Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Re: Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Messaggioda Berto » sab set 25, 2021 7:28 am

Il Primo Ministro Netanyahu si rivolge all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite
A Beirut è stato scoperto un altro enorme deposito di esplosivo appartenente all’organizzazioni terroristica di Hezbollah. *Centinaia di migliaia di cittadini libanesi sono in immediato pericolo di morte.* L’Europa deve capire che non c’è differenza tra il braccio militare e il braccio politico di Hezbollah e deve dichiarare l’intera organizzazione un’organizzazione terroristica.
Ambasciatore Dror Eydar

https://www.facebook.com/AmbasciatoreIs ... 031084497/

A Beirut è stato scoperto un altro enorme deposito di esplosivo appartenente all’organizzazioni terroristica di Hezbollah. *Centinaia di migliaia di cittadini libanesi sono in immediato pericolo di morte.* L’Europa deve capire che non c’è differenza tra il braccio militare e il braccio politico di Hezbollah e deve dichiarare l’intera organizzazione un’organizzazione terroristica.

1
Il Libano è una tragedia e un paradigma per il Medio Oriente. L’unico paese del Medio Oriente dove i cristiani avrebbero dovuto essere la maggioranza. Ora è sotto il controllo sciita dell’organizzazione terroristica di Hezbollah gestita dall’Iran. Per la prima volta in circa 1.400 anni, si è creata in Medio Oriente una continuità territoriale sciita, dall’Iran, attraverso l’Iraq e la Siria, al Libano, e da lì al Mediterraneo. L’Iran è coinvolto anche in Yemen e Gaza. L’Iran ha un chiaro interesse a minare la stabilità in Medio Oriente, e i paesi arabi moderati osservano e comprendono bene il problema.
2
Come a Gaza, dove l’organizzazione terroristica di Hamas usa i civili come scudi umani e gli ospedali come rifugio per il suo quartier generale di terroristi, perché sa che l’esercito israeliano non vuole colpire persone innocenti, così anche Hezbollah usa scudi umani, ma molto più grandi. Gran parte della popolazione della capitale libanese è in immediato pericolo di morte, non perché un altro paese la stia minacciando; niente affatto! Israele è interessato alla pace con il popolo libanese. La causa immediata del pericolo che incombe sulla vita dei residenti di Beirut sono gli enormi depositi di armi ed esplosivi che Hezbollah detiene nel cuore delle zone più popolate della città. Uno di questi è esploso di recente e ha causato la morte di centinaia di persone, ferendone migliaia e lasciandone circa 250.000 senza tetto.
3
Ieri, nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Primo Ministro israeliano Binyamin Netanyahu ha rivelato un altro deposito di esplosivi e armi, situato nel quartiere densamente popolato di Janāḥ, a ridosso di alcuni ... impianti del gas! Centinaia di migliaia di persone sono in immediato pericolo di distruzione e di morte. I cittadini del Libano sono tenuti in ostaggio dall’Iran, attraverso le sue metastasi di terrorismo: Hezbollah.
4
Il mondo intero deve destarsi e chiedere lo smantellamento immediato di questi depositi di esplosivi. L’Europa deve capire che non c’è differenza tra braccio militare e braccio politico di Hezbollah: sono tutti terroristi che mettono in pericolo l’incolumità dei loro concittadini e la pace della regione. È necessaria una legislazione correttiva che dichiari organizzazione terroristica l’intero Hezbollah, assieme alle sue numerose ramificazioni e metastasi. Nel frattempo, si deve smantellare il deposito di esplosivi e salvare la vita di centinaia di migliaia di residenti usati come scudi umani in una guerra non loro.
Ambasciatore Dror Eydar
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Re: Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Messaggioda Berto » sab set 25, 2021 7:29 am

Il Libano sprofonda nella crisi
Lorenzo Cremonesi
07 luglio 2021
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/07/2021, a pag.17, con il titolo "Il Libano in coda per sopravvivere", il commento di Lorenzo Cremonesi.

