I mussulmani cosidetti moderati e l'Islam buono non esistono

I mussulmani cosidetti moderati e l'Islam buono non esistono

Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:05 am

I mussulmani cosidetti moderati e l'Islam buono non esistono
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Solo coloro che mettono in discussione e criticano apertamente Maometto e il Corano sono credibili e tutti costoro sono eslusivamente ex mussulmani, apostati;

tutti gli altri cosidetti moderati o buoni non mettono mai in discussione né Maometto, né il Corano e anche se normalmente in occidente tengono comportamenti tolleranti e rispettosi delle leggi e dei non mussulmani, laddove però diventano massa islamica e massa preponderante perdono ogni tolleranza e rispetto e diventano come tutti gli ìntegralisti e fondamentalisti o per adesione/induzione naturale o per paura di essere accusati di eresia e apostasia o per semplice opportunismo.

L'unico modo che abbiamo per aiutarci, aiutare il Mondo e aiutare l'umanità affetta dal morbo islamico, a liberarsi del nazismo maomettano è quello di dire la verità, sempre e ovunque e di criticare Maometto, il suo idolo Allah e il suo demenziale Corano,
se si tralascia di dire la verità e di criticare questi due fondamenti dell'islam non se ne viene fuori;
non esiste altro metodo a costo di scatenare la rabbia e la violenza dei nazi maomettani, bisogna metterli davanti a se stessi e alle mostruosità dell'Islam, di Maometto e del Corano.

Far finta di niente, lasciar correre, negare la malignità dell'Islam, il santificare il maomettismo come se fosse altro dal nazismo maomettano come ha fatto e fa Bergoglio e come fanno i demosinistri è da irresponsabili, o demenziale o altrettanto criminale del nazismo maomettano di cui tale atteggiamento si fa complice e promotore quando addirittura non lo giustifica colpevolizzando l'occidente europeo e americano, il cristianismo, Israele e gli ebrei.



Criticare l'Islam è una necessità vitale primaria, un dovere civile universale prima ancora che un diritto umano;
poiché l'Islam è il nazisno maomettano
.
Non va solo criticato ma denunciato, contrastato, perseguito e bandito.
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Mussulmani moderati!? e contro i terroristi maomettani!?
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I mussulmani cosidetti moderati e l'Islam buono non esistono

Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:06 am

L'Islam è quello attuato e predicato da Maometto e scritto nel Corano, non altro; tutto ciò che è altro da quanto fatto e predicato da Maometto e scritto prescritto nel Corano non è Islam ma eresia islamica, negazione dell'Islam.

Essere islamici integralisti o fondamentalisti significa seguire l'esempio di Maometto e attenersi a quanto prescritto dal Corano, quindi significa essere veri mussulmani e buoni mussulmani per tutti gli islamici.

I mussulmani cosidetti moderati non sono islamici ma eretici e l'Islam moderato non è più Islam ma eresia.
È come voler essere cristiani negando o rinnegando Cristo, il suo esempio e la sua parola.

I mussulmani cosidetti moderati con il loro Islam apparentemente buono e pacifico sono i più pericolosi,
perché sono quelli che scardinano le resistenze dei non mussulmani, aprendo le porte delle loro città agli eserciti assedianti dei nazi maomettani integralisti o fondamentalisti che sono l'Islam il vero Islam di Maometto e del Corano.

L'Islam non è mai stato pacifico anzi è sempre stato violento, bellicoso, guerrafondaio, razziatore, razzista, criminale, senza rispetto, imperialista.
L'Islam non è pace ma guerra, guerra tra le sette islamiche, guerra agli islamici moderati e guerra ai non islamici atei, aidoli e diversamente religiosi.


C'e`un detto fra i cristiani copti in Egitto : " quando il musulmano integralista ti sta tagliando il collo , il moderato ti tiene fermo".
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Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:09 am

Kawtar Barghout una cosidetta islamica moderata o buona islamica

Kawtar Barghout mi ha bloccato per aver messo una faccina ridente ad un suo commento a questo post. Premetto che non ero nei suoi contatti quindi non potevo commentare ma solo mettere like o reazioni.
Nel post si critica Magdi Cristiano Allam .

Se è vero che il Marocco non è l'Arabia Saudita è pur vero che la scuola maliki prevede la pena di morte per apostasia come le altre scuole giuridiche islamiche. Per esempio...
L'Islam è Islam.

Ma allora come è possibile che un paese sia più moderato di un altro? Semplice! I paesi sono fatti da persone e le persone possono essere moderate. Tutto dipende dal grado di adesione alla dottrina islamica. In Arabia Saudita è maggiore che in Marocco.

Ma se parliamo di Islam, quindi di ideologia, quello è lo stesso dappertutto ed è nato in Arabia Saudita.
I musulmani e i paesi islamici possono essere moderati, l'Islam no.
Magdi Allam nei suoi libri parla di Islam non di musulmani quindi le critiche di Kawtar sono ingenerose.

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 338&type=3



Kawtar Barghout: "Il wahabismo sta prendendo piede in Europa"

http://www.linformale.eu/kawtar-barghou ... -in-europa

Kawtar Barghout, giovane (classe 1991) padovana di origine marocchina, fa parte dell’associazione “Stop radicalizzazione”. Le sue critiche nei confronti di salafismo e wahabismo hanno scatenato l’ira di alcuni connazionali marocchini e musulmani italiani. Una recente presa di posizione contro lo ius soli ha suscitato curiosità e alimentato altri attacchi (ma anche elogi) nei suoi confronti. Come se non bastasse, si è dichiarata “simpatizzante di Israele”.
L’Informale non ha perso l’occasione di intervistarla, parlando con lei di immigrazione, Marocco, Israele, antisemitismo e razzismo.

Kawtar Barghout, vivi in Italia da quando hai due anni ma fai notizia perché sei “di origini marocchine e dici no allo ius soli”. Cosa ne pensi del dibattito sui temi inerenti all’immigrazione in Italia?

L’immigrazione in Italia non viene affrontata con approccio pragmatico. La tendenza è o un estremo buonismo o un estremo cattivismo. Una determinata parte politica, la peggiore, afferma che non devono esserci frontiere e che bisogna aiutare tutti, tanto da ritenere che nessuno sia illegale. Il reato di clandestinità è previsto in tutti gli ordinamenti con pene molto aspre. In Italia, dal 2009, la clandestinità è un reato convenzionale.
La visione di questa parte politica è che tutta l’Africa muoia di fame e sia in guerra costante. Senza le dovute distinzioni stiamo commettendo un gravissimo errore: aiutando tutti si tolgono risorse a chi ne ha veramente bisogno. Purtroppo l’attuale narrazione sull’immigrazione non distingue tra profugo e migrante economico che non ha nessun diritto di giungere illegalmente sul suolo italiano.
La politica immigratoria in Italia dovrebbe tornare a basarsi sul requisito del lavoro e dell’autosufficienza: un migrante economico che non ha questi requisiti non dovrebbe nemmeno approdare nelle coste italiane, mentre chi scappa dalla guerra dovrebbe poterlo fare in totale sicurezza. I somali, per poter chiedere asilo in paesi come il Canada, l’Australia, gli Stati Uniti si spostavano verso il Kenya, effettuavano l’iter per il riconoscimento del loro status e comodamente da un aereo raggiungevano il paese di accoglienza.
In Italia ci sarebbe già la possibilità di raggiungere il Paese in modo sicuro richiedendo il modulo C3 alla polizia di frontiera ed iniziare il proprio iter di riconoscimento del proprio status. L’Australia presentava lo stesso problema dell’Italia con le carrette del mare, ma con un lavoro di sensibilizzazione nei paesi di origine dei migranti e con una politica di respingimento ha risolto il problema. Se non si arriva a dire un chiaro no alle carrette del mare si continuerà ad incentivare questo fenomeno.

Come reagiscono gli altri italo-marocchini alle tue posizioni molto critiche nei confronti del radicalismo islamico?

Sulla questione del radicalismo islamico, molti connazionali non hanno la benché minima idea di quale corrente facciano parte. Quando leggono i miei post su facebook, non avendo a mente la complicata galassia dell’Islam, pensano che lo stia criticando interamente, senza rendersi conto che critico solo la corrente salafo-wahabita. Molti musulmani dimenticano che nell’Islam ci sono ben quattro scuole giuridiche sunnite: Hanafita, Malikita, Hanbalita e Shafi’ta. Queste interpretano tutte in maniera diversa il testo coranico. Un Malikita non sarà mai come un Hanbalita. Inoltre, accanto a queste, si sono create correnti di pensiero come il Salafismo moderno che traccia le sue origini nel diciannovesimo secolo e che vorrebbe un ritorno alle radici, cioè un Islam puro e scevro di modernità applicando un’interpretazione letterale del Corano. Accanto al Salafismo vi è anche il Wahabismo che è sempre una corrente del diciottesimo secolo, la quale ambiva ad una riforma religiosa nel cuore dell’Islam sunnita. La sua interpretazione letterale e quindi rigorosa ha impedito ai paesi in cui è applicata, come l’Arabia Saudita, di progredire. Le mie critiche sono mosse nei confronti di queste due correnti che, silenziosamente, stanno prendendo piede in Europa in una sorta di neocolonialismo culturale, andando quindi a distruggere quelle che sono le peculiarità religiose degli immigrati in Europa.
Un Malikita di stampo Sufi del Marocco, non avendo cultura religiosa del suo Paese e tanto meno memoria, viene corrotto da queste correnti senza rendersi conto della gravità della situazione, tanto da trovare fastidiose le mie critiche che ambiscono a mantenere le tradizioni della madre patria.

Visiti ancora spesso il Marocco? Rispetto all’Italia e all’Europa quali differenze noti soprattutto riguardo alla condizione femminile?

Il Marocco lo visito ogni due anni, in quanto la mia curiosità mi porta sempre a visitare altri Paesi. Al di la della distanza rimango aggiornata sugli sviluppi politici e sociali del Paese grazie al web ed ai parenti. La condizione femminile in Marocco è in continua evoluzione. La riforma del codice di famiglia del 2004 (Mudawwana) ha portato ad un ampliamento dei diritti delle donne abolendo quella che è la famiglia patriarcale e accentuando il rispetto verso la donna.
La poligamia rimane autorizzata ma è difficile da ottenere, anche se è possibile attraverso escamotage. Viene abrogato il ripudio (divorzio verbale), l’età minima legale per il matrimonio passa da 15 a 18 anni, le molestie sessuali vengono considerate come reato e punite dalla legge, la donna può sposarsi senza il consenso del padre, la fedeltà coniugale diventa reciproca e non spettante solo alla donna.
Il pregiudizio sul mondo arabo è talmente forte che si scambia la condizione della donna dell’Arabia Saudita con quella della donna marocchina. In Marocco una donna può guidare l’automobile, pilotare caccia militari, fare il medico, l’avvocato, il ministro, andare in bicicletta ed uscire senza l’accompagnatore maschile. Tutte cose che in Arabia Saudita non si potrebbero fare.

Recentemente, sul tuo profilo facebook hai dichiarato di “simpatizzare per Israele”. Puoi spiegare meglio questa tua posizione?

Ho conosciuto vari arabi israeliani ed il loro attaccamento ed amore per il Paese di cui fanno parte mi ha portato a rivedere, negli ultimi tre anni, la mia posizione su Israele, unica democrazia in Medio Oriente. La mia simpatia per Israele va scissa da quello che è il conflitto israelo-palestinese. Molti, per screditare Israele, affermano che sia in vigore un regime di apartheid nei confronti degli arabi. Questo non è vero, infatti molti arabi rivestono ruoli di vertice in Israele. I drusi che vivono in alta Galilea e nella zona del monte Carmelo combattono nell’esercito israeliano nell’unità drusa, il Gdud Herev; un colonnello delle brigate d’élite (Rassan Alian n.d.r.) è di origine drusa. La stessa Israele difende i drusi siriani in Siria dalla minaccia jihadista.

