I clandestini non producono PIL e non pagano le pensioni

Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » mar set 08, 2015 8:14 am

Lavorano e fanno figli: così i migranti finanziano l'Europa
Per salvare le nostre pensioni servono 250 milioni di rifugiati entro il 2060. Ecco perché per gli economisti sono una risorsa
di MAURIZIO RICCI
08 settembre 2015

http://www.repubblica.it/economia/2015/ ... -122423704

I POLITICI possono dire quello che vogliono. E anche i cittadini qualunque, al bar o in tram. Ma gli economisti non hanno dubbi: le dimensioni del fenomeno sono troppo grandi per liquidarle con gli aneddoti sui due ragazzi di colore fermi a non far niente sul marciapiede o sulle famiglia araba nell'alloggio di edilizia popolare. Sulla base dei grandi numeri, dunque, gli economisti concludono che gli immigrati che si rovesciano a ondate sulle frontiere europee non sono il problema. Sono la soluzione del problema. Bisogna trovare il modo di sistemarli e di integrarli: un compito inedito, immane, per il quale non ci sono soluzioni facili. Ma le centinaia di migliaia di uomini e donne, giovani, fra i 20 e i 40 anni, spesso con figli al seguito, che si affollano sulle barche, sui treni, sui camion dei disperati sono quello di cui l'Europa ha bisogno. Subito.

Quando Angela Merkel apre le porte della Germania a 800 mila rifugiati, infatti, non spara troppo alto. Spara basso. Facendo un calcolo a spanne, Leonid Bershidsky, su Bloomberg , calcola che l'Europa avrebbe bisogno di 42 milioni di nuovi europei entro il 2020. Cioè domani. E di oltre 250 milioni di europei in più nel 2060. Chi li fa, tutti questi bambini?

I 42 milioni di europei in più sono, infatti, quelli che servirebbero, subito, per tenere in equilibrio una cosa a cui - nonostante quello che hanno affermato in questi giorni leader politici, come l'ungherese Viktor Orbàn - gli europei qualunque tengono, probabilmente, più che alle loro radici cristiane: il generoso sistema pensionistico. Oggi, in media, dice un rapporto della Ue, in Europa ci sono quattro persone in età lavorativa (15-64 anni) per ogni pensionato. Nel 2050, ce ne saranno solo due. Ancora meno in Germania: quasi 24 milioni di pensionati contro poco più di 41 milioni di adulti. In Spagna: 15 milioni di over 65 a carico di soli 24,4 milioni di lavoratori. In Italia: 20 milioni ad aspettare ogni mese, nel 2050, l'assegno dell'Inps, finanziato dai contributi di meno di 38 milioni di persone in età per lavorare. Le soluzioni non sono molte. O si tagliano le pensioni, o si aumentano i contributi in busta paga o si trova il modo di aumentare il numero di persone che pagano i contributi.

Migranti, uno studio choc: "Per mantenere l'Europa ne servono 250 milioni"
Secondo alcuni economisti per salvare le pensioni del Vecchio Continente non ci sarebbero alternative, bisogna spalancare le frontiere. Ma è proprio così?
Raffaello Binelli - Mar, 08/09/2015 - 15:47

http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 68025.html

L'Europa invecchia: è un dato di fatto indubitabile. E se non corriamo ai ripari presto potremmo avere seri problemi di equilibrio economico-finanziario, a partire dal mantenimento delle pensioni.
Ma anziché cercare di promuovere politiche sociali volte ad aumentare la natalità delle coppie, alcuni economisti pensano che l'unica soluzione possibile sia quella di aprire ancora di più le frontiere, accogliendo i migranti. Leonid Bershidsky, sull'agenzia Bloomberg, calcola che l'Europa avrebbe bisogno di 42 milioni di nuovi europei entro il 2020. E di oltre 250 milioni entro il 2060. Secondo Repubblica, che cita un rapporto dell'Ue, oggi nel Vecchio Continente ci sono quattro persone che lavorano per ciascun pensionato. Nel 2050 ce ne saranno soltanto due. I quarantadue milioni di nuovi europei da trovare entro cinque anni servirebbero a mantenere i conti in equilibrio.
Insomma, la tesi di alcuni economisti e politici è questa: altro che problema, i migranti sono una risorsa. E più ne accogliamo meglio è. Altrimenti fra poco non saremo più in grado di andare avanti e tutto andrà a rotoli, a partire dalle pensioni. Messa così la questione, sembrano non esservi alternative. Se l'età media aumenta, e la popolazione invecchia, è evidente che la forza lavoro giovane è necessaria a mantenere il costo sociale (sempre più alto) delle pensioni. L'idea che gli europei facciano più figli e magari, anche in questo modo, concorrano a rafforzare i loro Paesi, non viene neanche presa in considerazione.
Il titolo di Repubblica è emblematico: "Lavorano e fanno figli: così i migranti finanziano l'Europa". La ricetta della sinistra dunque è servita. Accogliere i migranti non è più solo una possibilità, diventa un obbligo. Altrimenti sprofonderemo nella miseria.


A ghe vol el laoro parké la xente ła posa laorar e versar contribù par pension, se no ghè laor no ghè skei da versar par łe pension.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » mer set 09, 2015 8:35 pm

Ke ensemenii!


Immigrazione: altro che solidarietà, ecco perchè la Germania accoglie i migranti (e dovremmo farlo anche noi)
di Marta Panicucci 09.09.2015
http://it.ibtimes.com/immigrazione-altr ... emmo-farlo

Solidarietà, sensibilità e altruismo c’entrano ben poco, lo slancio all’accoglienza dei migranti mostrato da Angela Merkel ha radici e motivazioni molto più pragmatiche. E’ ovvio che la foto di Aylan il bambino morto sulla spiaggia di Bodrum, ha toccato le coscienze di molti in Europa, ma non è per le ragioni del cuore che sta prevalendo lo spirito dell’accoglienza, ma bensì per quelle del portafogli pubblico.

L’Europa è un paese che sta invecchiando velocemente. Il numero di anziani, pensionati che hanno bisogno di assistenza e recepiscono una pensione sta crescendo volecemente rispetto al numero dei giovani che entrano nel mondo del lavoro e pagano per il loro mantenimento. L’immigrazione è fatta di persone giovani, pronte a lavorare, a portare nel Paese di destinazione molto più valore aggiunto dal punto di vista economico di quanto non ricevano in termini di assistenza. Accogliere migranti, siano essi profughi o meno, significa per la vecchia Europa farsi un’assicurazione sui problemi economici futuri.

Secondo un rapporto della Commissione Europea sull’invecchiamento “l'indice di dipendenza degli anziani (persone di 65 anni o superiori rispetto a quelli di età compresa tra 15-64 anni) è previsto in aumento dal 27,8% al 50,1% nella UE nel suo insieme sul periodo di proiezione (ovvero al 2060). Ciò implica che l'Unione europea passerà da avere quattro persone in età lavorativa per ogni persona di età superiore ai 65 anni a circa due persone in età lavorativa per ogni anziano”.

Ciò significa che ci saranno solo due potenziali lavoratori per ogni pensionato, in calo da quasi quattro. Le proiezioni di bilancio a lungo termine mostrano che l'invecchiamento della popolazione costituisce una sfida per le finanze pubbliche dell'UE. L'impatto fiscale dell'invecchiamento è previsto essere alto nella maggior parte degli Stati membri, con effetti che diventeranno sempre più evidenti già nel corso del prossimo decennio.

