Migrai da l'ara tałega: romani, tałeghi e veneti

Migrai da l'ara tałega: romani, tałeghi e veneti

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 3:34 pm

Migrai da l'ara tałega: romani, tałeghi e veneti
viewtopic.php?f=194&t=1804


Migranti dall'area italica: romani, italici e veneti
https://www.facebook.com/groups/altridi ... 1159930562

Nel lontano passato i romani sono emigrati come invasori militari che hanno con la violenza (occupazione, sottomissione e sterminio) colonizzato parte dell'Europa e tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo creando un impero che poi è crollato per implosione e sotto la pressione di ciò che gli stava intorno.

Più tardi con l'arrivo dello stato italiano milioni di persone delle genti italiche sono state costrette a emigrare in tutto il mondo spinte dalla miseria e dalla fame portate dall'unità savoiarda: generalmente tutte migrazioni regolari con la documentazione appropriata e i visti timbrati.
I migranti di area italica si sono fatti apprezzare e disprezzare per i loro comportamenti civili o incivili a seconda dell'etnia e della loro cultura.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Migrai da l'ara tałega: romani, tałeghi e veneti

Messaggioda Berto » dom ago 30, 2015 7:42 pm

Łi barbari romani: çeveltà e ençeveltà, masacri e rexistense
viewtopic.php?f=111&t=574

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... l0bVE/edit
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Re: Migrai da l'ara tałega: romani, tałeghi e veneti

Messaggioda Berto » lun ago 31, 2015 8:59 pm

???
https://www.facebook.com/notes/max-intu ... 6458801844

Cerchiamo di dimenticarlo ma siamo stati clandestini, ruffian malavitosi, sporchi e violenti

Un italiano fece saltare in aria Wall Street ottant'anni prima di Bin Laden: 33 morti e 200 feriti

di Paolo Rumiz

Non siamo mai stati clandestini?
Balle. D'inverno passavamo le Alpi a centinaia, ogni notte; sul San Bernardo dovevano seppellirci in piedi, in tanti morivamo.
Non sbarcavamo sulle spiagge altrui con le carrette della mafia? Falso, spudorato falso. A decine di migliaia arrivavamo sulle coste dal Maine, servizio completo, contratto di matrimonio incluso, con una prostituta negra.
Non mendicavamo? Altra bugia. I bambini costretti a chiedere la carità a New York erano migliaia, e la Mala li marchiava all'orecchio perché non scappassero.
Non eravamo terroristi? Uno di noi fece saltare in aria Wall Street ottant'anni prima di Osama Bin Laden, 33 morti e 200 feriti.

Se davvero credete alla favola che ci vuole poveri ma belli, e sempre migliori degli immigrati di oggi, allora non leggete l'ultimo libro di Gian Antonio Stella, L'orda - Quando gli albanesi eravamo noi (Rizzoli, pagg. 288, euro 17). Se conservate in una teca le orazioni della Fallaci contro gli immigrati-invasori, lasciate perdere. Apprendereste cose insopportabili per gli italiani brava gente. Rischiereste di scoprire che per i cari amici americani i «saraceni» eravamo noi.
Che mentre il Duce dettava il manifesto sulla nostra superiorità ariana, loro ci guardavano come parassiti, feccia, mediterranei olivastri, negri, gentaglia da linciare. Li gheva raxon!

Scimmie, topi di fogna, ecco come ci vedevano. Basta guardare le vignette raccolte nel libro. I giornali di Londra, New York e Chicago le pubblicavano impunemente, tanto l'Italia non protestava, si vergognava di noi, «se ne fotteva dei suoi figli di terza classe». Noi crepavamo come mosche sulle navi, portati via dalla febbre mentre in prima classe altri italiani cenavano a mousse au chocolat. Vendevamo per fame i nostri bambini, li mettevamo in mano a negrieri che li affamavano ancora per farli entrare in stretti, luridi camini (???).
Mandavamo legioni di nostre donne a morire nei bordelli del Cairo, Tripoli e Algeri. Sedotte con promesse di lavori onesti e poi vendute agli arabi, che le volevano bionde e possibilmente bambine.

