Sparagagna e sparagmos

Sparagagna e sparagmos

Messaggioda Berto » gio gen 09, 2014 9:37 pm

Sparagagna e sparagmos (etimołoja e storia)
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... agagne.jpg

http://vec.wikipedia.org/wiki/Sparagagna
La sparagagna a la vixentina la xe on piato tepego de Viçensa, fato co le costexine de mas-cio, dite apunto sparagagne.


Sparagmos

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ragmos.jpg

El Misterio de li riti dionexiaghi el jera dà da la parteçipada de le bacanti a la befana (epifania totale) de Dionixo. Li riti li jera fati de note, lonsi da la çità, sora li monti e rento le foreste. Traverso el sagrefiço de la vitima (ostia) par scoartamento (sparagmos en grego) e la consumasion de la carne crua (omofaja) se realixa la comonion col dio, parké le bestie fate a toki e magnà/divorà le xe befane (epifanie) o encarnasion de Dionixo

http://en.wikipedia.org/wiki/Sparagmos
Sparagmos (Ancient Greek: σπαραγμός) refers to an ancient Dionysian ritual in which a living animal, or sometimes even a human being, would be sacrificed by being dismembered, by the tearing apart of limbs from the body. Sparagmos was frequently followed by omophagia (the eating of the raw flesh of the one dismembered). It is associated with the Maenads or Bacchantes, followers of Dionysus, and the Dionysian Mysteries.

Examples of sparagmos appear in Euripides's play The Bacchae, which concerns Dionysus and the Maenads. At one point guards sent to control the Maenads witness them pulling a live bull to pieces with their hands. Later, Dionysus lures his cousin, king Pentheus, into a forest after he bans worship of the god where he was attacked by Maenads, including his own mother Agave. The reference of his mother tearing apart his limbs is sparagmos. Similarly, Medea is said to have killed and dismembered her brother whilst fleeing with Jason and the stolen fleece in order to delay their pursuers (who would be forced to collect the remains of the prince). The Italian film director Pier Paolo Pasolini staged a sparagmos ritual as part of a long sequence near the beginning of his film Medea (1969), before dramatising the episode in which Medea kills her brother in a similar way. In Tennessee Williams's play Suddenly, Last Summer, Sebastian Venable is killed in an episode of sparagmos and omophagia.

According to some myths, Orpheus notably met this fate at the hands of the Thracian women. Interpreting the ritual through the lens of the Freudian Oedipus complex, Catherine Maxwell identifies sparagmos as a form of castration, particularly in the case of Orpheus.[1]

http://de.wikipedia.org/wiki/Sparagmos

Euripide, Le Baccanti, trad. M.Vitali, Ed. Bompiani
http://www.richardwolfnathan.com/ita/Ar ... linica.pdf

Disse Agave allora: “Orsù, Baccanti disponetevi tutte intorno al tronco ed afferratelo: prendiamo quella fiera appollaiata lassù tra i rami, che non vada a rivelare i segreti cori del dio.” Mille mani afferrarono il tronco e sbarbicarono l’albero dal suolo. Pénteo, seduto là in alto, dall’alto rovinò giù a precipizio, gridando di dolore e di paura: aveva compreso ormai d’essere vicino ad una fine orrenda.
E fu sua madre, prima fra tutte, a dar inizio, quasi sacerdotessa, al sanguinoso rito, e ad avventarsi su di lui; e lui, strappate dai capelli le bende perché Agave, ugualmente infelice, lo riconoscesse e risparmiasse la sua vita, ”Madre”, le disse, e con mano tremante osò sfiorarla sulla guancia, “guardami, sono io, il figlio tuo Pénteo che tu hai partorito ad Echione, nella sua casa... abbi pietà di me, madre, ti prego, e nonostante le sue colpe, non uccidere tuo figlio!”
Quella schiumava alla bocca e roteava le pupille nello sguardo stravolto, incapace di capire ciò che doveva capire, totalmente posseduta dal dio. Le parole di lui non la raggiunsero. Lo afferrò per il braccio sinistro con entrambe le mani e, calcando il piede sul torace dell’infelice, gli staccò di schianto l’omero. Non era forza, quella: era la sovrumana facilità della mano di un dio. Dall’altra parte si accaniva mo, squarciandone le carni, Autonoe incalzava con le Baccanti in folla. Era contemporaneamente tutto un grido di tutti: lui urlava il suo strazio, per quanto respiro ancora gli restava; le Baccanti levavano il grido del trionfo. Una portava un braccio, un’altra un piede ancor calzato: biancheggiavano le costole nei fianchi scarnificati. Ognuna con le mani insanguinate lanciava in aria brandelli della carne di Pénteo... il suo corpo or non è più che pezzi sparsi sul terreno, quali ai piedi di aspre rocce, quali nel denso fogliame della selva.., non sarà facile trovarli.”

