Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 12, 2020 8:43 am

Provate ad immaginarvi se i dementi e invasati nazi maomettani iraniani (santificati da Bergoglio e sostenuti dai grillini 5 Stelle, dalle sardine, dalle destre fasciste italiane a cui dà voce il Secolo d'Italia, da filosofi demenziali come Fusaro e dalle autocrazie russa e cinese) avessero la bomba atomica che gli irresponsabili demosinistri europei come la Mogherini e americani come Obama hanno permesso che l'Iran incominciasse a prodursi:


Pentagono: l'Iran ha abbattuto l'aereo ucraino con un missile TOR
09.01.2020

https://it.sputniknews.com/mondo/202001 ... t5bDTPaFoQ


Ad abbattere il Boeing ucraino "per sbaglio" è stato un missile iraniano. Lo riferisce "Newsweek", citando fonti del Pentagono.

L’aereo di linea della compagnia Ukraine International Airlines precipitato lo scorso mercoledì vicino a Teheran potrebbe essere stato abbattuto dai sistemi missilistici antiaerei iraniani “per sbaglio”.

Questo è quanto ritengono i funzionari dell'intelligence degli Stati Uniti e dell'Iraq secondo quanto riportato dalla rivista americana Newsweek, con riferimento a fonti proprie.

Queste ultime sarebbero un funzionario del Pentagono, un rappresentante dell’intelligence americana ed una fonte nell’intelligence irachena, a detta dei quali i sistemi di difesa missilistica iraniana sarebbero entrati in funzione casualmente. Secondo gli interlocutori della rivista, i sistemi probabilmente erano attivi per via dell'attacco effettuato contro le basi militari degli USA in Iraq diverse ore prima.

L’aereo Boeing-737 della compagnia ucraina Ukraine International Airlines (MAU), partito ieri mattina dall'aeroporto di Teheran alla volta di Kiev è precipitato pochi minuti dopo il decollo. A bordo dell’aereo si trovavano 168 passeggeri e 9 membri dell’equipaggio. Nell'incidente nessuno è riuscito a sopravvivere, in quanto prima di toccare il suolo, l’aeromobile aveva raggiunto l’altitudine di 2.400 metri. Le vittime sono cittadini di Canada, Iran, Germania, Ucraina, Gran Bretagna, Svezia e Afghanistan.



L’Iran ammette: abbiamo abbattuto il volo ucraino per errore. Il comandante delle Forze aeree: responsabilità mia
11 gennaio 2020

https://www.lastampa.it/esteri/2020/01/ ... sjume0G8Uc

DALL’INVIATO A BEIRUT. L’Iran ammette, dopo aver negato per quattro giorni, di aver abbattuto il Boeing 737 ucraino precipitato all’alba di mercoledì dopo essere decollato da Teheran. La commissione delle Forze armate incaricata di fare luce sull’incidente ha ribaltato questa mattina la versione ufficiale, sostenuta fino a ieri sera dalle autorità per l’aviazione civile. Il primo a rivelare l’ammissione è stato il ministro degli Esteri Javad Zarif, esponente dell’ala riformista del regime, con un messaggio su Twitter. L’abbattimento, ha spiegato, è dovuto “a un errore umano in un momento di crisi provocato dall’avventurismo americano che ha portato a questo disastro”.

Il generale iraniano Amir Ali Hajizadeh, alla guida delle Forze aeree dei Guardiani della Rivoluzione: “Mi prendo la piena responsabilità e rispetterò qualsiasi decisione sarà presa”, ha affermato in un'intervista andata in onda sulla tv iraniana, raccontando di aver “desiderato di morire” quando è stato “sicuro” che l'aereo era stato abbattuto per errore dai suoi uomini.

Iran, l'aereo ucraino viene colpito da un razzo: il momento dell'impatto

Il volo dall’aeroporto Imam Khomeini a Kiev si è schiantato alle 6 e 12 di mercoledì, quattro ore dopo i raid lanciati dalle Forze armate iraniane contro due basi in Iraq che ospitano soldati americani. Le difese anti-aeree erano in massima allerta ma le autorità hanno deciso di non sospendere comunque i voli civili. I responsabili della batteria anti-aerea che ha colpito il Boeing, hanno spiegato i militari, sono stati ingannati “da una improvvisa virata” che ha fatto credere loro a un attacco “contro un obiettivo militare sensibile” situato nei sobborghi della capitale.

Ecco come funziona Tor-M1, il sistema missilistico che ha abbattuto l'aereo ucraino in Iran

Giovedì esperti dell’Intelligence e militari americani di altri Paesi occidentali avevano rivelato che molti elementi facevano pensare all’abbattimento con un missile terra-aria Tor-M1 di fabbricazione russe, in dotazione alle Forze armate iraniane. Adesso un’inchiesta internazionale dovrà stabilire la dinamica dell’incidente. Teheran ha invitato esperti americani, ucraini, canadesi e svedesi. Ci saranno in particolare i tecnici del National Transportation Safety Board (NTSB) americano, che ha già accettato.

Teheran, si schianta aereo ucraino: la ricostruzione dell'incidente

Le scatole nere saranno aperte oggi e analizzate “nei prossimi due mesi”. Sul volo c’erano 176 passeggeri e uomini dell’equipaggio. La tragedia coinvolge anche il Canada perché 63 vittime erano di nazionalità canadese o con doppio passaporto, 82 erano invece iraniane, 11 ucraine.

Da Ustica a Teheran, quando il volo di linea viene abbattuto


Alberto Pento
Questi dementi nazi maomettani danno la colpa "all'avventurismo americano" (così hanno definito l'intervento americano), come se l'espansionismo militare dell'imperialismo iraniano nazi maomettano che alimenta guerre civili in Irak, in Siria, in Libano e nello Yemen e che arma i nazi maomettani palestinesi contro Israele e che dichiaratamente si prefigge di conquistare tutta l'area e di annientare Israele e i suoi ebrei anche attraverso le armi nucleari in fase di fabbricazione, non fosse una politica militare violenta e criminale che obbliga gli USA e Israele a intervenire militarmente per arginarla e specialmente Israele per legittima difesa.



Disastro aereo, cosa nascondono davvero gli ayatollah
Michael Sfaradi
11 gennaio 2020

https://www.nicolaporro.it/disastro-aer ... RqSH3izloc

Alla fine l’Iran ha ammesso di aver abbattuto l’aereo di linea ucraino per un errore umano. Il Quartier generale delle Forze armate iraniane ha affermato che il Boeing ucraino precipitato quattro giorni fa poco dopo il decollo dall’aeroporto “Imam Khomeini” di Teheran, è stato “erroneamente” e “involontariamente” scambiato per un “aereo nemico”. Tutti i 176 tra passeggeri e membri dell’equipaggio del Boenig 737 dell’Ukraine International Airlines sono morti a seguito all’incidente che fino a ieri l’Iran aveva attribuito a guasto tecnico o errore umano e che solo oggi ammette di aver abbattuto con un missile.

Sull’erroneamente e sull’involontariamente però il sottoscritto, che fin dal primo momento aveva dubitato sia sul guasto tecnico che sull’errore umano, continua a dubitare. E i motivi del dubbio, a prescindere dalle dichiarazioni del governo iraniano, vengono forniti proprio dallo stesso e proprio in queste ore. Ma andiamo con ordine. Anche se ora, dopo aver negato per giorni l’evidenza, da Teheran arrivano le condoglianze alle famiglie delle vittime, accompagnate dalle promesse che saranno messe in atto le necessarie riforme essenziali nei processi operativi per evitare simili errori in futuro e che coloro che hanno commesso l’errore saranno severamente puniti, le autorità iraniane non hanno perso tempo ad accollare parte della colpa dell’accaduto agli americani. Il ministro degli Affari Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, infatti, in un post sul suo account Twitter, oltre a definire l’accaduto un “giorno triste per l’Iran” e confermare le scuse e il profondo rammarico del popolo iraniano alle famiglie di tutte le vittime e alle nazioni colpite, ha affermato che “l’errore umano”, questa volta della contraerea, è accaduto in un momento di crisi causato dall’avventurismo degli Usa.

Insomma, si scusa e si strappa le vesti dopo aver negato per giorni l’evidenza e, quando ormai i fatti e le evidenze sono così schiaccianti da dover ammettere la verità, il Ministro degli Affari Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, con un colpo da maestro dà la colpa agli americani se gli addetti alla contraerea iraniana sono degli incapaci che scambiano un aereo di linea che decolla da un aeroporto civile con un aereo nemico. Forze armate incapaci di gestire una contraerea ma che servono un governo che vorrebbe la bomba atomica. Mohammad Javad Zarif non è però un sprovveduto, anzi, ha esperienza di lungo corso con gli occidentali e sa benissimo che qualsiasi cosa lui o il governo di cui fa parte dicano, viene amplificata o silenziata dalla grancassa mediatica occidentale, ormai specializzata a prendere come oro colato di verità assolute e indiscutibili, tutte le informazioni che arrivano dai governi dittatoriali e sanguinari come il suo.

Sono pronto a scommettere che avrà vasto eco la frase di Zarif che accolla parte delle responsabilità dell’incidente agli Usa, anche se in quella zona non c’erano aerei americani in volo. Il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, vale la pena ricordate che 63 delle 176 vittime erano cittadini canadesi, ha chiesto, dopo l’ammissione da parte dell’Iran dell’abbattimento, che Teheran usi “trasparenza e giustizia” per le vittime. Trasparenza e giustizia, due parole importanti che però, ne siamo certi, cadranno nel vuoto cosmico o voleranno in alto su qualche tappeto volante, perché dal momento in cui il governo ucraino, proprietario dell’aereo abbattuto, ha espresso la volontà di inviare sul luogo del disastro degli esperti per eseguire dei rilievi sulla scena del disastro, il governo di Teheran ha pensato bene, fregandosene altamente delle richieste di un governo straniero vittima del disastro, di cancellare ogni traccia dell’abbattimento con i bulldozer e di spostare i detriti.

Questo, lasciatemelo dire, è quanto di più vergognoso si possa fare dopo aver causato la morte di 173 persone. Le immagini che arrivano da Teheran con i rottami dell’aereo che vengono portati via prima che una commissione indipendente possa visionarli, fa tristezza e rabbia al tempo stesso. Tristezza per le povere vittime che hanno avuto la sfortuna di morire in un posto dove non verrà mai resa loro giustizia, e rabbia perché è inaccettabile che un governo, formato da dittatori, che in molti ancora si ostinano a voler far passare come persone serie, si possa permettere di prendere a schiaffi il mondo intero davanti a una tragedia del genere.

Se la stessa cosa fosse accaduta, abbattimento per errore di un aereo passeggeri e cancellazione delle prove del fatto, in qualsiasi altra parte del mondo, avemmo visto cortei di protesta e sedute fiume all’ONU dove sarebbe stata chiesta la testa dei responsabili. In questo caso, invece, visto che il fatto è successo a Teheran, in quel magico posto dove si impicca ancora sulla pubblica piazza e le rivolte degli ultimi giorni sono costate almeno 1500 vittime, tutti zitti, o almeno si deve strillare piano piano, senza far troppo rumore. Leggendo questo mio articolo qualcuno, il Bastiano contrario a tutti i costi, costi quel che costi, non manca mai, obbietterà sicuramente che vista l’ammissione di responsabilità non servono ulteriori indagini. Ecco, a quel Bastiano io rispondo subito e gli dico che dopo aver mentito una prima volta il governo iraniano potrebbe aver ammesso parte, solo parte, delle sue responsabilità proprio per far in modo che non si indaghi oltre.




In Iran la piazza urla “via Khamenei”, la polizia usa i lacrimogeni
11 gennaio 2020

https://www.lastampa.it/esteri/2020/01/ ... j5o6vDPni8

La polizia iraniana ha iniziato ad usare lacrimogeni contro i dimostranti a Teheran, che chiedono a gran voce le dimissioni del comandante supremo delle forze armate, ovvero l'ayatollah Ali Khamenei. Nel corso degli scontri, nati da manifestazioni studentesche per ricordare le 176 vittime dell'aereo ucraino abbattuto, si urlano slogan come `Comandante, dimettiti!´, `Referendum per la costituzione´ e `Il nostro nemico è qui, una bugia dire che sono gli Usa´. Manifestazioni simili sono in corso anche a Mashhad (nordest).

Aereo ucraino abbattuto in Iran, studenti in piazza a Teheran per protestare contro Khamenei

Testimoni hanno detto che la polizia ha usato manganelli e proiettili di vernice contro i dimostranti, in alcuni casi mostrando le armi e minacciando di ucciderli. Molti video che girano sui social network mostrano persone che corrono nelle strade attorno all'Università.

Molte celebrità locali, tra cui artisti, gente del cinema ed atleti hanno postato sulle proprie pagine Twitter e Instagram messaggi di solidarietà con le vittime del disastro aereo, e critiche al sistema. Alcuni di loro hanno invitato a protestare domani pomeriggio nella piazza Azadi.



Gli alleati dell'Iran si dividono: si spacca il fronte sciita
Davide Bartoccini
11 gennaio 2020

https://it.insideover.com/guerra/contro ... SKx8pO7rso

I pasdaran si sono fermati. Erano pronti sferrare decine raid, impiegando migliaia di missili su obiettivi americani in Medio Oriente, ma hanno preferito non farlo. Così il fronte sciita si spacca, e tutto rischia di finire in mano alle milizie filo-iraniane che in Iraq vorrebbero dare filo da torcere agli americani, ma possono portare avanti soltanto tattiche di guerriglia. Non ci sarà nessun “nuovo Vietnam” per gli Usa dopo la morte di Qasem Soleimani quindi. Anzi, se tutto va bene, forse si tornerà al tavolo dei negoziati.

Sarebbero stati pronti ad “andare avanti per settimane”, anche a costo di provocare il primo confronto termonucleare della storia, ma dopo una fase di tensione scandita da gravi minacce e toni altissimi per l’assassinio del loro generale a Baghdad, i vertici iraniani hanno lasciato intendere che la vendetta nei confronti di Washington si fermerà qui. Dopo molta propaganda, “essenziale” per il governo di Teheran, e una dimostrazione di capacità balistiche da parte delle forze armate iraniane che hanno distrutto, secondo gli ultimi report, un’istallazione radar, un elicottero e un drone statunitensi che riposavano nelle basi finite nel mirino dei missili, tutti sembrano aver fatto un passo indietro. Aveva ragione Trump a twittare “Fin qui tutto bene”?

Nulla è accaduto poi, solo un duello di parole tra social e dichiarazioni alla stampa, che però sembrano dare ragione al Tycoon: che ha firmato l’ordine di eliminazione di un obiettivo importante quale “Atto di autodifesa”, incassando solo minacce da parte degli ayatollah. Sebbene il generale Hajizadeh avesse dichiarato che le forze iraniane erano (e sarebbero) pronte ad affrontare a una lunga campagna. “Eravamo pronti a lanciare centinaia di missili, poi migliaia” se ci fosse stata una rappresaglia americana a seguito della prima battuta dell’operazione “Soleimani Martire” ha detto il generale. Ma sembra che ancora una volta abbia trionfato la propaganda. E che alla fine dei conti, il fronte sciita si stia spaccando proprio per questo. La distruzione di “equipaggiamento militare” come rappresaglia non basta. La rabbia di tutte le altre bandiere che sventolavano dietro il comandante dei Quds Qassem Soleimani: “Hashd al-Shaabi, le milizie irachene, e quelle dell’ Hezbollah libanese, di Hamas, delle milizie afghane e pachistane Fatemiyoun e Zeinabayoun, protagoniste della guerra in Siria”, riassume Giordano Stabile su La Stampa, volevano una vera vendetta. Si erano uniti per questo.