La variazione della spesa pubblica legata all'età (pensioni, assistenza sanitaria, assistenza a lungo termine ed educazione) è prevista – secondo il rapporto - in aumento di quasi 2 punti percentuali del PIL tra il 2013 e il 2060.

L’invecchiamento della popolazione europea non è ancora diventato un vero e proprio problema, ma lo sarà tra qualche anno quando il sistema pensionistico diventerà insostenibile. Le soluzioni potrebbero essere diverse, ma molte impraticabili: aumentare ancora l’età pensionabile (ed avvicinarla sempre più all’età della morte); tagliare drasticamente gli assegni pensionistici in modo che siano necessari meno contributi dei lavoratori per il mantenimento dei pensionati; aumentare i contributi in busta paga e diminuire i salari netti dei lavoratori o aumentare il costo del lavoro che grava sulle imprese oppure, infine, allargare la platea della forza lavoro, ovvero le persone tra 25 e 60 anni che lavorano e pagano i contributi per sostenere la spesa pensionistica nazionale.

Secondo il rapporto della Commissione, l’UE avrebbe bisogno di 42 milioni di persone in più entro il 2020 e di 257 milioni entro il 2060 per mantenere gli anzini del Vecchio Continente. E visto che insieme all’aumento dell’invecchiamento stiamo assistendo anche al calo della natalità, l’unica soluzione per evitare il disastro fiscale è incrementare l’immigrazione, accogliere più forza lavoro possibile.

Anche perchè rispetto alla popolazione nativa, i migranti giovani e spesso con figli al seguito costano meno e valgono di più dal punto di vista economico, come sostiene Jean-Cristophe Dumont del dipartimento dell'Ocse che si occupa di immigrazione: "Il contributo degli immigrati all'economia è superiore a quanto essi ricevono a titolo di prestazioni sociali o di spesa pubblica".

Secondo i dati europei, la percentuale di italiani che lavora è pari al 67% della popolazione, mentre tra i migranti la percentuale è del 72%. “Quindi vengono a rubarci il lavoro!” sosterrà a questo punto qualcuno.

Ma stanto all'OCSE soltanto il 15% dei posti di lavoro nei settori ad alto sviluppo è stato occupato da un immigrato, mentre nei settori in declino quasi due lavoratori su quattro sono stranieri. Detto in parole povere, nei settori ad alto sviluppo, dove la concorrenza è maggiore domina la presenza di italiani, mentre nei settori più “snobbati” dai nativi sono disposti a lavorare principalmente i migranti. Tra questi il settore agricolo, dove l’Italia mostra il peggio di sé con la pratica del caporalato o nell’assistenza agli anziani dove prevale la presenza di donne straniere.

Ma se i migranti fanno bene all'economia, qualcuno si chiederà perchè certi Paesi sono disposti ad accoglierli, mentre altri proprio non ne vogliono sapere. Anche in questo caso, la posizione politica riflette logiche economiche. Prendiamo l’esempio di Germania e Regno Unito.

La cancelliera tedesca è diventata una figura di spicco per la crisi dell’immigrazione dopo l’apertura delle frontiere e l’annuncio della quota di migranti che la Germania è pronta ad accogliere. Merkel accoglierà 500mila migranti l’anno “forse anche di più” per qualche anno, mentre in Gran Bretagna, David Cameron ha annunciato di accogliere 20.000 rifugiati siriani in cinque anni.

La ragione di questa disparità è semplice: la Germania ha bisogno di un afflusso di migranti per integrare la sua forza lavoro, mentre la Gran Bretagna ne ha molto meno bisogno. In questo senso il grafico della Commissione UE che mostra la variazione prevista dell'offerta di lavoro tra il 2013 e il 2060 per i Paesi europei è molto indicativo.
Mentre la forza lavoro tra i 20 a i 60 anni è prevista in crescita nel Regno Unito, in Germania diminuirà fortemente soprattutto nel periodo dal 2023 al 2060.

La Germania, quindi, ha una forte ragione economica per accogliere migranti, una trasfusione di giovani lavoratori le cui tasse possono contribuire a sostenere la popolazione tedesca che invecchia. Nel corso degli ultimi anni in Germania, così come in Italia e in molti altri membri dell’UE si è registrato un forte calo della natalità. Crescono i vecchi, ma non ci sono abbastanza nascite per rimpiazzare i pensionati con lavoratori che pagano i contributi. Accettare migliaia di migranti per la Germania non significa soltanto essere compassionevoli con dei popoli in difficoltà, ma guardare anche a logiche economiche. Discorso che non è valido per la Gran Bretagna che invece, sta attraversando un boom della popolazione, solo a Londra lo scorso anno è salita di 122mila.

Insomma non si vuole negare la solidarietà mostrata nei giorni scorsi da Paesi come la Germania che è indubbia, ma non prendere in considerazione anche le ragioni economiche che stanno dietro l’accoglienza dei migranti sarebbe da ingenui. E per l’Italia significa essere ciechi, per usare un eufemismo.
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » sab set 12, 2015 10:02 pm

Le economie a cui servono i migranti
Accoglierli non è solo un'offerta generosa, è anche una decisione utile, come dimostrano i casi di Germania e Svezia (e l'italia è nella stessa situazione)
12 settembre 2015

http://www.ilpost.it/2015/09/12/economi ... o-migranti

La questione dell’accoglienza dei migranti che sempre più numerosi arrivano in Europa scappando dall’Africa e dal Medio Oriente viene spesso affrontata dal punto di vista etico: è giusto accogliere chi scappa da una guerra e garantire il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, si dice. Così, quando la Germania ha detto che avrebbe concesso asilo politico a tutti i profughi siriani che arriveranno nel suo territorio in molti hanno elogiato la decisione del governo tedesco, che si è contrapposta in modo netto alle politiche e alla retorica respingente di altri paesi come l’Ungheria o il Regno Unito. Molti commentatori hanno però spiegato come la scelta della Germania sia anche utile, oltre che generosa: accogliere i migranti può dimostrarsi una buona cosa dal punto di vista economico, soprattutto per paesi con una popolazione che invecchia e diminuisce e a cui presto potrebbe mancare la forza lavoro. Tra questi paesi c’è anche l’Italia.

La Germania, spiega il Washington Post, è una «bomba ad orologeria demografica»: ha 81 milioni di abitanti ma un tasso di natalità molto basso e un’età media in costante aumento. Se le cose continueranno così, dicono alcune stime, entro il 2060 la popolazione potrebbe ridursi di oltre 13 milioni di persone. Già ora gli effetti di questo cambiamento demografico stanno diventando evidenti: di recente in Germania hanno chiuso centinaia di scuole per mancanza di bambini e in diverse città non è raro imbattersi in quartieri ampiamente sottopopolati, con molte case vuote. In più negli ultimi anni l’economia della Germania è stata una delle più solide in Europa: al momento il tasso di disoccupazione è del 6,2 per cento, uno dei più bassi in Europa, e secondo l’agenzia federale del lavoro ci sono circa 37.000 posizioni lavorative disponibili e per cui non si trovano lavoratori.

Accogliere i migranti potrebbe essere sul lungo periodo una parziale soluzione e il governo tedesco sembra intenzionato a sfruttare l’occasione per “trasformare una crisi in qualcosa di diverso”. Parlando davanti al parlamento federale, Angela Merkel ha detto di credere che molte delle persone che vengono accolte in questi mesi diventeranno cittadini tedeschi, a condizione che imparino presto la lingua e trovino un lavoro. Merkel ha aggiunto che l’accoglienza dei migranti “porterà più opportunità che rischi”. Dal gennaio a luglio 2015 la Germania ha accolto circa 220.000 richieste di asilo, ed è probabile che entro la fine dell’anno verrà superato il record di 438.000 richieste di asilo accettate nel 1992.