Ritieni che sia diffuso l’antisemitismo nel mondo arabo? E nel mondo musulmano italiano?

Nel mondo arabo l’antisemitismo è molto diffuso anche se, ad esempio, il Marocco ha ottimi rapporti con gli ebrei marocchini. Il consigliere reale è un ebreo, André Azoulay. Tanti ministri, imprenditori e giornalisti marocchini sono parte della comunità ebraica sefardita. Storicamente tanti ebrei spagnoli, dopo la cacciata dalla Spagna nel 1492, si sono rifugiati in Marocco. Per le loro grandi capacità e cultura, sono stati insigniti del ruolo di diplomatici.
Per quanto gli ebrei siano parte del tessuto sociale del mondo arabo, a causa della questione palestinese sono esplosi i rancori non per obiettività ma solo per questioni religiose.La maggior parte degli arabi simpatizza per i palestinesi poiché sono musulmani come loro, arrivando anche a giustificare gli atti terroristici.
In Italia invece, in termini di antisemitismo, è decisiva la corrente della Fratellanza Musulmana nostrana che sin da ragazzini inculca la diffidenza e l’odio verso gli ebrei.

Sei stata vittima di episodi di razzismo diretto o indiretto? Pensi che l’Italia sia un Paese razzista?

Parto dalla premessa che non esista un popolo meno o più razzista degli altri, vedo il razzismo in certi italiani come in certi marocchini.
Ho avuto i miei problemi di razzismo in ambito scolastico, dalle scuole elementari alle scuole superiori. Era un razzismo velato da invidia poiché ero molto brava nello studio e le compagne mi domandavano come potesse una straniera essere più brava di loro. Non ho mai affrontato la questione con vittimismo ma ne ho tratto motivazione e determinazione. Adesso ripensandoci mi rendo conto che mi ha forgiato il carattere. Riesco ad affrontare con estrema leggerezza e positività qualsiasi evento come quelli di vero razzismo di alcuni miei connazionali marocchini a seguito delle mie esternazioni sullo ius soli, accompagnati da minacce di morte di tutti i tipi e gravi diffamazioni.
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I mussulmani cosidetti moderati e l'Islam buono non esistono

Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:11 am

Maryam Ismail un'altra cosidetta islamica moderata o buona islamica

C’è un rapporto non occasionale fra il Pd e l’Islam politico” Ora lo dice anche la Procura
14 aprile 2018
Gerardo Verolino

http://www.italiaisraeletoday.it/ce-un- ... la-procura

Il segretario milanese del Pd Pietro Bussolati e la consigliera comunale Pd Sumaya Abdel Qader al centro islamico: lezione sul voto per l’uso della scheda elettorale dove c’è il simbolo Pd già contrassegnato

L’antefatto. L’11 Gennaio del 2017, il consigliere comunale di “Milano popolare”, Matteo Forte, e l’antropologa Maryam Ismail, storica portavoce della comunità somala meneghina, sorella di Yusuf Mohamed Ismail, l’Ambasciatore della Somalia presso l’Onu ucciso in un attentato del gruppo terroristico islamico al
Shabaab, tengono una conferenza stampa a Palazzo Marino su un tema forte: “Pd e Islam politico: un rapporto non occasionale” nel quale spiegano che il Partito democratico milanese “ha rapporti esclusivamente con la parte dell’Islam più ortodossa”.

Gerardo Verolino

La Ismail, islamica moderata, ha abbandonato il Pd proprio in conseguenza di questa scelta del suo partito ormai votatosi verso la deriva più integralista dell’Islam. Nella conferenza stampa emerge che il Pd di Milano “tramite l’associazione “Segnali” fondata dal segretario cittadino Pietro Bussolati ha rapporti con giovani esponenti dell’associazionismo musulmano del mondo Ucoii (Unione delle comunità islamiche d’Italia)”.

Pietro Bussolati e Matteo Renzi

Inoltre nel board di “Segnali” figura Ahmed Abdel Aziz presidente del Comitato libertà e democrazia per l’Egitto legata al movimento dei “Fratelli musulmani” di Morsi. Si apprende anche ch e il Pd milanese “dialoga con il Caim (Coordinamento delle associazioni islamiche) e alle ultime elezioni cittadine una sua rappresentante ed ex responsabile culturale, l’animatrice del “Progetto Aisha”, nata a Perugia da genitori palestinesi e giordani e autrice del libro autobiografico”Porto il velo, adoro i Queen”, è stata eletta consigliera comunale”.

Sumaya Abdel Quader

Non bastasse, il cugino della consigliera, Samer-Al-Barq, è un personaggio inquietante. In un rapporto di una commissione del Senato americano si cita “in relazione all’utilizzo di antrace da parte di Al Quaeda e ad attività
quaediste in Pakistan”. E per questo è stato imprigionato a Guantanamo e poi detenuto in Israele appunto perché sospettato di legami con al Quaeda.

Matteo Forte

Ma ritorniamo alla conferenza stampa di Palazzo Marino. A conclusione del breifing con la stampa si esigono spiegazioni ai dirigenti del Pd e a Bussolati in merito a questi imbarazzanti rapporti con l’Islam politico. “Chiediamo-dice la Ismaili-il perché della propensione del Pd a dare spazio e voce solo all’area religiosa e politica dell’Ucoii, che si rifà alla scuola giuridica wahabita. È la partepiù ortodossa, dove non vi è distinzione fra la Sharia e lo Stato. Chiedo al ministro Minniti di aprire un tavolo di confronto con le comunità islamiche perché è urgente e indispensabile uscire dalla gabbia di islamizzazione a cui noi stessi islamici siamo costretti dalla supremazia wahabita”.

Maryam Ismail

Al che, qualche mese dopo, il segretario del Pd, Bussolati reagisce con veemenza parlando di “illazioni” che “produrranno delle azioni di tutelanelle sedi giudiziarie”. E parte la denuncia per diffamazione contro Forte e la Ismail.

E arriviamo ad oggi dove apprendiamo che il pm, nell’archiviare la querela nei loro confronti, scrive che non si tratta di “allusioni malevole” ma di “dati oggettivi” creando non pochi imbarazzi ai democratici milanesi che si vedono così marchiati, di riflesso, come quantomeno contigui all’islamismo politico.

Sulla sua pagina Facebook, la Ismail, esprime tutta la soddisfazione per l’esito della vicenda e, rivolgendosi al Pd milanese scrive che “una figuraccia cosìpotevate evitarvela”. Aggiungendo che “gli argomenti presentati durante la conferenza stampa sono corretti, ineccepibili e purtroppo inquietanti”. Non c’è stato insomma nessun dossieraggio dal momento che “le nostre tesi si sono basate su documenti pubblici accessibili a chiunque e già noti agli addetti ailavori”. E ricordando la sua esperienza personale passata “dopo gli anni interminabili da rifugiata politica e le tragedie che hanno colpito la mia famiglia non potevo essere intimorita da simili mezzucci”.

Maryam Ismail e Andrea Jarach

La storia si è rivelata un boomerang per la sinistra milanese già segnata da altre polemiche. Come quella che c’è stata poco prima delle ultime elezioni politiche, in un dibattito al Centro islamico di Milano quando Pietro Bussolati, (un politico abituato a fare proseliti nei luoghi di culto come le Moschee) è seduto accanto a Sameh Melligy, un egiziano sostenitore dei Fratelli musulmani membro dell’Alleanza islamica un’associazione inserita nella “lista nera del terrore” degli Emirati Arabi che viene anche candidato come consigliere di zona nel 2016 prima che la sua nomina svanisse nel nulla a seguito di una foto imbarazzante che lo ritrae con Tareq Suwaidan, un kuwaitiano legato anche lui ai Fratelli musulmani.

Ali Abu Shwaima

Con lui anche c’è il fondatore imam Ali Abu Shwaima, un signore che ritiene sconveniente per le donne andare in bicicletta e che prende parte alla manifestazione di Milano in cui si inneggia alla morte agli ebrei.
C’è anche la consigliera comunale, Sumaya Abdel Quader, che tiene lezioni di voto con un a scheda in mano dove l’unico simbolo che compare è quello del Pd.




Maryam Ismail
Milano e l'Islam
Luca Misculin
2016/09/03

https://www.ilpost.it/2016/09/03/milano-moschea-islam

Alla fine di luglio, due mesi dopo le elezioni di Milano vinte al ballottaggio dal candidato del centrosinistra Giuseppe Sala, non tutte le commissioni del consiglio comunale si erano già insediate: in un recente e caldo pomeriggio a Palazzo Marino, davanti al teatro La Scala, è stato il turno della nuova commissione Cultura, convocata per scegliere presidente e vicepresidente. Una formalità, dato che le cariche vengono decise dai partiti prima delle sedute.

In commissione erano presenti una ventina di consiglieri della maggioranza e sei dell’opposizione, raggruppati ciascuno in un gruppo di banchi alle due estremità dell’emiciclo. L’atmosfera era piuttosto rilassata, da pacche sulle spalle e complimenti sulle prime abbronzature. L’elezione del presidente è filata liscia: la maggioranza ha ricandidato – rieleggendola – Paola Bocci, 53enne consigliera comunale del Partito Democratico che già presiedeva la commissione nella scorsa legislatura. La situazione si è improvvisamente agitata quando si è discussa l’elezione del vicepresidente: la maggioranza di centrosinistra aveva deciso di candidare Sumaya Abdel Qader, 38enne consigliera comunale del PD, sociologa e attivista per i diritti delle donne musulmane, e decisamente la candidata di cui più si era parlato in campagna elettorale.

Abdel Qader è una persona nota a chi frequenta il mondo islamico milanese: è nata a Perugia da genitori palestinesi e giordani, porta l’hijab, ha tre lauree ed è la fondatrice del Progetto Aisha, un’associazione contro la discriminazione delle donne musulmane. Si è fatta notare per la prima volta otto anni fa, quando ha scritto il libro autobiografico Porto il velo, adoro i Queen, pubblicato da Sonzogno. Da tempo organizza convegni contro la violenza sulle donne e per promuovere l’immagine di un Islam pacifico. Diverse persone che hanno avuto a che fare con Abdel Qader l’hanno descritta al Post come una donna molto competente e appassionata, abile a parlare in pubblico e onesta nelle relazioni private.

Ma Abdel Qader, per i suoi critici, è soprattutto l’ex responsabile culturale di uno dei centri islamici più noti e controversi di Milano: il CAIM (Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano), un’associazione che raduna diversi piccoli gruppi religiosi islamici della Lombardia. Il CAIM è l’espressione milanese dell’UCOII, la principale associazione italiana dei centri culturali islamici, sostenitrice di una concezione militante dell’Islam: cioè non completamente laica, e legata a capi di stato espressioni del cosiddetto “Islam politico” come l’ex presidente egiziano Mohamed Morsi e l’attuale presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

Abdel Qader ha spiegato diverse volte di aver lasciato il CAIM e di non essersi candidata in comune solamente per difendere gli interessi dei musulmani. Alcuni dei suoi critici, però, hanno fatto notare che la sua candidatura è arrivata pochi mesi dopo che il CAIM aveva vinto un bando – poi bloccato – per costruire la prima moschea ufficiale a Milano, che sarebbe stata finanziata in parte da fondazioni del Qatar e dal Kuwait. Moltissimi, anche all’interno dello stesso Partito Democratico, si sono chiesti se fosse opportuno dare in mano il primo centro di questo tipo a un’associazione così controversa, e addirittura candidare nelle proprie liste una sua ex dirigente. Una delle persone ad aver rivolto le critiche più dure di Abdel Qader è stata una sua collega di partito: Maryan Ismail, storica esponente della comunità somala di Milano e musulmana “progressista”, che in polemica con la candidatura di Abdel Qader ha lasciato il partito poco dopo le elezioni con una lettera aperta a Matteo Renzi, ricevendo moltissimi messaggi di solidarietà da militanti del PD.

