Criticare l'Islam è una necessità vitale e civile primaria

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Messaggioda Berto » dom nov 24, 2019 9:09 pm

Salman Rushdie: la morte alle calcagna
Salman Rushdie e i Versetti satanici

https://www.arte.tv/it/videos/083938-00 ... Pub3QNR8XQ

Salman Rushdie racconta la sua infanzia, la sua carriera di scrittore ed in particolare quel decennio da clandestino, in cui dovette cambiare domicilio 56 volte e scampò a una ventina di tentati omicidi. Sono passati trent’anni dalla fatwa con cui lo colpì l’ayatollah Khomeyni dopo la pubblicazione di “Versetti Satanici”: non sono bastati per fargli perdere l’ironia, l’amore per i libri e per la vita.


Alberto Pento
Ma non sono come te contro Trump e sto con Trump!
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Messaggioda Berto » sab nov 30, 2019 9:24 am

La Repubblica islamica dell'Iran avverte che il rogo del Corano in Norvegia potrebbe avere "conseguenze pericolose"
29 Novembre 2019

https://www.islamnograzie.com/la-repubb ... X7c2kFrtrQ

I tentativi di intimidire l’Occidente nel criminalizzare le critiche all’Islam continuano, con incidenti come quello della Norvegia usato come pretesto.

Teheran ha convocato il suo inviato norvegese per esprimere “una forte protesta” per un Corano dato alle fiamme in una manifestazione anti-musulmana in Norvegia, unendosi al Pakistan per condannare ciò che riteneva un incitamento all’odio e alla divisione.

Il ministero degli Esteri iraniano ha rilasciato una dichiarazione lunedì avvertendo che il rogo del Corano potrebbe avere “conseguenze pericolose nella diffusione dell’estremismo e della violenza” e ha insistito sul fatto che l’autore sia punito.

È impossibile insultare le credenze e le santità di oltre 1,5 miliardi di musulmani nel mondo con il pretesto della libertà di espressione.

Affair norvegese, che attualmente si trova a Teheran al posto di un ambasciatore, ha detto che avrebbe trasmesso il messaggio a Oslo, aggiungendo che il suo governo non approva la prodezza, che ha avuto luogo in una manifestazione politica nella città di Kristiansand la scorsa settimana ….

Oltre alle denunce presentate in Iran e Pakistan, il Ministero degli Esteri turco ha anche partecipato alla denuncia dell’atto, affermando: “Condanniamo fermamente la mancanza di rispetto per il nostro libro sacro“.



Denuncia singola e collettiva della dottrina politico religiosa islamica, del suo orrore e terrore, della sua violazione dei Diritti Umani Universali
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2042

L'Islam è una dottrina e un culto politico-religioso che sparge odio, discriminazione e razzismo specialmente all'interno delle moschee e istiga all'odio, alla discriminazione, alla persecuzione, all'omicidio e allo sterminio dei non islamici, dei diversamente religiosi e dei diversamente pensanti.
È una dottrina e un culto politico-religioso che ha alla base il nazismo dell'umma mussulmana che è ben esemplificata dalla vita e dalle opere di Maometto e ben codificata nel su testo base il Corano.
Questa dottrina e culto politico-religioso è un crimine contro l'umanità, molto peggiore del nazismo tedesco va denunciata in ogni procura di ogni stato europeo, affinché venga messa al bando.
Dobbiamo chiamare tutte le magistrature europee a fare il loro dovere per difendere i nostri diritti umani universali di europei, la nostra vita e la nostra civiltà e se non lo fanno dobbiamo farlo noi.
Dobbiamo denunciare l'Islam, il Corano, Maometto, gli iman e le moschee per calunnia, diffamazione, minaccia, offese e ingiurie, per violazione dei Diritti Umani Universali e per istigazione alla discriminazione e all'odio razziale etnico-religioso, per istigazione alla guerra civile, per favoreggiamento del terrorismo islamico.
Ognuno nel suo paese e nella sua città si organizzi e si trovi qualche esperto avvocato con qui preparare delle articolate e precise denunce da presentare in ogni procura europea. Si inizi anche ad accusare pubblicamente i cristiani e le gerarchie cristiane, a cominciare dal Papa, di favoreggiamento del nazismo islamico come giustamente fa Magdi Allam da molto tempo dandoci il buon esempio e come ha fatto la umanissima e nobilissima Oriana Fallaci.



Allah non è Dio e Maometto non è un profeta di Dio
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2815

Allah non è Dio e Maometto non è un profeta di Dio perché Dio non ha profeti;
Maometto è solo il profeta dell'idolo Allah, l'idolo che lui presuntuosamente, demenzialmente, blasfemamente, ha fatto passare per Dio.
Credere in Maometto e in Allah non è credere in Dio ma in un idolo;
un idolo disumano di morte, dell'orrore e del terrore, da bandire in modo assoluto;
un idolo mostruoso posto al centro di una idolatria/ideologia politico religiosa che è un virus mortale per lo spirito, per la religiosità e per la buona politica universale della libertà, della pace, della fraternità, della vita.


La Sharia non è la legge divina che è naturale, universale e comune, la Sharia è solo la legge di Maometto e del suo idolo Allah.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2815

Maometto (santo o criminale terrorista ?)
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2030

Il maomettismo e i maomettani o l''Islam e gli islamici sono una minaccia, una offesa, un'ingiuria, un pericolo per l'umanità intera
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 5512703312
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2667

Bandire l'Islam prima che distrugga l'Europa e il Mondo
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2374
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Messaggioda Berto » mar gen 14, 2020 6:50 pm

Angela Merkel: La liberta` di parola deve essere ridotta per mantenere la societa` libera
1 dicembre 2019

https://neovitruvian.wordpress.com/2019 ... Ygu_cNzke8

Aspetta, aspetta….cosa???

La cancelliera tedesca Angela Merkel afferma che la libertà di espressione deve essere ridotta per mantenere la società libera.

Sì davvero.

“Per tutti coloro che affermano di non poter più esprimere la propria opinione, lo dico loro; Se esprimite un’opinione forte, dovrete convivere con il fatto che sarete contraddetti ”, ha dichiarato la Merkel durante un discorso al parlamento tedesco.

“La libertà di espressione ha dei limiti”, ha aggiunto, mentre è possibile sentire alcuni membri del Bundestag esprimere il loro disaccordo.

“Questi limiti iniziano dove si diffonde l’odio, iniziano dove viene violata la dignità delle altre persone. Questa casa dovrà opporsi alle parole degli estremisti, altrimenti la nostra società non sarà più la società libera di oggi “, ha affermato la Merkel.

Naturalmente, ciò che “viola” la “dignità” delle altre persone è completamente soggettivo e potrebbe includere ogni tipo di discorso che la maggior parte delle persone troverebbe perfettamente accettabile.

Il dibattito sulla libertà di parola in Germania si è intensificato da quando il paese ha accettato oltre un milione di migranti dal Medio Oriente e dal Nord Africa dal 2015 in poi.

Molti tedeschi sono stati additati con l’accusa di incitamento all’odio per aver sottolineato “fatti di odio” come quelli riguardanti i migranti che sono responsabili di crimini e aggressioni sessuali

Ciò è accaduto nonostante anche i numeri del governo tedesco mostrassero che i crimini violenti in Germania sono aumentati del 10% tra il 2015 e il 2016 e che oltre il 90% dell’aumento sia attribuibile a giovani “rifugiati”.

I legislatori di una zona della Germania hanno persino tentato di approvare una legge che avrebbe incarcerato le persone per aver insultato l’inno dell’UE o bruciato la bandiera dell’UE.


https://summit.news/2019/11/29/angela-m ... iety-free/
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Messaggioda Berto » mar gen 14, 2020 6:51 pm

Nuovi guai per Marinelli, il prof che osò criticare l'islam a scuola
Roberto Vivaldelli - Mar, 14/01/2020

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... i2H8INrXoY


L'odissea giudiziaria del professor Pietro Marinelli, il docente già sospeso per 7 giorni a causa delle sue parole sull'islam pronunciate a scuola il 31 maggio 2017: ora è stato rinviato a giudizio per "vilipendio"

Quel giudizio negativo sull'islam sta costando molto caro al professor Pietro Marinelli, già docente di Diritto ed Economia all'Istituto superiore “Falcone-Righi” di Corsico, piccolo comune nell'hinterland milanese.

Tutto ha inizio, come raccontava IlGiornale.it, il 31 maggio del 2017. Il professore entra in una classe quinta per la lezione di diritto internazionale e, come le buone maniere prevedono, quando fa il suo ingresso in aula gli studenti si alzano in piedi. Tutti, tranne una: un'alunna 18enne di origine egiziana che si giustifica affermando di essere in periodo di ramadan. Ne nasce una discussione. "Una pratica religiosa non ti dà certo diritto di non rispettare una consuetudine dell'Istituto", fa notare il docente. Non poteva immaginare sarebbe stato l'inizio di un incubo. "Per sviluppare il suo senso critico ho provato a chiederle cosa significasse il ramadan. E lei sosteneva fosse solo un periodo di riflessione. Le ho detto che non è così. Che viene celebrato per ricordare la discesa dal cielo del Corano, parola increata di Allah". Marinelli spiega l'origine e il significato del rito musulmano, accennando però valutazioni critiche nei confronti dell'islam stesso e di una pratica di digiuno che, a suo parere, "non sembra umana".

Critiche inaccettabili per la famiglia della ragazza. Poche ore dopo la madre scrive una lettera alla preside, Maria Vittoria Amantea e denuncia l'episodio: si tratterebbe, a suo dire, di "intolleranza religiosa". Nella missiva vengono riportate alcune frasi che Marinelli avrebbe pronunciato al fine di "offendere e sminuire" la fede musulmana. Fatto sta che ragazza presenta pure un esposto ai carabinieri e lo stesso farà la preside "a tutela dell'onorabilità dell'istituto". Per il professore arriva una punizione esemplare: sette giorni di sospensione e relativa decurtazione dello stipendio. Ma non è finita qua. Nel novembre dello stesso anno, Pietro Marinelli finisce nel registro degli indagati con l'accusa di discriminazione e odio razziale. Ora, come racconta La Verità, a due anni e mezzo di distanza dai fatti, l'incredibile vicenda di Marinelli si arricchisce di un nuovo tassello giudiziario. Due giorni fa, infatti, il professore è stato chiamato a ritirare una richiesta di rinvio a giudizio per vilipendio nei confronti della ragazza, come lui ha stesso ha raccontato sulla sua pagina Facebook.

"Il vero problema - scrive con tono sarcastico - dovreste saperlo, è che non si critichi l'islam! La questione più importante è il rispetto della religione musulmana, che nessuno deve permettersi di mettere in dubbio e nessuno deve osare dire che si tratta di un'invenzione artificiosa di un individuo che ha organizzato e diretto personalmente diciotto guerre e che ha avuto undici mogli". Interpellato dalla Verità il professor Marinelli, nel ribadire la sua ricostruzione dei fatti, fa notare che l'accusa sembra aver adottato un criterio quasi da islam politico, sovrapponendo persona e religione, singolo e comunità. Certo è che chi osa criticare l'islam a scuola e sfidare il politicamente corretto non ha vita facile.




Art. 403 codice penale - Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone

https://www.brocardi.it/codice-penale/l ... rt403.html


Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone

Dispositivo dell'art. 403 Codice penale

(1) Chiunque pubblicamente [266 4] offende [la religione dello Stato] una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. (2).

Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende [la religione dello Stato] una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto[406].
Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dalla l. 24 febbraio 2006, n. 85 (art. 7), che ha provveduto ad unificare nella tutela apprestata da tale disposizione tutte le confessioni religiose, eliminando quindi la disparità di trattamento tra la religione cattolica e le altre, già sollevata dalla Corte Costituzionale con sen. 18 aprile 2005, n. 168

(2) Data la natura di reato a condotta libera, la giurisprudenza ne ha dilatato più volte l'ambito di applicazione, suscitando così censure di incostituzionalità, in quanto sarebbe incompatibile con il principio di determinatezza della fattispecie penale, nonchè con quello che garantisce la libera manifestazione del pensiero.




Ratio Legis

La dottrina maggioritaria propende per considerare oggetto di tutela la religione quale bene della collettività, mentre altri ritengono che ci si riferisca alla personalità del fedele e del ministro di culto.


Spiegazione dell'art. 403 Codice penale

La norma punisce chi offenda qualsiasi confessione religiosa, mediante una condotta di vilipendio nei confronti di chi la professa.

Il vilipendere non si identifica con la mera critica, anche aspra, nei confronti della religione, ma solamente con la critica che ecceda i limiti di decoro e correttezza e del prestigio della stessa.

Secondo la comune interpretazione, il vilipendio consiste nel tenore a vile, nel ricusare qualsiasi valore etico, sociale o politico all'entità contro cui è diretta la manifestazione, così da negarle ogni prestigio, rispetto e fiducia, in modo da indurre i destinatari della manifestazione al disprezzo della religione stessa.

Non è per contro necessario che le espressioni offensive siano rivolte a destinatari determinati, essendo sufficiente la indistinta riferibilità alla generalità degli aderenti alla confessione religiosa.

