Criticare l'Islam è una necessità vitale e civile primaria

Criticare l'Islam è una necessità vitale primaria, un dovere

Messaggioda Berto » dom nov 18, 2018 8:40 am

Libertà di parola, di pensiero, di critica, di spiritualità e di religione
viewtopic.php?f=141&t=2503
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8952000311


Libertà di pensiero, di critica e di espressione contro i dogmi e l'idolatria
viewtopic.php?f=201&t=2138


Libertà, spiritualità e religione, scienza, caso e fede
viewtopic.php?f=141&t=2657


Il tempio o la casa della libertà e della non credenza, della ragione e dello spirito universale dedicata a Ipazia, a Giordano Bruno, a Girolamo Savonarola, a Arnaldo da Brescia, a Oriana Fallaci, a Magdi Allam, a l'eretico Cristo, a tutti gli apostati e gli eretici morti per le loro idee e la nostra libertà.
viewtopic.php?f=24&t=1383


Per una carta universale dei diritti religiosi e spirituali
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » lun nov 19, 2018 7:33 am

Sharia o legge islamica per Maometto ed il Corano
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La sharia islamica è ANTICOSTITUZIONALE, non si può insegnare a scuola che islam sia uguale a bontà.
Cristiano Magdi Allam

I 99 nomi di Allah

Chiariamo innanzitutto che Allah non è il nome arabo che corrisponde al Dio unico dell’ebraismo e al Dio Uno e Trino del cristianesimo.
Allah era uno dei 360 idoli pagani preesistenti all’islam che Maometto ha monopolizzato, scegliendolo come unico dio da adorare ed escludendo gli altri 359 idoli, e ha personalizzato sostenendo che Allah rivelava solo a lui ciò che gli altri comuni mortali dovevano fare o non fare.

Chiariamo che Maometto non è stato un sant’uomo ma un predone del deserto, che negli ultimi dieci anni della sua vita, tra il 622 e il 632, fece un centinaio di razzie e guerre, a cui lui personalmente partecipò e in cui combatté, uccise, sgozzò e decapitò i suoi nemici, e fu particolarmente feroce con gli ebrei.
Chiariamo che i 99 nomi di Allah fanno emergere l’immagine di un dio violento e arbitrario.
Allah è “colui che costringe al suo volere”, “colui che umilia”, “colui che da la morte”, “colui che fa retrocedere”, “il vendicatore”, “colui che impedisce”, “il creatore del danno”.

Chiariamo che non c’è assolutamente nulla in comune tra il “Dio Padre” del cristianesimo, amorevole con i suoi figli, e l’Allah islamico, che è “Clemente è Misericordioso” solo con i “credenti”, che nel Corano sono solo i musulmani, mentre è vendicativo e violento con i “miscredenti”, che sono tutti i non musulmani, a partire dagli ebrei e i cristiani.

Chiariamo che non c’è assolutamente nulla in comune tra Allah e Gesù, che è il Figlio di Dio per i cristiani, mentre per l’islam è un semplice profeta che condanna il cristianesimo di miscredenza per la fede nella Trinità, che viene considerato inferiore a Maometto, che preannuncia l’avvento di Maometto quale Sigillo della Profezia.
Chiariamo infine che l’islam non è una religione riconosciuta dallo Stato italiano perché non ottempera alle due condizioni richieste dall’articolo 8 della nostra Costituzione, non avendo stipulato una Intesa con lo Stato e, soprattutto, essendo la “sharia”, la legge islamica, del tutto incompatibile con le nostre leggi laiche sui temi cruciali del rispetto della vita di tutti, della pari dignità tra uomo e donna, della libertà di scelta individuale compresa la libertà religiosa.
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Messaggioda Berto » sab nov 24, 2018 9:42 am

Il pericolo per la libertà? Viene dalle università occidentali

Marco Gervasoni
23 Nov 2018

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... 2Rc5fYpGBk

C’è un luogo in cui la libertà di parola e di pensiero è più minacciata: l’Università. Non stiamo parlando della Turchia, dell’Iran o della Cina. Erdogan, gli ayatollah e i dirigenti del Pc (che starebbe per Partito comunista) non fanno che applicare i vecchi canoni: nelle università non si può criticare il potere politico e quello religioso, e non lo possono fare fuori dalle sue mura neanche docenti e studenti, altrimenti si viene espulsi dall’ateneo e poi si finisce in galera. No, la minaccia alla libertà di cui vogliamo parlare è annidata nelle università del mondo occidentale, laddove essa è, storicamente, cresciuta. Stiamo parlando delle università americane e inglesi, le terre del free speech. Ma vogliamo anche denunciare l’esondazione di tale liquame sul continente e anche da noi, in Italia.