Orda. Il pugno nello stomaco ti arriva già con quel titolo secco come una fucilata. Un pugno che ci voleva. Avevamo la nausea di porcherie, veleni, bestialità, cloroformio. Bugie soprattutto. Anche Stella non ne può più. Lo senti in ogni riga. Per la prima volta picchia con rabbia, offre uno specchio alla società italiana senza più il filtro dell'ironia usata negli altri libri, a partire da Schei, sul Veneto che sgobba. Demolisce il razzismo della brava gente, i suoi falsi miti, urla contro «il fetore insopportabile di xenofobia che monta, monta in una società che ha rimosso parte del suo passato».

Disfattismo, dirà qualcuno.
No, Stella regola solo un conto con se stesso, con la sua origine veneta, con i vuoti di memoria della sua gente, emigrata fino a ieri. Col nonno Toni «Cajo» buonanima, che «mangiò pane e disprezzo in Prussia e Ungheria e sarebbe schifato dagli smemorati che sputano oggi su quelli come lui». Vive prima la meraviglia di saperne così poco, poi lo sbigottimento di trovarsi di fronte a una bibliografia immensa, un'immensità che gli fornisce la misura - pazzesca - della rimozione. E allora scava, scava, ti rovescia addosso dati inconfutabili, ti lascia trarre da solo conclusioni senza scampo. ???

Quelli che ci hanno dato lustro, altroché se li ricordiamo. I Cuomo, gli Jacocca, i La Guardia. In tanti si sono fatti onore, i loro successi nel mondo li leggi ovunque. Ma gli altri, chi li ricorda? Nessuno. «Quelli che non ce l'hanno fatta e sopravvivono oggi tra mille difficoltà nelle periferie di San Paolo, Buenos Aires, New York o Melbourne fatichiamo a ricordarli». In 27 milioni sono partiti fra il 1876 e il 1976. 27 milioni di padri e fratelli perduti. Eppure non ne trovi traccia nei libri di scuola.

Come possiamo capire cosa siamo diventati se non accettiamo di guardare cosa eravamo davvero, identici cioè agli immigrati di oggi? «Loro» ci rubano il pane? Noi siamo stati massacrati per questo. Nel 1893 ad Aigues Mortes, in Francia, dove sgobbavamo nelle saline, linciarono una ventina di noi sotto gli occhi della Gendarmerie, e l'Italia fece poco o nulla. «Loro» schiavizzano bambini? Noi ne abbiamo fatti crepare di tisi a centinaia nelle vetrerie francesi e nelle fornaci tedesche, comprati per poche lire alle famiglie in miseria. «Loro» fanno troppi figli?
In Australia ne facevamo dieci, anche quindici. E non eravamo terroni. Venivamo dalle campagne del Veneto, Friuli o Trentino.

Venivamo da un Paese in miseria, che lasciava il popolo a dormire nelle stalle. Per questo riuscivamo a vivere in condizioni inconcepibili agli altri europei. Tutto questo è duro da ricordare. E allora ecco la mistificazione, scolpita sul palazzo dell'Eur. Eravamo «trasmigratori», un neologismo coniato dal Duce per non far pensare alle pezze sul ****. Per non dire che la nostra era una storia di brava gente lavoratrice ma subalterna, gabbata da altri italiani, sfruttatori bastardi e figli della stessa cultura della sopraffazione.

Eravamo ignoranti, anche.
«Su due navi a caso arrivate negli Usa nel 1910», racconta Stella, «gli immigrati analfabeti sbarcati dall'italiana Madonna erano il 71 per cento, quelli russi scesi dalla Lithuania il 49 per cento: 22 punti in meno. Quanto ai lavoratori specializzati, i nostri erano sette su cento, i russi 40. E lasciamo stare il confronto con gli inglesi e tedeschi: l'inferiorità era per noi umiliante». Non era solo miseria, aggiunge Stella, era miseria culturale. Il marchio di un Paese che già un secolo fa - scrivono nel 1901 H. Bolton King e Thomas Okey in L'Italia di oggi - è stato prodigo in ogni cosa «tranne che nel più fruttifero degli investimenti nazionali», la pubblica istruzione. Esattamente come oggi.