Viene richiesto il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di offendere gravemente una data religione, con la consapevolezza dell'accezione offensiva delle espressioni.

Al seconda comma la pena pecuniaria è aumentata qualora oggetto di scherno o vilipendio sia un ministro di culto.


Massime relative all'art. 403 Codice penale

Cass. pen. n. 41044/2015

In materia religiosa, la critica è lecita quando - sulla base di dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati - si traduca nella espressione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico, risultante da una indagine condotta, con serenità di metodo, da persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione, mentre trasmoda in vilipendio quando - attraverso un giudizio sommario e gratuito - manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione cattolica, disconoscendo alla istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di valore e di pregio ad essa riconosciute dalla comunità, e diventi una mera offesa fine a se stessa. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito che aveva ravvisato il reato di cui all'art. 403 cod. pen. nella condotta di imputato il quale aveva realizzato ed esposto nel centro di Milano un trittico raffigurante il Papa ed il suo segretario personale accostati ad un pene con testicoli con la didascalia "Chi di voi non è culo scagli la prima pietra").

Cass. pen. n. 10535/2009

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 403 cod. pen. (offese ad una confessione religiosa dello Stato mediante vilipendio di persone) non occorre che le espressioni offensive siano rivolte a fedeli ben determinati, ma è sufficiente che le stesse siano genericamente riferibili alla indistinta generalità degli aderenti alla confessione religiosa. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha precisato che la norma protegge il sentimento religioso di per sè, sanzionando le pubbliche offese verso lo stesso, attuate mediante vilipendio dei fedeli di una confessione religiosa o dei suoi ministri).

Cass. pen. n. 12261/1987

Il reato di offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone, di cui all'art. 403 c.p., non può assolutamente dirsi abrogato dal nuovo concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede per il fatto che le altre parti abbiano concordemente ritenuto che la religione cattolica apostolica romana non è più la religione dello Stato, ma libera religione al pari degli altri culti ammessi nello Stato medesimo. Ciò perché, anche se tale reato risale ad un tempo in cui diverso era il contesto sociale e politico, non può affermarsi, solo per quanto sopra detto, che lo Stato non accordi più, alla religione della stragrande maggioranza degli italiani, quella protezione che, per effetto del successivo art. 406 c.p. (delitti contro i culti ammessi nello Stato), tuttora accorda agli altri culti ammessi, di minore diffusione. Inoltre può rilevarsi, con richiamo al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, che la minor pena prevista per chi pubblicamente offende un culto diverso dalla religione cattolica non lede tale principio, ma rientra nel potere insindacabile e discrezionale del legislatore e trova comunque giustificazione nella maggior diffusione di quella religione rispetto al primo.



La Danimarca abolisce il reato di vilipendio alla religione
05 giugno 2017

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 3b04e.html

Il Parlamento danese ha abolito l’articolo del Codice penale che punisce il reato di vilipendio alla religione. A favore del provvedimento hanno votato tutti i partiti ad eccezione dei social-democratici. L’articolo prevedeva un'ammenda pecuniaria o 4 mesi di reclusione. Secondo i relatori del disegno di legge, il pensiero religioso, alla pari di qualsiasi altra corrente del pensiero, deve essere aperto alla critica. L’ex ministro della Giustizia e leader dei conservatori, Søren Pape Poulsen, ha dichiarato che la libertà di espressione è più importante dei sentimenti religiosi.

L’attuale Codice penale danese è stato approvato nel 1930 e da allora le condanne emesse per vilipendio sono state due: una nel 1938 contro nazisti danesi che distribuivano volantini antisemiti, l'altra 2015 quando un uomo ha bruciato una copia del Corano e postato il video su Facebook. Il processo avrebbe dovuto iniziare nel mese di giugno di quest’anno ma ora non si celebrerà più.

Il reato di vilipendio alla religione era stato inserito nella legislazione danese nel 1683 e finora la Danimarca era rimasta l’unico tra i paesi scandinavi a prevedere questo tipo di atto delittuoso.




Oliviero Toscani condannato per vilipendio alla religione
Alessandria Oggi
31 Luglio 2019

https://www.alessandriaoggi.info/sito/2 ... religione/


Milano – La battaglia di Pro Vita & Famiglia – insieme con Giuristi per la Vita – per la tutela di una civiltà di giustizia, verità e rispetto è stata per ora vinta. Una vittoria che ha dato ragione, in primo grado, a chi si è giustamente indignato per le blasfemie e le offese del fotografo Oliviero Toscani contro la religione cattolica e l’iconografia religiosa.
Il 2 maggio del 2014, infatti, intervenendo nella trasmissione radiofonica “La Zanzara” e interpellato dai conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo sul tema della pedofilia nella Chiesa, il fotografo si è lasciato andare ad offese e accuse pesanti, con la metafora di essere un marziano atterrato in una chiesa.
“Vedi uno inchiodato alla croce – disse – un altare con bambini nudi che volano… Poi quell’altro sanguinante… la Chiesa sembra un club sadomaso”. Toscani, inoltre, accusò Papa Francesco di dire “cose banali” e Papa Giovanni Paolo II, canonizzato qualche anno prima, di essere “un assassino che era contro il preservativo in Africa».
Frasi che non lasciavano spazio all’interpretazione e non potevano essere etichettate come “semplice” cattivo gusto. Toscani è stato condannato in primo grado, su richiesta del pm Stefano Civardi, ad una multa di 4.000 euro per vilipendio della religione cattolica.



Oliviero Toscani: "Io condannato per vilipendio alla religione e paragonato ad un imam fondamentalista. Ricorrerò alla Consulta"
Il fotografo dovrà pagare 4mila euro di contravvenzione per le dichiarazioni fatte durante la trasmissione La Zanzara. "Ecco il prezzo per la libertà di opinione, perché in Italia non siamo ancora un paese laico"
di CATERINA PASOLINI
22 ottobre 2019

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/ ... 239217708/


“Io sono credente, a modo mio. Sono religiosamente laico, ma soprattutto sono per la libertà di pensiero, di critica. Mi offende ritrovarmi condannato per vilipendio della religione e dei papi, quando ho fatto solo critiche estetiche o di scelte politiche, non certo in materia religiosa. Mi sembra assurdo essere paragonato ad un imam fondamentalista io che sono un libertario. La verità è che noi in Italia non siamo ancora un paese laico, anzi siamo tornati indietro di decenni. Ma non mi arrendo: farò ricorso con la mia avvocata Caterina Malavenda , mi rivolgerò alla Corte Costituzionale anche alla Corte europea. In nome della libertà di opinione, perché così non si può andare avanti”.

Oliviero Toscani, fotografo la “cui spiritualità si specchia nei silenzi delle sue immagini” secondo Francesco Merlo e nelle cui opere Pierpaolo Pasolini intravvedeva “un’intensità e una innocenza di tipo assolutamente nuovo”, è un fiume di parole. Artista dello scatto e della provocazione, da sempre ha un rapporto contrastato e combattivo con la chiesa ufficiale, le gerarchie. Da quel primo scatto con la scritta “chi mi ama mi segua” per pubblicizzare i Jesus jeans negli anni ‘70, all’ultima condanna che arriva dal tribunale di Milano: quattro anni dopo un dialogo alla trasmissione radiofonica La zanzare, nota per i suoi intenti provocatori. Le accuse: offesa alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa e dei ministri di culto e di cose costituenti oggetti di culto.

Condannato a 4mila euro di multa...
”Ecco cosa servono i soldi qui, a comprarsi il diritto di esprimere le proprie idee, a garantirsi la libertà di pensiero”.

Dicono che ha usato una aggressività dialettica “pari al peggiore linguaggio propagandistico di un predicatore del fondamentalismo islamista”.
“No voglio commentare la sentenza e chi l’ha fatta. Dico solo che io sono laico, sono un fotografo. In quella trasmissione ho semplicemente raccontato l’impressione che farebbe ad un marziano, e quindi a qualcuno che non ha i nostri elementi culturali per capire, entrare in una chiesa barocca con tutto quel sangue, i santi trafitti, gli angioletti nudi, un uomo in croce inchiodato. Era un discorso estetico ma da quello che leggo nella sentenza non ho le capacità per giudicare non avendo una laurea in filosofia, religione o storia dell’arte”

Ha parlato di chiesa come di un club masochista?
“Sì nel senso che ad un extraterrestre quel luogo pieno di statue di persone ferite e sanguinanti sarebbe sembrato un club di masochisti. Sono parole forti, ma quella era una trasmissione provocatoria, i termini, i concetti vanno inquadrati nell’ambito, in questo caso estetico, e luogo in cui si usano”.

Ha chiamato i Papi assassini?
“Io ho criticato le politiche dei papi che, in anni i cui l’Hiv provoca la morte di milioni di persone, continuano a proibire l’uso dei preservativi: cosi si uccide la gente. Non mi sembra un argomento teologico o religioso. E l’effetto di quelle decisioni non lo dico mica io, è nei fatti”.

Litiga sempre con la Chiesa?
“Non con tutti. Ho ottimi rapporti con i frati di Assisi, con il Cardinal Ravasi, che è uomo di cultura, partecipo ad incontri, dibattiti. Quindi qualcosa nel mio ambito, che è quello estetico, lo saprò e il dialogo, il confronto mi interessa. Il resto sono le mie idee, quelle di uomo laico e libero che non ho mai nascosto”.

Dice che la Chiesa è un’organizzazione maschilista...
“Beh, non mi pare che le donne possano diventare Papi, mi sembrano solo sfruttate, non stanno certo nei posti di potere. Se questo non è maschilismo...”

Lei è ateo?
“Ho una mia religiosità, una mia spiritualità che non corrisponde a quella degli altri. Io sono uno che ha avuto sei figli, nessuno battezzato, per scelta, e allora, cinquant’anni fa non era facile. Le donne al paese avvicinavano mia moglie, guardavano l’ultimo nato ed erano stupite fosse vivo, sano e vispo nonostante la mancanza del sacramento. Ecco ogni tanto mi pare che non ci siamo tanti spostati da quei tempi la, da quegli sguardi di condanna...”.

L’Italia è rimasta indietro?
“Oggi siamo sicuramente molto più indietro rispetto agli altri paese europei, agli anni sessanta in cui io sono cresciuto. Per questo ricorrerò, mi rivolgerò alla consulta, alla corte Europea. In nome della libertà di pensiero”.
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Criticare l'Islam è una necessità vitale primaria, un dovere

Messaggioda Berto » mar gen 21, 2020 7:54 am

Dire le cose:


Maometto fu un ignorante, presuntuoso, invasato, esaltato, idolatra che si inventò il suo dio Allah tratto dagli idoli della Mecca, un dio-idolo dell'orrore, del terrore e di morte,
uno che abusò della credulità popolare e che poi si impose con la minaccia, l'intimidazione, il ricatto, la violenza (che non fu affatto per legittima difesa come raccontano i suoi seguaci per giustificarsi ma fu predatoria, aggressiva, sopraffatrice, assassina);


fu un bugiardo, un ladro, un razziatore rapinatore, sequestratore e ricattatore, schiavista, assassino e sterminatore;
fu un razzista al massimo grado che discriminò chiunque non si sottomettesse a lui e al suo idolo e che depredò, cacciò e sterminò ebrei, cristiani, zoroastriani e ogni diversamente religioso, areligioso e pensante che gli si contrapponesse e non si sottomettesse;

invase, depredò, ridusse in schiavitù e fece strage nei paesi altrui imponendo con la minaccia la sua politica e la sua criminale ideologia-teologia religiosa imperialista e totalitaria;

indusse al suicidio, all'omicidio e allo sterminio e fece dire al suo idolo, dettandolo ai suoi seguaci, ciò che poi
fu scritto nel Corano e che da 1400 anni induce e istiga alla violenza, alla discriminazione, alla falsità, alla minaccia, alla depredazione, al disprezzo degli altri non maomettani, alla riduzione in schiavitù e alla dhimmitudine, all'omicidio, al suicidio-omicidio, all'assassinio e allo sterminio di ogni diversamente religioso, areligioso e pensante della terra che non si sottometta ai suoi seguaci e al loro orrendo idolo Allah.


Le uniche ideologie-teologie-pratiche politico-religiose ammesse e accettabili nei paesi civili sono o dovrebebro essere esclusivamente quelle che non violano i valori, i doveri e diritti umani naturali universali, civili e politici e che sono con essi completamente compatibili:

quindi
non debbono essere violente, minacciose, intimidatorie, costrittive, ricattatorie;
non debbono promuovere e indurre alla discriminazione, alla depredazione, al disprezzo, alla schiavitù, alla dhimmitudine, all'odio, al suicidio, all'omicido, allo sterminio;
non debbono trasformare gli uomini in mostruosità acritiche, fanatiche, ossessionate, criminali, disumane;
non debbono generare conflitti etnici, civili, religiosi e politici sia nazionali che internazionali;
non debbono come esempi esaltare figure criminali di assassini, predatori, bugiardi, sterminatori, invasati;
devono promuovere la pace, la fratellanza, la responsabilità, la proprietà, la libertà di parola di pensiero e di critica, la solidarietà volontaria e non forzata;
debbono rispettare i paesi, i popoli, le comunità, le etnie, le culture, le tradizioni e accettare tutte le diversità che promuovono la vita e il bene e che sono compatibili con i valori, i doveri e diritti umani naturali universali, civili e politici.
Se il nazismo hitleriano e Hitler rientrano in questa casistica e vanno giustamente banditi dal consesso civile, allo stesso modo dovrebbero essere banditi anche il nazismo maomettano e Maometto perché sono mille volte peggio.

