Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:02 pm

Un demenziale sostenitore del male


Ecco come la propaganda degli ayatollah finisce in prima pagina sul Corriere della Sera
Atlantico Quotidiano
Dorian Gray
13 gennaio 2020


http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... __bDlN7cGM

Dopo l’uccisione di Soleimani, diversi “intellettuali” occidentali si sono adoperati per condannare la scelta di Trump e difendere la memoria del generale iraniano passato a miglior vita. Uno dei più scatenati in questo senso è stato l’ex ambasciatore a Mosca e oggi editorialista Sergio Romano che, in un articolo domenica sul Corriere e in una intervista oggi sul Fatto Quotidiano, ha difeso a spada tratta il regime di Teheran, interlocutore affidabile, e descritto Trump come un “caso umano”.

Ora, data la mole di assurdità scritte da Romano, vogliamo soffermarci sul suo editoriale pubblicato in prima pagina dal Corriere della Sera il 12 gennaio, per rispondere punto su punto alle sue affermazioni, dimostrando come abbia usato volontariamente la storia a suo piacere per costruire una vera e propria propaganda in favore del regime degli ayatollah.

Iniziamo dall’apertura dell’articolo, dove si parla dell’accordo del 1972 tra Usa e Urss per limitare l’uso dei missili balistici, il cosiddetto accordo ABM. Per condannare la decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo sul programma nucleare di Teheran, Romano ricorda come all’epoca i due interlocutori “pur volendo vincere” si preoccupassero di avere un interlocutore responsabile, cosa che oggi il presidente Usa non sarebbe. Ecco, peccato che la storia sia completamente differente: nella risoluzione Onu 2231 che recepì l’accordo nucleare voluto da Obama nel 2015, c’è un chiaro allegato – Annex B – in cui nero su bianco viene vietato all’Iran di compiere test missilistici con vettori balistici intrisecamente capaci di trasportare un’arma nucleare. L’Iran, quindi, non solo nei fatti non ha mai riconosciuto questo allegato, ma ha continuato a svolgere decine e decine di test missilistici con vettori capaci di trasportare un’arma nucleare, provocando anche la condanna degli ambasciatori europei. Condanna espressa sia nel 2016 alle Nazioni Unite, che nel febbraio del 2019.

Andiamo avanti: Romano descrive Qassem Soleimani come un “militare”, senza minimamente menzionare la sua attività terroristica. Peccato che, molto prima di Trump, a considerarlo un terrorista erano le stesse Nazioni Unite, che con la Risoluzione 1747 del marzo 2007 hanno inserito Soleimani nella blacklist per il suo ruolo nel programma nucleare iraniano. Tralasciamo pure che a ritenerlo un terrorista siano tutti quei siriani e iracheni che, in questi anni, hanno subito gli attentati da lui organizzati per espandere il potere del regime iraniano o per tutelare il regime di Bashar al Assad. E i tanti iraniani che, in queste ore, manifestano contro il regime iraniano e non dimenticano che, proprio questo “generale”, nel 1999 firmò una lettera con altri Pasdaran indirizzata all’allora presidente Khatami, nella quale si chiedeva di reprimere le proteste degli studenti dell’Università di Teheran. Proteste che poi, purtroppo, finirono in un massacro…

Proseguiamo: dimostrando il suo pregiudizio antiamericano, Romano sostiene che l’idea di uccidere Soleimani va oltre Trump, perché “il processo al nemico e la sua eliminazione fisica con motivazioni spesso più religiose che politiche, appartengono alla mentalità americana”. Qui siamo al limite del razzismo e sicuramente, come suddetto, nel pieno pregiudizio. Non si può non rilevare come Romano non abbia mai scritto una riga simile proprio sulle attività del regime iraniano e di Soleimani, che sull’eliminazione del nemico nel nome della fede religiosa hanno costruito una vera e propria ideologia politica che, ormai dal 1979, ha preso in ostaggio un intero Paese.

Infine, l’auspicio finale di Romano, secondo cui assumendosi la responsabilità della tragedia dell’aereo ucraino il regime di Teheran – pur se diviso in fazioni bellicose e fanatiche – avrebbe dimostrato di essere un interlocutore affidabile per l’Ue. Anche qui, siamo alla pura propaganda lontana dai fatti.

L’Iran per anni è stato interlocutore dei Paesi europei e dell’Ue. Lo è stato nel 2003 con l’accordo di Teheran, con cui gli E3 (Francia, Germania e Gran Bretagna) pensarono veramente di aver convinto l’Iran a sospendere l’arricchimento dell’uranio. Peccato che il negoziatore di quell’accordo fu proprio Hassan Rouhani, lo stesso che nel 2013 – durante la campagna elettorale per diventare presidente – ammise di aver sfruttato quell’accordo per ingannare gli europei, deviando la loro attenzione e completando liberamente il ciclo del programma nucleare iraniano. Nel 2015, quindi, l’Ue sostenne fortemente l’accordo di Vienna voluto da Obama. Accordo che portò l’Iran ad ottenere la sospensione delle sanzioni e presentarsi al mondo come un nuovo El Dorado. Peccato che, anche in questo caso, l’Iran usò i soldi arrivati dalla sospensione delle sanzioni per esportare la rivoluzione iraniana al di fuori dei suoi confini e provocare non solo la nascita dell’Isis, ma anche la fuga delle decine e decine di investitori occidentali interessati all’Iran, che compresero di avere davanti un regime dominato economicamente dai clerici e dai Pasdaran.

In ultimo, il tema della tragedia dell’aereo ucraino: il regime sapeva dall’inizio la verità, ma l’ha tenuta nascosta per giorni, nella speranza di farla franca. Solo quando l’amministrazione Trump e altri leader occidentali hanno denunciato di avere prove d’intelligence evidenti, e quando è uscito un video che mostrava l’impatto del missile sull’aereo ucraino, Teheran ha deciso di ammettere la verità. Ecco perché gli iraniani sono scesi nuovamente in piazza, protestando non solo contro il governo, ma anche idealmente contro tutti i “Sergio Romano occidentali”, abbagliati dal fascino culturale di un regime fondamentalista e capaci di produrre solo propaganda.

Purtroppo per Romano, né la sua propaganda né quella di Teheran, corrispondono alla verità dei fatti. E gli iraniani lo sanno…
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:03 pm

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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:04 pm

Grazie Usa e grazie Trump, le ragioni dell'America e del Mondo libero e civile



Ucciso a Baghdad il generale iraniano regista degli attacchi contro gli Usa
03 gennaio 2020

https://www.agi.it/estero/iraq_ucciso_g ... 020-01-03/

Due giorni dopo l'assalto all'ambasciata statunitense in Iraq, gli americani hanno risposto; e hanno risposto con un raid vicino l'aeroporto di Baghdad che rischia di scatenare un terremoto nella geopolitica mediorientale.

Le Forze di Mobilitazione popolare (Hashed al-Shaabi), la coalizione paramilitare filo-iraniana, ormai affiliata al governo di Baghdad, ha annunciato che nel raid gli Usa hanno ucciso Qassem Soleimani, il potente generale iraniano capo delle milizie al-Quds dei Guardiani della Rivoluzione, la forza d'elite dell'esercito della Repubblica islamica, incaricata di compiere le operazioni all'estero.

"Il 'numero 2' di Hashed, Abu Mahdi al-Muhandis, e il capo delle Forze al-Quds, Qassem Soleimani, sono stati uccisi in un bombardamento americano che ha colpito la loro auto sulla strada dell'aeroporto di Baghdad", ha riferito un portavoce.

Il raid, si legge in una nota del Pentagono, è stato ordinato direttamente da Donald Trump che ha poi twittato un'immagine della bandiera americana. "Per ordine del presidente, l'esercito americano ha adottato misure difensive decisive per proteggere il personale americano all'estero uccidendo Qassem Soleimani", si legge nella nota, "Il generale Soleimani stava attivamente sviluppando piani per attaccare diplomatici e militari americani in Iraq e in tutta la regione. Il generale Soleimani e la sua Forza Quds erano responsabili della morte di centinaia di soldati americani e della coalizione e del ferimento di altre migliaia".

L'attacco è avvenuto poco dopo la mezzanotte, una pioggia di missili ha colpito due veicoli che si trovavano vicino l'aeroporto. Fonti della sicurezza irachena hanno subito chiarito che i missili avevano colpito un convoglio Hashed e ucciso otto persone, tra cui "figure importanti".

L'Hashed è una rete di milizie armate prevalentemente sciite, molte delle quali hanno legami molto stretti con Teheran e che sono stati ufficialmente incorporati alle forze di sicurezza dello Stato iracheno.

Muhandis era nella 'lista nera' degli Stati Uniti, ma sarebbe Qassem Soleimani la vittima eccellente. Soleimani è una figura quasi leggendaria, uno degli uomini più potenti in Medio Oriente: generale, stratega con ambizioni politiche, è spesso apparso al fianco della Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ma si è sempre mosso nell'ombra, arcinemico di Usa e Israele.

È considerato l'architetto di gran parte delle attività iraniane in Medio Oriente, compresa la guerra in Siria e gli attacchi su Israele. L'Iran, Paese a stragrande maggioranza sciita, esercita un'enorme influenza sull'Iraq da quando è stato ucciso il 'rais', Saddam Hussein, che era sunnita. Da ottobre è scosso dalle proteste anti-governative e contro l'Iran, considerato la 'longa manus' che agisce dietro il governo; e Suleimani, proprio per aiutare il governo a riportare la situazione sotto controllo sarebbe stato più volte nelle ultime settimane in Iraq.

Teheran ha confermato la morte di Soleimani. "Le Guardie Rivoluzionarie annunciano che il glorioso comandante dell'Islam, Haj Qassem Soleimani, dopo una vita di schiavitù, è morto martire in un attacco americano contro l'aeroporto di Baghdad questa mattina", hanno detto in una dichiarazione letta dalla televisione di Stato iraniana.

La morte di Soleimani è destinnata con ogni probabilità a innescare una grave escalation nel conflitto rimasto a lungo sottotraccia tra Stati Uniti e Iran, e recentemente esploso con l'assalto all'ambasciata americana da parte di miliziani filo-iraniani dopo il raid statunitense proprio contro un'altra milizia appoggiata da Teheran, Kataeb Hezbollah.

l prezzo del petrolio è subito salito di oltre il 4% sui mercati asiatici. Un barile di "light sweet crude" (WTI), il punto di riferimento americano per il greggio, in consegna a febbraio, è salito del 4,3% a 63,84 dollari, negli scambi elettronici. Il greggio Brent, benchmark europeo, per marzo ha guadagnato il 4,4% a 69,16 dollari.



Iraq, migliaia di manifestanti assaltano l'ambasciata Usa a Bagdad. E Trump manda altri 750 soldati
L'attacco durante le proteste contro i raid con cui gli americani hanno risposto al lancio di razzi contro una loro base a Kirkuk. Trump accusa l'Iran di aver orchestrato l'azione contro la sede diplomatica.
31 dicembre 2019


https://www.repubblica.it/esteri/2019/1 ... 244683500/

BAGDAD - Diverse migliaia di manifestanti si sono radunati fuori dall'ambasciata Usa a Bagdad e l'hanno assaltata per protestare contro i raid lanciati domenica contro diverse strutture della milizia filoiraniana Kataib Hezbollah al confine tra Iraq e Siria. Nei disordini sono anche state bruciate bandiere a stelle e strisce.

I dimostranti si sono staccati dal corteo funebre per i 25 combattenti della formazione sciita uccisi nei raid. Al grido di "Morte all'America", "No all'America... No a Trump", hanno oltrepassato il checkpoint della Green Zone, abitualmente blindata, e hanno raggiunto l'ambasciata. Le forze speciali li hanno inizialmente a respingerli, ma in un secondo momento un gruppo di manifestanti è riuscito a superare la prima recinzione del complesso. Nel tentativo di disperdere la folla, le truppe Usa hanno usato lacrimogeni e granate stordenti. L'ambasciatore Matthew H. Tueller e parte del personale della sede diplomatica sono stati allontanati.

Durante l'assalto una delle torrette di guardia e parte delle mura esterne della sede diplomatica sono state date alle fiamme. E sulla recinzione sono state issate bandiere di Kataib Hezbollah. Secondo i mezzi di informazione locali, nei disordini sono rimaste ferite 62 persone.

L'operazione di domenica è stata ordinata dal Pentagono come ritorsione per i recenti attacchi missilistici contro interessi americani nella regione, in particolare il lancio venerdì scorso di oltre 30 razzi contro una base Usa a Kirkuk che ha causato la morte di un contractor statunitense.


Trump accusa l'Iran
Il presidente americano, Donald Trump, accusa l'Iran di aver "orchestrato l'attacco all'ambasciata americana a Bagdad". "L'Iran ha ucciso un contractor americano, e ne ha feriti tanti altri. Abbiamo risposto con forza, e lo faremo sempre. Ora l'Iran sta orchestrando un attacco all'ambasciata degli Stati Uniti in Iraq. Saranno ritenuti pienamente responsabili. Inoltre, ci aspettiamo che l'Iraq usi le sue forze per proteggere l'Ambasciata, e sono avvisati!", ha twittato il capo della Casa Bianca.