Sembrava infatti che prima della de-escalation il fronte arabo-sciita avesse risposto ad un’adunanza per vendicare il “martirio” di Soleimani, ma che un istante dopo, tutto era già sfumato. Se da una parte il nuovo leader delle milizie filo-iraniane irachene Qais al-Khazali, aveva minacciato una vendetta “implacabile” per l’uccisione del loro martire (che era nello stesso Suv che trasportava Soleimani, ndr), un altro dei maggiori leader dei movimentisti sciiti, l’ imam Moqtada al-Sadr, raffreddava gli spiriti e invitava ad essere “pazienti”, sconsigliando le via delle “azioni militari”. Si conferma così ruolo chiave di Soleimani, che dettava una linea a tutta la costellazione di movimenti, ed era seguito e rispettato da tutte le fazioni sciite, fungendo da “grande coordinatore”. Ciò motiva, allo stesso tempo, la sua eliminazione strategica. Che ha privato un fronte diviso in molte bandiere, di un uomo forte e ben voluto, che si era guadagnato la fiducia delle diverse formazioni e che per questo fungeva da guida.

Dopo l’attacco subito, seguito da un secondo piccolo lancio di razzi a Baghdad, la Casa Bianca non ha mostrato nessuna intenzione di reagire militarmente (almeno per adesso) annunciando solo l’applicazione di nuove, ulteriori, sanzioni che verranno imposte per volere di Trump a un Iran già pesantemente indebolito dall’ultimo biennio. A questa mossa, sembra essersi aggiunta però la promessa, inviata per lettera alle Nazioni Unite, che il governo degli Stati Uniti è pronto a “impegnarsi in seri negoziati con l’Iran“; dopo questo ultimo botta e risposta in Medio Oriente.

Se il dialogo tra Washington e Teheran davvero venisse riaperto, e i toni tornassero quelli del pre 2018, sarebbe davvero da togliersi il cappello dinanzi agli strateghi di Washington. Per non parlare dei “win-win” che incasserebbe the Donald.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 12, 2020 8:43 am

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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 12, 2020 8:45 am

Il male assoluto nazimaomettano

LA CHIAVE PER IL PARADISO di Allah
Durante la guerra Iran-Iraq, l'Ayatollah Khomeini importó 500.000 chiavette di plastica da Taiwan. Per compensare lo svantaggio militare, Khomeini arruoló i bambini iraniani. Marciavano in formazione attraverso i campi minati di Saddam, aprendo una strada con i loro corpi. Prima di ogni missione, una chiavetta veniva appesa al collo di ogni bambino. Doveva aprire loro le porte del paradiso. Molte famiglie protestarono perchè non avevano indietro neanche un corpo da piangere. Così, prima di mandarli a morire, i bambini venivano avvolti in speciali teli in modo che le parti del corpo rimanessero insieme. Questo è l’Iran degli ayatollah, cari progressisti. È il male.

La chiave del paradiso
da L'età dell'estremismo (Guanda)
Marco Belpoliti
https://www.doppiozero.com/materiali/an ... e6OmSLyaHg

Pubblichiamo un estratto dall'ultimo libro di Marco Belpoliti, L'età dell'estremismo (Guanda).
In questa occasione abbiamo inaugurato una sezione sul nostro sito che raccoglie materiale inedito e d'archivio messo a disposizione di tutti gli interessati.

Nel gennaio del 1984 Mohammed Salam, giornalista libanese, si trova nelle immediate retrovie del fronte dove iracheni e iraniani si fronteggiano, precisamente vicino al villaggio di al-Usair, nei pressi del ponte sul Tigri, dove sette anni dopo, nel 1991, il generale americano Norman Schwarzkopf si fermerà nella sua avanzata durante la Prima guerra del Golfo. Nelle settimane precedenti c’è stata una lunga tregua, poi di colpo comincia un attacco iraniano. Salam è uno dei pochi giornalisti che si trovano nelle immediate vicinanze dei combattimenti. Se ne sta lì, intento a osservare un tiratore scelto iracheno. Questi è seduto dietro alla sua mitragliatrice pesante, ben in equilibrio così da poter resistere nella sua postazione. Il dito è fermo sul grilletto. All’improvviso si sente un suono acuto, stridulo, ronzante, come se venisse da un nugolo di cavallette, dice Mohammed. Il suono va intensificandosi, ma anche abbassandosi di tono, fino a quando si percepisce chiaramente che è un grido articolato. Sono migliaia di bocche che urlano: « Ya Kerbala! Ya Hussein Ya Khomeini ».

Avanzano come un’onda umana che esce dalle trincee e dai ricoveri iraniani e viene avanti. Sbucano dietro gli avvallamenti e le colline del fronte: sono ragazzi, giovanissimi, adolescenti. Alcuni brandiscono a fatica il kalashnikov, altri alzano solo il pugno contro il cielo e scandiscono quelle parole. In mezzo a loro un uomo più anziano, con il turbante in capo, li incita. L’iracheno seduto dietro la mitragliatrice comincia a sparare. Racconta a Mohammed di averne uccisi a decine, di aver sparato come si spara a una fila di bottiglie, li falcia con la sua arma, anche se vede benissimo che sono solo bambini. Nonostante il fuoco di fila continuano ad avanzare: scavalcano i caduti, passano sopra i morti. Arriva anche un elicottero che spara dall’alto sulla marea umana. Ma non si fermano. Corrono incontro alle postazioni irachene, « come se nulla potesse fermarli ».

Mohammed Salam sta raccontando tutto questo a un suo collega, un giornalista tedesco, Christoph Reuter, studioso del mondo arabo. Stacca il filtro da una sigaretta e la infila nel bocchino annerito da anni e anni di catrame, e continua il racconto che ha raccolto dal soldato iracheno: « A un certo punto gli sono arrivati talmente a ridosso che il mitragliere è balzato in piedi, ha afferrato a sua volta il kalashnikov ed e scappato verso di noi, verso la postazione dove mi trovavo, nelle retrovie. Dopo poco siamo scappati da lì ». L’avanzata dei ragazzini non sembra arrestarsi. Ne aveva sentito parlare, Mohammed, ma ora li vede coi suoi occhi, seppur a distanza: « Cosi avvenivano le offensive iraniane, mandando i ragazzini al macello ».
Si calcola che nel periodo che intercorre tra il settembre 1980, inizio dell’invasione irachena, con cui comincia la guerra, e il 1982, momento in cui gli iraniani riconquistano la città di Khorramshahr, ondate successive di diecimila ragazzini arrivassero al fronte il giorno stesso o quello precedente l’attacco. A ogni assalto sul terreno restano centinaia e centinaia di cadaveri: giacciono vicino alle linee di difesa, galleggiano nelle acque ferme dei crateri creati dalle bombe, semisepolti dal fango. Hanno il cranio rasato e fasce legate alla fronte; ognuno di loro ha una chiave appesa al collo. Con quella, è stato loro detto, una volta caduti in battaglia potranno aprire la porta del paradiso.

Lo racconta anche una pagina dei disegni di Persepolis di Marjane Satrapi, e lo si vede nel film che ne è stato tratto: la signora Nassarine, che lavora in casa dei genitori dell’autrice come domestica, si presenta con una chiave in mano. Dice Nassarine : « Sono preoccupata per mio figlio ». « Vede questa? » continua. « Certo, è una chiave di plastica dorata » risponde la madre di Marjane. « Gliel’hanno data a scuola. Hanno detto ai ragazzi che se avranno la fortuna di morire in battaglia, questa chiave permetterà loro di entrare in paradiso. » La donna, dice, è credente, « devota alla religione tutta la vita », ma ora non sa più cosa pensare. « Gli hanno raccontato che in paradiso c’è cibo in abbondanza, donne, palazzi d’oro e di diamanti... »

« All’inizio della guerra » dice Mohammed Salam al collega tedesco « erano ancora di ferro, vecchie chiavi, di quelle che si tengono infilate nelle porte degli armadi o nei cassetti dei comò. Quel giorno a Bassora erano però già di plastica. Evidentemente il ferro era diventato troppo caro. » In Europa, commenta Reuter riferendo il racconto del collega libanese, era successo ai tempi delle battaglie nelle Fiandre, nel corso della Prima guerra mondiale; erano stati mandati a morire in migliaia, da entrambe le parti, contro le mitragliatrici di nuovo modello. Settant’anni dopo, ed era evidente a qualunque comandante militare che l’assalto frontale era un vero e proprio suicidio: conquistare pochi metri di terreno sacrificando centinaia e centinaia di soldati. Di nuovo, in quel conflitto che opponeva mussulmani sciiti a mussulmani sunniti, c’era la volontà di martirio dei ragazzini: andavano a morire in modo deliberato. Sul fronte opposto i soldati iracheni, riferisce il giornalista libanese, a un certo punto lasciavano le mitragliatrici e fuggivano. Gli sembrava di impazzire: sparare su dei bambini, che avevano l’età dei loro figli.

Reuter prosegue spiegando il significato di quel grido, cosa vuol dire Kerbala, parola urlata dai giovani suicidi: è una città dell’Iran dove trovarono la morte nel 680 un Imam e i suoi seguaci trucidati dalle truppe di un califfo. Nessuno poteva immaginare di risentire milletrecento anni dopo quel toponimo sulle bocche di giovanissimi martiri ispirati da un altro Imam, Khomeini, tornato qualche tempo prima dall’esilio parigino per istituire la « repubblica islamica ». Ma c’è un’altra ragione che ci porta a raccontare dell’assalto alle postazioni irachene in una guerra che farà milioni di morti inutili: vent’anni dopo saranno altri attentatori suicidi a riprendere, dall’Iran degli hezbollah, riti suicidi a loro estranei e a farne uno degli avvenimenti centrali del conflitto arabo-israeliano.

Reuter, nel ricostruire sul suo libro La mia vita è un’arma, pubblicato nel 2002, la storia degli attacchi suicidi, sottolinea come il fenomeno si sia manifestato per la prima volta, almeno nella nostra epoca, sulle linee davanti a Bassora, sui campi di battaglia tra Iran e Iraq, all’inizio degli anni Ottanta, con le piccole « chiavi del paradiso ». Scrive che fu come se il carismatico capo rivoluzionario iraniano « avesse deciso di far risuonare uno strumento rimasto a lungo accantonato: fece rivivere gli antichissimi, fondamentalisti riti sacrificali dell’Islam sciita, una versione di fede nata milletrecento anni prima come rivolta contro i califfi. Fu l’ayatollah Khomeini a resuscitare l’idea dell’autosacrificio come arma di guerra ». A posteriori sembra assurdo che questo antico rituale sia diventato uno strumento di azione bellica e insieme politica, un prodotto da esportazione. E furono le guardie della rivoluzione iraniana, sostengono vari autori e studiosi del fenomeno, a portarlo in Libano e a costruire insieme ad altri sciiti il partito degli Hezbollah, il « partito di
Dio ».

L’« operazione martiri » nasce proprio in Libano. Nell’autunno del 1982 e in quello del 1983 a Beirut e a Tiro cinque individui disposti al sacrificio, cinque autocarri carichi di tonnellate di esplosivo, e un piccolo movimento che li sorreggeva, costrinsero Stati Uniti e Francia a ritirare le loro truppe dal territorio libanese. Gli attentati suicidi diventano cosi un fenomeno moderno che mescola il ricordo antico di Kerbala e la televisione via cavo, antichi miti di sangue e internet, l’irruzione dell’arcaico, dell’ancestrale, del passato, nella contemporaneità postmoderna, o ipermoderna, che dir si voglia.

Leggendo il fumetto della Satrapi s’incontrano riferimenti precisi al lutto che coinvolse l’intero Iran. Il pianto era un dovere, anche perché il pianto era considerato, chiosa Reuter, un momento preliminare del martirio e poteva diventare, secondo Khomeini, un’arma terribile contro ogni oppressione. Il lutto non poteva essere qualcosa di privato, racconta Persepolis, bensì di collettivo: doveva volgersi, come apprende la piccola Satrapi, in ira, azione, volontà di vendetta. Nell’immenso cimitero di Behesht-e Zahra, lungo la strada per Qum, a sud di Teheran, che nel periodo della guerra con l’Iraq cresceva più velocemente dei nuovi quartieri popolari della capitale iraniana, era stata eretta una fontana con getto d’acqua rossa, che scorreva verso il basso su gradini di marmo proprio come una cascata. Era la fontana del sangue dei martiri. « L’albero dell’Iran può crescere solo se è costantemente imbevuto del sangue dei martiri » aveva sentenziato Khomeini. Le pagine dolenti che Reuter dedica a questo luogo fanno molto riflettere, anche perché oggi, senza che si sappia bene quanti corpi di combattenti custodisca, è quasi abbandonato, o almeno la fontana non getta più sangue. Restano solo le immagini di adolescenti, bambini di dodici, quattordici, sedici anni che fissano i visitatori dalle tombe del cimitero.

23 ottobre 1983, giorno festivo, a Beirut. Un grande camion giallo si avvicina al quartier generale dei Marines statunitensi nella zona meridionale della città. Sono le 6.20 e mancano pochi secondi alla sveglia dei militari. Il sergente Eddie Di Franco, in servizio di guardia, fa appena in tempo a scorgere l’autista mentre si dirige verso l’edificio principale dove esploderà uccidendo 241 uomini dell’esercito americano. Nella sua memoria resta stampata un’immagine. Non ricorda se il guidatore fosse magro o grasso, di carnagione chiara o scura, ma, come ripeterà successivamente, si ricorda benissimo che guardava verso di lui e sorrideva. Un sorriso indelebile che in seguito sarebbe diventato la base della leggenda del farah al-ibtissam, il « sorriso della gioia » stampato sulle labbra degli uomini-bomba negli ultimi istanti della loro missione.


Il religioso islamista curdo afferma che sosterrà l’Iran se scoppierà la guerra con gli Stati Uniti
29 Maggio 2019

https://www.islamnograzie.com/il-religi ... ati-uniti/

ERBIL (Kurdistan 24) – Il reigioso curdo norvegese Najmuddin Faraj Ahmad, noto come Mullah Krekar, ha affermato che sosterrà Teheran contro gli “infedeli” se scoppierà una guerra tra l’Iran e gli Stati Uniti.

“Se una guerra scoppiasse tra Iran e Stati Uniti – o Iran e Russia; Iran e Francia; Iran e Cina; Iran e qualsiasi altro infedele [stato] – saremo davvero dalla parte dell’Iran “, ha detto Krekar in un discorso pubblicato su YouTube .

Krekar ha detto che sebbene il gruppo di Hezbollah abbia soppresso i musulmani sunniti in Libano e in Siria, quel “comportamento non ci rende nemici di Hezbollah“.

Tuttavia, Krekar ha descritto i recenti sviluppi come un “gioco di parole“, aggiungendo che non si aspetta una guerra tra Stati Uniti e Iran perché il presidente Donald Trump “non è in guerra, è un uomo d’affari“.
Trump ha raggiunto l’accordo per la vendita di oltre 8 miliardi di dollari di armi all”Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania.

Sebbene ci siano continue speculazioni sul fatto che Trump voglia una guerra con l’Iran, il presidente degli Stati Uniti ha chiarito più volte che non vuole che il conflitto degeneri.

Il Dr. Nahro Zagros, Vice Presidente della Soran University for Scientific Affairs, ha affermato che la dichiarazione di Krekar era insolita, considerando il fatto che è un predicatore sunnita che difende un regime dominato dagli sciiti.

“È un ultra-sunnita, eppure sostiene l’Iran in questo conflitto, è un po ‘strano“, ha detto Zagros al Kurdistan 24.
“Ma, da la percezione di come queste tensioni e le lotte in [tutto] il Medio Oriente ci stia cambiando in un modo che non abbiamo mai pensato prima.”

Krekar è l’ex leader del gruppo estremista islamista Ansar al-Islam che gli Stati Uniti hanno preso di mira durante la sua liberazione dell’Iraq nel 2003.

