Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçedentałi

Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçedentałi

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 6:45 pm

Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçedentałi
viewtopic.php?f=194&t=1810


Responsabilità vere o presunte degli occidentali, degli europei, dei cristiani e degli ebrei
https://www.facebook.com/groups/altridi ... 8029928875

Secondo taluni, ideologicamente, religiosamente e politicamente targati, la causa principale o tra le cause principali di queste bibliche migrazioni dall'Asia e dall'Africa
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçedentałi

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 7:37 pm

???

Sono in medio oriente per raccontare la coesistenza di un popolo unico .
https://www.facebook.com/people/Vincenz ... 3337791107
Sono in medio oriente per raccontare un popolo che nasce con la pace nell'anima ... Un popolo che ti saluta cantando la pace .
Sono in medio oriente per guarire dall'ignoranza e dalla disumanità che l'occidente diffonde e produce come il frutto migliore della nostra cultura .
Sono in medio oriente per non rischiare di essere RAZZISTA !


Per tutti coloro che adorano Salvini, la Fallaci, Allam e non vedono oltre la propria ignoranza razzista.
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 3337791107

Possa Iddio insegnarvi quanto prima ciò che la vita evidentemente non vi ha ancora insegnato. Amen
Vincenzo Jri Fullone: "Scappano dalle vostre guerre, si dalle vostre !
Dalle guerre che voi europei razzisti importate in queste terre, per compiacere voi che volete sempre più caldo d'inverno e più fresco d'estate.
Per la vostra smania di avere tutto e subito.
Per voi che pagate 4 volte il valore di un frutto e non vi chiedete quanti muoiano per quei 2 euro.
Si? esattamente per voi e per il vostro stile di vita, per la vostra indifferenza e incoscienza , ma soprattutto per la politica che votate ogni qualvolta siete chiamati alle urne !
Questa gente crede che le vostre terre razziste e vergognose siano la meta verso la libertà. Non partono da qui per colonizzare, scappano dalla colonizzazione che VOI IMPONETE .
QUESTA È LA FINE DEL MONDO !"


Comento mio

A sì! L'islam che uccide tutti: mussulmani, cristiani, atei e i diversamente religiosi, ovunque esso arrivi, sarebbe forse costituito da occidentali europei o da zombi mussulmani creati in laboratorio dagli occidentali e dagli europei? Mi dispiace tanto ma questa è follia pura, disumanità demente e criminale. Maometto e il Corano hanno iniziato la guerra islamica al mondo e questa continua da 1.300 anni producendo morte a non finire altro che Hitler e il nazismo. Le calunnie di questo post non mi toccano.
Fate meno figli, pregate meno Allah e datevi da fare, gli ebrei hanno trasformato il deserto della Palestina in un giardino, imparate a lavorare la terra e a trasformarla altro che pecore, capre e cammelli o vivere di rapina espropriando i beni degli "infedeli" uccisi, massacrati, sterminati. Noi in Europa facciamo pochi figli perché la vita costa è dura e difficile, manca anche il lavoro in Italia (12,7% di disoccupati), tanti si ammazzano dalla disperazione, i nostri vecchi vanno a rimestare nella spazzatura, i giovani senza lavoro emigrano o non fanno famiglia e figli ... mi dispiace ma noi non siamo vostri schiavi, non vi dobbiamo niente tanto meno dobbiamo mantere i vostri figli. Arrangiatevi! È il vostro Dio e la vostra storia che vi ammazza non noi!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçedentałi

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 7:51 pm

Migrasion, colonixasion, s-ciavetù
viewtopic.php?f=175&t=1204


???

Se gli africani vengono qui è perché avete rubato le loro risorse per 300 anni
https://www.facebook.com/video.php?v=72 ... 40&fref=nf

Sto moro kì el ƚa xmena dal bon e a ƚa granda, a mi nol me ƚa conta, no ƚa xe mia dal tuto cusì!
Ƚi ƚo ga parecià par ben coeƚi de ƚa sanca taƚiana.