Torniamo a quel pomeriggio di fine luglio. Il primo iscritto a parlare per dibattere dell’elezione di Abdel Qader era Gianluca Comazzi di Forza Italia, ex Garante per gli animali del Comune sotto la giunta Moratti ed ex capogruppo del centrodestra in commissione Cultura. Al momento di parlare, Comazzi ha spiegato che candidando Abdel Qader – che ha chiamato “Sumaya” per tutto il discorso, nonostante i monitor della sala mostrassero solo i cognomi di ogni consigliere – il PD stava facendo un grave errore: stava mettendo in una posizione “scomoda” Abdel Qader e creando “attrito” con “altri interlocutori” della comunità musulmana. L’intervento di Comazzi si è poi rivelato il più pacato di tutti. Dopo ha preso la parola Alessandro Morelli, Lega Nord, ex assessore al Turismo della giunta Moratti e attuale direttore del blog vicino a Matteo Salvini il Populista. Morelli partecipava alla seduta indossando una maglietta di Radio Padania: ha attaccato duramente il PD e Abdel Qader spiegando, con il proprio computer portatile aperto, che secondo alcuni virgolettati che aveva trovato su Internet Abdel Qader – che Morelli ha chiamato “Maryam”, confondendosi con Ismail – era una sostenitrice dell’«Islam oscurantista», e che «non è stato chiarito nulla delle accuse pubblicate su tutti i giornali» (Abdel Qader non ha mai avuto nessun problema con l’antiterrorismo ma ha passato l’intera campagna elettorale a smarcarsi dalle accuse di vicinanza all’Islam radicale).

Dopo Morelli sono intervenuti fra gli altri Silvia Sardone di Forza Italia («cosa ne pensa che nelle periferie ci siano le donne col velo integrale?»), Massimiliano Bastoni della Lega Nord («Milano ha una storia, una cultura, che non vedo perché debbano essere messe in dubbio», «considera [l’attentato a Nizza] un delitto all’umanità? Sì o no?») e Luigi Amicone, direttore del quotidiano di Comunione e Liberazione Tempi, che assieme ad altri giornali di destra ha fatto attivamente campagna contro la candidatura di Abdel Qader («la sinistra e il PD faranno i conti con questa scelta»). Pochi secondi prima che finisse l’ultimo discorso in programma, Comazzi si è iscritto per parlare una seconda volta. Bocci, non essendosene accorta, ha chiuso il dibattito e iniziato le procedure di voto. Comazzi se l’è presa moltissimo, urlando cose come «lei è distratta!», «non iniziamo così, presidente!», «lei non venga qui a insegnarci cosa dobbiamo fare!». Quindi ha parlato per altri otto minuti. Poi hanno ripreso la parola Bastoni e Sardone, senza aggiungere niente di sostanziale. A questo punto si erano fatte le tre meno venti e bisognava lasciare la sala ai componenti della commissione Bilancio. Alla fine, la votazione per la vicepresidenza di Abdel Qader è stata rinviata alla seduta successiva.

Gli attacchi dei consiglieri di centrodestra e le critiche di Ismail mostrano rispettivamente due cose. La prima è che in Italia il dibattito su Islam e impegno politico è ancora piuttosto superficiale, anche a livello istituzionale: cosa che rende difficile capire qualcosa di un tema così complicato, col rischio di dire cose false (per esempio associando Abdel Qader al terrorismo). La seconda è che il Partito Democratico – il partito di maggioranza sia a Milano sia al parlamento nazionale – ha un problema di rappresentanza e dialogo col mondo musulmano, avvertito da estesi pezzi del partito.

Questi due problemi si intrecciano col vero nodo irrisolto del rapporto fra Islam e Milano: la questione della costruzione di una moschea “ufficiale”, che nei mesi scorsi è stata ostacolata da una controversa legge regionale, dalla litigiosità delle varie associazioni coinvolte e da vari passi falsi del comune: e che a oggi nessuno può dire come andrà a finire. Il nervosismo con cui è stata trattato il caso di Abdel Qader e quello della moschea mostra inoltre che il tema del fondamentalismo islamico è ancora particolarmente delicato in una città che in passato è stata molto importante per il jihadismo europeo e il cui Istituto Culturale Islamico di viale Jenner – che ha una piccola parte anche in questa storia – fu definito dal dipartimento del Tesoro americano «la principale base di al Qaida in Europa».

Storia di una candidatura
Parlando col Post al quarto piano del palazzo che ospita gli uffici dei consiglieri comunali, Abdel Qader ha raccontato che la possibilità di candidarsi col Partito Democratico le è stata offerta dal segretario cittadino, Pietro Bussolati. Abdel Qader dice di avere accettato la proposta – dopo qualche esitazione – perché considera l’incarico in consiglio comunale come la naturale prosecuzione del suo impegno da attivista. Parlando a bassa voce, in tono rilassato, Abdel Qader ha elencato le iniziative di cui si è occupata in passato di cui va più fiera: l’assistenza legale per le donne vittime di violenza domestica, i corsi per sensibilizzare gli imam su questi problemi, i seminari sull’educazione sessuale per le ragazze musulmane. Abdel Qader si considera comunque una candidata “indipendente”: non ha la tessera del Partito Democratico.

Durante la campagna elettorale, a causa del suo legame col CAIM, Abdel Qader è stata criticata quasi quotidianamente da quotidiani e siti di destra, accusata esplicitamente di essere legata ai Fratelli Musulmani – il principale gruppo transnazionale che rappresenta l’Islam politico – e attaccata per alcuni post su Facebook molto critici nei confronti di Israele pubblicati anni prima da suo marito e da sua madre. Ma Abdel Qader ha ricevuto anche altri tipi di critiche: a metà maggio è stata definita un’apostata – cioè una persona che ripudia la propria religione – da una pagina Facebook piuttosto seguita e gestita da un musulmano conservatore. Abdel Qader dice che si aspettava attacchi del genere, che però hanno solamente «rafforzato la [mia] volontà a proseguire: c’è bisogno di scardinare i pregiudizi».

Per contro, Abdel Qader è stata difesa pubblicamente da diversi importanti dirigenti del PD milanese come il segretario cittadino Pietro Bussolati e naturalmente il candidato sindaco del partito Giuseppe Sala. In campagna elettorale Abdel Qader ha dato decine di interviste e tenuto diversi comizi: in nessuno di questi comizi o incontri ci sono stati episodi di incitamento alla violenza o problemi di ordine pubblico.

Abdel Qader si è sempre difesa dalle accuse negando di appartenere ai Fratelli Musulmani e di avere una concezione politica dell’Islam. I suoi critici fanno però notare che per anni è stata la responsabile giovanile della Federation of Islamic Organizations in Europe (FIOE), un’associazione che almeno in passato era esplicitamente vicina ai Fratelli Musulmani. In un post del suo blog, Abdel Qader ha scritto che ha militato nella FIOE «portando avanti con spirito critico l’idea di un Islam indipendente da stati esteri». La maggior parte delle critiche rivolte ad Abdel Qader si concentra comunque sul CAIM e sul suo ruolo nella comunità islamica milanese, anche in vista della futura costruzione della moschea (al centro di una storia molto ingarbugliata: ci arriviamo).

Parliamo del CAIM
Il CAIM, Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano Monza e Brianza, è stato fondato nel 2011 e oggi comprende una ventina di associazioni, molte delle quali di Milano. Dentro c’è un po’ di tutto, dai piccoli centri religiosi “nazionali” di fedeli provenienti da Albania e Bangladesh, alle sedi locali dei Giovani Musulmani, fino all’Associazione Donne Musulmane d’Italia. Le principali attività del CAIM sono l’organizzazione di eventi e progetti culturali, oltre che l’assistenza legale e burocratica alle piccole associazioni che fanno parte della rete. Il CAIM non è legato a una sola moschea, insomma, ma è un misto fra un’associazione culturale e una rete di comunità. Il CAIM è considerato l’espressione lombarda dell’UCOII, Unione delle comunità islamiche d’Italia, un’associazione nata nel 1990 che ad oggi comprende la maggior parte dei centri islamici italiani, e da più parti considerata effettivamente sostenitrice di un modello di “Islam politico” vicino a quello dei Fratelli Musulmani.

Fra i fondatori dell’UCOII c’è Hamza Piccardo, intellettuale in passato vicino alla sinistra extraparlamentare e fra i più famosi convertiti italiani, noto anche per aver curato una popolare traduzione del Corano uscita nel 2004 per Newton Compton e ancora in vendita. Piccardo ha raccontato di avere una “vicinanza amichevole” coi Fratelli Musulmani ma di non farne parte. Di recente si è tornati a parlare di lui perché su Facebook ha paragonato il riconoscimento delle unioni civili a quello dei matrimoni poligami. Il coordinatore del CAIM è suo figlio Davide, che ha 34 anni, è laureato in Scienze politiche e in passato è stato candidato consigliere comunale di Sinistra Ecologia Libertà a Milano, senza essere eletto. È lui la persona più controversa di tutta l’associazione.

Davide Piccardo è uno dei più visibili esponenti della comunità islamica italiana. Nel 2001 fondò l’associazione nazionale dei Giovani Musulmani, ancora oggi attiva in varie parti d’Italia (uno dei co-fondatori fu Khaled Chaouki, oggi deputato del Partito Democratico, espulso dagli stessi Giovani Musulmani nel 2011 dopo averli accusati di eccessivo conservatorismo). Dopo aver fondato il CAIM ed esserne diventato il coordinatore, negli ultimi anni Piccardo ha partecipato a diversi talk show televisivi nazionali come In Onda, La Gabbia, Porta a Porta, Omnibus, L’Arena. Da poche settimane ha ripreso ad aggiornare un blog sullo Huffington Post. La sua pagina Facebook – che è pubblica – contiene diversi video in cui commenta gli ultimi fatti d’attualità e politica estera.

In tutti i suoi interventi pubblici Piccardo condanna il terrorismo islamico, spiega che l’Occidente ha bisogno di politiche di integrazione efficaci e critica spesso politici e partiti di destra, accusandoli di fomentare l’odio contro i musulmani. Ma Piccardo è diventato famoso anche per certe dichiarazioni molto dure su Israele e per il suo sostegno a politici stranieri considerati alla stregua di leader autoritari come Mohamed Morsi e Recep Tayyip Erdoğan. Nel 2014 scrisse su Facebook che sfilare al corteo del 25 aprile con la bandiera di Israele «significa insultare la Resistenza» (Piccardo è noto per litigare molto spesso con la comunità ebraica milanese).

Il 19 agosto 2013, in un post del suo blog intitolato Chi vuole fermare la Turchia forte e islamica di Erdogan?, Piccardo ha scritto: «Istanbul a cavallo tra Europa ed Asia viene attraversata da due visioni di futuro opposte. Una ancorata alla nascita della Turchia moderna, sbilanciata verso l’Occidente, che idolatra il padre della patria Ataturk e l’altra proiettata verso la ricostituzione dello splendore ottomano che guarda al mondo islamico e non solo. Oggi, una è obsoleta e perdente e l’altra è vincente». Dopo il fallito colpo di stato in Turchia, Piccardo ha detto la sua in un video pubblicato su Facebook dove fra le altre cose sostiene che «la Turchia è un paese laico, forse più dell’Italia», che «ovviamente si può discutere sul livello di democrazia [in Turchia], però possiamo discutere anche del livello di democrazia del nostro paese [l’Italia]». Nello stesso video, parlando di Siria, ha messo sullo stesso piano il dittatore Bashar al Assad, il presidente americano Barack Obama e quello russo Vladimir Putin, spiegando che «sicuramente non hanno le mani pulite».