Santificare Maometto, il suo idolo Allah e il Corano è santificare il male, un mettersi dalla parte di ciò che di più maligno esista sulla faccia della terra.
Santificare Maometto, il suo idolo Allah e il Corano dichiarandoli elevatori di spiritualità e portatori di umanità, di amore, di pace, di fratellanza, di giustizia, di cultura e di civiltà significa ingannare e illudere l'umanità intera specialmente quella che soffre a causa dell'Islam e che vorrebbe potersi difendere e liberare da tutto ciò;
Santificare Maometto, il suo idolo Allah e il Corano è farsi demenzialmente, irresponsabilmente e vilmente complici del male, e costituisce di per sé un grave crimine contro l'umanità.


I nazi maomettani minacciano tutti quelli che li denunciano anche con la satira, tutti coloro che mostrano al Mondo le loro malefatte, i loro crimini a cominciare da quelli di Maometto, proprio come i mafiosi e come i mafiosi uccidono, ricordiamo:

Theodoor "Theo" van Gogh
https://it.wikipedia.org/wiki/Theo_van_Gogh_(regista)

Strage di Charlie Hebdo
https://it.wikipedia.org/wiki/Attentato ... rlie_Hebdo


Ricordiamo alcuni di quelli che vivono sotto scorta perché minacciati di morte dai nazi maomettani:

Magdi Allam
https://www.difesaonline.it/evidenza/in ... evi-morire

Zineb el Rhazoui
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lis ... 19869.html

Abdel-Samad
https://www.rivistaetnie.com/testimonia ... mad-62403/


Anche Israele è sotto scorta e vive protetto dal suo formidabile esercito e dai suoi poltici più responsabili e pienamente coscienti della minaccia del nazismo maomettano che vorrebbe sterminare gli ebrei e distruggere Israele.







I mussulmani cosidetti moderati e l'Islam buono non esistono
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2808


Solo coloro che mettono in discussione e criticano apertamente Maometto e il Corano sono credibili e tutti costoro sono eslusivamente ex mussulmani, apostati;
tutti gli altri cosidetti moderati o buoni non mettono mai in discussione né Maometto, né il Corano e anche se normalmente in occidente tengono comportamenti tolleranti e rispettosi delle leggi e dei non mussulmani, laddove però diventano massa islamica e massa preponderante perdono ogni tolleranza e rispetto e diventano come tutti gli ìntegralisti e fondamentalisti o per adesione/induzione naturale o per paura di essere accusati di eresia e apostasia o per semplice opportunismo.

L'unico modo che abbiamo per aiutarci e aiutare il Mondo a liberarsi del nazismo maomettano è quello di dire la verità, sempre e ovunque e di criticare Maometto, il suomidoloAllah e il Corano,
se si tralascia di dire la verità e di criticare questi due fondamenti dell'islam non se ne viene fuori;
non esiste altro metodo a costo di scatenare la rabbia e la violenza dei nazi maomettani, bisogna metterli davanti a se stessi e alle mostruosità dell'Islam, di Maometto e del Corano.

Far finta di niente, lasciar correre, negare la malignità dell'Islam, il santificare il maomettismo come se fosse altro dal nazismo maomettano come ha fatto e fa Bergoglio e come fanno i demosinistri è da irresponsabili, o demenziale o altrettanto criminale del nazismo maomettano di cui tale atteggiamento si fa complice e promotore quando addirittura non lo giustifica colpevolizzando l'occidente europeo e americano, il cristianismo, Israele e gli ebrei.



Maometto, il Corano, Allah e i maomettani cos'hanno di buono? Nulla!
Ma cosa mai hanno da rivelare, insegnare e da trasmettere di buono, di vero, di giusto e di bello Maometto, il Corano, Allah e i maomettani, all'umanità intera e ai non maomettani? Nulla assolutamente nulla!
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6123975281
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2850

Prendo lo spunto da questa frase attribuita all'imperatore bizantino Manuele II Paleologo del 14° secolo:
"Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava"



Criminali e irresponsabili difensori dell'Islam o nazismo maomettano
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2263

Immagine
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... Arabia.jpg



Caso Iran e i difensori della sua orrida dittatura teocratica nazi maomettana, demosinistri cristiani bergogliani e internazi comunisti, destrorsi fascisti e nazisti, antiamericani e antisraeliani (versione moderna dell'antisemitismo/antigiudaismo).

Dalla parte del male ci sta solo il male e non il bene
viewtopic.php?f=188&t=2893
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8930464054
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Criticare l'Islam è una necessità vitale e civile primaria

Messaggioda Berto » mer gen 22, 2020 4:17 pm

Libertà di pensiero, di critica e di espressione contro i dogmi e l'idolatria
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Libertà di parola, di pensiero, di critica, di spiritualità e di religione
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=2503
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Criticare l'Islam è una necessità vitale e civile primaria

Messaggioda Berto » mer gen 22, 2020 4:37 pm

Il profeta pericoloso.
novembre 15, 2015
Traduzione dell’articolo di Hamed Abdel-Samad pubblicato qui. Abdel-Samad è uno scrittore di origine egiziana naturalizzato tedesco. Figlio di un imam sunnita e un tempo membro dei Fratelli Musulmani, ora è dichiaratamente ateo.

https://wrongdoers.wordpress.com/2015/1 ... pericoloso

Molti mussulmani sono tuttoggi prigionieri della figura misteriosa di Muhammad, il quale visse nel VII secolo. Ma anche il Muhammad storico è un prigioniero: dell’eccesso di venerazione da parte dei mussulmani e della loro pretesa che sia un personaggio intoccabile. L’onnipresenza del profeta nell’istruzione e nella politica e l’esagerata enfasi che si dà alla componente religiosa in molte società islamiche impediscono di poter ricorrere ad altri esempi in base ai quali formare la propria identità. Ogni cosa risale a lui, la sua presenza aleggia dappertutto e determina la quotidianità dei cittadini, politici e teologi mussulmani. Al contempo, il legame emotivo dei mussulmani con Muhammad e la sconsiderata sovrastima del profeta impediscono un confronto storico-critico col fondatore dell’islam.

Quand’ero ancora un fervente mussulmano, pensavo di conoscere tutto su Muhammad, solo perché avevo letto la sua biografia, il Corano e i suoi numerosi hadith (i suoi detti extra-coranici). Tuttavia, come studioso, era necessario che stabilissi una certa distanza critica. Quanto piú mi occupavo di Muhammad, tanto piú mi sembrava di avere in mano un mazzo di tarocchi. Alcune di queste carte davano fiducia e speranza, mentre altre erano terrificanti. Qui appariva come il predicatore meccano dedito all’argomentazione etica, altrove come l’intollerante signore della guerra medinese. Qui come l’essere umano che raccomandava la compassione ed il perdono, altrove come il criminale genocida ed il tiranno psicolabile.

Per tale ragione, non avevo intenzione di scrivere una nuova biografia di Muhammad, quanto, invece, di adottare un approccio del tutto personale alla sua vita, per arrivare ad una specie di resa dei conti. A tale scopo, non mi baso solo su canoni di valutazione odierni, ma anche su criteri morali e sociali di quel tempo, dacché, anche dal punto di vista dei suoi contemporanei, Muhammad ha compiuto molte azioni deprecabili. Inoltre, mi sforzo di capire le ragioni politiche e psicologiche delle sue azioni.

La bramosia di potere e di riconoscimento.

Muhammad era un orfano che non crebbe con la propria famiglia, ma fu nvece allevato da beduini estranei. Tornato alla Mecca, pascolava come schiavo le capre della propria tribú, dalla quale, evidentemente, non veniva preso molto in considerazione. Gli mancarono non solo l’amore e la cura dei genitori, ma anche figure di riferimento. Al ruolo di guerriero solitario era predestinato dalla nascita. Piú avanti, sposò una ricca vedova e nell’impresa di lei divenne un carovaniere di successo. Era benestante e fortunato. Eppure, all’età di 40 anni precipitò improvvisamente in una crisi esistenziale. Vagava da solo per il deserto, meditava in una caverna, aveva visioni e sosteneva che le pietre gli avrebbero parlato. Soffriva di crisi d’ansia e contemplava il suicidio. E credeva che una rivelazione gli sarebbe stata inviata dal Cielo.

Una seconda svolta nella vita di Muhammad fu segnata dalla sua emigrazione a Medina. Lí non solo venne fondato il primo stato islamico, ma si manifestò altresí il profeta violento che per i propri scopi passava anche sul cadavere del prossimo. La differenza fra il Muhammad della Mecca e il Muhammad di Medina è la stessa che passa fra il giovane Lenin teorico marxista e il Lenin capo di stato sovietico. Dopo la conquista del potere, i principi un tempo tenuti in alta considerazione finirono sempre piú sullo sfondo: la logica del potere e la paura del tradimento determinarono quasi tutto. Alle guerre dovettero seguire altre guerre e Muhammad iniziò un’ondata di conquiste ineguagliate che segnano il mondo ancor oggi.

La sua personalità ambivalente si vede anche dalle relazioni con le donne. Non si comportava come un tiranno, bensí piuttosto come un bambino che soffriva di paura della perdita, cosa che influisce tuttoggi sulla condizione delle donne mussulmane. L’imposizione del velo, la poligamia e l’oppressione sono da imputare alle paure di Muhammad. Tuttavia, parlò anche molto positivamente delle donne, al punto che alcuni mussulmani pensano che lui, le donne, le abbia liberate.

Muhammad bramava potere e riconoscimento e li cercò sia presso le donne che in guerra. Soltanto negli ultimi otto anni della sua vita combatté piú di 80 guerre. Ma fu solo all’ombra delle spade che ottenne il riconoscimento cui aveva sempre ambito. Però piú diventava potente, piú era dominato dal suo stesso potere. Piú nemici eliminava, piú cresceva la sua paranoia. A Medina controllava i propri seguaci ad ogni passo. Tentava di regolare e di tenere tutto sotto controllo, persino il loro ciclo del sonno. Li radunava cinque volte al giorno per pregare e, in tal modo, assicurarsi della loro fedeltà. Li metteva in guardia dai tormenti dell’inferno. I peccatori venivano fustigati. I bestemmiatori e gli apostati uccisi. Ciò che era peccato, lo decretava lui.

Un emarginato pieno di risentimento come signore della guerra.

Le ultime sure del Corano, con l’esaltazione della guerra e la condanna dei miscredenti, piantarono il seme dell’intolleranza. Siccome il Corano è ritenuto l’eterna parola di dio che ha valore in tutti i tempi, gli islamisti odierni interpretano i passi relativi alla guerra come legittimazione del proprio jihad globale. Muhammad promise ai propri guerrieri non soltanto il paradiso eterno, ma anche ricche ricompense e belle donne da tenere come schiave già in questo mondo. Quello fu il giorno in cui nacque l’economia islamica. Dopo la morte di Muhammad, le spoglie di guerra, la tratta degli schiavi e l’introduzione del testatico (ovvero jizya, NdT) sugli infedeli rimasero ancora per secoli le fonti principali di entrate dei regnanti mussulmani. Umayyadi, Abbasidi, Fatimidi, Mammelucchi ed Ottomani si rifacevano a Muhammad in questo senso. Al giorno d’oggi il gruppo terroristico dell’ISIS giustifica le proprie azioni di guerra in base alla carriera del profeta, il quale decapitava i prigionieri di guerra ed espelleva gli infedeli dalle proprie dimore.

Eppure, anche nei panni di signore della guerra, Muhammad rimase in un certo senso un bambino. Era un emarginato risentito ed emotivo, un uomo perennemente deluso dal mondo. Sia da pastore che da commerciante, sia da predicatore che da generale, Muhammad era alla continua ricerca di un rifugio. Questo rifugio poteva essere rappresentato da Khadija (la sua prima moglie) o dalle lettere del Corano, oppure dagli uomini credenti o, ancora, dalle sue mogli affettuose. Alla fine, il campo di battaglia divenne la sua ultima casa.

Muhammad morí 1400 anni fa, ma non è mai stato definitivamente sepolto. Ha lasciato in eredità un sistema di regole che determina ancora oggi ogni faccenda nella vita quotidiana dei mussulmani. I suoi approcci sociali del periodo meccano offrono conforto e sono benefici. Le sue guerre del periodo medinese giustificano la violenza. Ha trasmesso ai mussulmani tratti della propria personalità che si potrebbero definire patologici: delirio di onnipotenza e megalomania, paranoia e manie di persecuzione, incapacità di gestire la critica e disturbi ossessivi-compulsivi. La migliore valutazione che Muhammad potrebbe ricevere oggi sarebbe quella di essere visto per l’essere umano che era e di superare la fede nella sua onnipotenza. In altre parole, andrebbe sotterrato un idolo pericoloso.

