Kurdistan e dintorni

Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » mer dic 27, 2017 9:28 pm

Quando i Kurdi turchi e maomettani sterminavano i cristiani armeni in Turchia


Deportazione:altri Olocausti, lo sterminio degli Armeni
Lo sterminio degli Armeni 1915-1918
di Alberto Rosselli

http://www.storiaxxisecolo.it/deportazi ... altri1.htm

La persecuzione scatenata, tra il 1914 e il 1918, dai turchi nei confronti del popolo armeno residente in Anatolia e nel resto dell’Impero Ottomano rappresenta forse il primo esempio dell’epoca moderna di sistematica soppressione di una minoranza etnico-religiosa. Una campagna di eliminazione che non scaturì soltanto dall’ideologia, scopertamente razzista, del sedicente Partito "progressista" dei Giovani Turchi, ma che trasse le sue origini più profonde dalle antiche e mai sopite contrapposizioni religiose tra i mussulmani ottomani e curdi e la minoranza cristiana armena.

Ma ripercorriamo, in sintesi, le tappe fondamentali del lungo calvario armeno iniziato in sordina nella seconda metà dell’Ottocento all’interno dei confini del decadente Impero Ottomano. Tra il 1894 e il 1896, il sultano ‘Abd ul-Hamid avviò un primo vero e proprio programma di emarginazione nei confronti degli armeni scaricando su questa comunità la responsabilità dei fallimenti economici del suo governo assolutamente incapace ad affrontare le sfide della modernità e a resistere alla pressione esercitata sull’Impero da parte delle nuove realtà nazionali balcaniche e delle grandi Potenze occidentali. Dopo avere dovuto rinunciare, in seguito alla guerra con l’Italia del 1911/12 e alla Prima Guerra Balcanica del 1913, a gran parte dei suoi territori (Libia, Albania, Macedonia e numerose isole dell’Egeo), il governo di Costantinopoli, era entrato in una crisi molto acuta. Temendo la completa dissoluzione dell’Impero, prima la Sacra Porta e poi il Partito dei Giovani Turchi, avevano quindi assunto un atteggiamento sempre più sospettoso e rigido nei confronti delle minoranze armene, ebraica e araba, colpevoli - secondo i vertici di Costantinopoli - di tramare contro l’Impero. Il motivo della diffidenza turca nel confronti degli armeni scaturiva soprattutto da precise considerazioni di carattere politico e religioso. La Sacra Porta vedeva in questa minoranza cristiana una possibile alleata dell’Impero Russo cristiano ortodosso, suo tradizionale avversario. Nel 1876, gli eserciti russi, intervenuti a sostegno della Bulgaria impegnata contro gli Ottomani, avevano costretto la Sacra Porta ad accettare l’umiliante trattato di Santo Stefano: documento che sanciva, tra l’altro, la tutela della minoranza armena e la cessione alla Russia di alcune aree dell’Anatolia nord orientale. Tuttavia il trattato non divenne mai del tutto operativo, anche a causa delle pressioni esercitate dall’Inghilterra ostile ad una eccessiva espansione russa verso il Mediterraneo e l’Egeo. E fu così che la clausola relativa alla minoranza armena venne stralciata in nome della real politik. Anche se nel 1878 l’articolo 61 del trattato di Berlino sancì, almeno sulla carta, il diritto alla sopravvivenza di questa comunità. Il sostanziale disimpegno delle nazioni europee permise quindi al sultano Abdul Hamid di abolire la fragile costituzione concessa nel 1876, e di varare nuove, severe leggi contro le minoranze religiose dell’Impero. Dopo avere costituito un’efficiente polizia segreta incaricata di schiacciare il neonato Movimento Indipendentista Armeno, il sultano incoraggiò le tribù curde mussulmane ad emigrare verso le "regioni" armene della Turchia orientale. Forti dell’appoggio del governo, i curdi si insediarono così in territorio armeno, scacciandone con la forza l’intera popolazione. Costretti alla fuga, gli armeni furono quindi obbligati a fuggire verso le regioni caucasiche russe: manovra che la Sacra Porta volle interpretare come un atto di connivenza con il nemico zarista. Fu a quel punto che il Movimento Indipendentista Armeno, attraverso le sue organizzazioni politiche (l’Armenakan, fondato nel 1885; il partito socialdemocratico Hunchak, 1887; e il più radicale "movimento" Dashnak, fondato nel 1890), tentarono di reagire con la forza al potere centrale. Ovviamente, la risposta del sultano non si fece attendere. Questi organizzò le tribù curde in veri e propri organismi paramilitari (i reggimenti Hamidye) dando ad essi mano libera nel perseguitare ed eliminare tutte le comunità armene "ribelli". Ma se i cristiani rimasti incapsulati in territorio ottomano se la passavano male, anche quelli che erano riusciti a rifugiarsi nelle zone caucasiche controllate dai russi non poterono certo considerarsi tranquilli. Nel 1881, in seguito all’assassinio dello zar Alessandro II, il primo ministro liberale, l’armeno Loris Melikov, dovette rassegnare le dimissioni in quanto ritenuto incapace di gestire il crescente malcontento delle popolazioni georgiane e armeni del Caucaso. E dopo l’uscita di Melikov, il nuovo governo di San Pietroburgo abbandonò qualsiasi simpatia nei confronti dell’etnia armena considerata inaffidabile. Nel 1903, lo zar Nicola II tentò addirittura di confiscare le proprietà della Chiesa Nazionale Armena, ordinando la chiusura di scuole e di altre istituzioni della Transcaucasia russa. Il nuovo atteggiamento russo consentì al sultano Abd ul-Hamid di accelerare il processo di annientamento delle comunità armene accusate, tra l’altro, di sostenere quelle frange estremiste del Movimento Indipendentista che, tra il 1890 e il 1894, in Turchia avevano effettuato una serie di gravi attentati terroristici. Nel 1894, un affiliato del Hunchak, un certo Murat, convinse le popolazioni di montagna armene del distretto di Sassun a non pagare ai capi curdi locali l’"hafir" o contributo per la protezione. L’"hafir" era una forma di estorsione legalizzata a beneficio dei curdi che in questo modo potevano arricchirsi alle spalle dei contadini e dei montanari armeni. L’11 marzo 1895, Gran Bretagna, Francia e Russia, scandalizzate dall’inasprirsi delle misure anti-armene, intimarono al sultano di fermare la repressione. Ma la richiesta venne respinta da Hamid che per contro intensificò ulteriormente la sua politica. Le truppe turche e curde proseguirono così il saccheggio sistematico di centinaia di villaggi armeni. E tra il 1894 e il 1896, le forze ottomane e curde eliminarono dai 200 ai 250.000 armeni. Questa ondata di violenza raggiunse livelli tali da indurre l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, ad invocare la destituzione del sultano. Dal canto suo il kaiser Guglielmo II optò invece per un atteggiamento più distaccato e dettato da precisi calcoli politici ed economici. Il Kaiser era infatti desideroso di portare a termine la costruzione della linea ferroviaria Berlino-Baghdad: un’arteria che avrebbe consentito alla Germania di intensificare i suoi scambi commerciali con la Turchia e, soprattutto, di allargare la sua sfera di influenza tedesca in Medio Oriente e Mesopotamia.

Nel frattempo, però, la perdurante crisi politica, economica e sociale dell’Impero Ottomano si stava facendo sempre più acuta, sfociando in gravi sommosse. Verso la fine dell’Ottocento a Salonicco un gruppo di ufficiali dell’esercito in combutta con alcuni esiliati politici turchi confluiti nella società segreta di Unione e Progresso, iniziarono a tramare contro lo sclerotico governo centrale. Nella fattispecie, il cosiddetto Movimento dei Giovani Turchi auspicava addirittura l’eliminazione del sultano per poi avviare un ambizioso e rivoluzionario processo di modernizzazione dell’Impero. La rivolta scoppiò nel 1908, a Monastir. Il 23 luglio dello stesso anno, il Comitato Centrale di Unione e Progresso intimò al sultano di ripristinare la costituzione del 1876. Avendo perso il controllo di buona parte dell’esercito, il sultano cedette e la costituzione venne ripristinata il 24 luglio 1908. Seguì un breve periodo di euforia da parte delle minoranze etniche e religiose dell’Impero che confidavano nell’inizio di un nuovo periodo caratterizzato da maggiori libertà. Effettivamente, in un primo tempo, gli ufficiali ribelli dettero a tutte le minoranze ampie garanzie di tolleranza. Nel 1909, dopo un fallito tentativo controrivoluzionario ordito da Hamid, i Giovani Turchi, guidati da Taalat Pascià, deposero definitivamente Hamid, sostituendolo con il più innocuo fratello Muhammad. Questi accettò infatti di buon grado le direttive degli ufficiali rivoluzionari che, nel frattempo, avevano però cominciato a cambiare strategia politica. Abbandonati i proclami inneggianti l’"armonia tra le varie componenti etniche e religiose dell’Impero", essi abrogarono tutti i diritti civili da poco concessi ad armeni, ebrei e arabi. All’indomani della sconfitta subita ad opera dell’Italia nel 1912 e i rovesci subiti dai turchi nella Prima Guerra Balcanica, il 26 gennaio 1913, un triumvirato formato da Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Jemal prese il potere. E nel timore di un dissolvimento dell’Impero, proclamò la "turchizzazione" dell’Impero e la "ghettizzazione" di tutte le minoranze, prima fra tutte quella cristiana armena. Dopo l’entrata in guerra dell’Impero Ottomano (29 ottobre 1914) a fianco degli Imperi Centrali, la comunità armena - ignorando le manovre dei Giovani Turchi - volle dimostrare al governo la sua assoluta fedeltà. E nell’estate del 1914, ad Erzerum, in occasione dell’ottavo congresso del partito Dashnak, i leader del movimento indipendentista armeno invitarono tutti gli iscritti ad assolvere ai loro doveri di soldati dell’Impero. Nel giro di poche settimane ben 250.000 armeni si arruolarono nelle forze armate turche, dimostrando, già a partire dalla sfortunata campagna caucasica dell’inverno 1914-1915 contro i russi, grande valore e affidabilità. All’inizio del 1915, nel corso di una riunione segreta del Comitato di Unione e Progresso, indetta per pianificare lo sterminio degli armeni, il segretario esecutivo Nazim concluse con queste parole i lavori dell’assemblea: "Siamo in guerra; e non potrebbe verificarsi un’occasione migliore per eliminare tutta la popolazione armeno. In un momento come questo è estremamente improbabile che vi siano interventi da parte delle grandi potenze e proteste da parte della stampa". Un altro dei presenti, Hassan Fehmin, aggiunse poi. "Siamo nelle condizioni ideali per spedire sul fronte caucasico tutti i giovani armeni ancora in grado di imbracciare un fucile. E una volta là, possiamo intrappolarli e annientarli con facilità, chiusi come saranno tra le forze russe che si troveranno davanti e le forze speciali che piazzeremo alle loro spalle". Sempre nel corso della seduta il Comitato aveva deciso che la gestione della "pratica armena" sarebbe stata affidata ad una speciale commissione formata dal segretario esecutivo Nazim, da Behaettin Shakir e dal ministro della Pubblica Istruzione, Shoukri, sotto il diretto controllo di Taalat Pascià. La commissione istituì a sua volta la cosiddetta "Organizzazione Speciale" (la Teshkilate Makhsusa), una specie di milizia formata in buona parte da ex detenuti ai quali venne promessa la libertà in cambio di criminali servigi. All’inizio della primavera 1915, i turchi scatenarono l’esercito e le bande curde contro gli indifesi villaggi armeni. Successivamente, le forze turco-curde incominciarono ad arrestare - accusandoli di connivenza con il nemico russo - tutti gli esponenti dei vari partiti armeni. Nel giro di poche settimane, decine di migliaia di cristiani vennero imprigionati e sottoposti a torture. I curdi mussulmani si accanirono in modo particolare contro i sacerdoti a molti dei quali, prima dell’esecuzione, vennero strappati gli occhi, le unghie e i denti. Gevdet Bey, vali della città di Van e cognato del Ministro della Difesa Enver Pascià, pare si divertisse a fare inchiodare ferri di cavallo ai piedi dei prelati. Il 24 aprile 1915, a Costantinopoli, nel corso di una gigantesca retata, circa 600 armeni vennero incarcerati e poi strangolati con filo di ferro. Stando ad un rapporto ufficiale del console statunitense ad Ankara, nel luglio 1915 circa 2.000 soldati armeni reduci dalla campagna del Caucaso vennero disarmati dai turchi e spediti nella zona di Kharput con il pretesto di utilizzarli nella costruzione di una strada. Giunti sul posto, gli armeni vennero fatti ammassare in una piccola valle e massacrati a colpi di mitragliatrice. Identico destino toccò ad altri 2.500 militari armeni condotti in località Diyarbakir e lì trucidati dai miliziani curdi. Nel giugno 1916, dopo avere trucidato circa 150.000 militari armeni, i turchi decisero di eliminare anche un terzo degli operai cristiani impiegati nella manutenzione della ferrovia Costantinopoli-Baghdad. Ma a questo punto, gli alleati tedeschi, scioccati dalle orrende carneficine, dissero basta. L’ambasciatore tedesco a Costantinopoli, il conte von Wolff-Metternich accusò Taalat Pascià e il Ministro degli Esteri Halil Pascià "di inutili crudeltà" e persino "di sabotaggio": denunce che lasciarono impassibili i capi ottomani decisi a proseguire con pulizia etnico-religiosa.