http://it.wikipedia.org/wiki/Penteo

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... pardos.jpg
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Sparagagna

Messaggioda Berto » dom gen 19, 2014 1:37 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Sparagagna

Messaggioda Berto » lun feb 24, 2014 12:35 am

Magleton, mactare, mola, adolenda
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... V4M0k/edit

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Bosegato, boxgato, buxgat e inscrimire (etimoloja)
...

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... aurile.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/Suovetaurilia
La più antica testimonianza dei suovetaurilia - presenti, dunque, anche presso i Greci - è quella fornita da Omero nell'Odissea, dove si riferisce che l'indovino Tiresia esorta Ulisse a sacrificare un maiale, un montone e un toro al dio Poseidone; ancora nell'Odissea, si parla del medesimo sacrificio alla corte del re dei Feaci, Alcinoo.

Il rito veniva eseguito mediante delle modalità codificate:

davanti al tempio veniva posto l'altare (ara) con accanto un fuoco (foculus) su cui precedentemente erano state versate le libagioni di vino e incenso;
gli animali venivano introdotti nello spazio sacrificale addobbati di nastri sul capo (infulatae hostiae) e con un manto sulla groppa (dorsuale), mentre il sacrificante indossava la toga secondo il modo antico (cinctus Gabinus) ovvero con parte del capo coperto dalla stessa; introdotti gli animali venivano fatti circolare insieme agli officianti per tre volte intorno a coloro che dovevano purificare;
a questo punto i due assistenti del sacrificante (il praeco e il tibicen) avvertivano dell'inizio del rito richiedendo il silenzio per tramite il suono di uno strumento;
il sacrificante aspergeva quindi la vittima con il vino e con la mola salsa (farina di spelta bagnata dalla salamoia, così preparata dalle Vestali), passando successivamente la punta del coltello, senza tagliare, dalla testa alla coda dell'animale (pratica dell' "immolazione"), generalmente l'uccidere l'animale era compito di alcune persone predisposte e denominate uctimari (nei tempi più antichi invece era questo compito del sacrificante);
fegato, cuore e polmoni della vittima, ovvero gli exta destinati agli dèi, venivano estratti, controllati (se presentavano dei difetti il rito veniva ristabilito con una nuova vittima denominata succidanea) e infilati su uno spiedo posto nel fuoco sull'altare e in questo modo inviati alle stesse divinità.
tutto il resto, ciò che è tra ossa e pelle (uiscera), ovvero la carne dell'animale sacrificato, essendo profano e non sacro veniva consumato dai presenti.
Generalmente le divinità maschili richiedevano vittime di sesso maschile, così per le divinità femminili a cui venivano sacrificati animali di sesso femminile.

http://it.wikipedia.org/wiki/Tavole_eugubine
Le tavole contengono prescrizioni per il collegio sacerdotale dei Fratres Atiedii, un gruppo sacerdotale composto da 12 sacerdoti devoti al dio Ju-pater (lo Juppiter latino, ovvero Giove).
Le tavole sono l'unica fonte per lo studio del popolo umbro e della sua lingua, oltre che per le sue pratiche religiose. Sembrano essere scritte in un metro poetico simile al saturnio, metro che si incontra nella prima poesia latina. Se si escludono brevissime iscrizioni epigrafiche sono anche gli unici testi in lingua umbra.
Il linguista Giacomo Devoto considera le tavole eugubine, di cui a lungo si è occupato, come il "più importante testo rituale di tutta l'antichità classica"[
http://www.tavoleiguvine.eu
A titolo di esempio la traslitterazione di alcune righe in lingua umbra:
« este persklum aves anzeriates enetu
pernaies pusnaes preveres treplanes
iuve krapuvi tre buf fetu arvia ustentu
vatuva ferine feitu heris vinu heri puni
ukriper fisiu tutaper ikuvina feitu sevum »
(Tavole eugubine, traslitterazione prime righe tavola 1a)