Che cosa fa un bambino che riceve poca considerazione? Che cosa fa un uomo che non viene riconosciuto dalla propria comunità? Cerca di integrarsi in una comunità piú significativa di quella cui apparteneva originariamente. Oggi, il figlio di immigrati che vive a Dinslaken e che ha a malapena qualche connessione tanto con le proprie radici turche quanto con l’ambiente tedesco circostante e che si sente costantemente escluso, probabilmente va alla ricerca di una comunità immaginaria chiamata umma, ovvero la comunità di tutti i credenti mussulmani. Il giovane trova certi gruppi radicali, che rappresentano solo una frazione della grande identità islamica, in internet e ai margini delle comunità islamiche. Si identifica con le sofferenze e l’oppressione dei mussulmani in luoghi sconosciuti del mondo. Abbandona il vecchio mondo che l’ha ferito e parte per la Siria per divenire parte dell’utopica umma. Taglia la gola agli infedeli e sogna di conquistare un giorno la Germania per vendicarsi.

Metodi mafiosi.

Una vicenda sviluppatasi in tale modo potrebbe essersi verificata anche 1400 anni fa: Muhammad era uno straniero in patria. Il suo clan l’aveva misconosciuto e ferito. Si diede ad una fuga metafisica, alla ricerca di un’identità piú grande. La reazione alla figura di Abramo fu l’inizio. Muhammad non vedeva Abramo solo in qualità di modello, in relazione al monoteismo, bensí anche come progenitore carnale. Nel Corano chiama Abramo umma (16:120, NdT), cioè nazione. Ad Abramo Muhammad giunge attraverso Ismaele, il figlio di Abramo, il quale è stato quasi ignorato nella Bibbia. Muhammad vedeva se stesso come un eletto ed Ismaele come anticipatore di tale elezione. Muhammad diventava furioso se qualcuno contestava la sua affinità con Ismaele, dato che la cosa avrebbe potuto spezzare il suo legame con Abramo e, quindi, distruggere il mito fondante dell’islam.

Gli odierni riformisti dell’islam sostengono che l’islam sarebbe nato come rivoluzione morale e sociale contro l’ingiustizia che regnava in Arabia e che si sarebbe trasformato in una religione guerresca durante il periodo umayyade. I simpatizzanti della mafia argomentano in modo simile, asserendo che la mafia si sarebbe originata come movimento di resistenza al dominio straniero francese. Secondo loro, la parola mafia sarebbe un acronimo di Morte Alla Francia Italia Anela. Tuttavia, la mafia non è mai stata un’organizzazione fondata sull’onestà. Anche l’islam è nato come confraternita giurata unita da una profonda diffidenza per quanti non appartenevano alla famiglia o al clan. L’islam descrive la prima comunità di mussulmani in questo modo: Muhammad è l’inviato di dio e coloro che sono con lui sono spietati con gli infedeli, ma misericordiosi gli uni con gli altri (48:29, NdT). Si è gentili gli uni con gli altri, ma con i nemici si è senza pietà. Un soldato di Muhammad poteva piangere per timore reverenziale durante la preghiera e pochi minuti piú tardi decapitare un infedele. Similmente, in chiesa un mafioso può ascoltare devotamente una predica sull’amore per il prossimo e poco dopo sparare ad un uomo in mezzo alla strada.

Ancora un parallelo: il capo dei capi non può essere né contraddetto né criticato. Un bacio sulla mano simboleggia la fedeltà dei membri e la loro cieca dedizione a costui. Muhammad non accettava scuse dai propri seguaci quando si trattava di partecipare alla preghiera o ad una delle sue guerre. Disse: nessuno sarà mai un vero credente se non ama me piú dei propri genitori, dei propri figli e di chiunque altro (In Bukhari, qui; in Sunan ibn Majah, qui, NdT).

L’islam: una confraternita giurata legata da una profonda diffidenza per chi non vi appartiene.

Certamente, anche i despoti sono semplici uomini. Spesso la loro vita privata non si accorda alla loro immagine di monarchi assoluti. Una persona che decida costantemente chi deve vivere o morire potrà essere talvolta debole. Anche il profeta Muhammad era sopraffatto dal proprio potere. Piú diventava potente, piú diventava solo. Piú invecchiava, piú il suo comportamento nei confronti delle donne si dimostrava immaturo: a volte era amorevole, altre volte era duro, spesso insicuro e geloso. Impose loro il velo integrale, limitò la loro libertà di movimento e permise loro di parlare con gli uomini solo se separate da una parete che li dividesse.

Il problema di Muhammad con le donne.

Verso la fine della propria vita, Muhammad trattava le donne come oggetti da collezionare a piacere. Alla prima moglie Khadija ne seguirono altre undici, nove delle quali vissero con lui contemporaneamente nella stessa casa. Oltre a quelle, ci furono altre 14 donne con le quali sottoscrisse un contratto di matrimonio, ma senza consumare fisicamente l’unione. In piú ci furono due dozzine di donne con le quali fu fidanzato. Senza dimenticare le sue schiave, parte del bottino di guerra o ricevute in dono. Muhammad fu possessivo persino dopo la propria morte e proibí alle proprie mogli di contrarre matrimonio con altri uomini dopo la sua scomparsa. Dev’essere stato particolarmente difficile da sopportare per la giovane moglie ‘A’isha, dato che, secondo le fonti islamiche, divenne vedova all’età di 18 anni.

Quando Muhammad sposò ‘A’isha, lei aveva appena sei anni. Per secoli il matrimonio di ragazze minorenni è stato legittimato grazie al matrimonio di Muhammad con ‘A’isha. Oggigiorno è piuttosto imbarazzate per molti mussulmani moderati riconoscere che il loro profeta ha sposato una bambina di sei anni e perciò cercano disperatamente di cambiare argomento. Molti ricordano che lui la sposò solo formalmente, quando lei aveva sei anni, ma che consumò il rapporto sessuale tre anni piú tardi. Secondo gli apologeti ciò significa che a quel tempo alcune bambine di nove anni sarebbero state precocemente mature. La cosa si può contestare: innanzitutto, è ‘A’isha stessa ad affermare che gli approcci di Muhammad furono di tipo sessuale sin da principio e che lui fece praticamente di tutto con lei, eccetto che penetrarla. In secondo luogo, una ragazzina di nove anni è solamente una ragazzina di nove anni ed ora come allora solamente una bambina. Ai tempi di Muhammad non era per nulla normale che un uomo sposasse una bambina.

Nonostante il grande affetto per ‘A’isha, Muhammad sposò in media una nuova donna quasi ogni sei mesi. Piú in là, l’infedeltà divenne per lui un grosso problema. Di conseguenza, non solo venne imposta la norma del velo integrale, ma vennero introdotte anche nuove leggi per contrastare l’adulterio: chi praticava la fornicazione veniva punito con cento nerbate. Chi commetteva adulterio veniva lapidato a morte. Ancora oggi le donne in Iraq, Siria e Nigeria vengono trattate come bottino di guerra e subiscono violenza fisica quasi dappertutto nel mondo islamico. Nelle società islamiche gli attacchi con l’acido contro le donne che non portano il velo, le mutilazioni genitali, le lapidazioni ed i delitti d’onore rappresentano le forme piú brutali di misoginia. Non si può ritenere che Muhammad ed il Corano siano gli unici responsabili di tutto ciò, ma a tutto questa situazione hanno dato un grosso contributo.

Stando al Corano, la donna ha innanzitutto una funzione da compiere nella comunità islamica: quella di procurare sollievo all’uomo. Prima che i guerriglieri dell’ISIS riuscissero a catturare le donne yezidi e cristiane per usarle come schiave sessuali, i giovani in Siria venivano reclutati con l’assicurazione che lí il jihad del sesso era permesso. Di converso, mussulmane da ogni angolo del mondo, soprattutto dal Nord Africa, si offrono ai jihadisti. I dotti sunniti che sostengono il jihad del sesso, si richiamano al profeta, il quale permise ai propri soldati di contrarre matrimoni di piacere durante le lunghe guerre. In questo caso, la questione non c’entra con l’etica, in quanto si ha a che fare con un principio piú elevato: il jihad.

E, allora, a che cosa somiglia il paradiso? Il paradiso islamico non è altro che un bordello celeste nel quale ad ogni martire spettano 72 vergini e, oltre a queste, 70 servitrici ciascuno. Il teologo medievale al-Suyuti scrisse: dopo che abbiamo dormito con una houri, lei si trasforma nuovamente in una vergine. Il pene di un mussulmano non si affloscia mai. L’erezione dura in eterno ed il piacere dell’unione è infinitamente dolce e non è di questo mondo. Ogni eletto avrà 70 houri, oltre alle mogli che aveva in terra. Tutte loro avranno una vagina deliziosa.

Perché nel XXI secolo Muhammad deve ancora decidere chi può amare o sposare chi e che cosa deve fare, mangire o indossare?

Pochissime parole in arabo hanno piú sinonimi di quella che significa rapporto sessuale. E la maggior parte di queste parole non descrivono un atto d’amore, ma una forma di violenza. Nel primo dizionario della storia araba, il Lisan al-arab dell’anno 1290, alla voce nikah si trovano i seguenti significati: montare, dibattersi, assalire, colpire, violare, esaurire, scoccare, stare insieme, picchiare, calcare, cadere, crollare, penetrare, aggredire, infilare, ululare.

Muhammad stesso non era particolarmente misogino per i suoi tempi. Si espresse piú volte positivamente a proposito delle donne ed esortò i suoi seguaci a trattare amorevolmente le proprie mogli. Inoltre, non ci sono notizie del fatto che lui stesso abbia mai picchiato le mogli. Ciononostante nel Corano ha reso eterno il diritto di un uomo di picchiare la moglie quando lei sia ostinata. Purtroppo, oggi risulta difficile persino ad alcuni mussulmani moderati dire: picchiare le donne è sbagliato senza se e senza ma, indipendentemente da quanto scritto nel Corano. Invece, si cita il profeta lí dove prescriveva che i colpi non dovevano lasciare segni e che il volto della donna doveva essere risparmiato dalle percosse.

Paranoia e mania del controllo.

Il profeta godeva di potere ed influenza nel mondo dal quale era nato. Però perché deve mantenere lo stesso potere e la stessa influenza in un mondo che lui non ha mai conosciuto? Perché nel XXI secolo Muhammad deve ancora decidere chi può amare o sposare chi e che cosa si deve fare, mangiare o indossare? Perché i mussulmani si infilano in questa trappola della storia?

Si può accusare Muhammad di molte cose, ma non del fatto che fosse un bugiardo: il suo fervore, la sua capacità di provare sofferenza e la sua perseveranza dimostrano che era convinto di aver ricevuto messaggi di origine divina. Desiderava che un potere piú alto lo assistesse. All’iinizio cercava la liberazione, ma alla fine divenne egli stesso un prigioniero. Un maniaco del controllo. Non solo l’idea che aveva di dio riflette questo fatto: molti rituali islamici sono caratterizzati da ripetizioni senza senso, ad esempio le prostrazioni della preghiera o le abluzioni rituali. In pratica, anche nelle regioni piú aride, ogni mussulmano doveva lavarsi cinque volte al giorno per la preghiera, bagnandosi ogni parte del corpo per tre volte. Se non ci fosse stata acqua a disposizione, ci si doveva pulire simbolicamente con la sabbia. Muhammad informò i propri seguaci che dio avrebbe bruciato i luoghi del corpo non detersi dall’acqua o dalla sabbia nel giorno del giudizio (in Bukhari, qui, NdT).

Probabilmente era ossessionato dalla pulizia, un disturbo causato sia dal senso di colpa che dalla mania di controllo. Ancora al giorno d’oggi un mussulmano deve lavarsi per la preghiera se prima ha dato la mano ad una donna. In una moschea si deve entrare col piede destro, mentre nella toilette si deve entrare col piede sinistro. Il mussulmano deve recitare una preghiera prima di andare al bagno per proteggersi dai demoni malvagi che sono in agguato in gabinetto. All’uscita è d’uopo recitare un’altra preghiera e si deve ringraziare Allah per essere scampati agli spiriti malvagi. La lista dei precetti che intralciano il mussulmano nell’organizzazione autonoma della propria giornata si potrebbe riempire di innumerevoli esempi.

Per essere un buon mussulmano, il credente deve imitare il profeta in tutto e per tutto. L’autonomia decisoria, la flessibilità e la creatività non sono previste. Agli odierni chierici islamici conservatori si presenta la possibilità di esercitare il proprio potere sui mussulmani. Interi programmi televisivi hanno come scopo di rispondere alle domande dei credenti per agire secondo l’esempio del profeta. Il problema qui non sta tanto nello sforzo di comportarsi in modo ritualmente corretto, quanto nel fatto che è sotteso che tutti coloro che non si attengono ai precetti illustrati sono peccatori impuri. Al giorno d’oggi i sensi di colpa ed il desiderio di espiazione sono i principali motori della radicalizzazione. Gli islamisti si considerano gli autentici eredi del profeta.

Amare la morte piú della vita.