Non vale soffermarsi su singoli e tantissimi casi in cui, in atenei prestigiosi d’oltre oceano e d’oltre manica sono stati intimiditi, minacciati, coartati, quei docenti che osavano criticare il potere, a cui sono stati impediti convegni, e chiuse iniziative, riviste, blog, corsi: fino a chiedere il loro licenziamento, che in alcuni casi è stato ottenuto. Di queste tristi vicende la stampa italica, sempre pronta a trovare la pagliuzza nella trave del nemico e invece assai conciliante con l’amico, tace: ecco perché solo Giulio Meotti su Il Foglio, Francesco Borgonovo su La Verità, e Martino Loiacono su Atlantico, ci informano regolarmente su questa nuova caccia alle streghe. E’ davvero sconcio e intollerabile che Trump e May reprimano la libertà degli atenei! Alt, Wait. La caccia alle streghe di cui stiamo parlando non la promuovono i governi. Semmai, a esser vittima dei nuovi Inquisitori (senza offesa per quelli storici, che erano fior di figure) sono oggi proprio i docenti e gli studenti che simpatizzano per il governo, nel caso americano per Trump. La realtà rovesciata: una volta venivi perseguitato se eri contro il potere politico, oggi se lo difendi.

Il presidente americano incarna il governo federale e anche il potere politico, certo. Ma c’è un altro potere, assai più influente e pericoloso perché pervasivo e non sottomesso a nessuna volontà democratica: il potere dei mandarini della cultura, che hanno occupato in maniera militare negli ultimi decenni i media, i giornali e le università. Gli eredi del commissario politico di staliniana e maoista memoria (molti dei quali maoisti in gioventù) non credono più nel comunismo come i loro padri ma nel progressismo liberal globalista: una fede secolarizzata, una religione politica che non ammette eresia e deviazione dalla linea. Si definiscono liberal o liberali ma la matrice dei loro ragionamenti e delle loro azioni renderebbe orgogliosi Stalin e Mao. I novelli mandarini liberal sono totalitari, ma liberali. Che il totalitarismo non fosse finito nell’Europa occidentale nel 1945 e in quella orientale nel 1989 e che tale modus ragionandi potesse convivere con una forma degenerata di liberalismo, l’hanno spiegato figure diverse come Hannah Arendt, Claude Lefort e soprattuto Augusto Del Noce. Ma ai loro tempi il totalitarismo liberale era solo in nuce e gli studenti e i professori che minacciavano chi non la pensava come loro si rifacevano ad altre tradizioni: Lenin, Stalin, Mao.

La storia è un insieme di processi ciclici, in cui dobbiamo sempre riconoscere gli elementi nuovi presenti in ogni ciclo. E se le contestazioni di fantomatiche organizzazioni studentesche, le complicità dei professori, la vigliaccheria o la malafede dei direttori e dei rettori si erano già viste negli Usa e in Europa occidentale negli anni sessanta e settanta, sbaglierebbe chi volesse interpretare la nuova caccia alle streghe come un semplice coda del passato. Oggi i novelli Inquisitori sono mossi dal culto della identità etnica e di genere, dalla religione politica multiculturalista e dal feticismo dei diritti, che impongono il rifiuto della storia, la battaglia contro la cultura occidentale, giudaico-cristiana, e la sua parificazione a quella dei popoli “sfruttati dall’imperialismo” (quindi Dante o Shakespeare valgono come oscuri poeti africani). E naturalmente la battaglia contro il fascismo, dove fascista è naturalmente chiunque non condivida i precetti della religione politica multiculturalista.

Chi aveva capito dove si stesse andando fu il saggista, e studioso universitario di letteratura, Alain Bloom già nel 1987, con il formidabile “The closing of the American Mind”. Per anni abbiamo creduto (o ci siamo illusi) che la dittatura dell political correctness fosse un caso americano, e pure limitato. Invece non è così. Oggi le facoltà umanistiche di buona parte degli atenei Usa sono dominate da questa dittatura, a cui partecipano, volonterosi o meno, convinti o meno, come carnefici i docenti (se fino a vent’anni fa un professore su tre si definiva conservatore, oggi siamo a uno su dieci). I campus son diventati scuole non di pensiero, ma di dittatura sul pensiero.