Zagros ha suggerito che i commenti di Krekar sono legati alle sue ambizioni di tornare e vivere nella sua regione.
“Non penso che sia molto contento di dove si trova e pensa ancora di poter tornare e raccogliere il sostegno per la sua fede e ideologia“.

Krekar ha vissuto in Norvegia dal 1991. La nazione scandinava non è stata in grado di espellerlo legalmente dal momento che in Iran è stato condannato a morte.
Krekar è stato più volte incarcerato per minacce di morte nel 2012 e per aver elogiato la sparatoria di Charlie Hebdo a Parigi, in Francia, nel 2015.

Nel 2017, un tribunale italiano ha intentato una causa per terrorismo contro Krekar e altri cinque, ma è stata posticipata più volte.

Il religioso continua a rilasciare dichiarazioni regolari in esilio attraverso il suo sito web ufficiale e i social media.



L'Isis schernisce l'Iran: "È cosi che ti vendichi?"
Franco Iacch - Ven, 10/01/2020

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sta ... eSX-EVQWew

Lo Stato islamico deride l'Iran dopo il raid contro le basi Usa in Iraq: "Nonostante le tensioni e la promessa di distruggere l’America, l’Iran si è vendicato senza spargimento di sangue"

L'America si sbarazza di Soleimani e l'Iran risponde senza spargimento di sangue. E’ quanto scrive lo Stato islamico nel 216° numero del settimanale al-Naba.
Da dove abbiamo scaricato la nostra copia di al-Naba

Abbiamo scaricato la nostra copia di al-Naba in tempo reale da Telegram, anticipando la diffusione sui canali YouTube.

La consueta fase preparatoria per la diffusione del 216° numero di al-Naba sulle principali piattaforme è stata completata con successo. Ricordiamo la vita media dei canali preposti alla diffusione di al-Naba è stata ridotta notevolmente secondo procedura annunciata sei settimane fa. Nel momento in cui scriviamo,Twitter, Telegram, YouTube e Riot.Im ospitano diversi collegamenti diretti al download dell’ultimo numero del settimanale dello Stato islamico. Non abbiamo riscontrato alcun problema nel reperire la nostra copia di al-Naba. Abbiamo già spiegato le procedure settimanali utilizzate dallo Stato islamico per la diffusione di al-Naba.

Stato islamico, il 216° numero di al-Naba

Puntuale come sempre, questa notte è stato pubblicato il nuovo numero di al-Naba, il settimanale dello Stato islamico. Al-Naba esce nella notte tra giovedì e venerdì di ogni settimana da cinque anni. Il 216° numero di al-Naba consta di dodici pagine (produzione standard). Linguaggio come di consueto semplice. Stile e contenuti basilari per una forma di indottrinamento essenziale, concepita per un preciso target di riferimento. Ogni tipo di contenuto (parliamo di un’architettura IW) è calibrato in base alle percezioni avute del target di riferimento. Il titolo principale e la copertina sono dedicati alle operazioni in Burkina Faso che si sono svolte negli ultimi due mesi. Nessun riferimento alla morte di Soleimani ed al raid iraniano. A fondo pagina, come di consueto, l’avvertimento nel custodire la propria copia di al-Naba. A pagina due troviamo la consueta infografica giocattolosa con i dati del raccolto settimanale. Solitamente è la parte più condivisa sulla rete poiché quella disponibile senza ricerche. Copertina (iniziale e finale) ed infografiche di ogni numero di al-Naba sono le parti più condivise sulla rete perché quelle disponibili senza ricerche.

A pagina tre troviamo il primo approfondimento teologico di al-Naba. Lo Stato islamico pubblica la foto di Qassem Soleimani senza mai citarlo. "I leader dell’Iran sono stati attratti per anni dal sangue dei musulmani. Hanno condotto campagne di distruzione contro i siti sacri dei musulmani. Hanno ucciso i Mujahideen per la gloria dei loro alleati”. Non si tratta dell'ennesima distorta interpretazione teologica. Quello di pagina tre è un testo anonimo, molto confuso e scritto con i soliti cliché.

L'ossessivo riferimento alle crociate

Lo Stato islamico perpetua il mito di un Islam sempre in conflitto con l'Occidente cristiano. L'affermazione che "c'è un inesorabile conflitto tra Islam e l'Occidente" non è basata sulla storia, ma sulla retorica utilizzata dagli estremisti per promuovere le loro cause. Nella retorica jihadista le crociate invocano una guerra difensiva dell'Islam contro l'Occidente invasore. Secondo la distorta visione jihadista (il riferimento è al discorso dell’ex Presidente Bush), il mondo è diviso in due parti: o si è dalla parte dei crociati o con l’Islam. E’ uno stratagemma culturale nel tentativo di unire tutti i musulmani in una guerra religiosa. La strategia dialettica ha un fine ben preciso: inquadrare il conflitto in un’ottica religiosa e politica. Con il termine crociati, i jihadisti identificano tutti i nemici dell’Islam. L’ossessivo utilizzo della parola crociati è strutturato per rendere sempre viva nella mente nei lettori il ruolo dell’Occidente come storico invasore e nemico religioso. Poiché non esiste distinzione (il contenitore crociato annovera tutti i nemici), si rendono implicitamente colpevoli anche i civili, rei di supportare e legittimare qualsiasi tipo di conflitto in Medio Oriente. Ecco perché anche i crociati civili diventano obiettivi legittimi di una guerra. I teorici radicali spiegano che i crociati sono sempre stati sconfitti nel tempo nonostante i loro diversi tentativi di soggiogare il Medio Oriente. Il termine, quindi, rientra in un preciso messaggio di speranza, lotta e vittoria ciclica. Dichiarando gli occidentali come crociati, i terroristi tentano di legittimare le loro battaglie contro coloro che vogliono conquistare la terra della fede, screditando tutti i loro sforzi bellici. Dovremmo essere profondamente scettici nei confronti di quei gruppi terroristici islamici o cristiani che sostengono che la storia è dalla loro parte.

Ritorniamo ad al 216° numero di al-Naba.

Segue poi l’infinita sequela di attentati rivendicati (da pagina quattro a pagina otto) ed impossibile da confermare in maniera indipendente: Nigeria, Egitto, Iraq, Siria, Burkina Faso, Somalia. Per la terza settimana di fila, lo Stato islamico segnala attacchi contro le forze di al Qaeda.
Storia di un martire: Abdul Hakim Ahmed Ibrahim

"La Somalia orientale è un potente avamposto per combattere apostati e crociati"

Al-Naba dedica due pagine (nove e dieci) alla biografia di Abdul Hakim Ahmed Ibrahim noto anche come Abd al-Hakim al-Somali, terrorista somalo terminato dagli Stati Uniti il 15 aprile dello scorso anno. Il terrorista è ritratto come un uomo pio e giusto. “Uno studioso dedito al vero monoteismo che ha sempre respinto tutte le eretiche innovazioni. Un missionario costretto ad abbracciare la Jihad per difendere la vera fede. Ibrahim si unì ad al-Shabab (al-Naba la riconosce come la migliore fazione ribelle attiva in Somalia in quel momento), ma a differenza di altri membri era dedito solo al Tawhid ed alla sunna del Profeta”. Dopo anni al servizio di al-Shabab, Abdul Hakim Ahmed Ibrahim si scontra duramente con la leadership dell’organizzazione terroristica che si rifiuta di giurare fedeltà ad al-Baghdadi. Al-Naba considera le azioni di al-Shabab contro lo Stato islamico ed i suoi fedelissimi in Somalia come un'offesa all'Islam stesso. “Ibrahim è stato uno dei primi a unirsi allo Stato islamico in Somalia”. Al-Naba lo definisce come “un attore chiave dello Stato islamico in Somalia, architetto della campagna contro gli apostati di al-Zawahiri”. “Con la sua crescente e formidabile reputazione nel Puntland, Ibrahim venne attenzionato dai Crociati e dai loro alleati apostati somali”. Al-Naba difende la storia di Abd al-Hakim al-Somali dalle accuse di apostasia e tradimento avanzate da al Qaeda e al-Shaabab.

Le storie dei martiri si ispirano ai racconti. Questi ultimi fanno parte dell’educazione fin da quando il narratore delle comunità tribali raccontava la sera le gesta degli eroi del passato con riferimenti al Corano. È una precisa tecnica per un target specifico.
"L'America si sbarazza di Soleimani e l'Iran risponde senza spargimento di sangue"

Come di consueto la penultima pagina di al-Naba è dedicata alle news inquadrate nell’ottica jihadista. Una distorta reinterpretazione per fini propagandistici degli avvenimenti internazionali. La cronaca internazionale è interpretata sotto la lente della religione, per quel binomio inscindibile volere divino-conseguenze terrene. I jihadisti amano distorcere la realtà, mentre la strategia mediatica occidentale per confutare tali posizioni resta debole. Qassem Soleimani è citato per la prima volta a pagina undici. Nel breve testo intitolato "L'America si sbarazza di Soleimani e l'Iran risponde senza spargimento di sangue", al-Naba schernisce l'Iran.

“Venerdì scorso gli aerei americani hanno bombardato due auto con a bordo i tiranni Qassem Soleimani e Abi Mahdi. Secondo gli osservatori, l'America ha deciso di sbarazzarsi di Soleimani dopo le aggressioni commesse dalle milizie iraniane. L'apostata Soleimani è un comandante militare iraniano il cui nome è associato a massacri compiuti in Iraq, Siria e Yemen. Nonostante le tensioni e la promessa di distruggere l’America, l’Iran si è vendicata senza spargimento di sangue. Il suo raid contro le due basi statunitensi in Iraq non ha provocato alcun risultato. Il tiranno americano, commentando il raid, ha affermato: va tutto bene, i nostri soldati sono al sicuro. L’Iran sta arretrando”.

Tra le news internazionali inserite nel 216° numero di al-Naba trovano copertura i funerali di Soleimani, l'invio delle truppe turche in Libia, la preoccupazione europea per il futuro dell'Alleanza e l'accoltellamento avvenuto a VilleJuif, periferia sud di Parigi. Lo Stato islamico non rivendica l'episodio. L’ultima pagina del settimanale, infine, ospita la seconda infografica del numero dedicata alle operazioni svolte in due mesi in Burkina Faso.



Non vi è gran differenza tra l'ISIS e la teocrazia nazimaomettana iraniana, anzi quest'ultima è ben perggiore e più pericolosa.

In Iran la piazza urla “via Khamenei”, la polizia usa i lacrimogeni
11 gennaio 2020

https://www.lastampa.it/esteri/2020/01/ ... j5o6vDPni8

La polizia iraniana ha iniziato ad usare lacrimogeni contro i dimostranti a Teheran, che chiedono a gran voce le dimissioni del comandante supremo delle forze armate, ovvero l'ayatollah Ali Khamenei. Nel corso degli scontri, nati da manifestazioni studentesche per ricordare le 176 vittime dell'aereo ucraino abbattuto, si urlano slogan come `Comandante, dimettiti!´, `Referendum per la costituzione´ e `Il nostro nemico è qui, una bugia dire che sono gli Usa´. Manifestazioni simili sono in corso anche a Mashhad (nordest).

Aereo ucraino abbattuto in Iran, studenti in piazza a Teheran per protestare contro Khamenei

Testimoni hanno detto che la polizia ha usato manganelli e proiettili di vernice contro i dimostranti, in alcuni casi mostrando le armi e minacciando di ucciderli. Molti video che girano sui social network mostrano persone che corrono nelle strade attorno all'Università.

Molte celebrità locali, tra cui artisti, gente del cinema ed atleti hanno postato sulle proprie pagine Twitter e Instagram messaggi di solidarietà con le vittime del disastro aereo, e critiche al sistema. Alcuni di loro hanno invitato a protestare domani pomeriggio nella piazza Azadi.


???

Né con l'Iran né con gli Usa, iracheni in piazza: "Vogliamo recuperare la nostra piena sovranità"
Non tutti in Iraq hanno pianto la morte del generale iraniano Qassem Soleimani. A piazza Tahrir balli e canti
dal nostro inviato PIETRO DEL RE
11 gennaio 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... tARrtoLOaQ

BAGDAD - Non tutti in Iraq hanno pianto la morte del generale iraniano Qassem Soleimani. Anzi, a piazza Tahrir, come ci mostra in un video del suo cellulare Ali Mahwi, appena giunta la notizia della sua esecuzione, nel cuore della notte i manifestanti hanno cominciato a ballare e a cantare. Lo stesso è anche accaduto nelle altre città della rivolta che tre mesi scuote il Paese, a Karbala, Bassora, Najaf e Nassiriya.

"Non stiamo né con l’Iran né con gli Stati Uniti e il nostro slogan è 'Stato', nel senso che vogliamo recuperare la nostra piena sovranità", spiega Mahwi, studente ventenne con un ciuffo scolpito dal gel, che da due mesi occupa assieme a centinaia di altri giovani un palazzo di dieci piani che affaccia sul Tigri. "Da troppo tempo, buona parte dei proventi del nostro petrolio finisce nelle casse della Repubblica iraniana e tutti i nostri ministri prima di essere nominati devono ottenere la benedizione di Teheran. E che cosa dire dell’ingerenza degli Stati Uniti che dopo aver invaso e distrutto il nostro Paese e ancora occupano la green zone nel cuore di Bagdad".

E anche ieri decine di migliaia di persone hanno sfilato urlando "No all’America" e "No all’Iran", colpevoli agli occhi dei manifestanti di aver scelto l’Iraq come teatro dello scontro. Era da settimane che nelle città irachene non scendeva tanta gente nelle piazze. E’ stato possibile grazie a una vasto appello lanciato nei giorni scorsi sui social per rilanciare il movimento di protesta nato lo scorso 1 ottobre. A Karbala, nella notte tra giovedì e venerdì, sono anche scoppiati violenti scontri tra la polizia e tra chi manifestava contro l’esecuzione di Soleimani e contro la rappresaglia iraniana.

Da cento giorni, gli iraniani denunciano la loro classe dirigente che accusano di essere "ladra e incompetente". E da allora il Paese vive una grave crisi politica, con un governo incapace di nominare un nuovo premier al posto del dimissionario Adel Abdel Mahdi. Il movimento di rivolta è stato ferocemente represso dalle forze di sicurezza e dalle milizie sciite, che sparando sui manifestanti hanno già provocato più di 450 morti e 25mila feriti, molti dei quali rimarranno andicappati a vita. "Poi però le autorità si sono conto che dovevano cambiare strategia perché ogni volta che aprono il fuoco noi giovani offriamo il petto alle pallottole" dice ancora lo studente. "Né ci spaventa l’offensiva lanciata soprattutto dalle milizie di rapimenti, intimidazioni e omicidi degli attivisti del movimento», dice ancora lo studente.

I manifestanti chiedono anche che migliorino le condizioni di vita degli iracheni nel secondo Paese più ricco tra i produttori di petrolio (Opep) ma dove un giovane su quattro è disoccupato e un abitante su cinque vive sotto la soglia della povertà.



"Khamenei vattene". Proteste contro il regime a Teheran, scontri e lacrimogeni
10 gennaio 2020

https://www.huffingtonpost.it/entry/kha ... SKTEM1TvmY

Un Iran che solo pochi giorni fa, nelle gigantesche commemorazioni per il generale Qassem Soleimani, era sembrato ricompattarsi davanti al nemico americano, è scosso ora da nuove proteste contro il regime, colpevole ai loro occhi non solo per l’abbattimento involontario del Boeing ucraino, ma anche per aver cercato di tenere nascosta la verità per almeno tre giorni. Scontri sono avvenuti sabato sera a Teheran, quando la polizia ha usato gas lacrimogeni e ha caricato per disperdere una folla che scandiva slogan contro la Guida suprema, Ali Khamenei, contro le Guardie della rivoluzione e contro la stessa Repubblica islamica.