E dopo l'attacco all'ambasciata, il Pentagono invierà "immediatamente" circa 750 soldati aggiuntivi in Medio Oriente, "in risposta ai recenti eventi in Iraq". Lo ha annunciato il ministro della Difesa americano, Mark Esper. "Circa 750 soldati saranno schierati immediatamente nella regione" e "ulteriori forze" sono pronte per essere schierate "nei prossimi giorni", ha detto Esper in un comunicato. "Questo dispiegamento è un'azione precauzionale e appropriata in risposta ai crescenti livelli di minaccia contro il personale e le installazioni americane, come abbiamo assistito a Baghdad", ha affermato il ministro della Difesa americano. In precedenza un funzionario americano aveva affermato che gli Stati Uniti hanno inviato 500 militari in Kuwait, vicino dell'Iraq, e che alla fine nella regione potrebbero essere schierati "fino a 4.000 soldati".

L'attacco all'ambasciata americana a Baghdad è stato opera di "terroristi" sostenuti da "alleati dell'Iran", ha aggiunto nella notte il segretario di Stato americano Mike Pompeo facendo i nomi di quattro persone. "L'attacco è stato orchestrato dai terroristi Abu Mahdi al-Muhandis e Qàs al-Khazali e sostenuto dagli alleati iraniani Hadi al-Amari e Faleh al-Fayad", ha twittato il capo della diplomazia Usa. "Sono stati tutti fotografati davanti alla nostra ambasciata", ha scritto Pompeo allegando tre fotografie che mostrerebbero i quattro uomini.

Muhandis è un alto funzionario delle Forze di mobilitazione Popolare (Hashd al-Shaabi), una coalizione di paramilitari iracheni dominata da fazioni filo-iraniane accusata da Washington di un attacco missilistico che ha ucciso un americano in Iraq venerdì scorso. Fayad è il capo dell'Hashd al-Shaabi. Khazali è il capo dell'altra milizia sciita irachena Assaib Ahl al-Haq, accusata dagli Usa di essere responsabile di numerosi attacchi missilistici contro i loro interessi in Iraq. Amari è stato il ministro dei Trasporti iracheno tra il 2010 e il 2014 ed è a capo della potentissima organizzazione Badr, un'altra fazione filo-iraniana in Iraq.

Miliziani tra i manifestanti
In Iraq da settimane migliaia di persone scendono in piazza per protestare contro il governo e la corruzione ma anche contro le milizie come Kataib Hezbollah e gli sponsor iraniani che appoggiano l'esecutivo del primo ministro Adel Abdul Mahdìs.
Ma oggi a manifestare davanti all'ambasciata statunitense c'erano soprattutto combattenti di gruppi paramilitari vicini a Teheran. Tra i molti esponenti di spicco delle milizie, c'era Qais al.Khazali, capo della filoiraniana Asaib al-Haq, tra i leader sciiti più temuti e rispettati.

"Gli americani non sono i benvenuti in Iraq - ha detto Khazali all'agenzia Reuters - Sono una fonte di male e vogliamo che se ne vadano".

Nel panorama dei gruppi vicini a Teheran Kataib Hezbollah è uno dei più piccoli ma anche dei più potenti. Davanti all'ambasciata americana c'era anche il suo capo, Jamal Jaafar Ibrahimi, noto anche come Abu Mahdi a-Mohandes. E c'era Hadi al-Amiri, leader dell'Organizzazione Badr.

Gli incidenti all'ambasciata statunitense rischiano di essere i primi di una lunga serie. Una delle milizie filoiraniane, Al Hashd, ha infatti minacciato di assediare altre rappresentanze diplomatiche per ottenere che le forze straniere lascino l'Iraq.




Raid Usa a Bagdad, ucciso il generale iraniano Soleimani. Il Pentagono: "L'ordine partito da Trump"

Missili contro le auto del gruppo sciita che ha assediato l’ambasciata. Otto morti, tra cui 5 membri del movimento iracheno e due emissari di Teheran. Washington conferma: "Proteggeremo sempre i nostri interessi". E ora si rischia la guerra
di GIANLUCA DI FEO
03 gennaio 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 244853151/

Un attacco notturno rischia di portare Stati Uniti e Iran sull'orlo della guerra. Un raid statunitense sull'aeroporto di Bagdad ha ucciso il generale Qassem Soleimani, responsabile delle operazioni coperte di Teheran e uomo chiave del regime degli ayatollah. L'ordine di colpire è stato impartito direttamente dal presidente Trump: mai il confronto tra i due Paesi era arrivato a un punto di tensione così alta.

Intorno alla mezzanotte alcuni missili hanno distrutto un convoglio delle Pmu, le Forze di mobilitazione popolare irachene, che stavano accompagnando all’aeroporto una delegazione dei Guardiani della Rivoluzione di Teheran. Due auto sono state incenerite, ammazzando cinque esponenti del movimento iracheno e due iraniani. Tra le vittime, il leader delle Pmu Abu Mahdi Al-Muhandis, l’uomo che il 30 dicembre ha spronato la folla ad assaltare l’ambasciata americana. E soprattuto il generale Soleimani, un personaggio fondamentale nella storia recente del Medio Oriente: la sua morte è stata confermata dal Pentagono e da Teheran.

Soleimani era al comando delle brigate Qods, un'unità leggendaria che ha avuto un ruolo decisivo nei conflitti della regione. Ha animato la seconda fase dell'insurrezione anti-americana in Iraq, ha armato hezbollah libanese contro Israele, ha pilotato la repressione del regime di Damasco contro la rivolta. Poi ha indirettamente collaborato con i suoi storici nemici americani per riuscire a sconfiggere lo Stato islamico. Più volte chiamato in causa come mente di attentati contro bersagli israeliani e statunitensi, era sempre sfuggito ai tentativi di eliminarlo o catturarlo: l'ultimo poche settimane fa.

Il raid letale è scattato meno di 24 ore dopo la fine dell'assedio all'ambasciata americana di Bagdad. All’inizio sembrava che fosse stata lanciata una salva di razzi Kathyusha, tipici delle milizie, contro una caserma irachena nei dintorni dell’aeroporto. Le prime notizie parlavano di undici soldati feriti. Pareva quindi un episodio secondario. Poi però lo scenario è cambiato radicalmente, assumendo la dinamica di un attacco condotto da droni o bombardieri.colonna delle Pmu che scortava all’aeroporto gli emissari iraniani. I rapporti iniziali indicavano un'unica vittima eccellente: Muhammed Reda, numero tre della formazione irachena.

Più tardi sono state fonti dello stesso movimento a parlare di un’azione mirata, che ha ucciso cinque dei suoi uomini e due “ospiti importanti”, tutti a bordo delle vetture distrutte mentre si trovavano già all’interno dello scalo internazionale. La tv di stato irachena ha infine fatto i nomi di Soleimani e Al-Muhandis, i veri bersagli dell'operazione killer.

Alcune ricostruzioni sostengono che ad aprire il fuoco sia stato un elicottero americano. E collegano l’attacco alle parole del capo del Pentagono, Mark Esper, che mercoledì aveva minacciato “azioni preventive” qualora gli Usa avessero rilevato “altri comportamenti offensivi da parte di questi gruppi, che sono tutti sostenuti, diretti e finanziati dall’Iran”. In pratica, l’Iraq si sta trasformando nel fronte più incandescente del confronto tra Washington e Teheran. La comunità sciita irachena è da sempre legata al paese vicino, la cui influenza è continuata a crescere dopo la fine del regime di Saddam Hussein. Le milizie filo-iraniane negli ultimi mesi hanno assunto un atteggiamento sempre più aggressivo contro la presenza americana, protestando contro le basi create per combattere contro l’Isis. Una settimana fa una raffica di razzi è piovuta contro un’installazione alle porte di Kirkuk, ammazzando un contractor statunitense.

La rappresaglia non si è fatta attendere. Droni hanno bombardato una struttura di Kataeb Hezbollah, la branca militare delle Forze di Mobilitazione Popolare, uccidendo venticinque uomini. Come risposta, il 30 dicembre Al-Muhandis ha lanciato un appello e radunato la folla contro l’ambasciata americana della capitale. Le recinzioni esterne sono state divelte e per due giorni la sede diplomatica è stata stretta d’assedio, riportando sugli schermi degli States l’incubo di una replica di quanto accadde a Teheran nel 1979. Solo le imponenti difese del complesso, la più grande ambasciata statunitense del mondo, hanno impedito che accadesse il peggio.

Mercoledì primo gennaio, i leader delle Pmu hanno ordinato di interrompere la protesta. E per poche ore è tornata la calma. Iran e Stati Uniti si sono scambiati accuse di fuoco. Mentre il Pentagono ha deciso di rinforzare lo schieramento in Medio Oriente: è stata disposta la partenza di 750 paracadutisti verso la capitale irachena e di 3000 marines verso il Kuwait.

Giovedì per tutto il giorno è stato segnalato un intenso traffico di velivoli militari americani diretti verso la regione, con decine di grandi cargo C-17 che hanno attraversato il Mediterraneo, atterrando nelle basi in Turchia e Arabia Saudita. Un ponte aereo senza precedenti in tempo di pace, tale da far pensare alla premessa per un conflitto. E il raid contro l'aeroporto di Bagdad rischia di scatenarlo realmente, perché è facile prevedere una risposta durissima di Teheran. La morte di Soleimani è una perdita troppo grave, che mina la credibilità degli ayatollah in un momento di pesanti proteste interne. Inevitabile che la reazione sia altrettanto forte: "Il martire sarà vendicato con tutta la forza", ha promesso il fondatore dei Guardiani della Rivoluzione Mohsen Rezai.



Ucciso Soleimani: la dura risposta Usa all'espansionismo dell'Iran
Souad Sbai
4 gennaio 2019

https://lanuovabq.it/it/ucciso-soleiman ... o-delliran

Inizio anno veramente incandescente in Medio Oriente, con l'uccisione del generale Soleimani. In Iraq la ribellione contro le milizie sciite ha innescato un confronto diretto fra Usa e Iran. La rivolta è infatti scoppiata contro la corruzione del nuovo potere che gli iraniani hanno stabilito in Iraq, dopo la sua liberazione dall'Isis. Khamenei ha puntato il dito contro la solita cospirazione Usa e ha alzato il tiro contro il personale militare e diplomatico americano in Iraq. Fino all'assalto dell'ambasciata a Baghdad. Ma a questo punto la risposta Usa è stata durissima e inaspettata. Uccidendo il generale Soleimani, è stato colpito l'architetto dell'espansionismo iraniano in Iraq, Yemen, Siria e Libano.

Medio Oriente, un inizio anno a dir poco incandescente. Il 3 gennaio, in Iraq, un raid effettuato da un drone statunitense nei pressi dell'aeroporto di Baghdad ha infatti tolto di scena l'uomo forte del regime khomeinista iraniano, il pasdaran e capo delle Forze Al Quds, Qassem Soleimani, secondo per importanza soltanto alla guida suprema, Ali Khamenei.

Ideatore e attore protagonista delle politiche espansionistiche di Teheran nella regione, Soleimani proveniva dalla Siria (alcuni dicono dal Libano) ed era accompagnato da membri delle milizie paramilitari sciite al soldo delle Forze Al Quds che oggi spadroneggiano in territorio iracheno. Tra le 8 vittime, in particolare, figura Abu Mahdi Al Mohandes, vice capo del gruppo Hashd Shaabi. Per paura di ritorsioni e sotto costante ricatto, il premier dimissionario, Adel Abdul-Mahdi, ha ricordato Suleimani e Al Mohandes come "simboli" della vittoria contro l'ISIS, accusando Washington di aver commesso un atto di "aggressione" in "violazione della sovranità" dell'Iraq.

Con la sconfitta dell'ISIS, il povero Iraq è passato da un estremismo all'altro, ritrovandosi schiacciato sotto i tormenti imposti dalle milizie sciite, strumento della raggiunta egemonia esercitata sul paese dall'Iran, a vent'anni dalla fine della guerra con Saddam Hussein. Un'egemonia fondamentalista incarnata dalla figura di Suleimani e macchiatasi del sangue di diversi esponenti della società civile, con una certa preferenza per le donne attiviste nel campo dei diritti umani, come interludio alla crudele repressione delle recenti proteste animate soprattutto dalla nuova generazione, con oltre 400 morti in poco più di due mesi (ottobre-dicembre).

Le proteste si sono scagliate contro l'enorme corruzione del governo e dell'apparato statale, come accaduto in Algeria, Libano e Sudan, in una sorta di nuovo capitolo della Primavera Araba. Di qui, la mano pesante delle forze di sicurezza, a cui si è aggiunta quella dei miliziani, perché i giovani iracheni, oltre alla classe dirigente, aveva messo nel mirino anche il condizionamento sempre più oppressivo di Teheran, che quella stessa classe dirigente ha in pugno.

Le proteste hanno così assunto carattere profondamente anti-khomeinista, raggiungendo il culmine con il rogo dei consolati iraniani di Najaf e Karbala. Sentitosi chiamato direttamente in causa, Khamenei ha rilanciato la stantia, ma sempre pronta all'uso, teoria del complotto, puntando il dito su una cospirazione degli Stati Uniti e della CIA quale motore della rivolta.

