http://www.continuitas.org/texts/alinei_esempi.pdfMario Alinei (1997)
LA TEORIA DELLA CONTINUITA’ ED ALCUNI ESEMPI DI LUNGA DURATA NEL LESSICO DIALETTALE NEOLATINO
“Rivista Italiana di dialettologia”, 21, 1997, pp. 73-96.
4.2. Pignatta e pentola: dalla Ceramica Cardiale alla Ceramica Dipintahttp://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... np-CIC.jpg4.2.1. PignattaSe la ceramica in Europa è una delle innovazioni fondamentali del Neolitico, la ceramica prototipica delle popolazioni del Mediterraneo nord-occidentale e centrale è quella detta Cardiale o Impressa, perchè caratterizzata dalle impressioni effettuate con il bordo di una conchiglia -il Cardium- o con altri strumenti su tutta la superficie del vaso, con un effetto molto plastico. Sia nel quadro della teoria di Renfrew, sia in quello della TC, questa ceramica è necessariamente il ‘biglietto da visita’ di quelle popolazioni di lingue affini al latino che insieme formano il gruppo tradizionalmente chiamato italico, ma che in OR2, per la sua molto maggiore estensione (dall’Iberia alla sponda orientale dell’Adriatico), chiamo ‘nord-mediterraneo occidentale e centrale’.
Ora, uno dei termini diffusi in tutta l’area neolatina per la ‘pentola di terra’ è quello che deriva dal latino
pi@neus da
pi@nus, o direttamente da
pi@nus, con o senza aggiunta di suffissi (-ata, -atta, -òla, -ola -otta ecc.).
Se, con il metodo della autodatazione (cfr. OR1), si considera questo termine come collegato all’inizio della ceramica, si potrebbe ipotizzare che la pentola di terra a decorazione impressa venne equiparata a una ‘pigna’. La rassomiglianza, in effetti, è facilmente osservabile, anche se si apprezza molto meglio osservando un esemplare reale che non una riproduzione.
Ecco, anzitutto, un elenco incompleto dei tipi: it.
pignatta, fr.
pignate, poschiavino
ñata, sav.
piniota (Jaberg AGI 132, 226, 3) (REW 6511), moen.
péña[/b ] ‘zangola’, arcev. [b]pigna ‘pignatta’, corso
pìñula ‘pentola’, amer.
pìgnala ‘pentola’, marchigiano
pignòla ‘pentolino’, Terranova Sappo Minulio (Reggio Calabria)
pignatu ‘orciolo, tegame, campidanese
pingiada ‘pignatta pentola’, Polesine
pignataro ‘pentolaio’ (REWS 6511); catalano
pinyata ‘olla’ (< italiano); a.prov.
pinha ‘panier’, a.fr.
peignate ‘marmite’, aost.
peñata ‘cruche’, daupha.
pugnato ‘petite marmite’, Noasca
piñata ‘vaso per conservare il grasso’, Ala
puñata, Valdieri
piñ, Lyon
pignatta ‘marmite de terre’, Queyr.
pugnato, Colmars piñat´, pr.
pignato, Palavas
pignata ‘marmite sur les bateux de pêche’ a.prov.
pignatier ‘potier en terre’, Valais
pignotta ‘vase d’argille’, aost.
pegnotta ‘marmite de terre’,
piñota ‘jatte’, Annecy piniota ‘ustensile de cuisine’, Albertv.
pegnota ‘marmite ovale’, Aussois
piñota ‘bidon en fer blanc’, HAlpes
pignote ‘petite marmite’, ecc. ecc. (FEW pineus).
Direttamente da
pinus (FEW 549) (o da
pineus con perdita della semivocale): a.poit.
pinate ‘vase en grès’, Vendée e poit.
pinote ‘pot de terre’, m.fr.
pinote ‘marmite’,
pinete sorte de vase’ ecc. Anche sulla costa adriatica orientale troviamo
pignat nel Vegliotto,
pignata in istro-rom., e nei dialetti serbocroati le varianti
pìnjata (Perast, Dubrovnik, Cavtat) e
pinjàta (Crmnica, Prèanj, Dobrota, Lastva, Sutomore, Smokvica na Korèuli, Rab, Božava, Malinska) (Skok s.v. pinjav). Inoltre, in Sloveno appare il simplex
pínja ‘zangola’ (ibidem).