“Comandante supremo delle forze armate, dimettiti”, hanno gridato i manifestanti radunatisi davanti all’università Amir Kabir, dove molte delle vittime del volo PS-752 della Ukraine International Airlines avevano studiato. E poi: “Referendum per la Costituzione”. Un chiaro appello ad un cambiamento del sistema di governo religioso. Alcuni testimoni hanno riferito via social media che i dimostranti hanno poi cominciato a marciare lungo il Viale Hafez, su cui si affaccia l’ateneo, mentre alcuni video hanno mostrato persone che correvano nelle strade attorno all’università. Molte celebrità locali, tra cui artisti, gente del cinema ed atleti hanno postato sulle proprie pagine Twitter e Instagram messaggi di solidarietà con le vittime e critiche al sistema. La regista e attrice Rakhshan Banietemad aveva annunciato per domani un raduno sulla Piazza Azadi al quale avrebbero dovuto partecipare molti suoi colleghi, ma poi ha cancellato l’iniziativa in seguito, ha spiegato, ad “un duro monito delle forze di sicurezza”.

La rabbia è esplosa al tramonto, dopo una giornata trascorsa dalla maggior parte degli iraniani in stato di shock per l’ammissione della responsabilità dei Pasdaran nell’abbattimento dell’aereo. Mentre via Internet continuavano a circolare le fotografie dei 145 iraniani - compresi quelli in possesso anche della cittadinanza canadese - morti nello schianto. Volti sorridenti di uomini e donne simboli del successo della diaspora iraniana, studenti e affermati professionisti, che tornavano in Occidente dopo le vacanze natalizie nel Paese d’origine. Tra le immagini, anche una in abito da sposa di Sara Momeni con il marito Siavash, che erano tornati in Iran proprio per il matrimonio. Così come un’altra coppia, Arash e Puneh. Mentre la gente nei giorni scorsi si commuoveva per loro, nessun messaggio di cordoglio arrivava dalle autorità, impegnate a smentire ogni coinvolgimento nella tragedia.

A decidere che la verità non poteva più essere negata è stata la Guida suprema in persona, Ali Khamenei, dopo una riunione svoltasi ieri del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale durante la quale, secondo quanto riferiscono fonti ufficiose, ci sono stati non pochi momenti di tensione.

Il repentino cambiamento di rotta da parte dei vertici dello Stato ha lasciato interdetti anche alcuni fra i seguaci più fedeli della Repubblica islamica: “Nei giorni scorsi ci hanno detto che quelle occidentali erano false accuse, solo guerra psicologica, e oggi invece vediamo che avevano ragione”, dice all’ANSA Mohsen, 39 anni, membro dei Basiji, le milizie dei volontari islamici impiegate in appoggio ai Pasdaran in varie funzioni, compreso il controllo della piazza. Ora a Mohsen non basta la punizione di chi ha commesso l’errore fatale, ma pretende anche un processo alle “autorità che hanno nascosto i fatti per 72 ore”. Sheida, una studentessa di 20 anni, dice di ammirare il generale Soleimani “per la sua guerra all’Isis”, e di essere stata anche in favore della rappresaglia iraniana. “Ma mi sembra di impazzire - aggiunge - quando immagino gli iraniani a bordo dell’aereo e un missile made in Iran che si avvicina”.

Anche Atefeh, una signora madre di due figli, è una sostenitrice del regime. “Mio zio e mio cugino - dice - sono morti nella guerra con l’Iraq, ma almeno sappiamo che sono stati uccisi dal nemico. Adesso passeggeri iraniani sono stati uccisi dalle forze iraniane, come fossero stati stranieri nella loro terra”.

Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ritwitta il video delle proteste a Teheran contro il regime, nel giorno in cui le autorità hanno ammesso di aver abbattuto, sia pure per errore, l’aereo ucraino caduto alle porte della capitale iraniana.
“La voce del popolo iraniano è chiara”, aggiunge il capo della diplomazia americana. “Ne hanno abbastanza delle bugie del regime, della corruzione, dell’inettitudine e della brutalità dei Guardiani della rivoluzione islamica sotto la cleptocrazia di Khameini”. “Stiamo con il popolo iraniano che merita un futuro migliore”.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 12, 2020 10:02 am

IRAN: IL RUOLO UNICO DI SOLEIMANI NELL'ESPORTAZIONE DEL TERRORISMO DEI MULLAH
12 gennaio 2020

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 1038686241

Il leader supremo dei mullah, Ali Khamenei, ha fatto molto per spiegare il ruolo vitale che Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds dell'IRGC ucciso la scorsa settimana in un attacco di droni USA in Iraq, ha giocato nella linea strategica del regime dei mullah di esportare il terrorismo e fomentare il caos nella regione.

Nel suo incontro in coincidenza con le cerimonie funebri di Soleimani con una delegazione di irriducibili della città di Qom, Khamenei ha parlato apertamente di tale del ruolo del comandante ucciso della Forza Quds.

"Con il suo aiuto ai Paesi della nostra regione, Soleimani è riuscito a disinnescare tutti i piani illegittimi degli Stati Uniti nella regione dell'Asia occidentale. Ha aiutato i Paesi piccoli e deboli della regione a fronteggiare l'America" - ha detto Khamenei.

Quindi ha spiegato alcuni casi specifici.

"Gli americani volevano che la causa palestinese fosse dimenticata, volevano mantenere i palestinesi in una posizione di debolezza. Soleimani ha dato ai palestinesi ciò di cui avevano bisogno, permettendo loro di trasformare una piccola regione come la Striscia di Gaza in un centro di resistenza contro i sionisti e di portare i sionisti a proporre un cessate il fuoco in 48 ore. Questo è stato fatto da Qassem Soleimani. I nostri fratelli palestinesi hanno ammesso questo fatto più volte in mia presenza. Ovviamente io ne ero consapevole".

Ciò che Khamenei intendeva per esigenze palestinesi a cui Soleimani rispondeva non sono altro che milioni di dollari dati in contanti ai leader di Hamas nella Striscia di Gaza da Soleimani e il ruolo distruttivo da lui avuto nell'indebolire lo Stato palestinese, attraverso l'istigazione di Hamas nella Striscia di Gaza.

Dopo aver citato la Palestina, Khamenei si è riferito al Libano. Si è vantato del potere e del ruolo di Hezbollah in Libano. "Oggi Hezbollah è la mano del Libano e l'occhio del Libano. È stato rafforzato giorno dopo giorno. Il ruolo di Soleimani in questo è abbastanza evidente". Khamenei, tuttavia, non ha menzionato il disgusto del popolo libanese nei confronti di Hezbollah, dimostrato in questi giorni nelle strade del Libano, e l'effettiva situazione di stallo in cui si trova il Paese.

Ha elogiato allo stesso modo il ruolo distruttivo di Soleimani in Iraq e Siria. "I coraggiosi credenti iracheni e i giovani iracheni, così come il clero, si sono opposti agli Stati Uniti, e Soleimani li ha aiutati e li ha assistiti come un grande sostenitore e un consigliere attivo".

Nell'ammucchiare lodi a Soleimani, Khamenei ha confermato il fatto che la politica estera del regime quando si tratta dei Paesi della regione è preparata e attuata non dal Ministero degli Esteri dei mullah, ma dalla Forza Quds dell'IRGC.

"Soleimani non era attivo solo nell'aspetto militare, in politica era lo stesso. Più di una volta ho detto a coloro che sono in politica che avrebbero dovuto imparare da Soleimani, nel modo in cui era coraggioso in politica; era molto saggio e allo stesso tempo molto influente."

Gli ambasciatori del regime dei mullah nella regione sono sistematicamente assegnati dalla Forza Quds. In effetti, gli ambasciatori del regime in Iraq sono sempre stati membri della Forza Quds. Il loro attuale ambasciatore in Iraq, Iraj Masjedi, e il suo predecessore Danaifard hanno avuto un ruolo attivo in Iraq dopo il cambio di regime in quel Paese nel 2003.

Entrambi erano dietro gli attacchi mortali contro il MEK quando quest'ultimo era basato nei campi di Ashraf e Liberty in Iraq, causando 146 morti tra i residenti prima che fossero evacuati in Albania nel 2016.

Thanks to National Council of Resistance of Iran - شورای ملی مقاومت ایران (CNRI - Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana)




Britain's ambassador to Iran is ARRESTED in Tehran clash
William Cole
12 gennaio 2020

https://www.dailymail.co.uk/news/articl ... JeHAnkoCgM


The Foreign Office has hit out at Iran for a 'flagrant violation of international law' after the UK ambassador to the country was arrested during a protest in the capital Tehran.

Diplomat Rob Macaire was present during demonstrations against Ayatollah Khamenei in front of Tehran’s Amir Kabir University and was arrested after allegedly 'organising, provoking and directing radical actions', according to local reports.

Thousands had gathered to demand the supreme leader's resignation after his regime admitted it had mistakenly shot down a civilian passenger plane during retaliation against the US' assassination of Qasem Soleimani.

Mr Macaire, a diplomat with 30 years experience, was released following more than an hour in detention.

In a strongly worded statement, Foreign Secretary Dominic Raab warned Iran that it needed to make a choice between becoming a 'pariah' state or to 'deescalate tensions' with the west.

'The arrest of our Ambassador in Tehran without grounds or explanation is a flagrant violation of international law. The Iranian government is at a cross-roads moment,' said Mr Raab.


Il Foreign Office ha accusato l'Iran di una "flagrante violazione del diritto internazionale" dopo l'arresto dell'ambasciatore britannico nel Paese durante una protesta nella capitale Teheran.

Il diplomatico Rob Macaire era presente durante le manifestazioni contro l'Ayatollah Khamenei davanti all'Università Amir Kabir di Teheran ed è stato arrestato dopo aver presumibilmente "organizzato, provocato e diretto azioni radicali", secondo quanto riferito localmente.

Migliaia di persone si erano riunite per chiedere le dimissioni del leader supremo dopo che il suo regime aveva ammesso di aver abbattuto per errore un aereo passeggeri civile durante la rappresaglia contro l'assassinio di Qasem Soleimani da parte degli Usa.

Il signor Macaire, un diplomatico con 30 anni di esperienza, è stato rilasciato dopo più di un'ora di detenzione.

In una dichiarazione dal tono forte, il ministro degli Esteri Dominic Raab ha avvertito l'Iran che doveva scegliere se diventare uno Stato "paria" o se "allentare le tensioni" con l'Occidente.

L'arresto del nostro ambasciatore a Teheran senza motivazioni o spiegazioni è una flagrante violazione del diritto internazionale. Il governo iraniano si trova ad un bivio", ha detto Raab.

Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » dom gen 12, 2020 7:24 pm

MANIFESTANTI IRANIANI RIFIUTANO DI CALPESTARE LA BANDIERA AMERICANA E QUELLA ISRAELIANA
12 gennaio 2020

https://www.facebook.com/watch/?v=872025499915007

All’indomani dell’ammissione tardiva del presidente iraniano Rouhani che l’aereo ucraino era stato distrutto da un razzo dei pasdaran, centinaia di studenti iraniani si sono rifiutati di calpestare la bandiera americana e quella israeliana, entrambe distese sulla strada adiacente un’università iraniana che non è identificata. Gli studenti oltre a criticare quei pochi che si erano divertiti a pestare i drappi, hanno protestato contro il regime: “Mentite dicendo che è l’America il nostro nemico, siete voi il nemico qui!”.


Iran, scontri con i manifestanti: la polizia spara. Trump: "Non uccidete il vostro grande popolo"
Manifestazioni si segnalano anche in altre città iraniane, come Mashhad, Rasht, Kashan, Sanandaj e Amol. Bruciata la bandiera britannica davanti all'ambasciata. Un video diventato virale mostra gli studenti dell'università Beheshit a Teheran non calpestare le bandiere di Israele e Usa
12 gennaio 2020

https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... lc_AOzG_T4


TEHERAN - La polizia ha caricato i manifestanti riunitisi sulla Azadi Square, a Teheran dando inizio a violenti scontri. Alcuni video che circolano sui social mostrano spari da parte degli agenti. Le proteste, che continuano da ieri, sono contro il regime per le bugie sull'abbattimento del jet ucraino. Manifestazioni si segnalano anche in altre città iraniane, come Mashhad, Rasht, Kashan, Sanandaj e Amol.

"Non uccidete i vostri manifestanti". Donald Trump su Twitter si è schierato a fianco dei manifestanti iraniani in un messaggio indirizzato 'ai leader dell'Iran'. "Migliaia di persone sono già state uccise o incarcerate da voi e il mondo sta guardando. Ancora più importante, gli Stati Uniti stanno guardando. Ripristinate le connessioni Internet e lasciate che i giornalisti navighino gratis! Smettete di uccidere il vostro grande popolo iraniano!", scrive il presidente degli Stati Uniti.

Gli agenti, in parte anche in borghese, sono radunati in vari punti della città, tra cui davanti all'università. Membri dei Pasdaran pattugliano le strade. La rabbia contro il governo si è riaccesa dopo che per tre giorni le autorità hanno smentito categoricamente ogni responsabilità sullo schianto, in cui sono morte 176 persone, e poi le Guardie della rivoluzione hanno ammesso la responsabilità del lancio di un missile per errore. Le vittime sono in gran parte iraniane o iraniane-canadesi.

L'arresto dell'ambasciatore britannico
Anche l'ambasciatore britannico Rob Macaire è stato brevemente fermato dalla polizia ieri, con conseguente condanna di Londra. Stamattina una folla di manifestanti filo-governativi ha bruciato una bandiera britannica di fronte all'ambasciate di Londra a Teheran. Al grido di "Morte alla Gran Bretagna", in circa 200 hanno così protestato contro la presunta presenza dell'ambasciatore a una protesta non autorizzata contro le "bugie" del governo sull'abbattimento dell'aereo ucraino. Ma Macaire, ieri fermato dalle autorità e poi rilasciato, ha negato qualsiasi coinvolgimento nelle proteste in corso nella Repubblica islamica. Sulla questione è intervenuto anche il segretario agli Esteri britannico, Dominic Raab: "L'arresto del nostro ambasciatore a Teheran senza motivi o spiegazioni è una flagrante violazione della legge internazionale".

Studenti rifiutano di calpestare bandiere Israele e Usa
La notizia non è confermata, ma c'è un video che sta diventando virale che mostra gli studenti dell'università Beheshit a Teheran infrangere un obbligo, mai sancito formalmente dalle autorità iraniane ma moralmente imperativo nei momenti di maggiore crisi tra l'Iran e l'Occidente: calpestare la bandiera israeliana e quella americana. Il filmato diventato virale, mostra gli studenti universitari durante le proteste evitare accuratamente di passare sopra le due bandiere disegnate per terra dai sostenitori del regime proprio affinché si possa calpestarle. Quelli che lo fanno vengono fischiati dagli altri studenti.



Il jab di Trump fa barcollare il regime iraniano: rottura con la popolazione irrimediabile
di Federico Punzi
12 Gen 20
E media mainstream allo sbando
Atlantico Quotidiano

https://www.facebook.com/alex.swan.3785 ... 8517502819

Avrebbe potuto essere un inizio 2020 glorioso per la Repubblica Islamica, con fino a quattro ambasciate Usa in Medio Oriente sotto assedio (gli attacchi che stava pianificando Qassem Soleimani prima di essere eliminato), invece si è trasformato in un incubo.
Non solo Teheran ha perso lo stratega della “mezzaluna sciita” (Iraq, Siria, Libano, Yemen), un comandante autorevole e carismatico, proiettato verso la presidenza, ma è stata costretta ad una rappresaglia-farsa che ha mostrato al mondo e agli avversari tutta la sua debolezza e che si è conclusa con una disfatta.
Non si è potuta permettere di fare vittime “nemiche”, nel timore di scatenare una reazione Usa ancora più devastante, ma ha fatto strage di civili (in gran parte iraniani), abbattendo un volo di linea ucraino. Nel migliore dei casi per un errore da panico per un’immediata risposta Usa (il che dimostrerebbe che il suo raid non era affatto “concordato”)… o forse – ipotesi inquietante ma non ancora da escludere – su quell’aereo c’era qualcuno da non lasciar partire. Troppo schiaccianti le prove, e ormai di dominio pubblico, per continuare a negare e depistare. Meglio, è stato forse il ragionamento, ammettere il “tragico errore” per non alimentare accuse di un abbattimento doloso.