Commentando le dichiarazioni più controverse di Piccardo, Abdel Qader ha spiegato che il CAIM «non è un pensiero, ma un coordinamento» e che all’interno del direttivo dell’associazione non esiste un’ideologia maggioritaria. Anche Abdel Qader però ammette che quelle di Piccardo sono posizioni «legittime» ma «più forti» delle sue, e che a volte non sia chiaro quando parla a titolo personale e quando da coordinatore del CAIM.

Negli anni le prese di posizione di Piccardo si sono intrecciate con una serie di “incidenti diplomatici” che hanno coinvolto il CAIM. Come ha ricostruito Lorenzo Bagnoli sul Fatto Quotidiano, il 5 agosto 2012 un centro islamico di Cascina Gobba, di proprietà di una delle associazioni del CAIM, ospitò un discorso di Musa Cerantonio, un predicatore religioso di origini italiane nato in Australia. Due anni dopo uno studio dell’ICSR, un centro studi sul terrorismo del King’s College di Londra, ha descritto Cerantonio come «un aperto ed entusiasta sostenitore dello Stato Islamico», concentrandosi in particolare sul successo della sua predicazione su Facebook. Piccardo ha detto al Fatto che all’epoca dell’incontro Cerantonio «non aveva ancora espresso posizioni estremiste» (Abdel Qader smentisce che Cerantonio fosse stato invitato dal CAIM).

Nel 2013 il CAIM invitò a guidare la preghiera di fine Ramadan di Riyad al Bustanji, un imam giordano allora 48enne. L’invito di Bustanji fu molto criticato: un anno prima, durante un’intervista trasmessa dalla tv ufficiale del movimento politico-terroristico palestinese Hamas, Bustanji aveva lodato un bambino palestinese che gli aveva spiegato di voler morire come martire religioso a Gerusalemme (qui il video sottotitolato in inglese). All’epoca delle polemiche, Piccardo rispose che «le parole pronunciate anni fa dallo Shaikh Riyad al Bustanji sono state in questi giorni indegnamente distorte e strumentalizzate», e che al Bustanji «non ha mai inneggiato all’odio e tanto meno al martirio dei bambini». Ci sono state altre controversie più piccole: in occasione del raduno del centro studi European Muslim Network tenuto fra il 3 e il 5 giugno 2016 a Milano, il CAIM ha organizzato un incontro pubblico con Tariq Ramadan, uno dei più seguiti intellettuali europei che si occupano di Islam. Ramadan ha 53 anni, ha due dottorati, insegna a Oxford e ha una pagina Facebook da quasi due milioni di follower: ma da qualche tempo è accusato di promuovere posizioni ambigue e una visione dell’Islam molto dura nei confronti dell’Occidente (qualche mese fa Le Monde lo ha descritto in un profilo poco lusinghiero dal titolo “Tariq Ramadan, la Sfinge”).

A confermare i timori di diversi suoi critici, lo stesso Piccardo ha ammesso durante una puntata di Omnibus che fino al 30 per cento del progetto principale del CAIM per la moschea a Milano potrebbe essere finanziato grazie ai soldi di fondazioni private del Qatar, del Kuwait, della Turchia e di «altri paesi a maggioranza islamica» (va detto che il progetto presentato al bando fu approvato senza rilievi di tipo economico o di trasparenza dal comune). Il Qatar è un paese impegnato da tempo in un processo di espansione della sua influenza politica e religiosa tramite fondazioni, per esempio in paesi come l’Albania.

L’intervento di Piccardo sulla moschea inizia al minuto 1:00:20

Esiste un problema?
A preoccupare i critici del CAIM, a parte qualche posizione di Piccardo, sono soprattutto i riferimenti e i legami con personaggi legati all’Islam politico: una porzione rilevante della comunità mondiale musulmana oggi largamente favorevole alla democrazia e al capitalismo, ma spesso resistente al laicismo delle istituzioni e al liberalismo economico e sociale, e in alcune sue parti disposta a tollerare una zona grigia fra fervente dottrina religiosa e radicalizzazione.

Molti pensano che quello del CAIM sia solo un problema di comunicazione, e che le controversie siano dovute soprattutto alle polemiche sollevate dei giornali di destra: negli scorsi mesi Libero, il Giornale e – con qualche solidità in più – il Foglio hanno scritto molti e pesanti articoli molto critici su Piccardo, Abdel Qader e il CAIM. D’altra parte il CAIM non si può definire un covo di estremisti: nessuno dei suoi dirigenti è mai finito nei guai con le autorità antiterrorismo e prima di Abdel Qader un altro dirigente – l’avvocato pakistano Reas Syed, vicepresidente del CAIM – si era candidato col Partito Democratico, alle elezioni regionali lombarde del 2013. La conferenza con Ramadan non era certo segreta, e l’intero European Muslim Network si è tenuto in un luogo istituzionale come la Camera del lavoro.

Una fonte che ha grande conoscenza della comunità islamica milanese ha fatto inoltre notare al Post che il CAIM è un’associazione a cui aderiscono decine di persone, e che al contrario di tante piccole associazioni o personalità ha un vero consenso. Del resto il CAIM ha organizzato decine di incontri pubblici, intrattiene rapporti con il comune e altre associazioni locali – come la cattolica Comunità di Sant’Egidio, che non si è resa disponibile al Post per commentare la collaborazione col CAIM – e si sta lentamente inserendo nella vita politica locale, seppure non direttamente. Si fa fatica a definirlo tout court un gruppo “radicale”.

Maryan Ismail, la dirigente del PD che si è dimessa a causa dell’elezione di Abdel Qader, però non è d’accordo: ha raccontato al Post che ritiene Abdel Qader sia «una bravissima persona», ma che sia impossibile che negli anni non si sia resa conto dell’ambiente che la circondava, che Ismail associa con certezza all’Islam politico. Ismail, che ha 56 anni ed è arrivata in Italia negli anni Ottanta scappando dalla Somalia, ha anche ragioni personali contro un certo tipo di Islam: è sorella di Yusuf Mohamed Ismail, l’ambasciatore della Somalia all’ONU ucciso nel marzo del 2015 in un attentato del gruppo terroristico islamico al Shabaab.

Ismail ha lavorato per anni nella cooperazione internazionale e come consulente per le autorità italiane, soprattutto sui problemi della comunità somala. La sua lettera ha fatto discutere e arrabbiare parecchie persone nel partito, ma non è arrivata a sorpresa. Nonostante sia stata diffusa dopo le elezioni – a cui Ismail ha preso 326 voti, circa un terzo di quelli di Abdel Qader, senza essere eletta – Ismail si lamentava da tempo col Partito Democratico e l’amministrazione comunale dell’opportunità di candidare Abdel Qader e quindi di avere a che fare col CAIM. Quando si diffuse la notizia che il CAIM aveva vinto il bando per costruire due moschee, disse pubblicamente che non sarebbe mai entrata «in una moschea dove non è garantita la separazione fra politica e religione». Pochi mesi dopo, ha raccontato al Post che in quanto componente della segreteria metropolitana del Partito Democratico ha obbligato i suoi dirigenti a mettere ai voti la proposta di candidare Abdel Qader al consiglio comunale. La proposta di candidarla è passata con l’opposizione di soli tre voti.

Ismail racconta di aver deciso di lasciare definitivamente il partito all’inizio del 2016, anche a causa dello scarso sostegno che secondo lei le stava dando in campagna elettorale. Diversi dirigenti del partito hanno cercato di convincerla a ripensarci, per non creare una polemica a poche settimane dalle elezioni. Ismail ha spiegato al Post che in primavera le era stato detto che prima delle elezioni «non era il momento del confronto politico»; Ismail si è dimessa poche settimane dopo, con una lettera pubblica indirizzata a Renzi. Dopo le dimissioni ha subito varie minacce online, di cui ha informato la polizia. Ora sta pensando di creare un “contenitore” di piccole comunità islamiche e laiche: una specie di anti-CAIM, insomma. Per ora ha ricevuto il «supporto politico e logistico» di Stefano Parisi, il candidato sindaco del centrodestra alle ultime elezioni comunali, con cui ha presentato la sua iniziativa durante una conferenza stampa a luglio.

Fra le altre cose, Ismail si è lamentata col Partito Democratico e con l’amministrazione comunale di centrosinistra per non essere stata inclusa nei tavoli di lavoro per la costruzione della moschea: e non è l’unica ad avercela col comune per come sono state gestite le cose, in una ingarbugliata situazione in cui si incrociano gli interessi del CAIM, del comune e di altre piccole altre comunità musulmane della città.

La moschea a Milano
Secondo stime ufficiose a Milano e provincia abitano fra gli 80 e i 100mila musulmani, anche se al momento non esiste alcun luogo “ufficiale” dove possono pregare (se si esclude la moschea di Segrate, un comune a nordest di Milano). La maggior parte dei musulmani di Milano prega in case o capannoni riadattati a sale di preghiera, spesso in condizioni un po’ precarie e con grandi problemi di spazi. Questa situazione va avanti da anni: le prime proposte di aprire una moschea “ufficiale” hanno ormai quasi vent’anni.

Con le giunte di centrodestra la questione non fu mai davvero affrontata. Nel 2011 Giuliano Pisapia del centrosinistra vinse le elezioni avendo in programma «la realizzazione di un grande centro di cultura islamica che comprenda, oltre alla moschea, spazi di incontro e aggregazione». All’inizio del suo mandato la questione della moschea fu gestita dalla vicesindaco Maria Grazia Guida, che mise insieme un “tavolo” con tutte le principali associazioni islamiche della città interessate a costruirne una. Dopo le dimissioni di Guida, avvenute nel 2013, la questione passò alla nuova vicesindaco Ada De Cesaris, che a sua volta la girò all’allora assessore alle Politiche Sociali Pierfrancesco Majorino (confermato nel suo incarico dal nuovo sindaco Giuseppe Sala). Le associazioni islamiche più importanti della città, coinvolte da subito dal comune, sono quattro: oltre al CAIM e al centro di viale Jenner, ci sono la Casa della Cultura musulmana di viale Padova, il cui fondatore Ashfa Mahmoud è considerato una delle figura più progressiste e laiche del mondo musulmano milanese, e la COREIS di via Meda, un centro religioso islamico di ispirazione sufi, che predica un islam pacifista e moderato. A Milano ci sono anche tante piccole associazioni locali che rappresentano la comunità di un certo paese: alcune stanno col CAIM (alcune associazioni turche e dei bengalesi), altre per conto proprio (come i marocchini, i somali e i senegalesi).

Il tavolo del comune era esplorativo: non c’era un’idea chiara di cosa sarebbe stato deciso, nonostante nel programma di Pisapia fosse prevista la costruzione di un’unica grande moschea. A un certo punto, secondo alcune fonti contattate dal Post, prese addirittura piede l’idea di costruire diverse piccole moschee per rispettare l’eterogeneità della comunità musulmana. Fra il 2013 e il 2014, il comune prese atto che non si stava andando da nessuna parte – anche a causa della eterogeneità di cui sopra, che spesso si traduceva in polemiche e contrasti interni – e decise di assegnare gli spazi tramite un bando pubblico.

Il CAIM, la Casa della Cultura Musulmana e l’Istituto di viale Jenner aderirono al bando del comune, ma tutti a malincuore. Abdel Shaari, da vent’anni presidente dell’Istituto Culturale Islamico di viale Jenner e fra i partecipanti al “tavolo” del comune, ha detto al Post che al tempo considerò il passaggio da De Cesaris a Majorino come un segnale che il comune non riteneva più centrale la questione della moschea. Ashfa Mahmoud, della Casa della cultura musulmana, ha lasciato intendere al Post che partecipare a un bando per poter costruire un luogo di culto è stato un po’ umiliante: «Mica la Chiesa deve fare un bando, per costruirne una nuova». Tutti i responsabili dei centri coinvolti concordano col fatto che il bando abbia peggiorato i rapporti già fragili fra le varie associazioni islamiche, costrette di fatto a mettersi l’una contro l’altra.