Nell’aprile 1915, nella città di Van, alcune migliaia di civili armeni riuscirono a disarmare la locale guarnigione turca barricandosi nel nucleo urbano e resistendo alla controffensiva ottomana e curda fino al sopraggiungere di una divisione di cavalleria russa che nel mese maggio li liberò dall’assedio. Eguale successo ebbe poi la ormai famosa resistenza del massiccio montuoso del Musa Dagh, nei pressi di Antiochia (Golfo di Alessandretta). Su questo acrocoro si rifugiarono circa 4.000 armeni decisi a vendere cara la pelle. Resistettero per ben quaranta giorni agli attacchi dei reparti regolari dell’esercito ottomano e alla fine vennero salvati dal provvidenziale arrivo nel Golfo di Alessandretta di una squadra navale francese.

Purtroppo, altri tentativi di resistenza non ebbero la medesima fortuna. Come accadde alla comunità di Urfa che venne annientata. Verso l’autunno del 1915, una volta eliminata la parte più giovane e combattiva della nazione armena, il ministero degli Interni ottomano passò alla seconda fase dell’"olocausto": l’eliminazione di tutti gli adulti di età superiore ai 45 anni, che fino ad allora erano stati risparmiati poiché ritenuti necessari al lavoro nelle campagne. Come testimonia questo brano tratto da un dispaccio inviato dal Ministro Taalat Pascià al governatore turco di Aleppo il 15 settembre 1915. "Siete già stato informato del fatto che il Governo ha deciso di sterminare l’intera popolazione armena…Occorre la vostra massima collaborazione…Non sia usata pietà per nessuno, tanto meno per le donne, i bambini, gli invalidi…Per quanto tragici possano sembrare i metodi di questo sterminio, occorre agire senza alcuno scrupolo di coscienza e con la massima celerità ed efficienza". I turchi organizzarono deportazioni di massa (risparmiando soltanto i medici e qualche tecnico) in località isolate. Una delle destinazioni prescelte fu la desolata regione siriana di Deir al-Zor, dove centinaia di intere famiglie armene vennero ammassate e trucidate nei modi più raccapriccianti. Nell’inverno del ’15 il conte Wolff-Metternich riferì a Berlino del protrarsi di questi "inutili e crudeli eccidi". Venuti al corrente della protesta, Enver Pascià e Taalat Pascià chiesero a Berlino la sostituzione di Wolff-Metternich. E nel 1916 il diplomatico dovette rientrare in Germania. A testimonianza dei risvolti economici della strage in corso (la totalità dei conti correnti e dei beni mobili ed immobili della popolazione armena furono confiscati dal governo turco), basti pensare che "i profitti derivati all’oligarchia dei Giovani Turchi e ai suoi lacché dai beni rapinati agli armeni arrivarono a toccare la cifra astronomica di un miliardo di marchi".

Va comunque detto che alcuni, anche se pochi, governatori (i vali) turchi si rifiutarono di eseguire tutti gli ordini impartiti da Costantinopoli. Nel luglio 1915, ad esempio, il governatore di Ankara - che si era opposto agli stermini indiscriminati - venne rimosso e sostituito da un funzionario più zelante, come, ad esempio, il vali Gevdet che nell’estate del ’15 a Siirt non si fece scrupolo ad eliminare 10.000 tra armeni, cristiani nestoriani e giacobiti. Resoconti sui molteplici eccidi sono registrati nelle memorie di numerosi addetti diplomatici tedeschi, americani, svedesi e italiani presenti all’epoca in Turchia. Il 25 agosto 1915, Il Messaggero di Roma pubblicò la denuncia del console generale a Trebisonda, Giovanni Gorrini. Il plenipotenziario affermò che "degli oltre 14.000 armeni legalmente residenti a Trebisonda all’inizio del 1915. il 23 luglio dello stesso anno non ne rimanevano in vita che 90. Tutti gli altri, dopo essere stati spogliati di ogni avere, erano stati deportati dalla polizia e dall’esercito ottomani in lande desolate o in vallate dell’entroterra e massacrati". Intanto proseguiva senza soste la deportazione degli armeni destinati ai campi delle città di Deir al-Azor. Questi primordiali "lager", privi di baracche, servizi igienici, accolsero all’interno dei loro perimetri cintati da filo spinato, decine di migliaia di profughi. "Ben presto - come narra David Marshall Lang nel suo ben documentato "Armeni, un popolo in esilio" - in questi recinti, rigurgitanti in gran parte di vecchi, donne e bambini, scoppiarono terribili epidemie di tifo e vaiolo che si allargarono a gran parte della popolazione siriana…Solo ad Aleppo, tra l’agosto 1916 e l’agosto 1917, circa 35.000 persone morirono di tifo". Epidemie che si rivelarono talmente devastanti da allarmare il generale Otto Liman von Sanders, comandante delle forze turco-tedesche in Medio Oriente. Questi, nel 1916, cercò di attivare una qualche forma di assistenza, seppure contrastato dalle autorità ottomane. In terra siriana, qualche centinaio di ragazzine e di bambini armeni riuscì però a scampare alla morte. Le ragazze, soprattutto le più giovani e graziose, vennero infatti vendute per poche piastre ad alcuni possidenti arabi che le rinchiusero nei bordelli, non prima di averle fatte convertire forzatamente all’Islam. Nell’autunno del 1918, quando le forze inglesi del generale Edmund Allenby provenienti dalla Palestina occuparono entrarono in Siria trovarono in alcune baracche di un campo militare turco abbandonato diverse decine di giovani donne, tutte marchiate dagli stenti e dalle malattie veneree. Sorte ancora peggiore toccò ai bambini armeni rinchiusi nei campi siriani. Gran parte di questi disgraziati vennero inviati anch’essi in bordelli per omosessuali o in speciali orfanotrofi per essere rieducati come "veri mussulmani" dalla "signora" Halidé Edib Adivart, una mostruosa virago alla quale il governatore della Siria aveva affidato il compito di "raddrizzare la schiena alla ribelle gioventù armena". Nonostante tutto, il governo ottomano non si reputava ancora soddisfatto della risoluzione del "problema armeno". Nei campi, "i cristiani infedeli morivano troppo lentamente". Nel 1916, Enver Pascià, Taalat Pascià e Ahmed Gemal diedero quindi un ulteriore giro di vite alla prassi dello sterminio, intimando ai loro governatori e capi di polizia di "eliminare con le armi, ma se possibile, con mezzi più economici, tutti i sopravvissuti dei campi siriani e anatolici". In questa fase del massacro ebbe modo di distinguersi per efficienza il governatore del distretto di Deir al-Azor, Zekki che - secondo quanto scrive J. Bryce (autore di "The Treatment of Armenians") - "rinchiuse 500 armeni all’interno di una stretta palizzata, costruita su una piana desertica, e li fece morire di fame e di sete". Durante l’estate del 1916, gli sgherri di Zekki eliminarono oltre 20.000 armeni.

A dimostrazione della criminale sfacciataggine dei leader turchi, basti pensare Taalat Pascià arrivò a vantarsi dell’efficienza del suo governatore con l’ambasciatore americano Morgenthau, al quale egli ebbe anche l’ardire di chiedere "l’elenco delle assicurazioni sulla vita che gli armeni più ricchi (deceduti nei campi di sterminio) avevano precedentemente stipulato con compagnie americane, in modo da consentire al Governo di incassare gli utili delle polizze". Intanto, nelle regioni orientali e settentrionali dell’Impero Ottomano, per le comunità armene che erano riuscite a trovare rifugio nelle valli del Caucaso il destino stava per compiersi. In seguito alla rivoluzione bolscevica del 1917, l’esercito russo si era infatti ritirato dall’Anatolia orientale e dalla Ciscaucasia, abbandonando gli armeni al loro destino. Rioccupata l’importante città-fortezza di Kars, le forze ottomane avevano iniziato una vera e propria caccia all’uomo, arrivando a sopprimere circa 19.000 armeni. Identica sorte che toccò a quei profughi cristiani che, rifugiatisi in Georgia e nella regione di Baku, vennero massacrati dalle locali minoranze mussulmane tartare e cecene. Nel settembre 1918, nella sola regione di Baku furono eliminati 30.000 armeni. Ma la guerra stava ormai volgendo al termine e nell’imminenza del crollo della Sublime Porta, i responsabili turchi delle stragi sparirono nell’ombra. Quando, nell’ottobre 1918 la Turchia si arrese alle forze dell’Intesa, i principali dirigenti del partito dei Giovani Turchi vennero arrestati dagli inglesi ed internati per un breve periodo a Malta. Successivamente, un tribunale militare turco condannò a morte in contumacia Enver Pascià, Ahmed Gemal e Nazim. Ormai espatriati, nessuno dei condannati finì però nelle mani della giustizia. Tuttavia, il 15 marzo 1921, a Berlino, Taalat Pascià venne assassinato dallo studente armeno Soghomon Tehlirian. E sorte analoga toccò il 21 luglio 1922 anche ad Ahmed Gemal, ucciso a Tbilisi, in Georgia, da un altro giovane armeno. Curiosa, ma in linea con il personaggio fu invece la fine di Enver Pascià, il più capace e "idealista" dei triumviri. Rifugiatosi tra le tribù turche della remota regione asiatica di Bukhara, dove pensava di realizzare il suo antico sogno, cioè la creazione di una Grande Nazione Turca, agli inizi degli anni Venti Enver si mise a capo di una rivolta turco-mussulmana contro il potere sovietico. Ma il 4 luglio 1922, egli venne sconfitto e ucciso dai bolscevichi.

BIBLIOGRAFIA

David Marshall Lang, "Armeni, un popolo in esilio", Edizioni Calderini, Bologna 1989.

E. Bauer, "Arménie. Son histoire et son présent", Lausanne and Paris, 1977.

M.S. Anderson, "The Eastern Question, 1774-1923", London, 1966.

Henry Morgenthau, "Ambassador Morgenthau’s Story", New York, 1919.

Rafael de Nogales, "Four Years beneath the Crescent", London, 1926.

Ulrich Trumpener, "Germany and the Ottoman Empire, 1914-1918", Princeton, 1968.