No, Stella intuisce che contro la xenofobia che monta non servono le petizioni morali. Devi colpire appunto allo stomaco. Smontare la bomba a tempo ed estrarne la spoletta. Disinnescare quella maledetta presunzione di diversità che ci mette contro l'Altro. Ma per riuscirci esiste una sola strada: rompere la rimozione. Agitare i documenti della memoria sul muso di pseudo-intellettuali che cavalcano il razzismo della gente per bene pompando il nuovo clima di autoassoluzione verso i vizi nazionali.

Identità: oggi è la parola d'ordine. Le si dedicano convegni, le si intitolano assessorati. Ma identici a chi? Identici ai marocchini, ai rumeni, ai curdi. In Germania e in Svizzera vivevamo in venti per stanza come i cinesi nelle soffitte di Prato. In America importavamo criminalità organizzata come gli albanesi in Puglia. Sulle Alpi facevamo i passeur, lasciavamo cadere la nostra gente nei burroni dopo averle estorto anche la camicia. Senza pietà, come gli scafisti tunisini e turchi sulle coste del nostro Sud.

Ma dove nasce il vuoto di memoria? Il veneto Stella lo sa benissimo. Nasce negli emigranti stessi, quando tornano a casa. Sono i primi a costruirsi una storia falsa. Non vogliono che i figli sappiano quanto fu dura. E i figli non possono accettare di avere in un clandestino lo specchio del proprio padre. E' come i reduci di guerra, come i reduci della pulizia etnica. Memorie divise. Ecco perché le terre a emigrazione recente sono spesso quelle che covano maggior sospetto verso gli immigrati.

Ma anche questo l'abbiamo provato sulla nostra pelle. Nessuno è crudele con i nuovi venuti come gli immigrati delle generazioni precedenti. Contro gli italiani, i pregiudizi più bestiali non li hanno espressi la Germania o la Svizzera, ma proprio le nuove frontiere dell'emigrazione mondiale, il Canada, l'Australia, gli Stati Uniti. Il peggior massacro di italiani innocenti in tempo di pace lo fece nel 1890 la brava gente di New Orleans, Usa.

E' la storia più impressionante fra le tante raccolte. Ammazzano un poliziotto, gli italiani sono sospettati per primi. Il processo si fa per direttissima e tutti sono assolti. Ma la gente non si dà pace, il Ku Klux Klan manda sinistri ammonimenti. Gli italiani devono essere puniti. In quella Luisiana che produceva milioni di ettolitri di zucchero e melassa la nostra manodopera era una benedizione. Ma non piacevamo. Lavoravamo come negri, ma eravamo bianchi. Davamo ai negri veri un'idea eversiva: che anche il bianco dovesse sgobbare così. La gente assalta il carcere, la polizia della contea si eclissa. I nostri sono trascinati fuori, massacrati a bastonate, poi impiccati, poi crivellati di pallottole. A decine. Allucinante la reazione dei media. Il New York Times: il linciaggio «ha messo al sicuro la vita e la proprietà» della gente di New Orleans. Il Globe Democrat: gli abitanti si erano limitati a esercitare i loro diritti di «sovranità popolare e legittima difesa». Ecco cosa eravamo. La feccia del Pianeta. La china che abbiamo dovuto risalire era davvero infinita.

Ecco come ci chiamavano

Dal piccolo dizionario dei nomignoli sugli italiani.