Chi si sopravvaluta, spesso sopravvaluta anche l’ostilità di quanti lo circondano. La tradizione islamica antica conta ben 15 complotti per assassinare il profeta ai quali egli sarebbe sopravvissuto: tre orditi da arabi pagani e dodici da ebrei. Sebbene nel Corano sia scritto che dio ha suddiviso l’umanità in popoli affinché si conoscano l’un l’altro (49:13, NdT), Muhammad profetizzò: i popoli un giorno vi attaccheranno perché diventerete deboli nei vostri cuori. I vostri cuori diverranno deboli, perché amerete la vita e odierete la morte (Sunan Abi Dawud, qui, NdT). Perciò gli islamisti rivendicano il fatto di amare la morte piú della vita. Non per nulla un tipico grido di guerra dei terroristi è: voi amate la vita e noi amiamo la morte.

Il Consiglio Centrale dei Mussulmani in Germania sancisce che Muhammad non poteva sapere che cosa fosse il calcio.

Non c’è un passo del Corano che preveda esplicitamente la pena di morte per chi vilipende il profeta, ma nella biografia di Muhammad vi sono numerosi aneddoti a proposito di persone che furono giustiziate su suo ordine per aver bestemmiato il suo nome. La tradizione menziona piú di 40 vittime, fra cui alcuni poeti e cantastorie, che avevano osato ridicolizzarlo. Nella collezione di hadith di Abu Dawud si legge: il profeta trovò il cadavere di una donna uccisa davanti alla sua moschea. Domandò agli oranti chi l’avesse uccisa. Un cieco si alzò e disse: sono stato io. È la mia schiava e da lei ho avuto due figli belli come perle. Ma ieri lei ti ha offeso, profeta di dio. Le ho intimato di non insultarti piú, ma lei ha ripetuto quello che aveva detto. Non ho potuto tollerarlo e l’ho ammazzata. Al che Muhammad rispose: il sangue di questa donna è stato versato secondo giustizia. (Sunan Abi Dawud, qui, NdT).

L’importanza assoluta data all’islam produce il fondamentalismo.

Ciò che è spaventoso a proposito di questa storia non è soltanto il fatto che un uomo ammazzi la madre dei propri figli (in uno degli hadith il sangue della donna bagna uno dei figli che le si aggrappa alle gambe, NdT), quanto il trasferimento in ambito privato della facoltà di ricorrere alla violenza. L’esecuzione di una sentenza di morte non è privilegio del sovrano o di uno dei poteri dello Stato: ciascun mussulmano ha tale potere. Quando ho tenuto un discorso al Cairo nel giugno del 2014 in cui affermavo che il fascismo islamico è cominciato con Muhammad, un professore dell’università di al-Azhar ha invocato la mia uccisione ed ha citato la storia della schiava del cieco come prova della legittimità della sua sentenza.

All’inizio del 2015 della teppaglia ha lapidato a morte una giovane donna afgana per aver bruciato un Corano. Un’insegnante britannica è finita in carcere per aver chiamato Muhammad un orsacchiotto. La società calcistica Schalke 04 ha sollevato delle critiche, perché il suo inno dice: Mohamed war ein Prophet, der vom Fußball nichts versteht (Muhammad era un profeta che non capiva niente di calcio). In ogni caso, il Consiglio Centrale dei Mussulmani in Germania ha sancito che Muhammad non poteva avere idea di che cosa fosse il calcio.

Le sofferenze del mondo islamico possono venire guarite solamente se i mussulmani si liberano delle molteplici manie e malattie del profeta: delirio di onnipotenza, paranoia, intolleranza alla critica e suscettibilità. Anche l’immagine distorta della divinità, che è diventata l’archetipo del despota, deve essere messa in discussione.

Il fondamentalismo non è una coseguenza dell’errata interpretazione dell’islam, bensí la conseguenza dell’eccesso di importanza che all’islam viene data. La riforma dell’islam comincerà quando i mussulmani troveranno il coraggio di liberare Muhammad dalla sua condizione di intoccabilità. Solo allora potranno essi stessi evadere dalla prigione della fede ed essere parte del presente che non viene determinato da dio, bensí dagli esseri umani.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Criticare l'Islam è una necessità vitale e civile primaria

Messaggioda Berto » gio gen 30, 2020 10:34 pm

"Detesto la religione. Quella del Corano è una religione d'odio. L'Islam è una merda".

https://www.nouvelobs.com/societe/20200 ... 29bhQ1uCRg

Queste parole sono di Mila Orriols, una ragazza francese di 16 anni. Da quando le ha pronunciate - in una storia su Instagram - è finita sotto protezione della polizia francese, si è ritirata da scuola e vive in clandestinità non si sa dove.

"Non posso mettere piede nel mio liceo", dice Mila in un altro video, "né posso cambiare scuola, perché è la Francia intera che vuole la mia pelle".

Il motivo? Migliaia di fondamentalisti musulmani l'hanno minacciata di morte. I cosiddetti "musulmani moderati" hanno detto che "se l'è cercata" (sic!). E persino la ministra della giustizia francese ha commesso l'errore madornale (ma come l'è venuto?) di dire che sì, le minacce di morte sono sbagliate, ma "l'insulto della religione è un attacco alla libertà di coscienza".

Succede oggi, in Francia, nel 2020. La stessa Francia del Bataclan e di Charlie Hebdo. Quella che per molti è considerata un esempio (o forse l'esempio per eccellenza) di laicità costituzionale. Tutto ciò è inaccettabile.

Solidarietà a Mila. Perché, "sacra" o "merda", la religione resta pur sempre un'idea come tutte le altre, e in quanto tale è diritto universale di ogni essere umano poterla dibattere, criticare e sviscerare.

In religione come in politica, non diamola vinta ai fascisti.

#JeSuisMila



Gino Quarelo
È necessario dire le cose:

Le uniche ideologie-teologie-pratiche politico-religiose ammissibili e accettabili nei paesi civili sono o dovrebbero essere esclusivamente quelle che non violano i valori, i doveri e diritti umani naturali universali, civili e politici e che sono con essi completamente compatibili:
quindi
non debbono essere violente, minacciose, intimidatorie, costrittive, ricattatorie;
non debbono promuovere e indurre alla discriminazione, alla depredazione, al disprezzo, alla schiavitù, alla dhimmitudine, all'odio, al suicidio, all'omicido, allo sterminio;
non debbono trasformare gli uomini in mostruosità acritiche, fanatiche, ossessionate, criminali, disumane;
non debbono generare conflitti etnici, civili, religiosi e politici sia nazionali che internazionali;
non debbono come esempi esaltare figure criminali di assassini, predatori, bugiardi, sterminatori, invasati;
devono promuovere la pace, la fratellanza, la responsabilità, la proprietà, la libertà di parola di pensiero e di critica, la solidarietà volontaria e non forzata;
debbono rispettare i paesi, i popoli, le comunità, le etnie, le culture, le tradizioni e accettare tutte le diversità che promuovono la vita e il bene e che sono compatibili con i valori, i doveri e diritti umani naturali universali, civili e politici.
Se il nazismo hitleriano e Hitler rientrano in questa casistica e vanno giustamente banditi dal consesso civile, allo stesso modo dovrebbero essere banditi anche il nazismo maomettano e Maometto perché sono mille volte peggio.



Islamici e non integralisti islamici o islamisti che così si chiamano solo gli studiosi dell''Islam.
L'Islam è il nazismo maomettano dell'Umma inventato e iniziato da Maometto.
Il primo islamico o integralista islamico o nazi maomettano fu proprio Maometto modello e ideale per tutti i suoi seguaci e per i "veri e buoni mussulmani".

Maometto fu un ignorante, presuntuoso, invasato, esaltato, idolatra che si inventò il suo dio Allah tratto dagli idoli della Mecca, un dio-idolo dell'orrore, del terrore e di morte,
uno che abusò della credulità popolare e che poi si impose con la minaccia, l'intimidazione, il ricatto, la violenza (che non fu affatto per legittima difesa come raccontano i suoi seguaci per giustificarsi ma fu predatoria, aggressiva, sopraffatrice, assassina);
fu un bugiardo, un ladro, un razziatore rapinatore, sequestratore e ricattatore, schiavista, assassino e sterminatore;
fu un razzista al massimo grado che discriminò chiunque non si sottomettesse a lui e al suo idolo e che depredò, cacciò e sterminò ebrei, cristiani, zoroastriani e ogni diversamente religioso, areligioso e pensante che gli si contrapponesse e non si sottomettesse;
invase, depredò, ridusse in schiavitù e fece strage nei paesi altrui imponendo con la minaccia la sua politica e la sua criminale ideologia-teologia religiosa imperialista e totalitaria;
indusse al suicidio, all'omicidio e allo sterminio e fece dire al suo idolo, dettandolo ai suoi seguaci, ciò che poi
fu scritto nel Corano e che da 1400 anni induce e istiga alla violenza, alla discriminazione, alla falsità, alla minaccia, alla depredazione, al disprezzo degli altri non maomettani, alla riduzione in schiavitù e alla dhimmitudine, all'omicidio, al suicidio-omicidio, all'assassinio e allo sterminio di ogni diversamente religioso, areligioso e pensante della terra che non si sottometta ai suoi seguaci e al loro orrendo idolo Allah.

Santificare Maometto, il suo idolo Allah e il Corano è santificare il male, un mettersi dalla parte di ciò che di più maligno esista sulla faccia della terra.
Santificare Maometto, il suo idolo Allah e il Corano dichiarandoli elevatori di spiritualità e portatori di umanità, di amore, di pace, di fratellanza, di giustizia, di cultura e di civiltà significa ingannare e illudere l'umanità intera specialmente quella che soffre a causa dell'Islam e che vorrebbe potersi difendere e liberare da tutto ciò;
Santificare Maometto, il suo idolo Allah e il Corano è farsi demenzialmente, irresponsabilmente e vilmente complici del male, e costituisce di per sé un grave crimine contro l'umanità.



"L'Islam è una religione che predica l'odio". E a 16 anni è costretta a lasciare la scuola
Francesco De Remigis - Sab, 25/01/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 16652.html

La ragazzina minacciata di morte per un post considerato blasfemo. Il caso diventa politico. Le Pen: «Non possiamo accettare che venga condannata»

Minacciata di morte e di stupro per aver insultato l'islam. Lodio in rete, stavolta, si scaglia sulla studentessa 16enne Mila, rea di aver pubblicato un video su Instagram giudicato troppo virulento nella critica alla religione musulmana.

Lei, francese dell'Isère, sta diventando un simbolo per due parti contrapposte: quelli che la considerano la nuova paladina della libertà d'espressione e chi invece vorrebbe condannarla, isolarla, lasciarla sola alle prese con una buriana che dal virtuale rischia di raggiungerla fin sotto casa.

Uno dei compagni di scuola ha infatti pensato bene di pubblicare il suo indirizzo on line. Domenica è scoppiato il caso e in pochi giorni è diventata un bersaglio reale, mentre in rete fioccano gli hashtag #IoSonoMila e il suo contraltare: #JenesuispasMila. Uno a supporto, l'altro di stigma. Ma cosa ha detto, Mila? E perché? Tutto è cominciato con una diretta su Instagram in cui un uomo cerca di importunarla in strada. Lei si allontana, filma. «Perché non mi piace che mi venga chiesta l'età a ripetizione, così ha iniziato a insultarmi», ha chiarito su Libération. La scuola ha invece preferito allontanarla affidandola agli psicologi. In un secondo video, dopo aver ricevuto le prime cyber-minacce, il tono di Mila diventa più acceso. «Un ragazzo ha iniziato a chiamarmi sporca lesbica, razzista. L'argomento è scivolato sulla religione e ho detto cosa ne pensavo». «La tua religione è una merda», risponde. Più tardi, si scusa sui social: «Mi dispiace, non volevo offendere. Ho parlato troppo velocemente. L'errore è umano». Ma era già diventata un bersaglio fisico e il suo video virale: rilanciato su Twitter da chi invitava a stuprarla, ha superato in poche ore 1,6 milioni di visualizzazioni. Blasfemia o diritto di critica? Due le inchieste della magistratura, che indaga anche sulle parole di Mila, per «incitamento all'odio razziale», e non solo su chi in rete la sta ancora minacciando di morte e stupro. Francia divisa in due. Chi ha ragione? Il magazine Têtu riferisce che alcuni uomini lunedì l'hanno aspettata davanti al suo liceo. Da allora non è più tornata nel plesso di Villefontaine. La scuola ha infatti deciso di non schierarsi. Abdallah Zekri, delegato generale del Consiglio francese per il culto musulmano (l'istituzione deputata a rappresentare i fedeli), taglia corto: «Chi semina vento, raccoglie tempesta», dice a Sud Radio lasciando i cronisti a bocca aperta.