Ghe xe on mucio de paexi afregani endoe ke i bianki ƚi xe stà parà via e masacrà, ke prima co i bianki ƚi gheva na agricoltura fiorente ke ghe dava da vivar a tuti ... parà fora i bianki i mori ƚi se ga fato ƚe goere tribaƚi e edeolojeghe e i xe ‘ndà en mexeria.
No stemo darghe ƚa colpa senpre a i altri.
En Afrega ƚa s-ciavetù ƚa jera prategà vanti ke rivàse i bianki e co xe rivà i bianki jera i mori memi ke feva s-ciavi altri mori par vendergheli ai bianki.

I mori no ƚi xe santi, martiri e vitime dei bianki ... ƚi xe anca lori pieni de peke e de magagne.

Caxo mai a xe ƚe so clàsi dirixenti more ke ƚe tien malamente ƚa so xente, par ƚi so egoixmi e ke ƚi xvende ƚe so rikese ai bianki par trarse fora ƚi skei par ƚuri sensa pensar ai altri ke ƚi vien da luri memi considerà bestie, can, s-ciavi, omani sensa valor.

Straje de łi Hutu e dei Tutsi:
viewtopic.php?f=110&t=454
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçedentałi

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 8:02 pm

EPA: benedizione o condanna? I nuovi accordi economici tra Africa ed Europa
http://africaeuropa.it/2014/10/30/epa-b ... -ed-europa

Possono tre semplici lettere cambiare il volto delle relazioni tra Africa ed Europa?

La risposta è sì, se le lettere in questione – e, p, a – unite vanno a forma l’acronimo inglese EPA, che sta ad indicare i nuovi Accordi di partenariato economico siglati – al novembre 2014 – dall’Unione europea con tre differenti gruppi di Stati africani: il cosiddetto West Africa group (comprendente i 15 Paesi della Comunità economica dell’Africa occidentale più la Mauritania), il SADC-EPA group (formato da Botswana, Lesotho, Mozambico, Namibia, Sudafrica e Swaziland) e l’East African Community (Kenya, Tanzania, Uganda, Burundi e Ruanda).

Accordi che – a conclusione del lungo processo di ratifica da parte dei singoli parlamenti nazionali – andranno a ridisegnare le relazioni economiche e commerciali tra i due continenti con effetti ad oggi ancora difficili da immaginare.

Nella sostanza gli stati africani, per vedere garantito ai propri prodotti l’accesso al mercato europeo senza dazi (come avveniva fino al 1° ottobre 2014), hanno dovuto sottoscrivere una serie di nuovi accordi (gli EPAs appunto) in cui si impegnano a liberalizzare i propri mercati facilitando l’accesso ai prodotti provenienti dall’Europa attraverso la progressiva abolizione dei dazi in entrata.

Agli Stati africani sarà però consentito di mantenere alcune tasse a protezione di prodotti o settori considerati strategici.

Per rendere l’idea di quale sarà la portata dei nuovi accordi basti pensare che gli scambi commerciali tra Unione europea e Africa occidentale – nel 2013 – erano parti a 68 miliardi di euro (FONTE UE)

Nonostante le rassicurazioni dei negoziatori europei – il commissario europeo al commercio (uscente) De Gucht, ha parlato di un processo con mutui benefici e motore di un’occasione di sviluppo per l’Africa – non mancano le preoccupazioni per le possibili ricadute sulle già fragili economie africane.

We can create local wealth and jobs and Governments should support family farming more effectively, say West African farmers

La rete delle organizzazioni contadine e degli allevatori dell’Africa occidentale – riunite nel network ROPPA – ha più volte messo in guardia di fronte alle possibili ripercussioni dell’apertura dei mercati africani ai prodotti agricoli europei.

