Malta chiude i porti alle Ong. Proibiti anche i rifornimentiFederico Malerba - Ven, 29/06/2018
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 46489.html Scalo negato a Open Arms, pur senza profughi a bordo. E i maltesi accolgono i migranti con insulti e minacce
L'approdo della nave Lifeline a La Valletta dopo una settimana di odissea e il fatto che ieri anche la Norvegia abbia dato la sua disponibilità per ricevere una parte dei profughi non ha per nulla placato lo scontro tra le Ong e i governi che le accusano di essere dei veri e propri «taxi del mare».
Ieri infatti Malta ha deciso di chiudere definitivamente i suoi porti a tutte le navi delle organizzazioni non governative: «In seguito ai recenti accadimenti dobbiamo accertare che le operazioni di queste navi siano conformi alle norme nazionali e internazionali - si legge in una nota ufficiale del governo dell'isola-, quindi non possiamo consentire che usino il porto per le loro operazioni, né di entrare o uscire».
Il provvedimento, che di fatto era già stato anticipato qualche giorno fa nei confronti di Aquarius, colpisce anche la nave della Seawatch che attualmente è sottoposta a controlli sui documenti e ovviamente la Lifeline, sotto sequestro per lo stesso motivo. All'aereo di Pilotes Volontaires (Ong dell'aria che individua dall'alto le imbarcazioni in difficoltà) è stato negato il rifornimento, mentre alla spagnola Open Arms è stato proibito l'accesso alle acque territoriali anche se attualmente ha a bordo solo l'equipaggio. «Avevamo chiesto di fare rifornimento nei porti maltesi e italiani (ma l'Italia non conferma, ndr) anche per cambiare equipaggio - ha scritto su Twitter l'Ong spagnola-, il nostro è un battello umanitario che ha salvato 5mila vite in un anno sotto il coordinamento della Guardia costiera, il cui equipaggio è europeo come la bandiera e che è stato dissequestrato dalla giustizia italiana».
Argomentazioni che evidentemente non sono state ritenute sufficienti. Oltretutto sull'isola non c'è esattamente un buon clima nei confronti dei migranti e di chi va a soccorrerli, se è vero che giovedì sera, quando la Lifeline è entrata in porto, alcuni manifestanti l'hanno accolta al grido di «tornatevene al vostro paese, i neri non ci piacciono, ci vogliono uccidere». «C'era anche una mamma che obbligava la figlia di 10 anni a ripetere quegli insulti», ha denunciato un fotografo delle Reuters». Intanto i 234 profughi restano in attesa che le singole posizioni siano analizzate per capire chi ha diritto all'asilo e che i 9 stati disponibili ad accoglierli si dividano le quote.
Ieri è stato di nuovo interrogato il capitano della nave. È a piede libero, ma a differenza dell'equipaggio - che è completamente libero - non può muoversi da Malta in attesa di comparire lunedì mattina, di fronte alla Corte di giustizia che lo incriminerà formalmente in merito alla non corretta registrazione del natante nel registro navale olandese. Questo, comunque, non gli ha impedito di dire la sua sulla gestione del caso: «Si parla tanto di Trump e del muro tra Stati Uniti e Messico - ha detto Claus-Peter Reisch -, però io ho l'impressione che l'Europa non sia migliore. Mi vergogno e mi viene da piangere per come sono state trattate le persone che avevamo a bordo, quello che è stato fatto è ai limiti della tortura».
Lifeline si è fatta sentire anche in una conferenza stampa a Berlino. Interessante, perché dopo aver attaccato nuovamente Matteo Salvini («Le accuse che ci ha rivolto ci hanno scioccato, secondo lui abbiamo violato delle leggi ma questo non è vero e lui non ne ha le prove») la portavoce Marie Naass ha anche spezzato una lancia a favore dell'Italia prendendosela poi con la Germania che non ha voluto accogliere neppure un naufrago della loro nave: «L'Italia è stata lasciata molto sola in questi anni ed è chiaro che non possa affrontare da sola l'emergenza immigrazione. Di questo è fortemente responsabile la Germania, non è possibile da un lato bloccare la soluzione europea, come ad esempio sul sistema di Dublino, e dall'altro venire meno alla cooperazione e rifiutando la solidarietà». Anche le Ong, insomma, si rendono conto che qualcosa non funziona.
Bloccata un'altra nave della Ong: "Astral non può attraccare"Chiara Sarra - Ven, 29/06/2018
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 46857.html Dalle parole ai fatti: stamattina Matteo Salvini ha confermato che i porti italiani saranno chiusi per tutta l'estate a tutte le navi straniere delle ONG, che non potranno attraccare neppure per fare rifornimento.
E in serata arriva l'annuncio del ministro delle Infrastrutture che gli dà ragione.
"In ragione della nota formale che mi giunge dal ministero dell'Interno e che adduce motivi di ordine pubblico, dispongo il divieto di attracco nei porti italiani per la nave ONG Astral, in piena ottemperanza dell'articolo 83 del Codice della Navigazione", stabilisce Danilo Toninelli. Che pure all'Huffington Post precisa che sulla chiusura dei porti "si sta facendo una valutazione in base a precisi presupposti giuridici".
La nave in questione è quella battente bandiera inglese della ONG spagnola Open Arms. Già ieri un'altra nave della stessa organizzazione - quella omonima con bandiera spagnola - era stata respinta da Malta e dall'Italia pur non avendo nessun migrante a bordo.