Per Marine Le Pen, «le parole di questa ragazza sono la versione orale delle caricature di Charlie Hebdo. Volgari, ma non possiamo accettare che la condannino a morte in Francia nel XXI secolo». «La legge Avia (il testo «anti haters» di recente approvazione parlamentare, ndr) punirà gli islamisti che la minacciano su Internet o è riservato solo agli oppositori di Macron?», chiede il sovranista Nicolas Dupont-Aignan, già candidato alle presidenziali. Il caso rilancia il dibattito sul «reato di blasfemia». Non esiste infatti nella legge transalpina: «Possiamo insultare una religione, ma non dei cittadini per la loro appartenenza religiosa», spiega Nicolas Cadène, relatore dell'Osservatorio sulla laicità. Michel Houellebecq nel 2002 definì l'islam «la religione più stupida» e fu assolto dall'accusa di istigazione all'odio. Oggi la Francia fa di nuovo i conti con i suoi fantasmi, tra politically correct e rischi concreti per una 16enne dalla lingua sciolta.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Criticare l'Islam è una necessità vitale e civile primaria

Messaggioda Berto » ven gen 31, 2020 9:27 am

Blasfemia e tutela della pace religiosa: i limiti alla libertà di espressione in un recente caso davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo
Claudia Morini

http://www.medialaws.eu/blasfemia-e-tut ... -delluomo/

Corte europea dei diritti dell’uomo, 25 ottobre 2018, E.S. c. Austria, ric. 38450/12

Non è in contrasto con il diritto alla libertà di espressione, riconosciuto dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’esistenza nel codice penale di uno Stato membro di una norma che punisca la blasfemia in quanto reato. La libertà di espressione di un individuo può, infatti, legittimamente essere compressa qualora quanto espresso urti il sentimento religioso dei credenti. Nei casi in cui le affermazioni incriminate non contribuiscano a un serio dibattito pubblico sui fatti espressi, ma si limitino ad offendere ciò o colui che è oggetto di venerazione da parte di un gruppo religioso, il diritto alla libertà di espressione può subire restrizioni in virtù dell’esigenza di tutelare il sentimento religioso altrui e di garantire la pace religiosa in uno Stato membro.

Sommario: 1. La blasfemia come condotta penalmente rilevante. – 2. La tutela del sentimento religioso dei singoli: l’intervento della Corte suprema austriaca. – 3. Il contributo al dibattito pubblico dell’oggetto della libertà di espressione. – 4. La libertà di espressione e il limite dell’incitamento all’odio religioso. – 5. Considerazioni conclusive: i rischi connessi alla “tutela della pace religiosa”

La blasfemia come condotta penalmente rilevante

La “blasfemia” consiste comunemente in una condotta che offende con parole o con atti ciò che per altri è considerato divino o sacro. Essa, invero, nel panorama europeo è ormai scevra da conseguenze di natura penale, ad eccezione di alcuni Stati, tra i quali l’Austria[1]. A distanza di 4 anni dai tragici fatti di matrice terroristica avvenuti a Parigi il 7 gennaio 2015 nella redazione di Charlie Hebdo, il dibattito sulla tutela della “pace religiosa” come limite alle manifestazioni di pensiero che possano essere connotate come “basfeme”, in quanto potenzialmente offensive del sentimento religioso di alcuni credenti, pare riaccendersi dopo l’emanazione di una sentenza resa dalla quinta sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo il 25 ottobre 2018 nel caso E.S. c. Austria[2]. I giudici di Strasburgo hanno in proposito avuto modo di pronunciarsi sul bilanciamento tra la libertà di espressione, garantita dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU)[3], e la tutela del sentimento religioso ai sensi dell’art. 9 CEDU[4], proprio rispetto a una condanna penale per blasfemia.

Poiché a livello di opinione pubblica sussiste la tendenza a polarizzare il dibattito su due fronti estremi, per cercare di individuare le coordinate del discorso sono oggi necessarie ulteriori riflessioni. Il primo orientamento propugna la protezione tout court del sentimento religioso di una ben identificata comunità, partendo dall’assunto che tale “sentimento” sia talmente fondamentale nella vita dei fedeli da plasmarne l’identità. Questo approccio tende a voler legittimare e giustificare qualsiasi restrizione all’altrui libertà di espressione. Dall’altro lato vi è poi chi, portando anche la nozione di “laicità” alle sue estreme conseguenze, è fautore di una libertà di espressione illimitata, in quanto nessuna restrizione dovrebbe imporsi al fine di tutelare una religione o un credo qualsiasi.

Il recente caso testé richiamato, ha preso le mosse dal ricorso presentato il 6 giugno 2012 dalla sig.ra E.S., una donna austriaca che nel 2011 era stata dichiarata colpevole di aver “denigrato gli insegnamenti religiosi”, dopo aver tenuto una serie di conferenze su Grundlagen des Islam (Informazioni basilari sull’Islam) presso il Bildungsinstitut der Freiheitlichen Partei Österreichs, un’accademia politica legata al partito di destra austriaco Partito della libertà (FPÖ), attualmente parte della coalizione di Governo.

In occasione dei seminari, un settimanale “di sinistra” aveva fatto infiltrare un suo giornalista tra i partecipanti affinché ne registrasse i contenuti. Successivamente, le trascrizioni dei seminari furono consegnate alla procura di Vienna in quanto attestanti la presunta commissione da parte della ricorrente del reato di incitamento all’odio (Verhetzung), punito in Austria ai sensi dell’art. 283 del Codice penale (Strafgesetzbuch, StGB). La parte dei discorsi incriminata, consisteva in un commento estemporaneo sul fatto che il Profeta Maometto fosse un pedofilo, poiché aveva sposato sua moglie Aisha quando lei aveva solo 6 o 7 anni e aveva consumato il matrimonio quando di anni ne aveva solo 9[5].

Il 15 febbraio 2011, la donna fu ritenuta colpevole di aver “denigrato gli insegnamenti religiosi di una religione legalmente riconosciuta”, ai sensi dell’articolo 188 c.p. (denigrazione di dottrine religiose), in base al quale «[c]hiunque, nelle circostanze in cui è probabile che il suo comportamento susciti giusta indignazione, denigri pubblicamente o offenda una persona, o un oggetto che è oggetto di venerazione da parte di una Chiesa o di una comunità religiosa riconosciuta nel Paese, o un dogma, una consuetudine legittima o un’istituzione legittima di una tale Chiesa o comunità religiosa, sarà passibile di una pena detentiva fino a sei mesi o di una multa da calcolare su base giornaliera, fino a 360 giorni»[6]. L’iniziale accusa di incitamento all’odio, ai sensi dell’art. 283 c.p. era invece decaduta.

La Corte regionale austriaca, invero, aveva rilevato che quanto affermato dalla ricorrente avrebbe potuto indurre l’uditorio a non ritenere Maometto meritevole di venerazione in quanto il suo comportamento sarebbe oggi considerato deplorevole e finanche penalmente perseguibile[7]. Inoltre, un elemento centrale nella decisione era stato l’aver ritenuto le affermazioni della ricorrente dei meri giudizi di valore e non affermazioni basate su fatti comprovati. Quanto da lei asserito nel corso dei seminari, non avrebbe neppure contribuito al dibattito generale su temi sensibili e importanti quali quelli della pedofilia o del fenomeno delle spose-bambine, ma avrebbe avuto l’esclusivo scopo di denigrare il Profeta dell’Islam, offendendo così il sentimento religioso dei suoi fedeli[8].

La condanna consistette, oltre al pagamento delle spese processuali, nella richiesta di pagamento di una multa di 480 euro o, in alternativa, nella pena detentiva di 60 giorni di reclusione. La ricorrente impugnò la sentenza presso la Corte di Appello di Vienna (Oberlandesgericht Wien), ma la sua istanza fu rigettata il 20 dicembre 2011. Infine, la richiesta di un nuovo processo fu respinta dalla Corte suprema austriaca l’11 dicembre 2013.

La tutela del sentimento religioso dei singoli: l’intervento della Corte suprema austriaca

La Corte suprema, pur ravvisando nella condanna subita un’interferenza con la libertà di espressione della ricorrente garantita anche dall’art. 10, par. 1, CEDU, richiamando proprio la giurisprudenza della Corte europea rilevante in materia[9], ha ritenuto lo scopo dell’interferenza, ovvero la tutela della pace religiosa e dei sentimenti religiosi degli altri, un motivo legittimo ai sensi del par. 2 dell’art. 10 CEDU.

Nel suo ragionamento la Corte suprema ha ricordato che la stessa Corte europea ha distinto le ipotesi nelle quali erano ravvisabili condotte espressamente e gratuitamente offensive negli altrui confronti o profane, da quelle che, invece, pur provocando shock, offendendo o essendo provocatorie non costituivano un attacco ingiurioso contro un gruppo religioso, rivolgendosi ad esempio contro un leader o un individuo venerato, come Maometto per l’Islam[10]. In questa ipotesi, invero, secondo la Corte incombe un obbligo in capo agli Stati membri di adottare misure volte a reprimere quelle condotte.

Al fine di verificare se le affermazioni ingiuriose arrivino a ledere il sentimento religioso altrui, provocando così “justified indignation”, è necessario operare un’accurata valutazione del significato e del contesto nel quale sono state svolte le stesse, e se esse siano state fondate su fatti o su meri giudizi di valore.

Nel caso specifico, la Corte suprema ha rilevato che quanto espresso dalla ricorrente non aveva in alcun modo contribuito a un dibattito generale sul rapporto tra Islam e matrimoni con minorenni, ad esempio, ma che aveva avuto il solo fine di diffamare Maometto, accusandolo di pedofilia, screditandolo così agli occhi dei suoi fedeli, e offendendo il sentimento religioso di questi ultimi.

La questione qui evidenziata dell’offesa al sentimento religioso come elemento discriminante per l’inquadramento di una manifestazione delle proprie idee o del proprio pensiero nella categoria di una condotta penalmente sanzionabile richiama alla mente un altro caso deciso diversi anni fa dalla Corte europea: İ.A. c. Turchia. In quell’occasione, i giudici di Strasburgo avevano affermato che «in the context of religious beliefs, [there]may legitimately be included a duty to avoid expressions that are gratuitously offensive to others and profane […] as a matter of principle it may be considered necessary to punish improper attacks on objects of religious veneration» (§ 24). Si è trattato del primo caso in cui limiti alla libertà di espressione sono stati legittimati alla luce della necessità di tutelare il sentimento religioso dei fedeli, con specifico riguardo all’Islam. In particolare, qui l’editore era stato accusato di aver commesso, attraverso la pubblicazione dell’opera Yasak Tümceler (“The forbidden phrases”), il reato di blasfemia contro “Dio, la religione, il profeta e il Libro Sacro”, sanzionato dal Codice penale turco[11].

L’elemento della “offensività” delle affermazioni è stato poi al centro anche di un altro caso relativo all’Islam, che si era però concluso con un esito diverso. L’anno successivo, infatti, la Corte europea nel caso Aydin Tatlav c. Turchia, aveva rilevato che il passaggio del libro incriminato (“The Reality of Islam”) sebbene contenesse un’aspra critica nei confronti della religione islamica, non aveva invero toni offensivi e, pertanto, la condanna penale subita dal ricorrente costituiva una violazione dell’art 10 CEDU[12]. Emerge, quindi, che nella valutazione della legittimità delle limitazioni statali alla libertà di espressione la Corte tiene in considerazione, oltre al contenuto in sé, anche il tono dello stesso: se questo non comporta la ridicolizzazione della religione o non è comunque volutamente offensivo, come può esserlo, ad esempio, nell’ipotesi di accostando di oggetti di venerazione a immagini di natura sessuale, allora le autorità statali possono essere ritenute responsabili di eccedere il margine di apprezzamento loro riconosciuto ai fini dell’applicazione dei limiti ex art. 10, par. 2, CEDU.

Infine, andando più indietro nel tempo, la tutela del sentimento religioso altrui, era stata oggetto anche della prima importante sentenza della Corte europea sul rapporto tra libertà di espressione e libertà religiosa: si tratta del noto caso Otto-Preminger-Institut c. Austria[13]. In quest’occasione, secondo la Corte europea, poi, vi era sì stata un’ingerenza rispetto al diritto garantito dall’art. 10 CEDU, ma questa, oltre ad essere prevista dalla legge, era anche legittima in quanto la misura nazionale mirava a tutelare i diritti e le libertà altrui, in particolare il diritto dei cittadini a non essere offesi nei propri sentimenti religiosi attraverso l’espressione pubblica delle opinioni altrui[14].

Quanto all’aspetto della necessarietà della misura in uno “Stato democratico”, i giudici di Strasburgo avevano rilevato che era vero che l’art. 10 CEDU si prestava a tutelare non soltanto le notizie o le idee accolte favorevolmente o ritenute inoffensive o indifferenti dalla società in cui erano espresse, ma anche quelle che provocavano shock, offendevano o erano provocatorie. Ciò conformemente al principio del pluralismo, a quello della tolleranza e allo spirito di apertura che devono caratterizzare una società democratica. Ciò nonostante, qualora le modalità con le quali tali idee venissero enunciate e diffuse mettessero a rischio quello stesso spirito di tolleranza, sia in ragione del tono con le quali sono espresse che del loro contenuto, allora esse potrebbero legittimamente essere considerate alla stregua di una violazione dell’altrui libertà di religione (§ 49).