Copar, couper, secar, segar, secia
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... dXck0/edit

Mola/maxena/makina, mulin/molin, molinaro/mulinaro, munaro, miller, muller, moleta/gusamoleta, mara, marangon, mortaro
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... RWMEE/edit
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Re: Sparagagna

Messaggioda Berto » mer mag 28, 2014 7:00 am

http://shardanapopolidelmare.forumcommu ... t=32803739

http://www.mamoiada.net/ILCarnevaleSardo%5B1%5D.pdf

http://www.mamuthonesmamoiada.it/docs/M ... rdegna.pdf

Il carnevale sardo - Su carrasecare
(testi Prof.ssa Dolores Turchi)

Il carnevale che sopravvive all’interno dell’isola si presenta con tratti assai arcaici.
Non ha niente a che fare con i carnevali trasgressivi che comportano travestimenti e capovolgimenti di ruoli.
É un carnevale tragico e luttuoso, basato sul concetto di morte e rinascita, teso alla richiesta della pioggia e alla commemorazione di Dioniso, dio della vegetazione e dell’estasi, che ogni anno muore e rinasce nel ciclo naturale dell’eterno ritorno.

La parola carrasecare (carre de secare), con la quale si designa il carnevale sardo, etimologicamente significa carne viva da smembrare. I seguaci di Dioniso infatti laceravano capretti e torelli vivi per ricordare la morte del dio che era stato sbranato dai titani. Osservare le arcaiche maschere dell’interno della Sardegna, vestite di pelli, cariche di campanacci o di ossi animali, col volto annerito dal sughero bruciato o coperto da una
maschera nera, significa fare un tuffo nella preistoria. Mimano la passione e la morte di Dioniso Mainoles, il cui nome in Sardegna si è corrotto in Maimone, nome che viene dato genericamente a tutte le maschere. La cattura e la morte di Dioniso viene rappresentata attraverso la cattura e la morte di una vittima sostitutiva.
Le maschere si muovono in una sorta di danza zoppicante che rappresenta lo squilibrio deambulatorio tipico delle feste dionisiache. Di questo culto è rimasta la gestualità, il ritmo, gli strumenti sonori e quelli agricoli che le maschere si portano dietro, nonché il laccio per catturare la vittima e la soga con cui veniva legata.
Questa vittima viene generalmente presentata sottoforma di capro, toro, cervo, cinghiale, tutte ipostasi di
Dioniso che sotto questi aspetti si manifestava. I carnevali tradizionali rappresentano tutti questo rito.
Si differenziano da un paese all’altro perché ciascuno ha conservato un momento diverso di questa rappresentazione. Figure vestite a lutto piangono la morte del dio e con esso la fertilità che viene a mancare. Appaiono uomini col gabbano nero, il cappuccio calato sugli occhi, il volto annerito. Tutti segni di lutto profondo perché con la morte del dio muore, per un certo periodo, anche la fertilità della terra.
Ci troviamo pertanto davanti ad un rito agrario antichissimo. Sono gli ultimi retaggi di un culto dionisiaco sopravvissuto a livello d’inconscio, le cui tracce sono però ancora evidenti.
Culto che un tempo era presente in tanti paesi dell’area mediterranea e che in Sardegna, per quanto banalizzato e relegato nel carnevale, poté sopravvivere proprio perché era legato alle annate agrarie e allo spettro della siccità, che isognava esorcizzare ripetendo il rito del Maimone. Ancora nel 1700, secondo le testimonianze del gesuita B. Licheri, tutte le maschere avevano le spalle cariche di ossi animali, anziché di campanacci, che agitavano ripetutamente perché dalle ossa si rigenera la vita. Dioniso era divinità agraria traco-frigia, antichissima, la più importante nel mondo agropastorale, come rivelano le tavolette in lineare B di Pilo e Micene. Probabilmente il suo culto penetrò in Sardegna intorno al XIV – XIII sec. a. C. nella forma più cruenta, non mitigato dalla religione orfica.
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