Franz Werfel, "The Forty days of Musa Dagh", trans. G.Dunlop, London, 1934.





La verità sul genocidio degli armeni
Gwynne Dyer
2015/04/14

https://www.internazionale.it/opinione/ ... eni-verita


È con grande riluttanza che mi occupo del genocidio armeno, poiché so per esperienza che ciò che scrivo farà infuriare entrambi le parti. Ma questo mese ricorre il centesimo anniversario della tragedia e papa Francesco ha dichiarato che lo sterminio degli armeni commesso dall’impero ottomano nel 1915 fu in effetti un genocidio. La Turchia, come era prevedibile, ha risposto richiamando il proprio ambasciatore dal Vaticano.

Sono ormai diverse generazioni che assistiamo a questa diatriba, che di solito si limita a scambi del tipo “Sì, lo hai fatto” – “No, non l’ho fatto”. Sfortunatamente, di questa faccenda io conosco molte altre cose. Molti anni fa, quando ero un dottorando in storia e stavo facendo alcune ricerche sul ruolo della Turchia nella prima guerra mondiale, andai negli archivi dello stato maggiore turco ad Ankara e trovai i telegrammi originali (scritti nell’antico stile calligrafico riq’a) scambiati tra Istanbul e l’Anatolia orientale nella primavera del 1915.

In seguito ho esaminato i documenti britannici e russi relativi ai piani di azione congiunta con i rivoluzionari armeni nella primavera del 1915, e posso quindi dire di conoscere anche il contesto nel quale turchi e armeni si muovevano. E posso dire con una certa sicurezza che entrambe le parti si sbagliano.

C’è stato un genocidio armeno. Certo che c’è stato. Quando quasi ottocentomila membri di una singola comunità etnica e religiosa muoiono di morte violenta, di fame o di assideramento in un breve periodo, mentre sono scortati da uomini armati di etnia e religione diversa, la questione è presto chiarita. Oggi gli armeni sostengono che le vittime furono un milione e mezzo, ma è una cifra troppo alta. Quella corretta potrebbe essere anche di mezzo milione, ma ottocentomila è una stima plausibile.

D’altra parte, gli armeni vogliono assolutamente che la loro tragedia sia messa sullo stesso piano del tentativo dei nazisti di sterminare gli ebrei europei, e non si accontenteranno di niente di meno. Ma ciò che è accaduto agli armeni non è stato pianificato dal governo turco, e da parte armena effettivamente c’era stata una provocazione. Ciò non significa neanche lontanamente che sia possibile giustificare cosa è accaduto, ma mette i turchi in una posizione un po’ differente.

Nel 1908 un gruppo di ufficiali di grado inferiore chiamati giovani turchi aveva preso il controllo dell’impero ottomano, e nel novembre del 1914 il loro leader Ismail Enver era incautamente entrato nella prima guerra mondiale a fianco della Germania. L’esercito turco aveva marciato verso est per attaccare la Russia, allora alleata di Regno Unito e Francia.

Quell’armata fu annientata in mezzo alla neve vicino alla città di Kars (solo il 10 per cento dei soldati riuscì a sfuggire) e i turchi furono presi dal panico. Per un errore strategico i russi non contrattaccarono subito, ma se avessero deciso di farlo ai turchi non sarebbe rimasto quasi niente per fermarli. I turchi si sforzarono di mettere insieme una qualche forma di linea difensiva, ma alle loro spalle, nell’Anatolia orientale, c’erano dei cristiani armeni che da qualche decennio stavano lottando per l’indipendenza dall’impero ottomano.

Vari gruppi di rivoluzionari armeni avevano preso contatto con Mosca, offrendosi di provocare delle rivolte alle spalle dell’esercito turco nel momento in cui le truppe russe fossero arrivate in Anatolia. Quando ricevettero la notizia che l’esercito turco era in rotta, alcuni di loro pensarono che i russi stessero arrivando e agirono prima del tempo.

Analogamente i rivoluzionari armeni del sud, vicino alla costa mediterranea, erano in contatto con il comando britannico in Egitto e avevano promesso di scatenare un’insurrezione in coincidenza con gli sbarchi britannici previsti nella costa meridionale della Turchia, vicino ad Adana. All’ultimo momento Londra decise di spostare l’invasione molto più a ovest, a Gallipoli, ma anche in questo caso alcuni rivoluzionari armeni non ricevettero il messaggio e scatenarono comunque la ribellione.

Enver e il governo turco andarono nel panico. Se i russi fossero penetrati nell’Anatolia orientale, tutti i territori arabi dell’impero sarebbero stati tagliati fuori. Per questo ordinarono la deportazione di tutti gli armeni nell’est della Siria, attraverso le montagne, d’inverno e a piedi, dato che non c’era ancora una ferrovia. E poiché non c’erano soldati regolari disponibili, furono soprattuto le milizie curde a scortare gli armeni verso sud.

I curdi condividevano l’Anatolia orientale con gli armeni, ma i rapporti tra le due comunità non erano mai stati buoni. Molti miliziani curdi approfittarono dell’occasione per violentare, rapinare e uccidere. La mancanza di cibo e il clima fecero il resto, provocando la morte di quasi la metà dei deportati. Per quanto non sia chiaro fino a che punto il governo turco fosse informato di questa tragedia, di certo non fece nulla per fermarla.

Altri armeni morirono a causa del clima torrido e delle malattie nei campi in cui furono ammassati in Siria. Fu un genocidio commesso attraverso il panico, l’incompetenza e l’incuria deliberata, ma non può essere paragonato a quanto successe agli ebrei europei. La numerosa comunità armena di Istanbul, lontana dalle operazioni militari in Anatolia orientale, uscì dalla guerra quasi indenne.

Se solo i turchi avessero avuto il buon senso di ammettere, cinquanta o settantacinque anni fa, cosa è successo in realtà, oggi non ci sarebbero polemiche. L’unico dovere della nostra generazione è riconoscere il passato, non correggerlo. Invece abbiamo assistito a cento anni di totale negazione, ed è per questo che la questione è ancora d’attualità. E continuerà a esserlo finché i turchi non faranno finalmente i conti con il loro passato.

(Traduzione di Federico Ferrone)
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » lun mar 12, 2018 7:03 pm

Turchia: massacrati 3.149 curdi nell’indifferenza internazionale

http://www.rightsreporter.org/turchia-m ... rnazionale

Ieri la Turchia ha annunciato ufficialmente e non senza una certa soddisfazione di aver ucciso 3.149 curdi nella regione siriana di Afrin dall’inizio della operazione “Olive Branch”.

A fare l’annuncio è stato l’esercito turco subito ripreso dai media di regime che hanno prontamente rilanciato la soddisfazione per questo vero e proprio massacro ingiustificato trascurato incredibilmente da tutti.

Secondo le forze armate della Turchia (TSK) i militari turchi appoggiati da aviazione e mezzi blindati hanno “neutralizzato” 3.149 curdi siriani che loro definiscono “terroristi”. La Turchia non fornisce nessun dato sui civili uccisi nell’operazione che, secondo l’opposizione siriana, sarebbero centinaia compresi donne e bambini.

Nel comunicato dell’esercito turco si legge che «dal 20 gennaio, data di inizio della operazione Olive Branch, i militari turchi hanno neutralizzato 3.149 terroristi appartenenti al PKK / PYD / YPG / KCK e Daesh i quali mettevano in grave pericolo la popolazione siriana».

In realtà i morti sono solo curdi e di certo non mettevano in pericolo la popolazione siriana che anzi hanno strenuamente difeso dagli attacchi di Daesh per di più appoggiato proprio dalla Turchia.

Il regime turco vuole far passare una vera e propria aggressione armata alla regione curdo-siriana di Afrin come una operazione antiterrorismo, un metodo islamo-fascista ampiamente usato da Erdogan per giustificare, anche in patria, i più efferati crimini contro chiunque si opponga al suo regime o contro chiunque lui veda come una minaccia.

Quello che stupisce è l’assoluto silenzio della comunità internazionale, soprattutto dell’Europa, di fronte a questo ingiustificato massacro di curdi. Stupisce anche l’immobilità americana che prima ha usato i curdi per combattere e fermare Daesh e poi li ha letteralmente abbandonati nelle mani del criminale nazi-islamico di Ankara, un atteggiamento da parte di Washington vigliacco e ingiustificabile sotto tutti gli aspetti specie considerando che la risoluzione ONU 2401 del Consiglio di Sicurezza impone il cessate il fuoco in tutto il territorio siriano, risoluzione palesemente ignorata dalla Turchia che ha continuato a bombardare senza sosta la regione di Afrin.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » lun mar 12, 2018 9:11 pm

"Quella in Siria è una guerra contro i cristiani"
Matteo Carnieletto
Set 29, 2016

http://www.occhidellaguerra.it/curdi-e- ... assacrando

Quando risponde al telefono, monsignor mons. Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi (diocesi che comprende anche Raqqa, la capitale del sedicente Stato islamico), ha la voce roca. La voce di chi ogni giorno guarda in faccia la guerra. Sul sagrato dell’arcivescovado si affacciano due cecchini. Uno a trenta metri. L’altro a duecento. La tensione è palpabile, nonostante le prime frasi di monsignor Hindo vengano pronunciate con calma. A bassa voce. La linea va e viene. Ma, mano a mano che continuiamo a parlare, l’arcivescovo si fa sentire sempre di più. Parla della guerra che, ormai da cinque anni, sta distruggendo la Siria. Anzi, la “sua” Siria perché, mi spiegherà, “la Siria è prima di tutto mia. Perché io sono siriaco. E Siria deriva da siriaco. Io sono la Siria. Tutti i siriani sono la Siria”. Parole pronunciate dal cuore, come dirà più volte durante l’intervista. Parole di un pastore che ha deciso di non abbandonare le sue pecore. Anche a costo di vivere nel mirino dei cecchini. Giorno e notte.

Monsignore, recentemente ha usato parole molto dure nei confronti dei curdi dello Ypg, accusandoli di voler strappare qualsiasi cosa ai cristiani della sua diocesi. Qual è la situazione ora?

La presenza curda è sempre più pressante. Qui in città hanno preso tutti gli incroci e occupato tutte le vie, specialmente nel quartiere cristiano. Gli uomini dello Ypg si stanno comportando molto male con noi cristiani. Sono molto aggressivi. Inizialmente hanno preso il sud della città, poi si sono allargati sempre più. Hanno preso tutto il cotone e tutte le nostre ricchezze. Hanno rubato perfino le sedie. Hanno svuotato tutto, ora non c’è più nulla. Quando Daesh si è allontanato, sono arrivati i curdi dello Ypg, che vorrebbero creare uno Stato indipendente, ma questo non ha senso. Hanno preso qualche avvocato e l’hanno nominato giudice. Ma che giustizia è questa? L’anno scorso, a febbraio, 35 villaggi sono stati occupati da Daesh. I curdi dello Ypg li hanno visti scendere dalle montagne, ma non hanno fatto nulla per fermarli. Volevano che Isis occupasse queste terre bellissime. Quando sono arrivati, gli uomini dello Ypg mi hanno detto: “Siamo qui per proteggere i cristiani”. Ma non era vero: erano venuti per cacciare i cristiani.

Ma in Occidente i curdi dello Ypg vengono visti come degli eroi perché combattono Isis. Come può dire questo?