L’uccisione di Soleimani ha colto di sorpresa il regime, gettando la leadership iraniana nel caos: dall’essere certa della debolezza del presidente Trump e degli Stati Uniti nella regione, in pochi minuti ha dovuto prendere atto della sua estrema debolezza, di quanto fosse ristretto il menu di opzioni a sua disposizione per rispondere al colpo dell’odiato nemico. E di quanto sia imprevedibile Trump, che può passare dal non reagire, come nel caso dell’abbattimento di un drone quest’estate, ad una reazione diretta al cuore del potere iraniano, un jab da ko.

Non solo la debolezza del regime rispetto ai suoi avversari esterni. Le immagini di queste ore da Teheran e da altre importanti città iraniane confermano anche la sua profonda crisi interna. La morte di Soleimani non ha affatto “ricompattato” la popolazione al fianco del regime in una fiammata nazionalista, né garantisce a quest’ultimo una “crescente popolarità”, come ancora oggi si legge nell’editoriale in prima pagina del Corriere della Sera. Un’analisi che sentiamo ripetere con troppo automatismo ogni qual volta Washington cerca di ristabilire la propria deterrenza nei confronti di stati canaglia e dittature con azioni militari o sanzioni economiche. Anzi, ha rivelato la vulnerabilità del regime incoraggiando, semmai, le proteste.

È stato un inizio anno a dir poco difficile anche per i nostri media mainstream. Di fake news in fake news: da quel “pazzo disturbato” di Trump che avrebbe scatenato la terza guerra mondiale al videogioco presentato come filmato dell’uccisione di Soleimani; dall’addio del Regno Unito all’Erasmus agli incendi in Australia provocati dal global warming. Hanno persino dato credito alla propaganda dei Pasdaran sugli “80 morti” nel raid di rappresaglia. Pretendono di denunciare e combattere le fake news, ma sono i primi a diffonderle per pigrizia e pregiudizio ideologico.

Per Repubblica gli Stati Uniti sono una dittatura (Scalfari) e per il Corriere l’Iran sarebbe un interlocutore più affidabile (Romano). Qualche giorno fa il Corriere si chiedeva se Trump possa essere incriminato per aver ordinato di uccidere Soleimani con un drone. Non risulta che in otto anni si sia mai chiesto se potesse essere incriminato Obama per il centinaio (almeno) di civili uccisi in altrettanti attacchi con droni… Ma soprattutto, si sono mai chiesti se fosse incriminabile Soleimani, o almeno quanti militari e civili sono stati uccisi dagli attentati e attacchi da lui ordinati?

Tranne rare eccezioni, la nostra stampa “antifascista”, che vede il fascismo ovunque, pare non sappia distinguere una manifestazione popolare, come quelle di ieri, da un’adunata di regime come quella per funerali di Soleimani.


Altro che “martire” ed “eroe”, come veniva presentato dai nostri media che si facevano impressionare dalla calca di gente e dalle lacrime di Khamenei ai suoi funerali. Come avevamo ricordato all’indomani della sua uccisione, il comandante delle Forze al Qods era visto nel suo Paese per lo più come il volto più disumano del regime, l’emblema di una sanguinaria repressione interna e dello sperpero delle risorse nazionali in avventure all’estero. “No Gaza, No Libano, la mia vita per l’Iran”, è uno degli slogan più comuni nelle strade iraniane. Slogan contro il regime, contro Soleimani e Khamanei (entrambi “assassini”), addirittura a favore dello Shah Reza Pahlavi.

In ogni caso, l’ammissione ufficiale del regime, il dissolversi delle sue bugie e depistaggi dei giorni scorsi sull’abbattimento “per errore” dell’aereo civile ucraino nella notte del raid di risposta agli Usa, provocando 176 morti in gran parte iraniani, ha riacceso le proteste che vanno avanti ormai da mesi. Un “errore” che sommato ad una repressione durissima (oltre mille morti e migliaia di arrestati, secondo le stime, e un lungo shutdown di internet), può rappresentare un defining moment: la definitiva, irrimediabile rottura tra il regime e la nazione persiana, quella crepa nel muro che rischia di far venir giù all’improvviso tutto l’edificio, come accadde all’Urss tra l’89 e il 91.


Il presidente Trump si è schierato con forza, come raramente nei suoi tre anni di presidenza, al fianco dei manifestanti iraniani in due tweet pubblicati anche in farsi:

“Al coraggioso e a lungo martoriato popolo dell’Iran: sono stato con voi dall’inizio della mia presidenza e la mia amministrazione continuerà a stare con voi. Stiamo seguendo le vostre proteste da vicino e siamo ispirati dal vostro coraggio”.

E ha avvertito:

“Il governo dell’Iran deve consentire ai gruppi per i diritti umani di monitorare e riportare i fatti dal terreno sulle proteste in corso da parte del popolo iraniano. Non ci può essere un altro massacro di manifestanti pacifici né un blocco di internet. Il mondo sta guardando”.

Altrettanto chiaro il segretario di Stato, Mike Pompeo, che pubblicando sul suo profilo Twitter uno dei video delle proteste in corso ha dichiarato:

“La voce del popolo iraniano è chiara sono stanchi delle bugie, della corruzione, dell’incapacità e della brutalità dei Guardiani della Rivoluzione islamica sotto la cleptocrazia Khamenei. Noi stiamo con il popolo iraniano che merita un futuro migliore”.

L’Unione europea, quella del diritto e dei diritti, che sanziona Polonia e Ungheria, ovviamente, non pervenuta.

Ma le prese di posizione del presidente Trump e del segretario Pompeo, così come l’eliminazione di Soleimani, non vanno travisate o sovrastimate. Si tratta di approfittare del momento di debolezza e confusione della leadership iraniana – e il passo falso dell’arresto per alcune ore dell’ambasciatore britannico è un ulteriore segnale – per esercitare su di essa ulteriore pressione. Se alle sanzioni economiche si aggiungono le proteste popolari, tanto meglio, ma l’obiettivo della strategia della “massima pressione” adottata dall’amministrazione Trump non è il regime change. Gli obiettivi restano il definitivo abbandono da parte di Teheran del programma nucleare e delle attività destabilizzanti nella regione attraverso le sue milizie. Se domani mattina il regime fosse pronto a sedersi al tavolo del negoziato su tali questioni, troverebbe Trump pronto a offrire generose aperture e prospettive promettenti.

Certo, se invece il regime di Teheran dovesse insistere nelle sue ambizioni atomiche e imperialiste, insostenibili sia dal punto di vista economico che geopolitico, lo farebbe a suo rischio e pericolo e il regime change sarebbe una conseguenza da mettere nel conto, per quanto non “cercata” da Washington.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » mar gen 14, 2020 7:52 am

Accusare l’America e dimenticare il pericolo Iran. L’errore delle anime belle
13 gennaio 2020
Claudio Cerasa

https://www.ilfoglio.it/esteri/2020/01/ ... ywall=true

Il regime islamista di Teheran è incompatibile con i valori non negoziabili delle società libere, a prescindere da ciò che fanno i suoi avversari. Per la prima volta, da molto tempo a questa parte, le sue aggressioni non sono rimaste senza conseguenze
La chirurgica operazione con cui dieci giorni fa gli Stati Uniti hanno eliminato uno degli uomini più pericolosi del medio oriente, il macellaio Qassem Suleimani, il generale a capo delle Guardie della rivoluzione di Teheran che per molti anni ha armato le attività di rappresaglia e di terrorismo portate avanti dall’Iran (è stato lui l’uomo che nell’estate del 2015 è volato a Mosca per coordinare la controffensiva che ha salvato il regime di Assad condannando i siriani a una guerra...





Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/01/2020, a pag. 13, con il titolo "Iran, gli studenti non cedono. Agenti in affanno: mai sparato", la cronaca di Giordano Stabile;
dal FOGLIO a pag.1 l'analisi di Daniele Raineri "Il regime iraniano non si è ricompattato, anzi è sempre più compromesso".
Giordano Stabile
Informazione Corretta
14/01/2020

http://www.informazionecorretta.com/mai ... o.facebook

Per la terza sera consecutiva ieri i giovani di Teheran si sono radunati davanti alle università e hanno marciato verso piazza Azadi. La protesta continua a crescere, nonostante la morsa delle forze di sicurezza, e dei Basij, i «volontari» incaricati di reprimere il dissenso nella Repubblica islamica. Anche ieri ci sono state cariche e lancio di lacrimogeni. Il regime sembra però esitare nell'uso della violenza brutale che ha stroncato l'ultima rivolta, lo scorso 15 novembre. Come per l'abbattimento del Boeing ucraino, che ha innescato la rabbia popolare, cerca di arroccarsi e negare. Ieri mattina il capo della polizia di Teheran, Hossein Rahimi, ha smentito che i suoi uomini abbiamo sparato sui manifestanti. «Tutti hanno trattato le persone che si erano radunate con pazienza e tolleranza». Poi ha minacciato «coloro che intendono manipolare la situazione», cioè denunciare repressione, di «conseguenze». Rahimi ha rivelato anche che le autorità hanno dato ordine agli agenti di «contenersi», un segno opposto a quello dato a novembre, segno che temono il giudizio internazionale. La congiuntura è particolare. L'uccisione del generale Qassem Soleimani aveva dato l'occasione per denunciare «l'aggressione americana» e guadagnare appoggi anche all'estero. Adesso riemerge il volto del regime intento a schiacciare la sua stessa popolazione. Anche perché Internet resta accessibile, almeno nella capitale, ed emergono immagini inquietanti. Video che mostrano i Basij intervenire, con in sottofondo rumore di colpi di arma da fuoco. In un altro filmato una donna, accasciata a terra, dice di essere ferita a una gamba, e lascia una striscia di sangue mentre viene trasportata via dai compagni. «Hanno ammazzato le nostre élite e le hanno rimpiazzate con religiosi», hanno cantato ieri gli studenti all'ingresso delle università, oltre agli slogan contro i «bugiardi» che si devono «dimettere», compresa la guida suprema Ali Khamenei. L'ondata di commozione di fronte alle giovani vite spezzate in maniera assurda incrina il consenso per il regime anche ai livelli più alti, fra le personalità privilegiate. Una conduttrice delle tv di Stato ha annunciato le sue dimissioni: «Non potevo credere all'uccisione dei miei compatrioti. Chiedo scusa per aver mentito per tredici anni». Dopo la fuga della campionessa olimpica di taekwondo, Kimia Alizadeh, ieri è stato il capitano della nazionale di pallavolo maschile, Said Marouf, a protestare su Instagram: «Spero che l'Iran abbia visto il suo ultimo spettacolo di inganno e stupidità». Anche l'assedio internazionale mette in difficoltà il regime, nonostante la visita alla guida suprema dell'emiro del Qatar Al-Thani, sottolineata dai media statali. La Gran Bretagna ha convocato ieri l'ambasciatore iraniano a Londra, dopo che sabato sera il suo rappresentante era stato arrestato e trattenuto per qualche ora a Teheran. Il ministro degli Esteri Dominic Raab ha denunciato la «flagrante violazione del diritto internazionale» e ha precisato che la sicurezza alla legazione «è stata rivista», cioè aumentata. Anche il Canada, con le sue 57 vittime nel disastro, si è allineato a Londra e Washington in questa fase. Il premier Justin Trudeau chiede un'assunzione di responsabilità più precisa a Teheran e ha giurato che non riposerà «fino a quando non avremo la giustizia che le famiglie meritano».

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Il regime iraniano non si è ricompattato, anzi è sempre più compromesso"
Daniele Raineri

Roma. Il regime iraniano è nel mezzo di una crisi di credibilità senza precedenti a meno di una settimana dai funerali solenni del generale Suleimani, che secondo molti commentatori avrebbero dovuto ricompattare l'opinione pubblica dalla parte degli ayatollah. Dall'annunciatrice tv Gelare Jabbari che si dimette e chiede scusa "perché vi ho mentito per tredici anni" fino agli studenti universitari che cantano contro i Guardiani della rivoluzione islamica perché "sono stupidi e sono la nostra vergogna", dalla campionessa olimpica di taekwondo Kimiya Alizade che sabato ha chiesto asilo politico nei Paesi bassi per "l'ipocrisia, le menzogne e l'ingiustizia" del regime fino alle decine di manifestazioni spontanee in tutto il paese, i segni dello sfacelo progressivo sono dappertutto. Lo scontro con l'Amministrazione Trump non si lascia dietro nessun sentimento di unità nazionale, anzi. Quello sceso in piazza qualche giorno fa per Suleimani era l'Iran che pub celebrare alla luce del sole la linea ufficiale del governo con la benedizione dell'apparato di repressione. Dopo l'abbattimento per errore di un aereo passeggeri all'alba di mercoledì è di nuovo venuto fuori l'altro Iran, quello che si deve tenere nascosto per paura delle fucilate e degli arresti, ma appena pub strappa e distrugge i ritratti del generale Suleimani e lo chiama "assassino" - una cosa che in occidente è considerata di cattivo gusto. Il problema per il regime è che l'altro Iran viene fuori a protestare a intervalli sempre più brevi e che l'intensità delle proteste cresce. Se nel 2009 i ragazzi della Teheran bene chiedevano "dov'è il mio voto", le ondate di protesta successive hanno coinvolto sempre di più il resto della popolazione e gli slogan sono diventati sempre più duri. "Non vogliamo il regime dei Guardiani". "Dicono che il nostro nemico è l'America, ma il nostro nemico è qui". "Non vogliamo la repubblica islamica". Le ultime proteste erano state a novembre e per bloccarle il regime aveva bloccato l'accesso a internet per quasi una settimana e aveva ucciso millecinquecento persone (fonte Reuters). Adesso ci sono di nuovo proteste. L'Iran che sta con il regime è immenso e ben radicato, ma l'instabilità accelera. E' possibile che sia anche per questo e non per un'improvvisa conversione alla trasparenza - che il regime ha ammesso dopo tre giorni di avere abbattuto un aereo che trasportava 83 passeggeri iraniani. Nel calcolo dei danni possibili, la rabbia popolare sarebbe stata ancora maggiore se la verità sull'abbattimento fosse arrivata grazie a qualche indagine dall'esterno. "E se per sbaglio schiacciate il bottone dell'atomica?", dice ora uno slogan irridente che prende di mira il programma nucleare, vanto del regime. In questo contesto il presidente americano Donald Trump scrive che gli iraniani sono meravigliosi perché si rifiutano di calpestare la bandiera americana - è una scena che si vede in un video filmato in un'università, gira molto - e rivendica l'uccisione del generale Suleimani come un fatto positivo che avrebbe dovuto essere fatta "venti anni fa". Sulla questione iraniana Trump dilaga e si prende la scena, una cosa che i suoi sfidanti democratici sono incapaci di fare. Il New York Times domenica ha pubblicato una ricostruzione della crisi interessante, dalla quale si capisce che l'uccisione di Suleimani non è stata una decisione improvvisa del presidente ma un piano che andava avanti da almeno diciotto mesi. L'Amministrazione aveva chiesto all'intelligente di reclutare informatori negli ambienti frequentati dal generale iraniano, quindi per esempio l'esercito siriano e gli aeroporti di Beirut e Damasco, per seguire i suoi spostamenti. Il direttore della Cia, Gina Haspel, che su altre questioni si è opposta con forza a Trump - per esempio ha demolito ogni tentativo di difendere il principe Bin Salman sul caso Khashoggi - aveva approvato l'eliminazione di Suleimani perché il generale era troppo pericoloso (l'Amministrazione americana ha molte difficoltà a spiegare questa cosa in pubblico). Il New York Times scrive anche che c'è la possibilità che il generale iraniano fosse arrivato in Iraq per dirigere un'operazione brutale che avrebbe spazzato via il sit-in della protesta nel centro di Baghdad e installato un governo amico in Iraq. Non c'è modo di verificarlo, ma se così fosse il bombardamento americano avrebbe evitato - per il momento - una Tiananmen irachena. Messa in questo modo - la sorveglianza di diciotto mesi, il piano di Suleimani contro i manifestanti - la storia assume una luce diversa dal blitz impulsivo raccontato negli ultimi dieci giorni. E infine la ricostruzione del New York Times rivela che i bersagli scelti per l'eventuale escalation americana contro l'Iran, che poi non c'è stata, includevano molti siti militari e del settore petrolifero e nessuno "culturale", come Trump aveva minacciato su Twitter. Nella lista degli obiettivi c'è anche una nave militare iraniana che naviga sotto copertura nel Golfo per tenere d'occhio il traffico delle petroliere e per fare da base di partenza per gli attacchi dell'Iran contro il traffico marittimo come è successo per quattro volte tra maggio e giugno. Sono tutti dettagli interessanti che però sono andati un po' perduti nel quadro generale di questa storia.