BABIS: rospi (Francia), BLACKDAGO: accoltellatore nero, dalla parola "Dagger", stiletto (Louisiana), CINCALI: dal grido "Cinq!" della morra (Svizzera tedesca), DING: suonatore di campanello, termine simile a "Dingo", cane selvatico (Australia), GUINEA: africani, simili ai negri (Alabama), KATZELMACHER: fabbrica-cucchiaini, ma anche fabbrica-gatti, cioé gente che figlia come i gatti (Austria e Germania), MAFIA-MANN: mafioso (Germania), TANO: abbreviativo di napoletano (Argentina)


Li gheva raxon a ciamar łi taliani ente ste manere!
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Re: Migrai da l'ara tałega: romani, tałeghi e veneti

Messaggioda Berto » lun ago 31, 2015 9:12 pm

Mario Buda
http://italies.revues.org/2048

Nel settembre del 1920 un attentato alla dinamite a Wall Street, nei pressi della Banca Morgan e del N. Y. Stock Exchange causò 33 morti e più di 200 feriti. Le indagini effettuate dal Bureau of Investigation portarono ad individuare il colpevole nell’anarchico romagnolo Mario Buda, immigrato in America da una decina d’anni e seguace del gruppo anarchico che faceva capo a Luigi Galleani, gruppo a cui appartenevano anche Sacco e Vanzetti. Le autorità definirono l’attentato “an act of war” e organizzarono la più grande caccia all’uomo della storia degli Stati Uniti. Alcune coincidenze con l’attentato dell’11 settembre all’WTC rendono drammaticamente attuale questa storia pressoché dimenticata.

http://www.americacallsitaly.org/emigra ... ato%20.htm
Era il 16 settembre 1920, una bomba fece saltare in aria la sede della banca Morgan & Stanley facendo strage di americani. Il bin Laden di allora probabilmente era un anarchico romagnolo

NEW YORK. Quando, verso la fine degli anni Settanta, la Morgan & Stanley si insediò al World Trade Center, occupando 15 piani della torre numero 2, molti tra i dipendenti, gettando lo sguardo oltre le vetrate, potevano scorgere le proprie abitazioni, la cittadina di Hoboken, e la zona residenziale del New Jersey in cui molti di loro vivevano. Così è stato fino alle 9.03 dell'11 settembre. A quell'ora il boeing 767 United Airlines, si è schiantato contro la torre, infilandosi dentro agli uffici della banca. Ma tragica, la scelta delle proprie sedi effettuata dalla Morgan lo è sempre stata. Non è la prima volta, infatti, che la banca e i suoi dipendenti sono le vittime di un attacco terrorista. Difficile stabilire se la J.P. Morgan fu prescelta in quanto simbolo del capitalismo americano più rapace, o se a entrare in gioco fu la sua dislocazione urbanistica, di fronte ai locali del New York Stock Exchange. Fatto sta che la banca costituì il bersaglio di quello che all'epoca venne considerato l'attentato terrorista più devastante della storia degli Stati Uniti d'America. In molti particolari la storia si ripete. Come oggi, anche allora, tra le vittime, a essere più numerosi furono i dipendenti della banca Morgan.

Come oggi, anche allora a New York era una soleggiata mattina di settembre, il 16 settembre 1920. La banca Morgan era situata al 23 di Wall Street. J.P. Morgan aveva acquistato la proprietà nel 1912 dalla famiglia Drexel, suo precedente socio in affari. A stare ai giornali dell'epoca il prezzo pagato per l'acquisto dell'edificio, 3 milioni di dollari, costituiva un record per il mercato immobiliare newyorkese. Ma le spese non si erano esaurite nell'acquisto del palazzo, poiché J.P. Morgan aveva dato ordine che lo si abbattesse e si erigesse al suo posto l'edificio, che per quanto rimaneggiato, si può vedere ancora oggi: un immobile di soli tre piani, pomposo e lontano dallo stile consueto dei grattacieli avveniristici che già nel 1912 proliferavano in città. In quell’edificio, conosciuto nel mondo della finanza come The House of Morgan, o con il diminutivo più affettuoso di "The Corner", J.P.