A Washington non hanno certamente visto con sfavore l'ascesa di un movimento nazionale iracheno contrario alle ingerenze di Teheran, ma più volte Donald Trump aveva dimostrato con i fatti, e non semplicemente con le parole, la sua contrarietà a un'escalation con l'Iran, malgrado le provocazioni subite nell'ultimo periodo (si veda, ad esempio, la serie di attacchi a navi mercantili nelle acque nel Golfo).

Tale contrarietà, dalle parti del regime khomeinista e dei suoi satelliti armati in Iraq, sembra essere stata interpretata come sinonimo di debolezza e di mancanza di volontà di reagire, autorizzando il bombardamento missilistico del 27 dicembre contro una base USA di Kirkuk ad opera delle milizie denominate Kataib Hezbollah, costata la vita a un contractor statunitense e il ferimento di membri del personale (4 americani, 2 iracheni). Il bombardamento non è stato un episodio isolato, ma il culmine di settimane di provocazioni e minacce verso diplomatici e militari di Washington, che avevano sollevato non poche critiche nei confronti di Trump sul fronte interno, da parte degli esperti e commentatori più interventisti.

Mentre provvedeva a sedare l'ostilità della popolazione, Suleimani pensava forse di poter infliggere qualche colpo significativo alla presenza americana, senza pagare dazio. Ma ha decisamente sottovalutato le intenzioni di Donald Trump, che non poteva lasciare impunito il bombardamento avvenuto a Kirkuk. Il 29 dicembre, su ordine della Casa Bianca, caccia americani hanno così colpito basi di Kataib Hezbollah in Siria e Iraq, con un bilancio di 25 morti e 50 feriti.

Il contrattacco iraniano non si è fatto attendere, con l'assalto del 31 dicembre all'ambasciata Usa nella zona verde di Baghdad, orchestrato dalle milizie su ordine di Suleimani secondo Washington. Le forze di sicurezza governative hanno assistito inermi all'accaduto, che tuttavia non ha provocato né morti né feriti. L'assedio dei diplomatici americani e l'incendio della reception sono stati evidentemente ritenuti sufficienti dall'ex capo delle Forze Al Quds per stringere Washington nuovamente in un angolo. Stessa valutazione potrebbe averla fatta Khamenei, che ha ribattuto in maniera sarcastica al tweet del 31 dicembre, in cui Trump aveva chiaramente detto che "l'Iran sarà ritenuto pienamente responsabile per le morti provocate o i danni inferti presso ogni nostra installazione". "Pagheranno un PREZZO GRANDISSIMO. Questo non è un avvertimento ma una minaccia".

La minaccia si è poi concretizzata e a pagare il prezzo grandissimo è stato Suleimani. Khamenei ha giurato vendetta, mobilitando la folla a Teheran contro il grande Satana, mentre le milizie irachene hanno invocato la dipartita di ogni presenza militare straniera e si sono dette pronte a colpire obiettivi americani. Washington, d'altro canto, non sembra intimorita dai propositi di reazione del regime khomeinista e dei suoi alleati. I cittadini americani sono stati invitati a lasciare il paese, ma Trump ha disposto l'invio di centinaia di marines per rafforzare la sicurezza delle installazioni Usa. Dal Pentagono, inoltre, hanno assicurato che le mizie filo-iraniane verranno nuovamente attaccate con raid aerei e con droni in caso di rappresaglie contro obiettivi americani.

Ci sarà un'escalation che condurrà a una resa dei conti frontale tra Iran e Stati Uniti? È più probabile, invece, che per il momento lo scontro resti confinato in paesi terzi, come l'Iraq, e che, al contrario, si vada verso una fase di de-escalation, perché gli Stati Uniti hanno ristabilito la propria capacità di deterrenza, facendo capire al regime khomeinista di potergli infliggere pesanti perdite in qualunque momento. Ciò non vuol dire aver ridotto Teheran a più miti consigli una volta per tutte. I propositi di vendetta enunciati da Khamenei sono reali e attenderanno il momento opportuno per materializzarsi. Terrorismo, anche all'interno dell'Occidente?

"L'Islam (quello politico, aggiungiamo noi) vincerà la sua battaglia contro l'imperialismo", ha dichiarato la guida suprema, che continua a non volersi rendere conto che a vincere il primato dell'imperialismo oggi è proprio la sua Repubblica islamista. Trump ha abbattuto Suleimani, ma con il regime khomeinista iraniano non è ancora finita.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:04 pm

Soleimani era una minaccia per il Medio Oriente (non solo per Israele).
Parla Nirenstein
4 gennaio 2020

https://formiche.net/2020/01/soleimani- ... irenstein/

L’Iran senza il generale Soleimani? Si chiude, grazie alla mossa di Donald Trump, una fase caratterizzata dal disegno legato all’ascesa del terrorismo, riflette con Formiche.net la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein, tra le altre cose membro del Jerusalem Center for Public Affairs (Jcpa). E osserva: “È la risposta, non solo a Teheran ma anche ad Ankara, a chi dice che Trump chiacchiera molto e non agisce. Il generale? Sono certa che sarebbe voluto diventare il prossimo Presidente dell’Iran”.

Quanto si rafforza Netanyahu con l’uscita di scena del generale Soleimani?

Certamente Israele è implicato in questo nuovo schema, viste le reazioni in Iran relative al pericoloso pensiero di Teheran che, come di consueto, minaccia reazioni tanto contro gli Usa quanto contro Israele. Diciamo che si chiude una fase caratterizzata dal disegno del generale di procedere all’ascesa del terrorismo. Ma Soleimani era minaccioso per una grande parte del Medio Oriente e non solo per Israele.

Chi era Soleimani?

Figlio di contadini è cresciuto tra gli stenti. Suo padre lavorava alle dipendenze dello Scià e la sua famiglia era stata costretta ad uno spostamento che gli aveva provocato molte sofferenze. Sin da giovanissimo ha iniziato a far parte delle milizie soldatesche, nutrendo dentro di sé un odio fortisismo nei confronti della monarchia e tramutandolo in seguito in attaccamento alle milizie stesse, create dal ’79 in avanti per difendere il nuovo potere rivoluzionario degli ayatollah. Ha dimostrato il suo valore sul campo, restando ferito nella battaglia contro l’Iraq: insomma, un personaggio dotato di una capacità strategica pari al suo eroismo militare. Al contempo amato e molto odiato nello stesso Iran.

Come perseguiva i suoi obiettivi?

La sua strategia di accerchiamento sfociava in una sorta di fissazione “pan persiana”, visto che nei fatti era un imperialista persiano, con in mente la creazione di uno Stato islamico vero. Non dimentichiamo che già si era vantato di aver occupato più di mezzo milione di chilometri quadrati: una cosa che resta agli atti di una sua intervista. Rispetto all’Isis, il suo Stato Islamico era di matrice sciita e non sunnita: ma negli intenti imperialistici e religiosi era molto simile, se non identico. In una sua famosa lettera di minacce inviata al generale Petreus a proposito dell’Iraq scriveva: “Io sono il generale Soleimani che guida la politica iraniana in Iraq, in Libano, a Gaza e in Afghanistan. L’ambasciatore iraniano a Baghdad è un membro della Forza Quds e chi lo rimpiazzerà sarà altrettanto”.

Cosa si desume dal tenore di quelle parole anche guardando ad altre aree?

In primis la sua visione imperialistica con tendenze di carattere religioso: sono certa che sarebbe voluto diventare il prossimo Presidente dell’Iran. Chi oggi annuncia come conseguenza la nascita di un conflitto lo fa leggendo le parole dell’ayatollah Ali Khamenei, che ha parlato di dura rappresaglia anche contro Israele. A causa dell’espansione militare guidata dal generale, gli Hezbollah da lui armati, si sono enormemente rafforzati. La Siria inoltre è diventato un altro confine dell’Iran con Israele.

Il livello di allerta in Israele ha registrato già qualche iniziativa?

Oggi gli impianti sciistici del monte Hermon sono stati precauzionalmente chiusi, e in virtù di questa tipica capacità israeliana di seguitare a vivere mentre si difende, alla gente è stato consigliato di restare a casa. Inoltre si è riunito il Gabinetto della Difesa proprio mentre il Premier Netanyahu si trovava in Grecia in occasione delle firme sul gasdotto Eastmed, grazie al quale Israele avrà un ruolo altamente strategico, oltre che economico e internazionale, anche nel dossier energetico.

Quanto ai rapporti israeliani con i Pasi sunniti cosa potrebbe mutare?

Si rafforzano, perché quanto più si indebolisce quella politica che aveva portato Souleimani ad essere contemporaneamente ministro di Esteri e Difesa con influenze dirette in Siria, Iraq, Libano e Yemen, tanto più si riduce quella presenza iraniana bellicosa. Per cui ciò crea una situazione senza dubbio migliore nelle interlocuzioni tra Israele e Medio Oriente.

L’azione americana contro Soleimani è destinata a produrre uno scombussolamento geopolitico?

Tutti ricordano l’occupazione dell’Ambasciata americana nel 1979: un’umiliazione che gli americani non potevano sopportare. Come quella accaduta giorni fa all’ambasciata irachena. La mossa contro il generale è la risposta, non solo a Teheran ma anche ad Ankara, a chi dice che Trump chiacchiera molto e non agisce. Erdogan da domani prima di fare il nemico degli americani ci penserà due volte.



Iran, Luttwak su Soleimani: "La sua morte sia un avvertimento anche per Erdogan in Libia"
Giovanna Pavesi - Ven, 03/01/2020

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ira ... 4Cjk4eXdaY


Il politologo americano, a poche ore dalla morte di una delle figure chiave in Medio Oriente, ha commentato così l'operazione fatta partire dalla Casa Bianca: "Non ha calcolato il fattore Trump, che a differenza di Obama lo ha ucciso"

"La morte di Qasem Soleimani? Sia un avvertimento anche per Erdogan per la Libia". A dirlo, in queste ore di tensione, dopo l'uccisione di uno degli uomini più potenti del Medio Oriente, è l'economista e politologo statunitense, Edward Luttwak, il quale, a poche ore dalla notizia del decesso del generale iraniano e capo dei Pasdaran, ha commentato così la sua morte, avvenuta a Baghdad a causa di un raid americano.

Il fattore Trump

Secondo quanto riportato da Luttwak, ascoltato da Adnkronos, in Iraq sarebbe in corso, in queste ore, "una grande festa popolare" per la morte di Soleimani: "Gli iracheni che soffrono della presenza degli iraniani e delle loro milizie festeggiano, mentre altri, come Emmanuel Macron, protestano". E non ha intenzione di rinunciare alla polemica, per commentare la morte del generale iraniano, la cui morte è stata subito confermata anche da Teheran: "In questi anni non è stato uno che ha distribuito caramelle hai bambini, non ha calcolato il fattore Trump che, a differenza di Barack Obama, ha risposto e lo ha ucciso".

L'uccisione di Soleimani

A uccidere uno dei leader più importanti dei Pasdaran e guida delle brigate Al Quds sarebbe stato un attacco missilistico, il cui piano sarebbe partito direttamente da un ordine arrivato dalla Casa Bianca: prima, infatti, un convoglio composto da due auto è stato individuato nella tarda serata di Baghdad, in avvicinamento al principale aeroporto della capitale irachena; poi è entrato in azione un drone, che ha scagliato contro i due mezzi alcuni missili che non hanno lasciato scampo a chi si trovava al suo interno.

"È responsabile di massacri di civili"

Il politologo americano, poi, ha attribuito diverse responsabilità politiche al generale Soleimani e ha detto: "Ha organizzato, nelle zone urbane siriane, i massacri di civili che erano contro il regime di Bashar Assad, protetto dall'Iran". E ha continuato: "Ha tentato, per anni, di attaccare Israele, ma ha fallito. Era dietro agli attacchi contro gli Stati Uniti e il governo iracheno nella Zona Verde di Baghdad".

L'avvertimento di Luttwak

Per il saggista statunitense, l'azione di queste ore avrà sicuramente delle ripercussioni, anche se non teme conseguenze così importanti: "Ci sarà sicuramente una risposta, ma non credo sarà devastante. Se lo sarà, ci sarà un'altra azione per punirla". La morte del generale iraniano, per Luttwak dovrebbe rappresentare una sorta di monito anche per il presidente turco Erdogan, il quale, secondo Luttwak "vuole mandare i suoi soldati in Libia, che è invece una zona di interesse italiana". E ha aggiunto: "Spero che ai turchi non sia permesso il fatto di andare in Libia. Il governo italiano devo capire che se Erdogan va in Libia, vengono danneggiati gli interessi italiani, non quelli della Finlandia".



Alberto Pento
Grazie Trump!
Trump: abbiamo pronta una lista di 52 bersagli in Iran nel caso in cui Teheran attacchi personale o assetti americani. Un bersaglio per ogni ostaggio dell’ambasciata americana di Teheran nel 1979



“Trump ha liberato il mondo da un mostro”. Il miglior commento su Suleimani è della BILD tedesca
Giulio Meotti

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 8611925345

“Trump ha liberato il mondo da un mostro”. Il miglior commento su Suleimani è della BILD tedesca: “Un mondo in cui milizie assetate di sangue vanno di porta in porta e giustiziano civili. Un mondo in cui gli asili nido in Germania potrebbero bruciare in qualsiasi momento perché i suoi bambini sono ebrei. Un mondo in cui Israele è ogni giorno minacciato di estinzione. Soleimani era un nemico della nostra civiltà. Possono tormentare, torturare, perseguitare e terrorizzare, ma non possono fare nulla contro la più potente democrazia del mondo. Al massimo, possono nascondersi in un buco e sperare di non essere trovati. E quando affermano di non aver paura della morte, questi macellai mentono - sono codardi che amano la vita dolce e corrotta. Trump ha liberato il mondo da un mostro il cui scopo era una nube atomica su Tel Aviv. Trump ha agito per autodifesa - l'autodifesa degli Stati Uniti e di tutte le persone che amano la pace”. Un commento che tutti i pacifisti nascosti in qualche buco mandino a memoria.