Sul breve periodo, naturalmente, l’accoglienza di centinaia di migliaia di migranti sarà un costo per lo stato e per gli enti locali, tra corsi di lingue, spese di mantenimento e sussidi di diverso tipo. In molti sono però abbastanza fiduciosi nelle possibilità che verranno create dall’immigrazione: per esempio sono già stati avviati programmi per cercare di convincere i migranti a restare in Germania. Il Washington Post ha raccontato quello che sta succedendo a Goslar, cittadina nel centro-nord della Germania: qui dal 2002 al 2015 è stato registrato un calo della popolazione di circa 4.000 cittadini. L’amministrazione locale ha avviato diversi programmi rivolti ai richiedenti asilo per aiutarli a trovare un lavoro e a restare in città anche quando, ottenuto l’asilo, avranno la possibilità di spostarsi in una città più grande.

Oltre che per occupare i posti di lavoro vacanti nelle fabbriche tedesche e ai livelli più bassi di specializzazione, i profughi potranno portare professionalità già formate in Germania: molti di quelli che ricevono asilo arrivano dalla Siria, fino a pochi anni fa un paese “normale”: sono persone istruite, che sono andate a scuola e hanno fatto l’università. Tra loro ci sono architetti, medici e ingegneri, cittadini che non dovranno essere formati nelle loro professioni e che, una volta imparata la lingua, potranno svolgere lavori di alto livello, pagare le tasse, integrarsi e diventare una risorsa per la Germania.

Anche la Svezia, racconta Bloomberg, si trova in una situazione demografica per certi versi simile a quella della Germania, con una popolazione che invecchia e un numero di cittadini con età minore di 15 anni più basso della media europea. Oltre che con una serie di politiche per incentivare un aumento del tasso di natalità, la Svezia ha deciso di essere particolarmente accogliente verso i rifugiati che arrivano nel paese. Considerando quelli che arriveranno nei prossimi anni, è stato stimato un aumento della popolazione entro il 2030 di circa 1 milione e mezzo di persone. Come ha spiegato Knut Hallberg, un economista che lavora in un’importante banca svedese, sul lungo periodo l’arrivo dei migranti sarà positivo, “perché lavoreranno e pagheranno le tasse”.

Rendere il processo di integrazione efficiente non è semplicissimo: al momento il tasso di occupazione tra i migranti arrivati in Svezia è del 66 per cento, contro l’88 tra i cittadini svedesi. La ministra del Lavoro svedese Ylva Johansson ha detto che la Svezia dovrà migliorare il sistema di accoglienza e rendere più veloce l’integrazione dei nuovi arrivati, se vuole che i benefici legati all’immigrazione superino i costi. Giovedì 10 settembre il governo svedese ha presentato un piano per il lavoro e l’educazione per aiutare l’accoglienza dei rifugiati e rendere più facile il loro ingresso nel mercato del lavoro: in tutto, per questi programmi, è prevista una spesa di quasi 300 milioni di euro nel corso dei prossimi tre anni.

Guardando alla demografia l’Italia sembra un paese ancora più bisognoso della Svezia di accogliere nuovi cittadini. L’Italia è il secondo paese al mondo con la più alta percentuale di popolazione sopra i 65 anni di età: il 21 per cento, dietro soltanto al Giappone. L’età mediana degli italiani è la seconda più alta d’Europa, 44 anni contro i 46 della Germania e anche il tasso di natalità è in fondo alle statistiche europee: 1,49 figli per donna contro 1,6 della media europea. A differenza della Svezia, il tasso di occupazione degli stranieri è più alto di quello degli italiani: 61 per cento contro 59 per cento.

E tuti i dixocupà ca ghè en Ouropa?
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » mer set 16, 2015 8:12 pm

Il no di Squinzi ai migranti: "La priorità sono gli italiani"

Alla sinistra buonista Squinzi ricorda che la disoccupazione italiana è al 13%: "Sarà una visione un po' egoistica, ma cominciamo a dare un futuro ai nostri giovani"
Andrea Indini - Mer, 16/09/2015
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 71747.html

"In questo momento non è l’immigrazione che può risolvere i nostri problemi".
Il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi durante l'Assemblea annuale dei soci di Confindustria

A margine di una conferenza stampa a Milano, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi dà un taglio netto al buonismo imperante che vorrebbe aprire le frontiere a tutti gli immigrati facendoci credere che l'ondata migratoria possa costituire un’opportunità: "Abbiamo bisogno innanzitutto di ridare lavoro agli italiani".

Dal presidente della Camera Laura Boldrini a papa Francesco, sono in molti a sbacciarsi per far passare l'idea che le centinaia di migliaia di disperati che sbarcano in Italia debbano essere considerate un’opportunità di crescita per l'Italia. "Siamo generosi nel salvataggio in mare, ma carenti nella parte che riguarda l'integrazione - teorizzava nei giorni scorsi la Boldrini - se li accompagnassimo nell'integrazione ne trarremmo giovamento, lasciarli al loro destino invece significa disperdere questi talenti". Per Bergoglio, invece, l'ondata migratoria servirà a ringiovanire "nonna Europa". "Giustamente quando c’è uno spazio vuoto, la gente cerca di riempirlo: se un paese non ha figli - spiegava il Santo Padre - i migranti vengono ad occuparne il posto". Di questo avviso sono anche molti progressisti che, come pensa anche la cancelliera Angela Merkel, vedono negli immigrati un'occasione di sviluppo economico, culturale e, per alcuni, religioso. Il tutto lasciando indietro gli italiani, Che, è bene ricordarlo, non se la passano poi così bene.

Pur essendo convinto che "alla lunga l’immigrazione sia sempre un fenomeno positivo", Squinzi non è affatto d'accordo coi buonisti che vogliono spalancare le porte del Belpaese agli extracomunitari. A questi ricorda che l'Italia ha il 13% di disoccupazione e il 40% di disoccupazione giovanile. "Sarà una visione un po' egoistica - conclude il presidente della Confindustria - ma cominciamo a dare un futuro ai nostri giovani e velocità al nostro Paese".
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » mer set 23, 2015 6:42 am

???
Kyenge: «I migranti sono una risorsa, non un problema»
L'Ue vota la ricollocazione. Ma c'è il no del blocco dell'Est. «Colpa dei populismi», dice l'ex ministro Kyenge. «Il welfare dell'Ue ha bisogno di nuovi lavoratori».
di Antonietta Demurtas
22 Settembre 2015
http://www.lettera43.it/esclusive/kyeng ... 216349.htm

Al parlamento europeo Cécile Kyenge ci è arrivata dopo aver fatto il ministro dell'Integrazione del governo di Enrico Letta, proprio in un momento in cui in Europa, non solo in Italia, l'integrazione è una chimera.
È un'Unione europea scossa dal più grande esodo dopo quello della Seconda guerra mondiale, che sul fenomeno migranti non riesce a trovare una soluzione comune, e che sta mettendo a rischio tutti suoi valori fondanti.
Un'Ue che, attraverso le azioni di alcuni suoi Stati membri, sta mostrando il peggio di sé.
LOTTA CONTRO LE DISCRIMINAZIONI. Ma Kyenge a combattere con i problemi legati all'immigrazione, alla discriminazione e al razzismo ci è abituata.
Anche se a certe cose non ci si abitua mai.
Ecco perché quando il Senato italiano ha dato l'autorizzazione a procedere contro il leghista Roberto Calderoli per diffamazione nei suoi confronti (l'aveva paragonata a un orango), ma non per istigazione all'odio razziale, Kyenge ha espresso «amarezza», sottolineando che «la decisione del Senato getta un'ombra pesante sulla lotta contro il razzismo, proprio quando il populismo e la xenofobia stanno crescendo a causa della crisi dei rifugiati».