In Italia uno dei primi nomi della ‘pignatta’ sarà stato il semplice pigna, oggi attestato solo in Italia centrale (l’attestazione in sloveno testimonia la sua antichità). A proposito del suo derivato più diffuso -pignatta- non mi pare sia stato notato che il suffisso -atta (non attestato in Latino classico, che conosce solo -ittus, di epoca tarda e origine incerta (Rohlfs § 1141)) è lo stesso di termini che designano prevalentemente animali selvatici (non domestici, e neanche ‘giovani’ come sostiene (Rohlfs §1142)- come cerbiatto e cerbiatta, lupatto, orsatto, scoiattolo, mil. sghiratt ‘scoiattolo’, reattino, piem. reatél ‘reattino’, veneto pessato ‘pesciotto’, volpato, mulatto (da cui mulattiera, -iere), torato ‘torello’, porcato ‘porcastro’ (verificare attribuzioni).
Il livello cronologico degli animali selvatici mi sembra dunque sia pre-Neolitico, cioè precedente quello da me ipotizzato per pignatta. Anche le altre funzioni del suffisso, diverse regione per regione (Rohlfs § 1142), fra cui i diminutivi di termini infantili come pupattola, giocattolo, non contrastano con questa ipotesi.
Di tutte queste parole (la cui prima attestazione, nella forma pineatus ‘pentola’ si trova nelle Compositiones ad tingenda musiva dell’VIII dC) Von Wartburg poteva dire nel FEW (s.v. pineus) "dass diese wörter zu PINEUS gehören, kann kaum bezweifelt werden" (522), e aggiungere che anche in fr. pr. e nelle Hautes Alpes "das wort sei einheimisch" (ibidem).
Mi sembra quindi inutile, oltre che non convincente (per varie ragioni che qui non mi è dato illustrare) la recente ipotesi del collega ed amico Pellegrini (???) per una derivazione del tipo da pinguis.
Poichè la parola non si estende all’Iberia (in Catalano è un prestito italiano), si deve pensare che l’area centrale della innovazione lessicale sia stata l’area tirrenica ed adriatica. In effetti, quest’area più limitata coincide con quella di più antica diffusione della Ceramica Impressa.
4.2.2. Pentola e pintaCome è noto, alla Ceramica Impressa o Cardiale segue in Italia la Ceramica Dipinta, di origine balcanica. La successione non è solo cronologica, ma è anche strutturale. Gli archeologi hanno infatti potuto concludere che mentre la Ceramica Cardiale o Impressa veniva relegata alla cucina, e si buttava via quando si rompeva, la nuova Ceramica Dipinta, da tavola, si riparava dopo la rottura (Trump 35).
Inoltre, l’archeologia ha da tempo dimostrato, sulla base dello studio delle aree di distribuzione, che la ceramica dipinta -spesso di notevole finezza e bellezza- fosse oggetto di scambio fra i diversi gruppi e valesse quindi come indicatore di prestigio e status symbol (Barker 1981 162-3).
Per quanto riguarda la sua diffusione, quella detta di Ripoli si espande "in Umbria, Toscana, Lazio, Liguria e Valpadana, fino alla penisola iberica, testimoniando la forte capacità espansiva della facies fin dai momenti iniziali" (Grifoni 322). E’ importante notarlo per apprezzare le corrispondenze dialettali che sto per illustrare.
Ora, anche per questa seconda categoria di ceramica -caratterizzata dalla sua pittura, dalla sua finezza e del suo ruolo sociale- abbiamo due termini neolatini che sembrano calzare perfettamente con le sue caratteristiche:
pentola e pinta, ambedue da lat.
pincta ‘dipinta’.
Di questi due significati quello più antico è certamente ‘vaso dipinto’ (tipo pentola), e quello più recente e derivato è invece ‘recipiente di una certa misura’ (tipo
pinta).