Il 16 settembre 1920, all'angolo tra Wall e Broad Street, centro simbolico del capitalismo americano, un anarchico italiano arresta il cavallo che traina una carretta carica di esplosivo e si allontana velocemente confondendosi tra la folla. Pochi minuti dopo, alle ore 12.01, l'intero quartiere è sconvolto da una tremenda deflagrazione. Carretta e cavallo sono ridotti in cenere. Le vetrate dei negozi e degli uffici dell'intero isolato esplodono in mille pezzi. La maggior parte degli edifici circostanti prende fuoco e una grossa porzione della House of Morgan è ridotta in rovina. Quando il fumo degli incendi e la polvere si dissipano, Wall Street sembra essere uscita dall'apocalisse. Macerie e carte ovunque coperte da un'impalpabile polvere grigia. Carrette, cavalli e automobili rovesciati e distrutti.

Corpi e brandelli di corpi. Uomini e donne cadaveri o gravemente feriti. Il bilancio dell'attentato è di 33 morti e più di 200 feriti. Sul piano materiale i danni sono stimati a 2 milioni di dollari dell'epoca. Come accade quasi sempre in questo genere di attentati, i morti e i feriti non sono i "grassi" capitalisti proprietari degli immobili, bensì segretari, commessi e passanti che in quel momento si trovano a passeggiare lungo i marciapiedi, mangiando un sandwich o approfittando del sole nella pausa pranzo. J.P. Morgan, che l'anno precedente era miracolosamente sfuggito a un pacco bomba, quel giorno si trova a Londra, e i suoi due soci principali, Thomas W. Lamont e Dwight Morrow, che partecipano a una riunione in una delle sale di conferenza sul retro dell'edificio, escono indenni dall'attentato. L'indomani il New York Times definisce l'attentato "an act of war", riportando quanto proclamato a gran voce dalla New York Chamber of Commerce, che si affretta a chiedere al governatore dello Stato l'invio di truppe federali in grado di fronteggiare possibili analoghi attacchi. Il numero delle vittime non riesce a dare un'idea dell'inferno prodotto dall'esplosione. New York e il Paese sono sconvolti.

www.memoteca.it

PISTA ANARCHICA. Le indagini del Bureau of Investigation si indirizzano immediatamente verso la pista anarchica. Flynn, direttore del Bureau, si basa su alcuni volantini che rivendicano l'attentato, trovati in una cassetta delle lettere all'angolo tra

Cedar Street e Broadway. Sui volantini, stampati con inchiostro rosso vivo, si legge: "Remember. We will not tolerate any longer! Free the political or it will be sure death for all of you. American Anarchist Fighters". Agli occhi di Flynn, la firma costituisce di per sé un indizio eloquente. Essa combina due firme già apparse in precedenza su un paio di pubblicazioni anarchiche la cui matrice era stata individuata nei circoli italiani: la prima, dal titolo Go -Head! (febbraio 1919) e firmata "The American Anarchists", minacciava il governo americano di una campagna di attentati se fossero state applicate le disposizioni della nuova legge sull'immigrazione destinate "… a deportare ed espellere dagli Stati Uniti d'America qualunque straniero membro di gruppi anarchici e analoghi"; la seconda pubblicazione, dal titolo Plain Words e firmata "The Anarchist Fighters", era stata
lasciata a titolo di rivendicazione nei luoghi in cui, nella notte del 2 giugno 1919, in sette città americane tra cui Boston, New York, Philadelphia e Washington erano state fatte esplodere bombe davanti alle abitazioni dei giudici che si prodigavano ad applicare la legge in questione.
Nel volantino che rivendica l'attentato di Wall Street, compare la frase "liberate i prigionieri politici"; agli occhi di Flynn, un indizio ulteriore: secondo il responsabile delle indagini i prigionieri cui si fa riferimento sono i due anarchici Sacco e Vanzetti. Cinque giorni prima, l'11 settembre 1920, Sacco e Vanzetti, già in stato di arresto da mesi con tutt'altro tipo di accuse, erano stati incriminati dal giudice Thayer della rapina avvenuta il 15 aprile dello stesso anno a South Braintree nel Massachussets, nel corso della quale erano stati assassinati due portavalori. L'indagine che segue l'attentato è una delle più capillari della storia americana. Vengono raccolte centinaia di testimonianze, in ogni ufficio di polizia e nei locali pubblici viene affissa la ricompensa, 100 mila dollari a chi fornisca informazioni, vengono diffuse almeno tremila foto segnaletiche di sovversivi, centinaia di sospetti vengono arrestati e decine di fabbriferrai interrogati sulla provenienza dei ferri di cavallo trovati sul luogo della strage. I sospetti si concentrano su un uomo, riconosciuto in base a una foto segnaletica
Un uomo dal forte accento italiano, dice il fabbroferraio, e di fattezze siciliane. È l'unica testimonianza significativa che gli agenti federali riescono a raccogliere. Nessun'altra prova a carico di quest'uomo compare nel dossier.