DOMANDA. Forse sarebbe il caso di ripristinare quel ministero dell'Integrazione voluto da Mario Monti?
RISPOSTA. Era un ruolo particolare che non si è capito sino in fondo e che, soprattutto oggi, con i cambiamenti che stanno avvenendo sul territorio, è più fondamentale che mai e dovrà essere ricreato per prevenire i conflitti, fare politica di coesione per una convivenza civile.
D. In Italia non eravamo pronti?
R. No, semplicemente era un ruolo nuovo, la gente doveva ancora capire, le istituzioni dovevano trovare un modo per diventare sistema e coordinare così tutte le politiche che riguardano l'asilo e l'immigrazione, che non possono essere ridotte a un unico settore.
D. Politiche che ora riesce a seguire meglio a Bruxelles lavorando nella commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe)?
R. Qui ho trovato la mia dimensione proprio perché un tema dell'immigrazione non si può affrontare in modo unidimensionale, ma unendo diverse competenze.
D. Per esempio?
R. Si parte dall'immigrazione legale, economica, alla lotta contro il traffico di essere umani, alla cooperazione internazionale per intervenire sulle cause profonde dell'immigrazione in modo da rafforzare anche le politiche di pacificazione, sino ad arrivare alla revisione del pacchetto asilo.
Insomma un dossier completo unico ma eterogeneo per affrontare davvero il fenomeno migratorio, in maniera non più settoriale perchè questo ci lascia nella dimensione emergenziale.
D. Che è invece l'unica affrontata finora dall'Ue?
R. Purtroppo una dimensione emergenziale affrontata con grande lentezza. Mesi passati a discutere per trovare la soluzione a un problema che nel frattempo era già diventato qualcos'altro. Ogni giorno migliaia di persone arrivano in Europa e la cifra di 160 mila ricollocamenti (120 mila più 40 mila) se poteva avere un senso cinque mesi fa, ora non lo ha più.
D. Una goccia nel mare?
R. Sì, oggi non serve una soluzione burocratica, tecnica, ma una politica comune sull'asilo e l'immigrazione, altrimenti non si va da nessuna parte. Solo che al momento trovare un'intesa tra tutti i 28 Paesi sembra impossibile.
D. Quale Stato membro secondo lei sta dando il migliore esempio nella gestione di questo fenomeno?
R. Proprio perché l'immigrazione riguarda più aspetti, non c'è un Paese che sta facendo bene in tutto, ci sono delle buone pratiche.
D. Quali?
R. Anche se non siamo bravi a valorizzarci, l'Italia è stato il primo Paese che è riuscito a far capire l'importanza di salvare le vite umane attraverso l'operazione Mare nostrum.
D. Un'altra piccola goccia nel mare?
R. Sì, ma oggi rafforzando programmi come Triton e Poseidon, di fatto l'Europa ha ricalcato gli obiettivi di Mare Nostrum, e ora le marine militari degli altri Paesi europei stanno contribuendo in questo modo.
D. Sì ma spesso si limitano a scaricare i naufraghi nel porto più vicino.
R. Certo, ricerca e salvataggio è il primo passaggio. Poi però c'è il tema dell'accoglienza e qui sono molto bravi i Paesi nordici come la Germania e la Svezia, che hanno un buon programma di integrazione.
D. Forse anche perché hanno un sistema di welfare avanzato?
R. Sì, basterebbe fare una politica europea che metta a sistema le buone pratiche dei vari Paesi, ognuno nel suo settore.
D. Ma in Europa spesso è difficile anche solo comunicare...
R. Persino sulla comunicazione ci sono buoni esempi come la Carta di Roma che da nazionale andrebbe allargata ad altri Paesi. Le Nazioni unite hanno fatto un vademecum su come comunicare il fenomeno migratorio.
D. Eppure ci sono ancora molti Paesi Ue che di soluzioni comunitarie non ne vogliono proprio sentire: al Consiglio straodinario dei minisitri degli Interni Ue del 22 settembre si è dovuto votare con la maggioranza qualificata per superare il blocco dei Paesi dell'Est e ricollocare appena 120 mila rifugiati.
R. Per questo dicevo che bisogna fare sistema, unire e comunicare le buone pratiche: queste politiche andrebbero allargate prima di tutto al globo dell'Est, Paesi che non hanno mai conosciuto un tipo di immigrazione che viene dal Sud.
D. E che oggi respingono con sputi, calci e muri.
R. Per loro chiunque arriva sul territorio rappresenta una minaccia. Oggi i populisti sono molto forti e riescono a far passare il messaggio che chi arriva è un nemico che ruba il lavoro.
D. Ma non è che anche in Europa dietro la parola populismo o paura, alla fine si nasconde solo il razzismo?
R. Il razzismo è la conseguenza di tutti questi fattori. Quando si tende ad aumentare la paura e a stigmatizzare gli altri, il razzismo aumenta, l'altro viene visto come il pericolo e quindi discriminato.
D. Spesso sono gli Stati i primi a farlo, o erigendo muri come l'Ungheria o scegliendo chi accogliere e chi no a secondo della religione come la Slovacchia.
R. Questi Stati sbagliano e peggiorano solo la situazione, dovrebbero avere delle politiche inclusive capaci di prevenire i conflitti sul territorio, perché proteggi le persone solo includendo tutte le persone.
D. Anche in Italia non siamo molto bravi in questo...
R. In Italia le istituzioni purtroppo hanno indebolito questo processo facendo leggi nocive, come per esempio la legge Bossi-Fini. Per questo l'Ue quando scrive le sue raccomandazioni agli Stati membri deve spingere affinché si facciano non solo le riforme economiche, ma anche si rafforzino quelle nel settore dell'immigrazione, magari riformando proprio certe leggi.
D. Insomma non solo Jobs act...
R. La riforma della legge Bossi-Fini è ugualmente necessaria, perché contiene tanti articoli che escludono le persone dall'integrazione nella società. Due anni fa un immigrato che perdeva il lavoro aveva solo sei mesi di tempo per trovarne un altro, altrimenti entrava nell'illegalità, veniva arrestato, diventava un clandestino. Quindi nella testa delle persone un pericolo.
D. Adesso abbiamo aumentato quel tempo sino a un anno: non tanto.
R. Sì, infatti il problema rimane. I cambiamenti sono molto veloci e anche le leggi si devono adeguare. Oggi l'immigrazione non è più quella del 2001, e soprattutto non è solo un problema da gestire, ma una risorsa.
D. Anche il presidente dell'Onu Ban Ki-moon l'ha ricordato nel suo discorso al parlamento di Strasburgo: gli immigrati non sono un problema, ma un punto di forza per l'Ue.
R. Esatto. Nel 2020, se l'Europa vuole mantenere il sistema pensionistico che ha oggi, avrà bisogno di altri 42 milioni di europei. E di oltre 250 milioni in più nel 2060. Ma qui non si fanno più figli: oggi servono quattro persone per ogni pensionato, nel 2050 ce ne saranno solo due.
D. Quindi?
R. O queste due persone lavoreranno il doppio o si cerca di essere più lungimiranti e guardare al fenomeno migratorio con un altro occhio, è quello che dovrebbe fare un buon statista.
D. È quello che sta facendo Angela Merkel aprendo la porta a tutti i rifugiati siriani?
R. Esattamente, Merkel sta riuscendo a trasformare in una risorsa un evento così drammatico, a interpretarlo positivamente. Se non lo facciamo tutti, nel 2050 saremo costretti ad andare a prendere persone all'estero per farle venire a lavorare qui.
D. Prima di farli venire però bisognerebbe fare i conti con il razzismo. Cosa che in Italia fatichiamo ancora a fare: a distanza di anni lei ancora deve lottare per fare condannare Calderoli, che cosa prova?
R. Dal punto di vista personale non lo auguro a nessuno, quando sono diventata ministra non pensavo di scatenare tutto quello che è successo. Non dipendeva da me, io sono così, quindi probabilmente sono già una provocazione.
D. Perché?
R. Perché sono nera, perché sono donna, perché ho una cultura, perché ho studiato. Ma non l'ho voluta creare io questa situazione. Mi ci sono trovata e quando è successo ho capito che forse in Italia ci dobbiamo ancora rafforzare.
D. Servono anticorpi contro il razzismo?
R. Sì, li dobbiamo creare, per questo non lascio perdere. Non è più una questione personale, chiunque si può trovare in quella situazione e chiunque deve essere difeso, deve poter vivere tranquillamente e far parte di una comunità. È dai casi personali come il mio che si parte per rafforzare le regole, le leggi.
D. Eppure proprio i nostri legislatori al Senato hanno deciso di dare l'autorizzazione a procedere contro Calderoli per diffamazione, ma non per istigazione all'odio razziale.
R. Lo trovo molto grave, uno schiaffo ai valori prima di tutto del mio partito, ma anche degli altri.
D. Da chi è stata delusa?
R. A dare quel voto non è stato solo il Pd, ma un partito come il Sel e questo mi ha sorpreso molto, una buona parte dei suoi senatori hanno votato così, quindi c'è da interrogarsi sul livello culturale e cognitivo di chi sta dentro le istituzioni e che non capisce che il razzismo fa ancora parte della nostra quotidianità e va debellato.
D. Il razzismo più che sottovalutato è un reato ignorato. Che cosa si aspetta dal Pd ora?
R. Una presa di posizione, mi deve dire se è giusta la decisione presa dal Senato. E da quella dichiarazione lì ci sarà da fare un percorso, vediamo.
D. Lei però per ora non si dimette dal partito?
R. No, anche perché visto come hanno votato al Senato non si salva nessun partito.
D. Infatti forse più che una questione di principi, è una questione di opportunità politica: Calderoli dopo quel voto al Senato ha ritirato tutti gli emendamenti alla riforma costituzionale proposta dal governo
R. Non voglio entrare in quella polemica, questa è una causa talmente nobile, che non tocca a me indagare su questo. Io chiedo solo a chi ha votato di riflettere e capire che dentro le istituzioni si devono garantire i diritti di tutti non solo di una parte della comunità.
D. Perché quella frase di Calderoli non è stata ritenuta istigazione al razzismo?
R. Lo chiede a me, alla vittima? Me lo sto chiedendo da tempo, come se lo chiedono tutti quelli che ogni giorno sono vittime di questo reato. Qui il problema è che si accetta il razzismo dentro le istituzioni senza pensare che quella decisione colpirà tante persone sul territorio, persone che non sapranno come difendersi.
D. Che cosa l'ha ferita di più?
R. Quella parola detta da Calderoli aveva tutto dentro, era riferita a un aspetto preciso, il mio, non era un generico: sei un imbecille, aveva una connotazione particolare che colpiva non solo me ma tutta una categoria di persone, e che cercava di farti sentire come se tu non appartenessi agli essere umani perché sei nero. Se non è istigazione al razzismo questa...
D. Si rivolgerà alla Corte dei diritti umani di Strasburgo?
R. Sì, di sicuro non mi fermerò, andrò in Europa.
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » mar set 29, 2015 7:30 am

