Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:39 pm

3)
Ma chi sono i talebani?
Sono la variante afgana di Al-Qāʿida, del l'Isis, di Boko Haram, e altri.
Sono i veri mussulmani, i veri seguaci di Maometto, i veri credenti nell'idolatria islamica terrorista, assassina, sterminatrice, proprio come lo fu Maometto il loro maestro. Bergoglio li chiamerebbe i veri credenti islamici, uomini di fede.



Il termine talebani o talibani (in pashtu e in farsi طالبان, ṭālebān, plurale di ṭāleb, ossia "studenti/studente") indica gli studenti delle scuole coraniche in area iranica, incaricati della prima alfabetizzazione, basata su testi sacri islamici. Il nome ha assunto notorietà a causa dell'improprio uso del termine da parte dei mezzi di comunicazione di massa per indicare la popolazione di orientamento religioso fondamentalista presente in Afghanistan e nel confinante Pakistan.
https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q ... 1hjeEMQEM4


La lezione Afghana e Israele
Pasquale Mammoliti
16 agosto 2021

https://www.facebook.com/DonMammoliti/p ... 4920612403

Fratelli e sorelle, la lezione Afghana non e' quella che raccontano Repubblica e tutti i vari giornaletti sinistroidi che gongolano per la "sconfitta" Americana. La lezione viene in realta' da molto lontano, in primis dai Romani i quali avevano capito che le "mezze guerre" non solo non servono ma quasi sempre hanno un effetto boomerang. Le guerre si combattono per vincerle, NON tanto per combatterle. Purtroppo il veleno del politicamente corretto si è insinuato anche nella dottrina militare e oggi nessuno Stato, USA compresi, puo' permettersi di combattere una guerra per vincerla senza compromessi al ribasso. Lo vediamo con Israele, per la quale l'Afghanistan e' un monito da tenere in serissima considerazione. Continuare solo a "contenere" un nemico mortale che gioca con il fattore tempo e quello demografico e' la strategia perfetta per farsi annientare. Difficile dire "quando" succedera' ma impossibile negare che NON succedera'. Preghiamo


Pasquale Mammoliti
Sui giornaletti di sinistra oggi e' tutto un paragone tra la performance Russa e quella Americana....i Russi "avrebbero fatto meglio"....gli "esperti" di Repubblica ignorano che i Russi invasero l'Afghanistan anche e soprattutto perche' bisognosi di un teatro di guerra. Puo' sembrare incredibile ma non combattevano una guerra sul campo dalla fine della II Guerra Mondiale....non hanno mai avuto l'intenzione ne' di vincerla ne' di rimanere in Afghanistan. Non a caso ruotarono tutte le unita' che poterono per fargli acquisire esperienza di combattimento. Per gli Americani la storia e' un po' diversa ma neanche loro hanno mai provato (o potuto?) a vincere la guerra ne' tantomeno nessuna amministrazione si sarebbe mai sognata di rimanere in un Paese non certo "strategico" da nessun punto di vista. Resta il fatto che quando si ritirano loro, gli Americani brutti sporchi & cattivi, restano solo tagliagole islamici o dittatorelli con le camice rosse.....tutto il resto e' fuffa. Preghiamo

Ferruccio Pesenti
In Afghanistan nessuno ha mai vinto da Serse ai Russi e ora agli Americani , per il semplice motivo che si combatte contro una IDEA , OGGI CORANO . INFATTI IL NEMICO SONO " STUDENTI CORANICI " per cui se combatti gli effetti di una malattia , ma non la causa fai un buco nell' acqua

Alberto Pento
Ferruccio Pesenti Infatti bisognerebbe attaccare il cuore e la testa dell'Islam: Maometto, Il Corano e Allah ma così facendo si provocherebbe l'intero mondo islamico e si andrebbe ad un guerra mondiale cruentissima ma da portare sino in fondo, sino alla distruzione del male, costi quello che costi, ne trarrebbe vantaggio l'intera umanità.
La maggior parte dei cristiani e degli atei comunisti e non, preferisce illudersi che possa esistere un islam buono e che si possa evitare il confronto bellico e perseguono una politica da dhimmi.





Il portavoce dei Taliban si chiama Zabihullah, letteralmente «Sgozzatore di Allah». Un nome e un fatto che attesta la tragica realtà della ferocia omicida prescritta da Allah e praticata da Maometto
Magdi Cristiano Allam
Lunedì 16 agosto 2021

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 2551700799

Cari amici buongiorno e buon inizio di settimana. Il biglietto da visita del regime terroristico islamico dei Taliban, che ieri ha riportato indietro l'Afghanistan di venti anni riesumando l'Emirato Islamico dell'Afghanistan, è Zabihullah Mujahid, il suo portavoce ufficiale.
Zabihullah si traduce letteralmente «Sgozzatore di Allah», mentre Mujahid è «Combattente della Guerra santa islamica».
Una delle due principali feste religiose islamiche si chiama «Id al adha», che si traduce «Festa del sacrificio» o «Festa dello sgozzamento», che si celebra alla fine del pellegrinaggio alla Mecca, nel ricordo del sacrificio di un montone da parte di Abramo in sostituzione del figlio Ismaele, così come gli aveva prescritto Allah. Ebbene ai musulmani è prescritto lo sgozzamento di un montone che deve essere cosciente, affilando il coltello, facendo stendere l’animale sul suo lato sinistro orientandolo verso la Mecca, e dopo aver pronunciato «Nel nome di Allah» e «Allah è il più grande», si recide con il coltello la faringe che è la via respiratoria, l’esofago che è la via alimentare, le arterie carotide fino al suo totale dissanguamento. Maometto lo definì «il giorno più sacro per Allah».
Lo sgozzamento dei nemici è stato praticato da Maometto, assurgendo a modello di comportamento per i terroristi islamici che imitandolo hanno sgozzato i «nemici dell'islam». Nel 627 a Medina, ottemperando a un ordine rivelatogli da Allah, Maometto partecipò allo sgozzamento e alla decapitazione di circa 900 ebrei maschi adulti della tribù dei Banu Qurayza e lui personalmente sgozzò e decapitò i capi della tribù dei Banu Qurayza. Nella Sunna, la raccolta dei detti e dei fatti attribuiti a Maometto, si precisa che Maometto sgozzò e decapitò con le proprie mani i dignitari ebrei Kaab ibn Asad, Nabbash ibn Qays, Ghazzal ibn Samuel. Maometto decapitò anche Huyayy ibn Akhtab, capo dei Banu Nadir. Poi si rivolse a Sa’ad ibn Muadh e gli cedette il posto dicendogli: «A te i restanti». Tutti i circa 900 ebrei furono sgozzati e decapitati prima del crepuscolo. Maometto ordinò di ricoprire i corpi mutilati con la terra che era stata scavata, trasformandola in una terrificante fossa comune.
Lo sgozzamento dei «miscredenti» è prescritto da Allah nel Corano: «E quando il tuo Signore ispirò agli angeli: “Invero sono con voi: rafforzate coloro che credono. Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi! E ciò avvenne perché si erano separati da Allah e dal suo Messaggero”. Allah è severo nel castigo con chi si separa da lui e dal suo Messaggero...! Assaggiate questo! I miscredenti avranno il castigo del Fuoco! O voi che credete, quando incontrerete i miscredenti in ordine di battaglia non volgete loro le spalle. Chi in quel giorno volgerà loro le spalle - eccetto il caso di stratagemma per meglio combattere o per raggiungere un altro gruppo - incorrerà nella collera di Allah e il suo rifugio sarà l’Inferno. Qual triste rifugio! Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi. Quando tiravi non eri tu che tiravi, ma era Allah che tirava, per provare i credenti con bella prova. In verità Allah tutto ascolta e conosce. Ecco quello che avvenne: Allah vanificò l’astuzia dei miscredenti.» (8, 12-18)
Lo sgozzamento dei «nemici dell'islam» è stato praticato dai terroristi islamici ottemperando a ciò che Allah prescrive nel Corano e emulando le gesta di Maometto, nella convinzione che la testa decapitata non potrà più ricongiungersi al corpo nel Giorno del Giudizio e che i «nemici dell'islam» saranno inesorabilmente condannati all'Inferno. Il 7 maggio 2004 in Iraq, Abu Musab Al Zarqawi, l'allora luogotenente di Osama Bin Laden, si fece immortalare mentre sgozzava e decapitava il giovane ebreo americano Nick Berg. Dopo aver urlato ripetutamente insieme ad altri terroristi «Allah Akhbar!», «Allah è il più grande», Al Zarqawi pronunciò il versetto coranico «Uccideteli ovunque li incontriate, e scacciateli da dove vi hanno scacciati: la persecuzione è peggiore dell’omicidio. Se vi assalgono, uccideteli. Questa è la ricompensa dei miscredenti» (2, 191). Poi impugnò il coltello e con una ferocia disumana lo infilzò nella gola di Berg. Quindi Al Zarqawi, a giustificazione dello sgozzamento di un «nemico dell'islam» disse: «Sia gloria ad Allah, che ha onorato l'islam con il suo sostegno, ha umiliato gli infedeli con il suo potere». Poi evocò Maometto: «Il profeta, Signore della grazia, ha ordinato di tagliare la testa ad alcuni dei prigionieri di Badr (allusione alla battaglia di Badr, combattuta da Maometto nel 624, ndr). Egli è il nostro esempio e il nostro modello di buon comportamento».
I terroristi islamici di Al Qaeda e dell'Isis hanno immortalato in video e in immagini le teste sgozzate e decapitate per radicare il terrore nei «nemici dell'islam», affinché facendosi sopraffare dalla paura di fare quella fine atroce, finiscano per sottomettersi senza reagire e per arrendersi senza combattere.
Cari amici, gli antichi romani dicevano «Nomen omen», che significa «Il nome è un presagio», nella convinzione che nel nome fosse indicato il destino della persona. Oggi si dice che una persona è tale «di nome e di fatto». Che cosa dobbiamo aspettarci di buono dal portavoce ufficiale dei terroristi islamici dei Taliban, che di nome fa Zabihullah, «Sgozzatore di Allah»? È vero che le persone vanno rispettate nella loro individualità e valutate sulla base dei loro fatti. Ma è altrettanto vero che ci troviamo di fronte a dei terroristi islamici che ottemperano letteralmente e integralmente a ciò che Allah prescrive nel Corano e a ciò che ha detto e ha fatto Maometto. Il ritorno dei Taliban al potere in Afghanistan, concordato con gli Stati Uniti, ci fa toccare con mano la tragica realtà della resa dell'Occidente all'islam.


Abdul Ghani Baradar, chi è il leader dei talebani liberato dagli USA tre anni fa
Alessandro Strabioli
16 agosto 2021

https://www.ilmessaggero.it/persone/cap ... 40489.html

Abdul Ghani Baradar, il leader talebano liberato da una prigione pakistana su richiesta degli Stati Uniti meno di tre anni fa, è emerso come vincitore indiscusso della guerra dei 20 anni. In una dichiarazione televisiva sulla caduta di Kabul, Baradar ha affermato che la vera prova dei talebani fosse solo all'inizio e che tutti avrebbero dovuto servire con dedizione e sacrificio il proprio paese. Il ritorno al potere del mullah sembra dunque incarnare l'incapacità dell'Afghanistan di sfuggire alle sanguinose catene del passato e la storia della sua vita, in perenne oscillazione tra guerra e misticismo, somiglia esattamente a quella del conflitto di questo territorio.

Nato nella provincia di Uruzgan nel 1968, Baradar ha combattuto nei mujaheddin afgani contro i sovietici negli anni '80. Dopo che i russi furono cacciati nel 1992 e il paese cadde in una sanguinosa guerra civile, Baradar istituì una madrasa a Kandahar con il suo ex comandante e presunto cognato, Mohammad Omar. Insieme, i due mullah hanno fondato i talebani, un movimento guidato da giovani studiosi islamici dediti alla purificazione religiosa del Paese e alla creazione di un emirato.

Alimentati dal fervore religioso, dall'odio diffuso per i signori della guerra e dal sostanziale sostegno dell'agenzia Inter-Services Intelligence (ISI) del Pakistan, i talebani sono saliti al potere nel 1996 dopo una serie di straordinarie conquiste di capoluoghi di provincia che hanno colto di sorpresa il mondo. Baradar, il vice del mullah Omar, ritenuto uno stratega molto efficace, fu artefice principe di quelle vittorie.

Baradar ha svolto una serie di ruoli militari e amministrativi nel regime quinquennale dei talebani: difatti, quando è stato estromesso dagli Stati Uniti e dai suoi alleati afghani, era vice ministro della difesa. Durante i 20 anni di esilio, Baradar aveva la reputazione di essere un potente capo militare e un sottile operatore politico. I diplomatici occidentali arrivarono a considerarlo come l'ala della Quetta Shura – la leadership raggruppata dei talebani in esilio – che era più resistente al controllo dell'ISI e più suscettibile di contatti politici con Kabul.

La CIA lo ha rintracciato a Karachi nel 2010 e nel febbraio dello stesso anno ha convinto l'ISI ad arrestarlo. «La cattura di Baradar si è basata su una valutazione bene precisa: la sua pericolosità come leader di guerra era bene più alta rispetto alla possibilità di un suo ruolo attivo nella ricerca dei una tregua», ha detto un ex funzionario.

Nel 2018, tuttavia, l'atteggiamento di Washington è cambiato e l'inviato afgano di Donald Trump, Zalmay Khalilzad, ha chiesto ai pakistani di rilasciare Baradar in modo che potesse condurre i negoziati in Qatar, sulla base della convinzione che si fosse potuto accontentare di un accordo di condivisione del potere. «Non avevo mai visto alcuna reale dimostrazione di quella volontà, ma ha solo assunto una sorta d'idea mitica», ha detto l'ex funzionario.

Baradar ha firmato l'accordo di Doha con gli Stati Uniti nel febbraio 2020, in quello che l'amministrazione Trump ha salutato come una svolta verso la pace, ma che ora sembra una semplice tappa verso la vittoria totale dei talebani. L'accordo tra Washington e i talebani avrebbe dovuto essere seguito da colloqui di condivisione del potere tra i gruppi di Baradar e il governo di Kabul di Ashraf Ghani.

Quei colloqui sono naufragati, ed ora è chiaro che Baradar stava solo prendendo tempo, aspettando che gli americani abbandonassero il campo per preparare un'offensiva. La vita, a Baradar, ha insegnato la pazienza, ed è stata questa, sospinta da un'ideale mistico, quasi di predestinazione, a dargli la fiducia nella vittoria finale.



MISSION ACCOMPLISHED
Niram Ferretti
16 agosto 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La débâcle americana in Afghanistan, dopo vent'anni di enormi risorse finanziarie investite per democratizzarlo e perdite di uomini, è sotto gli occhi di tutti. Fa sorridere un Antony Blinken il quale dichiara, "Mission accomplished".
Il paese torna in mano al rigorismo islamico dei talebani, e si propone come luogo di ritrovo dell'internazionale jihadista con diramazioni sparse ovunque, dall'Africa al Medioriente, dal Pakistan alle Filippine.
Dopo la caduta dello Stato islamico dell'ISIS, il sogno califfale di Al Baghdadi, ecco risorgere dalle sue ceneri, come la fenice, l'Emirato islamico del Mullah Omar. Per continuare con i paragoni mitologici, si taglia una testa all'Idra e subito un'altra le ricresce. Non si vede all'orizzonte nessun Eracle coadiuvato da Iolao.
Negli Stati Uniti, il senatore repubblicano Rand Paul, fervido isolazionista si rallegra, ora si potranno risparmiare molti soldi e tagliare le tasse ai contribuenti. Forse, ma gli Stati Uniti non sono Laputa, l'isola in cielo immaginata dal genio di Jonathan Swift, sono un paese in terra profondamente odiato e avere un Emirato islamico in Afghanistan dopo avere dato il proprio apporto per sconfiggere (sconfiggere?) l'ISIS non appare come un risultato di cui andare fierissimi.
“Ah, ma gli americani non potevano stare lì in eterno“, si sente dire, no, non potevano, ma anche uscire di scena come l’armata Brancaleone poteva essere evitato, oltretutto offrendo alla Cina di fare dell’Afghanistan un nuovo luogo di penetrazione. Sì, mission accomplished.


TALEBANI
E così i talebani tornano al potere.

Giovanni Bernardini
16 agosto 2021

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 4258092447

Le donne torneranno al burka, dopo aver "conquistato" il semplice velo. Gli omosessuali saranno impiccati invece che incarcerati, le adultere lapidate invece che incarcerate o frustate. Che meraviglia! La religione della pace riacquista tutta la sua geometrica potenza fondamentalista, al di la delle ipocrisie e dei belati degli occidentali dialoganti.
Facile, ora, dire che l’intervento è stato un errore, che la democrazia non si può esportare. L’esportazione della democrazia in Afghanistan non rispondeva a logiche ideologiche. Semplicemente si sperava che imporre qualcosa di simile alla democrazia in paesi dominati dal fondamentalismo islamico aiutasse l’occidente a contenere questa piaga. Si è trattato di un errore? Si, molto probabilmente, ma l’alternativa ad un simile errore non erano certo le chiacchiere sul “dialogo”, il “confronto”, i “ponti non muri” con cui per oltre 20 anni si sono riempiti la bocca gli ipocriti dell’occidente. Era semmai, forse, una rigorosa politica di contenimento della mala pianta fondamentalista, ad iniziare dal controllo dei flussi migratori. L’esatto contrario delle ciance dei politicamente corretti di ogni risma.
Che ora ricominciano con le vane parole.
"Tacciano le armi, si prenda la via del confronto", invita Bergoglio.
"Che i talebani rispettino i diritti delle donne", gli fa eco il prode Di Maio.
Sciocchezze che neppure meritano l’onore di una replica.
Mentre gli italiani si godono la pausa del ferragosto l’Afghanistan precipita nel dramma.
Propongo ai teorici degli “inginocchiamenti”, ai sostenitori del DDL Zan e della “parità di genere”, a chi strilla “ponti non muri” di proseguire nell’Afghanistan “liberato” dai talebani la loro vacanza. In quel felice paese, lontano anni luce dagli orrori dell’occidente, saranno felici.


Scappano dal paradiso in terra mussulmano, ma com'è possibile?

Le immagini choc: cadono dall'aereo dopo il decollo da Kabul
Mauro Indelicato
16 agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/as ... 1629117749

In migliaia non si fidano degli annunci volti alla “clemenza” da parte dei Talebani. Quando la mattina del 15 agosto le prime avanguardie del movimento islamista hanno raggiunto Kabul, nella capitale afghana si è scatenato il panico. Molte persone hanno iniziato a temere per la propria sorte.

Si tratta soprattutto di collaboratori delle forze occidentali, tra traduttori, interpreti oppure semplici impiegati degli uffici della coalizione internazionale. Il timore per loro è che i Talebani possano avere dei conti in sospeso. Ma oltre ai collaboratori, ci sono altre fasce della popolazione preoccupate dall'avvento repentino degli studenti coranici.

A partire dalle donne, quelle che ad esempio negli ultimi anni hanno provato a farsi una propria posizione sociale ed economica indipendente da quella degli uomini. Una circostanza inconcepibile per i Talebani, i quali al contrario vorrebbero tornare ad applicare le regole più rigide della Sharia, la legge islamica.

Ci sono poi giornalisti, editori, attivisti e persone che, in generale, hanno provato a dare una sterzata sociale a Kabul in questo ultimo ventennio. Per tutti loro l'unica via di fuga è rappresentata dall'aeroporto. Prendere il primo aereo disponibile per fuggire ed evitare la possibile scure dei Talebani.

Il traffico attorno lo scalo di Kabul ieri mattina era bloccato. C'è chi ha proseguito a piedi per chilometri pur di raggiungere il perimetro della struttura. In serata è stato il caos. In migliaia hanno preso d'assalto le scalette degli aerei in partenza, altri si sono assiepati lungo le piste. Una situazione degenerata soprattutto dopo l'annuncio del blocco dei voli commerciali.

Dalla capitale afghana partono infatti soltanto aerei militari, gli stessi che stanno permettendo l'evacuazione del personale diplomatico dalle ambasciate occidentali lasciate di fretta e furia nell'ultimo fine settimana. Ma a terra ci sono decine di aerei civili che per gli afghani rappresentano l'ultima speranza per sentirsi al sicuro.

Il loro auspicio è che quanto prima possano essere riprogrammati i voli commerciali e quindi andare via. Da Istanbul sono stati attivati diversi ponti aerei visto che la Turchia ha in capo la gestione della sicurezza dell'aeroporto, ma anche in questo caso si tratta soprattutto di voli destinati all'evacuazione di impiegati e diplomatici stranieri. La disperazione ha portato a decine di persone ad aggrapparsi letteralmente agli aerei. Le immagini parlano chiaro: da ora sui social circolano video dove si notano cittadini afghani provare a inseguire velivoli militari Usa lungo la pista, alcuni con le ultime forze rimaste si appoggiano anche ai carrelli degli aerei, un gesto che ben può far comprendere lo stato d'animo di chi sta provando a scappare.

Si segnalano anche delle vittime. Almeno 5 secondo diverse fonti locali. Non si comprende se sono persone decedute a seguito della calca tra le piste oppure se si tratta di gente caduta dagli aerei appena decollati. In un video su Twitter si notano persone cadere da un velivolo militare che da poco aveva lasciato la pista dell'aeroporto di Kabul. Scene strazianti che vanno avanti da questa mattina.

I Talebani, una volta dentro Kabul, hanno assicurato che chi vuole lasciare il Paese può farlo tranquillamente. Ma gli afghani fuggiti in aeroporto temono si tratti di un bluff. Così come non si fidano degli annunci dei governi occidentali, i quali hanno parlato di ponti aerei attivati per i prossimi giorni e fino a quando lo scalo sarà in sicurezza.

Nell'attesa di capire quale sarà il loro destino, le migliaia di persone affluite fin dentro le piste di rullaggio sono in preda al panico. Si cerca un posto dentro un aereo a tutti i costi e per qualsiasi destinazione. Per loro l'importante è non sperimentare su sé stessi le reali intenzioni talebane.



Si aggrappano ai voli, alcuni cadono a morte da alta quota - la DISPERAZIONE in un video. Così l’aeroporto di Kabul, senza più voli
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 4852020265


L’ambasciatore afghano all’Onu: "I talebani hanno iniziato a perquisire casa per casa, puntano a esecuzioni mirate, la gente a Kabul è terrorizzata.
16 agosto 2021

https://www.facebook.com/groups/islamno ... 9904590892

È il racconto dell’ambasciatore afghano all’Onu Ghulam M. Isaczai alla sessione speciale del Consiglio di sicurezza, apertasi alle 16 italiane con la partecipazione del segretario generale Antonio Guterres che si è detto "particolarmente preoccupato per le notizie delle crescenti violazioni contro le donne e le ragazze afghane, che temono un ritorno ai giorni più bui".
Una ragazza di 24 anni che frequentava l'università ha inviato la sua testimonianza al Guardian : "Stamattina le mie sorelle e io abbiamo nascosto le nostre carte di identità, i diplomi e i certificati. È stato devastante. Perché dobbiamo nascondere cose di cui dovremmo essere fiere? Sembra di dover bruciare tutto quello che ho realizzato in 24 anni. I guidatori dei mezzi di trasporto pubblico non ci facevano salire per tornare a casa: non volevano prendersi la responsabilità di trasportare una donna. Intorno, gli uomini che gridano: Andate a mettervi il burqa, sono i vostri ultimi giorni in giro per le strade. Uno di questi sposerò quattro di voi. E ancora: "Mia sorella ha lasciato la sua scrivania piangendo: Sapevo che sarebbe stato il mio ultimo giorno di lavoro". Un racconto di terrore, simile a quello di una giovanissima giornalista afghana che pochi giorni fa sempre sul quotidiano britannico raccontava: Non sono al sicuro perché sono una donna di 22 anni, e so che i Talebani stanno costringendo le famiglie a consegnare le loro figlie e le loro madri per poi darle ai soldati". Anche una giornalista ha raccontato che i talebani "costringono le famiglie a consegnare le ragazze per i loro soldati". Jailani Rahgozar, a lungo cooperante con le ONG italiane per svariati progetti : "Torno a implorare l’aiuto delle autorità italiane, vi prego, tirateci fuori da questo inferno. I Talebani me la faranno pagare per l’aiuto fornito al vostro Paese. Devo portare la famiglia fuori dal paese. Se mi dovessero fermare per un controllo sarebbe la fine, non avrei scampo. Mi risultano uccisioni in vari distretti del Paese".
Intanto il giorno dopo la presa di Kabul da parte delle milizie talebane, si è aperta un’ulteriore fase di caos in Afghanistan. Nel corso della notte e fino alle prime ore del mattino, all’aeroporto internazionale “Hamid Karzai” della capitale si sono radunate migliaia di persone, nel tentativo di lasciare il Paese sui voli messi a disposizione dalle ambasciate occidentali per l’evacuazione dei propri concittadini. I militari Usa – che sostengono di avere sotto controllo lo scalo – hanno sparato colpi di avvertimento in aria per evitare che folle di cittadini disperati si precipitassero agli aerei. I video mostrano persone che si aggirano intorno ai jet e si arrampicano su per le scale dei “finger” (le porte d’imbarco). Almeno dieci persone sono morte: in base a quanto riferisce il portavoce del Pentagono John Kirby, in due sono stati uccisi dai colpi dei militari, altri tre sono stati schiacciati dalle ruote del C-17 dell’Air Force statunitense in fase di decollo. Altri video pubblicati sui social mostrano corpi precipitare dallo stesso aereo, appena decollato. L’aeroporto è ancora inagibile, tanto che l’esercito tedesco ha dovuto rinviare la propria missione di evacuazione: i due aerei A400M inviati da Berlino non riescono ad atterrare e sono momentaneamente bloccati a Baku, in Azerbaigian.


CATTIVA COSCIENZA
I talebani sono la cattiva coscienza dell’occidente “buono”.
Giovanni Bernardini
17 agosto 2021

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 2227798650

Da tempo immemorabile ci ripetono che l’Islam è una religione di pace, perfettamente compatibile con la democrazia, i diritti civili, addirittura con la “parità di genere”.
I talebani non sarebbero altro che un piccolo gruppo di fanatici estranei al “vero islam”, come Al Qaeda, l’ISIS, Boko Haram e tanti altri “gruppetti” di estremisti. Per papa Bergoglio questi terroristi non avrebbero nulla in comune con la religione, sarebbero dei delinquenti comuni. ISIS e talebani come mafia e camorra insomma…
Sagge parole. Però… però i talebani hanno vinto. È bastato che il saggio Biden ritirasse in fretta e furia le truppe dall’Afghanistan perché un piccolo gruppo di mafiosi estremisti conquistasse il paese. Davvero strano…
Il prode Biden ha dichiarato che gli americani non erano in Afghanistan per costruire la democrazia ma per battere il terrorismo.
Fantastico! C’è da chiedergli: lo avete battuto il terrorismo? Cosa sono i talebani che stanno per scatenare un’orgia di sangue? Degli angioletti pacifisti?
E come mai, se l’Islam è compatibile con la democrazia, in 20 anni non è stata possibile costruirla, questa democrazia? E i diritti delle donne, degli omosessuali? Il senato americano che ha discusso sui pronomi poco “inclusivi” non ha nulla da dire in proposito?
O la colpa è, come al solito, di Trump? È vero, Trump intendeva abbandonare l’Afghanistan, in questo Biden ha seguito le sue orme, ma una cosa è ritirarsi dopo aver trattato, altra cosa fuggire a gambe levate lasciando un sacco di gente nelle mani di orde di fanatici.
Scommettiamo che fra breve i media di regime cominceranno a dire che i talebani non sono in fondo tanto cattivi?


"È già iniziata la caccia ai cristiani"
Giulio Meotti
17 agosto 2021

https://meotti.substack.com/p/e-gia-ini ... -cristiani

“A Kabul ricordo benissimo gli altri bambini che per mettermi paura dicevano: 'Andiamo a chiamare i Talebani'. Oggi li rivedo distruggere la vita di persone che non hanno nulla, tagliare le gole davanti ai parenti: che razza di umanità è questa?”. Ali Ehsani è l’esule afghano che nel libro Stanotte guardiamo le stelle (pubblicato da Feltrinelli) ha raccontato l'orrore dei Talebani e la sua personale odissea. Ora Ehsani racconta dall’Italia dell’angoscia dei cristiani nascosti a Kabul dopo la nascita dell’Emirato Islamico: “Questa famiglia di Kabul con cui sono in contatto da due giorni ha perso il padre: uscito di casa non vi ha più fatto ritorno. Devono aver scoperto che era cristiano. La moglie e i cinque figli ora hanno ancora più paura, si spostano di zona in zona, vogliono lasciare il paese ma non hanno nessuno che li aiuti. A Kabul non ci sono chiese, così qualche settimana fa ho provato a collegare questa famiglia in videochiamata con una Messa qui in Italia. Erano felicissimi. Da quindici giorni, però, il clima era già cambiato, si sentivano in pericolo”.

Non si sa neppure di preciso quanti siano i cristiani in Afghanistan. Si parla di 12.000, la più grande minoranza religiosa del paese. “Una persona che lavora con le reti di chiese domestiche riferisce che i suoi leader hanno ricevuto lettere la scorsa notte dai Talebani avvertendoli che sanno dove sono e cosa stanno facendo”, ha appena denunciato Mindy Belz, redattrice di World News Group e autrice del libro They Say We Are Infidels, dedicato alla persecuzione.

Un cristiano da Kabul ha invece rilasciato una testimonianza-video: “Ogni fedele di origine musulmana come me che si è convertito al cristianesimo ne conosce le conseguenze. L'Islam è molto chiaro, il Corano è molto chiaro, gli Hadith sono molto chiaro per l'apostasia. I Talebani ci danno tre giorni e se non ti penti non c'è pietà”.

Il New York Times ci ha fornito una finestra sulla vita di questi cristiani. “In un umido seminterrato alla periferia di Kabul, Josef legge la sua logora Bibbia blu alla luce di una lanterna a propano. Conserva una croce di legno con scritto un passo del Discorso della Montagna e una cartellina di plastica con i documenti della sua conversione. Sono la ragione per cui si nasconde”.

Anche la Caritas italiana che lavora in Afghanistan ha appena dichiarato di temere per la sicurezza dei cristiani nel paese e che sospenderà le sue attività. “Anche i pochi sacerdoti e religiosi cattolici in Afghanistan non hanno altra scelta che andarsene”, racconta la Caritas al National Catholic Register. Esisteva un'unica chiesa cattolica ufficiale, proprio dentro all'ambasciata italiana a Kabul, e anche questa ora è chiusa. I Talebani hanno ucciso numerosi operatori cattolici nel paese, come quelli del Catholic Relief Services, o i dieci medici massacrati a Badakhshan.

Anche l'International Christian Concern (ICC), una organizzazione che monitora e denuncia la persecuzione, ha parlato con il leader di una chiesa clandestina afghana degli enormi pericoli che i cristiani stanno per affrontare. "Alcuni cristiani noti stanno già ricevendo telefonate minacciose", ha raccontato un leader cristiano all'ICC. "In queste telefonate, persone sconosciute dicono: 'Stiamo venendo a prenderti’. I talebani ci uccideranno come fa la mafia, senza rivendicarlo”.

“Uccideranno alcuni dei cristiani che sono più conosciuti e in questo modo vogliono diffondere la paura per cui non tollereranno nulla in contrario", ha detto alla CBN il religioso. “I Talebani porteranno via i bambini dalle famiglie cristiane. Le ragazze cristiane le faranno sposare con i Talebani. I ragazzi cristiani devono essere rieducati nelle madrasse".

Anche prima dell’avvento dei Talebani, l’Afghanistan era il secondo paese più pericoloso al mondo dove essere cristiani. “Troppe conversioni al cristianesimo, gli apostati devono essere giustiziati”, ha detto un parlamentare afghano, Abdul Pedram. Nel 2006 proprio l’Italia offrì asilo a uno di questi condannati a morte. Dopo che la presenza occidentale si è liquefatta come neve al solo di Ferragosto per loro c’è soltanto una scelta: fuggire, scomparire o morire.

E se la sorte delle donne afghane diventa virale giusto il tempo di un lancio sui social, per questi cristiani neanche quello. Invisibili in Afghanistan, invisibili all’Occidente.


Perché l'esercito afghano è collassato così rapidamente
Il Post
16 agosto 2021

https://www.ilpost.it/2021/08/16/eserci ... an-arreso/

La riconquista dell’Afghanistan da parte dei talebani, benché ampiamente attesa, è stata sorprendente per la sua rapidità. L’offensiva dei talebani era cominciata a maggio, dopo la conferma da parte del presidente Joe Biden del ritiro dei soldati americani, già precedentemente negoziato e deciso dall’amministrazione di Donald Trump. Le operazioni dei talebani hanno però preso velocità solo di recente: le capitali provinciali del paese sono cadute una dopo l’altra e domenica i talebani sono entrati a Kabul, senza incontrare grande resistenza.

La ragione principale di questa conquista così rapida è stata il collasso dell’esercito e delle forze di polizia afghane. Benché l’impreparazione e l’inefficienza dell’esercito fosse nota da tempo, la maggior parte degli esperti militari occidentali aveva comunque previsto che le forze armate avrebbero opposto un qualche tipo di resistenza all’avanzata dei talebani. Come ha scritto il New York Times, a giugno l’intelligence americana aveva stimato che ci sarebbe voluto ancora un anno e mezzo di guerra prima che Kabul fosse minacciata. È bastato poco più di un mese.

Le cause di questo crollo improvviso sono in parte strutturali: a vent’anni dall’invasione americana, né il governo afghano né gli Stati Uniti sono riusciti a trasformare l’esercito in una forza pronta al combattimento. Il ruolo principale l’ha avuto però il ritiro americano, che ha fatto precipitare tutti i problemi che già esistevano e ne ha creati di nuovi mostrando come, senza il supporto militare e logistico degli Stati Uniti, l’esercito afghano non fosse in grado di tenere testa alla forza tutto sommato modesta dei talebani.

Sulla carta, l’esercito afghano era una forza militare solida, che avrebbe avuto la capacità di difendere se stessa e il paese, come dissero Biden e i funzionari americani annunciando il ritiro. Contava 350.000 soldati (molti di più delle forze dei talebani, stimate tra i 50.000 e i 100.000 uomini), e almeno in teoria aveva a sua disposizione un’aviazione abbastanza consistente, droni sia per l’attacco sia per la ricognizione, mezzi pesanti e armi sofisticate fornite dagli Stati Uniti. Inoltre, ancora una volta almeno in teoria, poteva contare su quasi vent’anni di addestramento da parte non soltanto degli Stati Uniti, ma anche di numerosi altri eserciti occidentali che avevano partecipato alla missione della NATO in Afghanistan, compresa l’Italia.

Secondo una stima diffusa dai giornali americani, dal 2001 a oggi gli Stati Uniti hanno speso 82 miliardi di dollari nell’addestramento e nell’equipaggiamento dell’esercito afghano. Il problema, ha scritto il New York Times, è che «non è chiaro dove tutti quei soldi siano finiti».

