Fermato mentre pesta una donna. Il marocchino: "È solo mia moglie"Rosa Scognamiglio - Sab, 28/12/2019
https://www.ilgiornale.it/news/milano/m ... 04875.html Un marocchino di 32 anni è stato tratto in arresto per aver picchiato in strada la compagnia incinta di poche settimane. "Sto solo picchiando mia moglie" avrebbe detto agli agenti
Botte da orbi in strada alla compagna 18enne, incinta di pochissime settimane.
Non ha avuto alcuna pietà il marocchino di 32 anni che, fuori dai gangheri, ha letteralmente assaltato la giovane fidanzata, mettendo seriamente a rischio la vita del nascituro.
Ripetuti calci all'anca, strattoni e scossoni a più non posso. Poi gli insulti e le imprecazioni a cielo aperto. Mentre la 18enne se ne stava raggomitolata su sé stessa, sul ciglio della strada, nel tentativo di pararsi dai colpi che sarebbero stati fatali al piccolo nel suo grembo. Ma l'uomo, un 32enne originario del Marocco, non ha avuto il benché minimo rimorso ed ha continuato finanche alla presenza della polizia municipale.
Follia pura e violenza primordiale in pieno centro a Milano. È questo lo scenario raccapricciante a cui hanno assistito due agenti del della municipale, in zona piazza Selinunte, nel tardo pomeriggio del 17 dicembre. Il marocchino avrebbe sferrato calci violenti alla giovanissima compagna nel tentativo di colpirla al ventre. La ragazza era piegata sull'asfalto a protezione della pancia mentre un donna – identificata successivamente come la madre dello straniero – avrebbe tentato di distogliere il 32enne da quella condotta criminosa pronunciando frasi in arabo. L'aggressione si sarebbe consumata, inoltre, alla presenza di un bimbo di appena 3 anni (nipote dell'uomo) terrorizzato da cotanta efferatezza.
Fermato dai due agenti, l'aggressore, sprovvisto di documenti, si sarebbe giustificato dicendo che “stava solo mettendo le mani addosso a sua moglie”, dando per scontanto di non commettere alcun reato. Ma, in men che non si dica, è stato condotto all'ufficio fermi ed arresti per il riconoscimento. L'uomo, un marocchino di 32 anni, già noto alle Forze dell'Ordine per precedenti di spaccio, è stato trasferito in carcere a San Vittore con l'accusa di maltrattamenti aggravati.
La giovane donna, di appena 18 anni, ha raccontato alla polizia di essere stata sovente vittima di violenze ma di non aver mai avuto il coraggio di denunciare tanto che, in preda alla disperazione, avrebbe persino tentato il suicidio stretta dalla necessità di porre fine allo strazio. Attraverso l'attività di indagini, infatti, è emerso che la ragazza, proprio nella sera antecedente ai fatti, avesse provato a togliersi la vita sui binari della metro salvo poi essere ricondotta sulla banchina da alcuni dipendenti di ATM. Inoltre, appena due mesi fa, la 18enne era stata ricoverata all'ospedale Mangiagalli per un ematoma all'occhio e altre estese tumefazioni al corpo dopo una lite col convivente. Ora, la giovane si trova in una struttura protetta e può occuparsi serenamente della sua gravidanza.
Quelle ragazze uccise in nome della Sharia di cui nessuno parla
Michael Sfaradi
28 maggio 2020
https://www.nicolaporro.it/quelle-ragaz ... uno-parla/ La notizia più triste degli ultimi giorni arriva dall’Iran, per la precisio’e ne dalla piccola città di Haviq, capitale del distretto di Haviq, nella contea di Talesh, nella provincia di Gilan. Romina lnorme differenza di età fra i due, ma bisogna considerare che a certe latitudini, e soprattutto in zone rurali come quella dove si è svolta la vicenda, enormi differenze di età nelle coppie è una normalità.Ashrafi, una ragazzina di tredici anni, ha avuto la disastrosa idea di scappare di casa con l’uomo di cui si era innamorata, Bahman Khavari di 35 anni. Per la nostra mentalità la prima cosa che salta agli occhi è
Dopo che il padre di lei, e di conseguenza tutta la famiglia, si era rifiutato di accettare la relazione, la ragazza era scappata di casa. Ancora non è chiaro se si è trattata di una fuga in solitaria o insieme all’uomo. Praticamente quella che un tempo nel sud Italia veniva chiamata “Fuitina”. I familiari della giovane, con la chiara intenzione di continuare a ostacolare questa relazione, hanno sporto denuncia e la ragazza, dopo essere stata convocata dalla polizia locale, è comparsa davanti a un giudice che ha deciso di rimandarla a casa e lo ha fatto nonostante le grida disperate della giovane che, considerando il temperamento violento del padre, ha fatto di tutto per spiegare il pericolo in cui si sarebbe trovata.