Il confronto tra Trump e l’Iran
Di Niram Ferretti
14 Gennaio 2020

http://www.linformale.eu/il-confronto-t ... Xm8znoo4LI

Allo stato presente la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza, l’ultimo capitolo della guerra di delegittimazione, nei confronti, di Israele. Questa Risoluzione fu fatta approvare, espressamente, per volontà del Presidente USA Barack Obama, e fu tra gli ultimi atti compiuti dalla sua amministrazione nel 2016 a poche settimane dall’insediamento dell’amministrazione Trump. E’ da sottolineare che è prassi consolidata, dei presidenti americani uscenti, non prendere decisioni dal forte impatto politico negli ultimi mesi di mandato per non mettere in difficoltà l’amministrazione entrante. Negli USA questa situazione politica tra l’insediamento di una nuova amministrazione e le ultime settimane di quella uscente è conosciuta come lame duck. Ma questa fu un’eccezione.

La Risoluzione 2334 “riafferma l’illegalità” della presenza israeliana nei territori “occupati” nella guerra del 1967, compresa Gerusalemme Est, qui definiti “territori palestinesi” fin dal 1967.

La prima considerazione che si può fare, relativamente, a questa risoluzione è di carattere politico. Essa fu, a tutti gli effetti, una “vendetta” di Obama e del suo segretario di Stato John Kerry – che è il vero artefice di questo “obbrobrio” diplomatico – nei confronti di Israele considerato l’unico responsabile del fallimento delle trattative di pace con i palestinesi. Nonostante lo Stato ebraico si sia sempre dimostrato disponibile a incontrare la delegazione palestinese per raggiungere un’intesa tra le parti (come sancito dagli accordi di Oslo) fu accusato di mantenere posizioni troppo “rigide”. Ma come sono andati relamente i fatti negli ultimi dodici anni?

Da parte palestinese, dopo il rifiuto della proposta di Ehud Olmert del 2008, con la quale il premier israeliano aveva proposto la cessione ai palestinesi del 90% della Giudea e Samaria, di Gerusalemme Est nella modalità formulata già dal suo predecessore Ehud Barak e già rifiutata da Yasser Arafat nel 2000, le posizioni si cristallizzarono su altre questioni (queste posizioni i palestinesi le davano ormai per scontate), cioè il “diritto” al ritorno dei profughi palestinesi, che ormai sono oltre 5 milioni, il che equivarrebbe alla distruzione di Israele, lo smantellamento degli “insediamenti ebraici nella West Bank” (come vengono definiti dagli interlocutori palestinesi) e l’espulsione in massa dei suoi abitanti. Va sottolineato che nessuna di queste richieste si trova negli Accordi di Oslo del 1993-1995 sottoscritti dai palestinesi.

Malgrado ciò, agli occhi della comunità internazionale è Israele ad avere una posizione rigida, ne consegue che tutte le pressioni diplomatiche sono state fatte solo sul governo israeliano, soprattutto da parte americana. Da parte israeliana si è avuta la disponibilità, prima al “congelamento” delle costruzioni in Giudea e Samaria per dieci mesi. Poi la liberazione di oltre un migliaio di terroristi condannati in via definitiva come ulteriore “gesto di buona volontà”. Ma né nel primo caso né nel secondo, i palestinesi si sono presentati al tavolo delle trattative. La motivazione era di volta in volta diversa, l’ultima, in ordine di tempo da parte della diplomazia palestinese, fu il tentativo di imporre a Israele delle “precondizioni” che erano indispensabili per tornare al tavolo delle trattative. Le principali erano: il ritorno dei profughi, il ritorno ai “confini del ’67” e lo smantellamento delle “colonie”. C’è da osservare che se Israele avesse accettato tali precondizioni, non si capisce che cosa rimanesse da discutere. Forse l’esistenza stessa di Israele?

In questo contesto, l’allora Segretario di Stato dell’amministrazione Obama, John Kerry, in pieno accordo con l’ex presidente americano, decise di sbloccare l’impasse utilizzando a questo scopo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Nacque così l’idea della Risoluzione 2334 del dicembre 2016, la qualem non solo è in flagrante contraddizione con gli Accordi di Oslo, ma di fatto li annulla.

I seguenti sono i punti principali della risoluzione:

[…]

““1. Reaffirms that the establishment by Israel of settlements in the Palestinian territory occupied since 1967, including East Jerusalem, has no legal validity and constitutes a flagrant violation under international law and a major obstacle to the achievement of the two-State solution and a just, lasting and comprehensive peace.

“2. Reiterates its demand that Israel immediately and completely cease all settlement activities in the occupied Palestinian territory, including East Jerusalem, and that it fully respect all of its legal obligations in this regard.

“3. Underlines that it will not recognize any changes to the 4 June 1967 lines, including with regard to Jerusalem, other than those agreed by the parties through negotiations.

“4. Stresses that the cessation of all Israeli settlement activities is essential for salvaging the two-State solution, and calls for affirmative steps to be taken immediately to reverse the negative trends on the ground that are imperilling the two-State solution.

[…]

Questa ne è la traduzione:

“1. Ribadisce che l’istituzione da parte di Israele di insediamenti nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme est, non ha validità legale e costituisce una flagrante violazione ai sensi del diritto internazionale e è un grave ostacolo al raggiungimento della soluzione dei due Stati e di una giusta, duratura e generale pace.

“2. Ribadisce la sua richiesta che Israele cessi immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nel territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme est, e che rispetti pienamente tutti i suoi obblighi legali in tal senso.

“3. Sottolinea che non riconoscerà alcun cambiamento alle linee del 4 giugno 1967, anche per quanto riguarda Gerusalemme, diverso da quelle concordate dalle parti mediante negoziati.

“4. Sottolinea che la cessazione di tutte le attività di insediamento israeliane è essenziale per il salvataggio della soluzione a due Stati e chiede che siano prese immediatamente misure positive per invertire le tendenze negative sul terreno che stanno ostacolando la soluzione a due Stati.

[…]

Leggendo questa risoluzione, la prima impressione che si ha, è che chi l’ha redatta abbia agito più di “pancia” che di testa, tanti sono gli errori storici, quelli legali e di contenuto. Per prima cosa, affermare che Israele “occupi territori palestinesi dal 1967” (nel punto 1) significa che fino al 1967 e all’”occupazione israeliana” c’era uno Stato palestinese, il quale in realtà non è mai esistito, visto che il territorio in questione era occupato dalla Giordania, anche se ciò non faceva scandalo ma era in aperta violazione del diritto internazionale, in quanto occupato con una guerra di aggressione. In base al Mandato britannico per la Palestina del 1922 (art. 6) il suddetto territorio era legalmente destinato agli ebrei e quindi a Israele, come ribadito dallo Statuto del’ONU in base all’art. 80. Affermare che esistano dei “territori palestinesi occupati dal 1967” non ha nessun senso giuridico ma ne ha uno esclusivamente politico: cioè si sono già definiti i confini della contesa. Perciò che senso hanno le trattative di pace e gli Accordi di Oslo?

Al punto 2 della Risoluzione si riafferma l’obbligo di Israele di cessare tutte le attività di costruzione “degli insediamenti”. Quindi anche di quelli situati nell’area C sotto l’esclusivo controllo israeliano come sancito negli accodi di Oslo. In questo modo si invalidano gli accordi stessi, che è bene ribadirlo, vedono tra i garanti gli USA e l’ONU stessa, che, con la Risoluzione 2334 rinnegano, di fatto il loro ruolo di garanti.

Il punto 3 di fatto contraddice quanto espresso nei punti 1 e 2, e pone l’accento sulla necessità di negoziare l’assetto futuro dei territori compresa Gerusalemme. Negoziati che devono avvenire tra le parti e non “imposte” da altri.

Il punto 4 ribadisce che è essenziale sospendere le “costruzioni degli insediamenti” per il “salvataggio della soluzione dei due Stati” ma né gli Accordi di Oslo né nessun altro accordo sottoscritto da Israele prevede che le trattative portino necessariamente alla “soluzione dei due Stati”. Questa è semplicemente una delle soluzioni possibili. Lo status definitivo sarà concordato, tra le parti, al termine dei negoziati e non prima ne durante gli stessi. Essendo le trattative in stallo parlare di una soluzione dei due Stati è del tutto prematuro, e preordina la conclusione dei negoziati secondo un paradigma già stabilito a priori.

La Risoluzione 2334 ci riserva altre sorprse. Nel preambolo si fa riferimento a: “transfer of Israeli settlers, confiscation of land, demolition of homes and displacement of Palestinian civilians”, (“trasferimento dei coloni israeliani, confisca della terra, demolizione di case, spostamento di civili palestinesi”). Questa affermazione sembra cucita apposta prendendola dallo Statuto della Corte Penale Internazionale. Gli USA però non hanno mai ratificato l’istituzione di tale organismo perché palesemente utilizzabile come arma politica. Risulta, perlomeno, contraddittorio che gli USA adesso ne utilizzino un articolo perché ben si adattava, per la formulazione della Risoluzione, alla loro posizione anti israeliana.

Mentre è del tutto fuori contesto la frase “demolition of homes and displacement of Palestinian civilians”, la quale sembra riferirsi ad demolizioni arbitrarie e allo spostamento di popolazione con chiaro intento di cambiare la natura demografica del territorio, invece che, ai pochi casi di demolizione di costruzioni abusive e senza autorizzazioni, nelle aree di esclusiva competenza e controllo israeliano sancite dagli Accordi di Oslo (area C), come, del resto, accade in tutti i paesi civili, dove l’abusivismo edilizio non è tollerato. Ma anche in questo caso ci sono due pesi e due misure.

Prendendo alla lettera la seguente frase della risoluzione: “Reaffirms that the establishment by Israel of settlements in the Palestinian territory occupied since 1967, including East Jerusalem, has no legal validity” (“Si riafferma che la costruzione di insediamenti da parte di Israele nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non ha validità legale”) la prima cosa che viene da pensare è che questa posizione del Consiglio di Sicurezza, quindi di ONU, USA, Russia che sono tra i garanti degli Accordi di Oslo di fatto annullano gli Accordi sanciscono invece la piena legalità della presenza israeliana in alcune aree dei territori e precisamente l’area C e B.

L’ultima e definitiva considerazione che si può fare relativamente alla Risoluzione 2334 è che non è vincolante e quindi non ha valore legale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » mar gen 14, 2020 7:52 am

Il regime dei mullà all’ultima fermata
Esmail Mohades
14 gennaio 2020

http://www.opinione.it/esteri/2020/01/1 ... dittatura/

Siamo contenti, contenti tutti noi iraniani di prendere lezioni di anti-americanismo. Non penseremo nemmeno al detto che recita: chi non sa insegna… un consiglio però forniamo; date un’occhiata al libro “Una voce in capitolo. La storia del popolo dell’Iran”, edizione Menabò. C’è, nel libro, per filo e per segno, ciò che l’America ha fatto in Iran, sin dagli anni Cinquanta e ci sono perfino cenni sulla presenza degli americani in Iran nel principio del Novecento. Mentre i mass media continuavano a propinare che l’uccisione di Qassem Soleimani compattava l’Iran, e per Iran intendevano insieme il popolo iraniano e la dittatura che lo reprime, a Teheran e in molte altre città iraniane scoppiava una nuova ondata di protesta. I giovani iraniani, le coraggiosissime donne lanciavano slogan contro Khamenei e ripetevano “Il nostro nemico è qui, è una bugia che è l’America!”, stappando i poster di Soleimani.

Poco meno di due mesi dalla protesta di metà novembre, con oltre 1500 manifestanti massacrati, alla cui repressione ha partecipato da protagonista anche Soleimani, la gente dell’Iran è tornata in piazza chiedendo il rovesciamento della dittatura teocratica. Gli analisti occidentali potranno ancora stancamente riciclare lo storytelling della Guerra santa tra sciiti e sunniti e acclamare di fatto e subdolamente la grandezza del regime al potere in Iran. Il regime iraniano forte e stabile non lo è mai stato, sebbene aggressivo verso i deboli. Ora però, grazie alla resistenza del popolo iraniano, è al punto più basso della sua esistenza ed è all’ultima fermata.

In Iraq e in Libano, terreno della scorribanda del regime iraniano e di Soleimani e dove scaricare le sue crisi interne, da metà ottobre è in atto una rivolta arcobaleno, scoppiata soprattutto nelle zone sciite contro i loro governi burattini e soprattutto contro il burattinaio di Teheran. Ciò che accumuna i manifestanti in questi martoriati Paesi mediorientali è la loro voglia di liberarsi dalle grinfie grondanti di sangue dell’integralismo islamico, che ha il cuore battente in Iran; liberarsi per poter vivere. Al contrario di ciò che pensano gli analisti accalorati di quaggiù, i manifestanti in Iran chiedono la democrazia e bene sanno che essa è la soluzione dei loro problemi. La democrazia e lo stato di diritto sono ciò che vogliono, per questo chiedono l’autodeterminazione, da più di un secolo.

Gli iraniani dopo pochissimo tempo dalla caduta della monarchia, febbraio 1979, quando la loro rivoluzione democratica fu usurpata da Khomeini, hanno rifiutato l’innaturale regime teocratico. Una ferocissima e sanguinaria repressione, cominciata solo dopo pochi mesi dall’insediamento della teocrazia, e una politica estera di ricatto e terrorismo, insieme all’accondiscendenza dei Paesi liberi e democratici, hanno permesso al corrotto e incapace regime di perdurare per quattro decenni. La ridicola invenzione dei moderati contro gli oltranzisti è stato un trucco per irretire la gente che giorno dopo giorno rifiutava il regime, e per ingannare l’Occidente democratico. Ha dato alibi all’Occidente di sostenere la più brutale delle dittature, calpestando tutti i suoi valori e rimettendoci del suo onore e perfino degli interessi economici. Forse per giustificare questa ingannevole invenzione che gli analisti e i mass media s’arrampicano sugli specchi per dare un volto accettabile alla dittatura sanguinaria di Teheran, cambiando ogni volta la loro narrazione.

Ora il popolo iraniano è nuovamente in campo. Mentre i mass media dei Paesi liberi e democratici celebrano il loro eroe Soleimani, in Iran donne e uomini, giovani, scendono in piazza per rivendicare i lori diritti, la libertà e la loro dignità. La popolazione iraniana non può più sopportare che il disumano regime abbatta un aereo civile annientando176 vite umane per inconfessati motivi, derubricandolo come “errore umano”. Perché nel regime disumano di Teheran nulla è umano, questo il popolo lo sa, perciò non sopporta più nulla di questo regime. Il popolo iraniano non vorrà più calpestare e incendiare le bandiere di altri Paesi. Perché un popolo grande ed orgoglioso quale quello iraniano, con una forte identità, riconosce pienamente l’identità di altri Paesi ed altri popoli. È proprio questo che distingue il mio popolo dal regime che lo reprime. Ché si sappia!