I 350 mila soldati dell’esercito afghano erano probabilmente molti meno – forse meno della metà, secondo alcune stime. I numeri erano in parte gonfiati dal governo nazionale, e in parte dai comandanti locali dell’esercito, che in questo modo potevano intascare i salari dei soldati che avevano abbandonato o disertato. L’esercito afghano, benché equipaggiato dagli americani, era anche male armato, soprattutto nelle zone più periferiche, dove nei giorni dell’avanzata dei talebani scarseggiavano sia le armi sia le munizioni.

Più in generale, le condizioni di vita dei soldati erano spesso misere. Come hanno raccontato diversi media americani, i fucili con cui erano equipaggiati valevano diversi mesi del salario della maggior parte dei soldati. Negli ultimi mesi in alcune zone del paese il governo aveva sospeso i pagamenti e aveva smesso di inviare non soltanto le munizioni, ma perfino razioni di cibo sufficienti al sostentamento.

Buona parte di questi problemi è da imputare all’inefficienza del governo, ma soprattutto alla corruzione, che riguardava tutti i ranghi dello stato afghano ma era grave soprattutto nell’esercito. Come hanno detto alcuni militari locali al Washington Post, il collasso dell’esercito afghano è da imputare più alla corruzione del governo e dei comandanti che all’incompetenza dei soldati.

Negli ultimi mesi, inoltre, la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi completamente dall’Afghanistan aveva lasciato l’esercito locale demoralizzato e convinto che, senza l’aiuto e il supporto americani, la vittoria dei talebani fosse inevitabile. Il primo passo era stato l’accordo di Doha, la capitale del Qatar dove l’anno scorso una rappresentanza dei talebani e l’amministrazione Trump, escludendo il governo afghano, avevano concordato i tempi e i modi del ritiro americano, praticamente senza condizioni.

Il morale dei soldati si era ulteriormente aggravato quando il presidente Joe Biden, ad aprile, aveva confermato che il ritiro americano sarebbe avvenuto entro settembre. Agli occhi di molti militari e funzionari locali, la decisione prima di Trump e poi di Biden non significava soltanto che l’America stava abbandonando l’Afghanistan, ma anche che stava abbandonando il governo afghano, ritirando di fatto il suo sostegno politico.

A quel punto, molti soldati hanno cominciato a chiedersi se valesse ancora la pena combattere, e in pochi hanno continuato a essere disposti a rischiare la vita per il governo afghano, corrotto, incapace di formulare una strategia di resistenza e di riunire i vari gruppi etnici e tribali attorno a un’unica causa nazionale.

Trovatisi ad affrontare un esercito male equipaggiato, demoralizzato, impoverito e spesso affamato i talebani sono stati abili nell’approfittare della situazione. A partire dall’anno scorso, ha scritto il Washington Post, hanno cominciato a fare accordi con le forze governative, offrendo soldi e amnistia in cambio della resa e della consegna delle armi. Questi accordi sono stati fatti prima nelle zone rurali e più remote, e poi si sono estesi al livello delle capitali provinciali, spesso mediati dai capi tribali locali.

Alcuni comandanti hanno accettato le offerte dei talebani per soldi, ma altri l’hanno fatto perché convinti che, dopo il ritiro americano, la vittoria dei talebani fosse inevitabile. «Il giorno della firma [dell’accordo di Doha] abbiamo visto un cambiamento», ha detto un ufficiale dell’esercito al Washington Post. «Tutti hanno cominciato a pensare a se stessi. È stato come se [gli Stati Uniti] ci avessero condannati al fallimento».

Quando i talebani, grazie a questi accordi, hanno cominciato a conquistare ampie zone rurali dell’Afghanistan incontrando poca o nessuna resistenza, la loro avanzata è apparsa sempre più inarrestabile, anche quando non lo era. Perfino in basi militari o in città in cui la difesa delle forze governative avrebbe potuto essere consistente, spesso i soldati afghani hanno deciso di non combattere, perché convinti che la sconfitta fosse certa.

Abbas Tawakoli, un brigadiere generale che era di stanza nella città di Kunduz prima della sua caduta, ha detto al New York Times: «Nessuna regione [dell’Afghanistan] è caduta a causa della guerra, ma a causa della guerra psicologica».

Questo non significa che tutti i soldati afghani si siano arresi senza combattere. In alcune zone, come per esempio a Lashkar Gah e Kunduz, i combattimenti sono stati relativamente intensi, spesso grazie alla resistenza di gruppi appartenenti alle forze speciali, di gran lunga il corpo meglio preparato e più combattivo di tutto l’esercito, i cui membri nelle scorse settimane sono stati inviati a rafforzare le difese di numerose città, spesso però in numeri insufficienti per fare la differenza. Più in generale, bisogna ricordare che l’esercito afghano, benché corrotto e inefficiente, è stato quello che ha sopportato più perdite in questi vent’anni di guerra: oltre 60 mila persone.

Gli scarsi tentativi di resistenza di questi mesi sono stati resi più complicati da alcune scelte strategiche dell’esercito americano, come ha scritto il Wall Street Journal. Al momento di formare l’esercito afghano, infatti, i comandanti militari americani decisero di strutturarlo a immagine dell’esercito statunitense, che fa grande affidamento sull’aviazione per quasi tutte le operazioni: i rifornimenti delle basi, l’attacco degli obiettivi, il trasporto dei feriti, le operazioni di intelligence.

Grazie alla loro supremazia aerea, e con l’obiettivo di mantenere il controllo su tutto il territorio del paese, gli Stati Uniti avevano creato oltre 200 basi e avamposti sparsi anche in zone remote, che potevano essere rifornite e sostenute esclusivamente via aria. Per questa ragione, in Afghanistan gli Stati Uniti avevano oltre 15 mila contractor che si occupavano della logistica aerea e di far funzionare i complessi sistemi d’arma che gli Stati Uniti avevano fornito all’Afghanistan. Con il ritiro delle truppe, però, anche i contractor hanno lasciato il paese e il governo afghano non è stato in grado di rimpiazzarli, di fatto tagliando fuori dai rifornimenti le basi più remote, che sono diventate un facile obiettivo per i talebani.

«Li abbiamo condannati al fallimento», ha detto il generale americano in pensione David Petraeus, che comandò le forze internazionali in Afghanistan tra il 2010 e il 2011 ed è stato anche direttore della CIA. Il ritiro delle migliaia di contractor che consentivano all’aviazione afghana di volare ha privato l’esercito del supporto aereo, e il risultato è stato che le forze a terra «combattevano per qualche giorno, ma poi capivano che non sarebbero arrivati rinforzi (…). L’impatto psicologico è stato devastante».


CIÒ CHE SI AFFIEVOLISCE, CIÒ CHE PERMANE SALDO
Niram Ferretti
17 agosto 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Hamas si congratula con i talebani per "la sconfitta dell'occupazione americana su tutte le terre afgane e si congratula con il movimento talebano e la sua coraggiosa leadership per questa vittoria che rappresenta il culmine della sua lunga lotta lungo gli ultimi vent'anni".
Inevitabile congiuntura tra chi persegue un'unica visione, quella del jihad e della piena sottomissione all'Islam. Che gli americani non siano stati sconfitti sul terreno dai talebani non ha nessuna importanza. Ciò che importa è vedere gli americani (occupanti, intrusi) andarsene dall'Afghanistan e cedere il posto ai talebani.
Il sogno di Hamas è di potere ottenere lo stesso risultato nei confronti di Israele, percepito come Stato occupante sacro suolo musulmano, posizione massimamente sostenuta dall'Iran.
L'alleanza dell'Islam più militante, travalica la millenaria querelle tra sciiti sunniti, si raggruma in un unico odio che accantona le divergenze dottrinali e vede negli Stati Uniti e in Israele le due fisionomie del nemico principale.
Il ritorno dei talebani in Afghanistan ha, in questo senso, un rilevante significato simbolico, concede a questa alleanza di percepirsi forte e salda e di convincersi che, alla fine, il tempo giochi a suo vantaggio. E, nel caso dell'Afghanistan, così è stato.
Per quanto siano la più grande potenza militare del pianeta, gli Stati Uniti vengono oggi visti dalla componente più massimalista dell'Islam come un gigante debole e maldestro, refrattario al massimo a impiegare sul terreno i propri uomini, non più animati dalla convinzione di avere una missione di tutela nei confronti dei valori occidentali.
Questo ruolo sembra essersi esaurito, ma non si è esaurita affatto l'opposizione tenace e resistente che la costellazione jihadista, di cui Hamas è uno dei membri, pone all'occidente.



Afghanistan, la giornalista in lacrime imbarazza la Nato: "Che fine ha fatto la vostra grande intelligence? Ci state condannando"
Ivan Rota
17 agosto 2021

https://www.liberoquotidiano.it/video/e ... nnato.html

Nonostante le promesse dei talebani, la vita delle donne in Afghanistan rischia seriamente di tornare a essere un incubo. Il tema è stato posto alla conferenza della Nato dalla giornalista afghana Sadid Lailuma, che ha inchiodato il segretario generale Jens Stoltenberg alle sue responsabilità. “Com’è possibile che sia accaduto tutto questo?”, ha domandato la corrispondente di Brussels Morning, che non è riuscita a trattenere la commozione durante il suo intervento.

“Non pensa che la decisione presa da lei e dalla Nato sia sbagliata? - ha incalzato Lailuma - come reagisce a questo e quanto tempo ci vorrà per implementare e pianificare una politica estera praticabile? Perché guardando questa situazione come donna afgana, come normale cittadina afgana, si vede che è davvero dura e che ci sono migliaia di donne che non sanno cosa succederà in futuro. Com’è possibile che torneremo indietro di 20 anni? Con tutta la grande intelligence di Stati Uniti e Unione Europea non è stato possibile difendere l’Afghanistan da un gruppo di talebani?”.

Insomma, un atto di accusa molto duro, che non è finito qui: “Come donna vorrei chiedere, per favore, di non riconoscere l’Emirato talebano islamico senza alcuna condizione, come nell’accordo firmato tra i talebani e l’amministrazione di Donald Trump da cui è seguito tutto questo. La prego - ha concluso in lacrime la giornalista - non riconosca i talebani rimettendoci nella stessa situazione di prima”.


Il ritorno dei talebani e il potere del simbolico
18 agosto 2021

http://www.linformale.eu/il-ritorno-dei ... simbolico/

Difficile, se non impossibile, non considerare l’uscita di scena americana dall’Afghanistan come un’enorme diminuzione del prestigio degli Stati Uniti e, simbolicamente, una sconfitta. L’esercito americano non è stato certo battuto sul terreno, e il risultato da ottenere, disarticolare l’allora compatta Al Qaida e costringere i talebani alla fuga, ottenuto velocemente vent’anni fa oggi è passato in secondo piano. Appare invece in tutta la sua evidenza il fallimento politico e morale.

L’obbiettivo politico, quello di ristrutturare democraticamente il paese è fallito, oggi l’Afghanistan torna nelle braccia dell’estremismo islamico. A ciò si assomma l’onta morale di abbandonare frettolosamente e cinicamente coloro che hanno collaborato e creduto in questi vent’anni alla possibilità se non di un cambiamento vero, di un miglioramento.

Ma la sconfitta assume anche un’altra fisionomia, quella di regalare all’Islam più agguerritamente militante un trofeo da mostrare, facendolo gonfiare di orgoglio e di retorica anti-occidentale. Hamas e l’Iran si congratulano per il ritorno dei talebani, e insieme a loro non possono non dirsi contenti tutti i musulmani per i quali il jihad è l’unica strada da perseguire, la volontà ultima di Allah, incarnata nella sura 9 la quale incita al combattimento e alla sottomissione degli infedeli, considerata da uno dei massimi esegeti del Corano, al-Bukhari, come l’ultima a essere stata rivelata.

Nessuno che sia dotato di un minimo senso della realtà può pensare che il volto “moderato” del lupo talebano che al momento si presenta ai media (“Non perseguiteremo”, “Le donne non verranno discriminate”, ecc) non sia altro che una maschera sottile pronta ad essere levata appena la presa sul potere si consoliderà in modo fermo.

Kabul, con il rinnovato Emirato islamico, diventa nuovamente punto di riferimento per i nemici occidentali, feticcio ideologico e, al contempo, luogo concreto e (ancora) simbolico di una riscossa, se non di un ricominciamento. E’ la portata di questo aspetto che deve essere compresa per valutare adeguatamente quale rilevanza essa assume nel presente.

Il ricominciamento è il ritorno dell’uguale, è il tempo mitico che per l’Islam è parte essenziale della propria percezione di sè. Sconfitto è infatti il tempo lineare della storia degli infedeli, con la loro idea di portare il “progresso” là dove esso era già presente nella forma dell’Eterno inverato in virtù dell’applicazione rigorista del dettato Coranico.

Nella prospettiva teologica musulmana la storia è pura contingenza, duraturo è solo ciò che è sempre stato fin dall’origine, la volontà di Allah che il Corano manifesta. I talebani nuovamente al potere riportano il tempo indietro come se questi vent’anni di presenza occidentale non ci fossero mai stati.

Il messaggio arriva chiaro a tutti coloro che possono e vogliono comprenderlo: la forza degli invasori è solo un’illusione, potrà durare anni, forse anche secoli, ma cosa è mai un secolo rispetto al tempo sacro, alla sua ciclicità?

La più grande potenza militare e tecnologica del pianeta non può nulla contro ciò che è stabilito dall’origine. Trasversale, il messaggio arriva anche ad Israele che l’Islam considera corpo estraneo in Medioriente. Ridurre il ritorno dei talebani in Afghanistan a una pura questione provinciale, a un episodio a sè, significa non avere compreso lo spessore della sua forza persuasiva, della sua simbolicità.

Ora che l’11 settembre si avvicina (altro simbolo), data epocale e fatidica, in cui il terrore che veniva dall’Afganistan riuscì a colpire gli Stati Uniti, il paese origine e teatro operativo di Al Qaida è di nuovo potenziale laboratorio per rinnovate iniziative jihadiste.

L’Afghanistan insegna all’Islam miltante che bisogna sapere solo attendere.



L'offerta di pace dei talebani: "Amnistia e nessuna vendetta. Donne al governo con la sharia"
Cronache del primo giorno del Talebanistan, l'Afghanistan nelle mani dei mullah integralisti.
Andrea Cuomo
18 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 69670.html

Mano tesa. I nuovi padroni del Paese garantiscono di non volere irritare i loro nemici che del resto hanno fatto loro la grande cortesia di fuggire a gambe levate. Il portavoce dei ribelli, Zabihullah Mujahid, nella prima conferenza stampa che tutto il mondo ascolta con il fiato sospeso è chiaro: «Non vogliamo avere nessun problema con la comunità internazionale».

Il programma dei «non». Poi nella conferenza, partita con un moto di «orgoglio per l'intera nazione. Dopo 20 anni di lotta abbiamo liberato il paese ed espulso gli stranieri», Mujahid sparge rassicurazioni a piene mani. Amnistia in tutto il Paese. Nessuna vendetta. Nessuna minaccia alle ambasciate straniere. Nessuna aggressione fuori dai confini. Nessun ostacolo ai media purché non contraddicano i valori islamici e gli interessi nazionali. Stop alla coltivazione del papavero da oppio e al traffico di stupefacenti. La questione femminile preoccupa il mondo e i talebani ci vanno piano: «Siamo impegnati a rispettare i diritti delle donne sotto il sistema della Sharia. Abbiamo il diritto di agire secondo i nostri principi religiosi». Quindi, «permetteremo alle donne di lavorare e studiare, ma entro la nostra struttura». In mattinata Enamullah Samangani, rappresentante della «commissione cultura» dei Talebani, aveva aperto alla presenza di donne nell'esecutivo, ma sempre «in base alla sharia». I talebani sembrano perfino disposti a un po' di autoanalisi, nella quale non sono mai apparsi fortissimi: «Per quanto riguarda l'esperienza, la maturità e la visione, vi è naturalmente una grande differenza fra noi ora e venti anni fa. C'è una differenza nelle azioni che intraprenderemo. È stato un processo evolutivo». Tra pochi giorni i talebani annunceranno la formazione del nuovo governo, al quale stanno lavorando. Si tratterà a loro dire di un governo inclusivo, nel quale «siano rappresentate tutte le parti» e che «porrà fine alla guerra», come promette Mujahid. Dopo la nascita dell'esecutivo «decideremo quali leggi presentare alla nazione».

Amrullah incita alla resistenza. Fuggito il presidente Ashraf Ghani, il suo vice Amrullah Saleh si è dichiarato «presidente ad interim legittimo in base alla Costituzione afgana» e in quanto tale ha lanciato un appello alla «resistenza», riservando anche una stoccata agli Stati Uniti: «A differenza di loro e della Nato, non abbiamo perso lo spirito e vediamo enormi opportunità davanti a noi».

La comunità internazionale. È naturalmente scettica. L'Occidente, l'Onu in testa, invoca la formazione di un governo inclusivo. Il premier britannico Boris Johnson insiste sull'opportunità di organizzare quanto prima un G7 sull'Afghanistan. Jens Stoltenberg, segretario generale dell'Onu, parla di «crollo imprevedibile, rapido e improvviso» e parla di «lotta al terrorismo». Ma non tutti sembrano preoccupati. A Mosca il ministro degli Esteri Sergej Lavrov sembra apprezzare la nuova disponibilità a dialogare dei talebani, così come il suo omologo ad Ankara Mevlut Cavusoglu: «Spero che vedremo lo stesso approccio nelle loro azioni».

Kabul sotto shock. Poche le voci che arrivano dalla capitale afghana. Tra queste quella di Alberto Zanin, responsabile dell'ospedale di Emergency che racconta di una città «poco trafficata, si vedono molte meno persone in giro, anche per l'avamposto di talebani armati che fermano per i controlli ma al momento non risultano persone ferite». Zanin racconta che nella precedente notte si sono sentite «numerose raffiche di kalashnikov, le persone sono preoccupate».


L'appello disperato da Kabul: "Aiutatemi. Devo lasciare il Paese. I talebani fingono, non sono mai cambiati"
"Ho aiutato le bimbe afghane. Ora vogliono uccidermi"

Fausto Biloslavo e Matteo Carnieletto
18 Agosto 2021

https://www.msn.com/it-it/notizie/video ... vi-AANqBON

«Sono vicini, a due passi da dove mi nascondo e stanno cercando casa per casa. Ho paura, ma vi mando una foto» è il coraggioso messaggio di un'eroina afghana, che sta scappando dall'Emirato talebano. L'immagine mostra un gruppo di armati che si prepara a rastrellare la zona. Non possiamo fare il suo nome e ancora meno rivelare dove si trova, ma pubblichiamo le sue parole, che rappresentano il grido di dolore di tutte le donne afghane che non vogliono tornare al Medioevo islamico. In attesa di evacuazione spera di riuscire a mettersi in salvo, ma scappare dall'Afghanistan è un'impresa, nonostante il ponte aereo che si sta rimettendo lentamente in moto dall'aeroporto di Kabul.

I talebani hanno annunciato che vogliono le donne nel governo e che potranno continuare a studiare indossando il velo e non il burqa. Ci crede?

«Hanno appena ucciso una donna a Kandahar perché era da sola e sono gli stessi che continuano ad appoggiare Al Qaida. Se rispettano le donne, perché entrano nelle case con una lista nera di attiviste che si battono per i diritti femminili? Sono bravi ad avere imparato come presentarsi in pubblico con la faccia buona, ma ne hanno due o tre diverse».

Come sta?

«Sono depressa, senza speranza e confusa. Non so cosa mi accadrà tra poche ore. Devo nascondermi perché sanno che sono ancora in Afghanistan. Controllano se risulto connessa su whatsapp. Non posso spegnerlo altrimenti rimango tagliata fuori dal mondo e da chi mi vuole aiutare».

Perché la cercano?

«Sono impegnata in un'associazione che si batte per i diritti delle donne e per proteggerle da ogni forma di violenza. Avevo già iniziato con il primo regime talebano a difendere le ragazzine cercando di istruirle perché allora l'insegnamento era bandito. A Herat sono stata in stretto contatto con gli italiani e anche con le vostre soldatesse. Abbiamo sviluppato tanti programmi a favore delle afghane».

Gli italiani si impegnavano in questo campo?

«La questione femminile era in cima alla lista degli interventi. Ora tutto questo scomparirà. Fin dall'inizio non credevamo negli accordi di pace di Dna (con gli insorti, nda). Abbiamo visto cosa è accaduto, ma tanti non accettano la legittimazione dei talebani».

Ha paura del nuovo Emirato?

«I talebani sono diventati più forti. Abbandonare l'Afghanistan è stato un crimine. Quelli che hanno collaborato con le truppe occidentali rischiano la testa. Si vive nell'incertezza, senza sapere cosa ti capiterà tra un'ora».

Secondo lei come si è arrivati a questo punto?

«Capisco che i paesi europei non potevano opporsi alla volontà americana o assumersi il peso di questa guerra sulle loro spalle. Ora, però, la mia vita è in pericolo, come quella dello staff che lavorava per l'associazione, e migliaia di ragazze saranno vittime di violenze. Non abbiamo più alcun posto sicuro dove vivere».

I talebani la vogliono arrestare?

«Hanno perquisito casa mia cercandomi come fossi una criminale. Per sei ore hanno preso in ostaggio un parente per scoprire dove mi trovassi. Dicono che i talebani sono cambiati, ma non è vero».

Si sente tradita dall'Occidente?

«La mia famiglia mi chiede: dove sono i tuoi amici? Qualcuno è venuto a salvarti?».

Non è in lista per l'evacuazione?

«Tutti dicono di sì, ma non so ancora nulla di preciso. Nessuno mi ha più contattato. Per fortuna sono scappata per evitare di venire arrestata».

Vuole lanciare un appello?

«Aiutatemi a mettermi in salvo. Vorrei venire in Italia non per chiedere asilo, ma per continuare a lavorare per le donne che rimangono in Afghanistan. Il mio obiettivo è battermi per la difesa dei diritti umani. Continuerò a farlo se avrò un visto per uscire dall'Afghanistan. Non voglio soldi, solo protezione, aiuto per lasciare il paese. I talebani possono arrivare da un momento all'altro alla mia porta. Se verrò uccisa sarà una grande vergogna per tutti».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:39 pm

???
I TALEBANI sono una creatura della NATO, cercate di ricordarvelo.

Franco Giuseppe Gobbato
18 agosto 2021

https://www.facebook.com/devis.danzo/po ... 7819319529

Giusto per capirci un po’ qualcosa. Riporto un punto di vista, nelle considerazioni finali, che ripercorre la storia dell’Afganistan degli ultimi 40 anni.... illuminante ...
Chi sono i Talebani?
Per prima cosa i Talebani sono dei Pashtun, un gruppo etnico molto antico e resiliente che già dai tempi di Alessandro Magno aveva reso quelle regioni impossibili da conquistare. Gli inglesi stessi furono fermati dai Pashtun nella prima metà del 1800.
Oggi i Pashtun sono circa 60 milioni, divisi principalmente tra Afganistan (15 milioni), dove rappresentano circa il 50% della popolazione, ed il Pakistan (45 milioni), dove sono il 20%, ma occupano essenzialmente tutto il nord del paese confinante con l’Afganistan.
Nel 1979 i Sovietici invadono l’Afganistan. La Nato (cioè noi) reagisce, e non avendo le palle per contrastare direttamente i sovietici, inizia a finanziare pesantemente i Pashtun in Pakistan. I famosi Mujaheddin (significa combattente in Arabo) sono inizialmente dei Pashtun finanziati attraverso il Pakistan per combattere i Sovietici con soldi ed armi occidentali.
Ma questo non basta. Gli americani si rivolgono quindi ai Sauditi, amici per il petrolio, e pronti come al solito a vendersi l’anima per soldi.
I Sauditi sono già abbastanza fondamentalisti di natura e per storia - e si prestano quindi volentieri ad istituire delle scuole fondamentaliste islamiche in Arabia Saudita, proprio per formare ed addestrare i Pashtun a diventare dei super guerrieri da mandare in Afganistan per contrastare i sovietici.
Infatti, in lingua araba, tālib significa “studente”.
I talebani non sono altro che gli “studenti” Pashtun, armati ed addestrati a combattere, con annesso lavaggio fondamentalista del cervello, il tutto finanziato dai soldi americani e NATO. Osama Bin Laden era appunto uno dei Sauditi che ha organizzato il tutto.
Andiamo avanti.
I sovietici si ritirano, i Pashtun ritornano a farsi i cazzi loro come hanno fatto per la maggior parte dei secoli. Ma Osama, oltre ad essere mentalmente instabile grazie alla "sana" corte saudita dove è cresciuto, è ancora incazzato con gli americani che lo hanno abbandonato in Afghanistan al ritiro dei sovietici. Decide così di fondare Al'Qaeda. Per finanziarla si rivolge ai suoi nuovi amici Pashtun che gli coltivano la droga e la smerciarno attraverso il Pakistan. Si arriva quindi all’11 Settembre, con Bush figlio, e all’invasione dell’Afganistan questa volta direttamente da parte americana e NATO.
I talebani vengono “sconfitti”, ma i Pashtun ovviamente restano, e continuano a gestire il tutto indirettamente tra Pakistan e Afghanistan come fanno da secoli. È anche ovvio che nonstante gli forzi occidentali, è impossibile creare una democrazia ed un’identità nazionale afgana indipendente dai Pashtun, i quali restano principalmente in Pakistan (sempre colpa dei confini artificiali creati dagli occidentali)
Oggi gli Americani e le forze NATO sono appena partiti, ed in pochi giorni i Pashtun riconquistano il paese.
Sottolineo… I PASHTUN riconquistano il paese, che è ed è sempre stato loro.
Vedo molti amici che sono incazzati con i Talebani. Ma chi è un Talebano?
Dietro ad un Talebano c’è un semplice e povero Pashtun, aizzato a combattere con i nostri soldi, contro i nostri nemici, i russi, che hanno invaso l’Afghanistan per contrastare l’occidente. Siamo noi occidentali che abbiamo combattuto una guerra contro i Russi, su suolo afgano, fregandocene altamente degli afgani. Il falso ideologico è che noi siamo andati in soccorso degli Afgani per difenderli dai russi.
Dopo anni di guerra, i morti occidentali dovuti al “terrorismo” afgano sono un semplice morso di zanzara in confronto alle centinaia di migliaia di morti causati dai nostri eserciti in Afganistan. Oggi, come 20 anni fa, sono di nuovo incazzati con noi, ed è solamente colpa nostra. L’unica speranza è lasciarli in pace e trovare il modo di fare una pace gradualmente.
La cosa più sbagliata è farsi strumentalizzare ancora dall’apparato bellico, ed indurre i politici a finanziare un'altra guerra assassina, utile solo alle tasche dei produttori di armi.
(Riccardo Yayha)



Alberto Pento
Un articolo pieno di imprecisioni e di falsità storiche per dare addosso all'occidente euro americano:

1) l'occidente non ha combattuto i russi ma l'URSS o Unione Sovietica e il suo imperialismo internazi comunista che aveva invaso l'Afganistan a sostegno della fazione comunista afgana ;
2) l'occidente ha difeso la maggioranza non comunista degli afgani dal regime comunista rafforzato dall'invasione dell'Unione Sovietica aiutandola a liberarsi dal dominio mostruoso del comunismo afgano e sovietico;
3) Osama ben Laden da alleato dell'occidente ne è divenuto nemico e dalla base afgana ha compiuto la strage o sterminio dell'11 settembre e giustamente gli USA e i suoi alleati europei hanno attaccato l'Afganistan che dava rifugio a questo criminale;
4) a quell'epoca la religione islamica non appariva come mostruosa e pericolosa ed è stata ingenuamente adoperata per rafforzare gli afgani nella loro determinazione bellica contro il sovietismo imperiale comunista, certamente non potevano adoperare il cristianismo;
5) 20 anni fa gli USA e la NATO non sono andati in Afganistan per esportare la democrazia ma per combattere il terrorismo di Osama ben laden e di Al Qaida e poi vi sono rimasti per combattere quello dei Talebani che ha soppiantato il primo.
6) gli eserciti occidentali non hanno causato centinaia di migliaia di morti tra la popolazione civile afgana ma sono stati i talebani a compiere criminali stragi di civili e le guerre tra le varie fazioni afgane;
7) i confini dell'Afganistan sono il portato della storia e non di definizioni a tavolino da parte delle potenze occidentali;
...




https://www.sapere.it/enciclopedia/Afghanistan.html
Ed è proprio la guerra intestina tra le diverse fazioni musulmane, che ha continuato a sconvolgere il Paese, a rendere difficile delineare un quadro demografico certo. Si calcola che siano fuggiti dall'Afghanistan oltre 6 milioni di profughi con centinaia di migliaia di vittime causate da circa vent'anni di guerra prima contro i sovietici, poi interna tra le diverse etnie-gruppi religiosi. Nel periodo 2002-2005 sono rientrati in patria circa 2,7 milioni di persone.