In Irak festeggiano la morte del criminale nazi maomettano sciita Soleimani
https://www.facebook.com/SenatorTedCruz ... 610166826/



Suleimani: Gb, 'era una minaccia'
Agenzia ANSA - ROMA, 5 GEN -
5 gennaio 2020

http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews ... 3cnKIcLJHY

Sull'uccisione del generale iraniano Qassem Suleimani la Gran Bretagna "la pensa come gli Stati Uniti". Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab parlando con Sky News. "Era una minaccia per la regione. Capiamo la posizione nella quale si sono trovati gli Stati Uniti. Hanno il diritto di difendersi", ha detto il ministro spiegando di aver parlato dei fatti con il presidente iracheno e i suoi colleghi di Francia e Germania.



La morte di Soleimani e le conseguenze: Intervista a Daniel Pipes
5 gennaio 2020

http://www.linformale.eu/la-morte-di-so ... J7iEXr7qc0

L’uccisione a Baghdad da parte degli Stati Uniti di Qasem Soleimani, leader delle Forze Quds della Guardia Rivoluzionaria Iraniana, segna una svolta decisiva in Medioriente e apre nuovi imprevedibili scenari.

Soleimani era considerato il principale pianificatore del consolidamento geopolitico dell’Iran in Iraq e Siria. Si deve a lui il rafforzamento militare di Hezbollah e la fredda determinazione con cui ha spinto spavaldamente l’espansionismo iraniano nella regione. Austero, frugale, vicinissimo alla Guida Suprema Khamenei, il Generale Soleimani da eminenza grigia e promotore del terrore si era progressivamente ritagliato un posto al sole diventando una figura di primissimo piano a livello pubblico, un eroe nazionale e simbolo della resistenza rivoluzionaria al “satanismo” occidentale.

In ottobre, in una intervista, aveva raccontato di come Israele avesse cercato di assassinarlo in Libano nel 2006. Pochi giorni dopo, il capo del Mossad, Yossi Cohen, dichiarò che Solemani sapeva bene che il suo assassinio non era impossibile e che l’infrastruttura da lui creata rappresentava un serio pericolo per la sicurezza dello Stato ebraico.

Ma non è stato Israele a eliminarlo. A sorpresa si è trattato di una azione voluta da Donald Trump e avvenuta a breve giro dopo la risposta americana nei confronti della branca irachena di Hezbollah a seguito di un attacco contro una base americana in Iraq.

L’uccisione di Solemani insieme a quella di Abu Mhadi Al Muhandis, responsabile dell’attacco alla base militare americana inverte drammaticamente la rotta tenuta fino ad oggi dall’amministrazione Trump nei confronti dell’Iran.

Non ci fu, infatti, risposta il giugno scorso quando l’Iran abbatte un drone americano. Il previsto strike su postazioni militari iraniane, caldeggiato dall’allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, venne abortito all’ultimo minuto. Non ci fu altresì risposta all’attacco ai pozzi petroliferi sauditi avvenuto a settembre, la cui matrice gli USA hanno ricondotto a Teheran.

La riluttanza dell’amministrazione Trump a reagire militarmente si iscriveva in una generale prospettiva di disimpegno dal Medioriente e nella più volte annunciata disponibilità da parte del presidente USA di sedersi al tavolo con Teheran per un nuovo negoziato.

L’uccisione di Soleimani sembra ribaltare tutto ciò, poiché, di fatto, è un colpo preciso e di grande rilevanza concreta e simbolica al cuore del regime iraniano, di cui il generale era lo stratega di punta.

La risposta iraniana non si farà attendere ed è inevitabile. Il regime sta attraversando una delle fasi più critiche da quando si è insediato nel 1979. Le sanzioni economiche imposte da Trump hanno inciso fortemente sul paese, le manifestazioni di protesta, soffocate nel sangue, si sono moltiplicate. L’uccisione di Soleimani costringe il regime a reagire, per non perdere la faccia di fronte al “Grande Satana”. Israele, il “Piccolo Satana”, potrebbe farne le spese.

L’Iran non è in grado di contrastare militarmente né Israele né gli Stati Uniti, ma si trova ora a un bivio. Dopo la baldanzosa esercitazione navale con Cina e Russia nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico, atta a mostrare agli USA una saldatura tra potenze avversarie, ora si trova messo di fronte a una realtà che, fino a poco fa, aveva sottovalutato. Gli USA hanno risposto alle provocazioni e alla pianificazione egemonica regionale di Soleimani nel modo più diretto e perentorio possibile, eliminando dalla scena il suo artefice.
L’hybris iraniana, al momento, ha pagato un prezzo alto.





???
Perché gli Stati Uniti hanno ucciso Soleimani? Tre possibili spiegazioni
Federico Giuliani
4 gennaio 2020

https://it.insideover.com/guerra/perche ... kIZ5ceMmkU

L’ordine di attaccare l’aeroporto internazionale di Baghdad, in Iraq, sarebbe arrivato direttamente da Donald Trump. Almeno questa è la versione fornita dal Pentagono. Il raid ha provocato la morte di dieci persone, cinque iracheni e altrettanti iraniani. Tra questi ultimi spicca il nome del generale Qassem Soleimani, capo delle milizie al-Quds dei Guardiani della Rivoluzione, cioè della forza d’élite dell’esercito della Repubblica islamica. La stessa incaricata di effettuare operazioni all’estero.

Soleimani non era solo uno degli uomini più potenti dell’Iran. Era temuto e rispettato anche in Medio Oriente, nel Golfo Persico e perfino in Asia, gestiva inoltre con sagacia la politica estera di Teheran e varie questioni interne. L’abile stratega, poi, non ha mai nascosto la sua vicinanza all’ayatollah Khamenei e all’ala più conservatrice della politica iraniana. Nel 2018, pochi mesi dopo che Trump decise di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare siglato con l’Iran nel 2015, Soleimani ringhiò contro Washington rilasciando parole inequivocabili: “Vi stiamo addosso. Arriviamo dove neanche vi potete immaginare. Noi siamo pronti. Se inizierete la guerra noi la finiremo”.


Ostacoli da eliminare e pressioni da alleggerire

Insomma, Soleimani non era certo un tipo facile da addomesticare. Trump se n’è accorto subito: le sue frasi a effetto sull’Iran riuscivano a incantare mezzo mondo tranne il generale. Pare inoltre che il presidente americano avesse intenzione di stringere un nuovo accordo con Teheran ma lui, Soleimani, non credeva agli yankee, tanto meno voleva fidarsi del tycoon. Da un certo punto di vista il capo di al-Quds rappresentava quindi una sorta di ostacolo tra la pazza idea diplomatica più volte ventilata da Trump e l’interesse da questa suscitata nella parte più riformatrice della politica iraniana. Questa potrebbe essere una valida attenuante per Washington, anche se vale la pena fare altre due considerazioni. La prima riguarda l’Impeachment.

In patria Trump è pressato da una grana che rischia di rovinargli l’immagine in vista delle prossime elezioni presidenziali, previste il prossimo novembre. Dal momento che il popolo americano, nei momenti di massima tensione internazionale del loro Paese, è solito ricompattarsi dietro al presidente – soprassedendo sulle divisioni tra Repubblicani e Democratici – la polveriera Iran potrebbe effettivamente alleggerire la pressione che sta schiacciando The Donald.


Una mossa a effetto?

L’altra considerazione affronta invece uno scenario ancora più ipotetico ma non del tutto remoto. Trump ama focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su un determinato problema, lasciando intendere che quello è il primo nodo da sciogliere sulla lista di Washington. Il modus operandi è bizzarro ma spesso identico, visto che il presidente, nel bel mezzo della discussione sul citato tema – nel frattempo diventato caldissimo – si concentra su un altro dossier, proponendo una soluzione a effetto su quest’ultimo, lasciando in sospeso tutto il resto.

Nel nostro caso, il tycoon potrebbe aver dato l’impressione di volersi occupare dell’Iran per poi annunciare dal nulla un nuovo incontro con Kim Jong-un o un accordo con la Corea del Nord. Sia chiaro: nel caso in cui Trump avesse agito senza alcuna strategia, Washington rischia davvero di ritrovarsi in guai seri. L’Iran ha infatti annunciato al mondo di essere pronto ad agire per vendicare “l’attentato terroristico” organizzato dal governo americano. La tensione resta altissima.


???
E se Qassem Soleimani fosse stato ucciso per errore? Tutto quello che non torna
Paola P. Goldberger
4 gennaio 2020

https://www.rightsreporter.org/se-qasse ... 93m2VomXXQ

E se Qassem Soleimani fosse stato ucciso per errore? Se non fosse stato lui l’obiettivo del drone americano ma fosse stato “solo” Abu Mahdi al-Muhandis?

Un colloquio informale con un esponente della intelligence israeliana ci svela che tra gli analisti israeliani questo è un pensiero piuttosto diffuso.

Abu Mahdi al-Muhandis era il vero responsabile degli attacchi alla base K1 di Kirkuk, e sempre lui aveva organizzato l’attacco all’ambasciata americana.

«Questo attacco non rientra nel profilo d’azione del Presidente Trump» ci dice l’analista che per ovvie ragione vuole rimanere anonimo.

«Anche tenendo conto dell’alta imprevedibilità del Presidente Trump, fino ad oggi ha cercato sempre di non alimentare nessuna escalation militare con l’Iran e uccidere il braccio destro di Khamenei equivale quasi a una dichiarazione di guerra» continua.

«Ci sono diverse cose che non tornano» prosegue. «Prima di tutto Soleimani era un uomo molto prudente, non programmava mai i suoi viaggi ma li decideva sempre all’ultimo momento e solo pochissime persone ne erano a conoscenza».

«Sono anni che il Mossad cercava di intercettarlo senza però riuscirci proprio perché Soleimani era una persona estremamente prudente».

«Al contrario Abu Mahdi al-Muhandis era una persona molto sfrontata. Sicuro di essere intoccabile usava telefoni non criptati per comunicare con i suoi uomini e teneva un livello di sicurezza molto basso nonostante la sua posizione».

«In molti hanno l’impressione che i droni americani seguissero Abu Mahdi al-Muhandis, non Qassem Soleimani e che gli americani abbiano colto l’occasione o che addirittura non sapessero che in quell’auto ci fosse anche Soleimani».

«Per intenderci, Qassem Soleimani era in cima alle liste di CIA e Mossad, ma da qui a ordinarne l’omicidio ce ne passa. Non si uccide un uomo di quel calibro senza conseguenze».

Il ragionamento è coerente. Qassem Soleimani non era un capo terrorista ma un uomo di Stato. Non era Osama Bin Laden o Abu Bakr al-Baghdadi, non era Hassan Nasralah ma il comandante di una organizzazione d’elite che fa capo ad uno Stato che per quanto canaglia è sempre legittimo.

«È come se si uccidesse il comandante di un corpo speciale russo o di un altro Stato. Non è una cosa che puoi fare a cuor leggero» continua il nostro interlocutore.

Nelle scorse ore diverse dichiarazioni della Casa Bianca hanno cercato di allentare la tensione sebbene per prudenza il Pentagono ha provveduto a rinforzare la presenza americana in Medio Oriente con l’invio di qualche migliaia di uomini, nulla però che faccia pensare alla preparazione di un conflitto.

Se invece alla Casa Bianca e al Pentagono avessero deciso di uccidere deliberatamente un uomo del calibro di Qassem Soleimani i rinforzi sarebbero stati più massicci e già nell’area.

C’è poi un altro fatto importante. Uccidere Qassem Soleimani senza avvertire Israele, più che probabile obiettivo di una ritorsione iraniana, sarebbe stato inqualificabile. Invece i vertici israeliani hanno appreso della sua uccisione quasi in contemporanea con il mondo. Solo in mattinata Netanyahu ha deciso di interrompere il suo viaggio in Grecia mentre il Ministro della difesa israeliano, Naftali Bennet, ha convocato i vertici militari e della intelligence solo nella tarda mattina. Sono stati chiaramente sorpresi.

Quindi le ipotesi sono due: o gli americani hanno cambiato completamente rotta e sono passati dall’estrema prudenza con l’Iran ad un attacco diretto al regime (perché questo è l’uccisione di Soleimani), oppure l’uccisione del capo della Forza Quds non era prevista.

Rimane il fatto che la prematura dipartita di Qassem Soleimani ha reso il mondo più pulito anche se molto meno sicuro perché, c’è da giurarci, gli iraniani non potranno lasciar perdere. Una ritorsione sarà inevitabile.