Il rischio – da loro paventato – è quello di vedere i mercati africani invasi di prodotti europei a basso costo, affossando così un settore che rappresenta la principale fonte di sostentamento per i 300 milioni di abitanti della regione.

prt_400x400_1403859891Prezzi che – sottolineano i vertici del ROPPA – sono viziati dai sussidi che l’Ue continua a pagare ai propri agricoltori: aiuti che si tramuterebbero in forme di dumping commerciale e concorrenza sleale nei confronti dei produttori africani.

Come sottolineato dall’inchiesta “The Dark Side of the italian Tomato” che denuncia come l’esportazione di pomodoro concentrato – prodotto in Italia e coperto da sussidi – abbia negli ultimi anni invaso il mercato ghanese provocando la crisi del mercato locale e costringendo migliaia di agricoltori ad emigrare (alcuni di questi verso la stessa Italia).

Sulla questione dei sussidi bisogna però ricordare come la Commissione europea si sia impegnata – nell’ambito degli stessi Epa – a provvedere alla loro progressiva cancellazione. Resta da capire in che tempi e con quali modalità.

Vi è poi il tema delicato dei mancati introiti per le casse dei governi africani derivanti dalle tasse imposte sui prodotti di importazione. Risorse che, per molti Paesi, rappresentavano un capitolo importante dei budget nazionali.

Il dibattito è aperto e noi di africaeuropa ci sentiamo in dovere di provare ad affrontare un tema tanto complesso quando importante per il futuro di milioni di africani. Un tema che è stato snobbato e dimenticato dalla maggior parte dei media italiani, nonostante la recente scadenza del 1 ottobre 2014.

Per questo abbiamo deciso di dedicare agli EPAs una serie di post (ad iniziare dalla MINIGUIDA qui sotto) che andranno ad approfondire i vari aspetti – non solo economici, ma anche politici – dei nuovi accordi.

Questo perché crediamo che la conoscenza e l’informazione siano alla base di ogni possibile cambiamento.

Un ringraziamento speciale va all’ ECPDM (European Centre for Development Policy Management) per la mole di materiali e approfondimenti sull’argomento che mette a disposizione – gratuitamente – attraverso il proprio sito internet.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçeden

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 8:07 pm

Fermiamo gli "Epa"
http://www.nigrizia.it/notizia/fermiamo-gli-epa

Difendiamo il futuro dei popoli africani dagli accordi economici che l'Europa vuole imporre. Appello rivolto alle associazioni, alle reti sociali, agli istituti missionari e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà. Firma anche tu.

L’Unione Europea, anche a motivo della crisi economica, persegue una politica sempre più aggressiva per forzare i paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) a firmare gli EPA (Economic Partnership Agreements - Accordi di partenariato economico). Una trattativa questa durata quasi dieci anni; la Ue esige che entro il 1° ottobre 2014 gli accordi siano siglati (questo è il primo passo che precede la vera e propria firma che può avvenire anche a diversi mesi di distanza dopo la soluzione di tutti gli aspetti legali).

Le relazioni commerciali tra la Ue e i paesi ACP sono state regolate dalla Convenzione di Lomé (1975-2000) e poi di Cotonou (2000-2020) con la clausola che i prodotti ACP - prevalentemente materie prime - potessero essere esportati nei mercati europei senza essere tassati. Questo però non valeva per i prodotti europei esportati nei paesi ACP, che dovevano invece sottostare a un regime fiscale di tipo protezionistico. ???

Ora, la Ue chiede ai paesi ACP di eliminare le barriere protezionistiche in nome del libero scambio perché così richiede il WTO (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) che persegue la politica di totale liberalizzazione del mercato. Con gli EPA, infatti, le nazioni africane saranno costrette a togliere sia i dazi che le tariffe oltre ad aprire i loro mercati alla concorrenza. La conseguenza sarà drammatica per i paesi ACP: l’agricoltura europea (sorretta da 50 miliardi di euro all’anno) potrà svendere i propri prodotti sui mercati dei paesi impoveriti. I contadini africani, infatti, (l’Africa è un continente al 70% agricolo) non potranno competere con i prezzi degli agricoltori europei che potranno svendere i loro prodotti sussidiati. E l’Africa sarà ancora più strangolata e affamata in un momento in cui l’Africa pagherà pesantemente i cambiamenti climatici.