???
Migranti, l’unica soluzione è l’apertura delle frontiere
Oneuro - Redazione 28 settembre 2015

L’apertura totale delle frontiere è l’unica base sulla quale i cittadini europei possono fare causa comune con il resto dell’umanità per cambiare in meglio la società.
di Peter Ramsay
Pubblicato sul blog The Current Moment il 23 settembre 2015. Traduzione di Thomas Fazi.

http://www.eunews.it/2015/09/28/migrant ... iere/42235

Si è parlato molto nelle ultime settimane di come il nuovo leader del Labour, Jeremy Corbyn, rappresenti qualcosa di “nuovo” nel panorama politico britannico. In particolare i media hanno sottolineato l’effetto galvanizzante della sua campagna e la sua “autenticità”, così lontana dal marketing politico dei giorni d’oggi. Ma non dobbiamo dimenticare che quello di Corbyn è un programma politico vecchio e anche piuttosto arrugginito. E, cosa ancor più importante, che le sue idee vintage hanno già fallito in passato, e in un’epoca – gli anni ottanta – in cui godevano del sostegno di centinaia di migliaia di militanti del partito e di milioni di sindacalisti appartenenti ad un movimento operaio combattivo e capillare. È stato proprio il fallimento di quel vecchio modello di sinistra che ha decretato la fine del movimento operaio, trasformando i sindacati nei gusci vuoti che sono oggi. La sinistra europea, dunque, dovrebbe guardarsi bene dall’investire una seconda volta in quel vecchio modello. Le politiche migratorie illustrano perfettamente tutti i limiti della vecchia sinistra.

La vittoria di Corbyn è avvenuta nel pieno della più grande crisi migratoria in Europa dagli anni quaranta ad oggi. Mentre i rifugiati vengono accolti a manganellate lungo le frontiere del continente, i “paesi di confine” innalzano muri e filo spinato. Nel Regno Unito, l’UKIP ha promesso di mettere il tema dell’immigrazione al centro del referendum sull’appartenenza del paese all’UE. Anche se Corbyn ha sempre mantenuto un atteggiamento piuttosto aperto nei confronti dell’immigrazione, il suo programma elettorale non conteneva nessuna proposta specifica in materia di politiche migratorie. L’incapacità della vecchia sinistra di dare una risposta coerente al tema dell’immigrazione si può imputare a due fattori principali.

Il primo è stato riassunto dallo stesso Corbyn nel suo primo articolo da leader del partito:

La risposta umana della gente di tutta Europa nelle ultime settimane ha dimostrato l’intenso desiderio di un tipo diverso di politica e di società. I valori della compassione, della giustizia sociale, della solidarietà e dell’internazionalismo sono stati al centro della recente esplosione di democrazia in un Labour sempre più influente. Quei valori sono profondamente radicati nella cultura del popolo britannico.

