giorni fa per un'embolia a 73 anni. Quando la Siria sarà ricostruita i libanesi saranno i benvenuti da noi, così come lo siamo stati noi, qui da loro». Circa 170mila siriani sono già ritornati dal Libano da dicembre 2017 e, secondo stime dell'Unhcr, l'86% di loro desidera farlo. Come Dihia, 27 anni, dalla corporatura gracile, ha già tre bambini, arriva da Raqqa, Indossa un vestito a quadri arancione e ci racconta la sua storia: «Mio padre è malato ma qui ospedali e medicine sono molto cari. Sono molto arrabbiata. Viviamo in condizioni terribili. Se potessi queste tende me le lascerei dietro una volta per tutte». L'Unhcr fornisce un mensile in contanti ad alcune delle famiglie di rifugiati più vulnerabili dal punto di vista socio-economico. Meno della metà della popolazione riceve 27 dollari a persona al mese e solo il 19% riceve 175 dollari per un'intera famiglia al mese. Ma la vita qui è veramente dura. Di recente un campo vicino ha preso fuoco ma non c'era abbastanza acqua per spegnere le fiamme. In inverno invece la pioggia ha sfondato le tende e un fiume di acqua è entrato ovunque. Mahmoud, siede su un cuscino con le gambe incrociate e spiega con calma: «Il Libano deve fare pressione sull'Onu e la comunità internazionale per aiutarci ad avere una vita dignitosa. Ringraziamo il Libano per averci accolto, ma sappiamo che siamo diventati un peso per il Paese».

Se la crisi dei rifugiati in Libano non si risolverà è probabile che si riverserà in Europa. E l'Italia è il Paese più vicino da raggiungere dal Paese dei cedri. In questa distesa di disperazione Gazi, capelli tutti bianchi a soli 35 anni, ci mostra un piccolo angolo di paradiso. Qui ha allestito una barberia, dove taglia la barba e i capelli ai maschi del campo, per un compenso irrisorio. Ma la meraviglia è che la stanza è ricoperta alle pareti di decine di gabbiette di uccellini coloratissimi, pappagalli, canarini, che vende ai bambini. Un giardino di pace in una distesa di disperazione.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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