Tutto sta nel vedere chi sarà l’obiettivo di questa ritorsione e come verrà portata. Questo farà la differenza tra una guerra devastante e una situazione di perenne tensione ma che non sfocia in un conflitto aperto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:07 pm

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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:07 pm

Il nazismo maomettano del regime teocratico iraniano, la dhimmitudine e la persecuzione dei cristiani

In Occidente, in Europa e in Italia vi sono molti disinformati o maleinformati che credono che gli sciiti siano i mussulmani buoni, al contrario dei sunniti che secondo la vulgata sciita sarebbero i mussulmani cattivi, e che credono stoltamente che i nazi maomettani sciiti siano difensori dei cristiani e che i cristiani prosperano e vivano felici e contenti laddove comandano gli sciiti come in Iran, la realtà nuda e cruda invece è proprio tutta il contrario.
Non esiste paese a maggioranza maomettana e a teocrazia mussulmana dove i cristiani vivano felici e contenti, protetti, rispettati e non perseguitati, tanto meno nei paesi a prevalenza sciita.




Caccia ai cristiani in Iran.
di Matteo Matzuzzi
11/12/2018

https://www.ilfoglio.it/chiesa/2018/12/ ... an-228562/

Roma. Nell’ultimo mese 256 cristiani sono stati arrestati in “dieci o undici diverse città” dell’Iran. Cristiani appartenenti “a gruppi differenti”, ha denunciato Mansour Borji, direttore dell’organizzazione umanitaria Articolo 18. Borji ha aggiunto che la maggior parte degli arrestati è stata scarcerata poco dopo, ma che tutti – ai quali è stato confiscato il telefono cellulare – saranno presto convocati dall’intelligence. L’obiettivo della retata è di scoraggiare il proselitismo cristiano in concomitanza del Natale. La notizia degli arresti è stata confermata poi dall’agenzia semiufficiale Mehr, che ha sottolineato come l’azione delle forze di polizia rientrasse in un piano per sradicare una sorta di cellula formata da “cristiani evangelici legati al cristianesimo sionista”: Mehr parla di “setta di sionisti cristiani” in stretto contatto con i progetti israeliani di far propaganda nei paesi musulmani con l’obiettivo ultimo di “indebolire l’islam e il sistema della Repubblica islamica”.

Le retate di cristiani sono una triste tradizione della teocrazia iraniana. Perfino il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, sovente silenzioso rispetto alla persecuzione delle minoranze religiose in realtà musulmane, ha denunciato negli anni “arresti arbitrari, aggressioni e detenzioni” che hanno colpito i cristiani convertitisi dall’islam. Di solito, sono accusati di fare “propaganda contro lo stato”. Il Rapporto annuale della Commissione sulla libertà religiosa internazionale del Dipartimento di stato americano, come sottolineato da Aiuto alla chiesa che soffre, cita le irruzioni di funzionari statali durante le celebrazioni liturgiche, con conseguenti arresti, soprattutto fra gli evangelici. Emblematico quanto avvenuto nel 2016: quattro convertiti al cristianesimo furono arrestati con l’accusa di avere cospirato contro la sicurezza nazionale. Al pastore, già condannato in precedenza per apostasia, è andata peggio di tutti: 80 frustate, dieci anni di carcere e due di esilio interno. Gli altri tre hanno scontato la pena anche per “aver bevuto alcolici”.

La situazione per i cristiani in Iran è complessa. Chi sta meglio sono i cattolici, grazie soprattutto ai buoni rapporti tra la Repubblica islamica e la Santa Sede: le relazioni diplomatiche durano da decenni. L’attuale presidente, Rohani, è stato ricevuto in udienza dal Papa – “preghi per me”, è la richiesta che il leader mediorientale ha fatto al Pontefice – diverse furono le lettere di Mahmoud Ahmadinejad a Benedetto XVI, improntate a cercare sponde oltretevere alle chiusure occidentali. Più recentemente, poi, il Vaticano ha criticato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, con l’Osservatore Romano che parlava di “strappo di Trump” e dava conto delle valutazioni dell’Aiea favorevoli al mantenimento dell’intesa.

Dietro tale scenario improntato alla cordialità e alla collaborazione per la pace e contro i fondamentalismi, la situazione è più fluida. I non musulmani non possono accedere alle alte cariche politiche e militari, non possono far parte del sistema giudiziario né è loro consentito di amministrare gli istituti scolatici. “Noi cristiani siamo sotto stretta sorveglianza”, diceva in un’intervista a Aide à l’eglise en détresse l’arcivescovo di Teheran, mons. Ramzi Garmou. “A volte i vecchi musulmani si uniscono a noi, finendo così per esporsi a gravi problemi prima con le rispettive famiglie e poi con il regime. Abbiamo due seminaristi che sono stati incarcerati perché convertiti al cristianesimo. In particolare, ci è vietato dire la messa in persiano. Noi amiamo l’aramaico, la lingua di Gesù, ma gli iraniani non lo capiscono. Restando confinati in questa lingua, non possiamo comunicare la nostra fede. Per lo stesso motivo, non possiamo avere libri sacri in persiano”.

Il problema principale resta il reato di apostasia, che preclude la strada a una piena libertà religiosa. La trappola consiste proprio nel fatto che l’apostasia non è esplicitamente vietata dalla Costituzione: per tutti i casi non previsti dal testo, infatti, i giudici fanno riferimento ad “autorevoli fonti islamiche e fatwa”. Nei casi di apostasia, di norma si ricorre alla sharia e quindi il colpevole può essere condannato a morte.


Condannati perché cristiani: 45 anni di prigione per quattro iraniani
di SARA FICOCELLI
28 settembre 2018

https://www.repubblica.it/solidarieta/d ... 207586836/

ROMA. Presi di mira per l'esercizio pacifico dei loro diritti alla libertà di religione e credo, espressione e associazione; condannati perché cristiani e praticanti: è questa la colpa di Victor Bet-Tamraz, Amin Afshar-Naderi, Shamiram Issavi e Hadi Asgari, arrestati a Teheran dopo che forze di sicurezza in borghese hanno fatto irruzione nelle loro abitazioni durante un raduno natalizio privato. I quattro sono stati condannati nel mese di luglio 2017 con l'accusa di "formare un gruppo composto da più di due persone allo scopo di interrompere la sicurezza nazionale".

Chiesti complessivamente 45 anni di carcere. Per loro - accusati di aver organizzato e condotto messe in casa e di aver viaggiato fuori dall'Iran per partecipare a seminari cristiani, prove che hanno fatto scattare il reato di "minaccia alla sicurezza nazionale" - sono stati chiesti complessivamente 45 anni di carcere.
Al momento Yousef Nadarkhani è in carcere, mentre gli altri tre sono liberi su cauzione. Tutti sono in attesa del verdetto del tribunale d'appello. Amin Afshar-Naderi è stato condannato a ulteriori cinque anni di prigione per "aver offeso le santità islamiche" con un post satirico su Facebook condiviso dall'account di qualcun altro.

L'appello di Amnesty International. "Nel post - scrivono gli operatori di Amnesty International, che hanno lanciato un appello per annullare la condanna - si adottava uno stile di scrittura coranica per commentare il forte aumento del prezzo del pollo in Iran".

Il ministro ordinato Victor Bet-Tamraz e la sua famiglia sono stati perseguitati dalle autorità iraniane per anni per aver praticato la loro fede. Nel marzo 2009, la chiesa pentecostale assira di Teheran, che Victor Bet-Tamraz stava conducendo, è stata forzatamente chiusa dal Ministero degli interni perché svolgeva funzioni in lingua persiana. Anche il figlio di Victor Bet-Tamraz, Ramiel Bet-Tamraz, è stato preso di mira: è stato arrestato durante un picnic il 26 agosto 2016 nella città di Firuzkuh, insieme ad altri quattro cristiani, da funzionari del ministero dell'Intelligence.

La condizione dei cristiani in Iran. L'Iran è sede di diverse confessioni cristiane, tra cui cristiani cattolici, protestanti, ortodossi armeni e assiri (caldei). I cristiani sono una delle poche minoranze religiose ufficialmente riconosciute nella costituzione del Paese.

Tuttavia, la costituzione prevede solo protezioni limitate per loro, mentre ai convertiti cristiani non viene fornita alcuna tutela in base alla legge: questo implica che i cristiani in Iran siano spesso bersaglio di molestie, arresti e detenzioni arbitrarie, processi iniqui e reclusione per accuse relative alla sicurezza nazionale, unicamente a causa della loro fede. Solo nell'ultimo anno sono stati presi di mira dozzine di persone, per la maggior parte cristiani convertiti.

Qui il testo dell'appello:

Head of the Judiciary
Ayatollah Sadeghi Larijani
c/o Public Relations Office
Number 4, Dead end of 1 Azizi
Above Pasteur Intersection
Vali Asr Street, Tehran, Iran

Eccellenza,
Le scrivo come sostenitore di Amnesty International, l'organizzazione non governativa che dal 1961 lavora in difesa dei diritti umani, ovunque siano violati.
Le chiedo di annullare le condanne di Victor Bet-Tamraz, Shamiram Issavi, Amin Afshar-Naderi e Hadi Asgari, in quanto presi di mira unicamente per l'esercizio pacifico dei loro diritti alla libertà di religione e credo, espressione e associazione, attraverso la loro fede cristiana.
La invito a fermare le molestie, l'arresto arbitrario, la detenzione e l'incarcerazione di cristiani, compresi i convertiti, in Iran.
La sollecito a rispettare il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, inclusa la libertà di avere o di adottare o cambiare una religione o convinzione di propria scelta. La sollecito a rispettare il diritto alla libertà, individualmente o in comunità con altri e in pubblico o privato, di manifestare la propria religione o credo nel culto, osservanza, pratica e insegnamento, come garantito dal Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui l'Iran è parte statale.
La ringrazio per l'attenzione.



Repressione brutale a danno dei cristiani in Iran
La lettera dei membri della Chiesa evangelica in Iran è un forte appello all'azione, per porre fine a devastazioni e repressioni
20 giugno 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/06/ ... tiani-iran

L’Iran è al nono posto nella lista – elaborata dall’Ong Open Doors – dei paesi in cui è più pericoloso essere cristiani: l’apertura di chiese è proibita e la conversione dall’Islam – religione di Stato – è punibile con la morte per gli uomini, e con l’ergastolo per le donne. Solo nel 2015 più di 100 cristiani sono stati arrestati, imprigionati o sono stati vittime di tortura. Dunque, l’Iran non è un paese per i cristiani. Eppure, è in questo Stato che il cristianesimo sta crescendo in maniera sorprendente. Sarebbero un milione gli iraniani cristiani, anche se avere cifre certe non è semplice, data proprio la repressione cui sono vittime coloro i quali vivono apertamente la propria fede. Dal 1981 almeno 120mila persone sarebbero state giustiziate per le personali convinzioni politiche o religiose. In questo contesto giunge al Comitato esecutivo del Wcrc/Cmcr (Comunione mondiale di chiese riformate) il drammatico appello da parte dei vertici della Chiesa evangelica in Iran che proponiamo qui di seguito:

«Noi, membri del Comitato fondatore del Sinodo della Chiesa evangelica dell'Iran in Diaspora (Secid), ci rivolgiamo a voi con umiltà, dolore profondo e lacrime in cerca del vostro sostegno. Possa questa richiesta trovare un posto profondo nei vostri cuori e muovervi alla preghiera e all'azione.

L'oppressione costante e la discriminazione contro la Chiesa presbiteriana dell'Iran non sono un fenomeno nuovo. Conosciamo bene la persecuzione e le sfide che pone. Avere un luogo comune di culto nelle nostre chiese ci ha permesso di sopportare quattro decenni di ingiustizia, condividendo un terreno comune fatto di preghiera, condividendo i nostri lamenti e ricevendo la parola e la guarigione di Dio insieme. Ora i nostri luoghi di culto dove ci siamo incontrati per incoraggiarci l'un l'altro vengono spazzati via.

Negli ultimi otto anni, persecuzioni e insulti alla nostra fede e alla nostra presenza si sono costantemente intensificati, tuttavia poter contare su edifici ecclesiastici, dove potevamo portare le nostre pene davanti al Signore, è stata fonte di speranza e ottimismo. Lo scorso giovedì (9 maggio 2019) ha segnato una giornata molto buia nella storia del cristianesimo in Iran.

Un gruppo numeroso (stimato in 50 persone) di agenti governativi ha invaso la proprietà della Chiesa presbiteriana assira a Tabriz. L’azione è parsa ben pianificata. Mentre un gruppo ha sostituito le serrature di tutte le porte, alcuni hanno intimato al custode di lasciare la proprietà, mentre un altro gruppo ha installato strumenti di monitoraggio all'interno e intorno alla proprietà e, allo stesso tempo, un ultimo gruppo ha scalato il tetto. Questi hanno distrutto la croce della nostra chiesa. La croce per noi è un simbolo sacro della nostra fede. Vedendo la croce non più al suo posto, molti dei nostri anziani membri di chiesa hanno sentito che la loro speranza era svanita. Guardare le foto della chiesa prima e dopo l'invasione fa venire le lacrime agli occhi di tutti coloro che vi hanno pregato nel tempo.