Corbyn ha ragione a sostenere che compassione e giustizia sociale da un lato, e solidarietà e internazionalismo dall’altro, sono al centro della vecchia – e ora rediviva – sinistra del Labour. I “valori” della vecchia sinistra sono affascinanti ma contengono un difetto fatale. Riducendo la solidarietà e l’internazionalismo ad una questione di compassione e di giustizia sociale, la vecchia sinistra ha finito per mettere in secondo piano l’aspetto centrale dell’internazionalismo: la comunanza di interessi tra i lavoratori di un paese e quelli degli altri paesi. Il risultato è che la solidarietà e l’internazionalismo – che secondo Corbyn sono «radicati nella cultura del popolo britannico» – sono oggi motivati da un vago senso di solidarietà e di giustizia sociale, non dalla difesa di un interesse comune. In altre parole, la maggior parte dei cittadini britannici comprende la necessità di aprire le porte ai rifugiati siriani in fuga dalla guerra, ma lo considera un gesto di puro altruismo umanitario, nulla di più. Di certo non pensa che sia nel proprio interesse far entrare nel paese milioni di migranti economici.

Questo genera tensione tra la vecchia sinistra e i suoi potenziali sostenitori. Quando le classi popolari esprimono ostilità nei confronti degli immigrati, si fa presto ad accusarli di essere razzisti e poco compassionevoli. Di conseguenza, la sinistra si trova spesso a lamentare il presunto razzismo della gente o ad assecondare le loro paure, promettendo politiche “severe ma giuste” in fatto di immigrazione, come ha fatto l’ultimo governo laburista.

Questo tema è stato affrontato di recente anche da Slavoj Zizek. In un suo recente articolo sulla crisi dei rifugiati scriveva:

Non è intrinsecamente razzista o proto-fascista per le popolazioni ospitanti dire di voler proteggere il loro “stile di vita”: questa nozione deve essere abbandonata.

Zizek ha ragione: coloro che vedono minacciato il proprio stile di vita non lo fanno perché ritengono che gli altri non lo meritino, magari sulla base di una loro supposta diversità o inferiorità razziale. Sì, ci sarà pure qualcuno che ritiene i polacchi, gli afghani o gli eritrei geneticamente inferiori, ma esistono molti altri motivi per cui la gente è contraria all’immigrazione. Dai sondaggi emerge che l’“impatto culturale negativo” dell’immigrazione rappresenta un fattore di opposizione importante nel Regno Unito, ma molto meno della percezione dell’impatto negativo del fenomeno migratorio sui servizi pubblici e sull’economia.

I cittadini hanno paura che il loro accesso al mercato del lavoro, alle case e ai servizi pubblici sarà minacciato da un processo migratorio sul quale non hanno nessun controllo. Accusare chi la pensa così di razzismo non contribuisce di certo alla causa della sinistra o a quella dei migranti. Zizek ha ragione quando sostiene che in queste circostanze chiedere alla gente “tolleranza” e “compassione” rappresenta una riposta inadeguata alla questione dell’immigrazione di massa:

L’unico modo per rompere questa situazione di stallo è andare oltre la semplice tolleranza: dobbiamo offrire agli altri [rifugiati e migranti] non solo il nostro rispetto ma la prospettiva di unirci a loro in una lotta comune, dal momento che i loro problemi, oggi, sono anche i nostri.

Zizek ha ragione a sostenere che l’unica soluzione a lungo termine è che i cittadini e i migranti comprendano la loro comunanza di interessi. In termini di politiche migratorie questo cosa significherebbe? Se prendiamo sul serio l’idea internazionalista di Zizek secondo cui i cittadini europei condividono veramente gli stessi problemi dei migranti, l’unica soluzione coerente è aprire le nostre frontiere a tutti coloro che scappano dalla povertà, dalla repressione e dalla guerra. È lecito aspettarci che Jeremy Corbyn si faccia promotore di una politica di questo tipo?

Corbyn ha più volte dichiarato che gli immigrati rappresentano un beneficio per l’economia e che sia i cittadini britannici che i migranti hanno interesse ad avere un buon livello di servizi pubblici. Ma è fondamentale comprendere che la “comunanza di interessi” di cui parla Corbyn non equivale a dire che cittadini e migranti condividono la stessa condizione di sfruttamento e di oppressione. Di certo la sua posizione non sembrerebbe giustificare una politica di frontiere aperte. Secondo la logica del suo ragionamento, gli immigrati andrebbero benvenuti solo fintanto che rappresentano un beneficio per l’economia e contribuiscono a migliorare i servizi pubblici. Il resto è affidato alla compassione. Certo, si potrebbe sostenere che in fondo la posizione di Corbyn non è così lontana dall’apertura delle frontiere. Ma qui incappiamo nel secondo problema della vecchia sinistra. Perché essa possa abbracciare l’apertura delle frontiere, dovrebbe rinunciare ad uno dei capisaldi del proprio pensiero: la fiducia nella regolamentazione dello Stato.

Nessuno meglio di Zizek incarna questo difetto. Pur rendendosi perfettamente conto che la compassione non basta, e che la soluzione è un movimento di massa trasversale in cui i cittadini facciano causa comune con i migranti, Zizek non riesce a fare il passo logico successivo: invocare l’apertura delle frontiere. Al contrario, il filosofo sloveno esclude categoricamente questa opzione:

I più grandi ipocriti sono coloro che chiedono l’apertura delle frontiere. Sanno molto bene questo non accadrà mai: si innescherebbe immediatamente una rivolta populista in Europa. Essi interpretano la parte dell’anima bella, superiore al mondo corrotto, pur continuando ad andare d’accordo con esso.

In altre parole, da un lato Zizek auspica una «lotta comune» tra cittadini e migranti, ma dall’altro ritiene che qualunque tentativo di mettere in discussione “la difesa dello stile di vita europeo” è destinato ad innescare una rivolta populista di destra. Dopo aver accusato i sostenitori delle frontiere aperte di essere «anime belle», Zizek ci offre un resoconto surreale della sua idea di «lotta comune». Esso merita di essere riportato nel dettaglio perché rappresenta un esempio perfetto della decadenza intellettuale della vecchia sinistra.

Zizek propone quattro soluzioni concrete per risolvere la crisi dei migranti. In primo luogo, suggerisce di proseguire sulla strada dell’intergovernativismo attualmente dominante in Europa: «Una cosa è chiara: la sovranità nazionale dovrà essere radicalmente ridefinita e dovranno essere concepiti nuovi metodi di cooperazione e sistemi di decisione globali».

In secondo luogo, Zizek ritiene che abbiamo bisogno di ulteriori sistemi di controllo imposti dall’alto per via intergovernativa: «come conseguenza necessaria di questo impegno, l’Europa dovrebbe imporre regole e regolamenti chiari».

In terzo luogo, propone «un nuovo tipo di intervento militare e economico internazionale… un tipo di intervento che eviti le trappole neocoloniali del recente passato».

In altre parole, Zizek propone di allargare, estendere e riorganizzare le istituzioni intergovernative sulle quali si fonda l’attuale ordine globale. Le stesse istituzioni che hanno escogitato un finto internazionalismo per sottrarre qualunque margine di manovra ai governi nazionali, come abbiamo visto nella recente vicenda greca. Le stesse istituzioni a cui fanno riferimento quegli stessi Stati occidentali che nel corso di decenni di interventi imperialisti ed umanitari hanno fatto sprofondare il Medio Oriente, l’Afghanistan e il Nord Africa nel caos, gettando le basi dell’attuale crisi dei rifugiati. Questo è quello che propone Zizek in nome della «lotta comune» tra cittadini e migranti.

La sua ultima proposta, poi, ha il sapore della beffa: nientedimeno che la riscoperta del comunismo come soluzione a lungo termine del problema. Dopo aver suggerito di rafforzare le strutture esistenti del capitalismo, Zizek propone di tingerle di rosso.