BIN LADEN D'EPOCA. Chi era il bin Laden dell'epoca? Non si trattava di un siciliano, ma di un romagnolo. Il suo vero nome è Mario Buda, ma negli Stati Uniti circolava con il nome di Mike Boda. Mario Buda era nato a Savignano, in provincia di Forlì nel 1884. Nel 1907, dopo aver terminato gli studi superiori era emigrato nel Massachussetts, dove aveva svolto svariati lavori nella zona attorno a Boston: giardiniere, operaio presso una compagnia di telefoni, addetto alla costruzione di una centrale elettrica. Per Buda, spesso costretto a dormire all'aperto, protetto da scatoloni di cartone, sono anni di sacrifici. A causa della miseria o forse mosso dalla nostalgia, nel 1911 Buda era rientrato in Italia. Vi era rimasto fino al 1913, anno del secondo trasferimento negli Stati Uniti. Stavolta si era installato a Roxbury, periferia di Boston, dove era stato assunto come operaio in una fabbrica di cappelli. Da un decennio Roxbury aveva assunto le sembianze di una Romagna in miniatura data l'altissima percentuale di romagnoli che vi si erano trasferiti. Buda lì era entrato in contatto con alcuni connazionali anarchici, la svolta della sua vita. I quattro anni che seguirono li dedicò alla militanza nel gruppo anarchico di cui era entrato a far parte e che faceva capo a Luigi Galleani: lo stesso gruppo cui appartenevano Sacco e Vanzetti. Verso la fine dell'Ottocento, il movimento anarchico italiano aveva creato gruppi attivi nella maggior parte delle città dell'Est degli Stati Uniti - Boston, Filadelfia, Baltimora, Pittsburgh, Cleveland, Detroit, Chicago - città industriali che utilizzavano nei propri stabilimenti una forte quota di immigrati italiani. Tra i gruppi attivi forse uno dei più importanti fu quello costituito dai seguaci di Galleani. Piemontese, emigrato negli Stati Uniti agli inizi del Novecento, Luigi Galleani incarnava la corrente anarco-comunista. A leggere i 15 anni di pubblicazioni della rivista Cronaca Sovversiva, fondata da Galleani nel 1903, emergono le parole d'ordine dei galleanisti: no alle riforme, tradimenti degli ideali della classe operaia; sì al rovesciamento del sistema capitalistico con ogni mezzo, compresi attentati e assassinii.