Il contributo al dibattito pubblico dell’oggetto della libertà di espressione

Nel caso E.S. c. Austria, il governo e i tribunali interni hanno ritenuto che le affermazioni della ricorrente «had not been part of an objective discussion concerning Islam and child marriage, but had rather been aimed at defaming Muhammad, and therefore had been capable of arousing justified indignation» (§ 37). Sebbene il delicato e importante tema della condanna dei rapporti sessuali tra adulti e minori sia meritevole di essere oggetto di pubblico dibattito, l’accusa mossa dalla ricorrente nei confronti del Profeta dell’Islam, mancando di una sufficiente base probatoria ed essendo invece gratuitamente oltraggiosa nei confronti di Maometto, non poteva contribuire ad un «objective public debate» (§ 37).

Il contributo al pubblico dibattito di affermazioni che potrebbero urtare la sensibilità dei credenti e minare la pace religiosa in un determinato Stato può essere valutato, ad avviso della Corte, proprio attraverso un’attenta disamina sul contenuto stesso di tali affermazioni. In questo modo, la Corte si è posta nel solco delle decisioni nazionali le quali avevano evidenziato la necessità di tenere distinti i meri giudizi di valore da affermazioni oggettivamente fondate su fatti (§§ 47-48).

In passato la Corte aveva già affrontato la questione del contributo al pubblico dibattito. Nel già richiamato caso Otto-Preminger-Institut c. Austria, la Corte aveva infatti affermato che in linea di massima, relativamente alle opinioni e alle convinzioni religiose, esiste un obbligo di evitare espressioni gratuitamente offensive per l’altrui sensibilità, in quanto queste «do not contribute to any form of public debate capable of furthering progress in human affairs» (§ 49).

Quest’obbligo, poi, rileva in modo ancora più stringente nel caso in cui l’evento durante il quale il messaggio o l’idea viene espressa rivesta un particolare carattere di “pubblicità”. Qui, nel bilanciamento delle due libertà fondamentali in rilievo, ovvero quella religiosa ex art. 9 e quella di espressione ex art. 10 CEDU, e alla luce del margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati in materie così sensibili e sulle quali non esiste una uniformità di vedute in seno ai membri del Consiglio d’Europa, la Corte ha ritenuto legittima e proporzionata la misura di sequestro del film adottata dalle autorità austriache[15].

Successivamente, la questione del “contributo al dibattito pubblico” è stata ritenuta discriminante in altre decisioni della Corte. In proposito ricordiamo il caso Ginievsky c. Francia, in cui la Corte ha, invece, accolto il ricorso, accertando la violazione dell’art. 10 della Convenzione[16].

Oltre alla questione del “contributo al dibattito pubblico”, anche l’elemento del carattere di “pubblicità” dell’evento durante il quale la manifestazione dell’opinione incriminata si concretizza richiamato nel caso Otto-Preminger, è riemerso nel caso E.S. c. Austria (§ 51). Tale elemento è stato preso in considerazione per contestare una delle motivazioni addotte a propria difesa dalla ricorrente, ovvero che ai seminari avrebbero preso parte solo alcune persone like-minded rispetto al tema oggetto del ciclo di seminari e che, pertanto, nessuno dei partecipanti, sapendo quale sarebbe stato il tenore degli stessi, si sarebbe potuto sentire in alcun modo offeso. Ad avviso della Corte però, così non era stato poiché chiunque avrebbe potuto registrarsi agli eventi pubblicizzati, tanto che era stato possibile per il giornalista partecipare, registrare il contenuto dei seminari e poi sporgere denuncia alle autorità austriache.

La libertà di espressione e il limite dell’incitamento all’odio religioso

L’iniziale accusa mossa alla ricorrente a livello statale, poi decaduta, era stata quella di incitamento all’odio religioso ai sensi dell’art. 283 c.p. austriaco.

Brevemente, a livello normativo europeo e internazionale è possibile ravvisare una comune condanna ad atteggiamenti o a discorsi che incitino all’odio su base, tra l’altro, religiosa. Rilevano, in proposito, strumenti quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (art. 20, par. 2)[17], la Raccomandazione 1805 (2007) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa su “Blasphemy, religious insults and hate speech against persons on grounds of their religion”[18], il Rapporto della Commissione di Venezia (Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) denominato “Report on the relationship between Freedom of Expression and Freedom of Religion: the issue of Regulation and Prosecution of Blasphemy, Religious Insult and Incitement to Religious Hatred”[19], la Risoluzione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite 16/18 su “combating intolerance, negative stereotyping and stigmatization of, and discrimination, incitement to violence and violence against, persons based on religion or belief”[20], il “General Comment No. 34 on freedom of opinion and freedom of expression” del Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite[21].

Da questi documenti emerge una condanna netta ai discorsi di incitamento all’odio e un richiamo alle responsabilità degli Stati affinché reprimano queste condotte. Parimenti, si rileva l’indicazione di attivarsi perché la semplice “blasfemia” venga depenalizzata ovunque e non venga reintrodotto il reato di blasfemia laddove già non esista più. La Commissione Venezia, ad esempio, ha ritenuto che la persistenza o la creazione di un “reato” di blasfemia negli ordinamenti dei Paesi membri sia da ritenersi non necessaria e neppure auspicabile. In tal senso si è espresso anche il Parlamento europeo, che nella risoluzione dell’8 settembre 2015 sullo stato dei diritti fondamentali nell’Unione europea si è detto preoccupato «over the application of blasphemy and religious insult laws in the European Union, which can have a serious impact on freedom of expression, and urges Member States to abolish them; strongly condemns attacks against places of worship and urges Member States not to allow such offences to go unpunished» (§ 40)[22].

Ritornando ora al contesto della Corte europea, essa ha spesso fatto leva sull’art. 17 CEDU per dichiarare irricevibili alcuni ricorsi nelle ipotesi in cui il contenuto contestato costituiva ex se una negazione dei diritti e dei valori fondamentali difesi dalla Convenzione[23]. In particolare, questa norma convenzionale è stata utilizzata anche per negare qualsivoglia tutela proprio ai discorsi di incitamento all’odio (c.d. hate speech), impedendo la ricevibilità dei relativi ricorsi. In materia di irricevibilità per incitamento all’odio religioso ricordiamo, ad esempio, il caso Norwood c. Regno Unito, deciso dalla Corte nel 2004[24], il caso Pavel Ivanov c. Russia deciso nel 2007[25], il caso Hizb Ut-Tahrir e altri c. Germania, deciso nel 2012[26] e, infine, il caso Belkacem c. Belgio, del 2017[27].

Nel caso E.S. c. Austria in esame, la Corte europea ha ricordato che quando attacchi impropri ed offensivi nei confronti di un soggetto o di un simbolo che gode di venerazione religiosa si spingono sino al punto di prendere le forme dell’incitamento all’odio religioso, che è la massima espressione dell’intolleranza religiosa, questi non solo possono legittimare interventi restrittivi da parte delle autorità nazionali, ma neppure godrebbero della protezione offerta dall’art. 10 CEDU (§ 43)[28]. Qui, dunque, la Corte da un lato non ha equiparato le affermazioni della ricorrente all’incitamento all’odio religioso, che a livello internazionale ed europeo risulta oggi essere la sola condotta meritevole di essere perseguita penalmente, ma ha, allo stesso tempo, legittimato come proporzionata una sanzione penale per una condotta, la blasfemia, che è, almeno negli ordinamenti della stragrande maggioranza degli Stati membri del Consiglio d’Europa, ormai depenalizzata.

Considerazioni conclusive: i rischi connessi alla “tutela della pace religiosa”

Il governo austriaco, richiamando la nota esplicativa dell’art. 188 c.p., aveva sottolineato come lo scopo principale della norma interna fosse la protezione della “pace religiosa”, che «was to be understood as the peaceful co-existence of the various churches and religious communities with each other, as well as with those who did not belong to a church or religious community». La “pace religiosa”, inoltre, doveva essere tutelata anche in quanto elemento fondamentale della pace in generale nello Stato (§ 36).

La Corte, dal canto suo, ha accolto favorevolmente l’impostazione governativa, rilevando come la protezione della pace religiosa, così come la tutela del sentimento religioso altrui, siano scopi legittimi perseguiti dalla misura penale prevista dall’ordinamento austriaco e rientranti a pieno titolo nel limite della “protezione dei diritti altrui” di cui al secondo paragrafo dell’art. 10 CEDU. Inoltre, nel suo ragionamento sulla necessità in una società democratica di una misura restrittiva di quel tenore, ha ricordato che in capo agli Stati incombe l’obbligo di assicurare la pacifica coesistenza di tutte le religioni e anche dei non credenti in uno spirito di mutua tolleranza. Volendo “giustificare” queste conclusioni, si può ipotizzare che il legitimate aim della difesa della pace religiosa in Austria abbia assunto un peso rilevante in questa decisione anche, probabilmente, per il clima politico attuale nel Paese, retto come è noto da forze di destra che come programma di Governo hanno un approccio più restrittivo rispetto alla convivenza interetnica e interreligiosa. In particolare, il Partito della libertà, nella cui accademia politica sono state fatte le affermazioni incriminate, ha forti tendenze xenofobe.

La Corte, dunque, potrebbe aver voluto dare una sorta di “monito” alla società austriaca, sostenendo la posizione dell’autorità giurisdizionale nazionale che aveva agito “in contenimento” di azioni di esponenti di quelle forze politiche. Il lungo e impegnativo processo di integrazione che le autorità nazionali europee sono oggi chiamate a intraprendere potrebbe, infatti, essere messo a rischio da esternazioni, come quelle della ricorrente, che possano essere causa di tensioni e di violenze sociali e tra appartenenti a diversi gruppi religiosi. Queste circostanze spiegherebbero, in parte, la scelta della Corte di avallare la restrizione alla libertà di espressione della ricorrente ritenendo legittima e proporzionata una misura nazionale implicante una sanzione penale per la blasfemia, anche se a livello europeo il trend va nella direzione opposta[29]. Abbiamo scritto “in parte” perché, a nostro avviso, al seminario avevano partecipato solo una trentina di persone e pertanto, in questo caso, i rischi effettivi di un reale impatto sulla pace religiosa in Austria sarebbero stati quasi nulli. È stata, invece, la successiva denuncia a dare enfasi e maggiore eco alle esternazioni della ricorrente, giunte poi sino alla “cassa di risonanza” della Corte di Strasburgo.

Nel caso in esame, invero, il giornalista presente in sala avrebbe potuto, nel contesto del dibattito in corso, limitarsi a replicare immediatamente e contestare la veridicità delle affermazioni della ricorrente, contribuendo così alla creazione di una discussione aperta e plurale, anziché strumentalizzarle e denunciare la ricorrente.

Date le circostanze, difficilmente il contenuto dei seminari avrebbe potuto minare la pace religiosa e contribuire a creare quei problemi legati al mantenimento dell’ordine in una società democratica che, invero, legittimamente avrebbero richiesto e giustificato misure limitative della libertà di espressione[30]. La tutela del sentimento religioso altrui e della pace religiosa, infatti, richiederebbero misure tanto più incisive e limitative della libertà di espressione, quanto più facile fosse per un credente “subire” contenuti ritenuti offensivi senza avere la possibilità di un serio contraddittorio.

A nostro avviso, la Corte avrebbe dovuto prestare maggiore cautela nell’associare le esternazioni della ricorrente a possibili problemi legati al mantenimento dell’ordine nella società austriaca dovuti a una “interferenza” con la pace religiosa di quello Stato. Far assurgere la “crisi della sicurezza”, che purtroppo e oggettivamente caratterizza le società contemporanee europee, a limite al godimento dei diritti individuali garantiti dalla Convenzione è rischioso e, quantomeno, inopportuno[31]. In questi casi, il ricorrere al criterio del pressing social need per giustificare la legittimità di restrizioni connesse all’esigenza di preservare la pace religiosa/sociale, invece che alla concreta esigenza di garantire l’altrui religiosità, espone la Corte anche al rischio di strumentalizzazione politica delle sue decisioni.

Seppure sia positivamente apprezzabile l’attenzione della Corte verso gruppi religiosi minoritari in un determinato contesto nazionale, le conclusioni cui è giunta la Corte in questo caso possono invero minare quel pluralismo, tanto difeso dalla Corte stessa, che deve caratterizzare le società democratiche europee.

Infine, sebbene nella giurisprudenza più recente in materia di bilanciamento tra libertà di espressione e tutela del sentimento e della pace religiosi la Corte sembra aver adottato un atteggiamento più “rispettoso” nei riguardi della libertà di espressione, la cui protezione non può oggi essere separata dal contenuto delle informazioni o delle idee che si vogliono diffondere, essa dovrebbe prestare maggiore attenzione rispetto alla valutazione di altri elementi, quali l’effettiva risonanza delle affermazioni e la possibilità che esse siano contestate o confutate attraverso un dibattito pubblico, aperto e plurale, e non con la censura ex ante o ex post o infliggendo sanzioni penali. Il case-by-case approach proprio di quella giurisprudenza di Strasburgo che incide su temi particolarmente sensibili, dovrebbe dunque mirare al raggiungimento di soluzioni meno invasive della libertà di espressione dei singoli.

* Ricercatrice senior in Diritto dell’Unione europea – Dipartimento di Scienze giuridiche, Università del Salento.