Loro lavorano per gli americani, che li usano per fare la loro politica. Ma poi li abbandoneranno. I curdi non pensano a ciò che accadrà tra un’ora oppure domani. Pensano solamente all’oggi. Non hanno imparato dalla loro storia e dalle persecuzioni degli ottomani. Lei sa cosa stanno facendo ora i curdi? Stanno imponendo la loro lingua nelle nostre scuole. Due ore al giorno per cinque giorni. Al Nord insegnano tutto in lingua curda. Ho detto loro: “Non avete programmi e non avete professori adatti. Come potete insegnare ai bambini?” E sa cosa mi hanno risposto? “Siamo pronti a sacrificare sette generazioni”. Questa non è democrazia. È ideologia. La propaganda curda e americana li presenta come eroi solo perché sono contro il governo. Ma i curdi stanno facendo tutto questo perché vogliono uno Stato. Lo stanno facendo solamente per il loro interesse.


Uno scenario davvero cupo, se è vero – come è vero – che i curdi hanno sfruttato il cessate il fuoco per alzare le barricate. Secondo lei la tregua è stata invece utile per i civili in zone come Aleppo?

Io sono contro il cessate il fuoco. La prima volta che l’esercito siriano è avanzato contro i ribelli, gli americani hanno chiesto una tregua e così i terroristi si sono riorganizzati per attaccare i soldati lealisti. Anche con questo cessate il fuoco hanno fatto la stessa cosa. De Mistura e l’Onu parlano solo di Aleppo est, dove sono presenti i ribelli, ma non parlano mai dell’altra parte, dove ci sono un milione e duecentomila siriani che vengono continuamente bombardati dai jihadisti. Anche l’arcivescovado di Aleppo è stato colpito da un missile, ma gli americani, i francesi e gli italiani non ne hanno parlato.

Ed è pure vero che durante la tregua i “ribelli” vengono riforniti di armi e munizioni. Ma chi gliele dà?

Di certo non vengono via aereo perché è tutto bloccato. Vengono dalla Turchia. La Turchia aiuta Daesh e anche l’America, che infatti non lo vuole distruggere. Da una parte gli Usa lo combattono, dall’altra lo aiutano. Addestrano i ribelli che poi passano le armi ad Al Qaida e all’Isis. Quando parlano i Capi dei governi occidentali dicono solo bugie. Non vogliono combattere né Daesh né Al Nusra. Non vogliono che la Russia e i siriani li bombardino.

E così i terroristi di Al Nusra hanno cambiato nome per presentarsi come “jihadisti” buoni…

Certo. E loro sono sostenuti anche dal Qatar, come l’Isis con l’Arabia Saudita.

Ma qual è la politica degli Usa in Medio Oriente?

Quella di Israele, che è il piede americano in Medio Oriente. Lo Stato ebraico ha un valore economico e strategico fondamentale. Per questo deve essere più forte ed è per questo che gli Usa vogliono smembrare la Siria. Non a caso hanno dato 38 miliardi di armi agli israeliani. Ma l’America fa anche gli interessi dell’Arabia Saudita, tanto che Obama ha posto il veto sul disegno di legge sull’11 settembre che permetterebbe alle famiglie delle vittime dell’11 settembre di citare in giudizio i sauditi. L’America ha deciso di attaccare la Siria perché Assad non ha voluto rompere le sue alleanze con l’Iran e con gli Hezbollah.

Com’è il rapporto tra cristiani e musulmani in Siria?

L’islam siriano è speciale. Non è come quello dell’Arabia Saudita o della Turchia. Non è un islam politico. I musulmani siriani hanno, prima di tutto, un cuore siriano. Hanno preso il volto della cultura, del commercio e della civiltà siriana. Purtroppo abbiamo anche noi qualche villaggio o qualche città in cui ci sono persone con la mentalità dei Fratelli musulmani…

Ma prima della primavera araba Assad riusciva a tenerli a bada…

Da quando il partito Baath ha preso il potere, la Siria è diventata un Paese laico. Quando ho costruito un campanile di 42 metri con una croce di 7 metri nessuno ha detto nulla. Anche se è più alta dei minareti. Come mai? Da settant’anni abbiamo una cultura laica. L’estremismo è arrivato con i Fratelli musulmani. Daesh è figlio loro e dei wahabiti.

Ma davvero Assad ha commesso tutti i crimini di cui è accusato?

Nella prima settimana della rivolta c’è stato qualche sciopero e l’esercito ha sparato sugli scioperanti. È vero. Ma chi ha sparato è stato punito. Quella in Siria non è stata una rivoluzione. È una guerra dei Fratelli musulmani. Chi dice che si tratta di una rivoluzione fa propaganda. È una guerra contro i cristiani. Il segretario di Laurent Fabius, tre anni fa, mi ha detto: “Tra poco arriverà in Europa un aereo pieno di cristiani iracheni”. Sa cosa gli ho risposto? “State sradicando i cristiani mediorientali affinché continui la guerra tra sciiti e sunniti”.

Dopo il bombardamento Usa contro l’esercito siriano, monsignor Abu Khazen, arcivescovo di Aleppo, ha detto che non si è trattato affatto di un errore. Condivide questa tesi?

Nel 2012 ho preso carta e penna per dire che dovevano essere Russia, Cina e Iran a bombardare Daesh in Siria. Non gli americani e i loro alleati perché ero certo che avrebbero colpito anche l’esercito siriano. E ora è successo. Di solito Isis cerca di colpire gli aerei, ma in questo caso non l’ha fatto. Come mai? Non posso parlare con tranquillità di fronte a questo bombardamento. Sono anche arcivescovo di Deir el-Zor e non posso accettare quello che gli americani hanno fatto. Conosco le persone che combattono con l’esercito siriano e i cristiani che vivono ancora lì. Non posso stare seduto su un trono. Uso le parole che mi vengono dal cuore e, quando vedo la Mogherini che piange per gli attentati di Bruxelles, mi chiedo se mente. Anzi, so che mente. Non ha mai parlato di tutte le scuole bombardate dai terroristi a Damasco. Forse il sangue siriano non è come quello occidentale…

Abbiamo parlato tanto di propaganda. Ma cosa possiamo fare noi giornalisti per raccontare con lealtà il conflitto siriano?

Non prendete per oro colato tutto ciò che i governi occidentali vi dicono. Sono bugiardi e contro i cristiani e i siriani. Hanno i loro interessi e non hanno in mente né gli uomini né i cristiani. Credo che la politica debba significare “servizio”, ma purtroppo ora è solo questione di interessi. Mettete dei punti di domanda sulle cose che vi dicono. Abbiate un po’ di cuore per questa Nazione. La Siria è prima di tutto mia. Perché io sono siriaco. E Siria deriva da siriaco. Io sono la Siria. I siriani sono la Siria. Piantatela di chiamare “moderati” i ribelli. È una bugia. Non sono moderati. Nemmeno l’Esercito Siriano Libero lo è. È solo il cambiamento di un’etichetta. Come Isis e come Al Nusra sono degli islamisti. I russi continuano a chiedere agli americani chi sono i ribelli moderati, ma loro non hanno ancora risposto.

Come giudica l’intervento russo in Siria?

Putin non è venuto solo per aiutare i cristiani e i siriani. Ma anche perché i terroristi non tornino in Russia. La posizione russa è difendibile, quella americana no perché è contro il diritto internazionale. Chi ha autorizzato l’intervento aereo della coalizione a guida Usa in Siria? Nessuno. È assurdo. La crisi siriana ha mostrato che la Russia è la seconda potenza mondiale e questo non è tollerabile per l’America.

Due mesi fa ha potuto parlare con Bashar Al Assad. Cosa vi siete detti?

A dir la verità, ho parlato della situazione nella mia regione. Ho parlato del problema curdo, presentando anche documenti scritti. Sa cosa mi ha detto? “Voglio una Siria laica in cui è vietato parlare di minoranze”. Mi ha poi detto: “Io sono un simbolo. Se va via un simbolo crolla tutto”. E ha ragione. In Siria succederebbe ciò che è successo in Libia e in Iraq. Se Assad se ne va, sparirà pure l’esercito e la Siria verrà smembrata.

Dice queste parole con un nodo alla gola, monsignor Hindo. E non possiamo dargli torto. La Siria anche è “sua”. È una questione di fede e di sangue. Cose che sembrano impensabili qui, dove tutto è pace.

I Paesi in cui i cristiani sono perseguitati sono molti, non solo in Siria. Vogliamo andare laddove i cristiani sono oggetto di violenza solo per la loro fede. E per farlo abbiamo bisogno di TE.




Cristiani arruolati con la forza dai curdi
MERCOLEDÌ 07 FEBBRAIO 2018

https://www.interris.it/esteri/cristian ... -dai-curdi

Si intreccia in Medio Oriente il nodo di un possibile Stato indipendente curdo. In particolare l'intreccio si fa aggrovigliato nel cantone settentrionale siriano di Afrin, dove le forze armate turche sono entrate per spezzare la resistenza dei curdi e prevenire così che proclamino uno Stato indipendente.

I rapimenti dei cristiani

Tra l'incudine curda e il martello turco si trovano i cristiani, assiri e siriaci. Una minoranza in questa zona (prima del conflitto erano il 10%, ma oggi sono diminuiti), che stando ad alcune recenti denunce vengono costretti con la forza dai curdi ad arruolarsi per combattere al fronte. A riportarlo è il gruppo siriaco World Council of Arameans. La notizia è stata ripresa da AsiaNews.

"Fonti locali cristiane, in condizioni di anonimato perché temono per la propria vita, affermano che le forze curde Ypg avrebbero intensificato intimidazioni e minacce nei confronti dei cristiani nel nord-est siriano", si legge su AsiaNews. Il 19 gennaio è stato registrato il rapimento di sette giovani cristiani. Qualche giorno più tardi, un altro paio di cristiani hanno fatto la stessa fine. Il sospetto da parte delle comunità cristiane è che questi giovani siano stati mandati a combattere ad Afrin. Il reclutamento avverrebbe in modo coercitivo.

Le forze armate su cui pesa l'accusa

Il Giornale spiega invece che gli autori degli arruolamenti coatti sarebbero i miliziani del gruppo Asaysh, forze di sicurezza curde, e non dell'Ypg, quest'ultima nota per la strenua resistenza di Kobane con l'ausilio delle truppe statunitensi. Johny Messo, presidente World Council of Arameans (Wca), l’organo d’informazione e di difesa delle comunità assire perseguitate che ha sede in Olanda, afferma: “La nostra gente sul campo continua a informarci su tutti i tipi di violazioni dei diritti umani, tra cui confisca di terra, intimidazioni, minacce e un’aumentata ondata di rapimenti. Questo deve immediatamente finire. Chiediamo alle forze Ypg curde di rispettare gli Aramei nativi della Siria. Invitiamo inoltre gli Stati Uniti a rendere chiaro questo messaggio critico alle Ypg”.



Medio Oriente, anche i cristiani alle prese con l’incognita curda
riccardo cristiano
2017/07/26

http://www.lastampa.it/2017/07/26/vatic ... agina.html


In Medio Oriente la ventilata sconfitta militare dei jihadisti dello Stato Islamico non sembra garantire rapide stabilizzazioni degli scenari devastati da anni di guerre e stragi. Mentre le mosse di diverse componenti politiche e militari curde, sia in Iraq che in Siria, proiettano nuove incognite sul futuro assetto di aree da poco sottratte alle milizie jihadiste. E anche sulla condizione delle piccole comunità cristiane locali, già segnate da anni di violenze e di fughe forzate dalle proprie case.

Piana di Ninive, area «contesa»?

Dalla Piana di Ninive, area di tradizionale insediamento delle comunità cristiane autoctone delle Mesopotamia, i battezzati sono fuggiti a decine di migliaia tra la primavera ed estate del 2014, davanti all’avanzare delle milizie dell’auto-proclamato Stato Islamico. Adesso che quelle terre sono state sottratte ai jihadisti, è in atto un flusso di ritorno incerto e debole, mentre anche il Patriarcato di Babilonia dei Caldei, la settimana scorsa, ha denunciato il «tentativo di mettere le mani sulle città della Piana di Ninive, attraverso lotte pubbliche o manovre occulte», che «esercitano effetti negativi per le popolazioni autoctone di questa terra».