Il giudice, nell’obbligarla a tornare a casa dei genitori, l’ha condannata a morte e quasi sicuramente ha emesso la sua sentenza consapevole di quelle che sarebbero state poi le conseguenze perché giovedì scorso, mentre Romina dormiva sul suo letto, il padre, con l’intento di ristabilire l’onore della famiglia, l’ha sgozzata nel sonno. Romina Ashrafi, è giusto ripetere il suo nome, di tredici anni, è stata sgozzata nel sonno da un padre che ha barattato il suo “onore” con la vita della figlia. Il padre assassino si è poi consegnato alle autorità ben sapendo che, in base alla Sharia che in quel momento lo vedeva come “guardiano” della vittima, non sarà condannato a pene severe. Per cui non c’è alcuna speranza che la povera Romina possa avere giustizia.
Ciò che lascia basiti è che come genitore il nome del padre, cioè dell’assassino, appare in primo piano sul necrologio della povera ragazza. Un ulteriore sfregio alla memoria di chi, nonostante la sua giovane età, ha avuto la sola colpa di essersi innamorata di una persona non gradita al suo nucleo famigliare. L’errore, lasciatemelo dire, sarebbe considerare questo episodio lontano da noi, frutto di mentalità lontane dalla nostra. Perché se è vero che la nostra mentalità è lontana culturalmente da simili barbarie, negli ultimi anni, almeno geograficamente, è costretta a convivere con modi di pensare molto simili a quelli che hanno ucciso Romina Ashrafi.
Casi simili sono accaduti e accadono continuamente anche in Occidente. Per esempio sappiamo perfettamente dove ha avuto origine la moda di distruggere il volto, molte volte anche con la perdita della vista in uno o di entrambi gli occhi, lanciando acido in faccia alle ex fidanzate e, ultimamente, anche a ex fidanzati. Prova che questo tipo di violenza attecchisce facilmente senza distinzione di sesso. Ma peggio ancora, perché al peggio non c’è mai fine, il rito dello sgozzamento, come capretti al macello, è arrivato da noi in occidente, e cose che non si vedevano da decenni sono improvvisamente tornate in auge. Solo per fare qualche esempio è giusto ricordare il caso di Laura Paumier e Mauranne Harel sgozzate a Marsiglia davanti al piazzale della stazione ferroviaria Saint-Charles il primo ottobre 2017 da Ahmed Hanachi, un clandestino che anziché libero di muoversi e armato di coltello, visti i suoi precedenti avrebbe dovuto essere rinchiuso in un centro detentivo.
L’arte dello sgozzamento, purtroppo, è arrivato anche in Italia, e visto che ne parliamo è giusto ricordare Hina Saleem che l’11 agosto del 2006 fu scannata dal padre nel bresciano perché voleva vivere e vestire all’occidentale, con la madre che all’apertura del processo dichiarava alla stampa di capire e perdonare il marito per ciò che aveva fatto. Le aveva ammazzato una figlia e lei lo capiva e perdonava. È giusto anche ricordare Sana Cheema, cresciuta a Brescia, che all’età di venticinque anni è stata assassinata dal padre e dal fratello a Gujrat in Pakistan, sua città natale, perché voleva sposarsi con un ragazzo italiano.
Per consumare il delitto il padre e il fratello hanno atteso il momento giusto e lo hanno eseguito su terra islamica, dove la società era più disposta a capire le motivazioni del gesto. Il processo in Pakistan per questo spietato omicidio si è concluso con un nulla di fatto, mentre in Italia, dove la ragazza risiedeva, la magistratura avrebbe voluto mettere i due assassini alla sbarra ma, come riporta La Repubblica del 15 ottobre 2019, Mustafa Gulham, 50 anni, il padre di Sana e il trentaduenne Adnan, fratello della vittima, non sono più reperibili.
Siccome per legge il processo italiano non può partire se non c’è certezza della notifica agli indagati dell’avviso di conclusione indagini, tutto rimarrà probabilmente lettera morta. Per cui per Romina Ashrafi, Hina Sallem e Sana Cheema, uccise in posti lontani fra loro e in momenti diversi con un comune denominatore, cioè un coltello in gola guidato da mentalità malate, non ci sarà mai giustizia. Almeno quella degli uomini per ciò che riguarda l’Onnipotente possiamo solo aspettare con fede.