Il morbo si è esteso da anni nel Regno Unito, anche per ragioni economiche: molte cattedre sono finanziate da Paesi delle monarchie del Golfo, che però chiedono che l’Islam sia rispettato. Il che vuol dire concretamente, censurare Shakespeare e impedire che qualcuno possa scrivere (persino in una sede scientifica) che il colonialismo britannico in fondo qualche merito positivo l’ha avuto. Ma il controllo occhiuto dei vari Miniluv che devono fare rispettare i principi dell’IngSoc fissati da The Party (nelle università rettori e direttori di dipartimento) si estende anche al di fuori delle mura degli atenei: e invade la vita del docente, controllato in quello che scrive su giornali, social, e persino cosa riporta in conservazioni private! In diversi casi docenti di atenei americani e inglesi sono stati ripresi dai loro cosiddetti “superiori” (che poi non lo sono affatto) perché in una cena privata avevano criticato, chessò, il differenzialismo femministico o peggio avevano confessato di avere votato per Trump. Grazie alla delazione di qualche collega presente a tavola, che ha poi denunciato il misfatto alla organizzazione studentesca, fattasi quindi sentire presso le sfere che contano. “Le vite degli altri”, ma non siamo nella Ddr. Siamo a Princeton, a Oxford, a Parigi, e domani pure a Roma o a Bologna.

Naturalmente, come il Partito di “1984”, anche il nuovo regime del potere totalitario liberale ha fissato delle regole. Sono i codici etici. Norme generiche, regole di condotta a cui il docente dovrebbe attenersi, sempre e comunque, in aula e in biblioteca, nei rapporti con gli studenti ma anche con i suoi vicini di casa, e magari pure all’interno della propria coscienza. Sì, perché ci vogliono convincere che il docente, come un sacerdote, rappresenterebbe l’ateneo e la sua “onorabilità” ovunque, magari anche quando egli si reca alla toilette di casa propria. Cosa dicono queste norme, che un po’ in effetti ricordano lo Stato etico? Che il docente non deve manifestare razzismo, sessimo, pregiudizi alcuni, e deve dimostrare fedeltà alla democrazia. Il problema però è: chi decide se quanto detto o scritto sia razzismo? Quanto alla fedeltà alla democrazia, vogliamo distruggere più di duemila anni di pensiero politico di critica della democrazia? Di Platone non si deve parlare o lo si deve descrivere come il nemico della società aperta, secondo la caricatura che ne diede Popper? Risposta alle tre domande: a decidere cosa sia razzismo e sessismo sono i mandarini, mentre alle altre due domande il responso è un semplice: sì!

Quanto alla norma, essa è generica perché c’è sempre qualcuno che vuole applicare la massima giolittiana: le regole si applicano ai nemici, si interpretano per gli amici. E infatti spesso esse vengono utilizzate per liberarsi di colleghi sgraditi per ragioni di cabale e di piccolo potere accademico. Ma è questione secondaria. La maggior parte dei nuovi Inquisitori del politicamente corretto crede davvero in ciò che fa. Il loro afflato è genuino; pensano seriamente di stare portando la Luce e il Bene sulla Terra, questi novelli gnostici. Proprio come erano in buona fede Stalin, Mao, Pol Pot.

L’epidemia si sta espandendo. In Francia i casi sono già all’ordine del giorno. E in Italia? Anche qui si moltiplicano i segnali preoccupanti. In alcuni atenei si comincia a contestare i docenti perché non sottomessi al culto dei diritti, del gender, della “diversità”, temi su cui si cominciano a organizzare corsi. Così come alcuni Paesi del Medio Oriente prendono anche da noi a finanziare cattedre, che ovviamente non esaltano il lgbitismo, anzi. Ma promuovono un altro tipo di intolleranza, non molto diversa da quella degli adepti della correttezza politica. In questa fase, fautori del multiculturalismo e sostenitori della sharia e della sunna (che in arabo significa appunto codice di comportamento, come i codici etici degli atenei) vanno tatticamente a braccetto. Poi, quando grazie all’appoggio dei primi, i secondi avranno vinto, essi cominceranno a tagliare la lingua ai mandarini del multiculturalismo – in alcuni atenei britannici sta già accadendo.