https://www.informazionecorretta.com/ma ... 0&id=82260

La crisi è talmente catastrofica che gli esperti della Banca Mondiale non esitano a definirla «tra le tre più gravi sul nostro Pianeta dalla metà dell'Ottocento». Lo testimoniano le code di intere giornate ai distributori, i tagli continui alla rete elettrica nazionale, la mancanza di beni essenziali come le medicine, i supermercati chiusi, il crollo dei salari, il quasi azzeramento del valore della moneta nazionale e le banche serrate. Immaginate cosa significhi per un'intera popolazione scoprire che i risparmi sono congelati, non solo non c'è accesso al credito, ma soprattutto si deve vivere alla giornata, occorre arrangiarsi tra mercato nero, corruzione imperante e assenza di aiuti. Parliamo del Libano.
Poco meno di un anno fa i suoi circa 6 milioni di abitanti (inclusi oltre un milione di profughi siriani arrivati dal 2011) credevano genuinamente di avere toccato il fondo. La terribile esplosione del 4 agosto che aveva devastato il cuore di Beirut (almeno 200 morti, circa 6.000 feriti e danni per miliardi di euro) era stata letta allo stesso tempo come l'ennesima prova dell'inefficienza cronica di una classe politica e amministrativa corrotta sino al midollo, ma anche quale occasione di riforme e riscatto nazionale. Le circa 2.750 tonnellate di nitrato d'ammonio giacevano da oltre 7 anni in un hangar semi-abbandonato nella zona commerciale del porto.
Emerse presto che non c'era traccia di attentato, seppure diversi politici e commentatori avessero puntato il dito contro «nemici esterni» e non meglio chiariti «complotti» locali funzionali alla loro causa. Si era piuttosto trattato di un incidente. Avevano provocato la deflagrazione un banalissimo cortocircuito, unito al calore dell'estate e al particolare assurdo per cui accanto al nitrato estremamente esplosivo erano accatastate scatole di fuochi d'artificio. Ma la cosa era in realtà ancora più grave. Sbatteva in faccia a tutti ciò che ogni libanese ben conosce nell'intimo: la Stato è fallito, i partiti tradizionali a parole si fanno la guerra, ma nei fatti cooperano sottobanco per restare a spartirsi la gestione del Paese. II riscatto sperato nel 2020 non è mai avvenuto: al contrario, oggi prevale la stagnazione. L'Orient le Jour, il quotidiano in lingua francese vicino alla componente antisiriana della comunità cristiana locale, sottolinea che la mancanza di carburante è alimentata dai contrabbandieri collusi con partiti e le forze di si carezza che ne permettono la vendita illegale al regime di Bashar Assad. II motivo è presto detto: in Libano il carburante è fortemente sussidiato dalle casse pubbliche, venderlo invece in Siria a prezzi molto più alti garantisce enormi incassi in nero, che vengono poi spartiti tra le autorità coinvolte. A complicare la crisi sta anche il fatto che il collasso dell'economia siriana ha praticamente azzerato gli scambi commerciali col Libano, una volta valevano miliardi. Non è strano .che ieri Hassan Diab, il premier dimissionano da circa io mesi ma costretto a dirigere il governo di transizione, abbia lanciato una drammatica richiesta di aiuto alla comunità internazionale paventando «l'imminenza di una grave e violenta esplosione sociale». In pochi mesi il prodotto interno lordo si è ridotto del 40 per cento. Due anni fa il dollaro valeva meno di 1.000 lire libanesi, oggi più di 18.000 al mercato nero (il cambio ufficiale, che nessuno usa, è fermo a 1.500). Per far fronte alle difficoltà la popolazione si adatta: niente ascensori, in famiglia si fanno i turni per stare in fila ai distributori, comunque si va a piedi, cresce ii mercato dei pannelli solari. Soprattutto, chi può emigra e ciò impoverisce privando il Paese dei professionisti migliori. Tra i più colpiti, le vittime del Covid che non trovano cure.
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Re: Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Messaggioda Berto » sab set 25, 2021 7:29 am

Le demenzialità sinistre contro il Libano cristiano e Israele, pro invasori nazi maomettani

Il Libano tra razzismo, povertà e colonialismo
Daniele Bonifazi
19/01/2018

https://www.dirittisociali.org/attualit ... lismo.aspx

Il Libano è il paese che ospita più rifugiati al mondo in rapporto alla propria popolazione, ma non ha affatto le risorse per farlo. Cosa accade quando influenze straniere, razzismo e povertà gravano su chi fugge dalla guerra?

"Siamo razzisti nella nostra identità libanese" ha twittato lo scorso 8 ottobre il Ministro degli Affari Esteri libanese Gebran Bassil, pretendendo di rappresentare in tal modo i circa 4 milioni di libanesi che vivono nel paese e quelli sparsi in giro per il mondo, tra gli 8 e i 14 milioni di persone. Ma il razzismo ha veramente a che fare con la propria identità? E soprattutto, si può veramente delineare un'identità nazionale in una terra abitata da diciotto diversi gruppi confessionali che per quindici anni (1975-1990) hanno dato vita a una delle guerre civili più cruente del ventesimo secolo?A seguito delle critiche ricevute per il suo tweet, il ministro Bassil ha tentato maldestramente di correggere il tiro, dichiarando cinque giorni dopo che il suo partito rappresenta l'antitesi del razzismo di Daesh (o ISIS) e di Israele, essendo composto semplicemente da "patrioti che impediranno l'insediamento dei rifugiati siriani in Libano".