Anche questi sono tra i peggioriLa maxi-bufala delle navi Ong «smascherate» dal GpsAlberto Magnani 27 giugno 2018
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AENgaMDF Negli ultimi giorni è tornata a imperversare in Rete una della «prove inconfutabili» della connivenza tra Ong e traffico di esseri umani: la tracciatura via Gps della rotte della imbarcazioni, dove si evidenziano spostamenti bilaterali fra le coste italiane e quelle libiche. L’origine del tutto è un video risalente a un anno fa e capace, a suo dire, di «svelare la verità sui “migranti” (tra virgolette, ndr)» con un metodo abbastanza artigianale: il monitoraggio delle imbarcazioni provviste di Automatic identification system, un sistema di monitoraggio automatico installato a bordo.
L’autore della clip, uno studente universitario, ha usufruito di MarineTraffic, sito che offre un servizio di tracking delle imbarcazioni, per seguire passo a passo le rotte di navi «sospette» di Ong e arrivare a una conclusione: le organizzazioni attive nel Mediterraneo fanno da «taxi del mare» verso l’Italia perché entrano nelle acque territoriali della Libia e, per giunta, non depositano i migranti nel porto più vicino, identificato con lo scalo tunisino di Zarzis.
Il video in questione è già stato messo alla prova da diversi fact-checking (tra i più dettagliati quello del blogger David Puente), dove emergono alcune forzature, una scarsa conoscenza del diritto e una imparzialità almeno dubbia (il video si conclude con l’invito ad acquistare un libro del giornalista Mario Giordano che si intitola «Profugopoli. Quelli che si riempiono le tasche con il business dei migranti»). Il concetto di fondo, però, è riuscito a circolare bene sui social: «basta guardare sul Gps» per avere la prova che le Ong soccorrono migranti per soldi, come testimonierebbero la rotta (Italia-Libia-Italia) e il fatto di evitare lo scalo più comodo (Tunisia). Il problema è che non è vera né la prima né la seconda tesi.
Ong: quante sono, cosa fanno in mare e come si finanziano
Ma le Ong non “vanno a prenderli in Libia”?
La prima argomentazione è che le Ong andrebbero a «prelevare» i migranti direttamente sulle coste della Libia, perché video e immagini tratte da Gps mostrano alcune imbarcazioni fare avanti e indietro dall'Italia alla costa nordafricana. Di fatto, però, quegli spostamenti sono legali (non esistono norme che vietino l’ingresso in acque libiche), connaturati al ruolo di una Ong (che si muove sempre in acque extraterritoriali, intervendo laddove è necessario) e, in particolare, non si traducono necessariamente in quello che viene considerato il loro «business», cioè il salvataggio di persone. Il perché è semplice: tutte le operazioni di soccorso sono coordinate da una serie di attori istituzionali, a partire dalla nostra Guardia costiera.
«Le Ong lavorano sotto il coordinamento della guardia costiera italiana operando nelle zone dove avvengono i naufragi - spiega Marco Bertotto, responsabile advocacy di Medici senza frontiere - In alcuni casi i naufragi avvengono più in prossimità delle coste libiche, e anche in quei casi si seguono ovviamente le indicazioni da terra». In un’audizione al Senato risalente al marzo 2017, gli stessi ufficiali della Guardia costiera hanno smentito la teoria del cosiddetto pull-factor: cioè che le imbarcazioni delle Ong sarebbero un «fattore di richiamo» per le partenze verso l’Italia. L’ammiraglio Vicenzo Melone ha spiegato che le Ong «devono essere considerate, a tutti gli effetti, risorse utili ai fini dell’attività di soccorso», mentre l’ammiraglio Donato Marzano «ha rilevato che le Ong non costituiscono intralcio alle attività della Marina militare nell’area». Del resto, l’attività di salvataggio è un obbligo per tutte le imbarcazioni che si trovino in zona utile. Dati della Guardia costiera mostrano che oltre il 15% delle persone salvate nei primi quattro mesi del 2017 sono state “recuperate” da navi mercantili.
E il «porto sicuro» di Zarzis?
L’altra tesi è che le imbarcazioni delle Ong «puntino» sull’Italia perché le darebbero precedenza su porti più vicini. Ad esempio quello di Zarzis, uno scalo di piccole dimensioni nel sud della Tunisia. In realtà, ai sensi della Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, siglata ad Amburgo nel 1979, le operazioni di salvataggio devono condurre al cosiddetto place of safety («luogo sicuro»). Ed è qui che si genera l’equivoco: «Il punto è che il porto deve essere “sicuro” anche dal punto di vista dei diritti umani, ai sensi della Convenzione di Ginevra - prosegue Bertotto - E questo non è garantito dalla Tunisia, che peraltro non ha dimostrato di essere disponibile».
Sbarchi migranti, a cosa servono i «5 miliardi» che Salvini vorrebbe tagliare
Quanto spendiamo davvero
Infine c’è la questione che scalda di più il dibattito: i soldi. Grosse Ong come Medici senza frontiere, oggi presenti nel Mediterraneo solo con il suo staff sulle imbarcazioni di Sos Méditerranée, sono finanziate esclusivamente da privati (lo si può scoprire direttamente dai loro bilanci). Quanto all’investimento dell’Italia, intesa come Stato, Salvini ha sottolineato che il nostro Paese ha speso l’anno scorso 4,3 miliardi di euro per finanziare il sistema di assistenza, accoglienza, formazione e soccorso in mare. Il dato era previsto nel Documento programmatico di bilancio del 2017 (4,26 miliardi di euro nello «scenario di crescita», lo 0,2% del Pil). Nel 2018 il totale dovrebbe salire a circa 5 miliardi di euro, anche se la spesa verrà «scomputata» dal conto su debito e deficit pubblico ai sensi dei parametri europei. A proposito di Ue: da Bruxelles sono arrivati 87 milioni di euro nel 2017.