L'Afghanistan, indipendente dal 1747 (quando fu eletto re il generale Aḥmad), cercò di attuare verso l'India una politica di espansione, frenata, verso la fine del secolo, da aspre lotte dinastiche, complicate da interventi inglesi e russi. Furono questi ultimi a scatenare l'invasione persiana che ebbe come immediata conseguenza l'intervento inglese (prima guerra anglo-afghana, 1838-42).
https://www.sapere.it/enciclopedia/Afghanistan.html
A un periodo di neutralismo dell'Afghanistan seguirono un trattato di rispetto territoriale anglo-afghano (1854) e un secondo intervento inglese in favore dell'Afghanistan contro la Persia, mentre nuove tensioni tra Russia e Inghilterra provocarono la seconda guerra anglo-afghana (1878-79), conclusa con un trattato (1880) che sanciva la preminenza inglese. Neutrale nella prima guerra mondiale, l'Afghanistan ritentò, nel 1919, l'invasione di territori indiani, scatenando la terza guerra anglo-afghana, conclusa (Trattato di Rawalpindi, 1919) con il riconoscimento dell'indipendenza afghana. L'Afghanistan avviava allora un'autonoma politica estera (accordi con URSS, Turchia e Iran), mentre accoglieva una più accentuata penetrazione sovietica. Nel 1931 fu emanata la prima Costituzione e nel 1933 il re Muḥammad Ẓāhīr stipulò l'Intesa orientale (con Iran, Iraq e Turchia), primo nucleo del moderno panislamismo. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale al vecchio antagonismo anglo-russo si sostituiva quello statunitense-sovietico (l'Afghanistan fungeva ancora da cuscinetto). Ammesso all'ONU nel 1946, l'Afghanistan incominciava a ricevere aiuti economici dagli USA e militari-economici dall'URSS, conservando però un rigoroso neutralismo. La questione dei confini si riaccendeva con la formazione del Pakistan che inglobava il Pashtunistan abitato da genti affini agli Afghani; ciò dava pretesto a rivendicazioni territoriali dell'Afghanistan (1953), sfociate nel 1961 in incidenti armati. Nel 1963 la situazione migliorava e le questioni di confine pendenti venivano regolate anche con l'URSS e la Cina. Nel 1964 era approvata una Costituzione più aperta a esigenze liberali. Pur essendo essenzialmente musulmano, l'Afghanistan si avvicinava all'India, anche per reazione alle mai sopite questioni di confine con il Pakistan. Nel luglio 1973 il re Muḥammad Ẓāhīr veniva deposto da un colpo di stato di nobili progressisti capeggiati da Muḥammad Dā'ud, cugino dello stesso re: era proclamata la Repubblica e, nel 1977, varata una nuova Costituzione. La rapida involuzione moderata del nuovo regime politico conduceva però nell'aprile 1978 a un nuovo colpo di stato, che portava al potere il Partito Democratico del Popolo Afghano (PDPA), di ispirazione marxista, capeggiato da Muḥammad Taraki Nur, leader della fazione Khalq, il quale rafforzava i legami dell'Afghanistan con l'URSS. Nel settembre 1979 Taraki veniva ucciso e sostituito alla direzione politica del Paese da Hafizullah Amin, ex uomo forte del precedente governo. Incapace di controllare la situazione, Amin veniva ucciso nel dicembre 1979 in seguito a un intervento militare sovietico che consentiva la presa del potere da parte di Babrak Karmal, fondatore della fazione comunista Parcham. La presenza delle truppe straniere faceva presto crescere l'opposizione al regime, sfociata in attività di guerriglia condotte da gruppi islamici ispirantisi all'esperienza della rivoluzione iraniana: sfruttando la conoscenza degli impervi territori montani, i mujaeddin tenevano costantemente in scacco l'Armata Rossa e l'esercito regolare afghano arroccati nei centri urbani di pianura. Solo dopo le dimissioni di Karmal, sostituito nel settembre 1987 dal generale Najibullah, sembrava avviarsi il processo di pacificazione nazionale, favorito dal nuovo corso della politica estera sovietica: tra il 1986 e il 1987, contemporaneamente ad accenni di disimpegno da parte dell'URSS, il governo proponeva iniziative di dialogo, culminate durante l'anno seguente in negoziati e intese tra le parti, siglati a livello internazionale. All'inizio del 1989 veniva completato il ritiro dell'Armata Rossa, ma al disimpegno sovietico non si accompagnavano credibili iniziative internazionali in grado di favorire una soluzione politica del conflitto. A peggiorare il quadro si aggiungeva la particolarità di una resistenza armata fortemente frazionata in cui operavano almeno una quindicina di gruppi divisi tra di loro anche sul piano religioso (otto fazioni facevano riferimento al rito musulmano sciita e sette a quello sunnita) e nella quale si trovavano a convivere un'anima moderata e una fondamentalista: la prima si esprimeva nella figura di Sibghatullah Mjaddidi, leader dei moderati, mentre la seconda era rappresentata da Rasul Sayaf. Il 15 aprile 1992 Najibullah era costretto a dimettersi e dopo un tentativo fallito di espatriare dovette rifugiarsi in un ufficio dell'ONU; i mujaeddin davano quindi vita, nello stesso anno, a un governo di transizione che doveva fronteggiare lotte intestine e problemi connessi al rientro di oltre cinque milioni di profughi. I contrasti si sviluppavano in particolar modo tra le formazioni moderate e la componente più fondamentalista Hezb i Islami guidata da Gulbuddin Hekmatyar. A Kābul, comunque, il potere veniva assunto da un Consiglio supremo di 10 membri che provvedeva a eleggere un capo provvisorio dello Stato nella persona del moderato Burhannudin Rabbani, e un primo ministro in quella di Abdul Sabul Fareed del partito fondamentalista Hezb i Islami. Ma proprio il capo di questa fazione, Gulbuddin Hekmatyar, si mostrava il più insofferente verso tale soluzione e Kābul diveniva nuovamente un teatro di guerra tra fazioni. In questa complessa situazione si affacciavano sulla scena politica nazionale (1994) i Taliban, un nuovo movimento di etnia pashtō e di ispirazione islamica radicale, nato nelle scuole coraniche al confine con il Pakistan. Studenti di teologia coranica, i Taliban, influenzati probabilmente dal Pakistan, scendevano in campo agitando la bandiera della legge coranica (shari‘ah) come strumento di pacificazione, ma di fatto divenivano un terzo polo della guerra civile in grado di mettere in seria difficoltà le altre fazioni in lotta. Inizialmente formazione di studenti-guerriglieri con una forte caratterizzazione fondamentalista, in seguito, sotto la guida di Moḥammad Omar, un ex mujaeddin deluso dalle lotte di fazione ai vertici del Paese, oltre agli studenti il movimento iniziò ad arruolare ex soldati dell'esercito afghano e mujaeddin che avevano disertato dopo la vittoria su Mosca. Grazie a una serie di successi militari, che costringevano lo stesso Hekmatyar a stringere un nuovo accordo con Rabbani, i Taliban riuscivano a conquistare la capitale Kābul condannando subito a morte l'ex presidente Najibullah e alcuni collaboratori, imponendo una rigida applicazione della legge coranica, in particolare nei confronti delle donne. Il nuovo consiglio provvisorio, che risultava composto da sei mullāh, venne immediatamente riconosciuto dal governo del Pakistan, mentre il presidente deposto Rabbani, insieme al comandante dell'esercito e al primo ministro Hekmatyar, dopo aver lasciato Kābul, fuggiva verso il Nord del Paese. Questo però non metteva fine alla guerra civile afghana, alimentata non solo da divisioni religiose, ma soprattutto dall'opposizione delle etnie non pashto, maggioritarie nel Nord del Paese: usbechi, azeri e tagichi. Nel maggio 1997, i Taliban sferravano un'ampia offensiva su più fronti ed entravano vittoriosi a Mazār-e Sharīf (la capitale nel Nord del Paese) da dove venivano poi ricacciati dagli sciiti filoiraniani dello Hezb i Wahat e dalle milizie uzbeke. Questa sconfitta, la più dura in tre anni di inesorabile avanzata, non riusciva a frenare la marcia dei Taliban che, dopo aver proclamato nel 1997 l'Emirato islamico, conquistavano di nuovo la principale roccaforte dell'opposizione, Mazār-e Sharīf (1998). Malgrado queste vittorie e il sostegno del Pakistan (interessato non solo a incoraggiare il fondamentalismo musulmano, ma anche ad assicurarsi un corridoio verso l'Asia centrale, per importare gas dal Turkmenistan, e un retroterra strategico nei confronti dell'India), i Taliban si trovavano isolati sul piano internazionale a causa dei loro collegamenti con il terrorismo islamico, in particolare con l'esule saudita Osama Bin Laden, rifugiatosi in Afghanistan nel 1996 e accusato dagli Stati Uniti di essere il mandante degli attentati contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania (1998). Sottoposto a forte pressione diplomatico-militare sia dagli USA sia dall'Iran (sostenitore degli sciiti), l'Afghanistan riusciva comunque a evitare un impari confronto bellico con entrambi i Paesi. All'interno però il regime – riconosciuto soltanto da Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – doveva continuare ad affrontare la resistenza armata del Nord, guidata dal generale Ahmed Shah Massoud (islamico moderato ed ex ministro della Difesa, assassinato il 9 settembre 2001) e sostenuta dall'Iran, dall'India e dalla Russia, che ripetutamente accusava l'Afghanistan di appoggiare il terrorismo e le ribellioni delle vicine aree dell'ex Unione Sovietica, soprattutto in Cecenia, Uzbekistan e Tagikistan. Nessun passo in avanti verso la pacificazione si otteneva nel marzo del 1999, giacché l'accordo, allora stipulato con l'opposizione per formare un governo di unità nazionale e un esercito comune, si rivelava ben presto fragile. La conseguente ripresa della guerra civile gettava la popolazione in una situazione tanto drammatica da screditare la stessa leadership dei Taliban presso l'etnia pashtō, stanca di un conflitto che in venti anni era costato un milione di vittime e recalcitrante ad arruolarsi nell'armata taliban, ormai in buona parte sostenuta da volontari reclutati nelle scuole religiose pakistane. Ulteriormente isolato nel mondo in seguito all'entrata in vigore delle sanzioni dell'ONU, il regime afghano si rendeva nel 2001 responsabile di altri gravi provvedimenti e atti barbarici, tesi a schiacciare i segmenti non islamici della società, come l'obbligo di portare segni distintivi per i non musulmani e la distruzione delle antiche statue di Buddha della valle di Bamiyan. Alla fine di settembre dello stesso anno, il regime dei Taliban, ancora una volta postosi come difensore indulgente di Osama Bin Laden e della sua organizzazione terroristica Al-Qāiʽda, i cui campi di addestramento erano situati in territorio afghano, trascinava il Paese nel più completo isolamento internazionale e lo conduceva verso un conflitto di maggiore entità rispetto alla guerra civile in cui versava da anni. Provata la responsabilità di Bin Laden come mandante degli attentati terroristici dell'11 settembre contro il World Trade Center di New York e il Pentagono, a Washington, il governo Taliban negava l'estradizione del terrorista saudita agli Stati Uniti, inducendo questi e i suoi alleati, appoggiati sia dal mondo occidentale sia da Paesi arabi come l'Egitto e l'Arabia Saudita, a sferrare i primi attacchi contro gli obiettivi militari taliban e i campi d'addestramento dei terroristi il 7 ottobre 2001. Abbandonati anche dal loro più fedele alleato, il Pakistan, e rafforzata l'opposizione del Nord da contingenti militari occidentali, i Taliban si trovavano a contrastare gli attacchi su più fronti e, all'inizio di dicembre, fiaccati dalle molte perdite e scalzati dalla loro ultima roccaforte, la città di Kandahār, erano costretti alla resa. Nel frattempo, a Petersberg, cittadina tedesca nei pressi di Bonn, si riuniva, sotto l'egida dell'ONU, un vertice fra i rappresentanti dei quattro maggiori gruppi etnici e politici afghani, al termine del quale veniva siglato un accordo sulla formazione di un nuovo governo, alla cui guida veniva posto il leader pashtō Hamid Karzai (vicino all'ex re Ẓāhīr), che si insediava il 22 dicembre. Il governo, del quale facevano parte anche due donne, aveva il compito di accompagnare il Paese fino alle elezioni. Nel gennaio 2002 si insediava in Afghanistan una forza multinazionale di pace (ISAF), composta quasi per metà da soldati britannici, a cui contribuiva anche un contingente di 350 militari italiani. Nel giugno dello stesso anno si riuniva il Consigli degli anziani (Jirga), la grande assemblea tribale convocata nei momenti più delicati della storia del Paese, al termine della quale Karzai veniva eletto capo dello Stato. Nell'aprile del 2003 Karzai istituiva una commisione incaricata di redigere una nuova Costituzione, che veniva approvata dalla Jirga nel gennaio 2004. Nel gennaio 2004 veniva varata una nuova Costituzione secondo la quale l'Afghanistan è una Repubblica islamica di tipo presidenziale, ma senza nessun riferimento alla . Tuttavia i progressi in campo istituzionale non risolvevano i conflitti per il controllo del territorio che contrapponevano le forze fedeli al governo, i “signori della guerra” locali e la resistenza talebana. Nel settembre 2005 si svolgevano le elezioni legislative, in un clima di forti tensioni per la paura di attentati. Il governo era in grado di esercitare la sua autorità solo nella capitale e nei dintorni di essa, mentre le varie province continuavano ad essere controllate dai tradizionali “signori della guerra”. Gli attacchi aerei contro le basi dei Taliban provocavano spesso stragi di civili e contribuiivano ad aumentare l'ostilità verso le truppe della NATO (2007). Nel settembre 2008 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU prorogava di un anno il mandato della ISAF. Nell'agosto del 2009 si svolgevano le elezioni presidenziali che vedevano il presidente uscente H. Karzai nettamente in testa. In ottobre, però, la commisione elettorale afghana, accertati brogli e irregolarità nei voti, decideva di tornare alle urne per il ballottaggio tra Karzai e l'ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah, che però decideva di ritirarsi. Karzai veniva così eletto presidente dalla Commissione elettorale indipendente. Nel 2013 dopo anni di trattative con USA e NATO, i Taliban aprivano un ufficio di rappresentanza a Doha, in Qatar, per favorire i colloqui di pace, ma le posizioni delle frange più radicali portavano a uno stallo diplomatico. Nel settembre del 2014 vinceva le elezioni presidenziali Ashraf Ghani Ahmadzai. Con la conclusione della missione dell'ISAF a guida USA, nel 2015 le forze armate afghane assumevano il controllo delle operazioni militari nel Paese. Il ritiro dell'ISAF ha permesso ai Taliban di riguadagnare terreno, al punto che attualmente circa un terzo del territorio nazionale è tornato sotto il loro controllo. Nel febbraio 2020 il presidente Ghani è stato riconfermato per un secondo mandato. Nel 2021, dopo che gli USA e la NATO decidono il ritiro delle truppe occidentali dal Paese, i Taliban danno inizio alla riconquista del Paese, ultimata il 15 agosto 2021 con la presa del palazzo presidenziale di Kabul e la proclamazione di un nuovo Emirato Islamico dell'Afghanistan (dopo quello del 1997).



Le Repubbliche, il 1º Governo Talebano, le invasioni ed il ventennio di peacekeeping (1973-2021)

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Mohammed Daud Khan diede vita alla prima Repubblica afghana, ma il suo Governo non durò molto. Infatti il Partito Democratico Popolare dell'Afghanistan (PDPA), d'ispirazione marxista-leninista, rovesciò il Governo di Mohammed Daud Khan il 27 aprile 1978 con un colpo di Stato (la cosiddetta Rivoluzione di Saur) e diede vita alla Repubblica Democratica dell'Afghanistan governata dal leader del partito, Nur Mohammad Taraki. Nei mesi successivi al colpo di Stato, il governo avviò una serie di riforme: fece distribuire le terre a 20.000 contadini, abrogò l'ushur (ovvero la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti) e bandì l'usura, regolò i prezzi dei beni primari, statalizzò i servizi sociali garantendoli a tutti, diede il riconoscimento al diritto di voto alle donne, legalizzò i sindacati, vietò i matrimoni forzati e lo scambio di bambine a scopo economico, sostituì leggi tradizionali e religiose con altre laiche, mise al bando i tribunali tribali e rese pubblica a tutti l'istruzione, anche alle bambine che in precedenza non potevano andare a scuola. Queste riforme si scontrarono fortemente con le autorità religiose locali e tribali che si opposero alle politiche di Taraki.

Nel mese di settembre 1979 Taraki venne assassinato, su ordine del suo Vice Primo Ministro Hafizullah Amin, il quale lo sostituì alla guida del Paese. L'URSS non si fidò di Amin, sospettato di legami con la CIA, e decise di invadere il Paese, anche a seguito di un aumento delle rivolte e del conseguente rischio di destabilizzazione della zona. L'Armata rossa entrò a Kabul il 27 dicembre 1979 e mise al potere Babrak Karmal. La guerra con i Mujaheddin, finanziati anche dagli Stati Uniti, fu lunga e cruenta e terminò con l'abbandono del Paese da parte dei Sovietici nel febbraio 1989.
Soldati statunitensi nel distretto di Daychopan durante un'operazione alla ricerca di guerriglieri talebani e munizioni. 4 settembre 2003.

Lo Stato islamico dell'Afghanistan fu proclamato il 17 aprile 1992. Il fronte dei Mujaheddin si dimostrò comunque molto frammentato e disunito e ciò consentì, dal 1996 al 2001, la presa del potere da parte della fazione dei talebani, salvo che in alcuni territori settentrionali controllati dall'Alleanza del Nord dei restanti mujahidin anti-talebani, guidati dal comandante Ahmad Shah Massoud. I Talebani proclamarono l'Emirato islamico dell'Afghanistan e applicarono al Paese una versione estrema della shari'a e ogni deviazione dalla loro legge venne punita con estrema ferocia. Emblematica fu la cattura dell'ultimo Presidente della Repubblica Democratica afghana Mohammad Najibullah; venne catturato presso gli uffici dell'ONU di Kabul, dove si era rifugiato, e venne torturato, mutilato e trascinato con una jeep prima di essere giustiziato con un colpo alla testa ed esposto nei pressi del palazzo dell'ONU[10]. Altro episodio che ha fatto clamore è stata la distruzione dei Buddha di Bamiyan nel 2001.

Dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001 gli Stati Uniti decidono di invadere l'Afghanistan, dando il via all'operazione Enduring Freedom che si poneva come obiettivo la fine del regime dei talebani e la distruzione dei campi di addestramento e della rete di al-Qāʿida, il gruppo terroristico guidato da Osama bin Laden. Vista la sproporzione di forze il regime integralista viene rovesciato in poco più di un mese, nel novembre del 2001.

Al potere si insedia Hamid Karzai, che rimane Capo di Stato dell'Afghanistan sino al settembre del 2014. Nel Paese rimase tuttavia ancora una considerevole presenza di contingenti NATO a causa dell'instabilità politica e degli attentati terroristici di Talebani e insorti, radicati ancora nel sud-est del Paese al confine con il Pakistan. Dopo quasi 20 anni dall'inizio della missione statunitense, nel gennaio 2020, il Presidente degli USA Donald Trump annuncia il ritiro di tutte le truppe statunitensi dall'Afghanistan, attuata poi sotto l'amministrazione Biden, insieme a tutti i contingenti NATO. Tale provvedimento causò una larga riconquista di porzioni di territorio da parte delle milizie talebane, per via della debolezza del governo, completamente dipendente dai contingenti internazionali.[11]


L'Afghanistan, indipendente dal 1747 (quando fu eletto re il generale Aḥmad), cercò di attuare verso l'India una politica di espansione, frenata, verso la fine del secolo, da aspre lotte dinastiche, complicate da interventi inglesi e russi. Furono questi ultimi a scatenare l'invasione persiana che ebbe come immediata conseguenza l'intervento inglese (prima guerra anglo-afghana, 1838-42).
https://www.sapere.it/enciclopedia/Afghanistan.html
A un periodo di neutralismo dell'Afghanistan seguirono un trattato di rispetto territoriale anglo-afghano (1854) e un secondo intervento inglese in favore dell'Afghanistan contro la Persia, mentre nuove tensioni tra Russia e Inghilterra provocarono la seconda guerra anglo-afghana (1878-79), conclusa con un trattato (1880) che sanciva la preminenza inglese. Neutrale nella prima guerra mondiale, l'Afghanistan ritentò, nel 1919, l'invasione di territori indiani, scatenando la terza guerra anglo-afghana, conclusa (Trattato di Rawalpindi, 1919) con il riconoscimento dell'indipendenza afghana. L'Afghanistan avviava allora un'autonoma politica estera (accordi con URSS, Turchia e Iran), mentre accoglieva una più accentuata penetrazione sovietica. Nel 1931 fu emanata la prima Costituzione e nel 1933 il re Muḥammad Ẓāhīr stipulò l'Intesa orientale (con Iran, Iraq e Turchia), primo nucleo del moderno panislamismo. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale al vecchio antagonismo anglo-russo si sostituiva quello statunitense-sovietico (l'Afghanistan fungeva ancora da cuscinetto). Ammesso all'ONU nel 1946, l'Afghanistan incominciava a ricevere aiuti economici dagli USA e militari-economici dall'URSS, conservando però un rigoroso neutralismo. La questione dei confini si riaccendeva con la formazione del Pakistan che inglobava il Pashtunistan abitato da genti affini agli Afghani; ciò dava pretesto a rivendicazioni territoriali dell'Afghanistan (1953), sfociate nel 1961 in incidenti armati. Nel 1963 la situazione migliorava e le questioni di confine pendenti venivano regolate anche con l'URSS e la Cina. Nel 1964 era approvata una Costituzione più aperta a esigenze liberali. Pur essendo essenzialmente musulmano, l'Afghanistan si avvicinava all'India, anche per reazione alle mai sopite questioni di confine con il Pakistan. Nel luglio 1973 il re Muḥammad Ẓāhīr veniva deposto da un colpo di stato di nobili progressisti capeggiati da Muḥammad Dā'ud, cugino dello stesso re: era proclamata la Repubblica e, nel 1977, varata una nuova Costituzione. La rapida involuzione moderata del nuovo regime politico conduceva però nell'aprile 1978 a un nuovo colpo di stato, che portava al potere il Partito Democratico del Popolo Afghano (PDPA), di ispirazione marxista, capeggiato da Muḥammad Taraki Nur, leader della fazione Khalq, il quale rafforzava i legami dell'Afghanistan con l'URSS. Nel settembre 1979 Taraki veniva ucciso e sostituito alla direzione politica del Paese da Hafizullah Amin, ex uomo forte del precedente governo. Incapace di controllare la situazione, Amin veniva ucciso nel dicembre 1979 in seguito a un intervento militare sovietico che consentiva la presa del potere da parte di Babrak Karmal, fondatore della fazione comunista Parcham. La presenza delle truppe straniere faceva presto crescere l'opposizione al regime, sfociata in attività di guerriglia condotte da gruppi islamici ispirantisi all'esperienza della rivoluzione iraniana: sfruttando la conoscenza degli impervi territori montani, i mujaeddin tenevano costantemente in scacco l'Armata Rossa e l'esercito regolare afghano arroccati nei centri urbani di pianura. Solo dopo le dimissioni di Karmal, sostituito nel settembre 1987 dal generale Najibullah, sembrava avviarsi il processo di pacificazione nazionale, favorito dal nuovo corso della politica estera sovietica: tra il 1986 e il 1987, contemporaneamente ad accenni di disimpegno da parte dell'URSS, il governo proponeva iniziative di dialogo, culminate durante l'anno seguente in negoziati e intese tra le parti, siglati a livello internazionale. All'inizio del 1989 veniva completato il ritiro dell'Armata Rossa, ma al disimpegno sovietico non si accompagnavano credibili iniziative internazionali in grado di favorire una soluzione politica del conflitto. A peggiorare il quadro si aggiungeva la particolarità di una resistenza armata fortemente frazionata in cui operavano almeno una quindicina di gruppi divisi tra di loro anche sul piano religioso (otto fazioni facevano riferimento al rito musulmano sciita e sette a quello sunnita) e nella quale si trovavano a convivere un'anima moderata e una fondamentalista: la prima si esprimeva nella figura di Sibghatullah Mjaddidi, leader dei moderati, mentre la seconda era rappresentata da Rasul Sayaf. Il 15 aprile 1992 Najibullah era costretto a dimettersi e dopo un tentativo fallito di espatriare dovette rifugiarsi in un ufficio dell'ONU; i mujaeddin davano quindi vita, nello stesso anno, a un governo di transizione che doveva fronteggiare lotte intestine e problemi connessi al rientro di oltre cinque milioni di profughi. I contrasti si sviluppavano in particolar modo tra le formazioni moderate e la componente più fondamentalista Hezb i Islami guidata da Gulbuddin Hekmatyar. A Kābul, comunque, il potere veniva assunto da un Consiglio supremo di 10 membri che provvedeva a eleggere un capo provvisorio dello Stato nella persona del moderato Burhannudin Rabbani, e un primo ministro in quella di Abdul Sabul Fareed del partito fondamentalista Hezb i Islami. Ma proprio il capo di questa fazione, Gulbuddin Hekmatyar, si mostrava il più insofferente verso tale soluzione e Kābul diveniva nuovamente un teatro di guerra tra fazioni. In questa complessa situazione si affacciavano sulla scena politica nazionale (1994) i Taliban, un nuovo movimento di etnia pashtō e di ispirazione islamica radicale, nato nelle scuole coraniche al confine con il Pakistan. Studenti di teologia coranica, i Taliban, influenzati probabilmente dal Pakistan, scendevano in campo agitando la bandiera della legge coranica (shari‘ah) come strumento di pacificazione, ma di fatto divenivano un terzo polo della guerra civile in grado di mettere in seria difficoltà le altre fazioni in lotta. Inizialmente formazione di studenti-guerriglieri con una forte caratterizzazione fondamentalista, in seguito, sotto la guida di Moḥammad Omar, un ex mujaeddin deluso dalle lotte di fazione ai vertici del Paese, oltre agli studenti il movimento iniziò ad arruolare ex soldati dell'esercito afghano e mujaeddin che avevano disertato dopo la vittoria su Mosca. Grazie a una serie di successi militari, che costringevano lo stesso Hekmatyar a stringere un nuovo accordo con Rabbani, i Taliban riuscivano a conquistare la capitale Kābul condannando subito a morte l'ex presidente Najibullah e alcuni collaboratori, imponendo una rigida applicazione della legge coranica, in particolare nei confronti delle donne. Il nuovo consiglio provvisorio, che risultava composto da sei mullāh, venne immediatamente riconosciuto dal governo del Pakistan, mentre il presidente deposto Rabbani, insieme al comandante dell'esercito e al primo ministro Hekmatyar, dopo aver lasciato Kābul, fuggiva verso il Nord del Paese. Questo però non metteva fine alla guerra civile afghana, alimentata non solo da divisioni religiose, ma soprattutto dall'opposizione delle etnie non pashto, maggioritarie nel Nord del Paese: usbechi, azeri e tagichi. Nel maggio 1997, i Taliban sferravano un'ampia offensiva su più fronti ed entravano vittoriosi a Mazār-e Sharīf (la capitale nel Nord del Paese) da dove venivano poi ricacciati dagli sciiti filoiraniani dello Hezb i Wahat e dalle milizie uzbeke. Questa sconfitta, la più dura in tre anni di inesorabile avanzata, non riusciva a frenare la marcia dei Taliban che, dopo aver proclamato nel 1997 l'Emirato islamico, conquistavano di nuovo la principale roccaforte dell'opposizione, Mazār-e Sharīf (1998). Malgrado queste vittorie e il sostegno del Pakistan (interessato non solo a incoraggiare il fondamentalismo musulmano, ma anche ad assicurarsi un corridoio verso l'Asia centrale, per importare gas dal Turkmenistan, e un retroterra strategico nei confronti dell'India), i Taliban si trovavano isolati sul piano internazionale a causa dei loro collegamenti con il terrorismo islamico, in particolare con l'esule saudita Osama Bin Laden, rifugiatosi in Afghanistan nel 1996 e accusato dagli Stati Uniti di essere il mandante degli attentati contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania (1998). Sottoposto a forte pressione diplomatico-militare sia dagli USA sia dall'Iran (sostenitore degli sciiti), l'Afghanistan riusciva comunque a evitare un impari confronto bellico con entrambi i Paesi. All'interno però il regime – riconosciuto soltanto da Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – doveva continuare ad affrontare la resistenza armata del Nord, guidata dal generale Ahmed Shah Massoud (islamico moderato ed ex ministro della Difesa, assassinato il 9 settembre 2001) e sostenuta dall'Iran, dall'India e dalla Russia, che ripetutamente accusava l'Afghanistan di appoggiare il terrorismo e le ribellioni delle vicine aree dell'ex Unione Sovietica, soprattutto in Cecenia, Uzbekistan e Tagikistan. Nessun passo in avanti verso la pacificazione si otteneva nel marzo del 1999, giacché l'accordo, allora stipulato con l'opposizione per formare un governo di unità nazionale e un esercito comune, si rivelava ben presto fragile. La conseguente ripresa della guerra civile gettava la popolazione in una situazione tanto drammatica da screditare la stessa leadership dei Taliban presso l'etnia pashtō, stanca di un conflitto che in venti anni era costato un milione di vittime e recalcitrante ad arruolarsi nell'armata taliban, ormai in buona parte sostenuta da volontari reclutati nelle scuole religiose pakistane. Ulteriormente isolato nel mondo in seguito all'entrata in vigore delle sanzioni dell'ONU, il regime afghano si rendeva nel 2001 responsabile di altri gravi provvedimenti e atti barbarici, tesi a schiacciare i segmenti non islamici della società, come l'obbligo di portare segni distintivi per i non musulmani e la distruzione delle antiche statue di Buddha della valle di Bamiyan. Alla fine di settembre dello stesso anno, il regime dei Taliban, ancora una volta postosi come difensore indulgente di Osama Bin Laden e della sua organizzazione terroristica Al-Qāiʽda, i cui campi di addestramento erano situati in territorio afghano, trascinava il Paese nel più completo isolamento internazionale e lo conduceva verso un conflitto di maggiore entità rispetto alla guerra civile in cui versava da anni. Provata la responsabilità di Bin Laden come mandante degli attentati terroristici dell'11 settembre contro il World Trade Center di New York e il Pentagono, a Washington, il governo Taliban negava l'estradizione del terrorista saudita agli Stati Uniti, inducendo questi e i suoi alleati, appoggiati sia dal mondo occidentale sia da Paesi arabi come l'Egitto e l'Arabia Saudita, a sferrare i primi attacchi contro gli obiettivi militari taliban e i campi d'addestramento dei terroristi il 7 ottobre 2001. Abbandonati anche dal loro più fedele alleato, il Pakistan, e rafforzata l'opposizione del Nord da contingenti militari occidentali, i Taliban si trovavano a contrastare gli attacchi su più fronti e, all'inizio di dicembre, fiaccati dalle molte perdite e scalzati dalla loro ultima roccaforte, la città di Kandahār, erano costretti alla resa. Nel frattempo, a Petersberg, cittadina tedesca nei pressi di Bonn, si riuniva, sotto l'egida dell'ONU, un vertice fra i rappresentanti dei quattro maggiori gruppi etnici e politici afghani, al termine del quale veniva siglato un accordo sulla formazione di un nuovo governo, alla cui guida veniva posto il leader pashtō Hamid Karzai (vicino all'ex re Ẓāhīr), che si insediava il 22 dicembre. Il governo, del quale facevano parte anche due donne, aveva il compito di accompagnare il Paese fino alle elezioni. Nel gennaio 2002 si insediava in Afghanistan una forza multinazionale di pace (ISAF), composta quasi per metà da soldati britannici, a cui contribuiva anche un contingente di 350 militari italiani. Nel giugno dello stesso anno si riuniva il Consigli degli anziani (Jirga), la grande assemblea tribale convocata nei momenti più delicati della storia del Paese, al termine della quale Karzai veniva eletto capo dello Stato. Nell'aprile del 2003 Karzai istituiva una commisione incaricata di redigere una nuova Costituzione, che veniva approvata dalla Jirga nel gennaio 2004. Nel gennaio 2004 veniva varata una nuova Costituzione secondo la quale l'Afghanistan è una Repubblica islamica di tipo presidenziale, ma senza nessun riferimento alla . Tuttavia i progressi in campo istituzionale non risolvevano i conflitti per il controllo del territorio che contrapponevano le forze fedeli al governo, i “signori della guerra” locali e la resistenza talebana. Nel settembre 2005 si svolgevano le elezioni legislative, in un clima di forti tensioni per la paura di attentati. Il governo era in grado di esercitare la sua autorità solo nella capitale e nei dintorni di essa, mentre le varie province continuavano ad essere controllate dai tradizionali “signori della guerra”. Gli attacchi aerei contro le basi dei Taliban provocavano spesso stragi di civili e contribuiivano ad aumentare l'ostilità verso le truppe della NATO (2007). Nel settembre 2008 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU prorogava di un anno il mandato della ISAF. Nell'agosto del 2009 si svolgevano le elezioni presidenziali che vedevano il presidente uscente H. Karzai nettamente in testa. In ottobre, però, la commisione elettorale afghana, accertati brogli e irregolarità nei voti, decideva di tornare alle urne per il ballottaggio tra Karzai e l'ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah, che però decideva di ritirarsi. Karzai veniva così eletto presidente dalla Commissione elettorale indipendente. Nel 2013 dopo anni di trattative con USA e NATO, i Taliban aprivano un ufficio di rappresentanza a Doha, in Qatar, per favorire i colloqui di pace, ma le posizioni delle frange più radicali portavano a uno stallo diplomatico. Nel settembre del 2014 vinceva le elezioni presidenziali Ashraf Ghani Ahmadzai. Con la conclusione della missione dell'ISAF a guida USA, nel 2015 le forze armate afghane assumevano il controllo delle operazioni militari nel Paese. Il ritiro dell'ISAF ha permesso ai Taliban di riguadagnare terreno, al punto che attualmente circa un terzo del territorio nazionale è tornato sotto il loro controllo. Nel febbraio 2020 il presidente Ghani è stato riconfermato per un secondo mandato. Nel 2021, dopo che gli USA e la NATO decidono il ritiro delle truppe occidentali dal Paese, i Taliban danno inizio alla riconquista del Paese, ultimata il 15 agosto 2021 con la presa del palazzo presidenziale di Kabul e la proclamazione di un nuovo Emirato Islamico dell'Afghanistan (dopo quello del 1997).



"Così i soldati afghani hanno scelto di non combattere"
Tra i soldati italiani che sono stati in Afghanistan prevale in questi giorni lo sconforto per l'arrivo dei talebani a Kabul, ma anche la speranza di non vedere vanificare i propri sacrifici
Mauro Indelicato
18 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/pa ... 1629307034

“No, il sacrificio non è mai vano”. È una delle frasi che più volte ha ripetuto in questi ultimi giorni Rocco Pacella, veterano dell'Afghanistan e presidente dell'associazione Good Guys in Bad Lands. Secondo il militare, l'avvento dei Talebani a Kabul non ha vanificato quanto fatto in 20 anni anche dagli italiani.

La sensazione che le 54 vittime del nostro contingente in Afghanistan costituiscano un sacrificio inutile ha attanagliato, ancora di più, le menti soprattutto dei parenti di chi nel Paese ha lasciato la pelle. Il ritorno al potere degli islamisti ha cancellato quello Stato sorto con l'arrivo dei militari internazionali.

I talebani hanno preso Kabul: "Presto l'Emirato dell'Afghanistan"

Non tutto però può considerarsi vano e perduto. A spiegarlo è lo stesso Pacella in una delle sue ultime interviste. “L’impegno italiano – si legge nelle sue dichiarazioni – è stato preziosissimo nella regione occidentale, ne è valsa la pena”. Il perché è presto detto. Secondo il veterano, il lavoro svolto dalla coalizione internazionale ha fatto crescere un'intera generazione a stretto contatto con i valori occidentali.

Tra i militari reduci dall'Afghanistan è con questa convinzione che si prova a cancellare l'amarezza degli ultimi giorni. Per chi lì è stato ferito o ha visto propri commilitoni morire, l'avanzata talebana ha rappresentato fonte di profondo sconforto. Nessuno però vuole credere che due decenni spesi tra Herat e Kabul siano stati realmente cancellati.

I talebani, comunque vada, dovranno confrontarsi con una società che ha conosciuto altre alternative e altri modi di vivere. Per i soldati reduci questo è molto più di una semplice consolazione.

L'amarezza però è destinata a rimanere. Soprattutto perché i militari italiani hanno visto sciogliersi anche quell'esercito da loro addestrato. Le truppe afghane non hanno combattuto, non hanno posto molta resistenza, hanno deposto le armi e le munizioni lasciando terreno libero ai talebani.

Per Pacella però anche in questo caso, oltre alla naturale delusione, occorre andare oltre nell'analisi. “Sono stati per primi i soldati a non combattere – ha dichiarato dopo l'arrivo degli islamisti a Kabul – perché non si sentono appartenenti alla nazione Afghanistan come la intendiamo noi”. Vale a dire che lo Stato retto grazie al nostro intervento non era, secondo diversi reduci, quello che volevano gli afghani. Nessuno quindi si è voluto immolare al fronte per una causa non sentita come propria.

Adesso il pensiero dei militari è rivolto a chi con loro ha collaborato. Non solo i soldati addestrati, ma anche i traduttori, i mediatori, le guide locali. Tutta gente che ha prestato servizio per gli italiani e che ora teme ritorsioni da parte dei rientranti Talebani. Pacella, così come molti reduci, sono impegnati nel chiedere immediata evacuazione per loro e una degna sistemazione nel nostro Paese.

Caro presidente, adesso salviamo i nostri interpreti

Gli ultimi giorni per i soldati italiani che in Afghanistan hanno percorso tratti importanti della propria vita sono stati difficili. Assistere all'avanzata nel Paese dei Talebani è stato come vedere correre il nemico a casa propria. Quel Paese però loro adesso lo conoscono bene e sanno che nulla sarà come prima di questi ultimi 20 anni. Tanto basta per pensare che, per davvero, nulla è stato vano.




Il qaedista, il reduce e la guida spirituale. Ecco i tagliagole al governo di Kabul
Gian Micalessin
19 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 69818.html

C'è il teologo del martirio che ha offerto il figlio a un attacco suicida, il comandante di un gruppo terrorista e il figlio del mullah Omar. Che guideranno da lontano un esecutivo farsa
Il qaedista, il reduce e la guida spirituale. Ecco i tagliagole al governo di Kabul

I nuovi, veri padroni dell'Afghanistan potrebbero anche non mettere piede a Kabul. E accontentarsi di governare da dietro le quinte di un gabinetto, apparentemente inclusivo, i cui esponenti saranno, in realtà, semplici marionette. L'ambigua prospettiva sta prendendo corpo in queste ore. A confermarla contribuiscono le voci secondo cui Amir Khan Muttaqi, ex-ministro dell'educazione nel primo emirato talebano è nella capitale per trattare con l'ex-presidente filo-americano Hamid Karzai e Abdullah Abdullah , già presidente di quel Consiglio per il Dialogo incaricato, fino a domenica scorsa, dei colloqui con gli insorti. E alle discussioni parteciperebbe da remoto anche Zalmay Khalilzad, l'enigmatico inviato americano di origini afghane, già ambasciatore a Kabul e Baghdad, che ha trattato per conto di Trump e di Biden il ritiro americano. Ma quel che ne uscirà non sarà certo un vero governo.

E, come già avvertono i leader talebani, non si ispirerà ai precetti della democrazia, ma a quelli della legge islamica. Sarà dunque una finzione istituzionale utile sia al potere talebano, sia all'amministrazione Biden. I primi potranno esibirla per sostenere di esser cambiati e ambire a riconoscimenti e aiuti internazionali. Biden potrà invece usarla per dribblare le accuse di fallimento e difendere un ritiro che ha permesso la nascita di un esecutivo di compromesso. Ma la verità sarà ben diversa.

Per capirlo basta esaminare i vertici del potere talebano. Il 61enne emiro Hibatulla Akhunzada nominato comandante supremo nel 2016 con il titolo, ereditato dal Mullah Omar, di «comandante dei fedeli», probabilmente continuerà ad indirizzare dall'ombra le scelte del movimento. Esponente della magistratura islamica nel primo emirato è non solo il leader politico- spirituale del movimento, ma anche il più entusiasta sostenitore del martirio religioso. Non a caso ha sostenuto la scelta del figlio 23enne Abdul Rahman offertosi, nel 2017, come volontario per un attentato suicida nella provincia di Helmand. A rendere ancora più impenetrabile la nebulosa del potere talebano s'aggiunge la figura del Mullah Muhammad Yaqoob, figlio del Mullah Omar. Se del padre circolava un'antica e sfocata immagine in bianco e nero di lui non esiste neppure quella. Nessuno, al di fuori di una ristretta cerchia di comandanti, può dire d'averlo mai incontrato. Eppure il poco più che trentenne, Yaqoob è oggi il vero comandante militare del movimento.