La minaccia all’Occidente alberga anche e forse soprattutto nelle università occidentali. Chiunque vi si trovi, docente e studente, dovrebbe capire che la libertà di parola e di pensiero è il primo dei nostri valori. E che essa è minacciata dai nuovi mandarini del Big Brother. Quindi non dobbiamo concedere loro nulla, in nome di una malintesa volontà di dialogo o di quieto vivere, e dobbiamo combatterli anche se sono solo all’inizio. Perché una volta che la Bestia sarà cresciuta, tenderà a divorarci anche qui, come sta facendo in America e in Inghilterra.
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Messaggioda Berto » ven nov 30, 2018 7:09 am

Il pericolo per la libertà? Viene dalle università occidentali

Marco Gervasoni
23 Nov 2018

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... 2Rc5fYpGBk

C’è un luogo in cui la libertà di parola e di pensiero è più minacciata: l’Università. Non stiamo parlando della Turchia, dell’Iran o della Cina. Erdogan, gli ayatollah e i dirigenti del Pc (che starebbe per Partito comunista) non fanno che applicare i vecchi canoni: nelle università non si può criticare il potere politico e quello religioso, e non lo possono fare fuori dalle sue mura neanche docenti e studenti, altrimenti si viene espulsi dall’ateneo e poi si finisce in galera. No, la minaccia alla libertà di cui vogliamo parlare è annidata nelle università del mondo occidentale, laddove essa è, storicamente, cresciuta. Stiamo parlando delle università americane e inglesi, le terre del free speech. Ma vogliamo anche denunciare l’esondazione di tale liquame sul continente e anche da noi, in Italia.

Non vale soffermarsi su singoli e tantissimi casi in cui, in atenei prestigiosi d’oltre oceano e d’oltre manica sono stati intimiditi, minacciati, coartati, quei docenti che osavano criticare il potere, a cui sono stati impediti convegni, e chiuse iniziative, riviste, blog, corsi: fino a chiedere il loro licenziamento, che in alcuni casi è stato ottenuto. Di queste tristi vicende la stampa italica, sempre pronta a trovare la pagliuzza nella trave del nemico e invece assai conciliante con l’amico, tace: ecco perché solo Giulio Meotti su Il Foglio, Francesco Borgonovo su La Verità, e Martino Loiacono su Atlantico, ci informano regolarmente su questa nuova caccia alle streghe. E’ davvero sconcio e intollerabile che Trump e May reprimano la libertà degli atenei! Alt, Wait. La caccia alle streghe di cui stiamo parlando non la promuovono i governi. Semmai, a esser vittima dei nuovi Inquisitori (senza offesa per quelli storici, che erano fior di figure) sono oggi proprio i docenti e gli studenti che simpatizzano per il governo, nel caso americano per Trump. La realtà rovesciata: una volta venivi perseguitato se eri contro il potere politico, oggi se lo difendi.

Il presidente americano incarna il governo federale e anche il potere politico, certo. Ma c’è un altro potere, assai più influente e pericoloso perché pervasivo e non sottomesso a nessuna volontà democratica: il potere dei mandarini della cultura, che hanno occupato in maniera militare negli ultimi decenni i media, i giornali e le università. Gli eredi del commissario politico di staliniana e maoista memoria (molti dei quali maoisti in gioventù) non credono più nel comunismo come i loro padri ma nel progressismo liberal globalista: una fede secolarizzata, una religione politica che non ammette eresia e deviazione dalla linea. Si definiscono liberal o liberali ma la matrice dei loro ragionamenti e delle loro azioni renderebbe orgogliosi Stalin e Mao. I novelli mandarini liberal sono totalitari, ma liberali. Che il totalitarismo non fosse finito nell’Europa occidentale nel 1945 e in quella orientale nel 1989 e che tale modus ragionandi potesse convivere con una forma degenerata di liberalismo, l’hanno spiegato figure diverse come Hannah Arendt, Claude Lefort e soprattuto Augusto Del Noce. Ma ai loro tempi il totalitarismo liberale era solo in nuce e gli studenti e i professori che minacciavano chi non la pensava come loro si rifacevano ad altre tradizioni: Lenin, Stalin, Mao.

La storia è un insieme di processi ciclici, in cui dobbiamo sempre riconoscere gli elementi nuovi presenti in ogni ciclo. E se le contestazioni di fantomatiche organizzazioni studentesche, le complicità dei professori, la vigliaccheria o la malafede dei direttori e dei rettori si erano già viste negli Usa e in Europa occidentale negli anni sessanta e settanta, sbaglierebbe chi volesse interpretare la nuova caccia alle streghe come un semplice coda del passato. Oggi i novelli Inquisitori sono mossi dal culto della identità etnica e di genere, dalla religione politica multiculturalista e dal feticismo dei diritti, che impongono il rifiuto della storia, la battaglia contro la cultura occidentale, giudaico-cristiana, e la sua parificazione a quella dei popoli “sfruttati dall’imperialismo” (quindi Dante o Shakespeare valgono come oscuri poeti africani). E naturalmente la battaglia contro il fascismo, dove fascista è naturalmente chiunque non condivida i precetti della religione politica multiculturalista.