[1] Vedi M. Gatti, La blasfemia nel diritto europeo: un «reperto storico», in Aa. Vv., Blasfemia, diritto e libertà, Bologna, 2016, 185 ss.

[2] CEDU, E.S. c. Austria, ric. 38450/12 (2018).

[3] Sulla libertà di espressione nella CEDU, vedi in particolare, M. Oetheimer-A. Cardone, Articolo 10, in S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky (diretto da), Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2012, 397 ss. Sul rapporto tra libertà di espressione e libertà religiosa vedi P. Manzini, Libertà di espressione e sentimento religioso nella civiltà giuridica europea, in G. Gozzi-G. Bongiovanni (a cura di), Popoli e civiltà. Per una storia e filosofia del diritto internazionale, Bologna, 2006, 123 ss.

[4] Sulla libertà religiosa ai sensi dell’art. 9 Cedu vedi, tra gli altri, A. Cannone, Gli orientamenti della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia religiosa, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1996, 264 ss.; C. Evans, Freedom of Religion under the European Convention on Human Rights, Oxford, 2001; S. Ferrari, La Corte di Strasburgo e l’articolo 9 della Convenzione europea. Un’analisi quantitativa della giurisprudenza, in R. Mazzola (a cura di), Diritto e religione in Europa, Bologna, 2012, 27 ss.; A. Guazzarotti, Articolo 9, in S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelski (diretto da), Commentario breve, cit., 370 ss.; D. Loprieno, La libertà religiosa, Milano, 2009; J. Martínez-Torrón, Limitations on Religious Freedom in the Case Law of the European Court of Human Rights, in Emory International Law Review, 2005, 587 ss.; C. Morviducci, La protezione della libertà religiosa nel sistema del Consiglio d’Europa, in S. Ferrari-T. Scovazzi (diretto da), La tutela della libertà di religione. Ordinamento internazionale e normative confessionali, Padova, 1988, 41 ss.; R. Uitz, La liberté de religion, Strasbourg, 2008.

[5] Le testuali parole pronunciate nel corso del seminario erano: «Un 56enne e una bambina di 6 anni? […] Come chiamarlo, se non pedofilia?» (§ 13). Secondo la ricorrente queste affermazioni trovano, invero, conforto nella maggior parte degli hadith (ovvero, raccolte dei detti e dei fatti della vita di Maometto).

[6] Tale norma è contenuta nella sezione 8 del Codice penale che, tra l’altro, elenca una serie di reati contro la pace religiosa.

[7] La Corte regionale asserì che il “contatto sessuale” tra Maometto e Aisha, non poteva essere considerato un atto di pedofilia, sebbene la giovane all’epoca avesse solo 9 anni, perché il matrimonio proseguì sino alla morte del Profeta. Pertanto, ciò dimostrava che Maometto non aveva alcun desiderio esclusivo nei confronti delle bambine ed era, invece, attratto anche da donne più grandi poiché Aisha aveva 18 anni quando egli morì, e le sue altre mogli erano tutte adulte.

[8] Nel suo ragionamento la Corte regionale “giustifica” comunque il comportamento di Maometto, ricordando in ogni caso che la pedofilia e il matrimonio con minorenni/bambine sono due cose diverse e che erano fenomeni non limitati al solo Islam ma, in passato, propri anche di alcune dinastie regnanti europee.

[9] Vedi CEDU, İ.A. c. Turchia, ric. 42571/98 (2005); Aydın Tatlav c. Turchia, ric. 50692/99 (2006); Otto-Preminger-Institut c. Austria, ric. 13470/87 (1994), Wingrove c. Regno Unito, ric. 17419/90 (1996); Giniewski c. Francia, ric. 64016/00 (2006).

[10] In generale, sui diritti garantiti ai gruppi religiosi in seno alla CEDU, ci sia consentito di rinviare al nostro C. Morini, La tutela dei diritti dei gruppi religiosi nel contesto regionale europeo, Bari, 2018.

[11] L’editore era stato riconosciuto colpevole e condannato, in via definitiva, a due anni di reclusione. In seguito, la pena detentiva era stata commutata in una sanzione pecuniaria. La frase contestata era la seguente: «Muhammad did not forbid sexual relationship with a dead person or a live animal». Nella sentenza la Corte aveva affermato che quest’affermazione, come altre, di fatto oltrepassavano il limite di una legittima provocazione essendo, invece, un mero attacco abusivo a Maometto, attacco che le autorità turche potevano legittimamente perseguire ai sensi dell’art. 10, par. 2 CEDU (§§ 29-31).

[12] La Corte, in particolare, aveva qui evidenziato anche il possibile e deprecabile chilling effect che condanne penali irragionevoli avrebbero potuto avere sulla libertà di espressione, e di riflesso sul pluralismo in una società democratica, affermando che «la peine de prison de douze mois fixée à l’encontre du requérant à été convertie en une amende modique […]. Toutefois, une condamnation au pénal, de surcroît comportant le risque d’une peine privative de liberté, pourrait avoir un effet propre à dissuader les auteurs et éditeurs de publier des opinions qui ne soient pas conformistes sur la religion et faire obstacle à la sauvegarde du pluralisme indispensable pour l’évolution saine d’une société démocratique» (§30).

[13] V. in dottrina P. Wachmann, La religion contre la liberté d’expression: sûr un arrêt regrettable de la Cour européenne des Droits de l’Homme, in Revue universelle des droits de l’homme, 1994, 44 ss.; R. Margiotta Broglio, Uno scontro tra liberta: la sentenza Otto-Preminger-Institut della Corte europea, in Rivista di diritto internazionale, 2, 1995, 368 ss.

[14] In un caso simile, relativo alla censura preventiva della proiezione del film L’ultima tentazione di Cristo in Cile, la Corte interamericana dei diritti dell’uomo è invece pervenuta a una soluzione diversa. Nella sentenza del 5 febbraio 2001 (caso Olmeto Bustos e altri c. Cile), ha infatti ritenuto che l’interdizione totale alla proiezione del film costituisse una misura in contrasto con la libertà di espressione garantita dall’art. 13 della Convenzione americana sui diritti dell’uomo (stipulata il 22 novembre 1969 ed entrata in vigore il 18 luglio 1978). Nella norma della Convenzione americana, invero, la censura preventiva rispetto all’esercizio della libertà in oggetto è espressamente proibita.

[15] In particolare, secondo la Corte europea alla luce della situazione esistente a livello locale e in quel frangente storico, le autorità austriache non avevano ecceduto il margine di apprezzamento, avendo invece l’obbligo di proteggere la pace religiosa nella regione del Tirolo, composta per la maggioranza da cattolici, e dovendo impedire che alcuni tra essi si sentissero ingiustificatamente offesi nei loro sentimenti religiosi (§ 56). Vedi anche la sentenza resa nel caso Wingrove c. Regno Unito, cit. dove la Corte ha confermato che la protezione del sentimento religioso attraverso norme che vietino la blasfemia può rientrare nella finalità di protezione dei diritti altrui previsto nell’art. 10, par. 2, CEDU. Vedi, in dottrina, S. Palmer, Blasphemy and the Margin of Appreciation, in The Cambridge Law Journal, 1997, 469 ss.; C. Evans, Freedom of Religion under the European Convention on Human Rights, cit., 7 ss.

[16] CEDU, Ginievsky c. Francia, ric. 64016/00 (2006). Qui i fatti riguardavano un articolo intitolato “L’obscurité de l’erreur” e pubblicato su Le quotidien de Paris nel quale l’autore aveva sostenuto che alcuni passaggi dell’Enciclica papale Veritatis Splendor dimostravano la matrice antisemita della religione cristiana e la responsabilità della sua dottrina anche nello sterminio degli ebrei. La Corte ha però riconosciuto che la condanna in sede civile subita dal ricorrente era stata una restrizione illegittima ai sensi dell’art. 10 CEDU, sia perché il contenuto dell’articolo non poteva essere ritenuto un’offesa a tutta la comunità cristiana, sia perché, in una società democratica, esso era di fondamentale interesse pubblico.

[17]Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966. Il testo dei paragrafi rilevanti di questo e degli altri atti internazionali successivamente citati, sono richiamati nella sentenza oggetto di commento ai §§ 26-35.

[18] Adottata dall’Assemblea parlamentare il 29 giugno 2007.

[19] Adottata nel corso della 76a Sessione plenaria (Venezia, 17-18 ottobre 2008).

[20] UN Doc. A/HRC/RES/16/18, adottata il 24 marzo 2011.

[21] UN Human Rights Committee (HRC), General comment no. 34, Article 19, Freedoms of opinion and expression, adottato il 12 settembre 2011 (CCPR/C/GC/34).

[22]European Parliament resolution of 8 September 2015 on the situation of fundamental rights in the European Union (2013-2014) (2014/2254(INI))

[23] In dottrina vedi, tra gli altri, A. Terrasi, Art. 17 Divieto dell’abuso di diritto, in S. Bartole-P. De Sena-V. Zagrebelsky (a cura di), Commentario breve, cit., 570 ss. e M. Castellaneta, La libertà di stampa nel diritto internazionale ed europeo, Bari, 2012, 150 ss. La norma riguarda il c.d. divieto di abuso di diritto: «Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata come implicante il diritto per uno Stato, gruppo o individuo di esercitare una attività o compiere un atto mirante alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà limitazioni maggiori di quelle previste in detta Convenzione».

[24] CEDU, Norwood c. Regno Unito, ric. 23131/03 (2004). Qui, ad esempio, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che un attacco generalizzato contro un gruppo religioso volto a stabilire un legame tra l’intero gruppo e un grave atto terroristico fosse contrario ai valori convenzionali, tra cui la tolleranza, la pace sociale e la non discriminazione, incitando invece all’odio contro quel gruppo.

[25] CEDU, Pavel Ivanov c. Russia, ric. 35222/04 (2007).

[26] CEDU, Hizb Ut-Tahrir e altri c. Germania, ric. 31098/08 (2012).

[27] CEDU, Belkacem c. Belgio, ric. 34367/14 (2017). In dottrina vedi M. Castellaneta, La Corte europea dei diritti umani e l’applicazione del principio dell’abuso del diritto nei casi di hate speech, in Diritti umani e diritto internazionale, 2017, 745 ss.

[28] I relativi ricorsi sarebbero, pertanto, dichiarati irricevibili.

[29] A fine ottobre, ad esempio, in Irlanda si è svolto un referendum per decidere se modificare la parte della Costituzione secondo la quale la blasfemia è un reato. L’esito è stato a favore dell’abolizione con il 64,85% dei voti. Cfr. In Irlanda non ci sarà più il reato di blasfemia, in Il Post, 28 ottobre 2018.

[30] Secondo il Governo austriaco, infatti, «the applicant’scriminal conviction had pursued the legitimate aim of maintaining order(protecting religious peace) and protecting the rights of others (namely their religious feelings)» (§ 36).

[31] Vedi A. Lollo, Blasfemia, libertà di espressione e tutela del sentimento religioso, in Consulta Online, 3, 2017, 474 ss. Inoltre, condividiamo quanto espresso da altra dottrina quando ha affermato che «[l]egare la questione del bilanciamento tra libertà di espressione e rispetto dell’altrui religiosità ad esigenze di ordine pubblico è, inoltre, una deriva quanto mai pericolosa non solo perché può giustificare, sulla base della paura contingente e della percezione del rischio, eccessive restrizioni alla libertà di espressione, ma anche perché può contribuire, al contrario, ad identificare i fattori di rischio con una particolare comunità religiosa» (M. Orofino, La tutela del sentimento religioso altrui come limite alla libertà di espressione nella giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo, in Rivista Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2, 2016, 36).




Alberto Pento

Non vi può essere:
non vi può essere alcuna libertà religiosa per la religione che ...
non vi può essere alcun valore umano superiore e spiritualmente elevato nella religione che ...
non vi può essere alcun buon sentimento religioso da tutelare per la religiosità e la religione che ...
non vi può essere alcuna speciale tutela per fondatori di religioni e capi religiosi che compiono crimini e inducono a compierli ...
non vi può essere un trattamento diverso tra religione e ideologia laddove la religione oltre ad essere ideologia religiosa è anche ideologia politica e giuridica ...

che:
che viola i valori, i doveri e diritti umani naturali universali, civili e politici e che sono con essi completamente compatibili;
quindi con le religioni o le ideologie e le pratiche religiose (giuridiche e politiche)
violente, minacciose, intimidatorie, costrittive, ricattatorie;
che promuove e induce al disprezzo, alla discriminazione, alla depredazione, alla schiavitù, alla dhimmitudine, all'odio, al suicidio, all'omicido, allo sterminio, alla guerra, al terrore;
che trasforma gli uomini in mostruosità acritiche, fanatiche, ossessionate, criminali, disumane;
che genera conflitti sociali, etnici, civili, religiosi e politici sia nazionali che internazionali;
che esalta come esemplari figure criminali di assassini, predatori, bugiardi, sterminatori, invasati;
che non promuove e non tutela fattivamente la pace, la fratellanza, la responsabilità, la proprietà, la libertà di parola di pensiero e di critica, la solidarietà volontaria e non forzata;
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