La Ue vuole concludere in fretta questo negoziato vista l’importanza strategica dell’accordo soprattutto per il rincaro delle materie prime che fanno molta gola alle potenze emergenti (i BRICS ), in particolare Cina, India e Brasile già così presenti in Africa.

Per di più gli EPA aprirebbero nuovi mercati per i prodotti europei, ma anche nuovi spazi per investimenti e servizi.

Il tentativo dell’Unione Europea di siglare gli EPA con i 6 organismi regionali coinvolti - Comunità dei Caraibi (Cariforum), Africa Centrale (CEMAC), Comunità dell’Africa Orientale (EAC) e Corno d’Africa, Africa Occidentale (ECOWAS), Comunità di sviluppo dell’Africa Australe (SADC) e infine i paesi del Pacifico – sta conoscendo significativi ostacoli. Al momento, la Ue ha firmato un accordo definitivo solo con i quindici stati dei Caraibi. Le altre aree si sono rifiutate di firmare in blocco e la Ue ha perseguito la politica di firmare EPA provvisori con i singoli paesi: 21 hanno finora siglato gli accordi anche se pochi hanno firmato, dando un chiaro segnale della inaccettabilità degli accordi e della fallibilità diplomatica dell’Ue su questo fronte, e che sin dalla Conferenza di Lisbona (2007) si doveva presagire. In questo clima il Coordinamento per i Negoziati EPA, promosso dall’Unione Africana (UA), ha invitato tutti a non firmare per ora gli accordi EPA, ma di aspettare dopo il vertice Africa-Ue che si terrà il prossimo aprile.

Noi, donne e uomini impegnati nella lotta per il rispetto dei diritti umani, missionari e laici, riteniamo che gli EPA siano profondamente ingiusti per queste ragioni:

- in un’Africa già così debilitata, questi accordi costituirebbero un colpo mortale per l’agricoltura africana, in particolare per l’industria della trasformazione e della lavorazione dei prodotti agricoli, che può e deve arrivare a sfamare la propria gente;

- l’eliminazione dei dazi doganali nei paesi ACP, che costituiscono una bella fetta del bilancio statale, metterebbero in crisi gli stati ACP;

- gli accordi fatti dalla Ue con i singoli stati d’Africa hanno la conseguenza di spaccare le unità economiche regionali essenziali per una seria crescita dell’Africa;

- non è vero che sia il WTO a esigere gli EPA, che sono invece frutto delle spinte neoliberiste di Bruxelles;

- la Ue deve rendersi conto che l’Africa sta guardando ai BRICS , in particolare a Cina, Brasile e India come partner più allettanti che l’Europa.

Noi guardiamo anche con grande preoccupazione ai negoziati di libero scambio(DCTFA) con tre importanti paesi del Nordafrica: Egitto, Tunisia e Marocco, ai quali bisogna aggiungere la Giordania. La Ue vorrebbe negoziare la liberalizzazione dei settori agricoli, manifatturieri, ittici nonché l’apertura dei mercati pubblici alle compagnie europee. A nostro parere questo costituirebbe una minaccia diretta alle aspirazioni sociali e democratiche promosse dalle ‘primavere arabe’. Questi accordi rinchiuderebbero le economie di questi paesi in un modello di crescita rivolta all’esportazione e aprirebbero i mercati di quei paesi alle multinazionali europee.

L’Europa non può permettersi un negoziato del genere dopo il fallimento del Processo di Barcellona, firmato il 28 novembre 1995, con 15 paesi del Mediterraneo che voleva instaurare un’area di libero scambio nel Mare nostrum.