Negli ultimi mesi la Piana di Ninive è diventata di fatto un’«area contesa», risucchiata in partite di vasta portata geopolitica, come quella legata alla possibile, futura proclamazione d’indipendenza della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, su cui il governo regionale ha indetto un referendum per il prossimo 25 settembre. Già adesso – ha insistito il Patriarcato caldeo nel comunicato diffuso la scorsa settimana – nella Piana di Ninive si assiste a una forma strisciante di «Controllo/Invasione» che «sta cancellando i legittimi diritti dei nativi, e li spinge a emigrare o a escludere l’idea di far ritorno alle loro case».

L’offensiva del Presidente curdo Masud Barzani per guadagnare l’appoggio dei cristiani all’indipendenza del Kurdistan iracheno è ripresa in maniera serrata almeno da un anno. Già il 16 luglio 2016 il leader curdo aveva promesso ad alcuni rappresentanti politici cristiani da lui convocati a Erbil la piena autodeterminazione politico-amministrativa alle comunità cristiane concentrate nella Piana di Ninive, e aveva anche prefigurato un sondaggio locale per consentire agli abitanti di tale entità amministrativa autonoma di scegliere il proprio inquadramento politico sotto il governo del futuro Kurdistan iracheno indipendente, piuttosto che sotto il governo centrale di Baghdad.

In questo modo, per guadagnare il favore dei cristiani al disegno indipendentista, i leader curdi di Erbil solleticano il vecchio sogno di creare nella Piana di Ninive un «homeland» riservata ai cristiani, relativamente autonoma sul piano politico e amministrativo. Ma possono anche chiamare in causa l’impegno profuso dal governo regionale per soccorrere e accogliere i profughi cristiani fuggiti da Mosul e dalle città e villaggi della Piana durante l’occupazione jihadista. In situazioni locali, i metodi usati dai curdi per far percepire anche ai cristiani la propria forza dominante sono più ruvidi: il 13 aprile 2016, centinaia di cristiani siri e assiri dell’area di Dohuk avevano protestato a Erbil davanti al Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, denunciando le espropriazioni illegali dei propri beni immobiliari subite negli ultimi anni non dai jihadisti di Daesh, ma per opera di influenti notabili curdi, già più volte denunciati invano presso i tribunali competenti. E sono di questi giorni le proteste spontanee dei cristiani di Alqosh, la cittadina dove il Consiglio della Provincia irachena di Ninive ha rimosso il sindaco cristiano Abdul Micha – con accuse di corruzione - e lo ha sostituito con un dirigente politico locale vicino al Partito Democratico del Kurdistan (PDK). La rimozione è stata disposta da Bashar al Kiki, a capo del Consiglio provinciale di Ninive, anche lui membro del PDK.

Il multiforme pressing curdo guarda anche all’Europa e al Vaticano: l’11 luglio, il Presidente Barzani ha incontrato a Bruxelles alcuni rappresentanti del Parlamento europeo per chiedere appoggio o almeno neutralità nei confronti del referendum indipendentista, ovviamente avversato dal governo centrale iracheno. Anche a Bruxelles, il leader curdo ha riaffermato l’impegno a rispettare l’autodeterminazione delle popolazioni della Piana di Ninive. Mentre Rezan Qader, rappresentante curda del governo regionale di Erbil in Italia, in un’intervista pubblicata il 21 giugno dall’Agenzia BasNews rassicurava che anche in Vaticano «hanno una percezione positiva dei curdi» e addirittura che Papa Francesco «ha fatto appello alla comunità internazionale a sostenere i curdi, dal momento che i Peshmerga (le milizie curde in Iraq, ndr) combattono per conto della comunità internazionale».

La partita curda in Siria

La «questione curda» è sempre complicata anche da connivenze, divisioni e ostilità che si registrano tra le varie entità politiche curde dislocate tra Iraq Iran, Siria e Turchia.

Negli scenari di guerra siriani molte milizie curde hanno ricevuto armi e artiglieria pesanti dallo schieramento sostenuto dagli USA. Sono in gran parte curdi anche i miliziani delle Forze democratiche siriane (SDF), il gruppo più conosciuto del fronte anti-Assad sostenuto dagli USA. Invece, nella Siria nord-orientale, militanti e miliziani che fanno capo al Partito Democratico Curdo (PYD) rappresentano il braccio siriano del Partiya Karkeren Kurdistan (PKK), radicato nella vicina Turchia. Negli ultimi tempi hanno iniziato anche loro a realizzare nei fatti il proprio intento – coltivato da anni - di creare una regione autonoma curda nella regione siriana di Jazira, che nei media curdi già viene indicata col nome curdo di Rojava. Nella provincia siriana nord-orientale di Hassakè, l’auto-proclamata amministrazione autonoma di Rojava ha iniziato a predisporre un sistema si tassazione locale per sovvenzionare i pubblici servizi della regione, senza concordare l’iniziativa con il governo di Damasco. «Oltre a cercare di imporre questo nuovo sistema di tasse» ha raccontato all’Agenzia Fides l’arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo – quelli del PYD hanno anche requisito e chiuso le scuole. Metà le hanno trasformate in caserme, e nelle altre hanno detto di voler introdurre nuovi programmi scolastici, che verranno realizzati in lingua curda».

Secondo Hindo, che guida l’arcieparchia siro cattolica di Hassake-Nisibi, «i militanti curdi del PYD si sentono forti perchè credono di avere l’appoggio degli USA. Io li ho messi in guardia: guardate, gli americani prima o poi se ne andranno, e voi vi troverete peggio di prima». I gruppi organizzati curdi della Siria nord-orientale, collegati al PKK, dicono di aspirare soltanto a una maggiore autonomia locale, e sono ostili ai curdi di Masud Barzani, che in Iraq stanno invece marciando verso il referendum per proclamare la piena indipendenza del Kurdistan iracheno.

E nei giochi complessi che si intrecciano intorno alla stabilità e al futuro assetto della regione, i cristiani – come ha detto una volta il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako - rischiano sempre di «essere usati come moneta di scambio» dalle forze globali e regionali che partecipano alla partita.



I cristiani siriani alla prova dei Curdi
12 novembre 2017 02:08

http://www.vietatoparlare.it/cristiani- ... -dei-curdi

Più di un milione di Curdi popola la Siria settentrionale e coesiste con poco meno di un milione di Arabi. Pragmaticamente, hanno vissuto in buona armonia con il regime, beneficiando di una certa autonomia in cambio della loro neutralità politica.

Le loro relazioni con gli Arabi (Sunniti, Alawiti o Cristiani) erano distanti ma senza una palese ostilità. Era prima della guerra ed i Curdi, nonostante la loro naturale propensione all’egemonia, non avevano altra scelta. Tuttavia, il sogno di uno Stato curdo indipendente è rimasto sempre vivo in essi.

La guerra permetterà loro di far progredire le loro ambizioni.

L’esercito siriano, in grande difficoltà fino all’intervento russo, non aveva più i mezzi per controllare il nord del paese: la priorità era quella di contenere la marea islamista che voleva prendere il potere. Questo non era lo scopo dei Curdi che si sarebbero sempre accontentati di un territorio loro nel Nord. Tra due mali Assad ha scelto il minore e quindi logicamente ha lasciato che i Curdi prendessero il controllo delle città e dei valichi di frontiera, con l’eccezione di uno solo, nel nord-est, detenuto da milizie cristiane e da alcuni militari siriani. Combattimenti tra esercito e milizia cristiana da un lato, e combattenti Curdi dall’altro (raggruppati nel YPG) hanno avuto luogo, facendo vittime e prigionieri in entrambi gli schieramenti. Si era tuttavia lontani dalla conflagrazione generale.

I Turchi vedevano questo di cattivo occhio, ma la loro preoccupazione all’epoca era principalmente quella di organizzare la rivolta islamista per rovesciare Assad.

La battaglia di Kobane cambia tutto.

Grazie all’aiuto dei Turchi, Daesh riuscì a conquistare una parte della Siria settentrionale congiungendosi così con il confine turco. Dopo la conquista della valle dell’Eufrate (Raqqa, parte di Deir ez-Zor, Mayadin, al Quaïm) e dei giacimenti petroliferi del sud-est del paese, gli islamisti sono stati in grado di vendere il petrolio fino alla Turchia grazie a centinaia di camion cisterna che circolavano nell’indifferenza generale. L’aviazione della coalizione internazionale a guida USA non li ha quasi mai attaccati, cosa che è comunque curiosa. Abbiamo dovuto aspettare che fossero i raid Russi a fermare questo traffico.

Tuttavia, rimaneva ancora una città da conquistare per Daesh: Kobane, popolata principalmente dai Curdi. Le battaglie furiose fra il YPG (Peshmerga curdi) e gli islamisti sono durate parecchie settimane. Questo è stato il momento in cui si è realizzata l’alleanza tra i Curdi e gli Americani: gli USA hanno deciso di aiutare i combattenti curdi in maniera massiccia. L’appoggio della loro aviazione è stato decisivo (come sempre nel corso di questa guerra) e Daesh ha dovuto ritirarsi. Il bilancio è stato pesante da entrambe le parti, ma la vittoria dei Curdi avrebbe suggellato la loro alleanza con gli Stati Uniti. Armati e finanziati da loro, i Curdi sono stati in grado di consolidare le proprie posizioni lungo il confine turco, non esitando ad attaccare i militari siriani e le milizie cristiane per meglio consolidare la propria autorità.

L’esercito turco però ha reagito, attraversando il confine per tagliare in due il territorio curdo ed impedire loro di controllare una fetta continuativa di territorio. I Curdi davanti ai carri armati turchi si sono ritirati per ordine degli Americani che non volevano un confronto diretto tra queste due forze ( Turchia fa parte della NATO ndt).

Oggi, i Curdi sono diventati la fanteria degli Stati Uniti: stanno prendendo il sopravvento a Raqqa (l’ex capitale del califfato in questo momento moribondo) e stanno prendendo posizione a nord di Deir ez-Zor al fine di impedire all’esercito siriano di riprendere il controllo di tutto il Paese .

Raqqa e Deir ez-Zor sono degli insediamenti arabi e non curdi, ma poco importa: ciò che conta per gli Stati Uniti è distruggere Daesh e impedire ai Siriani di riconquistare il proprio territorio. Il ritorno della pace sotto l’egida di Assad non è mai stato il loro obiettivo.

Ma una volta di più, sono ancora i Cristiani che patiscono di questa situazione. Essi sono relativamente numerosi nella regione, e occorre sapere che gli abusi curdi contro di loro non sono affatto rari: soprusi, arresti, e più gravemente, uccisioni mirate e perfino il forzato spostamento della popolazione. Il silenzio è assordante sull’argomento, ma i Curdi fanno parte degli eroi mediatici di questa guerra e non devono essere intaccati nella loro reputazione.

Il soggetto non è nuovo purtroppo: i Curdi hanno partecipato al genocidio del 1915, sia per ordine dei Turchi, sia, più spesso, per spogliare dei loro beni gli sfortunati Armeni o Assiri. Il brigantaggio è una vecchia tradizione in casa curda…

Certo, alcuni cristiani devono loro la vita per la loro ostinata resistenza contro Daesh; i Peshmerga curdi sono assai efficaci. Ma questo non deve oscurare la realtà di ciò che i Curdi sono: essi sono Curdi e il resto non conta. Il loro Islam è molto lontano e l’ideologia marxista che li anima è abbastanza teorica, ma i cristiani per loro sono ancora meno importanti.

Essi vogliono un territorio e sono disposti a fare di tutto a questo fine: gli Americani lo hanno capito bene e se ne servono per eliminare Daesh. Parimenti i Curdi usano degli americani per affermare il loro potere locale.