Il tempo che gli restava, tolto il lavoro e l'attività di militante, Buda lo dedicava all'organizzazione di una delle tre scuole anarchiche italiane presenti negli Stati Uniti. Chiamate Modern Schools, tali scuole, le cui lezioni venivano svolte in italiano, erano luoghi in cui, invece di studiare la glorificazione di presidenti e generali come accadeva nelle scuole tradizionali, permeate quasi sempre da bigottismo religioso, i bambini venivano educati alla libertà e alla spontaneità. Il carattere di Mario Buda emerge da un episodio avvenuto durante un processo, nel 1916. Arrestato a Boston durante una manifestazione contro l'intervento americano nel primo conflitto mondiale, l'anarchico romagnolo, nonostante l'assenza di prove a suo carico, era stato condannato dal giudice a cinque mesi di prigione per essersi rifiutato di prestare giuramento sulla Bibbia. Edward Holton James, un ricercatore americano che lo intervisterà nel 1928, ne parla come di un individuo "calmo ma ciecamente orgoglioso delle proprie convinzioni". Una sua fotografia è stata esposta nell'ottobre del 1999 alla New York Historical Society, nell'ambito della mostra The Italians of New York. Five centuries of Struggle and Achievements. Nella didascalia, due righe: "Mario Buda, l'uomo che fece saltare Wall Street". Nel 1917, Mario Buda, per evitare un'eventuale coscrizione obbligatoria nel momento in cui gli Stati Uniti avessero deciso di entrare in guerra, era espatriato in Messico, a Monterrey, dove già si erano installati, tra gli altri, Sacco e Vanzetti. A Monterrey gli anarchici italiani avevano fondato una comunità basata sull'applicazione pratica dei loro ideali. Chi era riuscito a trovare un lavoro (Buda in una lavanderia e Vanzetti in un panificio) divideva il salario con chi il lavoro non ce l'aveva. L'attività politica ferveva concentrandosi sul rientro in Italia e sulla rivoluzione sociale che si riteneva imminente in patria. Ma dopo alcuni mesi fu evidente che, nonostante la guerra assumesse dimensioni sempre più terribili, nessuna rivoluzione sembrava profilarsi all'orizzonte. Tra il settembre e il novembre 1917, tutti gli italiani di Monterrey rientrarono alla spicciolata negli Stati Uniti.


MOLTO SANGUE. Mario Buda si trasferì a Chicago prendendo il nome di Mike Boda. Per i successivi tre anni la vita del romagnolo si riassume in una parola: cospirazione. Probabilmente è a Buda che deve essere attribuita la responsabilità dell'ordigno che il 24 novembre 1917 nella sede della polizia di Milwaukee uccise dieci agenti e una donna che stava sporgendo denuncia per furto. I fatti di Milwaukee costituirono un punto di non ritorno. Dell'attentato furono ritenuti responsabili 11 anarchici italiani. Il processo fu una farsa: la maggior parte dei condannati, al momento dei fatti,
era già detenuta in prigioni americane. In risposta a questacondanna ingiusta si verificarono decine di attentati, i quali,per quanto quasi tutti falliti o sventati, provocarono una
campagna per far espellere i sovversivi italiani dal suolo americano.La legge non si fece attendere. Promulgata il 16 ottobre 1918 come New Immigration Act, prevedeva che per essere espulsi bastasse essere identificati come stranieri e sovversivi. Sovversivo era"chiunque predicasse, insegnasse, diffondesse con ogni mezzo… ideecontrarie all'ordine costituito". Iniziò una caccia alle streghe,seguita da un'ondata di espulsioni. Buda continuava ad agire inclandestinità, sfuggendo a ogni arresto. Fabbricava ordigni esplosivi, redigeva volantini, approntava nascondigli per icompagni ricercati dalle forze dell'ordine, selezionava gli
obiettivi degli attentati. A stare ai volantini che diffuse in quei mesi, gli anarchici non sembravano considerare un crimine l'uso della violenza, bensì un atto di guerra contro un sistema"bandito e assassino". Le vittime innocenti degli attentati costituivano una sorta di prezzo necessario, da pagare al di là di ogni remora etica.
Nell'aprile del 1920 vengono arrestati Sacco e Vanzetti. Buda,ricercato per gli stessi reati, si rifugia presso una famigliaitaliana di Boston. In seguito si sposta a Portsmouth, ed è là cheùl'11 settembre viene a sapere dai giornali dell'incriminazione diSacco e Vanzetti per la rapina di South Braintree e l'assassiniodei due portavalori. Senza esitazione, entra in azione. In quattrogiorni raggiunge New York, affitta un cavallo e una carretta,riempie la carretta di dinamite e chiodi, parcheggia il convoglio
davanti allo Stock Exchange, lungo il marciapiede antistante labanca Morgan, e lo fa saltare alcuni minuti dopo grazie a un dispositivo a tempo. È l'ultimo atto terrorista di Buda sulterritorio americano. Alcune settimane più tardi salpa in direzione di Napoli. Alla fine di novembre è di nuovo in Romagna.