Siamo alla vigilia delle elezioni europee. Noi chiediamo che questi negoziati sia con i paesi ACP sia con i paesi del Mediterraneo diventino soggetto di dibattito pubblico. Non è concepibile che una potenza economica come la Ue non abbia una seria politica estera verso i paesi più impoveriti, verso soprattutto il continente a noi più vicino:l’Africa.

Ci appelliamo a tutti quei gruppi, associazioni, reti, istituti missionari che hanno già lavorato sugli EPA a riprendere a martellare i nostri deputati a Bruxelles.

Non possiamo non ascoltare l’immenso grido dei poveri. E’ in ballo la vita di milioni di persone, ma anche il futuro della Ue.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçeden

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 9:29 pm

Verta Araba
https://it.wikipedia.org/wiki/Primavera_araba
Con Primavera araba (in arabo الربيع العربي al-Rabīʿ al-ʿArabī) si intende un termine di origine giornalistica utilizzato per lo più dai media occidentali per indicare una serie di proteste ed agitazioni cominciate tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011.
I paesi maggiormente coinvolti dalle sommosse sono la Siria, la Libia, l'Egitto, la Tunisia, lo Yemen, l'Algeria, l'Iraq, il Bahrein, la Giordania e il Gibuti, mentre ci sono stati moti minori in Mauritania, in Arabia Saudita, in Oman, in Sudan, in Somalia, in Marocco e in Kuwait. Le vicende sono tuttora in corso nelle regioni del Medio Oriente, del vicino Oriente e del Nord Africa.
Le proteste cominciarono il 18 dicembre 2010, in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia, il cui gesto innescò l'intero moto di rivolta tramutatosi nella cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini. Per le stesse ragioni, un effetto domino si propagò ad altri Paesi del mondo arabo e della regione del Nordafrica. In molti casi i giorni più accesi, o quelli dai quali prese avvio la rivolta, sono stati chiamati giorni della rabbia o con nomi simili.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Responsabełetà de i cristiani, de łi ebrei, de łi oçeden

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 9:30 pm

Migranti, Isis e petrolio, la crisi libica è soprattutto un nostro problema
L’Italia è pronta a guidare una forza Onu, dobbiamo controllare le frontiere e tutelare le nostre aziende. Ma c’è il rischio di un’altra Somalia
Davide Vannucci21/08/2015
http://www.linkiesta.it/intervento-italia-libia

Il parallelo, ricorrente, l’ha tracciato lo stesso ministro degli Esteri Gentiloni, in un’intervista uscita lunedì sulla Stampa: la Libia rischia di diventare una nuova Somalia, ossia uno Stato fallito, incapace di imporre l’ordine, garantire la sicurezza delle città e delle attività economiche, tutelare i confini, fare rispettare le leggi. In buona parte la Libia è già uno Stato fallito, ma probabilmente il riferimento somalo serve ad evocare un contesto in cui anche un intervento esterno, date le condizioni di partenza, si trasforma in un disastro. Nel 1993 l’Italia, ex potenza coloniale, partecipò alla missione Onu a Mogadiscio, in preda ai "signori della guerra", tra cui il generale Aidid, e rimase coinvolta negli scontri armati. Gli stessi Stati Uniti furono intrappolati nel caos somalo, a tal punto che l’abbattimento di due elicotteri Black Hawk portò Washington ad una fuga repentina (l’episodio ispirò anche un film di Ridley Scott, "Black Hawk Down").

Anche in Libia l’Italia, ex madrepatria, è ovviamente in prima linea. Gli americani, dopo avere guidato la coalizione internazionale che, sotto l’egida della Nato, sostenne con i bombardamenti aerei la campagna dei ribelli contro Gheddafi, intendono restare dietro le quinte (poco tempo fa un bel pezzo del Washington Post raccontava l’approccio sbagliato dell’amministrazione Obama al dopoguerra in Libia: la sottovalutazione dei problemi di sicurezza, culminata con l’assalto al consolato di Bengasi, nel 2012, e il disastroso tentativo di addestrare un presunto esercito libico). Il Paese è frammentato, il potere è parcellizzato, il concetto di autorità relativo: due governi (coi rispettivi parlamenti), due amministratori del fondo sovrano, due governatori della banca centrale, una miriade di milizie, oltre alla presenza dello Stato Islamico, la cui roccaforte, adesso, è proprio la città natale di Gheddafi, Sirte, come hanno mostrato gli scontri degli ultimi dieci giorni.