Chi aveva capito dove si stesse andando fu il saggista, e studioso universitario di letteratura, Alain Bloom già nel 1987, con il formidabile “The closing of the American Mind”. Per anni abbiamo creduto (o ci siamo illusi) che la dittatura dell political correctness fosse un caso americano, e pure limitato. Invece non è così. Oggi le facoltà umanistiche di buona parte degli atenei Usa sono dominate da questa dittatura, a cui partecipano, volonterosi o meno, convinti o meno, come carnefici i docenti (se fino a vent’anni fa un professore su tre si definiva conservatore, oggi siamo a uno su dieci). I campus son diventati scuole non di pensiero, ma di dittatura sul pensiero.

Il morbo si è esteso da anni nel Regno Unito, anche per ragioni economiche: molte cattedre sono finanziate da Paesi delle monarchie del Golfo, che però chiedono che l’Islam sia rispettato. Il che vuol dire concretamente, censurare Shakespeare e impedire che qualcuno possa scrivere (persino in una sede scientifica) che il colonialismo britannico in fondo qualche merito positivo l’ha avuto. Ma il controllo occhiuto dei vari Miniluv che devono fare rispettare i principi dell’IngSoc fissati da The Party (nelle università rettori e direttori di dipartimento) si estende anche al di fuori delle mura degli atenei: e invade la vita del docente, controllato in quello che scrive su giornali, social, e persino cosa riporta in conservazioni private! In diversi casi docenti di atenei americani e inglesi sono stati ripresi dai loro cosiddetti “superiori” (che poi non lo sono affatto) perché in una cena privata avevano criticato, chessò, il differenzialismo femministico o peggio avevano confessato di avere votato per Trump. Grazie alla delazione di qualche collega presente a tavola, che ha poi denunciato il misfatto alla organizzazione studentesca, fattasi quindi sentire presso le sfere che contano. “Le vite degli altri”, ma non siamo nella Ddr. Siamo a Princeton, a Oxford, a Parigi, e domani pure a Roma o a Bologna.

Naturalmente, come il Partito di “1984”, anche il nuovo regime del potere totalitario liberale ha fissato delle regole. Sono i codici etici. Norme generiche, regole di condotta a cui il docente dovrebbe attenersi, sempre e comunque, in aula e in biblioteca, nei rapporti con gli studenti ma anche con i suoi vicini di casa, e magari pure all’interno della propria coscienza. Sì, perché ci vogliono convincere che il docente, come un sacerdote, rappresenterebbe l’ateneo e la sua “onorabilità” ovunque, magari anche quando egli si reca alla toilette di casa propria. Cosa dicono queste norme, che un po’ in effetti ricordano lo Stato etico? Che il docente non deve manifestare razzismo, sessimo, pregiudizi alcuni, e deve dimostrare fedeltà alla democrazia. Il problema però è: chi decide se quanto detto o scritto sia razzismo? Quanto alla fedeltà alla democrazia, vogliamo distruggere più di duemila anni di pensiero politico di critica della democrazia? Di Platone non si deve parlare o lo si deve descrivere come il nemico della società aperta, secondo la caricatura che ne diede Popper? Risposta alle tre domande: a decidere cosa sia razzismo e sessismo sono i mandarini, mentre alle altre due domande il responso è un semplice: sì!

Quanto alla norma, essa è generica perché c’è sempre qualcuno che vuole applicare la massima giolittiana: le regole si applicano ai nemici, si interpretano per gli amici. E infatti spesso esse vengono utilizzate per liberarsi di colleghi sgraditi per ragioni di cabale e di piccolo potere accademico. Ma è questione secondaria. La maggior parte dei nuovi Inquisitori del politicamente corretto crede davvero in ciò che fa. Il loro afflato è genuino; pensano seriamente di stare portando la Luce e il Bene sulla Terra, questi novelli gnostici. Proprio come erano in buona fede Stalin, Mao, Pol Pot.