Fortunatamente, i cristiani sono ancora abbastanza numerosi nella regione, soprattutto nel nord-est. Nelle città di Hassake (180 000 ab.) e Qamishli (170 000 ab.) vivono molti siriaci cattolici e ortodossi i cui giovani sono armati e organizzati. Ma la vita è molto difficile e molti stanno pensando di andarsene.
Che è esattamente quello che i Curdi aspettano.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » dom mar 18, 2018 3:12 pm

Finita la resistenza dei curdi di Afrin, venduti da un occidente miope e vigliacco
Franco Londei on 18 marzo 2018

http://www.rightsreporter.org/finita-la ... -vigliacco

L’annuncio della conquista del centro di Afrin arriva da Sayf Abubakr, comandante della divisione al-Hamza, una delle maggiori milizie islamiche al soldo di Erdogan.

Solo fino a poco più di tre mesi fa la stampa mondiale era piena di articoli in cui si lodavano i valorosi combattenti curdi siriani e li si elevavano (giustamente) al ruolo di eroi, di salvatori del popolo siriano (non solo curdo) dai macellai dello Stato Islamico. Le cronache ci raccontavano di come, città dopo città, i curdi avanzano nel territorio di Daesh e lo liberavano dal crudele e sanguinario giogo islamico fino ad arrivare a Raqqa. Poi a sostituire Daesh venne Erdogan e calò il silenzio.

Erdogan, lo stesso che per anni ha fatto affari con lo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi comprandogli il petrolio siriano e iracheno in cambio di armi, denaro e di un passaggio sicuro per i suoi terroristi, lo stesso Erdogan che pochi mesi prima si era inventato di sana pianta un golpe solo per trasformare la Turchia da un Paese laico in un califfato del quale lui sarebbe stato l’indiscusso califfo. Un Daesh con riconoscimento internazionale.

Poteva Erdogan sopportare che i curdi venissero considerati degli eroi? Poteva permettere che dopo il Kurdistan iracheno nascesse anche un Kurdistan siriano? Certo che no. E allora il nuovo califfo, il sostituto naturale di Abu Bakr al-Baghdadi, si inventa che i curdi siriani sono terroristi che minacciano la Turchia e addirittura il popolo siriano, quello stesso popolo che proprio i curdi hanno difeso a carissimo prezzo. E cosa si fa con i terroristi se non attaccarli?

È così che nel silenzio internazionale nasce l’operazione chiamata tragicomicamente “Olive Branch”, ramoscello d’ulivo, un simbolo di pace usato cinicamente per un massacro studiato a tavolino, quello dei curdi siriani di Afrin.

Ecco, questo è in poche parole il sunto della pianificazione di quello che è un massacro annunciato che proprio in queste ore sta vedendo il suo tragico epilogo con le forze turche appoggiate dalle milizie islamiche fedeli ad Ankara che sono a pochi passi dal centro di Afrin nonostante l’eroica resistenza curda. Pochi minuti fa Sayf Abubakr, comandante della divisione al-Hamza, una delle maggiori milizie islamiche al soldo di Erdogan, ha annunciato di aver conquistato il centro di Afrin. Fine della storia, massacro compiuto, il ramoscello d’ulivo di Erdogan è stato consegnato ai destinatari.

Viene da chiedersi come faranno i diplomatici europei e americani a guardarsi allo specchio questa mattina, come faranno a non sentirsi dei vigliacchi per aver abbandonato i curdi siriani nelle mani del califfo Erdogan dopo che li avevano usati per sconfiggere il califfo al-Baghdadi. Come faranno nel guardare le lunghe fila di persone in fuga dai turchi, quelle stesse che fuggivano da Daesh, a non sentirsi dei vermi? Come faranno a non sentire il sangue delle migliaia di curdi massacrati dalle milizie islamiche di Erdogan sulle loro mani, sulla loro pelle?
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » dom set 02, 2018 6:39 am

Siria. I curdi chiudono le scuole cristiane
RodolfoCasadei
agosto 30, 2018 Rodolfo Casadei

https://www.tempi.it/siria-i-curdi-chiu ... 4toerh9ijI

Gli istituti si erano rifiutati di adottare un nuovo curriculum ispirato al nazionalismo pancurdo nei territori dominati dalle Fds. Protesta dei cristiani: «Non privateci del nostro diritto all’educazione»

Martedì 28 agosto l’amministrazione della Federazione democratica della Siria settentrionale, cioè il territorio siriano sotto controllo delle Forze democratiche siriane (Fds) a dominante curda, è passata dalle parole ai fatti: le scuole cristiane che si sono rifiutate di adottare i provvedimenti di politica dell’educazione emanati dal governo di fatto della Siria settentrionale sono state chiuse. A fare le spese della mano pesante della coalizione di governo egemonizzata dai curdi del Pyd (Partito dell’unione democratica) sono state quattro scuole nelle città di Qamishli, Darbasiyah e Malikiyah appartenenti alla Chiesa siriaca ortodossa.

«VOGLIAMO LE NOSTRE SCUOLE». Nella città di Qamishli il sequestro della scuola Sabro nel quartiere di Wusta da parte di forze di polizia curda e di una milizia cristiana filo-curda (Sotoro) che hanno espulso insegnanti e personale amministrativo che si trovavano all’interno, ha innescato una protesta popolare che nel pomeriggio ha visto centinaia di persone e di studenti anche giovanissimi riuniti di fronte alla scuola. I manifestanti hanno strappato i cartelli con la scritta “scuola chiusa” apposti dalle forze dell’ordine, hanno manomesso lucchetti e nuove serrature che la polizia e i miliziani avevano installato e hanno fatto irruzione nella scuola. Gli studenti recavano cartelli con le scritte “non privateci del nostro diritto all’educazione” e “vogliamo le nostre scuole, la nostra libertà e la nostra infanzia”. I manifestanti adulti cantavano “resteremo siriaci e moriremo in questa terra”. La reazione dei miliziani di Sotoro presenti sul posto si è limitata a spari in aria per intimidire i manifestanti, che non hanno desistito.

NAZIONALISMO PANCURDO. Dal 2015 l’amministrazione del Pyd cerca di imporre a tutte le scuole della regione controllata dalle Fds (la cui componente principale sono le unità di autodifesa Ypg, ala militare del Pyd) un nuovo curriculum ispirato al nazionalismo pancurdo e un sistema di iscrizione scolastica che mira ad etnicizzare le scuole. Attualmente le scuola cristiane siriaco ortodosse adottano il curriculum nazionale siriano, che prevede la lingua araba per tutte le materie, tranne due ore in lingua siriaca (o aramea) per l’insegnamento della religione e della cultura siriaca (o aramea). Il governo del Pyd ha stabilito che le scuole siano organizzate su base etnica e che la lingua utilizzata per tutte le materie sia quella del gruppo etnico in questione, mentre il programma e i testi dovranno essere ispirati al nazionalismo curdo.

NUOVI LIBRI DI TESTO. Nelle pagine dei nuovi sussidiari compaiono mappe del Grande Kurdistan (che comprende territori di Turchia, Siria, Iraq e Iran) e foto di Abdullah Ocalan, l’imprigionato leader del Pkk curdo di Turchia (considerato organizzazione terroristica anche dagli Usa e dalla Ue). Inoltre le scuole siriache (o aramee) non vogliono rinunciare ad accettare l’iscrizione di studenti arabi e curdi, che secondo le nuove disposizioni dovrebbero frequentare scuole dove si utilizza esclusivamente la loro lingua materna. Si danno casi di studenti di questi due gruppi etnici che nel modulo di richiesta non hanno indicato l’etnia di origine per poter frequentare le scuole cristiane sfuggendo ai controlli dell’amministrazione curda.

GUERRA ALL’ISIS. La data per l’inizio delle lezioni in tutto il territorio siriano è fissata fra la prima e la seconda settimana di settembre. Ieri le scuole hanno riaperto per il rientro al lavoro di insegnanti e personale amministrativo. Il territorio della Federazione democratica della Siria settentrionale comprende i tre cantoni di Afrin, Jazira ed Eufrate, per un’estensione di 40 mila kmq. È detto anche Rojava e le forze militari curde lo hanno conteso duramente all’Isis e ad altri gruppi armati islamisti a partire dal 2013.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » sab nov 03, 2018 7:00 am

Siria, Erdogan avanza contro i curdi. Nuova offensiva nel silenzio generale
Lorenzo Vita

http://www.occhidellaguerra.it/siria-er ... siva-curdi

“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” è la frase con cui si narra la disperazione degli ambasciatori di Sagunto di fronte al tempo perso dal Senato romano nel discutere del possibile intervento militare in difesa della città iberica. La frase è poi diventata proverbiale, a indicare tutte le volte in cui servirebbe un’azione rapida e decisiva e invece si perde tempo in discussioni lunghe e senza via d’uscita. E nel frattempo la guerra miete vittime.

La situazione dei curdi, in Siria, non è troppo distante da quella che subirono i tristemente noti abitanti di Sagunto. Alleati (almeno formalmente) della coalizione occidentale, i curdi sono stati con il tempo scaricati da Stati Uniti e Paesi europei per diventare il bottino di guerra di Recep Tayyip Erdogan e delle sue milizie islamiste.

E mentre a Istanbul, il presidente turco ha riunito i leader di Francia, Germania e Russia per discutere degli sviluppi della guerra in Siria. Con l’offensiva su Idlib messa in stand-by e con l’Occidente che appare totalmente distratto rispetto alla tragedia siriana, le forze turche hanno avviato l’ennesima operazioni militare nei confronti delle forze curde dello Ypg/Pyd.

Il sultano lo aveva promesso proprio dopo il summit: “In Siria è necessario intervenire per consolidare la nostra sicurezza. Dopo il golpe qualcuno pensava che saremmo rimasti passivi, ma le operazioni ‘Scudo dell’Eufrate’ e ‘Ramoscello d’Ulivo’ sono stati dei colpi durissimi inferti all’Isis e al Pyd. Abbiamo mostrato alla comunità internazionale e ai Paesi arabi con quale intento siamo andati in Siria. A Idlib abbiamo evitato una crisi umanitaria enorme, abbiamo dimostrato di agire per i siriani”.

“Quello che abbiamo realizzato in Siria lo abbiamo fatto grazie soprattutto alla Russia, ma come ho detto alla fine del vertice, rimane insufficiente l’azione della comunità internazionale, la cui posizione ci auspichiamo sia più netta. Per quanto ci riguarda non lasceremo che l’Isis faccia il suo gioco in Siria” ha detto Erdogan.

Parole decisamente curiose per un leader che ha agevolato la nascita e lo sviluppo del Califfato per infliggere colpi durissimi sia ai curdi sia alla Siria di Bashar al-Assad. L’autostrada del jihad per muovere miliziani verso l’Iraq e la Siria, così come le carovane di petrolio di contrabbando che arrivavano nei porti turchi sono storia. Eppure Erdogan continua a dire di aver combattuto Daesh.

Ma adesso, con l’Isis ridotto al territorio sudorientale della Siria, è del tutto evidente l’obiettivo della Turchia: estendere la sua influenza a sud, colpendo i curdi e facendo in modo che il confine turco-siriano si trasformi in una sorta di protettorato di Ankara. E la sostituzione etnica messa in atto dalle milizie jihadiste ne è la dimostrazione più crude ed eclatante.

E dalle promesse, Erdogan è passato ai fatti. L’esercito turco, proprio in questi giorni, è tornato a colpire oltre il confine siriano le postazioni dello Ypg. Mentre Erdogan ospitava il summit, le forze armate turche hanno colpito avamposti curdi a Zor Maghar, a nord di Aleppo. Mentre subito dopo, altri missili dell’artiglieria pesante turca, di stanza nella provincia di Urfa hanno colpito l’area di Kobane. Le prime informazioni parlano di quattro curdi uccisi e di altri sei feriti.