L’aspetto ‘metrico’ di questo secondo termine (pinta) sarà dovuto alla circostanza che determinati recipienti di particolare prestigio (forse con manico: comincia ora l’elaborazione dei manici delle tazze, che aratterizzeranno a lungo la ceramica italiana centromeridionale (Trump 1966 51-2)) poterono facilmente essere adottati come unità di misura da determinate comunità. E’ in ogni caso sicuro che l’adozione di unità di misura per la capacità dei recipienti dovette nascere in ambito ceramico, e più precisamente in quello della ceramica dipinta, come appunto la parola pinta dimostra.
Quasta analisi è confermata dalla distribuzione areale: l’area del primo significato ‘pentola’, più arcaico, è limitata ad alcune aree dell’Italia: Pavese e Ticino (p.122) dove significa ‘boccale’ (AIS 968,
penta, pintino, pintone (Scheuermeier II 38), Toscana (AIS 955) (l’unica area compatta), Abruzzo (DAM, v. oltre) e Salento ‘vaso di coccio’ (Rohlfs, v.oltre), mentre quello di ‘
pinta’, cioè di ‘recipiente di una certa misura’, ha un’area molto più vasta, perchè lo si trova nei dialetti francesi, italiani, retoromanzi, catalani, spagnoli, portoghesi, oltre che in tedesco, nederlandese, antico frisone e bretone: fr.
pinte ‘mesure de capacité’, ‘vase ayant cette capacité’, a.prov.
pinta, pinto, lütt.
pinte, nam. Giv. ‘chope’, Lille, Gondc., StPol ‘demi-litre’, Bayeux ‘mesure de trois verres’, Alençon ‘cruche de la contenanca d’un litre’, hag. pynte ‘1/2 l.’, bamnc.
pe]t ‘1 l. (de cidre’), haman. saint. ‘mesure pour boisson’, Gruey pi]t ‘pinte’, bress. pinte, Blon. pe]ta, mdauph. pi]to ‘9 décil.’, Alais pinto, Vinz. pye]ta ‘mesure de liquide’, Chav. pinto, BagnèresB. ‘1 l’, Teste ‘3/4 de l.’, land. pi]nt´ ecc. ecc. (ometto i numerosi derivati) (FEW pingere).
Poichè la ceramica dipinta, come ho già detto, proviene dai Balcani e appare quindi sull’Adriatico prima che sul Tirreno, non ci sorprende poi di trovare il termine nei dialettì sud-orientali italiani: chietino p´ndìcchi´ ‘pignattina per scaldare acqua’ (DAM 5 volume p. 432), che Giammarco connetteva con
pendiculum, calabrese pinniculu, cioè con ‘qualcosa che si appende’, dimenticando che mentre il gruppo -nn- calabrese postula -nd- latino, quello –nd chietino postula -nt-! Inoltre troviamo pintu ‘coccio di vaso’ ( o vaso di coccio?), oltre a pinta ‘piccola quantità’ nel Salentino (Rohlfs).
4.2.3. ConclusioneInutile dire che le prime attestazioni di pi@neatus e di pinctus nel senso discusso (per definizione medievali) hanno un valore del tutto relativo. Anzitutto, come ho ricordato in OR1, le varianti geolinguistiche sono per definizione ignorate dalla lingua dominante, che è la sola che viene ‘consacrata’ dall’alfabetizzazione. In
secondo luogo, anche prescindendo da questo argomento, sia pi@neatus che pinctus sono aggettivi che specificano un sostantivo, che potrebbe essere per esempio olla, o va@sum o simili, e che poi saranno diventati indipendenti.
Infine, per quanto riguarda pentola, è opportuno ricordare l’attestazione di penquna nell’iscrizione 575 di Testimonia linguae etruscae di Pallottino (cfr Pisani 1978 70, che però curiosamente considera pentola di etimologia ignota).
E’ forse utile aggiungere -anche se occorrerebbe approfondire l’analisi- la menzione della festa popolare chiamata della pignatta, che consisteva nella rottura di una pignatta, ostacolata in modi diversi (bendaggio dello sfidante, collocamento della pignatta all’apice di un palo cosparso di grasso ecc.). La pignatta da rompere era piena di prodotti, che il vincitore riceveva in premio. Gli elementi basilari di questa festa, tipicamente agricola, sono ‘neolitici’.