Lo ha fatto di fronte a una folla riunita per commemorare il bombardamento del palazzo presidenziale di Baabda, avvenuto il 13 ottobre 1990 ad opera dell'aviazione siriana. In quel palazzo si era rifugiato il generale dell'esercito libanese di allora e primo ministro Michel Aoun. Dopo essere scampato all'attacco e aver trascorso quattordici anni in esilio in Francia, nel 2005Aounètornato in Libano per fondare il Free Patriotic Movement oggi presieduto da Bassil. Un anno fa l'ex generale è tornato ad abitare nel palazzo di Baabda in qualità di Presidente della Repubblica.

Che in Libano ci sia un problema di razzismo è evidente a chiunque vi trascorra qualche giorno o ne studi semplicemente la storia. L'elenco dei gruppi sociali e nazionali discriminati, emarginati e oppressi dallo stato libanese e da molti dei suoi cittadini è lungo. Inizia cronologicamente con le centinaia di migliaia di palestinesi fuggiti in Libano nel 1948, o nati qui in seguito,a causa della pulizia etnica della Palestina portata avanti dalle forze sioniste. Oggi i palestinesi in Libano vivono quasi tutti in campi profughi, che negli anni si sono trasformati in baraccopoli sovraffollate dove mancano i servizi più essenziali. Lo stato libanese nega loro diritti fondamentali, come quello di cittadinanza, di possedere una casa, di accedere alla scuola pubblica e di svolgere trentasei professioni. Il diritto più agognato dai palestinesi e riconosciuto dall'ONU sin dal 1948, invece, viene loro negato da Israele: quello al ritorno in Palestina.

L'elenco dei discriminati continua con i duecentomila migrant domestic workers, prevalentemente donne cingalesi, bangladesi, nepalesi, filippine ed etiopi che lavorano nelle case dei libanesi benestanti, molti dei quali le rinchiudono in stanze asfittiche, impedendo loro di uscire di casa -se non per fare la spesa- e facendole lavorare tra le sedici e le venti ore al giorno. Grazie al Kafala system, una legislazione schiavista presente anche in Giordania, Iraq, Arabia Saudita e altri stati del Golfo, il datore di lavoro libanese - ovvero lo "sponsor" senza il quale la persona migrante non sarebbe potuta entrare nel paese - può sostanzialmente negare a queste donne le ferie e riconoscergli un salario che raramente supera i duecento dollari al mese. Il meccanismo di dominio incentivato da questo sistema porta spesso il datore di lavoro a sottrarre il passaporto alla lavoratrice [1], a minacciarla, a picchiarla o a violentarla all'interno della casa in cui è prigioniera.Questi abusi spingono una donna al mese a preferire il suicidio. Altre donne, invece, riescono a farsi forza e a scendere in strada per chiedere il riconoscimento dei propri diritti, come accade ogni Primo Maggio da 8 anni a Beirut.

A questo elenco non esaustivo di gruppi oppressi vanno aggiunte le persone in fuga dalla guerra in Siria, tra 1,1 e 1,5 milioni [2],tra le quali ve ne sono almeno trentamila di origine palestinese [3] che hanno dovuto subire i traumi derivanti da una vita ai margini dell'umanità per ben due volte: prima nei campi profughi siriani e poi in quelli libanesi.Il 74% dei siriani e il 40% dei palestinesi in fuga dalla Siria risiedono in Libano illegalmente. La mancanza di documenti di residenza validi spinge i profughi a limitare i propri spostamenti per paura di essere arrestati, impedendo a molti di lavorare, di ricevere cure mediche e di accompagnare i figli a scuola. Molte donne e bambini, dato il minor rischio di essere identificati dall'esercito o dalla polizia rispetto agli uomini, provvedono al sostentamento della propria famiglia, venendo spesso sfruttati dal datore di lavoro e subendo violenze e abusi sessuali che non riportano alle autorità per paura, appunto, di venire arrestati.