Secondo quanto riferito dal ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, “l’esercito turco ha risposto al fuoco di disturbo contro un proprio check-point colpendo oltre il confine siriano le postazioni dei curdi del Pyd-Ypg e 10 terroristi sono stati uccisi”. Secondo il ministero turco, sarebbero stati i curdi i primi ad aprire il fuoco, “danneggiando un nostro veicolo, ma senza causare feriti”. Un gesto che, a detta di Ankara, “giustifica il ricorso alla legittima difesa così come prevista dagli accordi Onu”.

Gli Stati Uniti hanno espresso grande preoccupazione per quanto sta avvenendo nel nord della Siria. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert Palladino, ha dichiarato che “attacchi militari unilaterali nel nord-ovest della Siria da parte di chiunque, soprattutto con personale americano che potrebbe essere presente o nelle vicinanze, suscitano grande preoccupazione”. Washington ha suggerito ad Ankara di migliorare il coordinamento e di incrementare le consultazioni fra i due comandi per evitare incidenti.

Ma l’idea che è da parte di Erdogan ci sia poco interesse, così come da parte della stessa Casa Bianca. I curdi hanno ormai chiaro di essere fra le prime vittime di questa guerra. Hanno scelto male il loro alleato. E adesso ne pagano le conseguenze. Così, mentre aspettano una presa di posizione definitiva di Francia e Stati Uniti, presenti nei territori curdi per controllare il nord-est siriano, la Turchia continua a fare il suo gioco. Ed è per questo che negli ultimi mesi hanno scelto di riallacciare i rapporti con Damasco e con Mosca: sanno che se vogliono ottenere qualcosa, non possono più fidarsi di chi li ha abbandonati.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » gio dic 20, 2018 11:12 pm

Straziante appello del Kurdistan National Congress al mondo: fermate la Turchia
2° dicenbre 2018

https://www.rightsreporter.org/strazian ... la-turchia

Riceviamo e con vicinanza e amicizia al popolo curdo pubblichiamo lo straziante appello del Kurdistan National Congress (KNK) a tutto il mondo affinché il popolo curdo non rimanga in balia dell’estremismo islamico della Turchia.

A gennaio di quest’anno, lo stato turco ha avviato una campagna di aggressione militare contro la regione un tempo pacifica di Afrin in Rojava, e questa campagna, condotta in coordinamento con vari gruppi jihadisti, è culminata con l’occupazione di Afrin.

La guerra dello stato turco nella regione di Afrin ha provocato una tragedia umana di vaste proporzioni: centinaia di civili indifesi sono stati massacrati e altre migliaia feriti, e la regione è stata bruciata, saccheggiata e distrutta dallo stato turco e dai loro alleati jihadisti.

Centinaia di migliaia di persone sono stati sfollati con la forza dalle loro case, e la guerra e la successiva occupazione e le continue campagne di terrore da parte dello stato turco e dei suoi alleati jihadisti nella regione hanno significativamente modificato la demografia di Afrin.

Lo stato turco ora cerca di ottenere lo stesso risultato visto ad Afrin in altre regioni del Rojava e si sta attualmente preparando ad attaccare una regione di 500 km in Siria tra i fiumi Tigri ed Eufrate.

I primi obiettivi nella regione sono le aree di confine di Kobane, Manbij, Tal Abyad, Serêkaniyê (Ras al-Ain), Darbasiyah, Amude, Qamishlo, Tirbespî (al-Qahtaniyah), Dêrik (al-Malikiyah) e migliaia di città e villaggi. Accanto a città come Qamishlo, Hasakah e Raqqa con grandi popolazioni urbane, ci sono circa un centinaio di villaggi e migliaia di villaggi nell’area, che attualmente ospita circa 3 milioni di persone. Ogni assalto dello stato turco porterebbe a un’insopportabile tragedia umanitaria di grandi dimensioni.

È noto che, con tutti i loro sacrifici, l’amministrazione regionale della Siria settentrionale e orientale / Rojava e le forze YPG / YPJ / SDF sono coloro che hanno pagato il prezzo più alto nella guerra contro l’ISIS. Il mondo intero ha assistito alla resistenza di Kobane, avvenuta non molto tempo fa. Queste sono le stesse forze prese di mira dallo stato turco, e Kobane, il bastione della resistenza contro ISIS, è tra i principali bersagli turchi. La guerra contro l’ISIS è ancora in corso e le forze della Siria settentrionale e orientale sono in prima linea in questa guerra.

Le forze della coalizione anti-ISIS guidata dagli Stati Uniti, che comprendono anche il Regno Unito, la Francia e altri paesi, sono stanziate in quest’area e mantengono una presenza attiva, conducendo oltre 200 attacchi in Siria nell’ultima settimana.

Le forze della coalizione avevano promesso protezione all’amministrazione regionale e ai popoli di queste aree. Tuttavia, secondo recenti notizie, a causa delle minacce dello stato turco, gli Stati Uniti si stanno preparando a ritirare rapidamente le proprie forze dalla regione. Se gli Stati Uniti e le altre forze della coalizione si ritireranno, abbandoneranno le comunità di questa zona a massacri su vasta scala. Tale sviluppo porterebbe a una grave tragedia umanitaria e allo stesso modo infliggerebbe una profonda ferita alla coscienza dell’umanità.

Sottolineando che il popolo del Kurdistan resisterà contro questi attacchi, KNK ha invitato tutti a solidarizzare con il popolo curdo e ha fatto il seguente appello alle potenze internazionali e all’umanità:

1. Le forze della coalizione non devono lasciare la Siria settentrionale e orientale / Rojava.

2. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU deve riunirsi con urgenza, decidere di proteggere quest’area dall’aggressione e dichiararla come Zona No-Fly.

3. Gli Stati Uniti devono riconsiderare e annullare la decisione dichiarata di ritirarsi da quest’area.

4. Le nazioni europee, in particolare la Francia, la Germania e il Regno Unito, devono immediatamente mettere questo tema nella loro agenda e non rimanere in silenzio di fronte ai potenziali massacri contro curdi, arabi, siriaci, assiri e armeni nella regione.

5. La Russia non deve rimanere spettatrice degli attacchi dello stato turco come ha fatto con Afrin, ma deve piuttosto opporsi alle politiche distruttive dello stato turco e alle interferenze in questa regione.

6. I difensori dei diritti umani, i movimenti pacifisti e le organizzazioni attive nel campo della politica e della società, non dovrebbero rimanere in silenzio di fronte a massacri imminenti, ma piuttosto devono ascoltare le voci dei curdi, degli arabi, dei siriaci, degli assiri e degli armeni, i milioni di innocenti Alevi, musulmani, yazidi e civili cristiani minacciati dall’aggressione dello stato turco e solidali con i popoli della Siria settentrionale e orientale e contribuire a trasmettere le loro richieste di protezione e pace al mondo.




Esercito siriano si posiziona a difesa del Kurdistan siriano
26 Dicembre 2018

https://breaking.rightsreporter.org/ese ... y9ztHDO24Q

Secondo una fonte militare curda le forze democratiche siriane guidate dai curdi (SDF) hanno ceduto il controllo di una città situata a sud-ovest di Manbij all’Esercito arabo siriano (SAA).

La mossa rientrerebbe nella strategia dell’esercito siriano volta a occupare la regione del Kurdistan siriano con la collaborazione delle forze curde prima di qualsiasi invasione turca.

Secondo la fonte l’esercito arabo siriano è attualmente in contatto con alcuni membri delle forze democratiche siriane a Manbij per organizzare la consegna della città all’esercito siriano, il che dovrebbe garantire che l’esercito turco non avrà strada libera nell’invasione del Kurdistan siriano, anche se da Ankara hanno fatto sapere che la mossa a sorpresa dell’esercito siriano non fermerà “l’operazione di pulizia” contro le forze curde.




Il Kurdistan chiede aiuto a Israele: «basta parole, difendeteci»
Sadira Efseryan
Dicembre 26, 2018

https://www.rightsreporter.org/il-kurdi ... ifendeteci

Polemico con Netanyahu il direttore del Kurdistan Project at the Endowment for Middle East Truth (EMET): «se Netanyahu crede veramente a ciò che dice allora dovrebbe agire»

Domenica scorsa il ministro della Giustizia israeliano, Ayelet Shaked (nella foto), ha dichiarato che il ritiro delle truppe americane dalla Siria è una decisione sbagliata e che spera che la comunità internazionale non permetta alla Turchia di “massacrare i curdi”.

Lo ha detto in una intervista alla radio dell’esercito. «I curdi sono grandi eroi» ha detto la Shaked «grazie a loro e solo grazie a loro l’occidente è riuscito a sconfiggere il cosiddetto Stato Islamico» ha poi proseguito il Ministro della Giustizia israeliano.

«Sono nostri alleati e spero che vinceranno nella loro battaglia contro i turchi. Spero che la comunità internazionale impedisca a Erdogan di massacrare i curdi in Siria» ha detto ancora la Shaked.

«Questa decisione non aiuta Israele. Piuttosto rafforza Erdogan, un criminale di guerra antisemita che compie massacri del popolo curdo, e lo fa strizzando l’occhio alla comunità internazionale» ha infine concluso Ayelet Shaked.
In Israele tutti (o quasi) concordi che occorre aiutare il Kurdistan

Il Ministro della Giustizia israeliano non è l’unica a pensarla così. In Israele sono tutti (o quasi) concordi sul fatto che Israele dovrebbe in qualche modo aiutare i curdi siriani così come fece a suo tempo con il Kurdistan iracheno.

«Molti in Israele simpatizzano con i curdi perché sono perseguitati dagli stessi paesi o gruppi che odiano anche Israele» ha detto il giornalista israeliano, Seth Frantzman, in una intervista a Kurdistan 24.

Tuttavia in pochi in Israele hanno le idee chiare su come aiutare concretamente il Kurdistan e salvarlo dalle grinfie di Erdogan.

Israele ci aiuti. Basta parole
“Se Netanyahu crede davvero a ciò che dice, allora dovrebbe agire”

Sembra avere invece le idee molto chiare Dileman Abdulkader, direttore del Kurdistan Project at the Endowment for Middle East Truth (EMET).

«Se Netanyahu crede davvero a ciò che dice, allora dovrebbe agire. Basta parole, i curdi sono stanchi di parole vuote» ha detto Dileman Abdulkader a Kurdistan 24.

«Se Netanyahu crede che Erdogan sia un leader così malvagio il cui esercito massacra donne e bambini nei villaggi curdi, dentro e fuori dalla Turchia, può sempre armare i curdi e proteggerli con i tuoi F-35 nuovi di zecca» ha poi concluso polemicamente Abdulkader.

Escludendo a priori (ma forse anche no) che Israele impieghi la sua aviazione per proteggere i curdi, in molti chiedono alla politica israeliana di armare i curdi siriani per combattere i propositi stragisti di Erdogan così come fece con i curdi iracheni che combattevano Saddam Hussein, ma sono operazioni complesse.

Chi potrebbe veramente fare qualcosa per proteggere il popolo curdo dalle mire stragiste di Erdogan è la comunità internazionale, a partire dalle Nazioni Unite fino all’Unione Europea.

A parte le pressioni politiche, le Nazioni Unite potrebbero dispiegare abbastanza velocemente un contingente di caschi blu così come ha fatto in Libano, mentre l’Unione Europea potrebbe dare un contributo economico per il mantenimento di questa forza di interposizione.

Ma per farlo serve il parere favorevole del Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove tra i membri permanenti c’è la Russia che ha diritto di veto. Difficilmente Mosca permetterà a forze dell’Onu di entrare in Siria. Troppi occhi indiscreti.

L’Europa non ha un proprio esercito e non riuscirebbe mai a mettere insieme una forza di contrapposizione.