Iran, giornalista si dimette: "Vi ho mentito per 13 anni"
15 gennaio 2020

https://it.notizie.yahoo.com/iran-giorn ... 16811.html

L'Irib, la tv di Stato Iraniana, nei giorni scorsi aveva divulgato la notizia - rivelatasi poi falsa - sull'aereo ucraino partito da Teheran affermando che fosse precipitato per problemi tecnici. In realtà il velivolo era stato abbattuto da missili iraniani. Tre giornalisti dell'emittente statale non solo hanno annunciato le loro dimissioni, ma si sono sentiti in dovere di scusarsi per le informazioni false fornite a seguito dell'incidente.
In particolare la presentatrice Gelare Jabbari ha usato parole forti in un post su Instagram, adesso rimosso, scrivendo: “È stato molto difficile per me credere che la nostra gente sia stata uccisa. Scusatemi se l'ho saputo tardi. E perdonatemi per i 13 anni in cui vi ho detto bugie”.
Ad appoggiare questa presa di posizione anche l'Associazione dei giornalisti iraniani che si è interrogata sul ruolo che i media hanno nell'opinione pubblica: “La pubblicazione di informazioni false ha avuto un grave impatto sulla fiducia e sull'opinione pubblica, e più che mai ha scosso la posizione traballante dei media - prosegue - I dipendenti della televisione di Stato della Repubblica Islamica dell'Iran riconoscono che la loro credibilità è andata perduta. Ignari del fatto che la credibilità di questi media e della maggior parte dei media nazionali era svanita da tempo".
Parole che pesano, specie se confrontate con i dati sulla libertà di stampa, ricordati dal “The Guardian” e riportati da "Reporter senza frontiere". L'Iran è al 170° posto nell'indice di libertà di stampa mondiale su 180 paesi. Il controllo statale di notizie e informazioni è imprescindibile e almeno 860 giornalisti sono stati incarcerati o giustiziati dal 1979.



L’Iran non può fare la guerra, ma è ancora molto pericoloso
Ugo Volli
14 Gennaio 2020

https://www.progettodreyfus.com/iran-so ... BJihOsoW4Q

La crisi iraniana è ben lungi dall’essere conclusa, ma una cosa è chiara, che l’eliminazione di Soleimani non ha affatto aperto quella crisi mondiale che i nemici di Trump hanno previsto questa volta come per ogni suo atto in Medio Oriente. Ma bisogna fare attenzione a capire le ragioni per cui l’Iran non ha potuto reagire come ha dichiarato e (forse) avrebbe voluto, ma si è dovuto limitare a un’azione poco più che simbolica, senza provocare vittime americane. Ho scritto “forse avrebbe voluto” per tener conto delle voci che sono girate per cui numerosi alti papaveri del regime degli ayatollah non sono rimasti troppo insoddisfatti dell’eliminazione del generale, che dava loro ombra grazie all’appoggio della “guida suprema” Khamenei e all’instancabile campagna di propaganda per se stesso che conduceva, appropriandosi dei “meriti” di tutte le azioni imperialistiche e terroristiche dell’Iran, tanto da essere candidato a prossimo presidente della Repubblica. Le dittature, come si sa, alimentano faide sanguinose nei loro vertici e forse qualche informazione sui movimenti del generale è venuta anche dai suoi avversari politici interni.

Al di là di questo problema, l’Iran non ha reagito per la sua estrema debolezza. Sul piano economico non solo pesano le sanzioni americane, ma vi sono tutti i disagi di un’economia di guerra, che sostiene eserciti in cinque o sei paesi (Yemen, Iraq, Libano, Siria, territori governati da Hamas e dall’Autorità Palestinese), interviene attivamente e costosamente in altri, come Sudan, Baherin, Somalia ecc., alimenta la produzione di missili, armi atomiche, aerei e navi militari ben oltre il ragionevole. E inoltre, come capita di frequente nelle dittature, soprattutto islamiche, vi è un grado di controllo politico sull’economia, e dunque di corruzione, di vera e propria cleptocrazia, che pesa sulla vita di tutti i suoi sudditi in maniera intollerabile. Del resto problemi economici analoghi colpiscono il grande protettore dell’Iran, cioè la Russia di Putin, e la potenza islamica che condivide molti dei suoi atteggiamenti ed è spesso complice delle sue iniziative, anche se strategicamente in concorrenza, cioè la Turchia.

Aggiungeteci un esercito impreparato, nervoso, bugiardo e incapace di assumersi le proprie responsabilità, come è emerso nel criminale abbattimento dell’aereo ucraino e un’opposizione che non si stanca di rifiutare le politiche e l’islamismo degli ayatollah, anche se rischia grande. Le proteste delle donne, dei giovani, delle persone impoverite dalla crisi, di coloro che vogliono la libertà di vivere normalmente senza sottoporsi all’oppressione delle milizie e delle “polizie della virtù” si succedono ininterrottamente, anche se sono represse con estrema violenza, al costo di migliaia di vittime. Se ci fosse una guerra, tutto questo rischierebbe di esplodere, travolgendo il dominio dei preti islamici, che è fragile, anche se ormai quarantennale. Infine è evidente che una guerra con l’America si svolgerebbe sotto forma di bombardamenti sul suolo dell’Iran, e avrebbe l’effetto di distruggere le sue forze armate e il suo regime, per quanto gravi fossero le rappresaglie che gli ayatollah fossero in grado di infliggere ai loro nemici. Solo il possesso della bomba atomica potrebbe permettere agli iraniani di scatenare una guerra con qualche speranza di non uscirne travolti e distrutti. E questa è una delle ragioni per cui è imperativo impedire che l’atomica iraniana sia costruita, come Israele ripete ormai da molti anni.

E però bisogna fare attenzione: questi fatti non annullano affatto la minaccia iraniana, non trasformano la dittatura sciita in una tigre di carta, come qualcuno ha scritto. La minaccia resta in piedi ed è grave, per due ragioni militari e una politica. La prima è che l’Iran può continuare ad agire col terrorismo e soprattutto grazie alla rete di mercenari e fantocci che soprattutto Soleimani ha contribuito a creare in tutto il Medio Oriente: Hamas, Hezbollah, Houthi, l’esercito siriano, le milizie sciite in Siria e Iraq, le opposizioni in Bahrein e altri paesi del Golfo e infine le sue stesse “guardie rivoluzionarie”che agiscono con tecniche da guerriglia, per esempio contro le petroliere negli stretti. Non c’è dubbio che gli ayatollah continueranno a foraggiarle e a dirigerle ed esse continueranno a sfidare la legalità internazionale.

La seconda ragione emerge dalle immagini del bombardamento delle basi americane, che alcuni hanno definito “telefonato”, perché sembra sia stato anticipato alcune ore prima agli iracheni che hanno avvertito gli americani. Sia stato così o meno, dalle immagini satellitari emerge che i missili iraniani hanno penetrato la difesa antimissile americana e hanno colpito con notevole precisione, provocando gravi danni a strutture che, per fortuna o per calcolo, erano state evacuate. Insomma, le basi americane si sono mostrate altrettanto vulnerabile della grande raffineria saudita che era stata colpita alcune settimane fa da un attacco analogo. È probabile, come qualcuno ha sostenuto, che queste basi non fossero difese bene come il quartier generale americano nel Golfo, che ha sede in Qatar, ma ci sono ragioni sufficienti per allarmare i militari Usa e soprattutto Israele, che essendo un paese e non una base ha moltissimi obiettivi sensibili, quante sono le città, gli impianti industriali, gli aeroporti, le infrastrutture energetiche e dell’acqua ecc. Non è detto che i sistemi antimissile come Iron Dome e David’s Sling siano in grado di neutralizzare completamente un attacco anche piuttosto limitato come quello che ha colpito gli americani. Insomma gli iraniani non possono vincere una guerra, ma possono fare danni gravi, se non sono neutralizzati in tempo. Il che suggerisce l’opportunità, di fronte a una crisi, di una guerra preventiva; ma non è detto che Israele possa reggerla da solo e certamente Trump non ha la minima voglia di una guerra vera e propria in un anno elettorale.

E qui viene la ragione politica che sostiene in questo momento la minaccia iraniana. Come si è visto la settimana scorsa, i democratici americani hanno rinunciato al tradizionale atteggiamento patriottico, per cui l’opposizione negli Stati Uniti tradizionalmente evita accuratamente di indebolire il presidente quando egli si prende la responsabilità di difendere il paese sul piano militare. Chiamatela come volete, tradimento o spirito di parte o prudenza, ma è evidente che i democratici e la stampa che essi controllano, compresi gli “autorevolissimi” New York Times, Washington Post e CNN, sull’eliminazione di Soleimani si sono schierati più dalla parte dell’Iran che del loro paese, come del resto ha fatto un bel pezzo di Unione Europea. Questa volta, come in genere nella sua politica estera, Trump si è mostrato un abilissimo tattico, ben diverso dal pasticcione che i media tentano di accreditare. Ed è evidente che ha vinto lui questa partita. Ma senza la solidarietà nazionale che è tradizione dell’America è chiaro che le sue mosse debbano essere calcolate con grande prudenza, il che rafforza notevolmente la posizione politica e militare dei nemici degli Usa e in particolare dell’Iran.

Insomma, la partita è aperta ed è delicatissima, soprattutto per Israele. Dove esiste anche un’opposizione che indebolisce la capacità di reazione del paese, con l’aggravante che non si tratta di un partito del Parlamento, ma di un apparato dello stato, quello della giustizia incentrato del procuratore generale Mandelblit, che a quanto pare negli ultimi mesi ha già bloccato operazioni militari sia a Gaza che in Siria, per il sospetto che avrebbero influito sulla campagna elettorale. Possiamo solo sperare che sia Trump che Netanyahu riescano a svolgere il loro lavoro e a impedire l’armamento atomico dell’Iran, raggiungibile a quanto pare in un paio di mesi di lavoro, anche in queste difficili condizioni.



Israele lancia l'allarme: l'Iran tra un anno potrebbe avere la bomba atomica
Paolo Mauri
15 gennaio 2020

https://it.insideover.com/politica/isra ... wMq0NERHkc

L’Aman, il direttorato per l’intelligence militare di Israele, lancia l’allarme: l’Iran potrebbe, entro la fine dell’anno, avere abbastanza uranio arricchito per costruire una bomba atomica e tra due anni essere in grado di montarla su missili balistici.

La stima dei servizi segreti militari di Tel Aviv afferma, come riportato dal Jerusalem Post, che se Teheran continuerà il proprio programma atomico all’attuale rateo di sviluppo, sarà capace di produrre 1300 chilogrammi di uranio arricchito in bassa percentuale dai quali poter ottenere 25 chilogrammi di uranio altamente arricchito entro la fine del 2020.

Una questione di arricchimento

Occorre chiarire subito un concetto: l’allarme lanciato dai servizi israeliani parte da una semplice considerazione più che da attività di spionaggio. Il trattato Jcpoa, sul nucleare iraniano, era infatti stato concepito per allontanare di un anno la possibilità che Teheran fosse in grado di dotarsi di armamento atomico tramite la riduzione del materiale fissile posseduto, fissato in 300 chilogrammi di uranio arricchito, e tramite la definizione di un limite della percentuale stessa di arricchimento, fissata al 3,67%, sufficiente cioè per essere usata nei reattori di uso civile ma assolutamente non idonea a costruire bombe.

Da quando il Jcpoa è stato stracciato unilateralmente dagli Stati Uniti, l’Iran, come da clausole dello stesso, ha lentamente ma costantemente ripreso l’attività di arricchimento riattivando centrifughe e riaprendo centri di ricerca e sviluppo compreso il reattore ad acqua pesante di Arak, capace di produrre plutonio, utilizzato esclusivamente per scopi militari.

Teheran quindi, essendo uscita anch’essa quasi del tutto dal Jcpoa, ha avviato un conto alla rovescia, fissato già dal trattato anche quando era in essere, della durata di un anno.

Arrivare alla costruzione di un ordigno atomico è un processo abbastanza lungo e non è sufficiente utilizzare l’energia atomica per scopi civili: il combustibile utilizzato nelle centrali ha infatti una concentrazione di uranio 235 compresa tra il 3 ed il 5%. L’uranio viene considerato altamente arricchito quando la concentrazione dell’isotopo 235 è pari al 20% mentre per poter essere utilizzato in ordigni atomici questa deve arrivare almeno al 90%.

La questione è che per arricchire l’uranio, che sia al 3% o al 90, vengono utilizzati gli stessi macchinari (le centrifughe) e gli stessi procedimenti, cambia solamente il tempo necessario per ottenerlo.

Nell’ultimo rapporto dell’Aiea, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, datato novembre 2019, si legge che l’Iran era in possesso di circa 550 chilogrammi di uranio arricchito, di cui un quarto in percentuale maggiore del 3,67%, il valore soglia imposto dal Jcpoa.

La bomba, i missili, la dottrina

Avere uranio sufficiente per costruire una bomba atomica non significa però averla a tutti gli effetti. Per avere un ordigno nucleare effettivamente efficace è necessario, ad esempio, disporre di adeguate tecnologie di miniaturizzazione che permettano di fabbricare una testata per un missile dai pesi adeguati, soprattutto sono necessari adeguati studi che riguardano la complicata geometria dell’esplosione convenzionale che, nelle testate moderne, innesca la compressione dell’esplosivo atomico innescandone la reazione a catena.

Tutti progressi di non facile raggiungimento per un’economia soggetta a embargo come quella iraniana e che necessitano di test da effettuare sul campo, non solo di simulazioni al computer: l’esperienza nordcoreana è lì a testimoniarlo.

Per quanto riguarda i missili, che secondo i servizi segreti israeliani saranno in grado di montare testate entro due anni, il problema è proprio quanto appena evidenziato, secondo chi scrive: l’Iran dispone già di un notevole arsenale missilistici a corto/medio raggio in grado di coprire tutta l’area del Medio Oriente e di spingersi sino alle prime propaggini dell’Europa. Sono missili in grado di portare un notevole carico bellico su grandi distanze: il missile Sejjil, ad esempio, è un vettore con un raggio d’azione di 2 mila km e capace di trasportare una singola testata da 500 o 1500 kg del tipo He (High Explosive) o nucleare.

L’Iran però ha un elevato numero di vettori a corto raggio, tipo Srbm, e solo qualche decina di quelli a più elevata gittata tipo Mrbm, e soprattutto sono tutti vettori dotati di una scarsa precisione, sebbene in caso di carica atomica non serva che il missile sia molto preciso quando diretto verso obiettivi d’area, ovvero città, porti, aeroporti e complessi industriali.

Per quanto riguarda la dottrina che sta spingendo l’Iran a riprendere questa strada è sempre l’informativa dei servizi israeliani a fugare ogni dubbio: Teheran non è attualmente interessata a sviluppare in tempi rapidi la bomba atomica, sebbene ne abbia la capacità, ma preferirebbe vedere il ritorno in vigore del trattato Jcpoa con la partecipazione di tutti i Paesi che lo hanno siglato, Stati Uniti compresi.

A quanto pare lo stesso Ali Khamenei, suprema autorità religiosa e politica iraniana, sta cercando di evitare decisioni avventate anche in considerazione del fatto che la prosecuzione dello sviluppo delle armi nucleari porterebbe a un possibile attacco preventivo per eliminare questo tipo di minaccia, e pertanto porterebbe l’Iran sull’orlo di un conflitto che non si può permettere, e che nessuno in fondo vuole, nemmeno gli Stati Uniti.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » mar gen 14, 2020 7:52 am

Atomica iraniana: prevenire un nuovo olocausto. Il dilemma di Israele
22 gennaio 2020

https://www.rightsreporter.org/atomica- ... 96vHPuxGCw

Fonti qualificate della intelligence israeliana sono certe che entro la fine del 2020 l’Iran avrà abbastanza uranio altamente arricchito per costruire un singolo ordigno atomico.