Buda riprende l'attività politica. Sotto il governo di Mussolini, grazie anche alle informazioni fornite da Edgar J.Hoover, promosso direttore del Bureau of Investigation, gli anarchici vengono
arrestati a uno a uno. Coloro che riescono a sfuggire alla cattura partono per l'esilio in Svizzera. Buda nel 1927 viene arrestato e inviato al confino a Lipari, nel 1932 viene trasferito a Ponza. Un
ricercatore di Boston, Edward Holton James, ottiene a due ripreseùil permesso di intervistarlo. Nel 1928 a Lipari, e nel 1932 a Ponza, dove si fa accompagnare da Dante Sacco, figlio di Nicola. Interrogato sulla strage di Wall Street, Buda nega ogni addebito. Quattro mesi dopo viene rilasciato e ottiene il permesso di rientrare a Savignano. Dai dossier di polizia, risulta che Buda venne rilasciato in cambio dei suoi servigi come infiltrato presso i gruppi antifascisti in esilio in Svizzera. Dai dossier tuttavia non trapela nulla che ci induca a pensare che l'attività di informatore si sia concretizzata: difficile immaginarlo nelle vesti del traditore. In ogni caso, dopo due mesi in Svizzera, Buda rientra a Savignano e riprende a fare il ciabattino. Di lui non si ha più notizia. La strage di Wall Street restò per anni nella memoria dei newyorkesi, fino a scomparire, effetto della tendenza americana alla cancellazione della storia. Essa costituì senz'altro un attacco devastante ai simboli del capitalismo e della finanza. Ma, a differenza di oggi, all'epoca niente si fermò. Il New York Times del giorno successivo riportò che fin dal pomeriggio Wall Street "aveva continuato a funzionare e a fare affari come al solito… ".
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Re: Migrai da l'ara tałega: romani, tałeghi e veneti

Messaggioda Berto » lun mar 07, 2016 4:42 pm

Vittorio A. Haus
22 giugno 2015 •

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 1631401692


Per tutti gli IGNORANTI che dicono che dobbiamo subire questa invasione perchè anche noi siamo stati, a nostro tempo, immigrati... voglio ricordare che:

1. Il nostro popolo emigrò in paesi che erano bisognosi di forza lavoro, in paesi bisognosi di costruire nuove città, nuove strutture, in paesi insomma che avevano mercati industriali in completa espansione, non andavano in paesi con una disoccupazione al di sopra del 10%, in Economie in recessione o con picchi di disoccupazione giovanile al di sopra del 40%.

2. I nostri emigranti andavano negli Stati Uniti, in Belgio, in Australia con passaporti e con mezzi LEGALI, non con barconi o motoscafi PAGATI DALL'EUROPA PER DISINTEGRARE IL NOSTRO PAESE E COMPRARLO A DUE SOLDI!

3. I nostri emigranti che, negli Stati Uniti, erano costretti a restare nella famosa Ellis Island per giorni, settimane ed alcuni casi mesi, NON si resero protagonisti di proteste, roghi o quant'altro, ma affrontavano quei momenti con umiltà e pacatezza.

4. I nostri emigranti lavoravano sodo.

5. Non facevano code alle mense della carità.

6. Non chiedevano elemosina.

7. Non pretendevano assegni giornalieri.

Per tutti gli IMBECILLI che dicono che noi siamo stati, a nostro tempo, immigrati, nella foto potete vedere degli emigranti Italiani. Non si lamentano del cibo. Non hanno un Iphone in tasca per cui lamentarsi dell’assenza del Wifi.

...ma che poi di invasione non si tratta perchè li andiamo a prendere noi!!! VERGOGNATEVI, GOVERNANTI DI MERDA!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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