L’epidemia si sta espandendo. In Francia i casi sono già all’ordine del giorno. E in Italia? Anche qui si moltiplicano i segnali preoccupanti. In alcuni atenei si comincia a contestare i docenti perché non sottomessi al culto dei diritti, del gender, della “diversità”, temi su cui si cominciano a organizzare corsi. Così come alcuni Paesi del Medio Oriente prendono anche da noi a finanziare cattedre, che ovviamente non esaltano il lgbitismo, anzi. Ma promuovono un altro tipo di intolleranza, non molto diversa da quella degli adepti della correttezza politica. In questa fase, fautori del multiculturalismo e sostenitori della sharia e della sunna (che in arabo significa appunto codice di comportamento, come i codici etici degli atenei) vanno tatticamente a braccetto. Poi, quando grazie all’appoggio dei primi, i secondi avranno vinto, essi cominceranno a tagliare la lingua ai mandarini del multiculturalismo – in alcuni atenei britannici sta già accadendo.

La minaccia all’Occidente alberga anche e forse soprattutto nelle università occidentali. Chiunque vi si trovi, docente e studente, dovrebbe capire che la libertà di parola e di pensiero è il primo dei nostri valori. E che essa è minacciata dai nuovi mandarini del Big Brother. Quindi non dobbiamo concedere loro nulla, in nome di una malintesa volontà di dialogo o di quieto vivere, e dobbiamo combatterli anche se sono solo all’inizio. Perché una volta che la Bestia sarà cresciuta, tenderà a divorarci anche qui, come sta facendo in America e in Inghilterra.
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Messaggioda Berto » ven nov 30, 2018 7:10 am

Germania, il sogno impossibile dell'Islam tedesco: la maggior parte dei musulmani rifiuta di integrarsi
Alessandra Benignetti - Gio, 29/11/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ger ... UyTWgjUArE

Le più importanti associazioni islamiche tedesche protestano contro la linea del governo che alla Conferenza Islamica della Germania ha chiesto maggiore "indipendenza dai finanziamenti stranieri" per moschee e imam

All’inaugurazione della Conferenza Islamica della Germania, in corso a Berlino, il ministro degli Interni tedesco, Horst Seehofer, ha assicurato che “i musulmani fanno parte della Germania”.

Le parole del ministro bavarese, però, non convincono le organizzazioni islamiche più radicali presenti nel Paese. E non solo perché fu lui, subito dopo essersi insediato, ad affermare senza esitazione che “l’Islam non appartiene alla Germania”, provocando una vera e propria levata di scudi. La questione al centro dell'incontro, che ha per obiettivo quello di promuovere l’integrazione dei 4 milioni e mezzo di musulmani che vivono nel Paese dinanzi alla sfida ancora incalzante del fondamentalismo, è che non tutti i musulmani tedeschi sono disposti ad integrarsi. O meglio, non tutti accettano la linea del governo che propone che gli imam si formino in Germania e che le moschee inizino ad auto-finanziarsi, rendendosi così “indipendenti dai finanziamenti stranieri”. Il riferimento, neppure troppo velato, è alla Turchia e all’Arabia Saudita.

Ad opporsi, neanche a dirlo, sono quattro associazioni conservatrici, determinate a difendere lo status quo. Tra queste c’è la principale organizzazione islamica della Germania, l’Unione turco-islamica per gli affari religiosi (DITIB), che accusa il ministro di voler “creare un islam tedesco”. L'associazione, neanche a dirlo, è espressione diretta del Diyanet, la Direzione per gli affari religiosi di Ankara, che mantiene economicamente oltre 900 moschee tedesche. Alcuni scandali che l’hanno coinvolta, come quello del controllo degli imam su alcuni oppositori politici del governo turco o dei bambini fatti sfilare in uniforme in alcuni centri islamici, assieme alla vicinanza con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sono costati all’organizzazione la sospensione della collaborazione con le istituzioni tedesche, in particolare nel Nord Reno-Westfalia, dove ha sede.

Insomma, sebbene alcuni dati citati da Italia Oggi confermino che almeno il 40% dei musulmani tedeschi possa essere definito di orientamento liberale, i gruppi islamici moderati continuano ad essere presi di mira. Seyran Ates, ad esempio, imam donna che ha inaugurato una moschea a Berlino dove si prega senza distinzione di genere, riceve continuamente minacce di morte. E a subire intimidazioni da parte dei musulmani più osservanti sono anche le organizzazioni che promuovono un islam laico, come quella di Cem Ozdemir.

Del resto, gli stessi dati rivelano che all’interno della comunità musulmana maggiormente integrata, quella turca, l’82% considera maggiore l’attaccamento alla sua patria d’origine, la Turchia, piuttosto che quello alla Germania. L’Islam tedesco, insomma, è ancora lontano dall’essere accettato.