Il bando fu indetto il 29 dicembre 2014 e rimase aperto tre mesi. Giornalisti e addetti ai lavori, semplificando, lo chiamarono “il bando della moschea”. In realtà gli spazi previsti dal bando erano tre: un grande spiazzo di fronte all’ex palazzetto sportivo Palasharp, nella zona nordovest di Milano, dove oggi c’è una specie di tendone provvisorio allestito per ospitare le preghiere del venerdì guidate dall’Istituto di viale Jenner; gli ex bagni pubblici di via Esterle, situati all’altezza di metà viale Padova, a nordest; una piccola parte del parco di via Marignano, vicino al paese di San Donato (periferia sudest).

palasharp La struttura temporanea accanto al Palasharp dove sarebbe dovuta essere costruita la nuova moschea, indicata col puntino bianco

Il 7 maggio del 2015 furono aperte le buste, e il 3 agosto dello stesso anno venne diffusa una graduatoria provvisoria: il CAIM risultò primo sia per la costruzione nell’area del Palasharp – quella più spaziosa e ambita – e indirettamente anche per gli ex bagni pubblici di via Esterle, dato che il bando fu vinto dalla Bangladesh Cultural and Welfare Association, una delle sue associazioni. Per l’ex Palasharp al secondo posto arrivò il progetto proposto dall’istituto di viale Jenner, mentre per l’edificio di via Esterle il secondo progetto in graduatoria risultò quello della Casa della cultura musulmana di via Padova. L’area di via Marignano fu assegnata alla chiesa evangelica Shalom Gospel Church, per una regola prevista dal bando secondo cui una data confessione religiosa – l’Islam, in questo caso – avrebbe potuto ottenere al massimo due spazi.

Il bando fu una soluzione di compromesso, e già dall’inizio era chiaro che l’assegnazione dei punteggi per i vari parametri avrebbe portato a nuove polemiche. Il caso più esemplare di cosa non ha funzionato nel bando è quello della Casa della cultura islamica di viale Padova, il cui fondatore Ashfa Mahmoud è stato uno dei critici più duri.

Il caso di viale Padova 144
La Casa della cultura islamica di viale Padova 144 è chiamata da molti semplicemente “viale Padova 144”, probabilmente perché i nomi delle associazioni islamiche milanesi si assomigliano un po’ tutti (lo stesso vale per “viale Jenner”). Si trova circa a metà di via Padova – anche se non si vede dalla strada – in una delle aree di Milano che da tempo attende una robusta riqualificazione. Per entrarci si passa da un piccolo portico interno, che porta all’entrata della moschea vera e propria: uno stanzone basso e dalle pareti chiare, il cui pavimento è ricoperto da materassini gommosi colorati, di quelli che si usano negli asili. È una situazione comune a molte di queste moschee “informali”, che a Milano negli anni sono state chiamate “scantinati” per descrivere la loro precarietà. In un pomeriggio di metà giugno fa molto caldo: c’è chi prega rivolto a un piccolo altarino in fondo alla sala, chi dorme vicino alle pareti, e qualche bambino che gioca o fa i compiti. Ashfa Mahmoud riceve il Post in un piccolo ufficio ricavato in un angolo dello stanzone, con una scrivania e poco più.

Mahmoud ha 51 anni, due baffi molto curati ed è a Milano da una vita: è arrivato dalla Giordania nel 1982 per studiare da architetto, e ci è rimasto. Nel 1993 è stato fra i fondatori della Casa della cultura islamica e nel 2009 ha ricevuto un Ambrogino d’oro per il suo impegno a favore dell’integrazione della comunità musulmana in città.

Mahmoud sostiene che il bando fu studiato per essere vinto da chi poteva spendere più soldi – cioè il CAIM, grazie ai suoi rapporti con le fondazioni estere – a prescindere dalla bontà del progetto. Per l’edificio in via Esterle, per esempio, il canone d’affitto base all’anno era di 25mila euro, cifra che quelli della Bangladesh Cultural and Welfare Association hanno rialzato notevolmente ottenendo il massimo del punteggio – 20 punti – nella parte del bando riservata al canone di affitto. Secondo la ricostruzione di Mahmoud, la Casa della cultura musulmana ha preso solamente 5 o 6 punti per quella voce del bando (Mahmoud non ricorda con precisione) e ha perso nonostante nella parte “tecnica” – quella che teneva conto del progetto in sé e del radicamento dell’associazione sul territorio – avesse superato la Bangladesh Cultural and Welfare Association.

Una situazione simile si è verificata anche per i terreni del Palasharp. La base d’affitto era di 10mila euro, ma secondo diverse fonti consultate dal Post, il CAIM ha fatto un rialzo del 200 per cento, mentre l’offerta di viale Jenner si era fermato a un rialzo dell’80 per cento. Dal documento pubblicato online dal comune non è possibile ricostruire la composizione dei punteggi per ogni singola sezione: si sa solo che ogni offerta doveva superare tre “prove” (di ammissibilità, di valutazione tecnica e di valutazione economica) e il punteggio finale complessivo per ciascuna offerta.

I risultati del bando, la legge regionale
Il bando finì nei guai già nei mesi successivi. Dopo aver fatto dei controlli, il comune di Milano “retrocesse” entrambe le proposte legate al CAIM: quella della Bangladesh Cultural and Welfare Association perché l’associazione aveva trasformato abusivamente un locale privato in un luogo di culto in via Cavalcanti, e quella del CAIM stesso perché il presidente di un’associazione della sua rete – Osman Duran, capo della divisione italiana di Milli Gorus, un’associazione turca che il quotidiano turco Hurriyet ha definito «l’associazione religiosa di Islam radicale più grande in Europa» – aveva dei precedenti penali.

La Bangladesh Cultural and Welfare Association ha fatto ricorso al TAR, che prima ha sospeso e successivamente ha annullato la decisione del comune di far retrocedere l’associazione dal primo posto della graduatoria. Per quanto riguarda il CAIM stesso, in aprile il comune ha aperto una procedura amministrativa – cioè ha dato al CAIM 90 giorni di tempo per spiegare la propria posizione – che si è poi conclusa con un nulla di fatto.

Questo perché nel frattempo la regione Lombardia guidata dall’ex segretario della Lega Nord Roberto Maroni ha approvato – «in fretta e furia», ha detto al Post un importante funzionario del comune di Milano – una nuova legge sulla costruzione dei luoghi di culto, secondo i suoi stessi promotori studiata appositamente per impedire la costruzione di moschee. Di fatto la regione ha ottenuto il suo scopo, anche se in maniera piuttosto tortuosa.

La legge è entrata in vigore nel febbraio del 2015 e prevede criteri molto stringenti: per esempio l’obbligo di installare impianti di videosorveglianza, l’approvazione di un piano delle zone da destinare a nuovi luoghi di culto da integrare nel Piano di governo del territorio (PGT) e la presentazione di un supplemento di documenti per alcune specifiche comunità religiose. Sin dall’approvazione di questa legge, in molti ipotizzarono che potesse avere degli aspetti incostituzionali, dato che limitava di fatto la libertà di culto e introduceva discriminazioni nei confronti di alcune specifiche religioni. L’ufficio stampa del comune di Milano ha detto al Post che nonostante la legge regionale il comune ha continuato a lavorare al bando – che era stato avviato da appena due mesi – perché c’era la sensazione che la Corte Costituzionale potesse bocciarla. La decisione della Corte Costituzionale è arrivata quasi un anno dopo l’approvazione della legge, il 23 febbraio 2016, mentre il comune stava cercando di gestire i problemi legati ai ricorsi. La Corte Costituzionale ha emendato la legge regionale ma senza bocciarla in tutte le sue parti, cosa che di fatto l’ha tenuta in piedi.

Dopo la decisione della Corte
Uno degli aspetti conservati dalla Corte è stata la creazione di un piano urbanistico per i nuovi luoghi di culto da integrare nel PGT: un documento molto complicato da mettere insieme, perché in sostanza deve tener conto di tutte le aree potenzialmente edificabili del comune. L’ufficio stampa del comune ha fatto notare al Post che un piano del genere – che di fatto oggi blocca la costruzione di qualsiasi luogo di culto, anche di una chiesa cattolica o di un tempio buddista – non esiste in nessun’altra regione italiana. Già all’inizio di aprile l’assessorato all’Urbanistica del comune di Milano aveva detto al Post che anche solo creare questo piano avrebbe potuto richiedere tra i 12 e i 18 mesi, lasciando intendere che per costruire una moschea vera e propria ci sarebbe voluto ancora di più. Ma tutto questo non si è capito davvero, in campagna elettorale.

Contattato da Repubblica in aprile, in piena campagna elettorale, l’allora e tuttora assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino, aveva spiegato che «il comune attualmente non è in grado di provvedere né all’assegnazione dell’immobile di via Esterle né all’assegnazione delle aree di via Sant’Elia e via Marignano», senza però fornire dei tempi precisi. Durante la campagna elettorale, il candidato del centrosinistra e futuro sindaco Giuseppe Sala ha detto più volte di voler costruire «rapidamente» una moschea. A Repubblica, a inizio aprile, ha detto: «Partendo da quanto è stato già fatto dalla giunta Pisapia, non credo sia impossibile trovare subito un modo per dare avvio al progetto». Due mesi dopo, a giugno, ha aggiunto al Fatto Quotidiano: «Se col bando attuale non si potrà andare avanti, si troverà una soluzione per farne un altro rapidamente». Ashfa Mahmoud della Casa della cultura islamica ricorda di aver incontrato Sala durante la campagna elettorale e che Sala gli ha detto che costruire la nuova moschea sarebbe stata una necessità, e che c’erano due possibilità: proseguire con l’iter del bando oppure bloccarlo definitivamente e risolvere il problema in un altro modo.

Stando alle informazioni raccolte dal Post, già nelle settimane successive alla sentenza di febbraio il comune sapeva che la prima possibilità non era più percorribile. Andare avanti col bando non era più un’opzione: la creazione di un piano complessivo degli spazi dove costruire nuovi luoghi di culto era vincolante, e la stessa avvocatura del comune di Milano arrivò a comprendere che non poteva essere aggirata in alcun modo. Non è chiarissimo perché il comune non abbia iniziato già in primavera a mettere insieme il piano urbanistico richiesto dalla legge lasciando perdere il bando – l’ufficio stampa del comune sostiene che la pratica amministrativa del bando doveva seguire i suoi tempi, slegati da quelli della legge – né perché Giuseppe Sala, ancora a giugno, parlava della possibilità di «andare avanti» col bando.

Il 12 luglio il nuovo vicesindaco Anna Scavuzzo ha ammesso che il vecchio bando sarà sottoposto a un «procedimento di conclusione» – di fatto sarà lasciato perdere – e che i tempi per arrivare alla costruzione di una moschea saranno decisamente lunghi. Scavuzzo ha spiegato che la colpa di questo rinvio è della legge regionale voluta dal centrodestra. Secondo Scavuzzo, per mettere insieme il piano urbanistico da integrare al PGT «come minimo ci vorrà un anno se non di più» (come aveva già detto tre mesi prima al Post l’assessorato dell’Urbanistica). A quel punto, come ha precisato al Post un’addetta stampa del comune di Milano che sta lavorando con Scavuzzo, il comune potrebbe addirittura decidere di pubblicare un nuovo bando, oppure esaminare eventuali manifestazioni di interesse slegate da un bando. Comprensibilmente, come già avvenuto per il primo bando, c’è la possibilità che le associazioni che hanno perso la gara facciano ricorso o che spuntino fuori altre irregolarità. Insomma, se ne riparla fra qualche anno.