Ciò che il regime islamico dell'Iran ha fatto, ci ricorda i recenti attacchi terroristici in Nuova Zelanda e Sri Lanka. Ci ricorda anche cosa ha fatto il gruppo fondamentalista Isis alle chiese in Iraq e cosa ha fatto Al Qaeda a Bamiyan, in Afghanistan. La confisca e la distruzione dei luoghi di culto, la rimozione dei simboli di fede non sono un atto di poco conto. Agenti di polizia hanno violato il nostro sacro luogo di culto. Ci sentiamo più soli che mai! È ovvio che questo non è che l’inizio. Il loro prossimo obiettivo potrebbe essere la nostra chiesa presbiteriana di San Pietro e il centro sinodale di Teheran. Nessuna di queste cose sta accadendo per caso. Stanno cercando l'annientamento totale.

La minaccia contro la presenza di un gruppo pacifico di cristiani che vivono in Iran da 2000 anni è diventata più seria che mai. Nel corso dei decenni, avete sostenuto il Sinodo della Chiesa Evangelica dell'Iran in vari modi. Ora, ancora una volta, veniamo da voi in cerca delle vostre preghiere e di azioni immediate. Speriamo che possiate prendere in considerazione l'idea di utilizzare qualsiasi mezzo per difendere per conto un vostro partner storico».



Vivere da cristiani a Teheran
Irene Paci
Avvenire, 3 settembre 2012

https://www.arcidiocesibaribitonto.it/p ... -a-teheran

Riconosciuti dalla legge, tollerati in pubblico ma sottoposti a una discriminazione sostanziale nella burocrazia, negli uffici, nelle scuole, nei tribunali, ogni volta che ci sia da far valere un diritto civile. La vita dei cristiani in Iran non è facile. «Siamo cittadini, ma di serie B, di seconda classe», dicono quei pochi che accettano di parlare, fatto salvo che desiderano non rivelare la loro identità. Eppure i templi cristiani, nel Paese, non sono catacombe.

La chiesa cattolica di Teheran, accanto all’ambasciata, fondata dai salesiani nel 1936, è stata rinnovata da poco e ha campane e croci in bella vista; le chiese armene di Isfahan sono incastonate nel quartiere di Jolfa che è cristiano dall’epoca dello scià Abbas I, nel 1604; gli edifici di culto sono monumentali, meta di turisti di tutte le confessioni religiose e possono vantare un museo abbastanza ricco di reperti della tradizione; perfino la chiesa protestante di Rasht, quella che è più nell’occhio del ciclone a causa degli ultimi arresti di fedeli e pastori, all’esterno è riconoscibilissima: due croci rilevate sul portone che spiccano sul fondo bianco del muro.

Ma nella Repubblica islamica d’Iran che vive una sorta di schizofrenia sociale – la vita pubblica, aderente alle regole e alla legge, è solo la testa della medaglia su cui la vita privata, modernissima e con qualche eccesso, ne è la croce – non stupisce che quel che si veda, a un primo sguardo, non corrisponda a ciò che esattamente è. Le comunità, soprattutto nel Nord del Paese, dove ultimamente le conversioni dall’islam al cristianesimo sono state numerose, vivono blindate.

Non è permesso l’accesso ai non cristiani alle funzioni: si vive nel timore di mettersi in casa un delatore, una spia, anche fosse il vicino di casa o un parente molto prossimo. I numeri telefonici della chiesa armena di una città del Nord del Paese girano tra pochi adepti: tutti sanno che qualsiasi chiamata è registrata, che chi dice di recarsi lì potrebbe essere seguito.

E, infatti, se il numero arriva nelle mani di uno straniero che vuole sapere o conoscere, non è raro che qualcuno lo fermi e gli chieda, non senza ambiguità, perché si trova lì e se volesse seguirlo per andare a prendere un tè. Per penetrare nelle sacrestie iraniane, quello che funziona è il passaparola, stando bene attenti a capire chi ci si trovi di fronte. A Isfahan, la cattedrale di Vank, costruita tra il 1606 e il 1655 con il sostegno dei sovrani della dinastia safavide, dà l’impressione che essere cristiani in Iran sia un fatto accettato e anche valorizzato, vista la magnificenza del sito e il flusso di turismo soprattutto interno.

Ma si fa fatica a domandare a chi ha in custodia le chiavi di questa e delle altre due chiese (le chiese di Betlemme e di Maria) di essere ammessi la domenica, quando si celebrano le funzioni religiose, nelle sedi del culto vero e proprio. E alla domanda: «Ci sono discriminazioni nella vita quotidiana?», la risposta, nel migliore dei casi, è un invito in casa privata ma da soli, lontani da orecchie indiscrete.

Dalle esperienze rivelate si comprende che tra la teoria e la prassi giuridica, c’è il mare: come nel caso del risarcimento danni dopo un incidente stradale, nell’accesso all’università a numero chiuso o alle scuole. I cosiddetti dhimmi (cioè i cittadini non islamici) pagano sempre di più: non hanno, di fatto, gli stessi diritti degli sciiti. «Su settanta milioni di iraniani – dice un religioso che vuole rimanere anonimo – i cristiani cattolici sono pari allo 0,35% della popolazione totale.

La popolazione cristiana si è anche ridotta a un terzo rispetto a dieci anni fa». Molti hanno chiesto il visto austriaco, per poi avere come destinazione finale gli Stati Uniti. «Ma si vive in un paradosso: nonostante nel Maijlis, l’assemblea consultiva islamica, le minoranze abbiano diritto ad almeno un rappresentante; nonostante per legge tutti gli iraniani siano uguali, senza distinzione di appartenenza per gruppo etnico, colore, lingua e nonostante tutte le minoranze abbiano diritto di protezione se vivono su questo territorio, in conformità con i principi islamici, di fatto non è così». Infatti, la Repubblica islamica permette la libertà di culto ma non di religione. E questi sono gli articoli (13 e 14) ai quali sono stati inchiodati i rappresentanti della comunità protestante di Rasht.

A Rasht la religione è un argomento tabù, complice il fatto che negli ultimi anni molti musulmani sono passati al cristianesimo e si sono uniti a un movimento crescente (la Hauskirche, Chiesa domestica), diventato anche più forte della Chiesa cattolica. Su questa scia sono aumentati i controlli della polizia, le intimidazioni, gli arresti: un musulmano che si converte al cristianesimo sa che si macchia del reato di apostasia, punibile con la morte.

Anche per questo motivo i musulmani praticanti non entrano in una chiesa dove si officiano i riti, temendo di potere essere indicati come apostati nel caso di un controllo delle autorità. Del resto, il rapporto di Human Rights Watch del 2011, pubblicato da poco dall’agenzia di informazione cristiana Mohabat news, indica una tendenza in crescita che la conoscenza sul campo conferma. In un anno la pressione del governo sulle minoranze è aumentata: sono state rilevate 274 violazioni che hanno coinvolto 876 persone. I baha’i sono al primo posto in 100 occasioni, i dervisci al secondo con 46 episodi, i cristiani al terzo con 29. Il tutto in un quadro che registra un totale di 498 sentenze di condanna a morte. Il prossimo 8 settembre, con la sentenza definitiva per il pastore Youcef Nadarkani, arrestato nell’ottobre 2009 a Rasht, già condannato a morte in primo grado per apostasia, si saprà se bisognerà conteggiare un’altra vittima. Rea di avere dichiarato una fede diversa da quella all’imam Alì, padre dello sciismo.




“I cristiani in Iran potrebbero scomparire”
Agnès Pinard Legry
15 maggio 2019

https://it.aleteia.org/2019/05/15/crist ... comparire/

Sono trascorsi quarant’anni da quando lo scià Mohammad Reza Pahlavi ha abbandonato l’Iran il 16 gennaio 1979 per non tornarvi più. L’ayatollah Khomeini ha lasciato la Francia per tornare a Teheran il 1° febbraio, venendo accolto da una grande folla. Dieci giorni dopo, l’11 febbraio, l’ultimo Governo dell’Iran imperiale è caduto, e l’ayatollah Khomeini ha proclamato la Repubblica islamica.

Come regime autoritario che rivendica una doppia legittimità, teocratica e popolare, la Repubblica Islamica dell’Iran si basa sulla legge islamica, la sharia, e sul principio di tutela del giureconsulto (il Wilayat Faqih). Ciò significa che la Costituzione iraniana mette l’insieme delle istituzioni (politiche, giudiziarie, militari e mediatiche) sotto l’autorità della guida suprema della Rivoluzione islamica e del Consiglio dei Guardiani, una funzione assunta dal giugno 1989 dall’ayatollah Khamenei.

Qual è la situazione attuale del Paese? “La situazione dei diritti umani dal 2009 ha conosciuto un peggioramente consistente”, informa il Ministero degli Esteri francese. “Con il prolungamento della repressione esercitata contro il Movimento Verde, nato dalla contestazione all’elezione del Presidente Ahmadinejad nel giugno 2009, la libertà d’espressione, di associazione e di riunione subisce oggi importanti restrizioni. (…) Sono stati incarcerati numerosi attivisti politici e difensori dei diritti umani. Le minoranze affrontano discriminazioni sociali consistenti”.

Sul piano economico, il Paese è entrato in recessione nel 2018. Il ritorno commerciale e finanziario atteso per l’accordo nucleare firmato nel 2015 con la comunità interazionale non si è concretizzato del tutto, e il Paese soffre per il ristabilimento delle sanzioni statunitensi conseguenti al ritiro unilaterale degli Stati Uniti da questo patto nel 2018.

Quanto alla libertà religiosa, “i cristiani d’Iran hanno libertà di culto nella misura in cui ci sono delle chiese e possono celebrarvi la Messa”, ha spiegato ad Aleteia monsignor Pascal Gollnisch, direttore generale dell’Opera d’Oriente. “È tuttavia limitata al culto, e quindi non si tratta assolutamente di libertà religiosa nel senso che intendiamo noi”.

Quali sono le particolarità della comunità cristiana dell’Iran?

La comunità cattolica dell’Iran si compone di una comunità caldea con due vescovi caldei. Uno è a Teheran, l’altro nell’ovest del Paese. La comunità cristiana nel suo insieme include anche gli ortodossi, essenzialmente armeni, così come i protestanti, soprattutto evangelici. La comunità cristiana rappresenta meno dell’1% della popolazione del Paese.

40 anni dopo la Rivoluzione iraniana, com’è cambiata la sua situazione?

Questi cristiani d’Iran hanno libertà di culto nella misura in cui ci sono chiese e possono celebrarvi la Messa. Ma non sbagliamoci, questa libertà è limitata al culto, e quindi non si tratta di libertà religiosa per come la intendiamo noi. È molto difficile che un giovane iraniano diventi cristiano, visto che esistono gravi sanzioni che includono perfino la prigione. Convertirsi è un crimine! È inoltre proibito che una donna musulmana sposi un cristiano.

Un’altra difficoltà è che è estremamente difficile ottenere dalla Repubblica iraniana dei visti per i religiosi e le religiose le cui comunità mantengono opere in Iran. Mi viene in mente un lebbrosario gestito dalle Missionarie della Carità, che accoglieva lebbrosi iraniani e afghani e le loro famiglie. Quando è stato necessario inviare nuove religiose per sostituire quelle ormai troppo anziane è stato impossibile, e quindi la struttura ha dovuto chiudere.

La minoranza cristiana ha qualche peso politico?

Ci sono due o tre deputati in Parlamento che si suppone rappresentino i cristiani, ma è solo un simbolo. Non rappresentano affatto una forza.

È preoccupato per il futuro dei cristiani dell’Iran?
???
I cristiani d’Iran potrebbero scomparire, come quelli dell’Iraq e della Siria, ma l’Iran è un Paese più grande e bello, con una civiltà prestigiosa. A differenza del mondo arabo, l’Iran, come l’Egitto, è consapevole di godere di una storia che risale a prima dell’islam. Gli iraniani non sono arabi, esiste una distanza culturale tra il testo arabo del Corano e la cultura persiana. Questo elemento è fondamentale, e se non dà frutto oggi credo che potrebbe darlo nei prossimi anni in relazione all’interpretazione dei testi. Se ci sarà mai una riforma dell’islam, credo che possa venire da questo Paese.




Chiesa/Cattolici in Iran: una comunità a rischio estinzione?

https://www.sanfrancescopatronoditalia. ... hGcIvx7mhM

Mentre molti cristiani fuggono dall'Iran, sia per motivi politici, che per motivi religiosi, la comunità cristiana di quel Paese è a rischio estinzione, secondo Camille Eid, giornalista e osservatore delle Chiese in Medio Oriente.

Il giornalista ha parlato con il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, in questa intervista in cui spiega come può essere la vita di un cristiano che vive in Iran.

L'Iran è un Paese musulmano per più del 99% della sua popolazione, dove l'Islam è religione di Stato. Le radici della Chiesa in Iran sono molto antiche e risalgono al II secolo. Il Cristianesimo è effettivamente la religione più antica dell'Iran?
Eid: No, abbiamo altre due comunità che sono più antiche del Cristianesimo. La prima è la comunità zoroastriana, che risale a secoli prima dell'arrivo del Cristianesimo e dell'Islam. La seconda è la comunità ebraica.
La comunità zoroastriana è di circa 20.000 persone, mentre quella ebrea è tra le 20.000 e le 35.000 unità. Queste due comunità sono più antiche di quella cristiana.