La povertà dell’immaginazione politica di Zizek sulla questione dei migranti è una conseguenza del principale difetto intellettuale della vecchia sinistra: la fiducia incrollabile nelle istituzioni dello Stato capitalista. Da quello che abbiamo visto finora, possiamo aspettarci la stessa povertà d’immaginazione anche da Corbyn. Il leader del Labour ha già dichiarato che il suo partito non ha nessuna intenzione di mettere in discussione l’apparato statale intergovernativo e antidemocratico su cui si fonda l’UE. Se da un lato è vero che l’appartenenza all’UE si fonda sulla libertà di movimento delle persone al suo interno, è anche vero che tale libertà non è il risultato di un lotta comune dal basso tra cittadini e migranti ma di una decisione calata dall’alto. La libertà di movimento stabilita nei trattati non si fonda sugli interessi comuni dei lavoratori europei ma sulle esigenze dei datori di lavoro. E la stessa libertà non è garantita a coloro che non appartengono all’esclusivo club europeo. Il sostegno incondizionato offerto da Corbyn all’UE tradisce la sua anima statalista e “regolamentista”. Il legame tra giustizia sociale e statalismo nella vecchia sinistra è giustificato dal fatto che la giustizia sociale può essere garantita solo attraverso un intervento dello Stato nella società e nell’economia. Allo stesso tempo, però, esso rappresenta un ostacolo ideologico quasi insormontabile nell’accettare l’apertura delle frontiere come soluzione alla questione dei migranti.

Lo stesso Zizek sostiene che gli europei non sono necessariamente razzisti quando dicono di voler difendere il loro “stile di vita”. Ma non ci spiega in cosa consiste questo “stile di vita”. Il che è curioso, visto che altrove nel suo articolo egli offre una caratterizzazione positiva dello “stile di vita” europeo:

I rifugiati sono il prezzo che paghiamo per un’economia globalizzata in cui le merci – ma non le persone – sono autorizzate a circolare liberamente. L’idea dei confini porosi, di essere inondati da stranieri, è immanente al capitalismo globale.

In altre parole, quando gli europei cercano di proteggere il loro “stile di vita” chiedendo maggiori controlli sui flussi migratori stanno semplicemente cercando di proteggersi dalla realtà dell’ordine economico e politico globale, nella speranza che quella realtà possa essere evasa e che le sue conseguenze negative possano essere circoscritte agli altri. È uno stile di vita che è intrinsecamente vulnerabile perché gli altri vorranno sempre condividerlo. È uno stile di vita in cui gli altri non vengono considerati come esseri umani dotati di grande potenziale, quali sono, ma unicamente come minacce nei confronti delle nostre opportunità lavorative, abitative, ecc. È uno stile di vita che è fortemente influenzato dalla vecchia concezione di sinistra secondo cui le risorse sono predeterminate e limitate.

Zizek ha ragione, dunque, a sostenere che la difesa di questo “stile di vita” non è razzista. È qualcosa di peggio, infatti: è misantropico, parrocchiale e depoliticizzante. Piuttosto che cercare di controllare i processi economici globali a cui sono esposti i cittadini europei, la reazione populista cerca di evaderli. Si tratta di una fantasia infantile che condanna i suoi seguaci europei a consumare le briciole della plutocrazia, mentre gli abitanti di terre lontane – gli altri – ne subiscono le conseguenze più nefaste. Ma soprattutto, condanna tutti noi all’impotenza politica. È quell’impotenza politica il filo rosso che unisce cittadini e migranti. Al contrario, l’apertura delle frontiere rappresenta uno stile di vita alternativo e realistico all’illusione europea: uno stile di vita che si basa sull’assumerci le nostre responsabilità collettive per le nostre esistenze, che prende atto della realtà globale in cui viviamo. Certo, non è una proposta che raccoglierà molti consensi all’inizio. Ma è l’unica base sulla quale i cittadini europei possono fare causa comune con il resto dell’umanità per cambiare in meglio la società.
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » mer set 30, 2015 7:53 pm

Legacoop scatenata contro i migranti: "Sostituiscono i lavoratori italiani"
Sale la paura che i migranti possano sostituirsi ai lavoratori italiani. Ecco la nuova preoccupazione delle coop
Sonia Bedeschi - Mer, 30/09/2015
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 77593.html

Un monito, una preoccupazione, una paura che sta prendendo piede e che di certo non va sottovalutata.

“Attenzione che i profughi non vengano impegnati per lavorare gratis dai Comuni in difficoltà di bilancio”. La Legacoop Emilia Romagna lancia il suo allarme sul tema degli immigrati richiedenti asilo e sulle loro “attività di volontariato” nei comuni emiliano romagnoli. “La mia per ora è solo una preoccupazione che poggia sulle difficoltà economiche che molti comuni hanno nel mantenere in vita dei servizi. E quindi la tentazione di poter continuare a svolgere delle attività utilizzando dei volontari, in questo caso i migranti, non è un aspetto da sottovalutare”, ha detto il numero uno regionale del settore sociale delle coop rosse, Alberto Alberani, in un’intervista rilasciata a Redattore Sociale.

Le sue parole arrivano a pochi giorni dalla firma di un protocollo tra Regione Emilia Romagna, Prefetto di Bologna, sindacati e altre realtà (tra cui la stessa Legacoop), che regola le attività che i profughi possono svolgere per dare un contributo a chi li ospita: per esempio pulire strade, curare parchi e giardini pubblici. Secondo il protocollo, ai profughi che accetteranno di svolgere queste attività in modo volontario, verranno garantiti, oltre all’assicurazione, percorsi di orientamento e formazione. Non uno stipendio. “La decisione di consentire ai migranti che sono in attesa di un permesso di svolgere dei lavori socialmente utili è una scelta nobile che si muove in un percorso d’integrazione”, ha spiegato Alberani. “Però, ho il timore che a lungo andare qualche comune possa sostituire il lavoro svolto delle cooperative sociali con quello dei volontari”.

Insomma anche le cooperative sociali tremano di fronte ai migranti volontari, impaurite dal fatto che proprio i nuovi arrivati, lavorando gratuitamente, possano sostituire i lavoratori italiani. Ci mancava anche questa: che i migranti rubino il lavoro ai lavoratori delle cooperative rosse. Risvolti inquietanti di una situazione ormai al collasso che vede gli italiani per strada e i migranti in situazioni più che dignitose. Ma se fino ad ora le cooperative, si sa, hanno fatto la cresta sull'accoglienza dei migranti, d'ora in avanti dovranno fare i conti con gli altri effetti dell'ondata migratoria.
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » gio nov 05, 2015 10:31 pm

???

L’allarme Ue: entro il 2017 tre milioni di migranti
Moscovici: «Ma se integrati generanno una crescita annua di circa 0,2/0,3 punti di Pil»
marco zatterin corrispondente da bruxelles
05/11/2015
https://www.lastampa.it/2015/11/05/este ... agina.html

Due lampi statistici per il dramma dei migranti, due numeri impressionati che faranno discutere.

1) La Commissione Ue prova a smentire quello che definisce «il luogo comune» secondo cui il flusso dei profughi in fuga dalle guerre è solo una maledizione. E così il responsabile l’Economia, Pierre Moscovici, assicura che - se integrato come se si deve - l’attuale movimento di rifugiati potrà sostenere l’economia a dodici stelle, generando una crescita annua di circa 0,2/0,3 punti di Pil. «Quando escono dai campi e trovano un lavoro - spiega una fonte europea - passano da essere un costo a essere un ricavo: alla lunga, il margine è piccolo, ma c’è».