Altrettanto inquietante è la figura del 48enne Sirajuddin Haqqani indicato come il braccio destro di Akhundzada. Figlio di un leggendario leader dei mujaheddin antisovietici il 48enne Sirajuddin guida una formazione terrorista parallela al movimento talebano che rappresenta la vera interconnessione con Al Qaida. E comanda una rete di alleanze tribali con cui controlla scuole religiose e centri commerciali a cavallo di quella frontiera pakistana dove mantiene stretti contatti con i servizi segreti di Islamabad. In questa inquietante galleria di fantasmi la figura più conosciuta resta quella di un Mullah Abdul Ghani Baradar su cui tutti scommettono come futuro presidente dell'Afghanistan. Amico d'infanzia del Mullah Omar, che lo chiamava con il soprannome di Baradar (fratello), il mullah Abdul Ghani è stato uno dei fondatori del movimento per poi diventare governatore della provincia di Herat e vice ministro della difesa nel primo Emirato. Più ambiguo il suo ruolo dopo il 2001 quando - pur partecipando alla shura di Quetta ovvero all'organo decisionale del nuovo movimento talebano - è anche protagonista, dopo il 2006, di una serie di negoziati segreti con l'ex presidente Karzai. Proprio questi negoziati, malvisti dall'ala più dura del movimento, avrebbero spinto - nel 2009 - i servizi segreti pakistani ad arrestarlo. Liberato su richiesta degli americani nel 2018 è diventato l'interlocutore fisso di Khalilzad in quei colloqui di Doha al termine dei quali ha avuto persino un colloquio telefonico con Trump. I suoi trascorsi negoziali lo rendono il candidato perfetto per la presidenza di un governo di coalizione in cui gli esponenti dei passati governi, come Karzai e Abdullah, rappresenteranno la foglia di fico del nuovo emirato.
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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:40 pm

Perché i nuovi talebani sono diversi da quelli del Mullah Omar
Autore Francesca Salvatore
19 agosto 2021

https://it.insideover.com/guerra/il-nuo ... ebani.html

Il più grosso errore che si possa compiere in queste ore è quello di giudicare i talebani e prevedere le loro mosse con gli occhi del passato. Vent’anni costituiscono poco più che una generazione e consentono una prospettiva sufficientemente ampia per parlare di storia. Ergo, guai a pensare che i talebani di oggi siano quelli di 20 anni fa: se pur restano dei tratti comuni dovuti ai loro ascendenti, come la medesima considerazione di donne e bambine, bisogna accettare di essere in presenza di un organismo nuovo, che ha mutato forma.

Pur moralmente deprecabili, non possiamo comunque a priori considerarli meri rozzi guerriglieri di montagna incapaci dell’ars di governo. Come ricorda Fulvio Scaglione, infatti, “è probabile che sapranno governare l’Afghanistan che hanno appena riconquistato”. Conviene, perciò, non sottovalutarli e abituarci ormai al fatto che sono dei primi inter pares, anche grazie a “noi”.

I talebani di oggi e di ieri

Possiamo immaginarli come una nazione neonata, che deve conquistarsi il placet internazionale. Sanno bene di godere del pubblico ludibrio internazionale e che ogni mossa sarà sotto i riflettori. Sono però cambiate le percentuali del loro Dna: negli anni Novanta era costituito prevalentemente da fondamentalismo islamico, da voglia di rivalsa contro l’Occidente, erano ottuso rifugio nell’Islam per un mondo che non ha mai conosciuto il concetto di statualità. Oggi di quella matrice coranica c’è ancora una buona dose, non troppo fossile, tuttavia non è più il motore propulsore del loro operato, al massimo uno strumento.

Si interessano delle cose del mondo questi “giovani” talebani, e nel mondo vogliono stare anche usando gli strumenti 2.0. Inoltre, sono stati a lungo altrove, nel Golfo Persico, in Pakistan, dove hanno atteso e imparato ad agire in maniera più spregiudicata, strategica e à la page. Se, quindi, un folto gruppo di sessantenni resta comunque incisivo nel loro processo decisionale (si pensi a Haibatullah Akhunzada, predicatore e insegnante in una moschea in Pakistan, sostituto di Akhtar Mansour, ucciso dagli americani), ambiscono a fare meglio dei padri. La jihad non porta vantaggi pratici di nessun tipo, tanto vale lasciar perdere la santità islamica e fare anche loro un nuovo gioco che passa dal ritiro americano, dalle ansie e dalle ambizioni di Pechino e Mosca.

Una propaganda affinata

Venendo ora al mondo femminile, sanno bene che il tasto e delicato e che si può scherzare ben poco sull’argomento, almeno con l’Occidente. E se migliaia di donne hanno già perso le loro libertà, se drappi neri e scuole chiuse già illordano le strade d’Afghanistan, i loro toni su questi argomenti si fanno per il momento concilianti: cercano maldestramente di ripulire la loro immagine affermando di essere impegnati nel processo di pace, in un governo “inclusivo” e disposti a mantenere alcuni diritti per le donne.

Il loro portavoce Sohail Shaheen ha affermato che alle donne sarà comunque permesso di continuare la loro istruzione dall’istruzione primaria a quella superiore, a differenza della fase tra il 1996 e il 2001. Shaheen ha anche affermato che diplomatici, giornalisti e organizzazioni non profit potrebbero continuare a operare in Paese. “Questo è il nostro impegno, fornire un ambiente sicuro e che possano svolgere le loro attività per il popolo afgano”, ha affermato. Fosse anche solo propaganda, come in realtà è un cambio di passo che indica affinamento di tecniche di comunicazione e di ricerca di una certa dose di approvazione. Tutto molto “occidentale”.

Cosa vogliono

I nuovi talebani hanno saggiato quali benefici la “pace” possa portare. Significa contare, ottenere denaro e finanziamenti, significa avere un potenziale di ricatto nell’area. Carter Malkasian, autore di The American War in Afghanistan: A History, sostiene che una delle cose a cui sono molto sensibili è la loro incapacità di fornire beni e servizi e di gestire e amministrare bene il Paese, il loro cruccio durante gli anni ’90. Quindi, oggi, i neo-taliban ambiscono a farlo meglio, vogliono che si realizzino progetti di sviluppo. E per questo, vogliono anche mantenere una relazione con la comunità internazionale perché si rendono conto che hanno bisogno di essa per poter continuare a bere, mangiare, esserci.

Adesso servono sostanza et pecunia: la principale fonte di finanziamento dei talebani, secondo ciò che conosciamo, proviene dall’interno dell’Afghanistan: tassazione sul commercio, individui, contratti, ma principalmente attraverso il papavero, un vero vantaggio strategico che permette di rendere i contadini a loro più fedeli. Vi è poi un certo grado di sostegno monetario dal Pakistan e, in misura minore, dall’Iran e dalla Russia, così come dal Medio Oriente, ma non basta. Cina e Russia vanno già bene, il “dialogo” con la Turchia anche, hanno fatto del Qatar la loro sede politica. Questo significa due cose: 1) questo non sarà un gioco a somma zero e 2) la loro spirale di potere si farà più infida perché affonda le unghie nella geopolitica mondiale di oggi in maniera più raffinata. Sempre pronti a tornare islamisti puri se non avranno una sedia al tavolo di quelli che contano.



Il qaedista, il reduce e la guida spirituale. Ecco i tagliagole al governo di Kabul
Gian Micalessin
19 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 69818.html

C'è il teologo del martirio che ha offerto il figlio a un attacco suicida, il comandante di un gruppo terrorista e il figlio del mullah Omar. Che guideranno da lontano un esecutivo farsa
Il qaedista, il reduce e la guida spirituale. Ecco i tagliagole al governo di Kabul

I nuovi, veri padroni dell'Afghanistan potrebbero anche non mettere piede a Kabul. E accontentarsi di governare da dietro le quinte di un gabinetto, apparentemente inclusivo, i cui esponenti saranno, in realtà, semplici marionette. L'ambigua prospettiva sta prendendo corpo in queste ore. A confermarla contribuiscono le voci secondo cui Amir Khan Muttaqi, ex-ministro dell'educazione nel primo emirato talebano è nella capitale per trattare con l'ex-presidente filo-americano Hamid Karzai e Abdullah Abdullah , già presidente di quel Consiglio per il Dialogo incaricato, fino a domenica scorsa, dei colloqui con gli insorti. E alle discussioni parteciperebbe da remoto anche Zalmay Khalilzad, l'enigmatico inviato americano di origini afghane, già ambasciatore a Kabul e Baghdad, che ha trattato per conto di Trump e di Biden il ritiro americano. Ma quel che ne uscirà non sarà certo un vero governo.

E, come già avvertono i leader talebani, non si ispirerà ai precetti della democrazia, ma a quelli della legge islamica. Sarà dunque una finzione istituzionale utile sia al potere talebano, sia all'amministrazione Biden. I primi potranno esibirla per sostenere di esser cambiati e ambire a riconoscimenti e aiuti internazionali. Biden potrà invece usarla per dribblare le accuse di fallimento e difendere un ritiro che ha permesso la nascita di un esecutivo di compromesso. Ma la verità sarà ben diversa.

Per capirlo basta esaminare i vertici del potere talebano. Il 61enne emiro Hibatulla Akhunzada nominato comandante supremo nel 2016 con il titolo, ereditato dal Mullah Omar, di «comandante dei fedeli», probabilmente continuerà ad indirizzare dall'ombra le scelte del movimento. Esponente della magistratura islamica nel primo emirato è non solo il leader politico- spirituale del movimento, ma anche il più entusiasta sostenitore del martirio religioso. Non a caso ha sostenuto la scelta del figlio 23enne Abdul Rahman offertosi, nel 2017, come volontario per un attentato suicida nella provincia di Helmand. A rendere ancora più impenetrabile la nebulosa del potere talebano s'aggiunge la figura del Mullah Muhammad Yaqoob, figlio del Mullah Omar. Se del padre circolava un'antica e sfocata immagine in bianco e nero di lui non esiste neppure quella. Nessuno, al di fuori di una ristretta cerchia di comandanti, può dire d'averlo mai incontrato. Eppure il poco più che trentenne, Yaqoob è oggi il vero comandante militare del movimento.

Altrettanto inquietante è la figura del 48enne Sirajuddin Haqqani indicato come il braccio destro di Akhundzada. Figlio di un leggendario leader dei mujaheddin antisovietici il 48enne Sirajuddin guida una formazione terrorista parallela al movimento talebano che rappresenta la vera interconnessione con Al Qaida. E comanda una rete di alleanze tribali con cui controlla scuole religiose e centri commerciali a cavallo di quella frontiera pakistana dove mantiene stretti contatti con i servizi segreti di Islamabad. In questa inquietante galleria di fantasmi la figura più conosciuta resta quella di un Mullah Abdul Ghani Baradar su cui tutti scommettono come futuro presidente dell'Afghanistan. Amico d'infanzia del Mullah Omar, che lo chiamava con il soprannome di Baradar (fratello), il mullah Abdul Ghani è stato uno dei fondatori del movimento per poi diventare governatore della provincia di Herat e vice ministro della difesa nel primo Emirato. Più ambiguo il suo ruolo dopo il 2001 quando - pur partecipando alla shura di Quetta ovvero all'organo decisionale del nuovo movimento talebano - è anche protagonista, dopo il 2006, di una serie di negoziati segreti con l'ex presidente Karzai. Proprio questi negoziati, malvisti dall'ala più dura del movimento, avrebbero spinto - nel 2009 - i servizi segreti pakistani ad arrestarlo. Liberato su richiesta degli americani nel 2018 è diventato l'interlocutore fisso di Khalilzad in quei colloqui di Doha al termine dei quali ha avuto persino un colloquio telefonico con Trump. I suoi trascorsi negoziali lo rendono il candidato perfetto per la presidenza di un governo di coalizione in cui gli esponenti dei passati governi, come Karzai e Abdullah, rappresenteranno la foglia di fico del nuovo emirato.


Afghanistan: Talebani “governeremo secondo la Sharia, non la democrazia”
Redazione Alma News
19 Agosto 2021

https://almanews24.it/esteri/2021/08/19 ... emocrazia/

Il leader supremo dei talebani, Haibatullah Akhundzada, ha comunicato all’agenzia di stampa Reuters, che l’ Afghanistan potrebbe essere governato da un consiglio di governo.

Akhundzada, che è vicino all’organo decisionale del movimento, ha affermato che i talebani contatteranno anche ex piloti e soldati delle forze armate afgane per unirsi ai loro ranghi.

La struttura di potere delineata da Hashemi sarà simile alla situazione in Afghanistan, quando il paese era sotto il dominio dei talebani tra il 1996 e il 2001, il leader supremo dei talebani dell’epoca, il mullah Omar, rimase fuori dai giochi e lasciò la gestione quotidiana degli affari del paese a un consiglio direttivo.

Il capo supremo dei talebani ha tre deputati: Mawlawi Yaqub, figlio del mullah Omar, Sirajuddin Haqqani, leader della rete Haqqani, e Abdul Ghani Barader, capo dell’ufficio politico dei talebani a Doha e uno dei membri fondatori del movimento.

Hashemi ha spiegato che molte questioni relative a come i talebani gestiranno l’Afghanistan, non sono state ancora finalizzate, ma ha affermato che l’Afghanistan non sarà soggetto a un sistema democratico. Ha detto a Reuters: “Non ci sarà alcuna democrazia perché non ci sono basi per essa nel nostro paese. Non discuteremo del tipo di sistema politico che implementeremo in Afghanistan perché è chiaro È solo sharia”.

Hashemi ha rivelato che il ruolo delle donne in Afghanistan, compreso il loro diritto al lavoro, all’istruzione e al modo in cui si vestono, sono questioni che devono essere decise da un consiglio degli “ulama” del movimento, dicendo: “I nostri studiosi decideranno se le ragazze potranno avere il permesso di andare a scuola. Le donne indossano un velo o un niqab o semplicemente un velo con un abaya o qualcosa del genere o no, dipende da loro”.

Per quanto riguarda l’impiego di soldati e piloti che hanno combattuto nelle file del deposto governo afghano, Hashemi ha affermato che i talebani intendono formare una nuova forza nazionale, che includa soldati governativi pronti ad aderirvi. “La maggior parte di loro ha ricevuto una formazione in Turchia, Germania e Inghilterra. Quindi parleremo con loro per tornare alle loro posizioni”, ha aggiunto. “Naturalmente apporteremo alcuni cambiamenti che includeranno alcune riforme nell’esercito, ma ne abbiamo ancora bisogno e li inviteremo a unirsi a noi”, ha detto.

Hashemi ha affermato che i talebani hanno particolarmente bisogno di piloti perché non ne hanno, poiché hanno sequestrato elicotteri e altri velivoli in molti aeroporti afghani durante il loro attacco lampo per impadronirsi del Paese dopo il ritiro delle forze straniere. Ha aggiunto: “Siamo in contatto con molti piloti… e abbiamo chiesto loro di unirsi ai loro fratelli e al loro governo”.

I talebani si aspettano che i paesi vicini restituiscano gli aerei afghani atterrati nel loro territorio, apparentemente riferendosi ai 22 aerei da guerra, 24 elicotteri e centinaia di soldati afghani fuggiti in Uzbekistan nel fine settimana.

Il funzionario, che ha chiesto di non essere identificato, ha aggiunto che Abdullah Abdullah, l’inviato di pace nel precedente governo, ha accompagnato Karzai all’incontro. Da parte sua, un portavoce di Karzai ha affermato che l’incontro mira a preparare i negoziati finali con il mullah Abdul Ghani Baradar, il leader dei talebani.



Afghanistan, la governatrice #SalimaMazari è stata arrestata dai talebani e non si hanno notizie sulle sue condizioni
Lucia Borgonzoni
19 agosto 2021

https://www.facebook.com/groups/islamno ... 0920444457

La governatrice di Charkint Salima Mazari è una delle tre donne al comando in Afghanistan. Ogni giorno difende il suo distretto dall'attacco dei talebani imbracciando anche le armi. "Se non lo facciamo adesso, continueranno ad avanzare e non si arrenderanno fino a quando non accetteremo la loro agenda"
Il suo lavoro in prima linea l'ha resa bersaglio di diversi attentati da parte degli estremisti. Ha paura?
“Se ho paura? No. Credo nello stato di diritto in Afghanistan"



L’ultima trovata degli idioti occidentali: “I Talebani sono cambiati”
Giulio Meotti
20 agosto 2021

https://meotti.substack.com/p/lultima-t ... ccidentali

“Dialogo serrato con i Talebani”, annunciava ieri l’ex premier italiano, Giuseppe Conte. Solo l’ultimo di una serie di utili idioti occidentali. Perché non credere alle promesse dei Talebani di una amnistia e di voler rispettare i diritti di tutti? Almeno per 24 ore. Ora emergono orrendi dettagli sul trattamento che i Talebani stanno riservando alla minoranza Hazara: nove uomini sono stati appena assassinati, torturati e “strangolati”, racconta la BBC. E le donne in tv? Già tutte bandite dai Talebani, spiega il Washington Post. Si parla anche di una uccisa per non aver indossato il burqa. Chi non avesse portato il cervello all’ammasso ha sempre saputo cosa fossero i Talebani. Ma cosa pensare del modo in cui molti osservatori occidentali li hanno descritti nell’ultima settimana, compreso il capo di stato maggiore inglese? Ci pensa Anne-Sophie Chazaud, brillante saggista francese autrice di “Liberté d'inexpression, des formes contemporaines de la censure” (L'Artilleur, 2020). Su Le Figaro, Chazaud fa a pezzi con rara ironia l’ultima trovata del ceto occidentale: il “Talebano inclusivo”. Non è meravigliosamente inclusiva la parola “strangolato”?

“Un concetto originale: il talebano inclusivo”
di Anne-Sophie Chazaud

Il ritiro delle ultime forze americane in Afghanistan, e al loro seguito tutti gli occidentali che erano ancora lì, è stato annunciato molti anni fa e ha assunto l'aspetto di una debacle, per non dire un'amara umiliazione.

La presa di Kabul sembra la caduta di Saigon, dai tetti delle ambasciate e dall'aeroporto preso d'assalto, un panico legittimo ha colto sia gli occidentali che lavoravano da anni sul terreno sia gli afgani che li avevano sostenuti, e quelli che, avendo beneficiato dei pochi progressi (sociali, economici) permessi da questa presenza, non avevano nessuna voglia di ricadere sotto il dominio di un Islam ultra-rigorista di triste memoria.

Nessuno ha dimenticato la dinamite contro i Buddha di Bamiyan, le donne dietro sinistri chadris, private della scuola, private di tutto, la musica proibita, la danza proibita, gli uccelli proibiti, gli aquiloni proibiti, le esecuzioni, le torture, le impiccagioni e altri tormenti nello stadio affollato di Kabul, le uccisioni di omosessuali schiacciati sotto muri di mattoni...

È in questo contesto di semi-caos che le dichiarazioni occidentali, a dir poco sorprendenti, hanno accolto la presa di potere dei talebani.

Alcune anime belle, sempre veloci a denunciare una certa islamofobia immaginaria in Occidente, fanno finta di non sapere nulla delle "intenzioni" dei Talebani. Altri evocano in un bello slancio monacense l'ipotesi di un "cambiamento": i talebani sarebbero "cambiati".

Tuttavia, basta osservare il modo in cui vengono trattate le popolazioni delle regioni già occupate dai talebani per capire che questi ultimi non sono cambiati affatto e la loro brutalità è probabilmente addirittura aumentata. Il loro obiettivo è quello di applicare la sharia più rigorosa e oscurantista possibile. I massacri sono avvenuti nelle scuole per ragazze, che sono incoraggiate, una volta raggiunti i sette anni, a rimanere a casa, lontano dai luoghi di educazione che sono stati trasformati in scuole coraniche. Si spara agli avversari, si controllano i vestiti, si ispezionano le barbe. Ci si chiede quali siano le intenzioni dei talebani e la suspense è al massimo...

Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price e il ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian hanno curiosamente menzionato il desiderio che i talebani siano "inclusivi", cosa che la prima foto scattata nel palazzo presidenziale - un cliché con molti capelli e testosterone - accenna soltanto... Si capisce l'idea di un wishful thinking secondo il quale i nuovi padroni di Kabul sono gentilmente invitati a non essere troppo repressivi verso le donne, gli intellettuali, gli scienziati, gli oppositori, i membri delle tribù concorrenti e a formare, secondo questo desiderio, un governo sufficientemente rappresentativo. Ma bisogna dire che il confronto semantico tra il concetto woke di "inclusività" e la dura realtà dell'islamismo ultra-rigorista è, a dir poco, sconcertante e sarebbe persino ridicolo, se la situazione non fosse così seria.

I Talebani si divertono in un parco giochi

I talebani hanno capito perfettamente che l'Occidente, attraverso questo tipo di ossessione sociale, è nel bel mezzo di una disfatta e di una perdita di potere. Hanno abilmente ripreso questa semantica assicurandoci che saranno, naturalmente, "inclusivi". Si immagina che questo corrisponda per loro allo stesso divertimento prodotto da quelle immagini insolite che hanno fatto il giro delle reti, della loro scoperta di un parco giochi a un palazzetto dello sport. Tra lo scontro di civiltà e il burlesque perverso, i talebani cavalcavano cervi e pony arcobaleno, forse per divertimento, forse per ridere di un Occidente in totale abbandono civile, ricordando a tutti la famosa riflessione di Marx secondo cui la Storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa.

Il triste paradosso di questa doppia debacle dell'Occidente, militare ma anche morale, si concretizza nel fatto che questo concetto di "inclusività", così sventolato, serve proprio a promuovere, in patria, le forme spesso più perverse dell'entrismo islamico.

Il sindaco ecologista di Grenoble, Eric Piolle, noto per la sua leggendaria compiacenza nei confronti delle associazioni che promuovono il burqa nelle sue piscine comunali, fa ora il bravo ragazzo e chiede l'accoglienza massiccia dei richiedenti asilo afgani che fuggono dal regime talebano. Alcuni commentatori dicono che dovremmo stare attenti a non fare una caricatura dei talebani nel 2021. Ma fanno abbastanza paura agli afgani che si aggrappano persino agli aerei che lasciano la pista di Kabul, col rischio di cadere dal cielo come quelli dal World Trade Center.

È dubbio che gli afghani in fuga dall'islam rigorista e oscurantista dei talebani, che hanno assaggiato per qualche anno come una boccata d'ossigeno l'emancipazione universalista offerta nel loro paese, vogliano cadere nelle braccia dei promotori occidentali della stessa regressione che rifuggono quando arrivano in Europa.

Inoltre, difficilmente sentiamo queste leghe della virtù neofemministe, intersezionali, postcoloniali, indigeniste, antirazziste e altri attori del delirante Wokistan, difendere donne, intellettuali e artisti che fuggono dalle tradizioni oscurantiste che queste stesse leghe della virtù promuovono in Occidente. Sì, non li sentiamo quasi mai in questi giorni, se non per difendere per principio la figura del migrante in opposizione agli annunci di Emmanuel Macron (per quanto ragionevoli su questo argomento) volti a evitare una nuova crisi migratoria.

Per inciso: gli uomini accusati di furto da quando i talebani sono entrati a Kabul vengono, per esempio, trascinati con delle corde dopo che le loro facce sono state dipinte di nero: sentiremo lamentele contro questa pratica di degradazione della faccia nera da parte di coloro che decantano i presunti mali dell'Occidente, ritenuto cristiano, patriarcale, eterosessuale e naturalmente razzista?

Tutto ciò che le promesse di "inclusività" dei talebani dimostrano è che in vent'anni sono effettivamente cambiati, nel senso che hanno acquisito una padronanza molto migliore della comunicazione e che sapranno usarla in modo perverso per servire i loro scopi, giocando comicamente su ciò che l'Occidente, nel suo declino, non ha mai smesso di promuovere. Questo non è da biasimare: dopo tutto, sono stati istruiti bene.

La sharia “inclusiva”, l'Occidente woke l'ha sognata, i Talebani la realizzeranno.



Il fiume di metamfetamina dell'Afghanistan sfocia anche in Italia
Francesco Paolo La Bionda
19/08/2021

https://www.limesonline.com/afghanistan ... 1?prv=true

Un anonimo arbusto ha rivoluzionato il mercato della droga mediorientale (e non solo). L’Hindu Kush è la sorgente del corso di cristalli maledetti. Iran, Iraq e Siria ne formano l’alveo. Il nostro paese rischia di diventarne la foce.

L’efedra sinica è un arbusto tenace. Abbonda sulle colline aride dell’Afghanistan centrosettentrionale, dove è chiamata oman. I suoi ciuffi di lunghi steli non hanno valore ornamentale e i suoi pseudofrutti rossi non sono consumati come alimento. Eppure, pur di procurarsela molti contadini afghani sono disposti a inerpicarsi sui pendii rocciosi, armati di falcetto e coraggio.

I narcotrafficanti del paese asiatico hanno scoperto come estrarre il principio attivo contenuto nella pianta, l’efedrina, che utilizzano come …



Diplomazie al lavoro: si studia una missione per fermare il disastro
20 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 70003.html

Il G7: coinvolgere Pechino, Mosca, Ankara. Ai talebani: libertà per chi vuole fuggire
Avatar di Pasquale Napolitano Pasquale Napolitano
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Diplomazie al lavoro: si studia una missione per fermare il disastro

Il G7 lavora su due fronti per neutralizzare gli effetti della crisi innescata dal ritiro degli ultimi contingenti Nato dall'Afghanistan e la fulminea presa di Kabul da parte dei Talebani. Primo: mettere Russia, Cina e Turchia al tavolo della transizione.

Secondo: obbligare, con una missione internazionale, il regime dei talebani a un'uscita in sicurezza di chi intende fuggire dall'Afghanistan.

È in sintesi la linea che emerge dalla riunione di ieri in videoconferenza fra i capi delle diplomazie dei Paesi del G7 (Regno Unito, Usa, Germania, Giappone, Francia, Canada e Italia, rappresentata dal ministro Luigi Di Maio) presieduta dal ministro degli Esteri britannico Dominic Raab.

La sede, per mettere attorno al tavolo anche Cina, Turchia e Russia, è il G20. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio chiarisce che «l'Italia in qualità di presidente del G20 e Paese in stretto coordinamento con il G7, ha in programma di convocare una riunione ad hoc a livello di leader per promuovere una discussione approfondita sull'Afghanistan».

Secondo Di Maio, «il format del G20 consentirà di coordinare la nostra posizione con altri importanti partner: Russia, Cina e Turchia».

Nel medio periodo l'obiettivo è stabilizzare Afghanistan, evitando che ritorni a essere una base operativa e politica del terrorismo islamico.

«I Talebani - si legge nel comunicato diffuso al termine del vertice - devono garantire che l'Afghanistan non diventi rifugio per minacce terroristiche alla sicurezza internazionale». La strada individuata è una missione internazionale.

Per i ministri degli Esteri del G7 - «la crisi in Afghanistan richiede una risposta internazionale che porti a una soluzione politica inclusiva». Da qui l'opzione di una missione internazionale per impedire un'escalation della crisi in Afghanistan.

Nel breve tempo, la priorità è completare l'evacuazione di civili, predisponendo un piano di accoglienza e asilo per i profughi. Una strada che appare in salita. Rischi confermati nelle parole di Angela Merkel: «L'operazione per evacuare le persone dall'Afghanistan è una missione altamente complicata. Spero che avremo successo nel portare a casa il maggior numero di persone possibile o assicurare loro protezione e salvezza», chiarisce la cancelliera tedesca.

Piano al quale sta lavorando la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: «Ho discusso la difficile situazione in Afghanistan con Jens Stoltenberg (segretario generale della Nato). Ci stiamo coordinando da vicino per l'evacuazione del personale e dei familiari. Unione europea e Nato devono rimanere uniti nell'affrontare le sfide alla sicurezza create dalla nuova situazione e mostrare solidarietà ai gruppi vulnerabili», spiega via Twitter.

Sul tema dell'evacuazione, dal G7 di ieri giunge la richiesta al regime di Kabul di «lasciare aperto un corridoio umanitario per tutti coloro che vorranno lasciare l'Afghanistan». Nella dichiarazione da Dominic Raab si sottolinea l'importanza che i Talebani «mantengano i loro impegni per garantire la protezione dei civili» e si esprime «profonda preoccupazione per le notizie di violente rappresaglie in alcune parti dell'Afghanistan». Per l'Italia, il piano elaborato dal governo Draghi ha un obiettivo: trasferire circa 2500 afghani che hanno collaborato negli anni con le Istituzioni. Ad oggi sono 500, tra ex collaboratori e famiglie, gli afghani sbarcati in Italia. Infine l'Italia mantiene la presenza diplomatica in aeroporto per facilitare le operazioni di evacuazione, insieme a una squadra militare italiana e in stretto coordinamento con i partner internazionali a terra.


CONTE E IL DIALOGO SERRATO
Giovanni Bernardini
20 agosto 2021

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 6846878188

I talebani di oggi sono “moderati” assicurano gli occidentali dialoganti.
E si, i talebani di oggi sono diversi, sono molto “moderati”. Permetteranno alle bambine di andare a scuola, che bravi! Si tratterà ovviamente di scuole CORANICHE dove le piccole subiranno un autentico lavaggio del cervello ma… suvvia, non si può mica avere tutto e subito!
Intanto, raccontano testimonianze non sospette, nelle strade di Kabul non si vede letteralmente una donna. Pare che le afghane se ne stiano chiuse in cantina, timorose di essere uccise o trasformate dai prodi guerrieri talebani in appetitose prede di guerra. Probabilmente esagerano, le poverette: sono fuorviate dalla propaganda dell’occidente imperialista.
Comunque, non c’è da preoccuparsi. Giuseppe Conte auspica un “dialogo serrato” coi talebani e di certo questo risolverà tutto. La geometrica potenza delle argomentazioni di Conte trasformerà in angeli della pace i guerrieri talebani, si , proprio loro che fino ad un paio di settimane fa mettevano graziose bombe nelle scuole femminili. Conte ha sconfitto Casaleggio, come può non sbaragliare i poveri talebani?
C’è da scommetterci, il prossimo gay pride si terrà a Kabul. Un grande corteo anti sessista attraverserà la capitale afghana, alla sua testa marceranno i signori Zan e Fedez; una folla di talebani moderati applaudirà commossa i campioni della lotta al sessismo occidentale. Un grande slogan unirà tutti: GAY, TALEBANI UNITI NELLA LOTTA!
Giuseppe Conte può fare miracoli!


Gli Anti Americani sono tornati! Ma stavolta la colpa è quella di aver lasciato l’Afghanistan
20 agosto 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... ghanistan/

Senza puntare troppo il dito contro il disastroso ritiro organizzato da Sleepy Joe, gli Stati Uniti tornano sotto accusa. Se venivano accusati di occupare un paese ora la stessa corrente politica li accusa di averlo abbandonato.

L’ultima volta che sono piovute critiche ad un’amministrazione americana per il ritiro delle proprie truppe da un determinato teatro fu nella seconda metà del 2019, quando l’allora presidente Donald Trump decise di mettere fine alla missione in Siria a supporto dei curdi, lanciata dalla precedente amministrazione di Barack Obama per contrastare l’ISIS, lasciando un piccolo contingente nell’est del paese come deterrente.

Le critiche piovute furono feroci: si arrivò a dire che “i turchi avrebbero sterminato tutti i curdi siriani”. Anche da Israele arrivarono aspre critiche, con politici e media che da Gerusalemme temevano addirittura un “abbandono totale” degli Americani dalla regione e isolato lo Stato ebraico.

Alla fine si trattò di pura isteria. Nulla di tutto ciò che temevano è accaduto. Nonostante i combattimenti al confine tra Turchia e la parte occidentale del Kurdistan siriano per creare una “zona di sicurezza”, i curdi sono ancora là. Il problema dei turchi sono più le organizzazioni come il PKK (il Partito Comunista Curdo, che opera in Turchia) ed il corrispondente YPG curdo-siriano e non i curdi in quanto popolo, altrimenti non sarebbero presenti nella Turchia sud orientale e nel parlamento turco con un proprio partito. Ci ricordiamo i cori disperati verso le eroine dell’epoca le “soldatesse curde lasciate in balìa dei carnefici islamisti“. Oggi non se ne ricorda più nessuno, completamente dimenticate…

La storia ed il clima di isteria si sta ripetendo adesso con l’Afghanistan che, sentendo le opinioni anche di “illustri” ed “illuminanti” opinionisti, doveva essere un “paese pacificato” invaso da Talebani che sarebbero “spuntati dal nulla” appena saputo del ritiro della coalizione occidentale. Le immagini drammatiche che provengono dall’aeroporto di Kabul hanno contribuito a creare questo clima, facendosi comandare più dall’emotività che da una mera – e perché no – fredda analisi e conoscenza dell’argomento.

É vero che il modo in cui l’amministrazione Biden ha organizzato il ritiro é stata fuori da ogni logica di buon senso ma, come detto nel precedente articolo, l’Afghanistan non è un paese, per così dire, “normale” come lo possono essere i confinanti Iran e Pakistan che, seppur con dittature teocratiche ed autoritarismi militari pseudo-democratici, hanno comunque le fondamenta che si richiedono ad una nazione. Invece, l’Afghanistan è un alveare di tribù, alcune anche nomadi, spesso in conflitto tra loro.

In questi venti anni è vero che i paesi occidentali hanno tentato di portare avanti una sorta di progetto per un governo di unità nazionale, creando seggi per le votazioni, infrastrutture, coinvolgendo tutta la popolazione, ma in condizioni molto difficili. Bastava controllare le pagine dell’ISAF o alcuni reportage in quelle zone per capire che i Talebani non erano stati sconfitti ma erano asserragliati nelle zone montuose, anche con la complicità delle comunità rurali, mentre le zone abitate come Kabul, dove erano presenti i ministeri, i tribunali, le ambasciate, etc., erano circondate da cordoni di sicurezza presidiati dai militari NATO e dalle forze di sicurezza afgane. In quelle zone, oltre che negli affollati mercati cittadini, la possibilità di attentati terroristici era dietro l’angolo, ogni giorno.

È anche vero che alcuni bambini e ragazze hanno potuto accedere all’istruzione, cure mediche e iniziare delle carriere lavorative impensabili prima, ma solo nei grandi centri urbani. Nell’entroterra e nei piccoli villaggi occupati dai Talebani in ritirata c’era ancora la Sharia e molte donne non hanno mai potuto abbandonare né il velo né il burqa, né tantomeno istruirsi.

Nell’ultimo anno di pandemia, alla fine, a nessuno importava poi molto di quello che succedeva in quella parte del mondo. A nessuno importa quello che pensa l’opinione pubblica americana, che aveva premiato Donald Trump nel 2016 anche per la promessa di mettere fine alle c.d. “guerre infinite”.

A nessuno interessa il fatto che la maggior parte degli americani è tuttora favorevole al ritiro dei suoi uomini da quei luoghi lontani. Loro sì che vedevano bene quella moltitudine di bare avvolte nella bandiera all’interno dei cargo militari che finivano poi nei cimiteri. E fanno ridere ora i commenti ipocriti alla Gino Strada di turno, che accusano gli Americani che si ritirano quando erano loro stessi i primi a condannare l'”invasione”, come la chiamavano, dire che i Talebani non facevano male a nessuno ed il terrorismo era solo nato per le colpe dell’Occidente!



CHI SI CONGRATULA CON I TALEBANI?
Giovanni Quer
20 agosto 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8174765883

Mentre a Kabul i combattenti talebani festeggiano la “vittoria” nel palazzo presidenziale, gli afgani tentano di fuggire e chi rimane trema di paura. Il ricordo del regime che ha ucciso, amputato, discriminato si è dissipato o forse gli orrori del regime jihadista non sono così forti come l’odio per ciò che gli USA rappresentano. Chi si è congratulato con i Talebani vede nel movimento islamista jihadista una forza che ha tenuto testa agli americani, non un gruppo di fanatici che ha ucciso afgani e musulmani. Il capo dell’ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh non ha tardato a congratularsi con i talebani per aver saputo sconfiggere “l’occupazione americana”, in una conversazione telefonica con Abdel Ghani Baradar, capo dell’ufficio politico dei Talebani, come riporta il sito Ramallah News.
Non sorprende che Hamas abbia accolto come una benedizione il ritorno dei Talebani, che hanno ispirato l’organizzazione islamista palestinese e che Haniyeh ha descritto come un modello per la liberazione della Palestina dall’occupazione israeliana. Le voci più vicine all’Autorità Palestinese hanno risposto invece in maniera più mite. Il sito Duniya al-Watan si è limitato a pubblicare delle dichiarazioni di un portavoce del movimento islamista afgano secondo cui si impegneranno a rispettare i diritti delle donne, come stabilito dall’Islam e non useranno il territorio afgano contro altri Paesi. L’agenzia di stampa Ma‘an, con base a Gerusalemme, ha accolto la notizia come una nuova sconfitta del potere mondiale che ha “sterminato gli indiani d’America” e che si è “inginocchiato” di fronte alle tribù Pashtun che, secondo l’articolo, rivendicherebbero origine arabe - in realtà la tribù “Afridi” rivendica origini ebraiche.
Anche altri intellettuali palestinesi si sono congratulati con Hamas. Abdel Bari Atwan, direttore del giornale online Rai al-Youm e in passato direttore del quotidiano pan-arabo al-Quds al-Arabi, ha scritto tre giorni fa un editoriale in cui ha paragonato la fuga del presidente afghano Ghani alla fuga del presidente tunisino Ben Ali. Un parallelo quanto mai inappropriato perché i Talebani non hanno liberato l’Afghanistan da un dittatore né rappresentano una forza di rivolta popolare. In un secondo editoriale pubblicato ieri, Atwan elogia i Talebani per la vittoria sulle forze americane dopo vent’anni di resistenza.
Altri anti-israeliani hanno espresso simili idee. Il caricaturista brasiliano Carlos Latuff, grande oppositore di Israele e degli Stati Uniti ha disegnato una caricatura che riporta i Talebani vincitori in capo a una clessidra che schiaccia gli americani “sconfitti”, e un proverbio ritenuto afgano che cita “voi avrete pure gli orologi, ma noi abbiamo il tempo”.
Chi festeggia la “vittoria dei Talebani” è accecato dal fervore anti-americano e anti-occidentale e non vuole ricordare le vittime afgane e musulmane del terrore che la stessa organizzazione che dipingono come “resistenti” e “liberatori” ha sparso negli ultimi 20 anni. Tra queste vittime anche giornalisti, attori e cantanti accusati di esser allineati con il governo e con l’Occidente.



I talebani giustiziano il capo della polizia afghana: il terribile video che mostra la prigionia
Il comandante Haji Mullah Achakzai era da anni un nemico dichiarato dei talebani
20 agosto 2021

https://video.corriere.it/esteri/i-tale ... 6a1abb2d03


Sui social è stato diffuso il video scioccante che mostra la figura inginocchiata, ammanettata e bendata di Haji Mullah Achakzai, capo della polizia della provincia di Badghis, vicino a Herat. L’uomo è stato poi ucciso da una raffica di proiettili. Il comandante sarebbe stato arrestato dai talebani dopo aver conquistato l’area vicino al confine con il Turkmenistan, durante la loro avanzata la scorsa settimana. L’autenticità del video sarebbe stata confermata da ufficiali di polizia e del governo, secondo quanto ha affermato un consigliere di sicurezza afgano, Nasser Waziri. Achakzai, circa 60 anni, era un nemico dichiarato dei talebani ed era conosciuto come un combattente esperto nel lungo conflitto tra il gruppo e le forze del governo civile afghano. Intanto, diversi funzionari del governo afgano precedentemente in carica sono stati arrestati dai talebani dopo che i ribelli islamisti hanno preso domenica scorsa la capitale Kabul, e si trovano tuttora in stato di detenzione. Lo denunciano i familiari delle persone arrestate, secondo quanto riferisce l’emittente afghana «Tolo News». L’ex governatore di Laghman, Abdul Wali Wahidzai, e Lotfullah Kamran, capo della polizia della stessa provincia, si sono arresi ai talebani cinque giorni fa ma sono ancora detenuti dai talebani, hanno detto i parenti. «I talebani hanno rilasciato tutti i funzionari governativi, ma Kamran no», ha detto un parente, Abdul Ghani. Manca all’appello anche l’ex capo della polizia di Ghazni, Mohammad Hashem Ghalji, secondo quanto ha denunciato il figlio.



“L'establishment non voleva sconfiggere i Talebani, ma la classe media americana"
Il saggio di uno studioso del mondo islamico. “Un grande storico medievale ci ha avvertito: ogni potere ha i semi della propria fine. La nostra è iniziata deridendo e alienandoci dalle nostre radici"
Giulio Meotti
20 agosto 2021

https://meotti.substack.com/p/lestablis ... configgere

Traduco il lungo articolo pubblicato su Tablet dal celebre saggista e studioso Lee Smith, autore del libro “The Strong Horse: Power, Politics, and the Clash of Arab Civilizations”

Democratici e Repubblicani hanno ragione a incolparsi a vicenda per la caduta di Kabul. L'America ha perso la sua guerra in Afghanistan più di un decennio fa, più o meno nel periodo in cui gli ufficiali della CIA hanno iniziato a corrompere i signori della guerra con il Viagra. Gli americani sapevano tutto dei ragazzini che i capi tribù tenevano nei campi; ma poiché la droga sessuale aiutava gli anziani afghani a stuprare più ragazzi e sempre più spesso, questi erano obbligati a servire gli americani. Perdere l'Afghanistan era il minimo. Quando scegli di adottare le abitudini culturali di una coorte straniera, costumi per i quali gli anziani della tua stessa tribù ti ucciderebbero, hai perso la tua civiltà.

Eppure strateghi militari, esperti politici, corrispondenti stranieri e storici passeranno i prossimi decenni a chiedersi come una banda di membri delle tribù pashtun galvanizzati da una versione fondamentalista dell'Islam sia riuscita a sconfiggere l'esercito più avanzato del mondo. Ed è proprio questo il punto: il problema con l'establishment americano non è semplicemente che dopo 20 anni in Afghanistan non ha capito il paese o non ha previsto cosa avrebbero fatto i suoi avversari dopo il ritiro. Ancora più importante, la nostra classe dirigente è così alienata dalle proprie radici che non comprende più il carattere del paese che pretende di guidare e ciò che lo rende diverso, eccezionale. Le nostre élite hanno cercato di innestare gli effetti di una civiltà costruita da e per il proprio popolo - democrazia, forze armate e di polizia, scuole femminili - su una società primitiva che doveva essere corrotta per accettare ciò che noi offrivano.

Non c'è alcun mistero sul perché l'esperienza degli Stati Uniti in Afghanistan si sia conclusa con un fallimento, imbarazzo e scandalo. Né è un mistero il motivo per cui i talebani abbiano conquistato Kabul così rapidamente. Combattevano per il primato. La loro vittoria era predestinata.

Lo storico arabo medievale Ibn Khaldun spiega questa dinamica nel suo capolavoro del XIV secolo, Al Muqaddima. La storia, mostra, è una ripetizione dello stesso modello visto nel corso dei secoli: un gruppo di tribù nomadi capovolge una cultura sedentaria, una civiltà diventata debole e lussuosa. Ciò che guida il successo della tribù in ascesa è la solidarietà di gruppo, o assabiya. La sua consapevolezza di sé come popolo coerente con una spinta al primato è spesso aumentata dall'ideologia religiosa. Più forte è l'assabiya della tribù, più forte è il gruppo. Assimilando i vinti e imponendo loro la propria volontà e visione del mondo, il vincitore pone le basi di una nuova civiltà. Ma poiché, come scrive Ibn Khaldun, “l'obiettivo della civiltà è la cultura sedentaria e il lusso”, tutti i gruppi portano i semi della propria stessa fine.

E così la lotta ricomincia.

Nato a Tunisi nel 1332 da una famiglia benestante esiliata dalla Spagna islamica, Ibn Khaldun iniziò la sua carriera politica nella cosiddetta “età d'oro” della tolleranza interreligiosa. Fu imprigionato ed esiliato, subendo un destino simile al filosofo politico nato più di un secolo dopo al quale viene spesso paragonato, Niccolò Machiavelli. Una volta rilasciato, lo storico arabo viaggiò per il mondo islamico e cercò di guidare i governanti. Come il fiorentino, Ibn Khaldun scriveva per i principi.

Ibn Khaldun credeva che la padronanza della storia fosse una componente essenziale dell'arte dello statista, specie se il sovrano aveva l'inclinazione a governare con giustizia. Ma nessuno, nemmeno gli antichi Greci, aveva ancora spiegato come fosse realmente avvenuta la storia. Per comprendere veramente la storia, era necessario sviluppare una teoria della cultura, una spiegazione di come le società nascono e crescono, raggiungono l’apice, alla fine crollano e vengono sostituite.

Il contributo più importante di Ibn Khaldun alla teoria politica è stato quello di dimostrare che l’assabiya è il motore della storia. Con esso, la tribù più primitiva può rovesciare la più potente delle civiltà; senza di essa, un popolo appassirà nel deserto. Sono state le dure condizioni del deserto che hanno generato le tribù beduine e la convinzione ideologica, l'Islam, che li univa e che diede origine all'impero arabo, al suo apice uno dei più grandi della storia mondiale.

Ibn Khaldun ha mostrato che ogni istituzione dominante, quella che ha chiamato "autorità reale", alla fine farà cadere la casa sulla propria testa. Il lusso e la corruzione, che sono le conseguenze inevitabili della civiltà, sostituiscono i modi severi che hanno forgiato l'assabiya. E l'intenzione di distruggere la solidarietà di gruppo alza intenzionalmente la posta in gioco per il potere dominante.

Per la nostra élite, la caduta è iniziata durante la fine della presidenza di Bill Clinton, quando gli strateghi del Partito Democratico hanno iniziato una presa permanente sul potere grazie a intellettuali urbani, giovani donne single, maggioranze razziali ed etniche, comunità LGBT. Quella che viene descritta come una coalizione era in realtà un insieme di clienti con interessi diversi e talvolta opposti che potevano essere tenuti insieme solo alimentando un odio comune per la maggioranza: la classe media bianca.

Le élite razionalizzarono l’impoverimento della classe media bianca affermando che stavano morendo comunque. E quando il cuore dell'America non è morto abbastanza rapidamente, l'establishment si è riconosciuto come progressista definendo razziste le persone che vi vivevano. Essendo razzisti, si meritavano tutte le cose brutte che l'élite aveva deciso per loro. Così, scommettendo sul settarismo come via per il potere permanente, le élite americane hanno polarizzato gli Stati Uniti.

Le istituzioni che non facevano già parte dell'establishment di sinistra, come l'intrattenimento, l'accademia, i media, la politica estera e la burocrazia della sicurezza nazionale, sono state cooptate. Possedere tutte le istituzioni è segno di grande potere e demoralizza gli avversari. Quindi non c'era da sorprendersi che gran parte dell'establishment repubblicano si attaccasse all'élite emergente e rimodellasse le sue politiche. Prendi ad esempio George W. Bush: dopo l'11 settembre ha invaso due paesi musulmani per deterrenza, ma col tempo ha cambiato la missione per promuovere la democrazia in Medio Oriente, una teoria prediletta dagli accademici filo-palestinesi. Quando il senatore Mitt Romney ha marciato con Black Lives Matter e il generale Mark Milley ha sostenuto la “teoria critica della razza”, stavano semplicemente dimostrando di aver adottato i modi e il sistema di idee del potere dominante.

Il Partito Democratico ha disciplinato la folla settaria assicurandosi che appoggiasse tutte le iniziative senza fare domande. Inoltre, ha mantenuto la coalizione coerente concentrando la rabbia sul nemico interno, che si identificava ogni volta che metteva in discussione quelle iniziative. Ecco di nuovo i razzisti, che alzavano la loro brutta voce contro il progresso.

La retorica di Barack Obama è diventata sempre più fragile nel secondo mandato. Se non sei per i bagni trans, sei un transfobo. Se metti in discussione la saggezza di legittimare il programma di armi nucleari di uno stato terroristico, sei un guerrafondaio.

Visto da questa prospettiva, diventa chiaro che le nuove priorità in materia di sicurezza nazionale dell'Amministrazione Biden erano in lavorazione da molto tempo. L'assurda affermazione di Biden secondo cui le principali minacce del paese sono il "terrorismo interno", il "nazionalismo bianco" o chiunque si opponga ai blocchi sul Covid o metta in dubbio l'integrità delle elezioni, è il culmine di un progetto avviato dai Democratici 25 anni fa: la classe media bianca è il nemico.

È spaventoso vedere la leadership americana fare a pezzi l'America. Ma la lezione di Ibn Khaldun è che queste politiche distruttive sono semplicemente indicazioni che un ciclo che si è ripetuto attraverso i secoli è di nuovo in moto. Guardare la storia esplodere nella nostra linea temporale è terrificante, ma fa parte dell'ordine naturale delle società.

Le prove della decadenza dell'establishment sono ovunque si guardi: il ritiro dall'Afghanistan, la burocrazia della sanità pubblica sul Covid, il sessantesimo compleanno di Obama. Chi celebrerebbe pubblicamente la leadership di chi ha diviso una nazione? Solo un regime sradicato e delirante farebbe sfilare un assortimento di celebrità del mondo dello spettacolo e della politica per dimostrare la propria superiorità auto-arrogata di fronte a una nazione che ha mandato in bancarotta e deriso. Solo un'élite ubriaca.

Siamo parte della storia che si svolge davanti a noi. Ma per essere chiari, ciò a cui stiamo assistendo non è la fine dell'America. È la fine di questo particolare ramo della leadership americana.


Rastrellamenti, torture e omicidi "I filo occidentali rischiano la vita"
Caccia all'uomo: "Chi ha collaborato con Usa e Nato sarà punito". Amnesty: "Massacrati 9 hazari". Giustiziato il capo della polizia. Ucciso il familiare di un giornalista. La resistenza conquista tre distretti
Andrea Cuomo
21 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1629522510

Casa per casa, come i piazzisti della vendetta. A caccia dei militari dell'esercito governativo - che peraltro non ha opposto di fatto nessuna resistenza all'avanzata dei talebani -, dei funzionari che lavoravano nelle unità investigative del precedente governo, di coloro che in qualche modo avevano collaborato con i contingenti di occupazione, dei giornalisti. Chi viene trovato, peggio per lui. Chi invece è fuggito, peggio per i suoi familiari. Del resto i talebani, anche quelli 2.0 che alla fine non sembrano molto diversi da quelli di venti anni fa, se non per l'uso dei social, non hanno fretta. È uno dei loro motti: «Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo». Anche il tempo per trovare i loro nemici e regolare i conti.

La caccia all'uomo è partita quasi subito. Secondo un documento redatto dal Centro norvegese per le analisi globali (Rhipto), gruppo norvegese di intelligence che collabora con l'Onu, i talebani «hanno condotto una mappatura anticipata degli individui, prima ancora di prendere il controllo di tutte le principali città» e «stanno arrestando e/o minacciando di uccidere o arrestare i familiari di individui mirati, a meno che non si arrendano ai talebani» . Non solo, stanno reclutando nuovi informatori perché collaborino a trovare i loro nemici.

Nemici che del resto sono vivi. La resistenza contro i talebani rivendica la conquista di tre distretti nella provincia afghana di Baghlan: Pol-e-Hesar, Deh Salah e Banu. Secondo l'agenzia afghana Askava combattenti talebani sono stati feriti e uccisi e le Forze di Pubblica Resistenza guidate da Khair Muhammad Andarabi stanno avanzando verso altri distretti. loro nemici. La risposta dei miliziani - che hanno messo le mani sul tesoro Usa fatto di armi, di divise, di giubbotti antiproiettile e addirittura di mezzi blindati, aerei, elicotteri, visori notturni e droni militari - sta tra l'altro in un agguato contro due parenti di un giornalista di nazionalità presumibilmente afghana che collaborava con il quotidiano tedesco Deutsche Welle, che è riuscito a riparare in Germania: uno è stato ucciso, l'altro ferito in modo grave. Altri membri della famiglia del reporter sono riusciti a fuggire in extremis mentre i talebani andavano di porta in porta per catturarli. Anche altri giornalisti, alla faccia dello sbandierato rispetto della libertà di stampa, sarebbero già finiti nelle grinfie dei talebani: Nematullah Hemat, di Ghargasht TV, sarebbe stato rapito dai talebani e, secondo fonti governative, il responsabile dell'emittente radiofonica Paktia Ghag sarebbe stato ucciso a colpi di arma da fuoco. I talebani hanno anche giustiziato a Herat nei giorni scorsi Haji Mullah Achakzai, capo della polizia della provincia di Badghis. L'esecuzione del poliziotto, ucciso in ginocchio e bendato, sarebbe documentata da un video la cui veridicità sarebbe stata confermata. E diversi funzionari del governo afgano precedentemente in carica sono stati arrestati dai talebani, come l'ex governatore di Laghman, Abdul Wali Wahidzai. E Amnesty International denuncia che a luglio i talebani hanno massacrato nel villaggio di Mundarakht, nella provincia di Ghazni, nel Sud-Est del Paese, nove uomini di etnia hazara, sciiti molto invisi ai miliziani sunniti.

A Kabul l'atmosfera è di quieta tensione. In un tweet il corrispondente della Bbc Secunder Kermani racconta quello che ha visto in un mercato della capitale: «L'atmosfera è calma ma i commercianti dicono che c'è in giro molta meno gente che nei giorni normali, soprattutto donne. Dicono che molti residenti sono in ansia e per il momento preferiscono stare a casa». Una studentessa racconta alla Bbc il suo avvilimento: «Ho bruciato tutti i libri e i documenti dell'Uuniversità. Ho disattivato i miei account sui social media, mi è stato detto che i talebani controllano i post e ci trovano attraverso di loro. Come ragazza e anche come minoranza Hazara, non c'è spazio per me nel mio Paese».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:41 pm

I demenziali comunisti del Manifesto

Da tempo l’Occidente è amico dei peggiori talebani del mondo | il manifesto
Alberto Negri
21 agosto 2021

https://ilmanifesto.it/da-tempo-loccide ... Kw7O212Dsw

Siamo tutti talebani? Nel senso che da tempo l’Occidente è amico dei peggiori talebani del mondo? Pare di sì. Gli Usa, la Nato, l’Italia, vendono armi e lisciano il pelo a monarchie assolute e oscurantiste come l’Arabia Saudita. Mohammed bin Salman tortura e fa a pezzi un giornalista, Renzi si fa pagare da lui e lo definisce un “principe del rinascimento”. In fondo siamo tutti talebani, basta che paghino.
Sarebbe ora che ci dicessimo in faccia la verità: i talebani li abbiamo voluti noi occidentali con i nostri alleati arabi, quelli ricchi beninteso, dei poveracci non sappiamo che farcene.

L’ossessione del comunismo un tempo era tale che gli Usa e l’Occidente avrebbero fatto carte false pur di far fuori Mosca. La jihad in Afghanistan l’abbiamo fomentata e sostenuta negli anni Ottanta per sconfiggere i sovietici. Gli arabi pagavano i mujaheddin, il Pakistan ospitava i gruppi radicali, gli Stati Uniti dirigevano le danze.

ALL’EPOCA Osama bin Laden era un alleato benemerito perché la sua famiglia finanziava la guerriglia contro l’Urss: la società di costruzioni Bin Laden, di cui gli americani erano soci, forniva, tra l’altro, le scavatrici per costruire i tunnel che proteggevano i combattenti dai raid aerei di Mosca. Gli stessi tunnel che poi Bin Laden ha usato insieme ai talebani del Mullah Omar, per addestrare gli attentatori dell’11 settembre 2001, quasi tutti sauditi, e da cui è fuggito in Pakistan dove è stato ucciso nel maggio 2010.

Per abbattere l’Urss, gli Usa e gli arabi del Golfo hanno pagato un’intera generazione di combattenti che affluivano da tutto il mondo musulmano. Per colpire gli aerei la Cia aveva fornito ai mujaheddin i missili Stinger, un’arma tra le più efficaci in circolazione. Questi combattenti avrebbero poi costituito battaglioni di terroristi che hanno destabilizzato il Medio Oriente e poi colpito anche in Europa. Il problema è cominciato quando l’Unione sovietica si è ritirata dall’Afghanistan nell’89. Gli Usa e gli occidentali abbandonarono – more solito – il Paese al suo destino e i jihadisti si sentirono traditi: avevano abbattuto i comunisti e ora gli americani voltavano le spalle. È così che i nostri alleati afghani, definiti sui media occidentali «combattenti della libertà», si sono trasformati in nemici.

I talebani sono gli eredi di questa storia. Con una notazione: per prendere il potere negli anni Novanta a Kabul avevano bisogno dell’aiuto del Pakistan e a organizzare la loro ascesa fu il governo di Benazir Bhutto, acclamata in Occidente come un’eroina e poi uccisa in un attentato nel 2007. Non dobbiamo stupirci: l’Afghanistan da sempre viene considerato da Islamabad essenziale alla «profondità strategica» del Pakistan. I generali pakistani erano legati a Bin Laden, che distribuiva soldi a tutti, e molti della «lista nera» di Washington stavano tranquillamente in Pakistan. Non è un caso che Bin Laden sia stato ucciso nella città pakistana di Abbottabad nel 2011 dove è stato latitante per un decennio.

OGGI LA STORIA si ripete. L’Emiro dei talebani Akhunzadah, il vero capo del movimento, dirige anche una manciata di moschee e di scuole coraniche in Pakistan. Il Mullah Baradar venne arrestato nel 2010 in Pakistan e nel 2018 sono stati proprio gli americani a richiederne ufficialmente la scarcerazione. Era con lui che volevano trattare.

Dopo otto anni di training Baradar ha imparato la lezione: se fai il bravo con Washington, a casa tua puoi comportarti come ti pare. Altro che esportazione della democrazia. Basta vedere i sauditi, una monarchia assoluta totale, che non lascia uscire di casa le donne, le quali non possono viaggiare senza il consenso del marito – sempre ovviamente velate dalla testa ai piedi – ma siccome sono i migliori clienti di armi americane e sostengono il complesso militare-industriale Usa possono fare quello che vogliono.

Noi alle monarchie assolute del Golfo non andiamo mai a chiedere conto dei diritti umani, di quelli delle donne o delle minoranze, lasciamo che mettano in galera giornalisti e oppositori senza fare una piega perché ci pagano profumatamente. Siamo degli ipocriti senza vergogna: capaci persino, come ha fatto quel Renzi, di lodare Mohammed bin Salman, il principe saudita che ha fatto torturare e tagliare a pezzi il giornalista Jamal Khashoggi, colpevole di averlo criticato sui giornali.

I nostri amici arabi sono come i talebani ma noi stiamo zitti e muti perché ci pagano. Anzi siccome sono anche nel G-20, come l’Arabia saudita, Draghi ha detto che chiederà loro consiglio su come fare pressione sui talebani. Sembra una parodia: domandiamo a dei truculenti oscurantisti di diventare i paladini dei diritti delle donne e della libertà di opinione.

QUINDI OGGI non ci deve fare troppo schifo anche il Mullah Baradar. È stato lui a firmare gli accordi Doha e a stringere la mano davanti alle telecamere al segretario di stato Mike Pompeo. Sia l’Emiro Akunzadah che il suo vice Baradar da giovani sono stati combattenti anti-sovietici. Akunzadah tra l’altro è cognato del Mullah Omar e nel suo staff lavora anche Yakoob, il figlio del Mullah fondatore dei talebani, deceduto qualche anno fa – guarda caso – in un ospedale pakistano a Karachi. Insomma questa è anche una foto di famiglia, della loro come della nostra. Se Baradar e il suo capo fanno i bravi ragazzi, impantanando cinesi, russi e iraniani in Afghanistan, riapriremo le ambasciate a Kabul con la scusa che dobbiamo proteggere i diritti umani e delle donne. In fondo «siamo» tutti talebani.


Guerra tra correnti talebane per comandare il governo. L'Ue: nessun riconoscimento
Gian Micalessin
22 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 70388.html

Arrivati a Kabul i leader più estremisti. Ma senza un giorno "inclusivo" a rischio legittimazione e fondi internazionali.

Meglio i soldi della comunità internazionale o una zelante adesione ai principi del defunto Mullah Omar? Davanti questo bivio anche la travolgente vittoria dei talebani sembra esitare. E la formazione del governo chiamato a guidare il nuovo Emirato Islamico diventa il nodo della discordia capace di esporre le divisioni interne del movimento. Un movimento dove, beninteso, non esistono agnelli, ma soltanto interessi di potere confliggenti.

Quelli innanzitutto del 61enne emiro Hibatullah Akhundzada, dal 2016 leader spirituale del movimento con il titolo di «comandante dei fedeli» ereditato dal defunto mullah Omar. Da questo fanatico islamista, a cui il capo di Al Qaida Ayman Zawahiri, dedicò all'indomani della nomina una «bay'a», ovvero un giuramento di fedeltà, è difficile attendersi concessioni. Legato a doppio filo al Pakistan, da dove non è mai uscito, è il punto di riferimento di quei talebani duri e puri decisi a liquidare come un tradimento sia un' intesa con gli esponenti del deposto regime, sia un emirato dove il potere non sia nelle mani di una magistratura islamista di rigida ispirazione talebana. E l'arrivo a Kabul, con il compito di garantire la sicurezza, di Kalil Haqqani, uno dei «padrini» di quel clan familiare degli Haqqani collegato ad Al Qaida e grande intermediario tutti gli affari e traffici alla frontiera con il Pakistan, è un altro segnale. Attraverso di lui l'ala dura talebana, manovrata in parte dai servizi segreti di Islamabad, si prepara a indirizzare i negoziati per la formazione del nuovo esecutivo.

Proprio per questo la nascita di un presunto governo «inclusivo» sotto la presidenza del numero due talebano Mullah Abdul Ghani Baradar con la presenza, irrilevante, di qualche «badogliano» come l'ex presidente Hamid Karzai o il negoziatore tagiko Abdullah Abdullah non è affatto scontata. Questo non significa che il candidato alla presidenza sia un moderato. Amico d'infanzia di un Mullah Omar che lo soprannominò Baradar, ovvero «fratello», Mullah Abdul Ghani è stato uno dei quattro fondatori del movimento nel 1994 per diventare, nel 2018, il protagonista indiscusso delle trattative sul ritiro con gli americani. Ma Baradar può anche contare sull'appoggio di potenze come la Cina o di plutocrazie islamiste come quel Qatar che non ha esitato ad allestirgli un aereo militare farlo arrivare da Doha a Kandahar all'indomani della caduta di Kabul.

Ma proprio questo punto rischia di far saltare il banco talebano. Senza un governo inclusivo, come ribadiscono sia la Commissaria dell'Unione Europea Ursula von der Leyen, sia il Segretario di Stato americano Antony Blinken, sia il premier inglese Boris Johnson l'Emirato non otterrà alcun riconoscimento. «Nessun riconoscimento dei talebani, chi nega i diritti non avrà un euro», ha detto ieri la presidente dell'europarlamento. Senza quel riconoscimento, oltre a venir cancellati i 450 milioni di dollari di aiuti del Fondo Monetario Internazionale erogabili dal 23 agosto, verrà bloccato anche l'accesso ai 9 miliardi di dollari di riserve valutarie depositate presso la Federal Reserve di New York. Ma i 36 milioni di afghani rimasti nel paese non vivono, più come nel 1996, con meno di un dollaro al giorno. E gli stessi talebani hanno abbandonato l'austerità delle origini per convertirsi alla rete e ai telefonini. Dunque mandar avanti il paese potrebbe non essere facile. Anche perché gli attuali 8 miliardi annui d'importazioni , i talebani contrappongono, secondo le stime Onu, un fatturato, basato su traffici di oppio, estorsioni, rapimenti e attività criminali che va dai 300 milioni al miliardo e 600 milioni di dollari annui. Un po' poco per sfamare il paese. Anche con l'aiuto di Allah, dei petroldollari del Qatar e la svendita a Pechino di tutte le risorse minerarie.



Afghanistan, talebani vietano classi miste in università Herat
21 agosto 2021

https://www.affaritaliani.it/esteri/afg ... 54479.html

Nelle università pubbliche e private della provincia di Herat, nell'Afghanistan occidentale, non sarà più permesso alle ragazze frequentare classi miste. Lo hanno ordinato i Talebani nella loro "prima fatwa", come riporta l'agenzia di stampa 'Khaama'.

Al termine di un incontro di tre ore tra docenti universitari, titolari di istituzioni private e funzionari Talebani, questi ultimi hanno sostenuto che non c'è giustificazione per continuare con le classi miste e ne hanno ordinato lo stop.

I docenti della provincia hanno ribattuto che le università e gli istituti governativi sono in grado di gestire classi separate, mentre a causa del basso numero di studentesse gli istituti privati non possono permettersi di creare aule solo per ragazze.

Il mullah Farid, capo dell'istruzione superiore dell'Emirato islamico afghano, che rappresentava i Talebani, ha sostenuto che la co-educazione deve cessare subito perché questo sistema è "la radice di tutti i mali nella società". Farid, prosegue l'agenzia, in alternativa ha suggerito che docenti di sesso femminile e uomini anziani "virtuosi" possano insegnare alle studentesse. I docenti della provincia di HERAT hanno denunciato che, poiché le istituzioni private non possono permettersi classi separate, migliaia di ragazze potrebbero essere private dell'istruzione superiore.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:41 pm

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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:41 pm

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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:41 pm

4)
Migranti, profughi e clandestini afgani, no grazie, arrangiatevi!
Non sta a noi combattere e morire per gli afgani e accogliere e mantenere chi non combatte per la sua libertà, la sua dignità, la sua vita contro il male nazi maomettano.
Se non combattono i talebani significache condividono con i talebani l'inciviltà idolatra islamica e la sua sharia.




Il presidente degli Stati Uniti: "America non combatte una guerra civile che l'esercito afghano non vuole combattere"
Biden: "Basta sacrificare soldati Usa per Afghanistan"

16 agosto 2021

https://www.adnkronos.com/afghanistan-b ... YLpCwvjTu1

"È sbagliato chiedere ai soldati americani di combattere una guerra civile che l'esercito afghano non vuole combattere. Quante altre vite, vite americane, dovremmo sacrificare? Sarò chiaro nella mia risposta, non ripeterò gli errori del passato: restare e combattere indefinitamente non è nell'interesse nazionale degli Stati Uniti". Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, dalla Casa Bianca prende la parola sull'Afghanistan, controllato ora dai talebani. Biden ritiene corretta la decisione di ritirare le truppe dal paese asiatico. " La nostra missione in Afghanistan non ha mai mirato a costruire una nazione. Non era previsto che creassimo una democrazia centralizzata e unita. Il nostro unico interesse rimane quello che è sempre stato: evitare un attacco terroristico sul suolo americano. Siamo andati in Afghanistan quasi 20 anni fa con obiettivi chiari: colpire chi ci aveva attaccato l'11 settembre 2001 e asssicurarci che al Qaida non usasse l'Afghanistan come base. Lo abbiamo fatto. Non abbiamo mai smesso di dare la caccia a Bin Laden e lo abbiamo ucciso, dieci anni", aggiunge.

"Quando ho assunto l'incarico, ho ereditato l'accordo negoziato dal presidente Trump con i talebani: le forze americane avrebbero dovuto lasciare l'Afghanistan il primo maggio 2021, 3 mesi dopo il mio insediamento. Le forze americane erano state già ridotte durante l'amministrazione Trump. La scelta che ho dovuto fare da presidente era rispettare l'accordo o prepararmi a combattere i talebani: non ci sarebbe stato nessun cessate il fuoco dopo il primo maggio, non ci sarebbe stato nessun accordo per proteggere i nostri militari dopo il primo maggio, nessuna stabilità senza vittime americane dopo il primo maggio. Si trattava di rispettare l'accordo e arrivare ad un'escalation del conflitto, mandando migliaia di americani in Afghanistan per una guerra che sarebbe entrata nel terzo decennio", aggiunge il presidente degli Stati Uniti.

"Non cambio assolutamente idea rispetto alla mia decisione. Dopo 20 anni, ho imparato che non è mai il momento giusto per ritirare i soldati americani", dice prima di puntare il dito contro "i leader politici dell'Afghanistan" che "hanno lasciato il paese. L'esercito afghano è collassato. I soldati americani non possono e non devono combattere e morire per una guerra che le forze afghane non vogliono combattere. Abbiamo speso oltre un trilione di dollari per addestrare e armare le forze afghane, incredibilmente equipaggiate e più numerose degli eserciti di molti nostri alleati Nato: gli abbiamo dato ogni strumento, abbiamo pagato i loro stipendi, abbiamo garantito l'efficacia della loro aviazione, qualcosa che i talebani non hanno. Non abbiamo potuto dar loro la volontà di combattere per il loro futuro", afferma Biden.

"È sbagliato chiedere ai soldati americani ciò che gli afghani non farebbero. La presenza di soldati americani non farebbe differenza per un anno, 5 anni o 20 anni" se le forze armate afghane non sono disposte a combattere. "Quante altre generazioni di figli e figlie americane avrei dovuto mandare per combattere la guerra civile afghana quando l'esercito afghano non vuole combatterla? Quante vite americane" bisogna sacrificare? "Io non ripeterò errori fatti in passato, con guerre combattute all'infinito" senza che ci fosse "un interesse americano" in gioco.

Quindi, il messaggio ai talebani: "Difenderemo il nostro popolo con forza devastante, se necessario", dice Biden, assicurando che Washington risponderà in modo "veloce e potente" se i talebani attaccheranno cittadini americani o cercheranno di interrompere il ponte aereo dall'aeroporto di Kabul.



Afghanistan, profughi: i primi sbarchi nel Salento
Lunedì 16 Agosto 2021

https://www.ilmessaggero.it/italia/prof ... 40782.html

Fuga dall'Afghanistan conquistato dai talebani: i primi profughi sbarcano in Salento. Nella notte di Ferragosto uno sbarco ha interessato il Salento. Un’imbarcazione a meno di 11 miglia dalla costa è stata intercettata poco prima della mezzanotte, fra sabato e domenica, al largo del litorale di Tricase dai finanzieri della sezione navale e dai militari della guardia costiera. A bordo, 16 cittadini stranieri, tra i quali anche cinque bambini scortati dai militari fin nel porto di Santa Maria di Leuca, dove ad attenderli c'erano sia gli operatori del 118 che i volontari della Croce rossa italiana. Fra i 16, tre famiglie provenienti dal neonato Emirato Islamico, in fuga dai talebani che ieri hanno preso Kabul. Identificati dalle fiamme gialle, sono stati tutti sottoposti ai controlli sanitari e agli screening per il Covid, per poi essere scortati fino al centro di accoglienza intitolato a don Tonino Bello, a Otranto. Il barcone è stato sequestrato su ordine della Procura. Presenti anche gli agenti di polizia del commissariato di Taurisano. Immediatamente prima, altri 62 migranti avevano raggiunto le coste salentine su un'imbarcazione di fortuna, approdando a Gallipoli: anche fra loro, bambini piccoli e donne incinte.



Afghanistan, Pd chiede corridoi umanitari per i profughi: “Non possiamo semplicemente andar via”
Annalisa Cangemi
16 agosto 2021

https://www.fanpage.it/politica/afghani ... andar-via/

Il Pd chiede all’Europa corridoi umanitari per i profughi. La portavoce della Conferenza delle donne del Pd Cecilia D’Elia a Fanpage.it: “Garantire protezione internazionale alle cittadine e ai cittadini che si sono anche fidati di noi in questi anni, hanno collaborato con noi. Non possiamo semplicemente andarcene, abbiamo una responsabilità”.

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Il Pd propone l'attivazione immediata di corridoi umanitari. Gli eurodeputati dem hanno scritto alla presidente della Commissione Ue Von der Leyen, al presidente del Consiglio europeo Charles Michel e all'Alto rappresentante Josep Borrell per chiedere un Consiglio Ue straordinario, per aiutare i profughi in fuga dall'Afghanistan, ormai in mano ai talebani, dopo il ritiro delle forze Usa e Nato. In particolare donne, bambini e minoranze invise al regime integralista sono le categorie più in pericolo.

Da parte del presidente del Consiglio Draghi è arrivata una rassicurazione sull'impegno dell'Italia, che lavorerà insieme ai partner europei per "proteggere i cittadini afghani che hanno collaborato con la nostra missione" e "per una soluzione della crisi, che tuteli i diritti umani, e in particolare quelli delle donne". Mentre a livello europeo ci sono Paesi, come l'Austria, intenzionati a mantenere la linea dura sui rimpatri dei cittadini afghani, l'Italia è tra i primi Paesi a chiedere corridoi umanitari, chiedendo all'Europa di schierarsi apertamente per la protezione internazionale e per offrire asilo ai cittadini afghani che lo chiedono, bloccando le espulsioni.

"L'Europa deve assumere un ruolo decisivo, insieme alla comunità internazionale, davanti alla riconquista dell'Afghanistan da parte dei talebani, con le terribili conseguenze interne al Paese e quelle esterne sull'assetto della regione e degli equilibri internazionali", si legge nel testo della lettera della delegazione Pd in Europa. "Vi chiediamo pertanto una azione decisa e coraggiosa, forte nell'emergenza di queste ore e lungimirante per il futuro di quel Paese e di quella regione (…) L'Europa non può essere inerte o pavida. Chiediamo un'iniziativa politica immediata, più ampia dell'intervento di evacuazione in atto, perché si abbia una risposta comune europea, convocando immediatamente un Consiglio europeo straordinario" e mettendo in campo "una proposta per creare canali di accesso e corridoi umanitari, con una particolare priorità per le donne, i minori e le famiglie".

Cecilia D'Elia, portavoce della Conferenza delle donne del Pd e componente della Segreteria, contattata da Fanpage.it, è convinta che la proposta non cadrà nel vuoto, vista anche la forte presa di posizione di Palazzo Chigi: "Anche il ministro Guerini ha detto che il volo che oggi ha riportato in Italia 70 persone, tra personale diplomatico e cittadini afghani che hanno collaborato con il contingente italiano, non sarà l'unico, ce ne saranno altri. Sicuramente altre persone saranno trasferite in Italia con un ponte aereo. Noi come Conferenza delle democratiche e come Pd viviamo ore di grande sgomento, per quello che può succedere e per questo disastro politico e umanitario".

"La prima preoccupazione – ha detto D'Elia a Fanpage.it – è quella di garantire protezione internazionale alle cittadine e ai cittadini che si sono anche fidati di noi in questi anni, hanno collaborato con noi, partecipando a percorsi di empowerment, anche sul tema della violenza contro le donne. Non possiamo semplicemente andarcene, abbiamo una responsabilità. Sono sopraffatta dalle telefonate di militanti che mi chiedono ‘che possiamo fare?'. Noi chiediamo all'Italia e all'Europa una riunione urgente, perché l'Ue abbia un ruolo importante in questa fase, di garanzia di corridoi umanitari, di protezione internazionale, e di investimento nella società civile, per chi rimane. Poi si tratterà anche di riflettere sugli errori fatti". Il segretario del Partito Democratico Enrico Letta lo ha detto molto chiaramente, con un tweet: "La fuga da Kabul e il dramma di un popolo. Un ventennio di scelte sbagliate di cui anche noi purtroppo siamo stati parte. L’Occidente esce a pezzi. E siamo solo all’inizio nel conto dei disastri".

"Nell'immediatezza noi dobbiamo dare soccorso e solidarietà – ha aggiunto D'Elia – Ma vorrei segnalare anche una grande offerta di disponibilità da parte di donne italiane, che si dicono pronte ad accogliere spontaneamente donne afghane, se dovessero arrivare. Lasciare militarmente quel luogo non significa lasciarlo totalmente, perché anche per avere i corridoi umanitari bisogna fare dei ponti, e quindi serve una presenza lì che li possa garantire".

A proposito della condizione delle donne i talebani hanno annunciato una svolta (purtroppo già smentita da diverse testimonianze): nel nuovo Emirato islamico alle donne sarà permesso di lavorare, andare a scuola, uscire di casa da sole. "C'è una storia e un'esperienza che ci dice il contrario, su questo bisognerà vigilare – ha detto D'Elia – ma sopratutto in questo momento dobbiamo aiutare chi chiede di andare via, chi può essere esposte a ritorsioni da parte dei talebani, per aver lavorato per i diritti delle persone: le donne in primis, ma anche la comunità LGBT+, giornalisti, insegnanti, studenti, operatori sanitari. La situazione è ancora confusa, è stato un vero e proprio collasso".


Alberto Pento
Migranti, profughi e clandestini afgani, no grazie, arrangiatevi!
Non sta a noi combattere e morire per gli afgani e accogliere e mantenere chi non combatte per la sua libertà, la sua dignità, la sua vita contro il male nazi maomettano.
Se taluni afgani non combattono i talebani significa che condividono con loro l'inciviltà idolatra islamica e la sua sharia. Quindi chi è causa del suo mal si arrangi, specialmente se riconosce e considera come il bene politico-religioso ciò che è causa del suo mal.

Non portiamoci la morte in casa e parassiti da mantenere che ci mancano di rispetto e che magari ci vogliono imporre la loro idolatria infernale da cui sono fuggiti.



Profughi armati di spranghe contro i cittadini
di E.B.
Martedì 6 Giugno 2017

http://www.ilgazzettino.it/nordest/trie ... 86437.html

TRIESTE - Attimi di panico e tensione ieri sera, attorno alle 20, nell'area del Silos accanto alla Stazione ferroviaria. Un gruppo di cittadini in sopralluogo, su iniziativa di "Stop prima Trieste" e "Noi nazionalisti forconi", ha rischiato di essere aggredito da alcuni profughi, che stazionano nei capannoni fatiscenti, armati di spranghe metalliche. Gli stanieri, tra offese e minacce in un clima particolarmente acceso e minaccioso, hanno cercato di allontanare i triestini, tra cui due donne gridando "Qui è Kabul, non Italia" e ancora "Italia di m..." hanno ripetuto più volte. «Questa è casa nostra, non Kabul» hanno risposto Marco Prelz, Giacomo Sturnioloe Antonio Carrese.

«Non siamo qui per fare ronde o manifestazioni - spiega in diretta sul posto Sturniolo - ma da privati cittadini, Caritas e Ics sono tanto bravi nel parlare di umanità nell'accogliere le persone mentre qui cè un albergo a cielo aperto, volevamo parlare con un gruppetto e il risultato, dopo dieci minuti, è che stavano venendo alle mani». A fargli eco è Prelz: «Cinque ragazzi ci hanno affrontato con delle spranghe dicendo "Qui non è Italia, questo è Kabul", non è ammissibile perchè significa che lo Stato ha fallito. Hanno anche tentato di colpire le due donne della comitiva - prosegue - non vogliono aiuto, sono volgari e offensivi». Se la situazione non è degenerata è perchè ad un certo punto sono state chiamate le volanti della Polizia che hanno raccolto le testimonianze sull'accaduto: «Hanno tentato - riferisce ancora Prelz - di toglierci i cellulari dalle mani e di darmi un pugno in faccia ma alla vista dei poliziotti si sono allontanati e nascosti, ormai hanno ghetizzato l'area».



Richiedente asilo afghano cerca di spingere una ragazza tedesca di 12 anni davanti a un treno in arrivo perché rideva
16 agosto 2021

https://www.islamnograzie.com/richieden ... he-rideva/

Le ragazze avevano una paura mortale.

Accuse contro l’afghano di 30 anni, che ha aggredito violentemente due ragazze di 12 e 13 anni alla fermata dell’autobus Schwerin-Mitte il 14 maggio – per aggressione, coercizione e danneggiamento di proprietà.
“Tuttavia, la prima accusa di tentato omicidio colposo è stata ritirata”, ha detto il procuratore Jörg Ebert. L’intenzione di uccidere non poteva essere provata. Tuttavia, c’è ancora il rischio di fuga, quindi il sospetto rimane in custodia.
Il richiedente asilo – con un permesso di soggiorno temporaneo e senza indirizzo permanente – ha detto agli investigatori di essersi sentito insultato dalle due ragazze e quindi di aver “voluto spaventarle”.
Secondo la procura, però, non si sa nulla di un grave insulto avvenuto prima. A quanto pare, l’afghano era arrabbiato per un sussurro, una risata o certi sguardi.
L’afghano aveva afferrato la ragazza di 12 anni dalla panchina della stazione sopra una linea di sicurezza sulla banchina in direzione di un treno merci di passaggio. La ragazza è stata in grado di reagire con l’aiuto della sua amica e alla fine liberarsi. La studentessa è rimasta ferita. La giacca e i pantaloni sono stati strappati durante la lotta.
Un testimone ha subito chiamato la polizia. L’afghano è stato poi arrestato vicino alla scena del crimine.


Aggressioni dai migranti: ad Amberga arrivano le ronde dell'estrema destra
Alessandra Benignetti - Gio, 03/01/2019

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/agg ... 23951.html

Dopo la rissa scatenata sabato scorso da quattro richiedenti asilo, in cui sono rimaste ferite dodici persone, nella cittadina bavarese di Amberga sono arrivate le ronde dell'estrema destra

Amberga, cittadina tedesca della Baviera, rischia di trasformarsi in una nuova Chemnitz.

Ad infiammare il dibattito politico, e non solo, è un nuovo episodio di cronaca che ha come protagonisti quattro richiedenti asilo di origine afghana e iraniana, che sabato scorso, in preda ai fumi dell’alcol, avrebbero aggredito una dozzina di persone in strada.

Un episodio che ha scatenato un putiferio nell'opinione pubblica, assieme ad una ridda di polemiche nei confronti delle autorità federali, accusate di “lassismo”, nonostante la stretta anti-migranti proposta nelle scorse settimane dal ministro dell’Interno, Horst Seehofer. E così, dopo l’ultima violenza, c’è chi ha optato per il fai-da-te. Il partito di estrema destra Npd ha deciso, infatti, di creare delle pattuglie di autodifesa. Dei veri e propri “vigilantes”, che si sono mobilitato per controllare le strade della città, con tanto di gilet rossi e distintivo con il logo del movimento.

Le ronde si sono spinte fino ad un centro di accoglienza della città, con l'obiettivo di “creare zone sicure”. Questo il motto impresso sulle divise indossate dagli stessi attivisti, che sui social network hanno pubblicato le foto dei pattugliamenti. Foto che hanno “scioccato” il sindaco di Amberga, Michael Cerny, esponente della Csu, l’ala bavarese del partito della cancelliera tedesca, Angela Merkel. “Posso capire l'insicurezza di parte della popolazione, ma l'odio e le minacce di violenza ai quattro angoli del Paese sono veramente troppo”, ha commentato il primo cittadino, che all’indomani dell’aggressione ad opera dei quattro cittadini stranieri non aveva lesinato critiche nei confronti del governo tedesco, accusando la Merkel e Seehofer di aver accolto nel Paese “gente che odia la Germania”.

I quattro richiedenti asilo, tutti di età compresa tra i 17 e i 19 anni, sono stati arrestati dalla polizia. Nella rissa, che secondo le prime ricostruzioni sarebbe stata scatenata per futili motivi, sono rimaste ferite dodici persone. Il più grave è un ragazzo di 17 anni che è stato soccorso dai sanitari per una lesione alla testa. Un episodio, quello di Amberga, che nonostante le condanne arrivate da Berlino, ha infiammato nuovamente il dibattito sulla gestione dei flussi migratori in Germania. Tre dei quattro sospettati, infatti, si trovavano nel Paese nonostante fosse stata rifiutata loro la richiesta di protezione internazionale.

Il ministro dell’Interno Seehofer ha promesso che, se giudicati colpevoli, i quattro sospettati dovranno scontare la loro condanna “nei Paesi d’origine”. Parole che però non sembrano essere servite a placare gli animi.


L'epidemia di stupri commessi dai migranti raggiunge l'Austria
di Soeren Kern
14 maggio 2016
Pezzo in lingua originale inglese: Migrant Rape Epidemic Reaches Austria
Traduzioni di Angelita La Spada

http://it.gatestoneinstitute.org/8034/a ... i-migranti

Un richiedente asilo iracheno di 20 anni ha confessato di aver stuprato un ragazzino di 10 anni in una piscina pubblica di Vienna. Il giovane ha detto che lo stupro è stata "un'emergenza sessuale" per "un eccesso di energia sessuale".

Chi osa collegare la spirale di crimini all'immigrazione di massa musulmana viene messo a tacere dai guardiani del multiculturalismo austriaco.

Secondo i dati raccolti dal Ministero dell'Interno austriaco, a Vienna, quasi un richiedente asilo su tre è accusato di aver commesso reati nel 2015. Le bande di nordafricani che si contendono il controllo del traffico di droga sono responsabili di circa la metà dei 15.828 crimini violenti – stupri, rapine, accoltellamenti e aggressioni – denunciati in città nel 2015.

Nel 2015, l'Austria ha ricevuto 90.000 richieste di asilo, collocandosi al secondo posto tra i paesi nell'Unione Europea per numero di richieste su base pro capite, ma questa cifra è irrisoria in confronto a ciò che l'attende. Il ministro dell'Interno Wolfgang Sobotka ha dichiarato il mese scorso che fino a un milione di migranti sono pronti a partire dalla Libia per raggiungere l'Europa attraverso il Mediterraneo.

Il brutale stupro di gruppo di una donna commesso da tre richiedenti asilo afgani nel centro di Vienna, il 22 aprile scorso, ha scioccato l'opinione pubblica austriaca e richiamato l'attenzione su un aumento di stupri, aggressioni sessuali e altri reati perpetrati in tutto il paese.

L'ondata di crimini commessi dai migranti si verifica nel momento in cui il Partito della Libertà (Fpoe), contrario all'immigrazione, trionfa nei sondaggi. Il suo candidato, Norbert Hofer, il 24 aprile, ha vinto il primo turno delle presidenziali in Austria e potrebbe anche vincere al ballottaggio del prossimo 22 maggio.

I tre migranti – due di 16 anni e uno di 17 – hanno seguito la giovane donna, una studentessa di 21 anni che partecipa a un programma di scambio, nei bagni pubblici della stazione ferroviaria di Praterstern, uno dei principali nodi di trasporto di Vienna. E lì, mentre uno dei giovani la teneva ferma, gli altri due l'hanno violentata a turno.

Un passante ha chiamato la polizia dopo aver sentito le urla della ragazza. Ma all'arrivo degli agenti, i tre se n'erano già andati. Sono stati poi arrestati mentre cercavano di lasciare la stazione. Non parlando il tedesco, attraverso un interprete i migranti hanno raccontato che erano ubriachi e di non ricordare di aver commesso un crimine.

Se condannati, essi rischiano una pena massima di sette anni e mezzo di carcere. Secondo gli osservatori locali, vista la natura indulgente del sistema giudiziario austriaco, i tre possono finire per passare solo due anni dietro le sbarre.

È anche improbabile che i migranti vengano espulsi: secondo la legge europea, mandarli in Afghanistan sarebbe una violazione dei loro diritti umani. Piuttosto, gli osservatori dicono che gli afgani beneficeranno delle prestazioni di previdenza sociale – 830 euro (950 dollari) al mese più l'assistenza sanitaria gratuita – e probabilmente per il resto della loro vita saranno assistiti dallo Stato austriaco.

Lo stupro alla stazione di Praterstern è solo uno dei numerosi reati a sfondo sessuale commessi dai migranti in Austria (altri casi di violenze e aggressioni sessuali perpetrate dai migranti sono riportati nell'appendice qui di seguito all'articolo):

Un richiedente asilo iracheno di 20 anni ha confessato di aver stuprato un ragazzino di 10 anni in una piscina pubblica di Vienna. L'uomo ha detto che lo stupro è stata "un'emergenza sessuale" per "un eccesso di energia sessuale". L'aggressore, che ha lasciato in Iraq la moglie e il figlio, ha raccontato di non essere stato in grado di controllare la sua libido perché non aveva avuto rapporti sessuali dal suo arrivo in Austria, avvenuto a settembre.

Un profugo afgano di 18 anni è stato condannato a 20 mesi di carcere per aver violentato una donna di 72 anni a Traiskirchen. "Prima l'ha riempita di lividi, poi l'ha stuprata e le ha sottratto la biancheria intima come trofeo", ha detto la polizia locale. Oltre ad aver avuto una sentenza clemente, all'uomo sarà permesso di rimanere in Austria e una volta uscito di prigione potrà beneficiare delle prestazioni socio-assistenziali.

Un richiedente asilo afgano di 20 anni è stato arrestato dopo aver costretto una ragazzina di 13 anni di Korneuburg ad avere ripetuti rapporti sessuali con lui. L'uomo, che era ospite in un centro di accoglienza per profughi di Hollabrunn, è entrato in contatto con la minore attraverso Internet. A ogni loro incontro, lui l'ha minacciata verbalmente fino a quando la ragazzina non ha accettato di avere rapporti sessuali. Il profugo è stato arrestato dopo che la piccola aveva raccontato ai genitori della relazione che durava da più di tre mesi.

La notte di Capodanno, svariate decine di donne sono state vittime di aggressioni sessuali commesse da gruppi di migranti a Vienna, Salisburgo e Innsbruck. Queste aggressioni a sfondo sessuale, in arabo taharrush ("molestia sessuale"), sono simili a quelle perpetrate quella stessa sera dai migranti nordafricani a Colonia, in Germania, e in altre città. La polizia ha inizialmente negato che questi episodi siano avvenuti, ma poi ha ammesso di aver mentito per proteggere la privacy delle vittime.

Chi osa collegare la spirale di crimini alla migrazione di massa musulmana viene messo a tacere dai guardiani del multiculturalismo austriaco.

Ad aprile, ad esempio, il Consiglio della stampa austriaco (Presserat) – un gruppo che impone un "codice etico" politicamente corretto per costringere i media austriaci ad adottare la linea del multiculturalismo seguita dallo Stato – ha censurato la rivista di sinistra Falter per "discriminazione nascosta" verso i musulmani.

I redattori della rivista – peraltro favorevoli a promuovere il multiculturalismo in Europa – sembrano essersi stancati degli stupri sistematici e impuniti commessi dai migranti in tutto il Vecchio Continente. Così, il disegno in bianco e nero di copertina del numero di gennaio-febbraio di Falter raffigura cinque donne europee dalla "pelle bianca" circondate da un gran numero di uomini arabi dalla "pelle scura". L'immagine evoca le scene dei taharrush, a Colonia.

Spiegando in tre pagine i motivi della propria "decisione", il Presserat ha stabilito che l'immagine viola il "codice etico" perché equivale a "dissimulare ingiurie e discriminazioni" verso gli uomini arabi:

"Gli uomini sono tutti ritratti con la stessa espressione feroce, i capelli neri e le sopracciglia scure. In tal modo – nel contesto delle aggressioni di Colonia – l'artista costruisce un prototipo di uomini nordafricani, vale a dire del mondo arabo. L'uniformità dell'immagine lascia intendere che in essa non vengono ritratti degli individui, ma un gruppo etnico omogeneo i cui membri si comportano tutti allo stesso modo.

"Di conseguenza, i lettori potrebbero avere l'impressione che le aggressioni a sfondo sessuale avvenute a Colonia non siano state commesse da singoli individui o da gruppi di individui, ma che tale condotta sia tipica degli uomini originari del Nord Africa, ossia del mondo arabo. L'immagine potrebbe dare l'impressione che tutti i nordafricani presenti in Europa siano incapaci di comportarsi correttamente nei confronti delle donne".

I redattori di Falter hanno respinto queste accuse di razzismo:

"Il fatto è che i nordafricani sono largamente responsabili delle aggressioni sessuali di Colonia. Questo è quanto accaduto e dovrebbe esserci consentito di raffigurarlo".

Vienna è l'epicentro dei crimini commessi dai migranti in Austria. Secondo i dati raccolti dal Ministero dell'Interno austriaco, a Vienna, quasi un richiedente asilo su tre è accusato di aver commesso reati nel 2015. Dei circa 21.000 richiedenti asilo autorizzati a vivere nella capitale, 6503 hanno commesso un reato nel 2015, un aumento del 50 per cento rispetto al 2014. Le cifre mostrano anche che 2270 criminali sono al di sotto dei 20 anni, il 72 per cento in più rispetto al 2014. Sette autori di reati hanno meno di nove anni e 31 hanno meno di tredici anni.

Secondo Gerhard Pürstl, il capo della polizia di Vienna, le bande di nordafricani che si contendono il controllo del traffico di droga sono responsabili di circa la metà dei 15.828 crimini violenti – stupri, rapine, accoltellamenti e aggressioni – denunciati in città nel 2015.

La zona circostante la stazione di Praterstern, dove la studentessa straniera è stata violentata, è oggi invasa da indolenti migranti dell'Afghanistan e del Nord Africa che vendono droga, si contendono il controllo del territorio e aggrediscono le passanti. Secondo i media locali, nel 2015, la polizia è intervenuta nella zona 6265 volte, in media 17 volte al giorno. Ma le autorità locali sembrano incapaci o poco disposte a ristabilire l'ordine.

La zona circostante la stazione di Praterstern è invasa da indolenti migranti dell'Afghanistan e del Nord Africa che vendono droga, si contendono il controllo del territorio e aggrediscono le passanti. Secondo i media locali, nel 2015, la polizia è intervenuta nella zona 6265 volte, in media 17 volte al giorno.

Il presidente del sindacato della polizia austriaca, Hermann Greylinger, ha dichiarato che a Vienna occorrono almeno altri 1200 agenti di polizia per tutelare l'ordine:

"Se accogliamo nel nostro paese 111.000 migranti, di alcuni dei quali non si possono verificare i precedenti criminali, allora è ovvio che bisogna aumentare drasticamente il numero degli agenti di polizia. Quasi tutti i richiedenti asilo affluiscono a Vienna. Ora lì ci sono più migranti di quanti abitanti ha Salisburgo, la quarta città più grande del paese".

Il problema della criminalità tra i migranti in Austria è esacerbato da una sistema penale troppo lassista. Il 4 maggio, ad esempio, un 21enne keniano ha ucciso senza motivo una donna di 54 anni in una strada affollata di Vienna colpendola alla testa con una sbarra di ferro. È emerso che l'uomo era noto alla polizia della città perché dal suo arrivo in Austria nel 2008 aveva commesso almeno 18 reati – traffico di droga, aggressioni a pubblico ufficiale, aggressioni a colpi di spranga – ma ogni volta è stato rimesso in libertà.

Vista la crescente insicurezza, non sorprende affatto che gli elettori austriaci vogliano davvero un cambio di direzione nella politica.

In una sorta di terremoto politico, il candidato del Partito della Libertà (Fpoe), Norbert Hofer, ha ottenuto il 36 per cento dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali austriache del 24 aprile. Hofer – che ha presentato un programma elettorale volto a limitare l'immigrazione e introdurre regole severe per i richiedenti asilo – ha sconfitto tutti gli altri candidati, compresi quelli dei due partiti al potere, i socialdemocratici e il Partito del popolo austriaco, che dominano la vita politica austriaca dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Hofer, che asserisce che come presidente sarà il "protettore dell'Austria", ha ora buone possibilità di battere nel ballottaggio del 22 maggio prossimo, il rappresentante dei Verdi, Alexander Van der Bellen, un economista di 72 anni che è contrario a porre limiti all'immigrazione.

L'ascesa rapidissima di Hofer ha richiamato l'attenzione dei partiti dell'establishment. Il 27 aprile, tre giorni dopo la vittoria elettorale del candidato del Partito della Libertà, il parlamento austriaco ha approvato quella che potrebbe essere una delle leggi più ristrettive in Europa in materia di diritto d'asilo.

Con la nuova legge, l'Austria dichiarerà uno "stato di emergenza" sulla crisi migratoria. Questo consentirà alle autorità austriache di valutare le richieste d'asilo direttamente alla frontiera. Sarà consentito l'ingresso nel paese solo ai richiedenti asilo i cui familiari si trovano già in Austria o a chi può dimostrare di essere in pericolo nei paesi di transito. Gli altri migranti saranno respinti. La nuova legge limita anche a tre anni la durata del diritto di asilo dal momento della concessione.

Il ministro dell'Interno, Wolfgang Sobotka ha detto che la nuova legge è necessaria per arginare il flusso di migranti e rifugiati. "Non possiamo farci carico del fardello del mondo", egli ha asserito.

Nel 2015, l'Austria ha ricevuto 90.000 richieste di asilo, collocandosi al secondo posto tra i paesi nell'Unione Europea per numero di richieste su base pro capite, ma questa cifra è irrisoria in confronto a ciò che l'attende. In un'intervista radiofonica del 28 aprile, Sobotka ha dichiarato che fino a un milione di migranti sono pronti a partire dalla Libia per raggiungere l'Europa attraverso il Mediterraneo.

Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York. È anche senior fellow per la politica europea del Grupo de Estudios estratégicos/Strategic Studies Group che ha sede a Madrid. Seguitelo su Facebook e Twitter. Il suo primo libro, Global Fire, uscirà nel 2016.

Appendice

Aggressioni sessuali e stupri perpetrati in Austria tra gennaio e aprile 2016.

Il Gatestone Institute si è occupato dell'epidemia di stupri commessi dai migranti in Germania e Svezia. Il problema si è ora esteso all'Austria. Qui di seguito sono riportati alcuni casi avvenuti nei primi quattro mesi del 2016.

29 aprile. Un migrante algerino di 35 anni ha tentato di violentare una donna a una fermata dell'autobus a Linz. L'uomo ha picchiato selvaggiamente la sua vittima che prima di perdere conoscenza gli ha rotto il naso. L'aggressore è stato arrestato dopo essersi recato in un ospedale in cerca di cure mediche. In seguito è emerso che l'algerino ha una fedina penale lunga ed è stato accusato di altri tentativi di stupro, ma non può essere espulso perché l'Algeria si rifiuta di riprenderselo.

25 aprile. Kronen Zeitung, il più importante quotidiano austriaco, riporta che un "uomo dall'aspetto arabo" ha tentato di stuprare una donna di 27 anni a una fermata dell'autobus a Vienna. "Tutto ciò che sapeva dire era sesso, sesso, sesso", la donna ha raccontato. L'uomo ha tirato fuori un preservativo dalla tasca e poi si è abbassato i pantaloni. "Ho urlato più forte che potevo finché non è scappato." La donna ha anche detto che la polizia si è totalmente disinteressata del suo caso: "Non hanno nemmeno chiesto il mio nome". Dopo che i media locali si sono occupati dell'episodio, la polizia si è scusata parlando di "malinteso deplorevole".

24 aprile. Un migrante non identificato ha stuprato una giovane donna di 19 anni a Eisenstadt.

22 aprile. Tre richiedenti asilo afgani hanno violentato una 21enne in una stazione ferroviaria di Vienna.

22 aprile. Un richiedente asilo afgano di 17 anni ha tentato di stuprare una donna di 20 anni a Graz.

21 aprile. Un richiedente asilo afgano di 17 anni ha aggredito sessualmente una 19enne su un treno a Grieskirchen. Il capotreno è intervenuto dopo aver sentito urlare la vittima. L'afgano ha detto alla polizia che la donna aveva mentito, esigendo delle scuse.

20 aprile. Due migranti nordafricani hanno aggredito sessualmente una donna davanti alla stazione principale di Salisburgo. Quando un passante di 26 anni ha cercato di intervenire, i due lo hanno percosso così violentemente con calci e pugni per cui ha dovuto ricorrere alle cure dei sanitari. Uno degli aggressori è un richiedente asilo del Marocco. L'altro indiziato è ancora a piede libero.

15 aprile. Un migrante sloveno di 42 anni è stato arrestato per una tentata aggressione sessuale ai danni di una 18enne a Leibnitz.

13 aprile. Un uomo "dall'aspetto arabo" ha aggredito sessualmente tre donne a una fermata dell'autobus a Vienna.

24 marzo. Due migranti afgani sono stati arrestati per aver violentato una giovane donna di 20 anni a Wels.

21 marzo. Un migrante nordafricano ha aggredito una donna di 27 anni su un treno della metropolitana di Vienna. L'uomo ha cominciato a toccare le mani della donna. Quando lei si è alzata per trovare un altro posto, l'uomo l'ha afferrata iniziando a baciarla sulla bocca. La polizia ha detto di non potere fare nulla perché baciare qualcuno non è un'aggressione sessuale.

12 marzo. Un richiedente asilo libico di 16 anni ha tentato di rapire e violentare due donne a Vienna. I tre si sono conosciuti nella metropolitana e il libico ha proposto alle donne di andare a ballare. Invece, le ha condotte in un edificio dove ha cercato di rinchiudere le due vittime in un seminterrato e di stuprarle. Una delle donne è riuscita a scappare e chiamare la polizia.

8 marzo. Un richiedente asilo afgano di 20 anni è stato sorpreso a mostrare i genitali davanti a una bimba di 7 anni in una piscina pubblica di Vienna. Il direttore dell'impianto e un istruttore di nuoto hanno trattenuto il giovane fino all'arrivo della polizia che però lo ha lasciato andare.

6 marzo. Un uomo "dall'aspetto straniero" ha aggredito sessualmente una donna di 37 anni in una piscina pubblica di Klagenfurt dopo che era intervenuta per impedirgli di molestare il suo bambino di 4 anni.

25 febbraio. Un uomo "dall'aspetto meridionale" ha aggredito sessualmente due adolescenti in un centro commerciale di Innsbruck.

22 febbraio. Un migrante afgano di 18 anni è stato arrestato per aver stuprato una donna di 52 anni a Innsbruck.

14 febbraio. Sei migranti hanno aggredito sessualmente una donna di 49 anni in un stazione della metropolitana di Vienna. Due degli uomini, un richiedente asilo afgano di 18 anni e un iracheno di 23 anni, sono stati arrestati mentre tentavano di lasciare la stazione. Gli altri quattro sono ancora a piede libero.

11 febbraio. Un migrante iraniano di 33 anni si è masturbato davanti alle clienti di una piscina pubblica di Linz.

8 febbraio. Un migrante macedone di 22 anni, identificato solo come Ibrahim J., è stato arrestato a Vienna per aver aggredito sessualmente più di 20 donne a Vienna e in altre parti del paese. È anche accusato di aver violentato una ragazza di 15 anni.

6 febbraio. Un gruppo di 28 richiedenti asilo ha cercato di aggredire sessualmente le clienti di una pista di pattinaggio su ghiaccio all'aperto di Stockerau. I migranti hanno poi aggredito il personale addetto alla sicurezza che aveva cercato di intervenire. La polizia ha dovuto ristabilire l'ordine.

4 febbraio. Sei uomini "dall'aspetto meridionale" hanno aggredito una donna di 53 anni davanti a un negozio di alimentari a Spittal dopo che lei si era rifiutata di dar loro del denaro.

3 febbraio. Tre migranti hanno molestato sessualmente una ragazza di 16 anni a una fermata del tram a Leonding. Uno degli uomini l'ha immobilizzata mentre gli altri due a turno l'hanno aggredita.

26 gennaio. Un richiedente asilo di 24 anni originario del Gambia ha stuprato e ucciso un'americana di 25 anni a Vienna. La donna – del Colorado – che lavorava come ragazza alla pari, aveva ospitato l'uomo, Abdou I., nel suo appartamento. Quest'ultimo aveva lasciato il centro di accoglienza perché la sua richiesta di asilo era stata respinta e temeva di essere espulso. Dopo l'omicidio, l'uomo è fuggito in Svizzera, dove è stato arrestato dopo che la polizia aveva rintracciato il suo telefono cellulare. In seguito è emerso che era ricercato in Germania per un'aggressione sessuale ai danni di una minorenne.

23 gennaio. Un migrante macedone ha tentato di violentare una giovane donna di 21 anni a Vienna. L'uomo aveva visto la sua vittima in metropolitana e l'aveva seguita dopo che era scesa dal treno.

16 gennaio. Un richiedente asilo afgano di 21 anni ha stuprato una 18enne al Prater, un grande parco pubblico di Vienna.

10 gennaio. Un richiedente asilo afgano di 29 anni ha cercato di molestare sessualmente un bambino di sei anni in una piscina pubblica di Linz. La madre del bimbo ha detto: "Ho visto sei migranti entrare nella struttura. Due di loro si sono seduti sul bordo della piscina per bambini e uno ha iniziato a toccarsi i genitali flirtando con il più piccolo dei mei figli".

1° gennaio. Gruppi di uomini arabi hanno aggredito sessualmente almeno 24 donne a Vienna, Salisburgo e Innsbruck.



Ruba la tenda al ragazzino e gli tira un pugno: denunciato un profugo
di Paola Treppo
CAVAZZO CARNICO e PORDENONE -
Mercoledì 20 Settembre 2017

http://www.ilgazzettino.it/nordest/udin ... 51101.html

Profugo rapina un ragazzo minorenne della sua tenda da campeggio e alle rimostranze di quest'ultimo gli sferra un pugno in faccia. Poi scappa e il ragazzino, un giovane che vive in un paese della provincia di Pordenone, racconta quello che gli è successo al padre.

Siamo all'inizio del mese di agosto e siamo in località Cjanevate, una zona usata per il camping a Cavazzo Carnico. Il genitore del minore aggredito denuncia il fatto ai carabinieri della Compagnia di Tolmezzo, comandata dal capitano Diego Tanzi. I militari avviano un'indagine e scoprono il responsabile della rapina che nella giornata di oggi, mercoledì 20 settembre, viene denunciato a piede libero per rapina impropria.

Si tratta di un richiedente asilo di nazionalità afghana, 23 anni, alloggiato in un albergo di Cavazzo Carnico, l'hotel Olivo. Il minorenne picchiato era stato portato allora in pronto soccorso per le medicazioni e per lui la prognosi era stata di 5 giorni.



Più di un milione di profughi dall'Afghanistan, l'Europa adesso trema
Mauro Indelicato
17 agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/pi ... 1629213287

Un milione, ma molto probabilmente anche di più. Sul numero dei profughi pronti a scappare dall'Afghanistan dopo la caduta di Kabul in mano talebana c'è discordanza. Una cosa però è certa: l'Europa nelle prossime settimane è chiamata a gestire una pressione migratoria con ben pochi precedenti.

I corridoi migratori aperti dalla crisi afghana

Nei corridoi diplomatici si è parlato nelle scorse ore anche di due milioni di cittadini pronti a lasciare l'Afghanistan. Costi quel che costi. Ieri il mondo ha assistito alle immagini di gente aggrappata ai carrelli degli aerei pur di volare via da Kabul. La realtà, già molto tragica, è ancora più complessa.

Non è soltanto la capitale ad essere oggetto di tentativi di fuga. Al contrario, è l'intero Paese ad essere intimorito con migliaia di persone pronte ad andar via dalle principali città. Parlare di due milioni di potenziali profughi non è quindi così avventato. Anzi, attualmente costituisce il principale timore delle cancellerie europee.

In poche settimane è collassato un intero Stato già debole prima dell'accelerazione impressa dai talebani alle loro mire di conquista. Quando a franare è un'intera architettura statale l'esodo è dietro l'angolo. Lo si è visto ad esempio nel 2015, quando l'avanzata dell'Isis ha tolto dal controllo di Damasco e Baghdad intere fette di territorio siriano e iracheno e più di un milione e mezzo di persone si sono riversate in Europa tramite la rotta balcanica.

Chi è rimasto bloccato a Kabul vede nell'aeroporto l'unica via di fuga. Ma c'è chi sta provando a raggiungere via terra i confini. Dal nord dell'Afghanistan ad esempio, abitato maggiormente da gente di etnia tagika e uzbeka, si va verso l'Uzbekistan. Chi a sud, tra i primi feudi talebani, teme ritorsioni dagli islamisti viaggia verso il Pakistan.

A preoccupare maggiormente l'Europa è la tratta migratoria verso ovest. Quella cioè che conduce al confine con l'Iran. Le province di questa parte del Paese, tra cui quella di Herat, hanno storicamente importanti rapporti commerciali con Teheran. Dirigersi verso il territorio iraniano è dunque uno sbocco naturale. Qui però non si va per rimanere. Dall'Iran, è il sospetto delle fonti di sicurezza di molti Paesi europei, il vero obiettivo è raggiungere la Turchia per poi provare ad arrivare in Europa.

Dall'inizio dell'avanzata talebana, come riportato da Antonella Coppari su IlGiorno, le autorità di Ankara avrebbero contato già l'ingresso di centomila profughi afghani. In Iran ce ne sarebbero molti di più, nascosti in villaggi o territori remoti in attesa di un passaggio per raggiungere la frontiera turca.

Una pressione migratoria che è soltanto all'inizio e che da qui ai prossimi mesi potrebbe rappresentare autentica spina nel fianco per l'Ue. Un altro, tra i tanti, effetti collaterali del precipitoso addio delle forze internazionali dall'Afghanistan.


Europa divisa sul da farsi

Angela Merkel non sembra intenzionata a ripetere l'esperienza del 2015, quando il suo governo ha dato via libera incondizionato all'ingresso di cittadini siriani. In Germania a settembre si vota e il suo partito non può permettersi di passare come pro immigrazione, pena un'ulteriore perdita di popolarità. La strada che la cancelliera vorrebbe tracciare è quella di un aiuto ai Paesi confinanti con l'Afghanistan. Mettere cioè nelle condizioni i governi della regione di accogliere l'esodo, un modo per evitare numeri eccessivi di rifugiati in Europa.

La linea di Berlino è seguita anche dall'Austria e da diversi Paesi dell'Ue. Ma in ambito europeo sono diverse le resistenze in tal senso. Il presidente dell'europarlamento, David Sassoli, ha sottolineato l'importanza di fornire a tutti la possibilità di presentare in territorio comunitario domanda di asilo.

Anche il commissario europeo all'economia, Paolo Gentiloni, è dello stesso avviso. “Occorre un impegno che dovrà essere ispirato alla ragionevolezza, ma anche all'accoglienza – ha dichiarato in una recente intervista su IlMessaggero – Giorni fa il primo ministro canadese Justin Trudeau ha annunciato un aumento delle quote di ingresso riservate agli afgani per accogliere altre 20 mila persone. Penso che l'Europa inevitabilmente dovrà attrezzarsi per corridoi umanitari e accoglienze organizzate”.

Il dibattito è appena all'inizio. Ma nel frattempo l'esodo è iniziato. Dall'Afghanistan si sta scappando, in migliaia stanno provando a raggiungere l'Iran e premere sulla Turchia. Nel giro di poche settimane questo flusso migratorio potrebbe pesantemente condizionare il Vecchio Continente.



Afghanistan, i Paesi europei che hanno già detto che non accoglieranno i profughi
Annalisa Cangemi
17 agosto 2021

https://www.fanpage.it/esteri/afghanist ... -profughi/


Mentre i Paesi occidentali stanno lasciando l’Afghanistan in mano ai talebani la preoccupazione è per le migliaia di profughi, che tentano ora di lasciare il Paese occupato dai talebani. Non tutti i Paesi europei sono però disposti ad accogliere gli sfollati: l’Austria ha già annunciato la linea dura sui rimpatri.

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Sono migliaia i civili sfollati, dopo che i talebani, dopo 20 anni di occupazione militare internazionale, hanno riconquistato l'Aghanistan e preso la capitale, Kabul, dando vita all’Emirato islamico. L'Unicef ha ricordato che servirà un piano generale di accoglienza e ridistribuzione sul territorio nazionale dei migranti afghani che arriveranno in tutta Europa, e in Italia.

Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, parlando della situazione drammatica dei profughi, ha detto: "Siamo molto preoccupati, siamo presenti a Kabul e a Kandahar con la gestione di campi per sfollati. Non c'è una cifra precisa sul numero di persone presenti, si stima tra 200mila e 400mila, ma riteniamo che il numero di sfollati in quelle aree sia più alto. Manca tutto, questo esodo di massa ha fatto sì che ci sia carenza di cibo, di acqua, di medicinali. Ci sono già piccoli focolai di malattie come polio e, per la mancanza di acqua, dissenteria". Ci sono bambini separati dalle famiglie di origine e quindi "esposti a pericoli immediati e a violenze. Quest'anno – dice Iacomini – sono già morti 500 bambini, ultimamente un centinaio". Unicef lancia un appello alla comunità internazionale, affinché "non spenga la luce sull'Afghanistan, siamo di fronte a una vera e propria emergenza umanitaria".

Mentre nella zona dell'aeroporto si ammassano i cittadini afghani, che tentano disperatamente la fuga aggrappandosi ai carrelli degli aerei che trasportano prevalentemente personale occidentale delle ambasciate, e la situazione sembra essere fuori controllo – si contano già 5 morti e una decina di feriti – alcuni Stati hanno dichiarato di non essere disponibili ad accogliere i profughi.

L'Austria ha già annunciato che le sue frontiere sono chiuse, spiegando che sarà inflessibile sulle espulsioni di migranti e richiedenti asilo afgani. Il ministro dell’Interno austriaco, Karl Nehammer, ha spiegato che "Chi ha bisogno di protezione deve riceverla il più vicino possibile al proprio Paese di origine", perché "Un divieto generale di espulsione è un fattore di attrazione per l'immigrazione illegale e alimenta solo l’attività dei contrabbandieri e della criminalità organizzata". Danimarca, Germania e Paesi Bassi, inizialmente favorevoli alla linea dura sui rimpatri, hanno poi cambiato idea, sospendendoli.

Il premier dell'Albania, Edi Rama, ha invece annunciato che il suo Paese accoglierà i profughi: ne arriveranno alcune centinaia. Gli afghani "si sono schierati con la Nato e hanno aiutato i nostri soldati nella loro missione di pace e ora rischiano di essere massacrati come animali dai talebani", ha spiegato Rama.


Civili aggrappati ad aereo americani precipitano

Nel tentativo di fuggire dal Paese si erano aggrappati durante il decollo a un aereo militare statunitense: tre giovani sono precipitati nel vuoto, tra il caseggiato di Khair Kahana, un quartiere poco distante dall'aeroporto. Le immagini ampiamente circolate sui social network mostrano dei ragazzi aggrappato sull'esterno del velivolo, un C-17 dell'aviazione militare statunitense, sopra i motori e, e poi si vedono due corpi cadere dopo il decollo. Il quotidiano israeliano Haaretz e la sezione in persiano della Bbc confermano che si tratta di due persone che precipitano.


Paesi occidentali in fuga da Kabul

Sull'aereo dell'Aeronautica militare partito ieri sera e da poco atterrato all'aeroporto di Fiumicino viaggiavano 70 persone: circa 50 unità del personale diplomatico e una ventina di ex collaboratori afghani con le loro famiglie.

Anche altri Paesi europei hanno già attivato le procedure di evacuazione per portare in salvo i propri connazionali. Un primo volo proveniente da Kabul è arrivato durante la notte alla base di Brize Norton, nell'Inghilterra centrale. "Abbiamo evacuato 370 dipendenti e cittadini britannici ieri e il giorno prima", ha detto il segretario alla difesa Ben Wallace, aggiungendo che un gruppo di 782 afgani sarà evacuato dal Paese "nelle prossime 24-36 ore".

L'Irlanda è in contatto con 23 dei suoi cittadini, 15 dei quali sono in procinto di partire, secondo il ministro degli Esteri Simon Coveney. I visti sono stati rilasciati per 45 afgani che hanno lavorato per loro, numero destinato a crescere ulteriormente nelle prossime ore. A Praga, un aereo militare che trasportava 46 cechi e afghani, tra cui donne e bambini, è atterrato questa mattina.

Il Canada, dal canto suo, ha annunciato la chiusura temporanea della sua ambasciata domenica sera, affermando che il personale canadese era già in viaggio verso casa.

Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha comunicato che il suo governo ha rilasciato 45 visti umanitari per gli afghani che hanno lavorato per la Polonia o per una delegazione dell'Ue a Kabul, e le loro famiglie. Berna ha reso noto che tre cittadini svizzeri sono stati espatriati da Kabul e sono impegnati per portar via anche 40 dei loro colleghi afgani e le loro famiglie. La Russia, come la Cina, ha deciso invece di mantenere la sede diplomatica.



Turchia sta costruendo muro anti-profughi lungo il confine con Iran
Martedì 17 agosto 2021

https://www.askanews.it/esteri/2021/08/ ... 817_00009/

Roma, 17 ago. (askanews) – La Turchia sta costruendo un muro lungo il confine con l’Iran, per prevenire una nuova ondata di rifugiati, in particolare dall’Afghanistan dopo il ritorno al potere dei talebani. L’agenzia Afp riporta che per ora è in costruzione un tratto lungo cinque chilometri, ma l’obiettivo di Ankara è allungare un vero e proprio muro di 295 chilometri complessivi sulla propria frontiera con l’Iran.

??? Da crederci? NO!!!
Cade anche l’ultima fandonia per aprire le frontiere ai clandestini afghani in fuga. In fuga da cosa, dai talebani che hanno conquistato il Paese in tre giorni col favore popolare? O parliamo di quelli che volevano che combattessimo noi la loro guerra?

https://www.facebook.com/groups/1059950 ... 3067819534

“I Talebani hanno perdonato tutti, sulla base di ordini dei loro leader, e non nutrono inimicizia nei confronti di nessuno”. Lo ha affermato il portavoce, Zabihullah Mujahid, in una conferenza stampa, secondo quanto riporta Tolo Tv. “Dopo 20 anni di lotta – ha aggiunto – abbiamo liberato il paese ed espulso gli stranieri. E’ un momento di orgoglio per l’intera nazione e non vogliamo combattimenti. Tutti i confini sono sotto controllo”. Il portavoce ha poi assicurato “a tutti i paesi del mondo” che “l’emirato islamico dell’Afghanistan non sarà una minaccia per nessun paese” e che “la sicurezza delle ambasciate straniere è importante e sarà garantita”.
“Stiamo lavorando seriamente per formare un governo in cui siano rappresentate tutte le parti e porre fine alla guerra. Quando sarà pronto lo annunceremo”, dopo la sua formazione “decideremo quali leggi presentare alla nazione”.
“Siamo impegnati a rispettare i diritti delle donne sotto il sistema della Sharia. Lavoreranno fianco a fianco con noi – ha aggiunto Mujahid – vogliamo assicurare alla comunità internazionale che non vi saranno discriminazioni, che nessuno sarà in pericolo”.
“Non vogliamo avere nessun problema con la comunità internazionale”, ha detto ancora, spiegando che “permetteremo alle donne di lavorare e studiare, ma entro la nostra struttura”. “Le donne saranno molto attive nella nostra società, ma all’interno della nostra struttura”, ha aggiunto, citato dalla Bbc.
Ma poi, a noi, che ce ne frega delle donne di laggiù? Tutti quelli che parlano di diritti delle donne afghane sono gli stessi che blaterano del diritto umano di portare il burqa in Italia.
Rispondendo ad una domanda su interpreti e contractor che hanno lavorato con le forze di occupazione straniere, il portavoce ha assicurato che “nessuno verrà trattato con spirito di vendetta”. “I giovani che sono cresciuti qui, non vogliamo che se ne vadano. Sono le nostre risorse. Nessuno busserà alla loro porta per chiedere loro con chi abbiano lavorato. Saranno al sicuro. Nessuno verrà interrogato o perseguitato”.



PROFUGHI
Quelli che a suo tempo definirono l’intervento militare in Afghanistan una aggressione imperialista.

Giovanni Bernardini
18 agosto 2021

https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 3894172150

Quelli che sostengono che l’Islam sia una “religione di pace”.
Tutte queste persone ora urlano a squarciagola che bisogna accogliere tutti i profughi afghani per salvarli dalla furia sanguinaria dei talebani.
Se l’intervento in Afghanistan è stata una aggressione imperialista i profughi cono collaborazionisti da punire.
Se l’Islam è una religione di pace come possono i talebani islamici essere dei sanguinari?
La logica non è il forte di certi personaggi.
Certo, chi fugge dall’Afghanistan va aiutato ed accolto, ma non è l’Italia a potersi far carico di tutti.
Soprattutto, non ci facciamo illusioni. La maggioranza dei profughi afghani sono persone che hanno in qualche modo collaborato con gli occidentali, ma non per questo condividono i nostri valori fondamentali. Molto probabilmente condividono almeno alcuni dei disvalori dei loro persecutori.
Abbiamo tutti presente, credo, il filmato terribile della folla che cerca a tutti i costi di salire su un aereo in partenza da Kabul. Immagini sconvolgenti, ma… ma quella folla è composta quasi esclusivamente da UOMINI. Non si vedono donne, e si che sono loro ad avere più da temere dai talebani. Io lo trovo molto, molto significativo,
In ogni caso, probabilmente sbaglio, ma penso una cosa: non ci sarà un esodo massiccio di profughi dall’Afghanistan. Questo per il semplice motivo che i talebani impediranno, credo, fughe di massa. Non è facile fuggire dalle dittature totalitarie. Quante persone riuscirono a fuggire dalla Germania di Hitler o dalla URSS di Stalin? Quante oggi riescono a fuggire dalla Corea del nord?
A differenza dei clandestini che nessuno cerca di fermare i profughi afghani non troveranno, penso, facili vie di fuga.
Lo ripeto, posso sbagliare, probabilmente sbaglio. Chissà, forse i talebani cercheranno di utilizzare i profughi come arma di pressione contro l'occidente. Staremo a vedere.
Nel frattempo, sarebbe tanto bello se gli ipocriti di tutte le risme tacessero, o parlassero un po’ meno...



Impossibile accogliere tutti i rifugiati
Marco Gervasoni
18 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 1629265592

"Credo che non dovremmo diffondere il segnale di poter accogliere tutti coloro che sono in difficoltà". Parole di uno xenofobo? No, del candidato della Cdu, Armin Laschet, erede di Merkel
Impossibile accogliere tutti i rifugiati

«Credo che non dovremmo diffondere il segnale di poter accogliere tutti coloro che sono in difficoltà». Parole di uno xenofobo? No, del candidato della Cdu, Armin Laschet, erede di Merkel. E sentite ancora qui: «Bisogna proteggersi contro i flussi migratori irregolari importanti». Marine Le Pen? No, il presidente Macron, durante l'allocuzione sull'Afghanistan. E questi sono i cosiddetti buoni, perché poi ecco quelli veramente «cattivi»: Austria e Ungheria, ritrose ad accogliere i profughi, mentre Erdogan, il più esposto, intende farsene carico, dietro congruo compenso sembra, e non prima di aver eretto muri con la Siria. Non sono parole «egoiste», come afferma chi legge la politica estera con le categorie del moralismo: sono quelle dei depositari di una visione realistica del mondo. Pensare infatti di accogliere «tutti i profughi» dall'Afghanistan, come vanno ripetendo da giorni politici e giornali di sinistra italiani, è un'idea semplicemente insostenibile e, se messa in pratica anche solo in parte, dagli effetti distruttivi. Per questo ci preoccupa non poco che, a fronte di posizioni così chiare di Germania e di Francia, il ministro dell'Interno Lamorgese si sia già dimostrata disponibile «a dare il massimo». Peccato che il nostro Paese, durante la sconsiderata gestione degli esecutivi di sinistra, da Letta a Gentiloni, abbia già dato il «massimo»: nell'accoglienza di immigrati clandestini, che continuano comunque a sbarcare. Certo, un conto sono i profughi provenienti da Paesi realmente a rischio, altro sono gli immigrati economici: ma anche per i primi esistono quote precise, che però dovranno essere accompagnate da controlli e verifiche oculate. E poi dalla convinzione che su questo fronte l'Italia ha già ampiamente dato. E per questo, nel computo di profughi che l'Italia accoglierà, si tenga conto di tutti gli immigrati economici che già da anni l'Italia fa sbarcare. Tanto più che l'attore del disastro afghano, l'amministrazione Biden, non si sbraccia certo per ospitare i profughi. Insomma, altro che «accogliamoli tutti»; per parafrasare le famose parole di Angela Merkel «non ce la possiamo fare». Dal punto di vista economico, ma soprattutto da quello della convivenza. Se l'afflusso migratorio del 2016 (erano profughi anche allora, siriani) produsse un notevole scossone, pur in un Paese integrato, unito e coeso come la Germania, mettendo a serio rischio in alcuni momenti la convivenza, cosa potrebbe accadere in una nazione ormai lacerata come la nostra?



https://www.msn.com/it-it/notizie/video ... vi-AANqBON
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:44 pm

Afghanistan, Gori: "Asilo politico per afghani in Ue senza diritti"
18 agosto 2021

https://www.adnkronos.com/afghanistan-g ... 5hZ09jKoFb

Il leghista Borghi replica al sindaco Pd di Bergamo: "Urgenza non è mettere in salvo chi vuole scappare da lì?"
"Sono 290mila gli afghani cui l’Europa negli scorsi anni ha negato il permesso di soggiorno: 30mila donne, 70 mila minori, 25 mila tra bambine o ragazze. 230mila sono ancora sul suolo europeo, senza diritti. C’è una cosa che possiamo fare, subito: concedere loro l’asilo politico". Lo scrive il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori del Pd, su Twitter.
Tra i commenti, c'è anche quello di Claudio Borghi, deputato della Lega, che domanda a Gori: "Scusa, fammi capire, quindi per te l'urgenza non è mettere in salvo chi vuole scappare dall'Afghanistan ma regolarizzare i 230mila che sono già qui, magari da anni?".




"I talebani non sono cambiati. Enorme sforzo per i rimpatri"
Fabrizio Boschi
19 agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1629350715

Mentre ci sono politici in vacanza o che non rispondono al telefono, ministri che temporeggiano o non sanno che pesci prendere, altri si stanno impegnando notte e giorno per tirare fuori dall'inferno afghano quante più persone possibili. Giorgio Mulè (Forza Italia), sottosegretario alla Difesa, ha trascorso il Ferragosto al telefono e da 4 giorni non dorme per cercare di inserire nelle liste dei passeggeri in arrivo in Italia tutti i collaboratori e le loro famiglie che in questi anni si sono spesi per la pace del loro Paese.

Sottosegretario Mulè, qual è la priorità adesso?

«L'esigenza primaria è quella di riportare a casa il personale afghano e le loro famiglie grazie allo straordinario sforzo del comando operativo interforze guidato dal generale Luciano Portolano che dall'Italia coordina le operazioni».

Chi entra in queste liste?

«Sono liste che si formano sulla base di chi ha collaborato con la nostra ambasciata o con le nostre forze armate: interpreti, addetti, impiegati ai quali si aggiungono i loro familiari. È come se fossero liste di decollo, gruppi di 80-100 persone contattati uno per uno al cellulare dai nostri militari presenti nell'area (50-70) e convocati per partire. Queste persone non stanno tutte a Kabul, alcuni sono a Herat, vengono inseriti nelle liste di persone verificate per essere imbarcate per l'Italia e portati all'aeroporto di Kabul».

È complicato?

«È una situazione di grande confusione, abbiamo ricevuto decine e decine di passaporti e richieste di aiuto. Ora però ci stiamo normalizzando. Oggi (ieri, ndr) atterra un volo da Kabul con 86 afghani a bordo: 31 collaboratori del ministero, 36 dell'Ue, 8 contrattisti d'ambasciata e 7 familiari di connazionali. Poi abbiamo pronto un altro KC767 che farà avanti e indietro con Kabul nei prossimi giorni e numerosi C130 che possono partire. Uno con 103 afghani a bordo è appena decollato, altri due in serata (ieri, ndr). Quello che si sta facendo all'aeroporto di Kabul è riordinare il flusso di arrivi. È nostro compito garantire corridoi umanitari per rimpatriare le persone».

Come sente la gente al telefono?

«Sento lacrime e disperazione e mi immedesimo in loro che hanno bambini piccoli terrorizzati. Ma lo sforzo titanico che stanno facendo le nostre forze armate è quello di chiamarli uno ad uno e rassicurarli».

Come mai sono così spaventati?

«Questa è gente che ha conosciuto la violenza e il terrore dei talebani, hanno avuto familiari uccisi, subito torture».

Che situazione si vive a Kabul?

«Una situazione di calma apparente. Non c'è nessun atto ostile visibile nei confronti della popolazione perché devono far vedere al mondo di essere cambiati per cercare di essere riconosciuti. Non devono dare adito a nessun tipo di incidente».

Sono talebani più moderati?

«No, sono sempre gli stessi. Non sono cambiati. Gli stessi che lapidavano le donne adultere, che obbligavano le ragazzine di 12 anni a diventare schiave del sesso, che tagliavano le mani a chi rubava, che eseguivano esecuzioni di piazza. Noi non dimentichiamo queste cose per un grazioso annuncio e perché si sono sistemati le barbe. Non basta una rassicurazione, voglio vedere quando garantiranno alle ragazze di studiare, alle donne di lavorare, se saranno rispettate le condizioni minime di civiltà. Voglio vedere se manterranno quello che hanno annunciato. Dopodiché verificheremo, non possiamo firmare una cambiale in bianco ai talebani».

Potrebbe esserci una recrudescenza del terrorismo internazionale?

«Quella dei talebani è una bomba innescata. Dobbiamo solo vedere se la miccia è corta o lunga e se l'Afghanistan diventerà di nuovo la culla delle peggiori cellule terroristiche del mondo. Per questo la vigilanza e la prevenzione dell'Occidente sono un obbligo».

L'Occidente che è scappato come una lepre...

«Un ritiro frettoloso e sbagliato a mio modo di vedere. Un disimpegno non preparato le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. La decisione americana di andarsene subito è stata profondamente sbagliata e a noi, in quanto alleati di una coalizione, non è rimasto altro che adeguarsi a quella scelta».

Come giudica la nostra missione in Afghanistan alla luce di ciò che è successo?

«Giustissimo: vent'anni di sacrifici di sangue, con 54 nostri militari morti, per aiutare quel popolo a garantire sicurezza e al mondo stabilità. È per questo che oggi abbiamo il dovere di non dimenticare quel sangue, abbiamo il dovere di tornare lì per non lasciare a metà quello che abbiamo iniziato».



"L'Occidente deve accettare le quote di rifugiati afghani" lo chiede il candidato dei Verdi alla cancelliera tedesca dopo la vittoria dei talebani
19 agosto 2021

https://www.islamnograzie.com/loccident ... -talebani/

“L’Occidente deve accettare le quote di rifugiati afghani” lo chiede il candidato dei Verdi alla cancelliera tedesca dopo la vittoria dei talebani

“L’UE deve concentrarsi principalmente sull’accoglienza dei rifugiati nella regione”, si oppone Mathias Middelberg della CDU/CSU alla richiesta di Baerbock

Il partito verde tedesco pro-migranti, che da tempo sostiene un maggior numero di rifugiati e immigrati per la Germania, chiede ora alla Germania e ad altri paesi occidentali di accogliere potenzialmente centinaia di migliaia di rifugiati afghani.

La candidata del Partito Verde alla cancelliera tedesca, Annalena Baerbock, sta spingendo Europa, Stati Uniti e Canada ad accettare una certa quantità di rifugiati dall’Afghanistan, ha riferito domenica SAT 1 TV.

Secondo lei, la Germania non può aspettare che i 27 Stati membri dell’UE si accordino. Ha sottolineato la necessità di lavorare con i paesi europei disposti ad accogliere i rifugiati, e “in particolare con gli americani e i canadesi per concordare regole chiare sulle quote (per i rifugiati afghani).”

Alla radio Deutschlandfunk, Baerbock ha messo in guardia dal ripetere i catastrofici errori della guerra civile in Siria, quando nel 2015 i paesi europei erano estremamente impreparati all’afflusso di rifugiati.

Tuttavia, Mathias Middelberg, un portavoce della fazione conservatrice CDU/CSU al Bundestag, ha obiettato: “L’UE deve concentrarsi principalmente sull’accoglienza dei rifugiati nella regione” in cui si trovano.

Ha aggiunto che, come nel caso della Siria, anche questa volta la Turchia potrebbe essere d’aiuto. Anche un approccio comune potrebbe essere la strada da prendere.



Mohammad, il profugo in fuga dai ‘talebani’ che decapitava cristiani
18 agosto 2021

https://voxnews.info/2021/08/18/mohamma ... cristiani/

Quando, con la solita foto, vi diranno che stanno portando in Italia i ‘bambini afghani’, solo perché sono riusciti a trovarne uno tra migliaia di giovani maschi, pensate alla frase di Sharon, che gli islamici li conosceva bene: “poi crescono”.

E a volte non è nemmeno necessario che crescano, per uccidere.

Si. Perché essere ‘bambino’ non è un valore in sé. Tutti sono stati bambini. I peggiori carnefici lo sono stati. Ma poi sono cresciuti. E il fatto che fossero stati ‘bambini’, non ha evitato che uccidessero milioni di persone.

Tutto deve essere analizzato con razionalità. Non con la foga del momento. E la razionalità ci dice che le seconde e terze generazioni di immigrati sono peggiori delle prime. Francia docet.

Quando vi faranno vedere la ‘solita foto’, pensate a Mohammad Emwazi. Arrivò bambino in Inghilterra. Con la sua famiglia di profughi in fuga dalle persecuzioni degli ‘estremisti islamici’ come migliaia di afghani oggi dicono di fuggire dai talebani. Ricevette alloggio gratuito, per molti anni. Scuola, sanità e tutto quello che invece i suoi coetanei inglesi dovevano pagare.
Poté frequentare la St. Mary Magdalene Church of England Primary School, una scuola cristiana:
Quel bambino è poi cresciuto. E si fece chiamare Jihadi John. Boia islamico di ‘infedeli’:
Perché, poi crescono. E a volte non è nemmeno necessario. A volte decapitano anche da bambini. E il nostro esercito da operetta li sta portando in Italia:

Jihadi John, pseudonimo di Mohammed Emwazi, noto col vero nome di Muhammad Jassim Abdulkarim Olayan al-Dhafiri (in arabo: محمد جاسم عبد الكريم عليان الظفيري‎; Jahrah, 17 agosto 1988 – al-Raqqa, 12 novembre 2015[1]), è stato un terrorista e criminale kuwaitiano naturalizzato britannico.
https://it.wikipedia.org/wiki/Jihadi_John
Il soprannome di origine giornalistica "Jihadi John" gli deriva da quello datogli da alcuni ostaggi del gruppo di quattro terroristi dall'accento britannico di cui faceva parte: "i Beatles". Conosciuto anche col nome di battaglia di Abu Muharib al-Muhajir, è stato l'assassino di alcuni dei prigionieri stranieri dello Stato Islamico, tra cui il corrispondente di guerra James Wright Foley e il giornalista Steven Sotloff, entrambi di nazionalità statunitense.


Germania: Gli stranieri che avrebbero dovuto essere espulsi sono sospettati di aver commesso 2.500 crimini in Sassonia
19 Agosto 2021

https://www.islamnograzie.com/germania- ... -sassonia/

Oltre 230.000 stranieri in Germania sono stati espulsi, ma possono rimanere sotto lo status di “tollerato”

Nella prima metà del 2021, le autorità di sicurezza in Sassonia hanno avviato indagini su circa 2.500 reati commessi da stranieri, tra cui alcuni gravi, anche se a questi stranieri era già stato ordinato di lasciare la Germania ma è stato permesso di rimanere sotto lo status “tollerato”.

Il portavoce del gruppo parlamentare AfD nel parlamento statale di Dresda, Sebastian Wippel, ha rivelato che le autorità di sicurezza hanno registrato 2.459 casi di questo tipo dall’inizio di gennaio alla fine di giugno, ha riferito Junge Freiheit.

Gli “stranieri tollerati” sono quei richiedenti asilo le cui procedure di domanda sono state completate e che sono tenuti a lasciare il paese, ma per i quali vi sono ostacoli all’espulsione. Secondo le statistiche sulla criminalità della polizia per la Sassonia, gli investigatori hanno avviato un procedimento contro persone “tollerate” sospettate di oltre 640 reati violenti o crimini contro la libertà personale. La polizia ha anche indagato su stranieri con questo stato di residenza in oltre 50 casi di reati sessuali.

Lo stesso è avvenuto per quasi 160 furti con circostanze aggravanti, circa 440 reati di proprietà e falso, quasi 430 altri reati e più di 370 reati contro le leggi penali accessorie senza violazioni del diritto dell’immigrazione. Alla fine del 2020, c’erano più di 230.000 “stranieri tollerati” in Germania.

“AiI cittadini sassoni sarebbero stati risparmiati molte sofferenze se il governo sotto il primo ministro della CDU [della Sassonia] Michael Kretschmer avesse finalmente deportato i richiedenti asilo che sono obbligati a lasciare il paese. E’ scandaloso quanto sia trascurata la sicurezza dei cittadini. Non si dovrebbe più concedere tolleranza ai richiedenti asilo se gettano via il passaporto e i loro paesi d’origine non vogliono più riaverli indietro”, ha detto Wippel, membro del partito AfD.



“Gli afgani commettono più stupri di tutti gli altri profughi”
25 agosto 2021

https://www.maurizioblondet.it/gli-afga ... -profughi/

L’esperienza austriaca

Poche settimane fa, la città austriaca di Tulln ha dichiarato un punto fermo a qualsiasi ulteriore ammissione di rifugiati. Come ha chiarito il sindaco, quella decisione era rivolta agli afgani, ma per motivi legali e amministrativi non poteva che essere promulgata in modo generale. Il punto di svolta, dopo una serie di incidenti inquietanti tutti provenienti da afgani, è stato il brutale stupro di gruppo di una ragazza di quindici anni, strappata dalla pubblica via mentre tornava a casa, trascinata via e abusata in serie da rifugiati afgani.

“Tempo prima, a Vienna, una giovane studentessa turca che era lì in scambio culturale era stata inseguita in un bagno pubblico da tre rifugiati afgani. Hanno bloccato la porta e hanno proceduto ad attaccarla selvaggiamente. Afferrandola per il collo, le hanno sbattuto ripetutamente la testa contro un water di porcellana per metterla KO. Quando ciò non è riuscito a spezzare la sua disperata resistenza, si sono alternati nel tenerla ferma e violentarla. La giovane ha avuto bisogno di un ricovero in ospedale, dopodiché – troppo traumatizzata per riprendere gli studi – è fuggita a casa in Turchia, dove continua a essere depressa e infelice, incapace di elaborare quanto accaduto e incapace, in una società musulmana conservatrice, di parlare di la sua esperienza a chiunque.

“Da Österreich, il quotidiano distribuito gratuitamente sui mezzi pubblici e quindi letto, in fondo, da quasi tutti. Prima pagina: Afghano (diciotto anni) attacca una giovane donna al Festival del Danubio. “Ancora una volta c’è stato un tentativo di stupro da parte di un afghano. Una turista slovacca di ventun anni è stato assalita e palpeggiata da un gruppo di uomini. È riuscita a scappare, ma è stata inseguita da uno di loro, un richiedente asilo afghano che l’ha catturata e trascinata tra i cespugli. Poliziotti in borghese nelle vicinanze hanno notato la colluttazione e sono intervenuti per impedire lo stupro all’ultimo momento”. Pagina dieci: “Un afgano di venticinque anni ha tentato di violentare una giovane donna che stava prendendo il sole nel parco. Quattro coraggiosi passanti hanno trascinato via l’uomo dalla vittima e l’hanno trattenuto fino all’arrivo della polizia”. Pagina dodici: “Due afgani sono stati condannati per aver tentato di violentare una donna su un treno a Graz. Gli uomini, che vivono in una residenza per richiedenti asilo, hanno prima insultato la giovane donna con commenti verbali oscene prima di aggredirla. Quando ha gridato per chiedere aiuto, i passeggeri di altre parti del treno si sono precipitati in suo aiuto”.

“….Attacchi feroci e senza preamboli a ragazze e donne casuali, spesso commessi da bande o branchi di giovani uomini. All’inizio, gli incidenti furono minimizzati o messi a tacere: nessuno voleva fornire all’ala destra un pretesto, e la speranza era che si trattasse di casi isolati causati da un piccolo gruppo problematico. Con l’aumentare degli incidenti, e poiché molti di essi si sono svolti in pubblico o perché il pubblico è stato coinvolto nel fermare l’attacco o nell’aiutare la vittima in seguito, e perché i tribunali hanno iniziato a emettere sentenze mentre i casi venivano portati in giudizio, la questione non poteva più essere nascosta sotto il tappeto del politicamente corretto. E con il riconoscimento ufficiale e il resoconto pubblico, è emersa una nota strana e sconcertante. La maggior parte degli assalti sono stati commessi da rifugiati di una particolare nazionalità: gli afgani.”