Le associazioni islamiche si sono arrabbiate moltissimo, sia per la posizione un po’ confusa del comune e del Partito Democratico, sia per l’ennesimo rinvio. Abdel Shaari di viale Jenner, che pochi giorni prima delle ultime dichiarazioni di Scavuzzo aveva raccontato al Post di aspettare una chiamata dal comune, ha scelto di non commentare il nuovo sviluppo. Mahmoud, che ha ricevuto il Post in via Padova tre giorni dopo aver saputo che bisognerà rifare tutto da capo, dice di non aver più fiducia nella classe politica di Milano, né in quella di destra né in quella di sinistra: spiega che fin dall’inizio è mancata la volontà politica del comune di costruire davvero una moschea, e che non ha intenzione di partecipare a nuovi bandi dato che la sua comunità ha già speso 40mila euro per presentare il proprio progetto al “vecchio” bando.

Davide Piccardo ha parlato della questione su Facebook: rispondendo a uno status di Abdel Qader, Piccardo ha fatto capire che il bando è fallito per colpa degli attacchi mediatici della comunità ebraica e del comune, che ha annullato i risultati del bando con “motivazioni pretestuose”.

Come finisce questa storia?
A Milano è settembre ma fa ancora caldo. Il secondo giorno della Festa dell’Unità del PD di Milano è stato dedicato interamente all’Islam. Alle 18.30 era previsto un incontro di Abdel Qader assieme a Costantino della Gherardesca e al giornalista Jacopo Tondelli, dal titolo #tuttacolpadiSumaya; alle 21 un dibattito sull’Islam e la società plurale, con diversi esperti. Ismail ha detto di essere stata invitata a partecipare ma che ha rifiutato dopo aver letto i nomi degli ospiti (e aggiungendo su Facebook che il PD milanese le sembra diventato «il megafono dell’UCOII»). Abdel Qader infine è stata eletta vicepresidente della commissione cultura del comune di Milano.

Non è ancora chiaro come evolveranno i rapporti fra la comunità musulmana milanese e le istituzioni, e in particolare quella del CAIM: per giunta in un momento in cui – soprattutto nelle grandi città europee – quei rapporti sono visti da molti come cruciali per arginare la xenofobia e il terrorismo. Paolo Branca, che insegna arabo e storia dei paesi islamici all’Università Cattolica ed è consulente per la diocesi e il comune, ritiene che le attività delle comunità musulmane milanesi siano più di “presidio” dei loro interessi che di integrazione nella vita pubblica. Secondo Branca quelli del CAIM «non sono pericolosi», ma l’Islam politico non è rappresentativo di tutta la comunità musulmana e certamente non l’interlocutore più laico e progressista per le future classi dirigenti dei paesi occidentali. Branca fa inoltre notare che alcune iniziative che organizzano sono volte a sostenere capi di stato quantomeno controversi, e comunque distanti dall’Italia e da Milano: «Perché devono vivere con la testa rivolta in Egitto, in Palestina? Non è che devono fare delle marchette [ai loro finanziatori]?».

Un importante dirigente del PD milanese, che ha chiesto di non essere citato per nome, ha spiegato al Post che in città esiste un problema con l’Islam, ma che per risolverlo è necessario collaborare con tutte le persone, anche quelle con cui non si condivide proprio tutto, per «fargli fare un percorso di cambiamento». «Non ho motivo di dubitare del tentativo sincero [del CAIM] di provare a integrare la loro comunità con quella italiana», ha aggiunto: «Si devono aiutare queste organizzazioni a fare parte dalla società».

Musulmane laiche - Rubrica a cura di Maryam Ismail
http://www.radioradicale.it/scheda/5114 ... yam-ismail
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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I mussulmani cosidetti moderati e l'Islam buono non esistono

Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:13 am

EGITTO Cairo, al-Sisi nomina la prima donna cristiana copta alla carica di governatrice
AsiaNews.it


http://www.asianews.it/notizie-it/Cairo ... 44807.html

Manal Awad Mikhail guiderà la provincia di Damietta, sul delta del Nilo. In precedenza era vice-governatrice di Giza. Laureata in veterinaria, per il proprio lavoro ha ricevuto riconoscimenti nazionali e internazionali. Nel rimpasto voluto dal presidente cambiati 22 dei 27 governatori in carica.

Il Cairo (AsiaNews) - Fra i nuovi governatori che hanno giurato in questi giorni fedeltà al governo e alle istituzioni davanti al presidente Abdel-Fattah al-Sisi, vi è anche una donna, cristiana copta. Manal Awad Mikhail, neo governatrice della provincia di Damietta (situata sul delta del Nilo, a circa 200 km dal Cairo) sarà la prima non islamica a ricoprire il prestigioso incarico, finora assegnato quasi in esclusiva a maschi musulmani.

In passato l’altro funzionario cristiano ha ricoperto la carica di vice-governatore della provincia di Giza. Nata il 1 giugno 1967 a Tanta, si è laureata in Medicina veterinaria nel 1989, per poi conseguire un master nel 1995. Per il suo lavoro e le sue ricerche nel settore dell’immunologia ha ricevuto numerosi riconoscimenti in ambito nazionale e internazionale, fra cui un premio Unesco lo scorso anno.

Le nuove nomine presidenziali riguardano 22 dei 27 governatorati in cui è suddiviso il Paese, fra cui il Cairo, Giza, Luxor, Assuan e Nord del Sinai. In quest’area i militari hanno avviato da tempo una campagna contro gruppi estremisti e milizie jihadiste.

Per il presidente Sisi non è la prima nomina femminile alla guida di una parte consistente di territorio. Lo scorso anno, infatti, egli aveva scelto come governatrice della provincia di Buhayra la musulmana Nadia Ahmed Abdou, a conferma di un ruolo preminente della donna all’interno della società e delle istituzioni. Tuttavia, il rimpasto di governo voluto da al-Sisi in questi giorni ha riguardato la stessa Ahmed Abdou che non è più alla guida di Buhayra.

In una nazione di quasi 100 milioni di persone a larga maggioranza musulmana i copti - nome dei cristiani d’Egitto - sono una minoranza consistente, pari al 10% circa del totale della popolazione e fra le più antiche del Medio oriente. Lo scorso anno il Paese ha registrato una serie di attentati sanguinosi, che hanno coinvolto la stessa comunità cristiana - che in passato aveva lamentato a lungo discriminazioni e scarsa rappresentanza - e provocato oltre cento vittime.

I cristiani d’Egitto, copti e cattolici, sono fra i principali sostenitori dell’attuale presidente, autore del colpo di Stato quando era ai vertici dell’esercito che ha determinato la cacciata del predecessore, Mohammad Morsi, vicino ai Fratelli musulmani (movimento filo-estremista islamico). L’attuale esecutivo include otto donne fra i ministri, il più elevato nella storia moderna della nazione.



Gino Quarelo
Che una rondine non fa primavera, che l'Egitto è sempre nazi maomettano e che i cristiani sono sempre dhimmi, perseguitati, uccisi e sterminati anche se c'è un governatore copto non cambia minimamente la loro condizione. Questi provvedimente servono solo a creare illusione.

C'e`un detto fra i cristiani copti in Egitto : " quando il musulmano integralista ti sta tagliando il collo , il moderato ti tiene fermo".



Egitto, nuovo attacco contro i cristiani: uccisi sette copti
Renato Zuccheri - Ven, 02/11/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/egi ... uixG5LfkLE

In Egitto continua a scorrere il sangue dei cristiani. Dopo un anno dai sanguinosi attentati sul Delta del Nilo e a Minya, un nuovo attacco contro un pullman di pellegrini diretti al monastero di San Samuele

Un nuovo attentato terroristico insanguina l'Egitto. E ancora una volta, sono i cristiani copti a essere presi di mira.

Il bilancio provvisorio è di sette morti e 14 feriti. I terroristi hanno colpito un pullman che trasportavo dei fedeli copti diretti al monastero di San Samuele il Confessore, nel governatorato di Minya, 250 chilometri a sud del Cairo.

Un funzionario della sicurezza egiziana ha confermato ai media locali che l'assalto ha causato "morti e feriti". Ed è arrivata la prima rinvedicazione da parte dello Stato islamico .

Quello che è certo, è che l'Egitto viene di nuovo bagnato dal sangue dei copti. Un anno fa, a maggio, furono uccise più di 30 persone in un assalto simile, sempre contro un autobus di fedeli in pellegrinaggio. IAnche in quell'occasione, l'attentato fu rivendicato dal sedicente Stato islamico. L'area è stata colpita più volte dai terroristi islamici perché una delle zone dell'Egitto più densamente popolata da cristiani, tanto che nell'area di Minya circa il 50 per cento della popolazione è di fede cristiana e copta. Lungo il corso del Nilo, nell'Egitto centrale, ci sono inoltre diversi monasteri millenari proprio a ricordare le antiche vestigia del cristianesimo copto in terra egiziana.

Come ricorda La Stampa, sempre nel 2017, ma ad aprile, "gli islamisti hanno fatto strage di fedeli durante la Domenica delle palme in una chiesa di Tanta, nel Delta del Nilo, un’altra regione con una forte componente cristiana". In quell'occasione, il presidente Abdel Fatah al-Sisi assicurò di mettere in campo tutte le forze necessarie per sradicare il terrorismo e difendere i copti. Il presidente egiziano ha scritto sul suo account Twitter: "Auguro pronta guarigione ai feriti e confermo la nostra determinazione a proseguire i nostri sforzi per combattere il terrorismo. Questo incidente - aggiunge - non intaccherà la volontà del nostro Paese nel proseguire la battaglia per la sopravvivenza e la costruzione".

Ma il sangue continua a scorrere e non sembra destinato a interrompersi nel breve termine. E l'Egitto, un tempo terra di incontro fra islam e cristianesimo, si ritrova colpito dal terrorismo di matrice islamica.
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Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:15 am

Il cosidetto imam della Pace Mohammad Tawhidi


Bitta Quattrini, ebrea
https://www.facebook.com/theimamofpeace ... 2182050124

https://www.facebook.com/theimamofpeace ... 24?__xts__[0]=68.ARBa_CgqTVezo1rkfKos2ld0CO4cJjXz-AAFhZHLIb8czFQg29zPJqQD_7BK6-tY-z1U_BygnruqJULykaKLMScRWxMZzw0muoMZUDS5HJTOF2uhCePdTZFa5-ZsNE0dyiHkEAboDRd-yQ5CJyQc4wnaqhH63h2j_x0SozTSgxP3vUHPeR7f&__tn__=C-R

Questo sarebbe di sicuro il mio secondo marito se la mia religione mi permettesse di essere poligama. L'Imam della Pace.
Il quale afferma in un suo commento in risposta a chi lo critica di voler riformare l'Islam: 'io non ho mai detto di voler riformare la religione perché ciò è impossibile ma di voler cambiare il modo in cui le persone leggono e applicano la religione. Io sono un paladino della lotta al terrorismo e del controterrorismo'.
Tu sei un grande e devi essere ascoltato e seguito. Le tue sono parole di Pace, per chi ha la voglia, la capacità, e la fortuna di ascoltarti.



https://imamtawhidi.com/peaceday2018



L’”imam della pace” che sfida gli islamisti
Commento e intervista a Mohammad Tawhidi di Amaury Brelet
((Traduzione di Yehudit Weisz, da Valeurs Actuelles, 19 luglio 2018)