Oggi l'Iran è per più del 99% musulmano. In che misura l'Islam permea la vita quotidiana?
Eid: Per le strade di Tehran, o in qualunque parte del Paese, sono visibili ritratti di martiri, dell'Ayatollah, di quello precedente, Khomeini, e di quello attuale, Khamenei. Se si usa una cabina telefonica si sente la voce dell'Imam Hussein dare le istruzioni.

Se si alza il telefono si sente la voce registrata dell'Imam?
Eid: Esatto. E nelle scuole, l'insegnamento delle diverse materie è consentito, ma sempre attraverso una prospettiva fondata sul Corano e l'Hadith e le altre dottrine islamiche.

Se ho ben capito, l'immagine dell'Ayatollah si trova persino sulla copertina dei libri di catechismo cristiano?
Eid: è così. E forse è un modo per ricordare ai cristiani che sono sotto la protezione del regime e sono considerati dhimmi (protetti) della Sharia islamica. Un modo per bollare i cristiani come sottoposti al regime islamico. Esiste infatti anche la polizia religiosa.

Stavo per chiedere proprio delle pattuglie del buoncostume, che assicurano che le donne siano adeguatamente vestite.
Eid: Certo. Talvolta sono severi, altre volto no. Dipende dal regime. Sotto Khatami, per esempio, erano un po' più aperti e le donne potevano mostrare qualcosa della propria testa. Con Ahmadinejad sono più severi.

Oggi quindi sono molto severi e pretendono la copertura totale?
Eid: Sì. Solo il viso può essere mostrato. Talvolta le donne si coprono anche il viso e le mani.

I cristiani sono circa 100.000, su una popolazione di 71 milioni. Come sono visti i cristiani in Iran?
Eid: Sono visti come una minoranza etnica, perché i cristiani sono prevalentemente armeni e assiro-caldei. Ci sono 80.000 armeni ortodossi, definiti anche gregoriani o armeni apostolici, 5.000 cattolici armeni e circa 20.000 assiro-caldei, più altre comunità come i latini, i protestanti, che in totale contano tra i 100.000 e i 11.000.
Quindi sono visti come una minoranza etnica e, come tale, non hanno il permesso di celebrare i loro riti in farsi, la lingua ufficiale dell'Iran. Quindi non potendo celebrare la Santa Messa in farsi, lo fanno in armeno o in caldeo.

Per distinguerli in quanto stranieri?
Eid: Non solo, ma anche per evitare che possano attrarre e interessare gli iraniani locali.

Per impedire agli iraniani di essere attratti dalla fede?
Eid: Esatto e per impedirgli di capire ciò che i cristiani dicono. L'unica eccezione si è verificata quando ero a Tehran, qualche giorno dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II e il sacerdote ha letto le Scritture in farsi, alla presenza delle autorità. Ma è stato un caso straordinario.

Eppure, in Parlamento, tre seggi sono riservati alla minoranza cristiana. Quindi, in qualche modo, i cristiani hanno voce in capitolo nell'istituzione parlamentare?
Eid: In effetti, la Repubblica islamica ha mantenuto la Costituzione del 1906 che riserva cinque seggi alle minoranze: tre ai cristiani, uno ai zoroastriani e l'altro agli ebrei. D'altra parte i bahai, per esempio, che sono la minoranza non musulmana più grande, non sono rappresentati perché sono considerati eretici e non persone di una comunità religiosa.

Esiste quindi una divisione tra le comunità islamiche?
Eid: Se i bahai sono considerati islamici... Non so, perché anche loro sono monoteisti, ma l'Islam non accetta altra fede monoteista dopo Maometto, e quindi loro sono considerati eretici e basta.

I diritti dei cristiani sono tutelati dalla Costituzione?
Eid: No, questo non significa che i loro diritti siano garantiti dalla Costituzione.
L'articolo 13 afferma che tutti gli iraniani sono eguali per razza e lingua ma la religione non è citata. Nell'articolo 14, se mi consente di leggerlo: “Tutte queste comunità non musulmane devono astenersi dal partecipare a cospirazioni contro l'Islam e contro la Repubblica islamica dell'Iran”. E l'ultimo, l'articolo 19, dispone: “Tutti gli iraniani, a qualunque gruppo etnico appartengano, godono degli stessi diritti, e il colore, la razza o la lingua non conferiscono privilegi”. Anche in questo caso non vi è alcun riferimento alla religione.

Ma l'articolo 13 della Costituzione non afferma che i cristiani possono esercitare i loro diritti e professare la loro fede?
Eid: A condizione di non partecipare a cospirazioni contro la Repubblica iraniana. Cosa significa? Comprende anche la contestazione del regime? Il problema dell'Iran è che è un regime teocratico. Quindi l'opposizione al regime dal punto di vista politico potrebbe essere interpretata come un'azione contro la repubblica islamica.
Nell'ambito della comunità islamica esistono i progressisti e i conservatori. Nel contestare l'ayatollah Khamenei si contesta il suo aspetto politico o religioso? Quando il regime ha allo stesso tempo un volto politico e uno religioso, un attacco a quello politico può essere considerato come un attacco a quello religioso, essendo un regime teocratico.

Che altro tipo di restrizioni subiscono i cristiani nella loro vita quotidiana?
Eid: Per esempio, nell'amministrazione pubblica è difficile che i cristiani possano trovare lavoro. Persino i direttori delle scuole cristiane sono musulmani, salvo un'unica eccezione: a Isfahan, dove circa tre anni fa il Governo ha nominato un armeno come direttore di una scuola armena. Ma negli altri casi i direttori delle scuole cristiani sono musulmani è quelle poche scuole che sono state restituite ai cristiani dopo le confische del 1979 e 1980.
Un altro esempio è quello delle forze armate. Alcuni anni fa si è scoperto che un ufficiale, il colonnello Hamid Pourmand, si era convertito al Cristianesimo. É stato processato e sottoposto alla Corte marziale, ma a causa delle pressioni internazionali è riuscito a lasciare l'Iran. Soprattutto è difficile per i cristiani arrivare alle più alte posizioni in Iran.

Come è la vita di un musulmano convertito?
Eid: Stando in Iran non è possibile dichiarare di aver cambiato fede. è possibile solo se si riesce ad andare all'estero. Conosco due famiglie iraniane qui in Italia che sono convertite. Una ha passato il confine con la Turchia durante l'inverno. è stato difficile, ma sono riusciti ad ottenere asilo. In Iran non potevano esprimere o mostrare la loro fede per il rischio di andare incontro alla morte. Non è facile.

Vorrei toccare la questione della fuga dei cristiani dall'Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979. Circa la metà della popolazione cristiana ha abbandonato il Paese, mentre è per quanto mi risulta è circa 10.000 famiglie lasciano l'Iran ogni anno. Cosa significa questo per la comunità cristiana in Iran?
Eid: La pressione politica esiste sia per i non musulmani che per i musulmani, ma per i cristiani essa è doppia perché per loro si somma la pressione politica del regime, mal sopportato dalla maggioranza della popolazione iraniana, alla pressione religiosa riservata ai non musulmani, tale da avere una libertà limitata. è per questo che è in atto questa massiccia fuga, con un concreto rischio di scomparire del tutto, di un'estinzione del Cristianesimo in Iran.
(Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre).

(Zenit)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:08 pm

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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:08 pm

Il nazismo maomettano del regime teocratico iraniano, la dhimmitudine e la persecuzione degli ebrei e i piani di distruzione di Israele


Iran, ebrei in Iran, persecuzione, guerra a Israel
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2237

Islam scita, Iran e ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2221



Iran, parte il countdown per la distruzione di Israele
Grigorij Silaev
Lug 6, 2017

https://www.ultimavoce.it/iran-countdow ... e-israele/

Nel centro di Teheran è stato installato un orologio che segna un countdown per la distruzione di Israele. La provocazione è stata lanciata dai manifestanti iraniani in occasione della giornata di Gerusalemme, la festività islamica che cade sull’ultimo venerdì di ramadan.

Secondo la profezia dell’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema della Repubblica islamica, Israele avrebbe i giorni contati, per la precisione 8410. Nel 2015 Khamenei ha dichiarato che “niente rimarrà dello Stato ebraico entro il 2040”. A quanto pare in molti hanno preso sul serio il suo presagio.

Quasi un milione di persone è sceso in piazza per gridare in coro “a morte Israele” ed esprimere solidarietà allo stato Palestinese. Tra i manifestanti anche il presidente Hassan Rohani, appartenente ad un’ala moderata, ed il capo del parlamento Ali Larijani. Quest’ultimo ha spinto accuse forti nei confronti dello stato di Israele e lo ha definito “madre del terrorismo e peggiore terrorista di tutti i tempi”.

Gli slogan non hanno risparmiato l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, entrambi considerati Paesi nemici dalla folla di Teheran.
Per finire in bellezza, i Pasdaran (Corpo delle guardie della rivoluzione islamica) hanno fatto sfilare tra i manifestanti i missili balistici di ultimo modello. Le stesse armi sono state usate per colpire le postazioni dell’ISIS pochi giorni fa.

La tensione tra i due stati è giunta all’apice nelle scorse settimane. Il 18 giugno è avvenuto il primo intervento militare iraniano in Siria, dove Teheran cerca da tempo di far sentire la propria presenza. La risposta israeliana è stata immediata, sotto forma di attacco alla sede militare di Kenitra. Netanyahu ha ribadito che non esiterà ad intraprendere azioni militari al fine di proteggere il proprio territorio.

I seguaci di Ali Khamenei, che sperano nella distruzione dello stato di Israele, non fanno che fomentare con il loro conto alla rovescia una situazione sempre più critica. La pace in Medio Oriente non sembrava così lontana da anni.



Perché accelera l’orologio dei pasdaran
I pasdaran iraniani hanno bisogno di riportare gli Stati Uniti al tavolo dei negoziati in fretta. Così il Nord di Israele potrebbe diventare il nuovo fronte della partita
Davide Frattini
19 luglio 2019

https://www.corriere.it/esteri/19_lugli ... 3548.shtml

GERUSALEMME — Alla fine di giugno l’aviazione israeliana ha organizzato un’esercitazione a sorpresa e i piloti sono decollati per mettersi alla prova con uno scenario che l’intelligence militare ritiene possibile: attacchi su fronti multipli, manovre per evitare le risposte anti-aree di sistemi avanzati. Il nome implicito dell’operazione è Iran.

In questi mesi il primo ministro Benjamin Netanyahu sembra aver moderato – almeno in pubblico – la sua retorica contro gli ayatollah iraniani: da protagonista e volto delle strategie per contenere quello che considera l’offensiva della Repubblica islamica, è diventato quasi un osservatore delle tensioni attorno allo Stretto di Hormuz. I suoi consiglieri e lo Stato Maggiore temono però che la crisi – assieme al rialzo dei prezzi del petrolio – si stia sviluppando troppo lentamente, almeno secondo l’orologio dei Pasdaran iraniani. Che hanno bisogno di riportare gli Stati Uniti al tavolo dei negoziati. In fretta.

Il nord di Israele – il confine con il Libano e la Siria – potrebbe diventare così il nuovo fronte di una partita che per ora non riguarderebbe lo Stato ebraico: un attacco perpetrato dalle milizie sciite accampate nel caos siriano o una riedizione 13 anni dopo del conflitto estivo con Hezbollah, il gruppo libanese che risponde agli ordini di Teheran.

La minaccia è considerata concreta al punto da spingere a intervenire il presidente Reuven Rivlin, sempre alla fine di giugno: «Mandiamo un avvertimento a Hezbollah perché non si sottometta alle richieste dell’Iran. Non vogliamo la guerra, siamo pronti a qualsiasi scenario». Gli analisti ricordano altre estati, tra il 2009 e il 2013, quando i mesi più caldi erano considerati i migliori – cieli tersi, ottima visibilità – per un raid contro i laboratori nucleari iraniani, missione che il governo Netanyahu ha discusso e rinviato senza mai cancellarla dai piani.