La Libia rischia di diventare una nuova Somalia, ossia uno Stato fallito, incapace di imporre l’ordine, garantire la sicurezza delle città e delle attività economiche, tutelare i confini, fare rispettare le leggi

L’Isis ha ucciso un religioso estremista che si era rifiutato di giurare fedeltà al gruppo. Per rappresaglia i suoi seguaci, con l’appoggio di alcuni abitanti di Sirte, hanno attaccato le milizie del Califfato. L’Isis ha stroncato la rivolta, bombardando interi quartieri e facendo un centinaio di vittime (il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini, ha parlato di "atti di barbarie"). La città è uno snodo fondamentale, a metà strada tra la capitale, Tripoli, e il principale centro della Cirenaica, Bengasi. A giugno i combattenti delle milizie di Misurata, vicini al governo tripolino, si sono ritirati da Sirte, l’Isis ha potuto estendere il proprio dominio (oggi controlla una fascia di costa lunga quasi cento chilometri) e la città è diventata il magnete libico per i combattenti, anche stranieri, del Califfato.

Alcuni analisti (e lo stesso presidente della Camera di Commercio italo-libica, Gian Franco Damiano, intervistato proprio da Linkiesta) accusano l’Italia di essere troppo vicina alle posizioni dell’Egitto di al Sisi, padrino di uno dei due governi (quello di Tobruk, che gode del riconoscimento formale della comunità internazionale). La linea ufficiale di Roma, però, è sempre la stessa: occorre un’intesa che sia la più ampia possibile - e che comprenda, auspicabilmente, i due parlamenti - perché solo in questo caso si può pensare a una forza internazionale di "stabilizzazione" che, dietro mandato Onu, consolidi l’accordo presidiando i luoghi chiave: sedi istituzionali, porti, aeroporti, installazioni petrolifere.

L’11 luglio l’inviato delle Nazioni Unite, il diplomatico spagnolo Bernardino Leon, è riuscito a raggiungere una prima intesa tra i due fronti a Skhirat, in Marocco, coinvolgendo un buon numero di città e di milizie, ma non il Congresso di Tripoli, che ha ritenuto la bozza troppo sbilanciata a favore di Tobruk. Le trattative sono ancora in corso. Bisogna definire i dettagli più importanti (i nomi del premier, dei vicepremier e dei ministri, la leadership della banca centrale, gli emendamenti alla dichiarazione costituzionale, la gestione delle risorse petrolifere) e si vuole cercare di coinvolgere anche il Parlamento della capitale.

L’Isis ha potuto estendere il proprio dominio, oggi controlla una fascia di costa lunga quasi cento chilometri. E la città di Sirte è diventata il magnete libico per i combattenti del Califfato

Quando i governi di sei grandi Paesi occidentali - Italia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Germania - dicono in una nota ufficiale, assieme alla Ue, che non “esiste una soluzione militare per la Libia”, significa che la premessa di qualsiasi azione è la realizzazione completa dell’accordo diplomatico negoziato da Leon, la cui deadline viene costantemente spostata (adesso si parla di settembre, prima della riunione annuale dell’assemblea generale delle Nazioni Unite). I militari, però, serviranno, perché l’intesa possa resistere alle prevedibile spinte eversive, dello Stato Islamico, ma non solo.