Alla fine cosa rimane ai curdi per non essere massacrati da Erdogan se non le armi che potrebbero essere fornite da una mano amica quale è Israele?
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » dom dic 30, 2018 11:08 am

???

Siria, 8 anni dopo: Assad resiste. E il Califfo non è stato sconfitto
Gian Micalessin - Dom, 30/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 22640.html

Intesa Russia-Turchia: Erdogan non attaccherà i curdi
Gli Usa lasciano il Paese: è Putin l'unico attore rimasto

Da ieri la guerra in Siria è praticamente finita. Le ultime incognite, dopo la riconquista di gran parte del Paese per mano di Bashar Assad, riguardavano la provincia di Idlib, tuttora occupata da decina di migliaia di jihadisti, e i territori curdi del nord-est minacciati - dopo l'annunciato ritiro americano - da un'invasione turca.

A rimuovere la minaccia di un'offensiva contro quei miliziani dell'Ypg considerati terroristi da Ankara in quanto fedeli al Pkk di Abdullah Ocalan, ci ha pensato il Cremlino. Nonostante le bellicose promesse delle ultime settimane, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha accettato il diktat di Vladimir Putin, rinunciando ad affrontare l'esercito siriano entrato venerdì a Manbij e pronto ad affiancare le milizie dell'Ypg anche in tutti gli altri centri curdi con il procedere del ritiro americano. Un diktat messo nero su bianco ieri a Mosca durante gli incontri tra il ministro della Difesa di Ankara, Hulusi Akar, quello degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, e il capo dei servizi segreti, Hakan Fidan, con i rispettivi ministri russi. Un summit definito «assai utile» dal titolare degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, che ha spiegato come Ankara abbia accettato di lavorare nel «rispetto incondizionato della sovranità e dell'integrità territoriale della Siria».

Erdogan, pronto nei prossimi giorni a incontrare Putin per sottoscrivere l'intesa, avrebbe rinunciato, insomma, a utilizzare i carri armati e qualche migliaio di ribelli siriani, trasformati in obbedienti milizie filo-turche, per occupare i territori curdi. In verità i colloqui di Mosca non sono stati altro che il riconoscimento dello scacco matto subìto da Ankara venerdì pomeriggio quando le milizie dell'Ypg hanno aperto le porte di Manbij alle truppe di Damasco accettando la sovranità e la protezione offerta da Damasco in cambio di una piena autonomia territoriale.
Ovviamente le truppe di Assad, logorate da otto anni di conflitto, e le milizie curde non sarebbero bastate, da sole, a vanificare un eventuale assalto della macchina da guerra turca. Ma a rendere assai solida l'asse curdo-siriano ha contribuito l'appoggio politico e militare di un Vladimir Putin con cui è sempre meglio non tirare la corda, come Erdogan ha imparato a proprie spese dopo aver abbattuto un aereo russo nel dicembre 2015. Consapevole delle incognite innescate dal ritiro annunciato da Donald Trump, il Cremlino nei giorni scorsi non si era limitato a sollecitare un'intesa tra Damasco e i curdi, ma aveva fatto capire di essere pronto a utilizzare la propria aviazione per difendere l'integrità territoriale del Paese e bloccare eventuali interventi turchi.

L'accordo, imposto con la forza da Mosca, apre nuove prospettive anche per la soluzione del nodo di Idlib, l'ultima grande provincia siriana ancora in mano ribelli. Un nodo inestricabile fino a quando Ankara non rispetterà l'impegno assunto con Mosca di disarmare e accogliere sul proprio territorio le decine di migliaia di jihadisti ancora presenti in quei territori. Ma la tempestiva soluzione dell'incognita turco-curda dimostra soprattutto come il ritiro deciso da Trump trasformi Putin nell'unico e vero ago della bilancia di un'imminente e auspicabile pace siriana. Un epilogo alquanto sconfortante per un'America che durante la presidenza Obama aveva strenuamente difeso la necessità di far cadere Bashar Assad. Oggi, dopo otto anni di carneficine e oltre 300mila morti, Assad è ancora al suo posto, l'Isis e le milizie jihadiste, figlie di quella stessa guerra, sono ancora lontane dall'essere sconfitte, mentre Erdogan si è trasformato da alleato in imbarazzante spina nel fianco della Nato. Un epilogo reso ancor più sconfortante dal via libera di Trump a un ritiro che, oltre a sancire il ridimensionamento degli Stati Uniti, diventa anche il riconoscimento dell'egemonia russa nella regione.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » mar gen 15, 2019 2:59 am

AVVERTIMENTO alla Turchia
Niram Ferretti
14 gennaio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il Trump che mi piace è quello non solo che minaccia ma che dalle minacce passa ai fatti.

Sentirlo dire che se la Turchia attacherà gli alleati curdi in Siria verrà devastata economicamente fa piacere.

Ian Bremmer, presidente del think tank Eurasia Group, l'ha definita "la più straordinaria minaccia diretta che io abbia mai visto da un Presidente contro un alleato della Nato".

Il ritiro americano dalla Siria, deciso soprattutto per motivi di consenso elettorale più che di vera e propria necessità geopolitica, aveva suscitato una forte levata di scudi soprattutto in campo repubblicano.

Era un segreto di Pulcinella che John Bolton, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, desiderava che le truppe americane restassero in Siria per vigilare nei confronti delle mire espansionistiche iraniane. Lo aveva dichiarato pubblicamente durante un incontro con la stampa, avvenuto all'ONU un mese. Di tutto questo Trump ne ha dovuto tenere conto.

Il durissimo discorso di Mike Pompeo al Cairo, vera e propria pietra tombale sulla dottrina Obama di appesament con l'Iran, la ribadita rassicurazione a Israele di una vicinanza inossidabile e ora l'avvertimento perentorio alla Turchia, raddrizzano in parte la barra, nonostante continui, personalmente, a ritenere la decisione di lasciare la Siria un errore.
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Re: Kurdistan e de torno

Messaggioda Berto » mar gen 15, 2019 3:18 am

Popolo curdo ancora tradito. E la Fratellanza Musulmana ci gode
Franco Londei
Gennaio 14, 2019

https://www.rightsreporter.org/popolo-c ... na-ci-gode

C’è sempre una assurda giustificazione per tradire il popolo curdo. Questa volta si chiama Erdogan e Fratellanza Musulmana. E mentre l’occidente silente inaugura grandi moschee finanziate dalla Turchia e parla di “islam moderato”, i veri musulmani moderati vengono dati in pasto alle canaglie turche

È strano quel mondo che ignora e spesso tradisce un popolo antico e nobile come quello curdo ma che nel contempo sommerge di soldi e sostiene in ogni modo un popolo inventato di sana pianta da poco più di 70 anni come quello palestinese.

Il popolo curdo è sempre stato tradito da tutti. Usato e tradito. Sono stati usati contro Saddam Hussein, tanto da “meritarsi” un devastante bombardamento chimico, poi sono stati abbandonati al loro destino. Hanno fatto un referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno e tutti hanno voltato loro le spalle. Hanno combattuto ISIS in Iraq e in Siria, i primi a farlo seriamente, e appena sconfitto lo Stato Islamico sono stati dati in pasto a Erdogan, o lo saranno presto, proprio quell’Erdogan che lo Stato Islamico aveva alimentato a lungo.

Si fa un gran parlare di “islam laico e moderato” per combattere l’estremismo islamico, poi quando lo si ha a veramente a portato di mano lo si da in pasto agli estremisti islamici di Erdogan.

Perché il popolo curdo spaventa i regimi islamici?

Il popolo curdo spaventa i regimi islamici, nonostante sia composto in maggioranza da musulmani. Poco prima del referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno l’Iran si schierò apertamente e con decisione contro l’eventuale secessione del Kurdistan dall’Iraq affermando che «si voleva creare un nuovo Israele nel cuore del Medio Oriente». Altrettanto fece la Turchia.

L’affermazione iraniana è indicativa per capire le ragioni per cui il popolo curdo è tanto temuto dai regimi islamici. Sono laici, liberali, rispettano i Diritti delle donne, rispettano le altre religioni, anzi, le difendono dagli estremisti islamici. Un popolo del genere racchiuso in una nazione con queste caratteristiche posizionata nel cuore del Medio Oriente fa paura. Mette a rischio la tirannide islamica esattamente come fa Israele.

Non possono permettersi un nuovo Israele nel cuore del Medio Oriente

L’accanimento contro il popolo curdo dimostrato da Erdogan e dagli Ayatollah iraniani è legato unicamente a questa ragione. Non possono permettersi un nuovo Israele nel cuore del Medio Oriente. Perché questo sarebbe il Kurdistan, un nuovo Stato liberale e rispettoso dei Diritti posizionato proprio in mezzo al torbido regno dei regimi islamici.

Ma se i timori dei regimi islamici sono quantomeno comprensibili, quello che non si comprende è il motivo per cui anche l’occidente che blatera sempre di “islam moderato” non faccia niente per difendere il popolo curdo.

Eppure tutti hanno tessuto le lodi dei prodi combattenti curdi quando, da soli e poco armati, hanno fermato l’avanzata dello Stato Islamico. Ricordate Kobane? La soprannominarono “la Stalingrado del Vicino oriente” per la sua strenua resistenza che, anche grazie alle unità combattenti femminili, fermò l’avanzata di ISIS e ne decretò l’inizio della fine.

Adesso sembra tutto dimenticato

Adesso sembra tutto dimenticato. Gli americani se ne vanno dalla Siria abbandonando il popolo curdo ancora una volta. L’Europa non ha fatto sentire un fiato sulle dichiarate intenzioni turche di invadere il Kurdistan siriano. La Russia a parole ferma Erdogan ma nei fatti se ne frega. Assad ha mandato qualche centinaia di soldati a difesa della città di Manbij, la prima nella lunga lista di Erdogan, ma è solo una mossa di facciata. Non potranno fermare l’esercito turco appoggiato dalle milizie islamiche (molti ex ISIS).

Ieri sera il Presidente Trump, dopo aver cambiato idea una infinità di volte sul ritiro americano dalla Siria e dopo aver dato il via al ritiro stesso, ha avvertito Erdogan che se dovesse attaccare i curdi, gli Stati Uniti avrebbero «devastato economicamente la Turchia».

Si sarà spaventato il dittatore islamico turco? Avrà tremato il capo della Fratellanza Musulmana? Figuriamoci, ci vuole ben altro per fermare Erdogan e per convincerlo a non attaccare il Kurdistan siriano.

Quelle di Trump sono solo parole vuote, dette per giustificare l’ingiustificabile ritiro americano dalla Siria e per mettere a tacere la sempre più numerosa truppa di coloro che si oppongono a questa assurda decisione.

La realtà dei fatti è che ancora una volta il popolo curdo è stato prima usato e poi venduto, il tutto nell’indifferenza più totale del cosiddetto “occidente”, il mondo libero che si arroga il diritto di scegliere quale sia l’islam moderato da riconoscere e aiutare e quello che invece non merita neppure una nota, come appunto quello del Kurdistan.

E adesso cosa ne sarà del popolo curdo non è difficile da immaginare. Erdogan oltre al suo esercito sta ammassando migliaia di miliziani islamici lungo il confine con il Kurdistan siriano, così non avrà nemmeno bisogno di impegnare il suo esercito per un massacro ampiamente annunciato.

E l’occidente? Cosa dice l’occidente? Per il popolo curdo non fa niente. In compenso inaugura moschee della Fratellanza Musulmana finanziate proprio dalla Turchia. Cosa dire se non che è un suicidio e una vergogna che la storia ci rinfaccerà per sempre?



Alberto Pento
Beh, certamente non va dimentìcato quando i curdi turchi parteciparono allo sterminio degli armeni cristiani.
https://it.wikipedia.org/wiki/Genocidio_armeno
Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall'esercito turco.
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