Tuttavia le stesse fonti affermano che Teheran non avrebbe ancora la capacità tecnologica per miniaturizzare una testata atomica e poterla lanciare con uno dei tanti missili balistici di cui è in possesso.

Una accelerazione si potrebbe avere se gli iraniani usassero tecnologia nord-coreana come hanno già fatto in passato per costruire i loro missili, in particolare il Musudan, il Khorramshahr, l’Emad e lo Shahab-3, tutti in grado di colpire Israele e di montare testate atomiche.

Questa possibilità apre un dilemma di non poco conto. In una intervista sulla rete TBN il Premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha detto che per evitare un nuovo olocausto ebraico l’Iran deve essere fermato prima che raggiunga l’atomica.

«Auschwitz ci ha insegnato che le cose brutte vanno fermate prima che diventino troppo grosse per essere fermate» ha detto Netanyahu.

«Già adesso l’Iran non è un pericolo così piccolo ma penso che potrebbe diventare un grandissimo pericolo se arrivasse ad avere l’atomica» ha poi continuato il Premier Israeliano.

Il succo del discorso è quindi che l’Iran deve essere fermato adesso. Non tra un anno, non tra sei mesi ma adesso.

Ma come fare per fermarlo? Un bombardamento sulle centrali atomiche iraniane, con tutte le difficoltà logistiche del caso, sembra l’unica soluzione a breve termine anche se con molta probabilità non fermerebbe del tutto il programma nucleare iraniano, ma lo rallenterebbe sicuramente.

Il problema è che una azione del genere, tutt’altro che improbabile, scatenerebbe su Israele una pioggia di missili mai vista prima, uno scenario da incubo ben descritto dall’ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Michael Oren.

Israele rallenterebbe sicuramente la corsa all’atomica iraniana, ma si ritroverebbe sotto attacco multiplo nel giro di poche ore.

Uno dei piani presentati a Netanyahu prevede un attacco preventivo volto a “indebolire” i proxy iraniani (soprattutto Hezbollah) poche ore prima di colpire le centrali iraniane o addirittura in contemporanea. Ma la fattibilità del piano appare piuttosto ardua. Bisognerebbe colpire obiettivi multipli in Libano, Siria e nella Striscia di Gaza con un rischio elevatissimo di fare vittime civili.

E poi c’è un altro problema. Gli americani, almeno fino alle elezioni presidenziali del 3 novembre 2020, non sembrano intenzionati ad una escalation con l’Iran, cosa che invece avverrebbe nel caso di un conflitto tra Teheran e Gerusalemme.

Cosa comporta questo? Comporta che con molta probabilità il Presidente Trump cercherà di impedire un attacco israeliano alle centrali atomiche iraniane prima della sua possibile rielezione. E non è un problema da nulla. Difficilmente Netanyahu (o chi per lui) ordinerà un attacco all’Iran senza un chiaro avvallo americano. Un avvallo che al momento sembra essere escluso.

Ora si può capire meglio qual’è il dilemma della dirigenza israeliana. Aspettare novembre con il rischio che gli iraniani possano far detonare la loro prima atomica o addirittura – con l’aiuto nordcoreano – riuscire a miniaturizzare una testata nucleare, oppure agire subito ma senza l’avvallo americano?

I tempi forniti dall’intelligence israeliana vengono giudicati attendibili anche se con una possibilità di errore, in più e in meno, pari al 10%. Ciò significa che l’Iran potrebbe avere abbastanza uranio altamente arricchito già da novembre o, nella migliore delle ipotesi, a Gennaio.

A forza di aspettare e di rinviare siamo arrivati al margine della “linea rossa” e ora ci troviamo seriamente tra l’incudine e il martello.

Nei giorni in cui a Gerusalemme politici di tutto il mondo commemorano l’olocausto ebraico perpetrato dai nazisti, Israele si trova di fronte a una seria e credibile minaccia di un nuovo olocausto. E questa volta vorrebbe prevenirlo.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » mer gen 15, 2020 11:10 pm

Salvini questa volta sta dalla parte giusta, con il tempo e le nespole è maturato anche lui, però dovrebbe far sentire le sue aspre critiche ai dementi nazi fascisti di Casa Pound, di Forza Nuova e del Secolo d'Italia (il giornale di FdI della Meloni) che sono schierati contro Trump, l'America e Israele e a favore dell'Iran e dei nazi maomettani.


SALVINI: GRAZIE A TRUMP ELIMINATO SOLIMANI, TERRORISTA ISLAMICO PERICOLOSISSIMO
3 gennaio 2020

https://www.shalom.it/blog/news-in-ital ... z9VdWGbQ0g


"Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell'Italia e dell'Unione Europea, devono ringraziare Trump e la democrazia americana per aver eliminato uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell'Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà" così il segretario della Lega Matteo Salvini.



Qasem Soleimani non era un terrorista. Era un patriota
Secolo d'Italia
sabato 4 gennaio 2020
Salvatore Sottile

https://www.secoloditalia.it/2020/01/qa ... HbhwaJVEOg

No. Non era un terrorista il generale Qasem Soleimani. Così come nessun rango militare di nessuna Nazione al mondo lo è. Quello che gli americani chiamano terrorista, imitati imprudentemente da qualche Pierino italiota, colui che è stato assassinato a Bagdad insieme al capo degli sciiti iracheni era non solo un militare coraggioso, uno stratega, ma addirittura un vero eroe per la larga maggioranza degli iraniani. Non era un criminale che si nascondeva e colpiva gli inermi Soleimani, ma un comandante militare al servizio della sua Nazione.

Uno talmente preparato e determinato da sconfiggere quei banditi sanguinari dell’Isis nati coi dollari Usa della psicotica Hillary Clinton e del Nobel per la pace Barak Obama. Uno che ha liberato e restituito al mondo intero, insieme ad un contingente di volontari russi, lo stupendo sito di Palmira che quelle bestie immonde volevano distruggere. Uno che, musulmano sciita, ha riconsegnato al culto di migliaia di cattolici iracheni e siriani le chiese che i tagliagole di al Bagdadi avevano chiuso e devastato. Strano esempio davvero di “terrorista”, questo Qasem Soleimani.

Come gli iraniani tutti. Che sono indoeuropei, non arabi. Nostri fratelli in tutti e per tutto. Per millenarie radici. Rispettosi della cristianita’ e della nostra identità. Ma da tempo additati come nemici per puro calcolo politico e per interesse economico.Quanto suona strana inoltre l’accusa di terrorismo al generale iraniano quando poi si omaggia e si armeggia con quella sorta di orrido Cicciobello saudita di nome Bin Salman che, fatto letteralmente a pezzi il giornalista Khashoggi nell’ambasciata di Istanbul, si compra l’impunità e il silenzio del mondo coi petrodollari della Aramco. Prima o poi ovunque, anche a Washington, dovranno arrendersi alla verità.

Prima o poi Donald Trump o chi gli dovesse succedere dovrà ammetterla questa elementare verità. Se non lo faranno loro sarà la Storia a costringerli.
Dovranno ammettere che non è l’Iran, la Persia culla di civiltà, il problema. Che non sono gli indoeuropei di Teheran che vogliono il male del mondo e attaccano questo Occidente tanto tronfio quanto pavido. Non un solo persiano è mai stato coinvolto, né mai lo sarà, in attentati contro popolazioni inermi. Sono tutti arabi e tutti sunniti quelli che hanno colpito e colpiranno. Dalle Torri gemelle in poi. Arabi istigati, istruiti e foraggiati da sauditi ed emirati.Qasem Soleimani non era un terrorista. Amava e serviva la sua Patria. Come tutti i patrioti del mondo.



Soleimani e non solo: Meloni e Salvini (troppo) divisi
5 dicembre 2020

https://www.nicolaporro.it/soleimani-e- ... po-divisi/

Ancora non governano insieme. Anche se vorrebbero farlo il prima possibile. Matteo Salvini e Giorgia Meloni, almeno su questo vanno perfettamente d’accordo, sostengono che occorre ridare il prima possibile la parola agli italiani. E i due alleati insieme, secondo i sondaggi, superano il 40 per cento dei consensi a cui sommare il risultato di Forza Italia. Eppure anche da alleati per ora all’opposizione occorre che facciano un po’ di chiarezza. Su alcune questioni fondamentali, delle ultime ore, si sono divisi.

Sul discorso del presidente della Repubblica, Giorgia ha detto che si trattava “di un discorso di alto profilo con obiettivi ambiziosi” mentre Matteo lo ha subito bollato come “mellifluo”. Vabbè possiamo dire che sulle persone e sulle interpretazioni dei loro discorsi la destra avrà ben diritto di mantenere le proprie distanze e giudizi.

Divergenze ben più gravi sull’attacco americano a Soleimani, il generalissimo iraniano: quello che secondo il direttore della Stampa, Maurizio Molinari, aveva in progetto di espandere la mezzaluna sciita a Libano, Siria e Iran, tanto per iniziare. E che con scarsa preveggenza il Times aveva inserito, proprio con Giorgia Meloni, tra le 20 persone che cambieranno il 2020.

Ebbene ieri il giornale di An prima e poi di FdI, il Secolo d’Italia, scriveva: “Qasem Soleimani non era un terrorista. Era un patriota”. In un secco fondino Sottile ha scritto “Quello che gli americani chiamano terrorista, imitati imprudentemente da qualche Pierino italiota, colui che è stato assassinato a Bagdad insieme al capo degli sciiti iracheni era non solo un militare coraggioso, uno stratega, ma addirittura un vero eroe per la larga maggioranza degli iraniani. Non era un criminale che si nascondeva e colpiva gli inermi Soleimani, ma un comandante militare al servizio della sua Nazione”.

Beh, utilizzando i termini di Sottile, tra i Pierini italioti ci deve essere anche il loro alleato Salvini che dopo il raid americano ha subito commentato: “Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell’Italia e dell’Unione europea, devono ringraziare Trump e la democrazia americana per aver eliminato Soleimani uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell’Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà”.



Iran, Meloni si distingue da Salvini: «Può nuocere all'Italia »

Corrado Vitale
venerdì 3 gennaio 2020

https://www.secoloditalia.it/2020/01/ir ... ellitalia/

Crisi Iran-Usa, il raid americano di questa notte è commentato con diversi accenti e diverse sfumature nell’ambito del centrodestra. Se Matteo Salvini ha accolto con entusiasmo la notizia dell’attacco americano, più meditato e articolato è il giudizio di Giorgia Meloni. «La complessa questione mediorientale, in cui si innesta la rivalità tra Iran e Arabia Saudita, non merita – a giudizio delle leader di FdI- tifoserie da stadio ma necessita di grande attenzione». «Una escalation delle tensioni in Medio Oriente (con possibili ripercussioni anche in Libia) – prosegue la Meloni – non è nell’interesse dell’Italia, perché rischia di acuire il problema immigrazione, alimentare il terrorismo e danneggiare ulteriormente l’economia europea». Il commento della leader di Fratelli d’Italia alla crisi internazionale scoppiata questa notte è affidato a un post pubblicato sulla sua pagina Facebook.

«In questo quadro -aggiunge la Meloni- esprimo la più ferma condanna al gravissimo assalto all’ambasciata statunitense in Iraq e una forte preoccupazione per le conseguenze della reazione americana che ne è seguita. L’Italia e l’Unione Europea dovrebbero fare tutto il possibile per favorire un percorso di pacificazione dell’area che garantisca la sicurezza di Israele ma anche la lotta senza indugi agli integralisti islamici dell’Isis, e non solo, che hanno insanguinato il Medio Oriente e fatto strage delle minoranze etniche e religiose, soprattutto cristiane. La mia principale preoccupazione va oggi ai nostri soldati presenti sul campo che senza una celere e chiara presa di posizione dell’Italia sulla strategia da tenere, rischiano di essere messi in una situazione molto difficile».

Un applauso senza se e senza ma all’azione americana è invece arrivato da Salvini. «Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell’Italia e dell’Unione Europea, devono ringraziare Trump e la democrazia americana per aver eliminato uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico, un nemico dell’Occidente, di Israele, dei diritti e delle libertà». Questo ringraziamento di Salvini è stato “corretto” da Ignazio La Russa, vicepresidente del Senato ed ex ministro della Difesa, in una intervista pubblicata da Affaritaliani.it. «Avrebbe dovuto dire anche grazie Clinton, grazie Obama etc… Non è che l’attuale presidente americano abbia usato un metodo diverso. Il ringraziamento agli Usa per la lotta al terrorismo lo condivido , ma non condivido la personificazione su questo o quel presidente. Perché, piaccia o non piaccia, criticabile o non criticabile, questo modo di agire non è riconducibile a Trump bensì si tratta di una metodologia che appartiene al sistema americano e alla linea di difesa Usa contro il terrorismo. Non è mai stata diversa, è sempre stata così».



FIAT LUX
Niram Ferretti
6 gennaio 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

In questi due giorni seguiti all'uccisione da parte degli Stati Uniti del Generale Qasem Soleimani, pupillo della Suprema Guida Ali Khamenei, si è avuto modo di constatare come l'antiamericanismo sia una patologia profondamente radicata.

A sinistra si è assistito alla condanna nei confronti degli USA, rei di avere tolto dalla faccia della terra un pericoloso criminale, uomo di punta di uno stato teocratico con un programma millenarista ed espansionista che ha come obbiettivo quello di realizzare su scala mondiale la rivoluzione khomeinista del 1979 e di distruggere Israele.

Già all'epoca in cui Khomeini prese il potere in Iran, si levarono qui in Europa, grida di giubilo da parte della sinistra, da quella estrema a quella meno estrema, perchè finalmente il "proletariato" islamico veniva liberato dalla tirannia dello Scia, pupazzo degli Usa e "servo" di Israele.

Oggi assistiamo a una nuova ondata di americanismo che oltre ad avere a sinistra una sua naturale matrice, la propone anche a destra, da parte di un mondo che quaranta anni fa era relegato ai margini della scena politica, confinato alla subcultura neofascista, e che oggi, dalla estrema periferia dove si trovava collocato, si è mosso verso il centro.

In questo mondo che non ha solo configurazioni estremiste ed extraparlamentari come Forza Nuova e Casa Pound, ma trova sponda anche in partiti come Fratelli di Italia e in misura minore nella Lega, Soleimani è salutato come un eroe e un patriota vero che sarebbe stato ucciso dal potentato americano a cui il fiero Iran "ariano" non vuole sottomettersi.

Questa narrativa di evidente ispirazione neofascista, considera infatti gli iraniani una nazione composta da puri indoeuropei che si contrapporrebbero con la loro nobiltà spirituale agli americani senza storia e agli ebrei che li guiderebbero.

Materiale fetido che viene dagli anni '30-'40, e spurga in questi giorni.

Va detto che l'unico leader politico che ha preso una posizione chiara e netta a favore degli Stati Uniti e di Israele, è stato Matteo Salvini.

Molto bene. È un punto a favore per una linea occidentale, atlantica e liberale, e per il collocamento in una orbita precisa.

Vedremo cosa le farà seguito.

Il nazionalismo, il concetto di patria (che in Italia non ha mai attecchito), la difesa dei confini e di valori depositati nei secoli, non hanno nulla a che vedere con la difesa di un regime teocratico fondato sulla sharia e nemico profondo di tutto quello che l'Occidente rappresenta. Chi guarda a questo regime come esempio è e non può che essere nemico degli Stati Uniti e di Israele, nemico della democrazia e della libertà.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene

Messaggioda Berto » mer gen 15, 2020 11:10 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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