2) L’altro lampo contiene un dato che può essere allarmante, soprattutto se mal gestito. La Commissione immagina che fra il 2015 e il 2017 possano entrare nell’Unione sino a tre milioni di migranti. Circa un milione riguarda l’anno in corso e 500 mila è indicato per il 2017. Vuol dire che nell’anno che comincia con gennaio potrebbero arrivare un milione e mezzo di uomini, donne e bambini a caccia di una vita normale. E’ il 50 per cento in più di quanto visto da gennaio. E’ un’onda che la politica europea deve gestire con sapienza. Oppure rischierà davvero di essere sopraffatta.

La possibilità che il flusso diventi un’opportunità è tuttavia, secondo Bruxelles, concreta: se otterrà l’asilo la metà di quanti arrivano, considerando che circa 3 quarti di questi sono in età lavorativa, questo può aumentare la forza lavoro europea dello 0,1% quest’anno e dello 0,3% nel 2016 e nel 2017. E allora? La Commissione ritiene che, a parità di preparazione e capacità lavorative rispetto a quelle dei lavoratori presenti nei paesi di accoglienza, i «nuovi cittadini» potranno contribuire a un aumento del pil fino allo 0,21% nel 2016 e allo 0,26% nel 2017. Mentre se i titoli e la preparazione di cui dispongono sarà inferiore, il loro contributo al Pil europeo sarà dello 0,14% nel 2016 e dello 0,26% nel 2017.

Quanto all’impatto della crisi dei migranti sui conti pubblici, la Commissione lo stima allo 0,04% del Pil sul deficit Ue sia nel 2016 che nel 2017, ma potrebbe aumentare fino allo 0,03% e allo 0,05% nel 2019 e 2020. Se la maggior parte dei paesi non avrà peso sulle proprie finanze, per quelli più esposti (fra i quali l’Italia), il costo può arrivare allo 0,2% del Pil nel 2015 (che corrisponde a quanto stimato da Roma nella legge di stabilità) per poi stabilizzarsi nel 2016. Anche per i paesi che rappresentano la destinazione finale dei profughi, come la Germania, l’impatto sarà fino allo 0,2% quest’anno; ma il Pil potrà aumentare dello 0,43% l’anno prossimo e dello 0,56% nel 2017, fino ad arrivare allo 0,72% nel 2020. Quanto alla Svezia, il più «accogliente» dei paesi in termine di migranti rispetto alla popolazione complessiva, il costo potrebbe ammontare allo 0,5% del Pil quest’anno. Sono stime e, ovviamente, vanno verificate. Ma intanto servono per ragione. E a suonare il campanello d’allarme della politica.
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » sab nov 07, 2015 9:49 am

El bauco!

"Assegnare ai migranti i terreni incolti della Sardegna". La proposta di Beppe Severgnini sul Nyt
Mercoledì 04 Novembre

http://www.unionesarda.it/articolo/cron ... 43506.html

Permettere ai profughi di colonizzare le aree incolte e spopolate d'Italia, Sardegna compresa, per risolvere l'emergenza immigrazione in Europa.
Questa la ricetta proposta da Beppe Severgnigni, uno dei più noti giornalisti italiani, dalle colonne del prestigioso New York Times.
Nel pezzo, Severgnini prende spunto dalla "centuriazione", ovvero la pratica diffusa nell'antica Roma che prevedeva l'assegnazione ai veterani dell'esercito in congedo territori bradi e deserti affinché li rendessero fertili.
Un modo per non lasciare bellicosi ex guerrieri inattivi e allo sbando, dando invece loro la possibilità di fare qualcosa di utile e produttivo per se stessi, per le loro famiglie e per l'Impero.
Per Severgnini riportare in auge tale pratica sarebbe, appunto, una buona soluzione per collocare i migranti in maniera definitiva e proficua.
"È vero che i rifugiati non hanno combattuto nessuna guerra per l'Italia - scrive Severgnini - ma stanno fuggendo da conflitti, povertà e regimi autoritari. Hanno però le giuste competenze. Mentre gli immigrati più istruiti si recano in Germania e nel Nord Europa, quelli che decidono di restare in Italia sono generalmente agricoltori, costruttori, artigiani".
Allora perché non assegnare loro appezzamenti di terreno da gestire e far fruttare, come fossero moderni pionieri?
Dopo tutto, continua l'opinionista, "l'Italia si sta spopolando, sta invecchiando. E servono persone nuove".
Dove collocarli? Severgnini cita le zone di montagna dell'Abruzzo e le aree del Molise. Ma anche la Sardegna, "forse l'isola più bella del Mediterraneo", dove, scrive, "l'83 per cento della popolazione vive in piccoli insediamenti sotto i 5mila abitanti che si stanno progressivamente svuotando".
Senza contare intere parti di territorio dove non c'è nulla.
Certo, l'operazione dovrebbe essere organizzata al meglio, tenendo conto di aspetti complessi.
Per realizzare l'ambizioso progetto serve insomma, conclude Severgnini, "una leadership politica lungimirante. Gli antichi romani ce l'avevano. Si può dire lo stesso dell'Italia moderna?".

Bauco ma ła tera cogna saverla laorar e pò me spieghito parké sarà miłara de axiende agricołe ente ła penixla tałega?
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Re: I dixocupai no produxe PIL e non łi paga łe pension

Messaggioda Berto » lun gen 18, 2016 8:03 pm

La Chiesa vuole la nostra morte sostituendoci con i clandestini
Magdi Cristiano Allam 18/01/2016

http://www.magdicristianoallam.it/buong ... stini.html

Buongiorno amici. La Chiesa è convinta che solo i clandestini salveranno l'Europa dal tracollo demografico. Ieri monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, l'organismo della Conferenza Episcopale Italiana che governa il tema dell'immigrazione, ha detto che “l'Europa senza migranti muore. Nei prossimi 5 anni avremo il 30 per cento in meno di giovani, e solo in Italia abbiamo avuto l'anno scorso un saldo negativo tra morti e nascite di 168 mila persone, un dato che ci riporta alla Prima Guerra Mondiale". E ha puntualizzato: "Per rigenerare l'Europa serve l'incontro con il Sud del mondo".

Cari amici, lo sa la Chiesa che il 90% dei clandestini che sbarcano in Italia sono giovani maschi dai 20 ai 30 anni, che sono al 95% musulmani, che provengono quasi tutti dalle coste libiche che dal 2011 sono controllate da bande terroristiche islamiche e, pertanto, sono loro che decidono chi sale sulle imbarcazioni? Lo sa la Chiesa che in questo contesto si favorisce l'islamizzazione dell'Italia e dell'Europa?

Escludendo che la Chiesa non sappia ciò che è di pubblico dominio, ci domandiamo perché la Chiesa persegue deliberatamente la propria eutanasia? Perché la Chiesa favorisce la condanna a morte delle popolazioni europee e della civiltà laica e liberale dalle radici cristiane? Perché la Chiesa non propugna invece una mobilitazione generale per rigenerare l'Europa incentivando la natalità della popolazione autoctona, sostenendo la famiglia naturale, aiutando le madri e garantendo la stabilità lavorativa dei giovani?

Da che parte sta la Chiesa? Com'è possibile che la strategia della Chiesa coincida con quella della grande finanza speculativa globalizzata, dell'Eurocrazia, dei paesi islamici e del fronte dei relativisti e multiculturalisti europei? Comunque sia, noi diciamo chiaro e forte a tutti: non siamo una terra di nessuno e non ci trasformeremo in una terra di conquista.


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