Alla guida di questa forza Onu ci potrebbe essere l’Italia, che non è nuova ad incarichi di questo tipo (si fa spesso l’esempio del Libano). Quale interesse ha il nostro Paese nella stabilizzare la Libia? Sostanzialmente, ci sono due aspetti. Da una parte, c’è l’emergenza, drammaticamente cresciuta dopo la caduta di Gheddafi, degli sbarchi dei migranti, provenienti dall’Africa subsahariana e dal Medio Oriente, che scelgono l’ex colonia italiana come base di partenza per l’ultima tappa del loro viaggio, destinazione Sicilia. I governi libici non controllano la frontiera marittima e il traffico di esseri umani è in mano ad alcune milizie, sulle quali non viene esercitata alcuna autorità (quando non c’è una vera e propria connivenza). Solo nel periodo che va da gennaio a luglio 2015 sono sbarcati in Italia 90.000 migranti (dati Frontex), per cui il controllo delle coste servirebbe a disinnescare questa "bomba demografica". Tutte le ipotesi fatte dall’Unione Europea negli ultimi mesi, compresa la possibilità di distruggere i barconi, si sono arenate contro la mancanza di una controparte in Libia con la quale accordarsi (e senza la cui partecipazione un intervento di questo tipo si configurerebbe come un atto di guerra).

E poi c’è l’economia. L’Italia è ancora presente in Libia, in tanti settori, a partire dall’energia fino alle infrastrutture, con grandi aziende, come l’Eni, e piccole e medie imprese. Malgrado la grande fuga seguita alla chiusura dell’ambasciata italiana, a febbraio, non c’è stato un abbandono totale e negli ultimi mesi, nonostante le condizioni di sicurezza siano ancora precarie, i nostri connazionali (soprattutto i tecnici) hanno ripreso la via del Nordafrica. Sarebbe essenziale, per Roma, assicurarsi le forniture energetiche, attraverso il presidio degli impianti di gas e petrolio, e costruire un ambiente economico in cui tornare ad investire e a produrre.

E poi c’è l’economia. L’Italia è ancora presente in Libia, in tanti settori, a partire dall’energia fino alle infrastrutture, con grandi aziende, come l’Eni, e piccole e medie imprese

I rischi, però, non mancano. I soldati di un’ex potenza coloniale, seppure con funzioni di peacekeeping, sarebbero il mirino ideale per i gruppi terroristi, a partire dallo Stato Islamico. Inoltre, ci si chiede come possa funzionare un accordo che non includa il Parlamento di Tripoli, ma solo la maggior parte delle città e delle milizie di quel fronte (tutti i diplomatici europei, a partire da Gentiloni, ripetono che bisogna coinvolgere il Congresso, ma non è esclude che l’intesa si faccia, per necessità, in sua assenza).

Altra questione: questa forza internazionale dovrà limitarsi a difendere alcuni punti cardine o avrà anche compiti offensivi, contro lo Stato Islamico? Martedì il ministro degli Esteri del governo di Tobruk, Mohamed el-Dayri, ha chiesto formalmente alla Lega Araba un intervento aereo contro l’Isis a Sirte (la richiesta di una no fly zone, da parte della Lega, nel 2011 fu la premessa dell’intervento della Nato). Il premier Al Thinni, dal canto suo, ribadisce la sua richiesta alla comunità internazionale: togliete l’embargo per la fornitura di armi, e sarà nostro compito estirpare lo Stato Islamico.

L’accordo di governo è quindi condizione necessaria, ma non sufficiente. In un interessante paper scritto per l’European Council on Foreign Relations, Mattia Toaldo e Tarek Megerisi hanno evidenziato gli ostacoli dell’intesa (come il ruolo dell’ambizioso generale Haftar), i rischi (un conflitto per conquistare Tripoli, nel caso in cui il Congresso, con le sue milizie, continuasse a dire no), i compiti dell’Europa (rafforzare le tregue siglate a livello locale, ad esempio). L’Italia, che è parte attivissima delle trattative, ha tutto da guadagnare da un accordo inclusivo e duraturo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm


Torna a Migranti, rifugianti o asilanti, clandestini, invasori

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti