5)
L'infernale alleanza tra i social internazi comunisti sessantottini come Gino Strada e la Boldrini i fanatici dei diritti dei presunti ultimi e deboli della terra, i cristiani terzomondisti e social comunisti di Bergoglio antiamericani e antisraeliani e pieni di demenziali sensi di colpa, e i nazi maomettani di ogni dove, compresi quelli che ci hanno invaso e che ci stanno invadendo clandestinamente via mare e via terra (con il pretesto dell'asilo/aiuto politico, umanitario, economico) ogni giorno abusando e violando le convenzioni internazionali, i finti minorenni e il dirittto al ricongiungimento parentale, gli impropriamente detti Palestinesi che vorrebbero cacciare e sterminare gli ebrei, i Talebani come AlQaida, l'ISIS, BoKo Haram, tutti quelli che alimentano il suprematismo nero anti bianco negli USA e in Europa come gli antifa, i BLM e i neri islamici americani come la rifugiata somala Ilhan Omar, e tutti gli altri che non ho elencato e che si contraddistinguono nel sostenere la distinzione dell'Islam buono che non è mai esistito, dall'Islam cattivo che è sempre esistito come Islam da Maometto in poi.Il nostro amato Gino è morto questa mattina.È stato fondatore, chirurgo, direttore esecutivo, l’anima di EMERGENCY.
“I pazienti vengono sempre prima di tutto”, il senso di giustizia, la lucidità, il rigore, la capacità di visione: erano queste le cose che si notavano subito in Gino. E a conoscerlo meglio si vedeva che sapeva sognare, divertirsi, inventare mille cose.
Non riusciamo a pensare di stare senza di lui, la sua sola presenza bastava a farci sentire tutti più forti e meno soli, anche se era lontano.
Tra i suoi ultimi pensieri, c’è stato l’Afghanistan, ieri. È morto felice.Ti vogliamo bene Gino.
La nascita di EMERGENCY
Nel 1994, l’esperienza accumulata negli anni con la Croce Rossa spinge Gino Strada, insieme alla moglie Teresa Sarti e alcuni colleghi e amici, a fondare EMERGENCY, Associazione indipendente e neutrale nata per portare cure medico-chirurgiche di elevata qualità e gratuite alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà.
Il primo progetto di EMERGENCY, che vede Gino Strada in prima linea, è in Ruanda durante il genocidio. Poi la Cambogia, Paese in cui resta per alcuni anni.
Nel 1998 parte per l’Afghanistan: raggiunge via terra il nord del Paese dove, l’anno dopo, EMERGENCY apre il primo progetto nel Paese, un Centro chirurgico per vittime di guerra ad Anabah, nella Valle del Panshir.
Gino Strada rimane in Afghanistan per circa 7 anni, operando migliaia di vittime di guerra e di mine antiuomo e contribuendo all’apertura di altri progetti nel Paese.
Oggi EMERGENCY è presente in Afghanistan con 3 ospedali, un Centro di maternità e una rete di 44 Posti di primo soccorso.
Dal 2005 inizia a lavorare per l’apertura del Centro Salam di cardiochirurgia, in Sudan, il primo Centro di cardiochirurgia totalmente gratuito in Africa. Nel 2014 si reca in Sierra Leone, dove EMERGENCY è presente dal 2001, per l’emergenza Ebola.
EMERGENCY ha curato oltre 11 milioni di persone. L’utilizzo dei fondi e la ripartizione delle spese nei progetti sono da sempre resi pubblici nel Bilancio di EMERGENCY e nel Report di sostenibilità.
https://www.emergency.it/gino-strada-ch ... skQAvD_BwEIdee che fanno bene: una riflessione su sanità e diritti
A settembre 2020, abbiamo organizzato l’evento online Idee che fanno bene, per riflettere sull’importanza di una sanità universale, pubblica, gratuita, integrata.
Insieme a medici, filosofi, attori, giornalisti, scrittori, comici abbiamo raccontato gli effetti del considerare la salute un bene di mercato e l’enorme potenziale del viverla come un diritto.
Ne è uscito anche questo piccolo vocabolario, raccontato da Gino Strada: dieci parole semplici ma fondamentali su cui ricostruire una Sanità che abbia al centro le persone che ne hanno bisogno.
La furia talebana contro le donne afganeAutore Francesca Salvatore
14 agosto 2021
https://it.insideover.com/donne/la-furi ... fgane.htmlNon era necessaria una sfera di cristallo per intuire come sarebbe andato a finire il pantano afgano in mano ai talebani. Gli stessi additati per quasi vent’anni come male assoluto, come incarnazione dell’oscurantismo postmoderno, per poi essere riabilitati a controparte con cui trattare tanto da essere ospitati perfino sulle dorate pagine del New York Times. L’Afghanistan di queste ore è un disastro, un inferno in terra, soprattutto per coloro che, a vario titolo, avevano cominciato a respirare quando la morsa violenta della barbarie si era poco a poco affievolita. A rischiare di finire nel pozzo nero della geopolitica ci sono loro, le donne afgane, sui cui corpi e sulle cui vite il regime scrive con assoluta ferocia da sempre e del quale il burqa è solo la punta dell’iceberg di un mondo ben più complesso, ma sempre uguale a se stesso nella sua misoginia. I dati parlano chiaro: un rapporto pubblicato il mese scorso dalle Nazioni Unite mostra un aumento delle donne e dei bambini uccisi e feriti già tra maggio e giugno, in concomitanza con l’inizio della partenza delle truppe statunitensi e di altre truppe internazionali dalla regione.
Le conquiste perdute
Ma peggio della morte c’è la perdita della libertà, dell’indipendenza, dell’identità. Eppure, qui le donne avevano ottenuto il diritto di voto nel 1919, molto prima di numerose democrazie occidentali e, negli anni Sessanta, un nuovo testo costituzionale aveva affidato loro un ruolo fondamentale nella vivace società afgana. Basta poco per rendersene conto: è sufficiente googlare tra le immagini degli anni d’oro per osservare quanto l’Afghanistan fosse una società viva, colorata e in fermento, dove le donne procedevano a passo spedito nel mondo a suon di gonne corte e libri sotto al braccio. Di alcune grandi conquiste perdute le donne afgane si erano riappropriate dopo il 2001, checché se ne pensi dell’intervento americano. La presenza delle donne in Parlamento è aumentata di quasi il 30%, più di 100mila donne sono riuscite a iscriversi all’università e quasi 4 milioni di bambine a scuola.
Molte donne afgane, vent’anni fa erano poco più che bambine: hanno conosciuto i benefici dello status quo ante, sono andate a studiare all’estero. Molte sono tornate per diffondere il verbo diventando attrici chiave dei loro distretti. Tante di loro, complici famiglie umili ma al passo con i tempi, non sono sposate, non hanno figli nonostante abbiano superato i 25 anni. Tantissime non indossano né il burqa né tantomeno il velo. Questa libertà rischia di non durare man mano che i Talebani avanzano: a Kabul i guerriglieri – gli stessi che si iniettano dosi da cavallo di eroina prima di sgozzare i nemici – stanno stilando liste di tutte le donne nubili in loco: quale la ragione se non quella di “rimediare” a quest’onta con la violenza, matrimoni forzati e chissà cos’altro? La fuga al momento è impossibile per chiunque.
Le donne sole rischiano di più
Fra le donne “sole” ci sono anche quelle divorziate, che adesso sembrano essere nel mirino della furia talebana che vuol dar sostanza al vecchio detto afgano che recita “Una donna lascia la casa di suo padre solo con gli abiti da sposa bianchi e può tornare solo con i sudari bianchi”. In questa società profondamente conservatrice e patriarcale, le donne che sfidano le convenzioni e cercano il divorzio sono spesso rinnegate dalle loro famiglie ed evitate dalla società afghana. Rimaste sole, devono lottare per diritti fondamentali, come l’affitto di un appartamento o un prestito in banca, che richiedono il coinvolgimento o le garanzie dei parenti maschi. Nonostante lo stigma sociale e gli ostacoli all’indipendenza, oggi in Afghanistan vivono molte donne divorziate. In molti distretti catturati dai Talebani sono già state imposte nuove regole, comprese le restrizioni alla circolazione che ora tornano a dover essere “scortate” dai parenti maschi e completamente coperte dal tradizionale burqa.
L’escalation di violenza ha costretto molti afgani a fuggire dalle loro case, ma le donne che vivono da single si ritrovano isolate, senza un posto dove rifugiarsi. La cosa più terrificante, tuttavia, è e sarà la pratica dei matrimoni forzati di giovani ragazze e vedove con combattenti talebani. Per molte donne, l’unica strada alternativa alla fuga sarà uccidersi pur di non perdere la libertà: le cronache ci raccontano di centinaia di donne pronte a farlo o che già lo hanno fatto. Molte di loro, single o meno, hanno già perso il posto di lavoro nelle ultime settimane: già agli inizi di luglio, centinaia di impiegate o piccole imprenditrici hanno visto arrivare i guerriglieri talebani presso le loro attività, nei loro uffici, nei propri negozi per essere costrette a lasciare il posto di lavoro e indossare il burqa: i loro impieghi, ottenuti col sudore e tanto studio, ceduti al parente maschio più prossimo.
Molte di queste donne in pericolo hanno vissuto vent’anni di libertà. O nella libertà recuperata sono nate. Non conoscono altro modo di vivere, non sanno contrattare la vita con la sottomissione. Questo potrà essere la salvezza dell’Afghanistan o l’inizio del loro atroce sterminio, mentre il mondo fa spallucce. Malala Yousafzai, la giovane pakistana che da un altro Paese ha fatto della lotta ai Talebani la sua vita ha affermato più volte che “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”.
In Afghanistan di libri e di penne ne sono arrivati tanti. Ora non ne arrivano più. E per ora, purtroppo, sta vincendo la spada.
Dove abbiamo sbagliato in Afghanistan Wired
13 agosto 2021
https://www.wired.it/attualita/politica ... efresh_ce=Dopo vent'anni di missione occidentale e l'annuncio dell'abbandono del paese, l'Afghanistan si ritrova punto e a capo, in mano alle forze talebane. Un fallimento americano su cui dovremmo interrogarci
Di Afghanistan probabilmente si parlerà per lungo tempo, esempio di un grande fallimento a stelle e strisce. Sono passati pochi mesi da quando Joe Biden ha annunciato ufficialmente, in linea con i piani dei suoi predecessori, che entro l’11 settembre prossimo gli Stati Uniti avrebbero completamente lasciato il paese. Arrivati a quella data, è possibile che l’Afghanistan sarà già del tutto in mano ai talebani, la cui rimozione dal potere è stata la ragion d’essere di una missione occidentale durata vent’anni e costata molto in termini umani e finanziari.
Nel giro di poche settimane una provincia dietro l’altra sono cadute come birilli davanti all’avanzata talebana. Nelle scorse ore è toccato a centri molto importanti come Herat e Kandahar, ormai due terzi del paese sono stati sottratti alle forze governative. Tutto questo sta lasciando sul terreno moltissime vittime soprattutto dal lato dell’esercito, mentre tra matrimoni forzati, stupri e altre violenze indiscriminate si parla già di massicci crimini di guerra e contro l’umanità operati dalle milizie talebane. Di fronte al collasso dell’Afghanistan, fino a qualche giorno fa si diceva che la caduta della capitale Kabul sarebbe potuta avvenire nel giro di sei mesi-un anno. Le ultime proiezioni parlano invece di 90 giorni, un periodo destinato a scendere ulteriormente vista la rapidità dell’offensiva.
Vent’anni fa, dopo l’attacco alle torri gemelle di New York e la protezione del regime talebano dei terroristi coinvolti, gli Stati Uniti a braccetto con le potenze occidentali della Nato correvano in Afghanistan per rovesciare il potere dei fondamentalisti islamici ed “esportare la democrazia”, secondo una formula tanto cara a Washington. Venti anni dopo nulla è cambiato e si è avuta la conferma che tutti quei progressi gridati al mondo sotto forma di stabilizzazione del paese e addestramento delle forze governative per sventare eventuali future offensive erano in realtà un fuoco di paglia. L’Afghanistan si ritrova lì dove era all’inizio del millennio e la sensazione è che sia stato sprecato molto tempo, oltre che ingenti risorse (un trilione di dollari, un numero con così tanti zeri da renderne difficile la scrittura).
Il problema in Afghanistan è che per troppo tempo si è fatto finta che la missione stesse andando bene. Come rivelano però migliaia di lettere come quelle pubblicate dal Washington Post, ma anche editoriali di analisti e interviste postume di chi nel paese ci è stato, il senso del fallimento si respira da parecchi anni. Che il paese versasse ancora nel caos, che il nuovo stato democratico fosse in realtà un coacerbo di corruzione, che la forza dei talebani fosse solo addormentata e non sconfitta, che quella occidentale fosse ormai una mera presenza deterrente priva di strategia e obiettivi a lungo termine nel paese, è una certezza che accompagna i militari e i governi coinvolti da tempo. Se ora se ne stanno andando tutti, se l’Afghanistan è stato lasciato a sé come un bambino a cui vengono tolte le rotelle della bicicletta, non è perché si è convinti della sua capacità di farcela da solo, ma proprio perché l’insabbiamento del fallimento non poteva andare avanti per molto. L’offensiva di queste settimane era quindi data per scontata e non si è nemmeno fatto molto per evitarla, se come sottolinea il New York Times l’occidente ha deciso di andarsene proprio nel momento stagionale di massima forza offensiva talebana, in quella che suona soprattutto come una fuga prima che fosse troppo tardi. E non ha offerto alcun tipo di supporto reale di fronte all’inevitabile.
A guardare con sospetto alla situazione afghana ora è soprattutto l’Europa, culla di democrazia che non è tanto scossa dai crimini contro l’umanità in corso di esecuzione nel paese ma dalle conseguenze migratorie derivanti, in quella abituale paranoia sovranista per cui ogni disastro globale è letto nell’ottica della tenuta delle proprie frontiere. Gli Stati Uniti, invece, lavorano di diplomazia sperando che si trovi una soluzione interna di qualche tipo, magari una condivisione di potere tra talebani e governo afghano, che limiti i danni d’immagine propri e della missione di cui per venti anni sono stati a capo.
Si è andati in Afghanistan per i propri tornaconti personali e ora che il paese è stato abbandonato si continua a ragionare in quest’ottica. Intanto a Kabul e dintorni si combatte, si muore e si soffre, tormentati dall’idea di essere stati cavie di un ennesimo esperimento fallito.
"Femministe, perché non provate il burqa dei Talebani?"La lettera di Mila, condannata a morte in Francia per aver "offeso" l'Islam. "Care amiche afghane, i vostri occhi dalla rete metallica possono vedere solo la vigliaccheria occidentale?"
Giulio Meotti
16 agosto 2021
https://meotti.substack.com/p/femminist ... provate-il “Donne e ragazze afghane fuggono dai Talebani. Ma quest’allarme ha incontrato un silenzio apparentemente inspiegabile da parte del movimento femminista internazionale”. Così scrive oggi su The Australian Ida Lichter, autrice di Muslim Women Reformers: Inspiring Voices Against Oppression. “Mentre conquistano più territorio, gli insorti vietano alle donne di uscire di casa senza un parente maschio e bandiscono le ragazze dalla scuola. Alle famiglie viene ordinato di consegnare donne e ragazze per il matrimonio a combattenti talebani. Queste richieste sono coerenti con l'interpretazione estremista dei talebani della sharia islamica che afferma che le donne sono beni mobili da cedere come bottino di guerra”. Lichter ricorda che, nei due decenni di occupazione da parte delle forze della coalizione, “le donne afghane hanno guadagnato preziosi diritti. Sono stati istituiti 3.000 centri sanitari e la mortalità materna è diminuita del 40 per cento. Il numero di ragazze nell'istruzione secondaria è aumentato di un terzo, con 100.000 che hanno raggiunto l'università. Le donne hanno votato alle elezioni, si sono candidate a cariche politiche e sono diventate parlamentari e giudici”. Nonostante questo, “le principali organizzazioni femministe internazionali hanno mostrato scarso sostegno alle donne afghane, ora, negli ultimi vent’anni o in precedenza. La flagrante persecuzione dei Talebani è ignorata. Nella loro attuale traiettoria politicizzata, le femministe si sono allontanate dalle questioni fondamentali dei diritti delle donne”.
Mentre da Kabul arrivano notizie come i negozi di burqa che tornano a riempiersi, racconti di chi vede in giro “solo volti di donne atterrite”, della corrispondente della CNN costretta a mettersi il velo a Kabul e di donne frustate per aver indossato i sandali, Mila si è rivolta alle donne afghane. Lei è la liceale francese che ha ricevuto 100.000 minacce di morte in un anno e mezzo per aver “offeso” l’Islam sui social. Costretta a cambiare due scuole, a vivere sotto la protezione della polizia e in un angosciante anonimato, Mila ha appena scritto una lettera sulla caduta di Kabul. La traduco e riproduco per la newsletter. E’ un testo che oggi dovrebbe campeggiare, come quelli di Oriana Fallaci sul Corriere della Sera dopo l’11 settembre, sulla prima pagina dei quotidiani italiani.
Afghanistan: non distogliete lo sguardo.
I talebani sono appena entrati a Kabul, dopo aver assunto il controllo di quasi tutto l'Afghanistan, davanti ai nostri occhi increduli di occidentali.
Come voi, sto assistendo a questo disastro e voglio parlare alle donne di questo Paese, terrorizzate da ciò che le aspetta.
Cosa vedono i vostri occhi attraverso la rete metallica del burqa? Avendo brevemente intravisto la libertà e la possibilità di avere un futuro, temo che ora vedrete solo la nostra vigliaccheria. La viltà di chi tace, di chi non denuncia la sorte a voi riservata da chi vuole imporre la pura legge islamica.
Noi donne europee abbiamo il diritto di usare i nostri occhi, la nostra vista non è disturbata da una rete. E quello che vediamo è l'asservimento delle donne e delle bambine alla legge degli uomini, che promettono a chi non si sottomette, a chi continua a imparare, a chi vuole fare un mestiere, la fustigazione, la lapidazione, gli attacchi con l'acido, gli omicidi. Mentre chi osserva le regole della sharia sarà destinato, nel migliore dei casi, a una cancellazione totale del proprio essere.
Noi donne europee possiamo parlare, gridare, cantare, urlare, ridere... le donne afghane potranno presto solo piangere, in silenzio, imprigionate dietro le loro lenzuola blu.
Le ‘femministe’ hanno gli occhi, una bocca, quindi perché non denunciano tutto ciò che vedono? Non vi siete svegliate? Siate consapevoli dell'oppressione dell'Islam su queste donne. Ah sì, dimentico un dettaglio: questa lotta è molto più pericolosa di quelle che di solito conducete.
Per aiutare l’islam moderato, non riconoscete i TalebaniSouad Sbai
18 Agosto 2021
https://almanews24.it/editoriali/2021/0 ... -talebani/https://lanuovabq.it/it/per-aiutare-lis ... i-talebani Dopo 20 anni di guerra nel tentativo di instaurare una parvenza di democrazia, l’Afghanistan torna al punto di partenza. L’Occidente dovrà avere relazioni e rapporti con i terroristi al governo? Gli afgani dovrebbero ribellarsi. E gli occidentali non credere alla svolta “moderata” degli integralisti.
Dopo 20 anni di guerra nel tentativo di instaurare una parvenza di democrazia, l’Afghanistan torna al punto di partenza. Una vicenda assurda che lascia spazio a numerose domande. Cosa succederà adesso? Che fine faranno le donne e tutti coloro che si oppongono ai Talebani? L’Occidente dovrà avere relazioni e rapporti con i terroristi al governo? Sono interrogativi che bisogna porsi visto quanto accaduto. Kabul è in mano ai Talebani e per gli afgani inizia un periodo i cui effetti e conseguenze sono già note.
Nonostante i Talebani abbiano dichiarato di non voler opprimere la popolazione con le leggi dell’oscurantismo religioso di cui sono portatori, le cose cambieranno a breve. Quando l’attenzione dei media internazionali calerà, l’Afghanistan si trasformerà in un inferno. Già da ora arrivano notizie sconfortanti su una caccia alle donne che non indossano gli abiti o non tengono comportamenti che l’islam radicale impone. Alcune di queste, tra cui qualche giornalista, hanno fatto sapere di essersi chiuse in casa nel timore di essere aggredite o uccise. Nonostante questo, la possibilità che le “disobbedienti” vengano cercate casa per casa è altissima. Così come per tutti gli afgani che negli anni hanno lavorato con gli occidentali e che adesso rischiano la morte.
Davanti a questo scenario Joe Biden, presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato che l’intervento in Afghanistan non aveva l’obiettivo di creare uno Stato democratico, ma di combattere il terrorismo. Parole per certi versi sconcertanti, ma che nascondono una prospettiva per gli afgani: ribellarsi al terrorismo dei Talebani. Solo a quel punto l’intervento delle forze straniere avrà un senso e potrà eliminare definitivamente il gruppo. Fino a quando ci saranno afgani, che per paura o connivenza, lasceranno la loro patria nelle mani di Al Qaeda, Isis o altre organizzazioni terroristiche, l’Afghanistan non avrà mai pace.
Allo stesso modo, la comunità internazionale non deve riconoscere un governo formato da terroristi. Sarebbe l’ennesimo errore nell’approccio all’integralismo islamico. Occorre inserire i Talebani nella lista internazionale dei terroristi. Ogni nazione dovrebbe dichiarare fuori legge movimenti islamisti come quello dei Fratelli Musulmani. Solo mettendo al bando queste realtà e chiudendo ogni canale di trattativa e comunicazione con le democrazie occidentali, si può sperare di invertire il corso della storia in Afghanistan e in tutti i Paesi dove vige l’islam oscurantista. Il mondo arabo moderato, infatti, proprio in queste ore esprime preoccupazione per la salita al potere dei Talebani, mentre la parte dell’islam radicale festeggia.
I prossimi giorni, dunque, saranno decisivi per capire se gli interessi economici globali avranno la meglio sui diritti umani e sulla democrazia. Anche se in questo caso, la previsione rispetto alla sorte dell’Afghanistan è piuttosto agevole: il cosiddetto Emirato Islamico, dichiarato dai Talebani dopo essere entrati a Kabul, diventerà un referente dell’Occidente.
Alberto PentoQuale mai sarebbe l'Islam moderato e cosa mai vorrebbe dire Islam moderato?
Esistono forse un Maometto e un Corano moderati diversi da quelli veri, reali e storici precipui dell'Islam tradizionale e universale?DIALOGO STRETTO«Non va assunto un atteggiamento arrogante, l’Occidente deve coinvolgere tutti per mantenere uno stretto dialogo con i talebani»,
Niram Ferretti
19 agosto 2021
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Cosi ha dichiarato Giuseppe Conte. "Stretto dialogo con i talebani". Ecco, sì, deve essere questa la soluzione per riportare calma, ordine, e forse un po' di democrazia. Chissà se Conte ha avuto questa pensata di sua iniziativa o gli è stata insufflata dal pasionario del M5S, Alessandro Di Battista, per il quale con i terrorsti occore dialogare.
L'avvocato di Volturara Apulla, ha una notevole esperienza di Afghanistan e conosce in profondità l'Islam. Contando su di lui, con i talebani si potranno sicuramente ottenere risultati di rilievo, magari, chissà, anche quello di aprirgli un consolato a Roma.
Afghanistan, la governatrice #SalimaMazari è stata arrestata dai talebani e non si hanno notizie sulle sue condizioni Lucia Borgonzoni
19 agosto 2021
https://www.facebook.com/groups/islamno ... 0920444457La governatrice di Charkint Salima Mazari è una delle tre donne al comando in Afghanistan. Ogni giorno difende il suo distretto dall'attacco dei talebani imbracciando anche le armi. "Se non lo facciamo adesso, continueranno ad avanzare e non si arrenderanno fino a quando non accetteremo la loro agenda"
Il suo lavoro in prima linea l'ha resa bersaglio di diversi attentati da parte degli estremisti. Ha paura?
“Se ho paura? No. Credo nello stato di diritto in Afghanistan"
New York Post – Dov’è Kamala? “L’ultima persona rimasta a fianco” a Biden tace ormai da giorni sul caos del ritiro afganoKamala Harris non è vista in pubblico dal 12 agosto 2021.
Evan Vucci/AP
20 agosto 2021malixani
https://osservatorerepubblicano.com/202 ... ro-afgano/Mentre Joe Biden e i membri chiave della suo team sulla sicurezza nazionale hanno sopportato il peso delle critiche e dell’indignazione per la rapida caduta dell’Afghanistan in mano ai Talebani – e le scene di caos e la carneficina mentre gli americani e gli afgani tentano di uscire dal paese – Kamala Harris ha mantenuto un profilo visibilmente basso.
È ormai un lontano ricordo quel 25 aprile, quando la Harris era apparsa a “State of the Union” della CNN ed aveva affermato con orgoglio alla conduttrice Dana Bash che lei era rimasta, come ha detto Bash, “l’ultima persona nella stanza” con Biden quando ha deciso di porre fine al coinvolgimento degli Stati Uniti in Afghanistan.
“E si sente a suo agio [con la decisione di Biden]?” aveva incalzato la Bash.
“Lo sono, e voglio aggiungere altro”, ha detto Harris. “Questo è un presidente che ha una straordinaria quantità di coraggio. È qualcuno che ho visto più e più volte prendere decisioni basate su ciò che crede veramente – sulla base dei suoi anni di lavoro e di studio di questi problemi – ciò che crede veramente sia la cosa giusta da fare”.
Kamala Harris ha interrotto una riunione con gli amministratori delegati per discutere le proposte dell’amministrazione Biden sull’assistenza all’infanzia mentre i Talebani iniziavano a prendere il controllo dell’Afghanistan. Jonathan Ernst/Reuters
Tuttavia, con le orribili e tragiche immagini che emergono ogni ora dall’Afghanistan, la Harris non è vista in pubblico da giovedì, quando ha interrotto una riunione con gli amministratori delegati per discutere le proposte di assistenza all’infanzia dell’amministrazione Biden per partecipare a un briefing sull’intelligence quando i Talebani hanno iniziato la loro offensiva finale.
Da allora, è apparsa solo in foto di scena messe in giro dalla Casa Bianca. Le sue uniche dichiarazioni pubbliche sono state su Twitter. Non era al fianco di Biden, come ha fatto in altre occasioni, quando ha cercato di difendere la sua decisione di ritirare tutte le forze da combattimento degli Stati Uniti dall’Afghanistan in un discorso della Casa Bianca lunedì.
Mentre la situazione in Afghanistan si deteriorava durante il fine settimana, la Harris ha partecipato sabato e domenica a delle videoconferenze con il team sulla sicurezza nazionale di Biden. Immagini ampiamente derise, pubblicate sull’account Twitter della Casa Bianca, mostrano la Harris che si unisce alla conferenza dalla residenza ufficiale del vicepresidente ed occupa una delle diverse caselle su uno schermo di fronte a Biden, che sedeva da solo in una sala conferenze a Camp David.
L’account ufficiale della Harris ha ritwittato l’immagine della videoconferenza di sabato. Lunedì, dopo che Biden ha rilasciato la sua dichiarazione molto criticata in cui giustificava la decisione di ritirare le forze americane, Harris ha twittato: “Per due decenni, i nostri coraggiosi membri in servizio (sic.) hanno messo in gioco la loro vita in Afghanistan. Saremo sempre grati ed orgogliosi”.
Kamala Harris ha partecipato alle riunioni con il team di sicurezza nazionale di Biden durante il fine settimana. Chip Somodevilla/Getty Images
“Mettere fine al coinvolgimento militare degli Stati Uniti in Afghanistan è la decisione giusta“, ha aggiunto.
Martedì, la Harris lo ha ribadito, in un altro tweet che recitava: “Siamo andati in Afghanistan quasi 20 anni fa. Ora, la nostra missione è quella di portare la nostra gente, i nostri alleati e gli afghani vulnerabili al sicuro fuori dal paese”.
Mercoledì mattina, la Casa Bianca ha twittato un’altra immagine di un briefing sulla sicurezza nazionale. La Harris sedeva alla destra di Biden, indossando una mascherina e fissando i fogli del briefing con un’espressione che potrebbe essere letta come pensierosa o sofferta.
La Harris dovrebbe terminare il suo silenzio pubblico giovedì con un discorso alla convention annuale dell’Associazione nazionale dei giornalisti afroamericani. Il giorno seguente, è prevista la sua partenza da Washington per Singapore e il Vietnam, il suo secondo soggiorno all’estero dopo un viaggio difficile in Messico e Guatemala a giugno.
Kamala Harris dovrebbe partire da Washington il 20 agosto per il suo secondo viaggio all’estero. Oliver Contreras/Sipa via AP Images
Mentre sarà nel sud-est asiatico, la Harris dovrebbe affrontare le difficili domande sui segnali che il crollo dell’Afghanistan avuto con l’amministrazione Biden lancia agli alleati dall’altra parte del continente, che sono preoccupati per una Cina che agita la sua sciabola.
L’ufficio della Harris non ha risposto alle domande del New York Post se avesse dovuto assumere un ruolo più pubblico con lo svolgersi della situazione in Afghanistan, compresa la domanda se avesse dovuto unirsi a Biden per le sue osservazioni di lunedì.
I demenziali comunisti del ManifestoDa tempo l’Occidente è amico dei peggiori talebani del mondo | il manifesto
Alberto Negri
21 agosto 2021
https://ilmanifesto.it/da-tempo-loccide ... Kw7O212DswSiamo tutti talebani? Nel senso che da tempo l’Occidente è amico dei peggiori talebani del mondo? Pare di sì. Gli Usa, la Nato, l’Italia, vendono armi e lisciano il pelo a monarchie assolute e oscurantiste come l’Arabia Saudita. Mohammed bin Salman tortura e fa a pezzi un giornalista, Renzi si fa pagare da lui e lo definisce un “principe del rinascimento”. In fondo siamo tutti talebani, basta che paghino.
Sarebbe ora che ci dicessimo in faccia la verità: i talebani li abbiamo voluti noi occidentali con i nostri alleati arabi, quelli ricchi beninteso, dei poveracci non sappiamo che farcene.
L’ossessione del comunismo un tempo era tale che gli Usa e l’Occidente avrebbero fatto carte false pur di far fuori Mosca. La jihad in Afghanistan l’abbiamo fomentata e sostenuta negli anni Ottanta per sconfiggere i sovietici. Gli arabi pagavano i mujaheddin, il Pakistan ospitava i gruppi radicali, gli Stati Uniti dirigevano le danze.
ALL’EPOCA Osama bin Laden era un alleato benemerito perché la sua famiglia finanziava la guerriglia contro l’Urss: la società di costruzioni Bin Laden, di cui gli americani erano soci, forniva, tra l’altro, le scavatrici per costruire i tunnel che proteggevano i combattenti dai raid aerei di Mosca. Gli stessi tunnel che poi Bin Laden ha usato insieme ai talebani del Mullah Omar, per addestrare gli attentatori dell’11 settembre 2001, quasi tutti sauditi, e da cui è fuggito in Pakistan dove è stato ucciso nel maggio 2010.
Per abbattere l’Urss, gli Usa e gli arabi del Golfo hanno pagato un’intera generazione di combattenti che affluivano da tutto il mondo musulmano. Per colpire gli aerei la Cia aveva fornito ai mujaheddin i missili Stinger, un’arma tra le più efficaci in circolazione. Questi combattenti avrebbero poi costituito battaglioni di terroristi che hanno destabilizzato il Medio Oriente e poi colpito anche in Europa. Il problema è cominciato quando l’Unione sovietica si è ritirata dall’Afghanistan nell’89. Gli Usa e gli occidentali abbandonarono – more solito – il Paese al suo destino e i jihadisti si sentirono traditi: avevano abbattuto i comunisti e ora gli americani voltavano le spalle. È così che i nostri alleati afghani, definiti sui media occidentali «combattenti della libertà», si sono trasformati in nemici.
I talebani sono gli eredi di questa storia. Con una notazione: per prendere il potere negli anni Novanta a Kabul avevano bisogno dell’aiuto del Pakistan e a organizzare la loro ascesa fu il governo di Benazir Bhutto, acclamata in Occidente come un’eroina e poi uccisa in un attentato nel 2007. Non dobbiamo stupirci: l’Afghanistan da sempre viene considerato da Islamabad essenziale alla «profondità strategica» del Pakistan. I generali pakistani erano legati a Bin Laden, che distribuiva soldi a tutti, e molti della «lista nera» di Washington stavano tranquillamente in Pakistan. Non è un caso che Bin Laden sia stato ucciso nella città pakistana di Abbottabad nel 2011 dove è stato latitante per un decennio.
OGGI LA STORIA si ripete. L’Emiro dei talebani Akhunzadah, il vero capo del movimento, dirige anche una manciata di moschee e di scuole coraniche in Pakistan. Il Mullah Baradar venne arrestato nel 2010 in Pakistan e nel 2018 sono stati proprio gli americani a richiederne ufficialmente la scarcerazione. Era con lui che volevano trattare.
Dopo otto anni di training Baradar ha imparato la lezione: se fai il bravo con Washington, a casa tua puoi comportarti come ti pare. Altro che esportazione della democrazia. Basta vedere i sauditi, una monarchia assoluta totale, che non lascia uscire di casa le donne, le quali non possono viaggiare senza il consenso del marito – sempre ovviamente velate dalla testa ai piedi – ma siccome sono i migliori clienti di armi americane e sostengono il complesso militare-industriale Usa possono fare quello che vogliono.
Noi alle monarchie assolute del Golfo non andiamo mai a chiedere conto dei diritti umani, di quelli delle donne o delle minoranze, lasciamo che mettano in galera giornalisti e oppositori senza fare una piega perché ci pagano profumatamente. Siamo degli ipocriti senza vergogna: capaci persino, come ha fatto quel Renzi, di lodare Mohammed bin Salman, il principe saudita che ha fatto torturare e tagliare a pezzi il giornalista Jamal Khashoggi, colpevole di averlo criticato sui giornali.
I nostri amici arabi sono come i talebani ma noi stiamo zitti e muti perché ci pagano. Anzi siccome sono anche nel G-20, come l’Arabia saudita, Draghi ha detto che chiederà loro consiglio su come fare pressione sui talebani. Sembra una parodia: domandiamo a dei truculenti oscurantisti di diventare i paladini dei diritti delle donne e della libertà di opinione.
QUINDI OGGI non ci deve fare troppo schifo anche il Mullah Baradar. È stato lui a firmare gli accordi Doha e a stringere la mano davanti alle telecamere al segretario di stato Mike Pompeo. Sia l’Emiro Akunzadah che il suo vice Baradar da giovani sono stati combattenti anti-sovietici. Akunzadah tra l’altro è cognato del Mullah Omar e nel suo staff lavora anche Yakoob, il figlio del Mullah fondatore dei talebani, deceduto qualche anno fa – guarda caso – in un ospedale pakistano a Karachi. Insomma questa è anche una foto di famiglia, della loro come della nostra. Se Baradar e il suo capo fanno i bravi ragazzi, impantanando cinesi, russi e iraniani in Afghanistan, riapriremo le ambasciate a Kabul con la scusa che dobbiamo proteggere i diritti umani e delle donne. In fondo «siamo» tutti talebani.
La sciagura afghana e l’Occidente ottuso Marcello Veneziani
MV, La Verità (20 agosto 2021)
https://www.marcelloveneziani.com/artic ... te-ottuso/ L’Afghanistan è un luogo fatale per le sorti del mondo. Secondo la narrazione canonica fu l’inizio della fine dell’Impero sovietico, e dunque originò la caduta della diarchia mondiale. È poi diventata la croce degli Stati Uniti e dell’Occidente che si sono dissanguati in tutti questi anni tra risorse economiche e reparti militari, per controllarlo e arginare le sue metastasi. Tutto inutile, vanificato in pochi giorni. L’Afghanistan è stato il luogo simbolico in cui ha preso corpo il terrorismo islamico e in cui ha preso fuoco la jihad, esportata poi nel mondo. Ma anche il centro di coltivazione e smistamento della droga internazionale. Un paese-simbolo, cerniera dolorosa tra Oriente e Occidente in più sensi.
Trent’anni fa, con la caduta dell’Unione Sovietica, nasceva il Nuovo Ordine Mondiale. Lo aveva proclamato George Bush. Un mondo unipolare, con un solo Impero e tanti satelliti, protettorati, periferie più o meno scontente. Per i dem progressisti, il nuovo ordine mondiale significava esportare la democrazia nel mondo e intervenire in difesa dei diritti umani. O meglio, laddove è possibile; in Cina per esempio, nessuno mai ha pensato di intervenire per difendere i diritti umani. Quella sciagurata teoria fu poi adottata di fatto anche dai repubblicani americani. Le cassandre occidentali temevano un effetto Cartagine sugli Stati Uniti perché avevano perso il loro Antagonista Globale, e furono presto servite: così nacque, rinacque, il Nemico Islamico.
In principio ci fu, trent’anni fa, la guerra del Golfo contro l’Iraq di Saddam, un tempo alleato d’Occidente usato contro l’Iran degli Ayatollah. L’attacco all’Iraq, i bombardamenti, le città distrutte, le sanzioni e l’embargo pure ai medicinali ne furono lo strascico bestiale. Poi, quando si riuscì a buttar giù il dittatore e condannarlo a morte, nacque il terribile, interminabile dopo Saddam tra governi fantoccio, insediamenti militari, attentati. Intanto era avvenuta la Nemesi, e la Catastrofe: vent’anni fa ci fu l’attacco alle Torri Gemelle, poi la guerra al terrorismo islamico di Al Quaeda e agli stati-canaglia che lo sostenevano. Fu allora che prese corpo l’avventura in Afghanistan, considerato il ricettacolo e il rifugio del terrorismo, a partire da bin Laden. Poi l’occupazione occidentale, la cacciata dei talebani. Quindi il difficile controllo militare di quel paese martoriato, i fiumi di dollari buttati dagli Usa e dai loro alleati per debellare talebani e antioccidentali. Infine la ritirata dei giorni scorsi; non si fa in tempo ad andar via che tornano al potere i talebani. Evidentemente non erano stati emarginati e abbattuti, e non tutto il popolo era contento di stare sotto l’ombrello americano, almeno a giudicare dalla rapidità e dalla facilità con cui hanno ripreso il potere. Un Biden col viso tirato di un levriero afghano scarica l’errore su Trump ma si vede che accusa il colpo. I complottisti fantasiosi direbbero che Biden è la contrazione onomastica di Bin Laden. Nomen omen…
Trent’anni fa mi riconobbi nella posizione di Giovanni Paolo II contro la Guerra del Golfo e lo sciagurato intervento occidentale. Furono offerti potenti alibi e vistosi obbiettivi all’odio islamico contro l’Occidente; cominciò la loro “guerra di liberazione” vestita da jihad contro l’imperialismo occidentale. Due nazioni importanti come la Turchia e l’Iran vegliano da allora l’area.
Ma non fu solo l’Iraq o l’Afghanistan a caratterizzare l’interventismo euro-americano in quell’area bollente, caldeggiato da Israele: ci fu poi il sostegno alle primavere arabe, nella folle e ignorante presunzione che avrebbero condotto molti paesi maghrebini a convertirsi alla democrazia, ai diritti e alla libertà. E invece abbattuti i dittatori coi loro regimi di modernizzazione forzata, alla fine vinsero le fratellanze islamiche o scoppiarono le guerre tribali.
Da quelle primavere prese corpo la seconda ondata di terrorismo islamico, ancora di matrice sunnita: da Al Quaeda si passò all’Isis che ha avuto come nemico principale l’Europa e soprattutto la Francia, per il suo ruolo nella primavera araba. E non solo: caduti i regimi dittatoriali, cominciava l’esodo per le popolazioni, non solo di profughi e dissidenti ma anche l’ondata ben più massiccia di emigrati “economici”. Cominciava la grande migrazione islamica verso l’Europa, che un tempo era un’eredità delle colonie europee in Africa e in Medio Oriente, e ora invece si allargava ad ampio raggio. Con tutte le conseguenze che ben conosciamo.
Giunti a questo punto ci chiediamo: ma a cosa è servito l’interventismo militare, assistenziale e politico degli Usa e dell’Occidente? A cosa è servito esportare le democrazie e imporre i diritti umani, visti i risultati opposti? Ha incattivito il mondo islamico, ha fornito pretesti a quello più fanatico e integralista; ha ingigantito la rete del terrorismo, ha generato reazioni e contraccolpi sulle popolazioni, alimentando le migrazioni; e ora, colpo di grazia, riprende anche alla grande la via della droga dall’Afghanistan.
È valsa la pena la crociata americana, ha prodotto effetti benefici, ha evitato guerre e guerre civili, regimi dispotici, persecuzioni di minoranze e di cristiani, odii antiebraici e antioccidentali? No, niente di tutto questo, anzi.
Allora, semplificando al massimo, le soluzioni in campo erano di due tipi: o non intervenire, non interferire, limitarsi a garantire un minimo di agibilità nei rapporti politici e commerciali e un massimo di incolumità agli occidentali in quei territori. Oppure caricarsi della responsabilità di essere un Impero, imporre la propria lex universale con la forza e il coraggio e presiedere i luoghi caldi del pianeta. L’Occidente, e l’America più di tutti, ha scelto invece la via di mezzo, la peggiore: ha fatto massimi interventi economici e militari, ha buttato al vento soldi, generazioni, energie ricevendo poco o nulla, e oggi dopo che si è ritirato sa solo balbettare: presto, creiamo corridoi umanitari, tuteliamo i diritti umani, a partire dalle donne, salviamo la gente portandola da noi… Una sintesi al peggio di arroganza e viltà, resa stomachevole dalla glassa umanitaria.
Consigliera toscana dem sta con i talebani. La Lega insorge. Il Pd: "Si dimetta"Federica Olivo
25 agosto 2021
https://www.huffingtonpost.it/entry/con ... 0862ecaaa5A fine giornata è arrivata la richiesta di dimissioni da parte dei dem. Nura Musse Ali, avvocato e componente della Commissione di parità della Regione Toscana, del Pd, aveva pronunciato parole in favore della presa di potere da parte dei talebani in Afghanistan. Il caso era stato sollevato dalla Lega, poi la presa di distanza da parte di singoli esponenti del Pd, fino alla nota unitaria,in cui si legge: “Le parole di Nura Musse Ali non rappresentano il pensiero del Pd, che si batte da sempre affinché sia riconosciuto il ruolo delle donne, in Italia come nel mondo. Per questo, nel dissociarci dalle sue parole e nel ribadire la nostra contrarietà verso ogni regime che azzera la dignità delle persone, chiediamo che si dimetta”.
La consigliera, parlando della crisi in Afghanistan, aveva dichiarato: “Forse qualcuno rimarrà sorpreso, ma sono a favore della presa del potere da parte dei fondamentalisti in Afghanistan, non perché condivida il loro modus operandi. Ritengo che quello che stiamo vivendo fosse una tappa obbligata della storia, affinché finalmente quel Paese iniziasse il proprio lento cammino verso un’interpretazione evolutiva delle sue leggi e la maturazione del concetto di vita politica e sociale”.
COMUNITA' INTERNAZIONALEGiovanni Bernardini
27 agosto 2021
https://www.facebook.com/giovanni.berna ... 5728086633Due parole perseguitano dagli schemi televisivi il popolo bue, ripetute in continuazione, con voce suadente da conduttori e conduttrici: “comunità internazionale”. E, subito dopo le due paroline magiche una serie di verbi coniugati all’imperativo. La “comunità internazionale” deve. La comunità internazionale” non abbandoni. La “comunità internazionale sorvegli, monitori, impedisca eccetera.
La “comunità internazionale in Afghanistan c’era, fino a pochi giorni fa, non aveva subito alcuna sconfitta militare (davvero possiamo pensare che un branco di barbari col turbante possano sconfiggere gente super armata e super addestrata?). Questa “comunità internazionale” è fuggita a gambe levate lasciando il paese preda dei talebani e dei loro amici-concorrenti dell’Isis.
E ora questa stessa “comunità internazionale” dovrebbe “monitorare”, “sorvegliare”, “impedire”, “garantire” eccetera.
La “comunità internazionale” controlla forse ciò che avviene in Corea del nord? È in grado di impedire che in quel paese tanto amato a sinistra come a destra avvengano violazioni clamorose dei fondamentali diritti umani?
Ieri la “comunità internazionale” era in grado di “monitorare” quanto avveniva nella Germania di Hitler, nell’URSS di Stalin o nella Cina di Mao? Ha saputo “monitorare”, questa famosa “comunità internazionale, ciò che avveniva nella Cambogia di Pol Pot? Ha mosso un dito per impedire lo sterminio di circa un quarto della popolazione cambogiana?
L’Afghanistan diventerà base del terrorismo e terreno di scontro fra i fondamentalisti assassini dell’ISIS e gli assassini fondamentalisti talebani. Questa la triste realtà.
Il resto sono stronzate.