Islam e islamici dove sta il problema?
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https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... nref=story
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Messaggioda Berto » lun dic 17, 2018 7:46 am

PAKISTAN Punjab, condannati a morte per blasfemia due fratelli cristiani
AsiaNews.it
14/12/2018

http://www.asianews.it/notizie-it/Punja ... 45748.html

Qaisar e Amoon Ayub sono rinchiusi nel carcere di Jhelum dal 2015. La lettura della sentenza si è svolta in carcere per motivi di sicurezza. Avvocati: “Il rischio è un altro caso come quello di Asia Bibi”.

Lahore (AsiaNews/Agenzie) – Due fratelli cristiani sono stati condannati a morte in Pakistan con l’accusa di blasfemia. Si tratta di Qaisar e Amoon Ayub, cittadini di Lahore, arrestati nel 2015 dopo che uno dei due era stato accusato di possedere materiale offensivo nei confronti dell’islam sul proprio sito internet. La notizia è stata diffusa oggi dal Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement (Class), organizzazione interconfessionale che offre sostegno legale gratuito alle vittime d’intolleranza religiosa nel Paese.

Qaisar è sposato con Amina e ha tre figli, mentre Amoon è sposato con Huma, insegnante della Cathedral School di Lahore. Le accuse contro i due fratelli risalgono ad un fatto accaduto nel 2011, ma i cristiani sostengono che il sito internet incriminato fosse disattivo almeno dal 2009.

Dal momento dell’arresto i due sono rinchiusi nel carcere di Jhelum. Ieri proprio nel penitenziario, per motivi di sicurezza, si è svolta la lettura della sentenza del giudice distrettuale aggiunto Javed Iqbal Bosal. L’organizzazione Class, che difende i fratelli, ha annunciato che presenterà ricorso all’Alta corte di Lahore il prima possibile.

Nel Paese l’accusa di blasfemia scatena spesso la reazione violenta dei radicali islamici, che impedicono il funzionamento dei tribunali e minacciano i giudici. Nasir Saeed, direttore di Class, afferma: “A causa delle minacce dei fondamentalisti, i tribunali di grado inferiore passano la responsabilità alle Alte corti e queste impiegano anni prima di provare l’innocenza dell’accusato. È quello che abbiamo visto con il recente caso di Asia Bibi”.
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Messaggioda Berto » ven dic 21, 2018 8:52 pm

"L'islam deve sottomettersi alla legge". E la giornalista viene minacciata di morte
Alessandra Benignetti - Ven, 21/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lis ... 19869.html

L'ex firma di Charlie Hebdo, Zineb el Rhazoui, minacciata di morte. Pasionaria laica, è finita nel mirino degli islamisti per la seconda volta in meno di tre mesi

È bastata una semplice frase sulla religione islamica pronunciata dalla ex giornalista del settimanale satirico parigino Charlie Hebdo, Zineb el Rhazoui, a scatenare un putiferio nella comunità musulmana di Francia.

“Bisogna che l’Islam si sottometta alla critica, allo humor, alle leggi della Repubblica, al diritto francese”, aveva detto l'opinionista franco-marocchina intervistata dall’emittente CNews, commentando come non sia possibile “sconfiggere l’ideologia islamista dicendo alle persone che l’Islam è una religione di pace e amore”. Sono bastati pochi minuti e il profilo Twitter della donna, che già vive sotto scorta per le sue prese di posizione contro il radicalismo, è stato riempito di insulti e minacce di morte. Non è mancato neppure chi ha invocato lo stupro per punire la giornalista, rea di avere espresso un’opinione non in linea con quelle dei musulmani più radicali.

Tutti i messaggi, secondo quanto riferisce Le Figaro, sono stati trasmessi alle forze dell’ordine, che hanno aperto un’inchiesta sull’accaduto dopo che la donna ha sporto denuncia. Non è la prima volta che accade. Soltanto tre mesi fa la giornalista di origini marocchine era finita nel mirino degli integralisti per aver sostenuto, ospite della trasmissione “Punchline”, che le donne velate con il loro comportamento avallerebbero la stessa “ideologia islamica radicale” che si cela dietro il “terrorismo”. Frase, questa, che le è costata una denuncia da parte del Collettivo contro il razzismo e l’islamofobia.