Sono alcuni degli episodi riportati da Cheryl Benard nel lungo articolo “Ho lavorato con i rifugiati per decenni. L’ondata di crimini afghani in Europa è sbalorditiva”, apparso su The National Interest. “Non è stato facile per me scriverlo”, dice: “Ho lavorato su questioni relative ai rifugiati per gran parte della mia vita professionale, dai campi pakistani durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan allo Yemen, Sudan, Thailandia, Etiopia, Gibuti, Libano, Bosnia, Nicaragua e Iraq, e nutro profonda simpatia per il loro difficile destino. Ma da nessuna parte avevo incontrato un fenomeno come questo. Avevo visto rifugiati intrappolati in circostanze che li rendevano vulnerabili allo stupro, da guardie del campo o soldati. Ma perché i profughi diventassero autori di questo crimine nel luogo che aveva dato loro asilo? Era qualcosa di nuovo”.

Perché sta succedendo? – si chiede l’autrice – E perché gli afghani? .

Questi giovani, secondo una teoria, provengono da un paese in cui le donne sono semplici sagome scure completamente nascoste sotto burqa pieghettati. Di fronte a ragazze in canottiera e pantaloncini corti, perdono la presa sulla sanità mentale e i loro ormoni scappano con loro. Questa teoria non regge. Di nuovo, la stessa reazione dovrebbe poi essere mostrata anche da altri giovani provenienti da società islamiche rigide dove la segregazione di genere è la norma; perché solo gli afgani dovrebbero reagire in questo modo? E come si spiegano casi come quello della pensionata settantadue anni, a spasso con il cane quando è stata aggredita, picchiata e violentata da un giovane afghano? O lo scolaro, rapito e stuprato di gruppo in Svezia da un gruppo di afgani?

“Una altra teoria, più convincente e piuttosto inquietante, quella che avanza il mio amico afghano, il traduttore per i tribunali. Sulla base delle sue centinaia di interazioni con questi giovani nella sua opera professionale negli ultimi anni, crede di aver scoperto che sono motivati da un profondo e costante disprezzo per la civiltà occidentale. Per loro gli europei sono il nemico e le loro donne sono un legittimo bottino, come tutte le altre cose che si possono prendere loro: alloggio, denaro, passaporti. Le loro leggi non contano, la loro cultura non è interessante e, alla fine, la loro civiltà sta per morire sotto l’orda di cui loro sono l’avanguardia. Non c’è bisogno di assimilarsi, integrarsi, o lavorare sodo, o cercare di costruirsi una vita decente qui: questi europei sono troppo molli per punirti seriamente per una trasgressione.

E non sono solo i crimini sessuali, osserva il consulente dei tribunali. Questi possono agitare di più il sentimento pubblico, ma l’abuso deliberato e lo sfruttamento disonesto del sistema di welfare è altrettanto causato da un simile disprezzo. I rifugiati afgani, dice, hanno una particolare propensione a giocare il sistema: mentire sulla loro età, mentire sulle loro circostanze, fingere di essere più giovani, essere portatori di handicap, appartenere a una minoranza etnica quando anche l’occhio stanco di un giudice austriaco sa distinguere le delicate fattezze di un Hazara da quelle di un Pashtun.

“Nel corso della mia ricerca – continua la Benard – ho incontrato trentenni con famiglia in Austria che si spacciavano per “minori non accompagnati”. Ho incontrato persone che hanno esibito le cicatrici di un vecchio incidente stradale come prova che erano stati torturati. So di una famiglia afgana emigrata in Ungheria vent’anni fa; i bambini sono nati lì e hanno frequentato le scuole ungheresi. Quando è scoppiata la crisi dei rifugiati, allettata dalla notizia di tutti i benefici associati, questa famiglia ha deciso di assumere una nuova identità e di dirigersi verso la Svezia con la scusa di essere nuovissimi rifugiati. Affermando di aver perso i documenti durante il loro “volo”, si sono registrati con nuovi nomi falsi e hanno ridotto l’età dei loro figli; la madre si dichiarò vedova. Ora sistemati in un comodo alloggio libero. Col marito, fatto passare per “zio”.

I sistemi legali occidentali sono procedurali, operano sulla base di regole e diritti e forme e documenti e ti considerano innocente fino a prova contraria. Non c’è voluto molto ai rifugiati per capire come sfruttare questo a loro vantaggio. “Stanno lì, calvi, grigi alle tempie, e insistono sul fatto che hanno diciotto anni”, mi ha detto un esasperato pubblico ministero austriaco. Avendo “perso” i loro documenti, l’unico modo per confutare anche l’affermazione più palesemente assurda è attraverso costosi test di laboratorio. Una volta messo piede in Europa, sarà quasi impossibile liberarsi di te; infatti, puoi letteralmente commettere un omicidio. Se un tribunale ti dichiara colpevole di stupro, devi solo sostenere che se vieni rimandato a casa, la tua società conservatrice ti ucciderà per l’atto disonorevole—allora non puoi essere spedito fuori, perché la legge dell’UE vieta l’estradizione se così facendo a rischio la vita dell’individuo. E gli assassini non possono essere rimandati in paesi che hanno la pena di morte o un sistema giudiziario noto per essere duro.

L’articolo di Cheryl prosegue con un invito alla “sinistra deve riflettere un po’, ad essere meno calorosi, confusi e sentimentali” di fronte al problema dei profughi afghani. “Ogni rifugiato e richiedente asilo in arrivo deve essere sottoposto a un rigoroso controllo dei fatti della sua storia, inclusa la convalida dell’età dichiarata mediante test di laboratorio in caso di dubbio. Sì, è fastidioso e costoso, ma non così fastidioso e costoso come far entrare le persone sbagliate sistemare centinaia di migliaia di stranieri in modo permanente con il sussidio a cui non hanno diritto. E i paesi europei devono condividere tra loro i dati risultanti e le identità devono essere collegate alle impronte digitali, non a documenti di dubbia autenticità o addirittura a nessun documento”.

L’articolo di Cheryl Benard, molto lungo, può essere letto integralmente qui:

https://nationalinterest.org/feature/iv ... page=0%2C2

Una lettura che vorremmo consigliare ai politici: qui siamo di fronte a un tipo di rifugiato, direi ad un tipo umano, di scorza ancor più dura, feroce ed estranea dai “nostri valori” dei maghrebini o africani. Senza nessun interesse a lasciarsi “integrare”. Questa “specialità” dei giovani afghani come violentatori di massa spiega due cose:

Una, che il premier austriaco Sebastian Kurz è stato il primo a gridare

NO AD ALTRI RIFUGIATI AFGHANI!

Sono assolutamente contrario! “L’Austria ha dato un contributo sproporzionato”. Infatti, l’Austria ospita “44.000 afgani dall’inizio della crisi migratoria, il che significa che abbiamo una delle più grandi comunità afgane pro capite al mondo dopo Iran e Pakistan”, ha aggiunto.

Ma ciò spiega il motivo profondo del burka, del perché in Afghanistan, e solo lì fra i paesi islamici anche rigoristi, sia stata imposta alla donna la copertura del volto e la grata che non lascia vedere gli occhi. C’è qualcosa di più duro, primodialmente violento, nel carattere delle etnie afghane, che esige una simile “protezione” della sessualità femminile?


I rifugiati dell'Afghanistan nei Covid Hotel di Milano. E scatta la catena solidale: "Una stanza per le donne"
Zita Dazzi
21 agosto 2021

https://milano.repubblica.it/cronaca/20 ... 3Dsharebar

"Sono molto spaventate, stanche, preoccupate per i familiari che hanno dovuto lasciare in Afghanistan. Si domandano come sarà il loro futuro qui in Italia, a Milano, in un Paese nuovo, dove sono arrivate solo con gli abiti che avevano addosso, perché hanno dovuto lasciare anche la valigia all'aeroporto di Kabul da dove sono partite". Non ha chiuso occhio per 48 ore Monica Ramaioli, direttore generale della Fondazione Umberto Veronesi, sempre al fianco delle otto dottoresse del centro ginecologico di Herat, arrivate in Italia con i loro familiari più stretti: 34 persone in tutto, di cui 16 bambini, arrivati giovedì a Ciampino con un ponte aereo dell'esercito.

Alle 2 del mattino di ieri sono state accolti in un Covid hotel sotto la responsabilità sanitaria di Ats Milano. Un'operazione coordinata dalla prefettura che assieme al Comune di Milano e ad altri centri lombardi sta smistando i primi 160 profughi afgani che per la ripartizione nazionale spettano a questa regione. Oltre i 34 legati alla Fondazione Veronesi, ce ne sono altri 20 presi in carico dai Fratelli di San Francesco, e circa 100 destinati alla caserma militare di Edolo, nell Bresciano. In campo per accogliere i futuri profughi che arriveranno c'è anche Fondazione Progetto Arca.

E la cooperativa Melograno propone l'"adozione in casa" dei profughi attraverso una rete di famiglie solidali con lo slogan "Una stanza per una donna afgana". Un'idea che è piaciuta anche a Casa di Bethania e che mira a coinvolgere il territorio. Al momento c'è da risolvere una serie di problemi pratici, tra cui l'acquisto dei vestiti, oltre a tutto quel che serve per l'igiene personale e per i bambini. Il Comune sta pensando a quel che sarà necessario fare sul lungo periodo per garantire il diritto alla scuola dei più piccoli, l'insegnamento dell'italiano anche agli adulti. In campo ci sono tante forze diverse, che collaborano. La prefettura si occuperà delle pratiche per la richiesta di asilo. La vicesindaca Anna Scavuzzo, dopo l'appello lanciato su queste pagine dal direttore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti, l'ha chiamato per concordare strategie comuni, che guardino avanti, ai prossimi mesi, quando i flussi di richiedenti asilo potrebbero farsi più consistenti ed arrivare per canali meno istituzionali di quelli odierni.

Intanto, la prima giornata delle donne arrivate da Kabul è trascorsa tranquilla. Ce n'è una incinta al settimo mese che ha fatto già una prima visita alla clinica Mangiagalli. "Sono tante persone diverse ognuna con la sua storia, ognuna con le sue esigenze - racconta Monica Rabaioli - . Soprattutto i bambini sono un po' frastornati dal viaggio sull'aereo militare, poi dalle procedure di identificazione, infine dal viaggio in pullman fino a Milano. Adesso in albergo confidiamo che si possano riprendere in fretta. Hanno avuto una accoglienza molto calda e hanno trovato molte persone che sono lì per aiutarle. Questo le ha rassicurate, ora devono riposare".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » gio ago 19, 2021 8:45 pm

La prima cosa chiesta dagli afghani portati in Italia? Tappeti per pregare Allah
Quando ieri sera intorno alle 22 sono arrivati a Bari, nell’hotel che li ospiterà per almeno sette giorni di quarantena, la prima cosa che hanno chiesto i 40 afghani portati in Italia con un ponte aereo che ci ha scaricato alcune migliaia di musulmani, sono stati i tappeti per poter pregare il loro Allah.
Questi fanatici islamici sarebbero in fuga dai talebani. Sono una fazione sconfitta, nulla di più. I loro figli faranno quello che hanno fatto in questi anni i figli degli immigrati islamici in Francia.
https://www.facebook.com/groups/1059950 ... 9084006599

Afghanistan: profughi chiedono tappetini preghiera e vestiti - Puglia
Agenzia ANSA
(ANSA) - BARI, 25 AGO -
Quando ieri sera intorno alle 22 sono arrivati a Bari, nel Covid hotel che li ospiterà per almeno sette giorni di quarantena, la prima cosa che hanno chiesto sono stati vestiti per potersi cambiare e tappetti per poter pregare.
Tra i primi 40 profughi giunti a Bari ci sono 13 minorenni, due in più rispetto alle prime notizie, tra gli 8 e i 13 anni.

Due dei bimbi sono arrivati in Italia, attraverso il corridoio umanitario, senza genitori, affidati a conoscenti e la Protezione civile sta approfondendo la situazione. C'è anche una donna incinta, complessivamente sono otto i nuclei familiari e tre persone singole. Un uomo è in condizioni di salute precarie e necessità di cure.
Al lavoro ci sono gli operatori della Protezione civile regionale, con il supporto di mediatori culturali e con l'assistenza sanitaria della Asl Bari. Nel gruppo dei 40 afghani c'è anche un uomo che da cinque anni viveva già in Italia, ma che saputo quanto stava accadendo nel suo Paese è tornato a Kabul per salvare la moglie.
"In questo momento - dice Mario Lerario, capo della Protezione civile pugliese - stiamo guardando alle esigenze delle singole persone, è gente che ha una gran voglia di vita e serenità. È importante sostenerle, sono in una condizione di grande difficoltà e hanno bisogno di accoglienza". Per almeno una settimana non potranno uscire dall'hotel alla periferia di Bari e nemmeno incontrare altre persone, nel rispetto delle regole anti Covid. "Dopodiché decideranno se intraprendere il percorso con la richiesta dello status di rifugiato politico", aggiunge Lerario. È possibile fare anche donazioni rivolgendosi alla Protezione civile pugliese, servono soprattutto abiti e generi di prima necessità. (ANSA).



Non portarti e non portarci la morte in casa, grazie, non farti e non farci del male!
Non abbiamo nessuna colpa, nessuna responsabilità, nessun obbligo, nessun dovere di farlo e per farlo.
Non aiutare chi può farti del male!

http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=2624
Specialmente non portarti in casa e nel tuo paese i nazi maomettani, in nessun caso.


Kabul, l'ultimo volo italiano dall'aeroporto nel caos: «Manteniamo i patti»
Gianluca Perino
26 agosto 2021

https://www.ilmessaggero.it/mondo/kabul ... 57539.html

Dal nostro inviato a KABUL
«Abbiamo parlato con voi, aiutandovi a gestire la sicurezza dei vostri connazionali. Ma adesso basta. Qui siamo a casa nostra, nel nostro Paese. E questa occupazione deve finire. A partire da martedì». Quelli che hanno superato i check intorno all'aeroporto di Kabul, raccontano il pensiero predominante tra i Talebani: gli accordi sono stati fatti - dicono - quindi basta soltanto rispettarli. Ed è questa posizione dei nuovi padroni dell'Afghanistan, al momento non negoziabile, che ha convinto Biden ad accelerare sui rimpatri degli americani. E, soprattutto, a dire apertamente (anche se poi le parole sono tutte da verificare) di non aver nessuna intenzione di restare nel Paese oltre il 31 agosto, martedì appunto, come non fanno altro che ripetere per strada i miliziani.

LA CORSA
Questa deadline ha inevitabilmente fatto partire una gigantesca corsa contro il tempo, che a questo punto potrebbe portare alla chiusura del «più grande ponte aereo della storia» (come lo chiama Il presidente americano) già nella notte tra oggi e domani.

Afghanistan, allarme degli 007 Usa: «Imminente rischio di attacchi Isis ad aeroporto Kabul»

Sì, perché secondo i calcoli degli esperti che gestiscono i flussi qui a Kabul, oggi resteranno da trasportare al massimo 16mila persone: un gioco da ragazzi per una struttura ormai più che rodata. Del resto, i Talebani che controllano l'esterno dell'aeroporto (i migliori uomini a disposizione del movimento secondo l'intelligence) non permettono più a nessuno, stranieri esclusi, di avvicinarsi. Anche se, tra ieri e lunedì, sono stati fatti passare un po' più di mille afghani segnalati dai russi. Forse un segno che il dialogo con Mosca sta procedendo bene.

LA POLVERIERA
Il risultato è che in queste ore lo scalo di Kabul è diventato il posto più caotico e pericoloso del mondo, una polveriera che potrebbe esplodere da un momento all'altro. La gente, tra loro moltissime donne e bambini, si ammassa ai controlli per riuscire a trovare un posto in uno degli aerei che partono senza sosta. Lacrime, pianti e sorrisi, si confondono con le grida dei militari che cercano di tenere la situazione sotto controllo. E cresce, in queste ore, la paura di un attacco dell'Isis, possibilità evocata più volte nei giorni scorsi dall'intelligence statunitense. E non solo. C'è anche una pista: quella del convoglio di auto bomba (quattro) che dovrebbero scagliarsi contro uno degli ingressi dove sono ammassate le migliaia di persone alle quali non viene concesso l'accesso all'aeroporto.
In questo scenario di grande tensione, un ruolo di rilievo è ricoperto dai militari italiani, che con la missione voluta dal ministro Guerini hanno già evacuato dall'Afghanistan quasi quattromila persone. All'appello ne mancherebbero altre 6-700, ma la Difesa ritiene di poter portare a termine le operazioni di recupero entro oggi data che, naturalmente, dovrebbe segnare la fine anche dell'impegno italiano su questo fronte di grande emergenza.

Afghanistan, Biden: «Via il 31 agosto». Stretta dei Talebani: voli solo per gli stranieri

«Siamo qui dal primo giorno - spiega il console Claudi - per fornire assistenza di fronte a questa grande crisi umanitaria. Con Esteri, Difesa e intelligence siamo una squadra e lavoriamo su tutti i campi, dalla logistica all'assistenza sul terreno. La foto sul muro con il bambino? Mi hanno scritto in tanti». Per il generale Faraglia, capo della missione all'aeroporto «nessuno poteva immaginarsi una cosa del genere, credo nemmeno i Talebani. Su quanto abbiamo fatto fino ad oggi preferisco non dare giudizi. Certamente abbiamo fatto il massimo».
Ma la chiusura delle operazioni lascia molti punti interrogativi, come quello che riguarda, ad esempio, tutti quelli che hanno collaborato con la Nato negli anni passati: sarebbero in tutto oltre 4.500, ma fonti della struttura che gestisce il traffico confidano che ne sono stati portati via nemmeno 800. «Gli altri 3.500, che resteranno qui, rischiano».


LE TRUPPE AMERICANE
A questo punto, con lo stop ai trasferimenti dei civili, gli Stati Uniti avranno a disposizione 28, 29, 30 e 31 agosto per far uscire dal Paese tutti i loro soldati, seimila in tutto. E, soprattutto, per rendere inutilizzabili armi e mezzi in dotazione all'aeroporto che non possono essere portati via. Si parla di blindati, camionette e mitragliatrici. C'è poi il nodo dell'aeroporto. Senza gli americani, chi lo gestirà? In prima fila c'è il Qatar, ma sono anche altri ad ambire a un patto con i Talebani. Insomma, il nuovo Afghanistan dei Talebani è solo all'inizio.



Questo è uno dei peggiori, il demosinistro democristiano cattocomunista Sergio Mattarella, uno dei più irresponsabili e ipocriti buonisti accoglitori a spese degli italiani e degli europei
A costui, a Sergio Mattarella ricordiamo quello che dovrebbe già sapere per età e per funzione politico istituzionale e cioè che è un diritto umano essere rispettati nel proprio paese e non doversene andare per timore di essere maltrattati o uccisi e che non è affatto un diritto umano migrare ed essere accolti e ospitati in Europa a forza e a spese degli europei sia pure come rifugiati sociali e politici; l'umanitarismo ha dei limiti naturali nelle possibilità umane tra cui la necessità di non creare pericolo per la propria gente e non gravare socialmente ed economicamente su di essa provocando inutile disagio e sofferenza.
Poi ricordiamo a questo individuo senza alcun rispetto per noi nativi e cittadini europei che è del tutto demenziale pensare che l'Europa debba e possa farsi carico di tutti i mali infernali dei popoli del mondo esportando gratuitamente le proprie scarse risorse e il proprio aiuto ovunque e importando l'inferno, i disagiati e i profughi nei paesi europei a spese e a danno delle genti europee.



Afghanistan, Mattarella: «È sconcertante sentire parlare di diritti degli afgani da chi nega l'accoglienza»
29 agosto 2021

https://www.open.online/2021/08/29/afgh ... ene-video/

«Una cosa appare sconcertante e si registra nelle voci dei politici europei: è la grande solidarietà nei confronti dei diritti degli afgani che perdono diritti e libertà, ma che che restano là. Questo non è all’altezza dei valori dell’Unione». A dirlo, prendendo una dura posizione sull’accoglienza dei profughi, è il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre risponde a una domanda sui migranti, in occasione dell’80° anniversario del Manifesto di Ventotene. Per Mattarella serve «un dialogo collaborativo con altre parti del mondo per governare insieme questo fenomeno» della migrazione perché, sostiene il capo dello Stato, «solo una politica di gestione comune dell’immigrazione può evitarci di essere travolti da un fenomeno incontrollabile». Il presidente della Repubblica ha anche aggiunto che «in Europa si parla tanto di confini esterni dell’Unione ma la politica migratoria non è mai diventata una politica dell’Unione europea. Questa lacuna non è all’altezza dei ruoli e delle responsabilità dell’ Ue». Sulla politica migratoria «so bene che molti paesi sono frenati da preoccupazioni elettorali contingenti, ma così si finisce per affidare la gestione delle migrazioni agli scafisti e ai trafficanti degli esseri umani», ha detto Mattarella, perché «non è ignorando il fenomeno che lo si governa».



Afghanistan, Mattarella: “In Ue sconcertanti no all’accoglienza dei profughi”
29 agosto 2021

https://www.lastampa.it/politica/2021/0 ... 1.40646248

«In questi giorni una cosa appare sconcertante e si registra nelle dichiarazioni di politici un po' qua e là in Europa. Esprimono grande solidarietà agli afghani che perdono libertà e diritti, ma “che restino li”, non vengano qui perché non li accoglieremmo. Questo non è all'altezza dei valori della Ue». Lo ha sottolineato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella aprendo i lavori del 40° seminario di Federalisti Europei, nell'ottantesimo anniversario del Manifesto di Ventotene. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella è arrivato in mattinata nell'isola dove è nata 80 anni fa l'idea di un'Europa unita e ha deposto una corona sulla tomba di Altiero Spinelli, restando assorto per pochi minuti nel piccolo cimitero.

Nel pomeriggio, dopo l'introduzione di Giorgio Anselmi, Presidente dell'Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli, ha risposto alle domande di alcuni studenti durante il 40 seminario per la formazione federalista europea, spaziando dalla questione del clima («Il rapporto dell'Onu è allarmante e gli obiettivi non vanno disattesi. Qualche passo è stato compiuto ma bisogna fare di più, perché si è perso molto tempo. Quello che abbiamo di fronte è poter sopravvivere o non sopravvivere affatto. E non c'è scelta»), alla necessià di un’unione bancaria e finanziaria.

«Sono sorpreso dalla posizione di alcuni esponenti politici nell'Unione europea – ha aggiunto sul caso profughi - che sono rigorosi nel chiedere il rispetto dei diritti umani di paesi distanti ma distratti rispetto alle condizioni dei migranti. E non di qualunque tipo di migranti ma di quelli che fuggono da persecuzione o fame». Quanto accaduto in Afghanistan, ha detto «ha messo in evidenza la scarsa capacità di incidenza dell'Unione europea, totalmente assente negli eventi. È indispensabile assicurare subito gli strumenti di politica estera e di difesa comune. La Nato è importante ma oggi è richiesto che l'Unione europea abbia una maggiore capacità di presenza nella politica estera e nella difesa. Questa prospettiva è importante anche per gli Stati Uniti».

«La politica migratoria non è mai diventata materia comunitaria, come il Covid che ha fatto collaborare e non competere. Non si è agito così in Europa per le migrazioni. Questa carenza, questa omissione e lacuna non è all'altezza del ruolo della Comunità europea, so bene che su questo piano molti paese sono frenati da preoccupazioni elettorali contingenti, ma così si finisce per affidare la gestione delle migrazioni agli scafisti e ai trafficanti degli esseri umani». Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella intervenendo al 40° seminario per la formazione federalista europea in occasione dell'80° anniversario del Manifesto di Ventotene.



Bergoglio e i timori che la popolazione afghana sia stata lasciata a se stessa
Il caos a Kabul e la preoccupazione del Papa: "Ritiro senza tenere conto di ogni evenienza"
Serena Sartini
1 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1630487708

Papa Francesco è preoccupato per la situazione in Afghanistan, all'indomani del ritiro definitivo delle truppe statunitensi e dei loro alleati Nato, con il ritorno al potere del movimento talebano. Domenica, al termine dell'Angelus, aveva chiesto preghiere per il popolo martoriato dopo l'arrivo dei talebani e i continui attacchi da parte dello Stato islamico, e aveva invitato al digiuno. Bergoglio è tornato sulla delicata situazione del paese asiatico, dopo il ritiro dell'ultimo militare Usa. «Da quanto si vede - non voglio giudicare - tutte le eventualità non sono state prese in considerazione», ha scandito il Pontefice in una intervista alla radio cattolica spagnola Cope, che ha diffuso alcuni stralci del lungo intervento di un'ora e mezzo che andrà in onda questa mattina.

La popolazione, ha osservato Francesco, è stata «lasciata a se stessa». Il Papa argentino si è detto sicuro che il Vaticano stia muovendo i suoi diplomatici per cercare di impedire rappresaglie tra la popolazione e i talebani. «Sono certo che lo stia facendo la Segreteria di Stato», ha assicurato. «Il Vaticano può muoversi nella nuova mappa politica e la diplomazia può intervenire affinché non ci siano rappresaglie contro la popolazione?», ha chiesto Carlos Herrera, giornalista di Cope, rivolgendosi al Papa. «Sì - risponde Bergoglio senza mezzi termini - e infatti sono sicuro che la Segreteria di Stato lo sta facendo». «Perché lasciarli al loro destino?», incalza il giornalista. «No, il modo in cui si negozia una dimissione, un'uscita... Da quello che possiamo vedere qui, sembra - non voglio giudicare - che non tutte le eventualità siano state prese in considerazione», ha precisato il Papa.

Anche l'Osservatore Romano ha dedicato la prima pagina all'emergenza afghana. «Non dimenticare chi è rimasto», titola il quotidiano della Santa Sede, ricordando che «si è chiusa un'epoca» con «la guerra più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti» lasciandosi alle spalle «un Paese ripiombato nel caos». «Per gli afghani costretti a rimanere nel Paese sotto il nuovo' regime dei talebani la vera emergenza comincia adesso», ha sottolineato l'organo vaticano.

In una anticipazione dell'intervista alla Cope, rilasciata due giorni fa, Francesco aveva confessato di essere stato salvato da un infermiere, Massimiliano Strappetti, dopo l'operazione al colon subita dal Papa al Policlinico Agostino Gemelli. «Un infermiere mi ha salvato la vita - ha detto - e questa è la seconda volta che accade», ricordando che la prima volta fu invece nel 1957 quando una suora italiana, disattendendo le disposizioni dei medici, cambiò cura all'allora seminarista argentino colpito da una polmonite.

Parlando invece delle insinuazioni su possibili dimissioni, sollevate da ambienti ultraconservatori ostili al Pontefice, Francesco ha risposto: «Ogni volta che il Papa è malato, si alza una brezza o un uragano di Conclave».



Johansson: "Aiuti laggiù". Stop da Berlino, Parigi, Vienna, Praga e Copenaghen
Lamorgese: "Disponibilità ad accogliere". Ma ora l'Europa chiude le porte ai profughi
Massimo Malpica
1 Settembre 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1630474278

La crisi afghana continua a tenere banco sullo scenario internazionale e anche su quello interno. Ieri il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese era a Bruxelles per prendere parte al consiglio straordinario degli Affari interni, riunito per discutere le questioni umanitarie e i rischi per la sicurezza connessi alla riconquista del Paese asiatico da parte dei Talebani. Al termine del vertice, il titolare del Viminale ha raccontato della «piena disponibilità» a «un approccio ordinato e completo degli arrivi degli afghani», da parte dei ministri degli esteri della Ue, che si sarebbero anche detto pronti a offrire «accoglienza alle persone che fuggono da situazioni difficili».

Eppure proprio sui profughi le dichiarazioni a caldo arrivare dalla capitale belga disegnano una strategia diversa dei partner europei su un tema tanto rovente quanto divisivo. Lo stesso commissario europeo agli Affari interni, Ylva Johansson, prima ancora dell'inizio del consiglio aveva già rimarcato l'importanza di «essere in una posizione tale da evitare una crisi umanitaria e migratoria», oltre che quella di «evitare minacce alla sicurezza» provenienti dall'Afghanistan. Per la Johansson il fattore chiave è il tempismo: per non ritrovarsi «grandi flussi di persone alle nostre frontiere esterne», serve «agire ora per sostenere le persone in Afghanistan e nei Paesi vicini». Più che braccia aperte, insomma, si prospetta un già sentito «aiutiamoli a casa loro», esteso ai soli Paesi limitrofi, ricalcato dal vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas: «Dobbiamo lavorare coi Paesi vicini per limitare il margine dei trafficanti di produrre grossi movimenti di profughi alla nostra frontiera esterna». La stessa linea, che non somiglia a quella raccontata dalla Lamorgese, riecheggia anche nelle parole di Karl Nehammer, omologo austriaco della titolare del Viminale, il cui messaggio «molto chiaro» agli afghani, condiviso da Repubblica Ceca e Danimarca, è: «State lì, aiuteremo a sostenere le persone lì dove sono». Anche il ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin accenna al «modello siriano-turco» quanto alla gestione dei profughi, mentre il suo collega tedesco Horst Seehofer si è già detto contrario a un sistema di quote tra i Paesi Ue per l'accoglienza dei rifugiati.

Sul fronte interno, intanto, ieri il Copasir ha audito il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Sul tavolo, oltre al ritiro delle nostre truppe dall'Afghanistan, anche le conseguenze sulla sicurezza del ritorno al timone dei talebani, tra i timori di una nuova escalation del terrorismo internazionale e la necessità di continuare con l'esfiltrazione dall'Afghanistan di chi ha collaborato con il nostro contingente e di quanti, dopo il rovesciamento del governo afghano, sono costretti a lasciare il Paese. Tra questi, anche i 119 tra studenti e studentesse della Sapienza con le loro famiglie.




Troppi stupratori, Ue chiude agli afghani: “Non venite, vi aiuteremo in Afghanistan”. Cinquemila in Italia!
1 settembre 2021

https://voxnews.info/2021/09/01/troppi- ... in-italia/

Austria, Danimarca e Repubblica Ceca anticipano le scelte prima del vertice ministeriale sulla crisi. Bruxelles non garantisce una quota di ingressi agli afghani e rimanda la gestione a “un forum di alto livello”.

Al termine di una riunione di cinque ore tra i ministri degli Interni dei Paesi membri, durante la quale non sarebbero mancati i momenti di tensione, l’Ue ha infatti rimandato la partita dell’assistenza diretta dei richiedenti asilo a “un forum di alto livello sui reinsediamenti che avrà luogo a settembre”, ha annunciato la commissaria Ue, Ylva Johansson, al termine dell’incontro. Per il momento, Bruxelles non ha fissato alcuna quota. Né si accinge a farlo nelle prossime ore. Perché non può farlo, sono i Paesi a decidere. E non tutti hanno dei deficienti che corrono a prendersi 5mila potenziali stupratori.

“La cosa più importante è mandare un messaggio molto chiaro nella regione: state lì, aiuteremo a sostenere le persone dove sono”, cioè in Afghanistan o, al massimo nei Paesi confinanti. A dettare la linea dell’intransigenza sugli arrivi in Europa è stato Karl Nehammer, ministro degli Interni dell’Austria, affiancato da due colleghi che la pensavano esattamente come lui.

“Non si creino speranze che non si possono realizzare come si è fatto in passato”, ha aggiunto Jan Hamacek, ministro degli Interni della Repubblica Ceca. Il riferimento è alla crisi migratoria del 2015 durante la quale, a detta del ministro danese Mattias Tesfaye “l’elemento dell’importanza dei confini è mancato”. Inoltre, “non possiamo più criticare, come si è fatto nel 2015, i Paesi che stanno sostenendo i confini europei”. Di qui il supporto a “Lituania, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Spagna e gli altri Paesi europei che stanno rafforzando e garantendo i nostri confini comuni”, ha concluso il ministro danese figlio di un rifugiato somalo.

Ce lo dobbiamo sentire dire da una somala.

Come mai l’Austria a capo di chi non vuole gli afghani? Per il record di stupri:

Così l’Ue si limiterà a concentrare la sua azione nei Paesi terzi confinanti con l’Afghanistan. “Come priorità immediata – si legge nelle conclusioni dell’incontro di oggi – l’Ue continuerà a coordinarsi con i partner internazionali, in particolare l’Onu e le sue agenzie, per la stabilizzazione della regione e per garantire che gli aiuti umanitari raggiungano le popolazioni vulnerabili, in particolare donne e bambini, in Afghanistan e in Paesi limitrofi”. Da Bruxelles sono arrivate garanzie anche ai Paesi di transito “che ospitano un gran numero di migranti e rifugiati, per rafforzare le loro capacità di fornire protezione”.

Nel documento finale non si fa alcun accenno a possibili azioni di redistribuzione tra i Paesi Ue. A spiegare il motivo di questa scelta è stato Ales Hojs, ministro degli Interni della Slovenia, Paese al quale spetta la presidenza di turno del Consiglio Ue. “Anche se il focus” della crisi afghana “ora è sui gruppi vulnerabili, la gente che arriva in Europa potrebbe non appartenere a tali categorie”. Ad esempio, ha detto il ministro in conferenza stampa, “ci sono molti uomini giovani che rappresentano tutti potenziali minacce alla sicurezza, che dobbiamo combattere nel modo migliore possibile”. Cioè chiudendo, di fatto, l’Unione europea a ogni possibilità di arrivo di stupratori afghani. Almeno sulla carta.

Noi, però, ci siamo portati avanti, ‘grazie’ ad un governo criminale:

E li stanno distribuendo in tutta Italia. Perfino in Sardegna e Sicilia, come se non ne arrivassero abbastanza via mare, come se i giovani locali non partissero per mancanza di lavoro. E’ un piano di sostituzione etnica delle genti italiane.

Pan è morto – L'informazione pericolosa




Kurz ribadisce, 'profughi afghani vadano nei Paesi vicini'
Mondo
Agenzia ANSA
4 settembre 2021

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... de2e5.html

BELGRADO - Gli afghani che lasciano il loro Paese dovranno essere accolti negli stati confinanti e non in Europa. Lo ha ribadito il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, secondo il quale Vienna è in contatto con tali Paesi.

Parlando oggi a Belgrado al termine di un colloquio con il presidente serbo Aleksandar Vucic, Kurz ha sottolineato l'importanza di proteggere le frontiere e contrastare il traffico di esseri umani. "Oggi la situazione ai confini della Ue è migliore rispetto al 2015. La Grecia sta facendo grandi sforzi a difesa della frontiera, e in Germania è cambiato il modo di pensare", ha affermato il cancelliere conservatore austriaco. Kurz ha poi ribadito il pieno appoggio dell'Austria all'integrazione nella Ue della Serbia e degli altri Paesi dei Balcani occidentali.
Lo stesso Vucic si è poi espresso sui profughi afghani, affermando che la Serbia è pronta a coordinarsi con gli altri Paesi per affrontare il problema dei profughi dall'Afghanistan, ma non intende diventare "un parcheggio per migranti". Vucic ha affermato che il suo Paese ha ricevuto finora una richiesta per accogliere circa 150 donne o ragazze di squadre calcistiche afghane. "Quelli che lasciano l'Afghanistan vogliono andare in Europa occidentale o negli Stati Uniti, in pochi intendono raggiungere i Balcani".
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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

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