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=71520

“Sono in aereo, il WiFi è lento, ma siamo in cielo e posso affermare che qui non ci sono le 72 vergini. Fermate la jihad” Persino a 10.000 metri d’altitudine, il più celebre imam con un Twitter non abbandona il suo humour per prendere in giro gli estremisti musulmani che disonorano la sua religione. Mohammad Tawhidi da anni viaggia in tutto il mondo per combattere la sua coraggiosa lotta contro il pericolo islamista con conferenze, interviste e in rete. Con il suo abito e il turbante, lo fanno “sembrare per il fratello di Bin Laden”, ma non per quello che dice, che non lascia mai indifferenti. In un aeroporto, ad un agente della sicurezza sospettoso che voleva controllarlo, lui ha di recente risposto: ”Io stesso non mi fido di me, perquisitemi immediatamente, per favore. ” Sono scoppiati a ridere e si sono stretti la mano. “Se avessimo saputo che, trent’anni più tardi, noi avremmo avuto una invasione di burqa un po’ dappertutto…” L’imam dell’Associazione islamica dell’Australia del Sud, nominato nel 2010, ha abbandonato l’anonimato per diventare a 35 anni il predicatore più controverso del continente e il più rivoluzionario del mondo musulmano. All’origine della sua popolarità c’è un discorso coraggioso pronunciato al Rotary Club di Adelaide nel marzo del 2017. “ Mio padre aveva scelto di venire in Australia perché questo era un Paese non musulmano. Se avessimo saputo che, trent’anni più tardi, noi avremmo avuto dei burqa un po’ dappertutto, moschee in ogni angolo di strada e delle persone che difendono la shari’a contro la democrazia, non saremmo venuti ”, così proclamava Mohammad Tawhidi, nato nella città santa di Qom, in Iran, e discendente di un seguace del profeta Maometto. “ Se non vi piace l’Australia, noi vi daremo uno dei nostri canguri perché vi accompagnino là da dove siete venuti.” Da allora, l’autoproclamato “imam della pace” vuole proibire le pubblicazioni integraliste, vietare le nuove moschee ed espellere i musulmanii estremisti. “I membri della mia famiglia sono stati giustiziati, bruciati vivi ed esiliati dai governi islamisti e da Daesh” rammenta Tawhidi, che all’età di 12 anni ha dovuto lasciare l’Iraq, dopo che suo padre, che era imam, era stato condannato a morte da Saddam Hussein. “Ecco perché ho queste ferme convinzioni sull’immigrazione e sull’estremismo islamico.” Parole forti dette da uno che è stato “un fondamentalista islamico che predicava la violenza”, prima di cambiare totalmente assistendo ad una strage, mentre studiava a Kerbala, in Iraq, nel 2014. E aggiunge “Oggi, nei miei viaggi in giro per il mondo, costruisco legami tra comunità e gruppi religiosi e diffondo la pace”.

“C’è motivo di sperare che l’islam moderato prevalga sull’islam radicalizzato”, ribadisce Daniel Pipes, lo studioso americano d’islamistica. A riprova del suo impegno sincero e rischioso, ci sono le critiche di cui il predicatore, accusato di essere ”il falso sceicco australiano”, è il bersaglio da parte del Consiglio nazionale australiano degli imam, dal canale pubblico televisivo ABC e dagli attivisti di sinistra, che mettono in dubbio la sua credibilità nonostante i documenti ufficiali, e lo scherniscono dandogli dell’ “estremista sciita” in guerra contro la comunità sunnita. Sospettano persino che faccia il doppio gioco essendo stato ex allievo del grande ayatollah Shirazi, famoso per il suo rigore. Su Internet, detrattori complottisti l’accusano addirittura di essere una “marionetta sionista”, ovvero una spia israeliana. “ È tutto falso. Lavoro per l’M16 perché il Mossad non aveva i mezzi per pagarmi ”, replica Tawhidi, prendendoli in giro. Ancora più inquietante è il fatto che l’imam iconoclasta riceva centinaia di minacce di morte. Una prometteva: “ La legge islamica per questo infedele è la decapitazione. Offro 5000 dollari a chi saprà dirmi dove si trova. Per il resto ci penso io. ” Il figlio di un imam ha richiesto il suo assassinio, domandandosi “perché nessuno ancora aveva massacrato questo porco”. Il leader religioso è stato anche insultato, gli hanno sputato addosso e l’hanno schiaffeggiato. La sua auto è stata presa a sassate e imbrattata con simboli del Daesh, mentre degli estremisti hanno cercato di penetrare nella sua proprietà. “ Lui è sempre pronto a rischiare la vita per difendere la verità ” sottolinea l’attivista pro-Israele Avi Yemini. Ha un combattivo spirito australiano e sono fiero di chiamarlo fratello”. Accusato di apostasia da un mufti saudita, Mohammad Tawhidi ha dovuto nascondersi per diversi mesi per evitare aggressioni. Afferma: “ Prima avevo paura. Ora ho accettato la possibilità di essere ucciso in qualunque momento. Centinaia di persone fanno donazioni per sostenere la mia sicurezza perché credono nel valore del mio attivismo.” L’imam, scortato da guardie del corpo, aveva già raccolto 11.000 dollari online per installare dei metal detector. >Troppo poco per dissuadere i suoi detrattori che lo accusano anche di appoggiare Pauline Hanson, la fondatrice di “One Nation”, il partito populista australiano che si oppone al multiculturalismo. Tawhidi aveva osato fare gli auguri di compleanno alla senatrice del Queensland ritenuta “il peggior incubo per i jihadisti”, e difeso il suo appello a “bloccare l’immigrazione islamica” dopo gli attentati di Londra, in un Paese come l’Australia in cui la popolazione musulmana era cresciuta del 77% in dieci anni! “Il terrorismo nel Regno Unito cresce di settimana in settimana. Avere degli estremisti nelle nostre società non ha nulla a che vedere con il multiculturalismo, è un suicidio”, scriveva Tawhidi allora su Twitter. “La sinistra inglese sta trasformando Londra in una nuova Bagdad.” Questa sua opinione è condivisa con il suo amico e “fratello” Tommy Robinson, cofondatore dell’English Defence League, con cui a febbraio aveva partecipato ad una “discussione leale, intellettualmente rispettosa” trasmessa su YouTube, tre mesi prima che il giornalista militante venisse condannato a 13 mesi di carcere quando si era occupato del processo a una gang di ladri indo-pakistani. “Tommy sarebbe stato trattato meglio da un qualsiasi tribunale islamico britannico…”, ironizzerà poi l’”imam della pace”. Un imam moderno, vegetariano, che ammira la Vergine Maria Nel Regno Unito come in Francia, milioni di persone temono l’avanzata di questo islam conquistatore. Niqab, burkini, preghiere per strada… “ Questi segni visibili sono dei simboli di potere, precisa Mohammad Tawhidi. Capisco la paura della maggior parte dei francesi. Io cerco di allontanare gli estremisti dalla comunità musulmana, ma non posso cacciarli via dal Paese. Questo è compito del governo.” A febbraio, si trovava a Parigi, e rimase sgomento davanti ai campi di migranti installati nel Nord di questa città diventata “Paristan”. Al contrario, si è congratulato per l’eccellente decisione assunta dal Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, di espellere 60 imam legati alla Turchia, governata dal ”califfo in giacca e cravatta” Erdogan. Dal punto di vista ideologico, “la vita mi ha fatto diventare conservatore”, sostiene Tawhidi, “anche se la sinistra ti dice che i jihadisti si riformeranno e si integreranno nella società.” Le sue opinioni diffuse su Twitter ai suoi 217.000 followers, gli rendono d’altronde il plebiscito dei simpatizzanti di destra, stufi del political correct. Obama e Hilary Clinton? “Sono loro ad aver creato il Daesh.” Trump? “Lui ha ragione sulle frontiere e sull’estremismo islamico.” Trudeau? “E’ l’eroe degli ex-jihadisti.” Il terrorismo? “E’ una parte dell’islam.” L’Iran e l’Arabia Saudita? “Dei regimi corrotti.” La taqiya, l’arte della dissimulazione? “Un cancro.” L’immigrazione di massa? “Distrugge l’Occidente.” La Palestina? “Una nazione di terroristi” mentre “ la terra è degli ebrei.” L’islamofobia? “Non esiste.” Tuttavia, l’imam smentisce di essere un provocatore. “L’humour è un’arma pacifica ma letale” dice. O meglio, ”il sarcasmo è 100% halal.” Quando si è fatto riprendere mentre mangiava una barretta di cioccolato non halal, ha detto sorridendo: ”Il gusto è migliore quando non c’è l’etichetta halal. E’ delizioso.” Mohammad Tawhidi intende soprattutto incarnare un islam aperto e moderno. Questo vegetariano, che cita Ayn Rand, ha persino divorziato perché le sue opinioni religiose erano”offensive”per la moglie e la sua famiglia. E poi ha stretti legami con i cristiani, s’inginocchia davanti alla statua di Gesù, ammira la Vergine Maria, accende candele e loda Père Hamel in quanto “nobile martire” ( il 26 luglio 2016, a Saint-Étienne-du-Rouvray in Normandia, Père Jacques Hamel, prete di 86 anni, venne assassinato da due terroristi islamici, n.d.t). “Io vivo a fianco di una chiesa e permetto ai fedeli di parcheggiare di domenica le loro auto nel mio vialetto. Quando mi vede, l’arcivescovo mi abbraccia, mi chiama ‘figlio mio’ ed io lo chiamo ‘padre mio’.” Va detto che la sua lotta è paragonabile a una crociata. “ Se soltanto potessimo creare dei predicatori musulmani pacifici alla velocità con cui la sinistra assimila l’islam ”, scherza. “E’ da millequattrocento anni che abbiamo una religione di guerra”, ripete Mohammad Tawhidi, ma la riforma islamica è un’illusione. La sola riforma possibile si farà a livello individuale”. In attesa, “l’imam della pace” giura di continuare la sua missione antiestremista presso i governi, i politici ed i religiosi. Oltre al proprio testamento, lui ha scritto un libro esplosivo, ma non riesce a trovare un editore coraggioso che lo pubblichi, dato che il suo profilo su Face Book è già stato bloccato otto volte in un anno.

“L’Australia dovrebbe essere orgogliosa di Tawhidi, un messaggio agli islamisti” ha esortato l’attivista americana Ayaan Hirsi Ali, di origini somale, ex deputata olandese. Inshallah!


Un altro capolavoro dell’Imam Tawhidi, “imam della confusione totale”.

https://www.facebook.com/Islamicamentan ... 6310122537
https://www.facebook.com/Islamicamentan ... 37?__xts__[0]=68.ARCb5XZz2tTDLVPOI1LBRZ6hSyDpYDcjJjB5OgH1bVZKu3sPNJTQP4TH2z0jfN6WeoI7KXMsUIXOkfNpICf6PNKGU2mtyHhMkSPLAAoTa8akJFGmCBAqoPOiaDob7-Ce2akMBJU7BOLdH_Hhx8J9v3dplWZckxpX0iFSkgiEVCzzZNf8_u-SUlyadcjnKYbMBO1l9NneUw-DnZosCOeOIvNGVkrJARqAPFg3ROA0ko25rWdlCuDI-rxx&__tn__=C-R


È necessario ascoltare sempre BENE quello che un musulmano dice durante un discorso o durante una sessione di domande e risposte.

Tutto ciò che leggete nell’immagine non è un collage di diverse sue dichiarazioni prese qua e là, ma sono tutte affermazioni che Tawhidi ha fatto nel corso di un unico video girato durante una diretta (link alla fine del post).

Abbiamo sottolineato le frasi che contengono assurdità e in cui Tawhidi addirittura contradice e smentisce se stesso. Ad esempio quando parla di matrimoni benedetti da Allah per poi ripiegare sulla semplice “questione strategica” alla base di questi matrimoni. Talmente strategica che poco prima ha affermato che Aisha fosse l’assassina di Maometto.
Da notare la sua affermazione sulle donne che si sarebbero tutte offerte a lui. Tutte tutte? Davvero?