“Spero che gli autori di questi messaggi siano identificati e messi davanti alle proprie responsabilità”, ha dichiarato la Rhazoui, che nonostante la campagna d’odio scatenata nei suoi confronti non ha fatto marcia indietro sulle sue parole. Anzi, sulla stessa rete televisiva le ha definite “di buon senso”, ribadendo che l’Islam “deve sottomettersi alla legge, alla ragione e alla critica, come tutte le altre religioni”. “Quattro anni dopo l’attentato a Charlie Hebdo, la situazione è peggiorata”, ha commentato a Le Figaro, denunciando anche il mancato sostegno degli intellettuali della gauche, che non condividono la sua battaglia, considerata forse troppo poco politically correct.
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Criticare l'Islam è una necessità vitale primaria, un dovere

Messaggioda Berto » gio dic 27, 2018 4:28 am

Charlie Hebdo
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Hans Teuween e le sorelle Alariachi
https://www.facebook.com/Islamicamentan ... 4352270292

Islamicamentando
20 dicembre alle ore 09:15

- Alcuni anni prima della strage Jihadista nella sede di Charlie Hebdo: prove tecniche di censura islamica nei Paesi Bassi.

Le sorelle Alariachi cercano di mettere Hans Teuween alle corde per sopprimere la libertà di parola nel nome del politicamente corretto asservito all’Islam, ma lui non cede e ribatte colpo su colpo.

Credits: AustralianNeoCon1 (YouTube)

[Kafir Soul]


Hans Teeuwen - Echte Rancune - Islam
https://www.youtube.com/watch?v=pdDK-mSHAx8

https://en.wikipedia.org/wiki/Hans_Teeuwen

Sorelle Alariachi
https://nl.wikipedia.org/wiki/Esmaa_Alariachi
https://nl.wikipedia.org/wiki/Jihad_Alariachi
https://nl.wikipedia.org/wiki/Hajar_Alariachi




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Criticare l'Islam è una necessità vitale primaria, un dovere

Messaggioda Berto » gio gen 03, 2019 11:45 am

Come giustamente reclamato da alcuni amici ripubblico questo articolo di Giulio Meotti che è uno dei pochi veri giornalisti coraggiosi dei nostri tempi
Emanuel Segre Amar
28 dicembre 2018

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 2497284178
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Criticare l'Islam è una necessità vitale primaria, un dovere

Messaggioda Berto » gio gen 03, 2019 11:46 am

La sinistra superlaica non è capace di dire "terrorismo islamico"
Matteo Sacchi - Gio, 03/01/2019

http://www.ilgiornale.it/news/spettacol ... 23667.html


Avete fatto caso, potete rendervene conto attentato dopo attentato, che moltissimi leader politici, soprattutto di sinistra, non riescono a pronunciare le parole «terrorismo islamico»? Fanno altrettanta fatica a parlare di jihadismo, di islamismo radicale o di islam violento.

Il fenomeno si estende anche a molti intellettuali, soprattutto di sinistra. Un esempio per tutti: il documentario 13 novembre: attacco a Parigi dei registi Jules e Gédéon Naudet è molto bello. Però in ore di interviste ai superstiti all'attacco contro la capitale francese, nel 2015, non una sola volta viene raccontata con chiarezza la matrice islamica dell'attentato.

Da cosa nasce questa bizzarra forma di amnesia che rende incapaci, soprattutto a sinistra, di chiamare per nome le cose? Lo spiega bene un saggio, appena pubblicato in Italia, del giornalista francese Jean Birnbaum: Musulmani di tutto il mondo, unitevi! La sinistra di fronte all'Islam (Leg, pagg 170, euro 17). La tesi di Birnbaum, che ha analizzato tutto il dibattito francese in materia - l'Italia è praticamente l'unico paese in cui non se ne parla -, è semplice. A rendere cieca la sinistra è la svalutazione a prescindere della religione.

Cresciuti in un mondo laico, molti intellettuali non riescono a vedere come reale un movente religioso. Men che meno i politici che si aggrappano alla sociologia («è una rivolta degli esclusi») oppure alla banalizzante spiegazione psichiatrica: «Sono dei pazzi che si nascondono sotto una mentita matrice religiosa». Birnbaum dimostra con un sacco di esempi che spesso i terroristi sono tutt'altro che esclusi. Men che meno è possibile etichettarli come maniaci: hanno idee chiare che partono da una precisa matrice religiosa. Questo non significa far di tutti gli islamici un fascio. Ma far finta che la questione non sia «islamica» rende impossibile risolverla. Nell'islam è in corso una guerra civile, far finta che non ci sia aiuta gli estremisti.
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