Ricordiamo Ma'alot
Commento di Deborah Fait
Informazione Corretta
19.05.2019

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=74668

Era Yom HaAzmaut del 1974, il 15 maggio e Israele festeggiava il suo ventiseiesimo compleanno. In una scuola di Ma'alot, in Galilea, la festa finì di colpo quando un gruppo di terroristi palestinesi, provenienti dal Libano, entrò per fare strage di bambini. Erano del Fronte Popolare della Liberazione della Palestina (FPLP), avevano appena ucciso in un condominio una coppia con i loro figli di 4 e 5 anni. Unico sopravvissuto un bambino di 16 mesi, sordomuto, forse perché non si erano accorti della sua presenza. Oggi quel bambino vive a Rehovot, è un uomo cui tutti vogliono bene, va avanti e indietro per la via principale della città, si siede ai tavoli dei bar, le persone gli parlano e gli sorridono, gli ordinano il caffè, lui non infastidisce nessuno, è sempre da solo, pulito e ben vestito, si siede, a volte legge il giornale, borbotta qualcosa tra sé, poi si alza e corre via come se avesse un appuntamento urgente. Chissà se ricorda il giorno in cui delle bestie gli massacrarono la famiglia. Facevano così i terroristi palestinesi, entravano nei condomini e ammazzavano chi, ignaro, apriva loro la porta. Dopo questa prima strage i terroristi andarono verso la scuola, strada facendo ammazzarono altre tre donne e, appena entrati nell'edificio, presero in ostaggio un centinaio di bambini, dopo aver sparato al bidello e ad un primo gruppetto di ragazzini. Chiedevano la liberazione di 23 bestie assassine come loro, se Israele non avesse soddisfatto le loro richieste avrebbero ammazzato tutti i 115 ostaggi. Prima dello scadere del tempo un'unità della brigata Golani entrò nella scuola per liberare i bambini e i loro insegnanti, uccisero tutti i terroristi ma questi fecero in tempo, con i mitra e le granate, ad ammazzare quanti più ostaggi potevano. Li agguantavano per i capelli e sparavano a bruciapelo, i bambini, terrorizzati, si nascondevano tra i banchi rincorsi dalle belve finchè il massacro ebbe fine. 26 le vittime di cui 22 erano i piccoli alunni della scuola.
Vivevo in Italia e non ricordo di aver visto chissà quale indignazione per quella strage di innocenti in Israele. Era in periodo in cui Arafat e i suoi terroristi stavano conquistando il cuore degli italiani e Israele pagava il fio di avere stravinto la guerra del 1967 quindi chiunque ammazzasse un israeliano, anche se bambino, anche se in fasce, era considerato una specie di eroe. Come aveva osato Israele, attaccato su tutti i confini da 5 eserciti, vincere una guerra in soli sei giorni e in più conquistare territori storicamente suoi come Giudea, Samaria e Gerusalemme!
Sono passati 45 anni ma nulla è cambiato, Israele deve continuare a pagare la colpa di esistere e i suoi aggressori continuano ad essere considerati eroi.
Jeremy Corbyn ha commemorato la nakba, cioè la fondazione dello stato di Israele, catastrofe per gli arabi, partecipando a una manifestazione a Londra. Hamas ha ringraziato il leader laburista e possibile futuro premier britannico per la sua solidarietà. La folla urlante portava i soliti cartelli inneggianti alla distruzione di Israele. https://www.shalom.it/blog/mondo/corbyn ... ia-b446751
Gli arabi sono maestri nello stupro della Storia e incolpano Israele se nel 1948 non è nato qui uno stato arabo per i palestinesi. La solita ennesima menzogna. Chi incitò i paesi arabi a rifiutare la risoluzione dell'ONU che voleva creare nella Palestina storica due stati, uno per gli ebrei e uno per gli arabi, fu l'amico di Hitler, il Muftì Amin al Housseini.
Lo stesso che sperava di distruggere Israele e poi prendersi tutto.
Fortunatamente gli arabi hanno sempre perso tutte le loro maledette guerre che si sono ritorte contro di loro. La cosa grave è che insegnano ai loro figli che la colpa è di Israele creando così generazioni di odiatori e futuri terroristi.
Solo pochi giorni fa la UE si è accorta che forse, chissà, è possibile che i libri di testo arabo-palestinesi incitino all'odio e alla guerra. Meglio tardi che mai, si dice, anche se niente seguirà a questa scoperta e tutto resterà immutato, l'odio, la violenza, i bambini che dichiarano di voler crescere in fretta per diventare "martiri" e ammazzare gli ebrei.
In Iran, in piazza Palestina a Teheran, altra grande manifestazione per la nakba, al canto di "A morte Israele", sotto l'orologio che scandisce le ore che mancano alla sua distruzione, come profetizzato da Alì Khamenei.
Sabato scorso mancavano esattamente 8411 giorni per arrivare al 2040, anno fatidico destinato alla realizzazione del sogno cioè ridurre a "niente" l'entità sionista.
Un milione di persone ha partecipato alla manifestazione cui era presente anche Hassan Rouhani, l'amico di Federica Mogherini.
Ci lasciano ancora, generosamente, 21 anni di vita. https://www.lastampa.it/2017/07/05/este ... hTvLTJgMV0
In Europa la caccia all'ebreo continua. A Helsingborg, in Svezia, una donna di 60 anni, della comunità ebraica locale, è stata accoltellata nove volte da un musulmano dopo che un imam della città aveva definito gli ebrei "figli di scimmie e maiali".
Dalla Svezia, un tempo simbolo di libertà, gli ebrei fuggono. Malmoe è ormai una città musulmana, gli ebrei se ne sono andati quasi tutti, in Israele stanno arrivano a migliaia dal nord Europa dove molte città sono in mano all'islam, alla sharia e all'ossessione antiebraica non solo dei musulmani,
i partiti della sinistra europea sono loro complici. Da decenni ormai parliamo e scriviamo dell'odio antisemita di cui l'occidente, pur dopo Auschwitz, continua a nutrirsi.
I palestinesi possono commettere le più orrende atrocità che il colpevole sarà sempre Israele. L'ossessione, dopo più di 2000 anni, non sembra avere fine.



Capo Hezbollah libanese: “L’Iran può bombardare Israele con forza e ferocia”
16 lug 2019

https://www.quotidiano.net/blog/bianchi ... cia-42.844

“Con forza e ferocia” l’Iran può bombardare Israele. Venerdì sera il capo politico e spirituale degli Hezbollah sciiti libanesi Hassan Nasrallah ha affidato questa compiaciuta confidenza alla televisione “Al Manar”, l’emittente del suo movimento. Ricorreva il tredicesimo anniversario della guerra con Israele divampata nel luglio del 2006, un conflitto che durò 34 giorni e che uccise 1200 persone in Libano, per lo più civili, e 160 israeliani, quasi tutti militari. Lo sfondo delle esternazioni sono le tensioni in ascesa fra gli Stati Uniti, il più potente alleato di Gerusalemme, e il Paese degli ayatollah.
Il giorno dopo nello stretto di Ormuz si sono perse le tracce di una petroliera emiratina, la “Riah”. Gli Emirati Arabi Uniti sono ferrei alleati dell’Arabia Saudita e dell’Egitto, due Paesi in lotta con Teheran da decenni. La notizia è trapelata solo oggi. Nelle stesse ore l’agenzia cinese Xinhua ha appreso da “fonti della sicurezza palestinese” che nella parte centrale della Striscia di Gaza è stato abbattuto un piccolo aereo israeliano che la stava sorvolando.
Le dichiarazioni incendiarie di Nasrallah sono state appena addolcite da una dichiarazione di intenti. “La nostra responsabilità nella regione – ha detto – è quella di lavorare per prevenire una guerra degli Usa contro l’Iran. Quando gli americani capiranno che un conflitto potrà cancellare Israele dalla carta geografica, cambieranno opinione”. Dal 2012 i combattenti degli Hezbollah, in particolare gli uomini delle forze speciali “Radwan” e delle “Brigate Al Abbas”, sono stati schierati in Siria a sostegno del regime di Bashar Assad, e degli alleati iraniani, la tradizionale triplice intesa sciita alla quale si sono unite anche truppe irachene e russe. Mosca non aveva nessuna intenzione di perdere Latakia, la sua unica base navale nel Mediterraneo, e ha costruito nel 2015 un aeroporto militare a Khmeimim, alle spalle della città rivierasca siriana.
Dalla fine di aprile i raid aerei dell’aviazione di Assad e di Mosca hanno preso di mira soprattutto Idlib, la città del nordovest siriano in mano a milizie di qaedisti e di ribelli riuniti nell’alleanza “Hayat Tahrir al Sham. Secondo il sito ”Osservatorio siriano per i diritti umani” oltre seicento persone si sono aggiunte alle 370 mila cadute in otto anni di conflitto. Anche diversi combattenti Hezbollah hanno perso la vita. Per questa ragione Nasrallah ha annunciato che in Siria è stato “ridotto l’impegno sulla base delle necessità della situazione attuale”, anche se “continuiamo a mantenere una presenza dove eravamo”.
Il segretario degli Hezbollah ha tenuto a precisare nell’Intervista ad “Al Manar” che negli ultimi tredici anni i suoi combattenti hanno messo a segno grandi progressi “nel numero, nella qualità e nella precisione” dei loro missili. Davanti alla telecamera ha srotolato una carta di Israele e ha sostenuto che ora i vettori possono arrivare fino a Eilat, la città dell’estremo sud che si affaccia sul Mar Rosso. “Possiamo infliggere danni enormi”, si è compiaciuto, precisando che “stante la logica attuale delle cose” potrebbe un giorno recarsi lui stesso a Gerusalemme per pregare sulla Spianata delle Moschee.
Nel colloquio fiume Nasrallah si è rifiutato di precisare se gli Hezbollah hanno ottenuto dai russi batterie di missili antiaerei S 300 come quelle che sono già state consegnate alle forze di Assad (apparati che però non sono ancora operativi). “Su questo punto mantengo una “ambiguità costruttiva”, ha tagliato corto. Mosca è considerata “amica” degli uomini del suo movimenti che però, assicura , “si coordinano solo con le forze di Assad”
Martedì 16 luglio è atterrato nella base di Murted Hava, 35 chilometri a nord ovest di Ankara, l’undicesimo aereo russo carico di componenti dei missili terra aria S 400. “Ci auguriamo che sia tutto pronto per il mese di aprile del 2020”, è la previsione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Secondo il Pentagono il possesso degli S 400 è incompatibile con la consegna ai turchi dei sofisticati caccia F 35 americani, il cui complesso software rischia di finire nelle mani dell’intelligence di Putin. Per questa ragione sono stati sospesi gli addestramenti dei piloti di Ankara. Washington ha minacciato sanzioni.
L’ultima mossa in direzione di un allontanamento della Turchia dallo scacchiere occidentale sono le trivellazioni alla ricerca di gas naturale e di petrolio al largo di Cipro. Ankara ha inviato due navi. Dall’inizio di maggio la “Fatih” è attiva a 75 miglia dalla costa occidentale dell’isola. Di recente si è aggiunta la “Yavuz”. Il Consiglio degli Affari esteri dell’Unione Europea ha sospeso i negoziati con la Turchia per un accordo globale sui trasporti aerei e ha cancellato tutte le sessioni del Consiglio di associazione. “Sono misure da non prendere sul serio”, ha minimizzato il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu, “debbono sedersi al tavolo con noi per questioni legate ai rifugiati e non solo (ndr. nell’ambito della Nato Ankara è il maggior acquirente di armi tedesche).Non hanno altra scelta e proprio per questo non è possibile sanzionarci”.



Israele a Nasrallah: minacciarci potrebbe costarti la vita
14-01-2020

https://www.shalom.it/blog/news-in-isra ... KMxm6lfBW4

Le minacce di Hassan Nasrallah a Israele potrebbero costare la vita al segretario generale di Hezbollah, il movimento militante sciita libanese. È il monito lanciato su Twitter dal ministro della Difesa dello stato ebraico, Israel Katz. "Nasrallah non ha smesso di attaccare Netanyahu o minacciare Israele. Man mano che la sua angoscia cresce, la sua retorica aumenta", ha scritto Katz in due distinti tweet, in ebraico e in arabo. "Nel frattempo, [Nasrallah] è costretto a scendere di un altro piano nel suo bunker di fronte agli avvertimenti dei suoi padroni iraniani sulla possibilità del suo assassinio. Se sfiderà Israele, neanche questo lo aiuterà", ha avvertito Katz. I commenti del ministro degli Esteri rappresentano una risposta alle recenti esternazioni di Nasrallah, che ieri ha avvertito che le truppe americane in Medio Oriente sarebbero "tornate negli Stati Uniti nelle bare" se Washington non si fosse ritirata dalla regione "nei prossimi giorni o nelle prossime settimane".
Il leader della milizia ha inoltre accusato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump di "mentire" a proposito dei presunti piani del generale iraniano Qasem Soleimani di attaccare le ambasciate statunitensi in Medio Oriente, dicendo che questi piani non esistevano. Nasrallah ha poi avvertito che il recente attacco missilistico iraniano alle basi statunitensi in Iraq è stato "un messaggio forte per l'entità sionista che ha sempre in programma di 'giocare' con l'Iran". [Il primo ministro Benjamin] "Netanyahu sogna sempre di inviare la sua forza aerea per attaccare le infrastrutture o le strutture nucleari in Iran". Definendo il premier israeliano un "pazzo", Nasrallah ha suggerito che quando i leader iraniani minacciano Israele, "dovrebbero prendere queste minacce sul serio".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:09 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2020 10:09 pm

I disinformati e illusi che credono che i cattivi e malvagi mussulmani siano solo i sunniti, in realtà cattivi e malvagi sono anche gli sciiti;
tutti i mussulmani sunniti e sciiti sono nazi maomettani e hanno come modello il primo criminale terrorista assassino mussulmano che fu Maometto e tutti seguono il Corano che riporta la parola dell'idolo Allah inventato da Maometto.



Maometto, il Corano, Allah e i maomettani cos'hanno di buono? Nulla!
Ma cosa mai hanno da rivelare, insegnare e da trasmettere di buono, di vero, di giusto e di bello Maometto, il Corano, Allah e i maomettani, all'umanità intera e ai non maomettani? Nulla assolutamente nulla!
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6123975281
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2850

Prendo lo spunto da questa frase attribuita all'imperatore bizantino Manuele II Paleologo del 14° secolo:
"Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava"


Questo è l'Islam o nazismo maomettano: idolatria, orrore, terrore e morte, da sempre:
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2705
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