Bizzarra la teoria di Tawhidi che vede in Aisha una terrorista che avrebbe assassinato Maometto, il profeta che (tra le tante) riceveva “rivelazioni” su:
- ospiti a cena da mandare via (33:53),
- donne da velare (33:59),
- la nuora Zaynab da prendere in moglie dopo averla fatta divorziare dal figlio adottivo (33:37),
- donne divorziate che devono sposare (e consumare con) un altro uomo prima di riconciliarsi col precedente marito (2:230)...

... ma nemmeno un avvertimento sul non sposarsi una baby-terrorista sua futura assassina???
Un po’ sprovveduto questo “profeta”, non trova caro imam Tawhidi?

(https://youtu.be/PX_BZQjOA3Y minuti 00:51:00 e 01:08:40)

[Kafir Soul]
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Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:16 am

Deradicalizzazione: chi è Maajid Nawaz, fondamentalista islamico convertito alla democrazia
Riccardo Noury
Portavoce di Amnesty International Italia

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... co/4341876

Maajid Nawaz è una delle figure più influenti del Regno Unito. Attivista per i diritti umani e giornalista, è cofondatore, presidente e animatore di Quilliam, un think tank di contro-estremismo globale. Oggi. In passato, reclutava volontari per il jihad globale.

Com’è arrivato ad abiurare il fondamentalismo islamico per assumere una posizione liberale e democratica, Nawaz lo racconta in “Radical”, appena pubblicato da Carbonio editore e lo spiega questa mattina al Salone del libro di Torino.

Nato in Gran Bretagna da una famiglia di origini pachistane liberal e progressista, Nawaz cresce a hip-hop, rap e graffiti. Il motivo della radicalizzazione, così racconta, è nel confronto col razzismo della “bianca” Inghilterra sud-orientale, nel cosiddetto paki-bashing (i pestaggi di asiatici da parte di bande locali, regolarmente impuniti) e, soprattutto, nei massacri di musulmani nel cuore dell’Europa, durante il conflitto della Bosnia del 1992-1995.

Il passaggio dalla street culture al progetto del califfato globale di Hizb al-Tahrir è così repentino. Nawaz avvia la sua attività di reclutatore, in Europa poi in Pakistan e infine in Egitto.

Qui nel 2002 viene arrestato. Resta per cinque anni nel carcere di massima sicurezza di Tora dove studia per davvero il Corano, incontra detenuti completamente diversi da lui (liberali, omosessuali, dissidenti dell’era mubarakiana) e arriva la catarsi.

Questo importante libro non è solo il racconto autobiografico di una “deradicalizzazione”. Nawaz sviluppa una contro-narrazione dell’Islam distinto dall’Islam politico e ci fa conoscere a fondo i meccanismi e le strategie di radicalizzazione, cosa indispensabile se si vuole davvero prevenire l’indottrinamento all’estremismo di matrice jihadista.

Chiudo lasciando la parola a Nawaz:

“Se quello che cerco di fare oggi può servire a qualcosa, spero sia aiutare a comprendere una mentalità capace di trasformare le persone, di renderle così rabbiose da perdere ogni forma di empatia per gli altri. Spero che i miei sforzi aiutino a umanizzare anche coloro che disumanizzano gli altri e che possano innescare un processo di guarigione”.
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Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:17 am

Il Marocco apre allo studio dell'Olocausto nelle scuole
Jacopo Bongini - Ven, 05/10/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/mar ... 84488.html

Il sovrano del Marocco Mohammed VI ha ufficialmente approvato l'introduzione della storia dell'Olocausto all'interno dei programmi scolastici del paese. Una decisione volta a combattere l'antisemitismo e l'intolleranza religiosa

Nel giorno della consegna dei Premi Nobel per la Pace, un altro importante segnale di riconciliazione contribuisce ad aumentare il rispetto reciproco tra popoli che spesse volte si sono ritrovati dalle parti opposte della barricata.

Come riportato dal quotidiano marocchino Le Desk, è notizia di questa settimana la decisione di Sua Maestà il Re del Marocco Mohammed VI di introdurre la storia dell'Olocausto all'interno dei programmi scolastici del paese. Una scelta precedentemente anticipata durante la 73esima sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tenutasi a New York lo scorso 18 settembre, dove a margine di una tavola rotonda avente come tema "Il potere dell'educazione per prevenire il razzismo e la discriminazione: il caso dell'antisemitismo" è stata consegnata a tutti i partecipanti una nota ufficiale del monarca, letta per l'occasione dal Primo Ministro marocchino Saadeddine Othmani. Già nel 2008 tuttavia, con la cosiddetta Carta degli Ulema, vi erano stati dei tentativi di aggiornare i libri di testo scolastici in merito all'insegnamento religioso, ma finora questi ultimi non avevano mai incluso anche la storia degli ebrei del Marocco, né tantomeno la storia dello sterminio nazista degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.

Nel messaggio, che rendeva inoltre omaggio all'Unesco e alla sua direttrice Audrey Azoulay, figlia dell'attuale consigliere del Re André Azoulay - entrambi di famiglia ebreo marocchina - viene infatti affermato: "L'antisemitismo è l'opposto della libertà di espressione. Esso manifesta la negazione del prossimo ed è la dimostrazione del fallimento, dell'insufficienza e dell'incapacità a convivere assieme. È il ritorno anacronistico ad un passato mitizzato, è questo il passato che vogliamo lasciare in eredità alle generazioni future? Nonostante ciò, la battaglia contro l'antisemitismo non può essere un qualcosa di improvvisato, poiché non è una battaglia militare o economica ma innanzitutto pedagogica e culturale e l'arma con cui deve essere combattuta ha un nome preciso: educazione. È nell'interesse dei nostri figli, perché in futuro saranno loro i beneficiari e i nostri ambasciatori".

L'iniziativa del sovrano è stata accolta con entusiamo dagli ambienti politici israeliani. Il vice Ministro dell'Ufficio del Primo Ministro d'Israele - nonché ex ambasciatore presso gli Stati Uniti - Michael Oren ha espresso la sua personale soddisfazione in un tweet pubblicato questa mattina, in cui dichiara: "Il Re del Marocco Mohammed VI ha inviato al mondo un profondo messaggio morale. Mentre in occidente l'antisemitismo e il negazionismo dell'Olocausto sono in crescita, il leader di un'orgogliosa nazione araba ha deciso di introdurre l'educazione all'Olocausto all'interno delle scuole marocchine con l'obiettivo di combattere l'antisemitismo. Questo è un messaggio di speranza".

Non è peraltro la prima volta che il Marocco si differenzia dagli altri paesi a maggioranza musulmana nel modo in cui vengono gestite le relazioni diplomatiche con il mondo ebraico. Nel novembre del 2016 infatti venne siglato a Rabat un accordo di parternariato tra l'Archivio di Stato marocchino ed il Memoriale dell'Olocausto di Parigi, allo scopo di stabilire una collaborazione sulle tematiche relative alla storia degli ebrei e dell'ebraismo nei paesi del Nordafrica e a cui è seguito nel 2017 un simile accordo con il Memoriale dell'Olocausto statunitense. In quest'ultima occasione vi fu inoltre un incontro ufficiale tra il Principe Moulay Rachid, fratello del Re, e la direttrice del museo Sara Bloomfield, durante il quale venne discussa la possibilità di una cooperazione istituzionale per contrastare l'intolleranza religiosa. Un'operazione volta anche a celebrare l'opera del precedente sovrano Mohammed V - nonno di Mohammed VI - che durante la seconda guerra mondiale si rifiutò di consegnare gli ebrei marocchini alle autorità naziste della Francia di Vichy, della quale il Marocco era all'epoca un protettorato.

Malgrado ciò, la posizione ufficiale del governo marocchino su Israele rimane allineata a quella degli altri paesi membri della Lega Araba, che persistono nel non riconoscere la sovranità dello stato ebraico. Tuttavia come già mostrato in precedenza, numerose sono le eccezioni che caratterizzano lo stato nordafricano, il quale ad esempio rimane una delle poche nazioni musulmane ad accettare passaporti israeliani e a consentire ai cittadini d'Israele di visitare il paese.
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Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:18 am

Giulio Meotti

Sto ancora aspettando le dichiarazioni dell’”Islam moderato” sul nuovo Premio Nobel della Pace Nadia Murad. Sto ancora aspettando i lanci di agenzia che contengano le dichiarazioni di Nadia: “Ci hanno costretto a convertirci all’Islam”. Sto ancora aspettando qualche intellettuale che dica: “Guai a confondere il fake MeToo con la vera schiavitù sessuale dell’Isis”. Sto ancora aspettando le scuse della Turchia, paese della Nato, e di altri emirati mediorientali per favorire i jihadisti che stuprano le yazide. Ma penso che aspetteró ancora a lungo.
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Messaggioda Berto » mar nov 06, 2018 3:18 am

IL RESTO È FUFFA
Niram Ferretti
9 ottobre 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Ieri sera al Teatro Franco Parenti di Milano mi informano che durante la presentazione del libro di Vittorio Bendaud dedicato al rapporto tra Islam ed ebrei nel corso dei secoli, sarebbe venuta fuori la risibile fola, propagata incessantemente e incessantemente ripetuta, che esisterebbe una distinzione tra Islam politico e Islam religioso. Ora, il primo sarebbe cattivo e adottato da tanti brutti ceffi jihadisti, l'altro sarebbe squisito e appannaggio di veri cultori del bene e dell'amore.

Purtroppo non è così e non è mai stato così. L'Islam nasce a Medina nel VII secolo come struttura teopolitica e tale è rimasto sempre nel corso della propria storia.

Non esiste un Islam non politico, così come non esiste una ruota senza cerchio. Le correnti mistiche dell'Islam hanno a che fare con il misticismo, non con l'Islam come è codificato dalla sharia. Le vette della teosofia sono una cosa, la struttura storica e culturale e sociopolitica dell'Islam è un'altra. In ogni caso si può essere mistici e al contempo capi politici, lo stesso Maometto, per chi crede in lui, aveva visioni e rivelazioni mistiche ma questo non gli impredì mai di praticare il jihad.

L'anno scorso, intervistando uno dei maggiori esperti mondiali di Islam e una delle bestie nere di tutti coloro che propongono disinzioni assurde, Robert Spencer, quando gli chiesi

"Sentiamo spesso la distinzione tra Islam politico e un Islam che non lo sarebbe. Suona strano, poiché l’Islam è stato politico dal suo sorgere. Cosa ha da dire in proposito?"

Così mi rispose con la sua abituale chiarezza.

"Lei ha perfettamente ragione. L’Islam è stato politico fin dal suo sorgere. E’ importante notare che Maometto fu un profeta, o affermò di esserlo secondo le tradizioni islamiche per ventitré anni, e per i primi dodici, quando si trovava alla Mecca, fu solo un predicatore di idee religiose. Non fu fino all’Egira, quando lui e i suoi seguaci si trasferirono a Medina, che divenne un capo politico e militare oltre che religioso. E’ da quel periodo che comincia il calendario islamico, dall’anno uno, l’anno dell’Egira di Maometto a Medina. I musulmani fanno cominciare l’Islam dal momento in cui diviene politico, non dal momento in cui Maometto comincia a predicare, quando inizia ad affermare che non c’è altro Dio all’infuori di Allah e nessun altro profeta se non Maometto. Ciò dimostra che l’aspetto politico dell’Islam è considerato dai musulmani tradizionalisti come intrinseco ad esso e non separabile. Bisogna che vi sia un aspetto politico perché possa essere considerato Islam di fatto. Il politico non è separabile dall’Islam, perlomeno se si parla in senso tradizionale".
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