Oltre agli impedimenti legali che rendono loro impossibile condurre una vita dignitosa, i siriani sono continuamente attaccati da molti libanesi, sia civili che militari. L'intolleranza assume, in questi casi, varie forme, come ad esempio proteste organizzate fuori le scuole che accolgono i bambini siriani sfuggiti alla guerra. A volte purtroppo, queste proteste hanno successo e i bambini sono costretti a interrompere il loro percorso scolastico. E' quanto accaduto, solo per citare uno degli innumerevoli esempi, lo scorso ottobre nella cittadina di Bsharre, roccaforte cristiano maronita del nord che ha dato i natali a Samir Geagea, presidente esecutivo delle Forze Libanesi ed ex guerrigliero falangista. Con un'ordinanza il sindaco di Bsharre ha eliminato il turno scolastico pomeridiano riservato ai bambini siriani, che saranno quindi costretti a perdere un ulteriore anno di studi dopo quelli saltati a causa della guerra. Nello stesso mese a Hadath, un piccolo centro tra Beirut e Baabda, il sindaco ha espulso quaranta famiglie siriane dalla sua municipalità, costringendole a rifugiarsi più a sud, nella regione dello Chouf.

Non mancano poi gli abusi e le violenze ai danni dei siriani da parte della polizia e dell'esercito. Il 30 giugno scorso l'esercito libanese ha effettuato dei raid nei campi informali di Arsal, nel nord-est del paese, e arrestato 356 persone, 257 delle quali per mancanza del permesso di soggiorno. Secondo Human Rights Watch, fra le persone detenute ci sarebbero stati anche dei bambini. Cinque uomini siriani arrestati quel giorno sono invece morti mentre erano sotto la custodia dell'esercito, dopo essere stati tutti torturati.

Sempre più frequenti sono infine le aggressioni fisiche in strada a danno dei siriani da parte di uomini libanesi, spesso per i motivi più futili. Ma a cosa è realmente dovuta questa ostilità nei confronti di persone in fuga da una guerra che ha provocato già 465.000 morti [4]?

Già nel 2014, il 91 per cento delle comunità ospitanti libanesi percepivano la presenza dei siriani come una minaccia alla propria sicurezza [5]. Sarà stato anche sulla base di questi dati, probabilmente, che nel gennaio del 2015 il governo libanese ha deciso di avviare una politica di "riduzione del numero" dei rifugiati. Questa riforma è consistita nel rendere illegali più del settanta per cento dei Siriani residenti in Libano revocando loro i permessi di soggiorno. Permessi che invece, come evidenziato dalla ONG libanese Legal Agenda, sono stati concessi a quelle categorie di rifugiati dalle quali l'economia libanese può trarre maggior profitto: proprietari di capitali e lavoratori del settore agricolo ed edile.

Al di là dei chiari episodi di razzismo, l'ostilità di una buona parte della popolazione libanese nei confronti dei siriani sembra basarsi principalmente su ragioni economiche. In un paese in cui il sessanta per cento della popolazione dichiara di non aver beneficiato di alcun servizio pubblico negli ultimi tre mesi [6], l'arrivo di più di un milione di persone è inevitabilmente andato a gravare sulla già carente offerta di questi servizi. Secondo uno studio [7] condotto nel 2015, sulle ragioni delle potenziali divisioni, libanesi e siriani si trovano perfettamente d'accordo: al primo posto c'è la competizione per un posto di lavoro [8], al secondo quella per risorse e servizi insufficienti [9].

Su tutti il servizio maggiormente carente è quello della raccolta e smaltimento dei rifiuti, un'inadempienza che ha generato una crisi ambientale e sanitaria: l'assenza quasi assoluta di strutture adibite al trattamento di rifiuti solidi ha provocatola comparsa di circa novecento discariche a cielo aperto [10] in un paese, il Libano, che è più piccolo dell'Abruzzo.Curiosamente, i problemi storici tra le due comunità - su tutti l'occupazione siriana del Libano durata dal 1976 al 2005 - vengono indicati come l'ultima ragione possibile alla base delle loro divisioni: solo l'11% dei libanesi e il 10 % dei siriani li ritiene tali.

Per quanto la xenofobia che ne scaturisce non sia in alcun modo giustificabile e vada combattuta con ogni mezzo,questa analisi delinea il più classico dei conflitti tra poveri per risorse scarse, piuttosto che un odio razziale che si è consolidato negli anni.

"Siamo razzisti nella nostra identità libanese", dice il ministro Bassil. A smentire questa sua affermazione, oltre ai dati appena citati,ci sono le manifestazioni di solidarietà di alcuni libanesi nei confronti dei rifugiati siriani. Nel luglio dello scorso anno almeno duecento persone sono scese in strada a Beirut per protestare contro il razzismo dilagante. Secondo un manifestante "[Chiunque nella classe dirigente libanese] usa i siriani come capri espiatori per i propri fini politici, per consolidare il proprio potere e distrarre le persone dalla propria corruzione". Gli organizzatori della marcia dichiaravano di essere lì"per ricordare a noi stessi e a tutti quanti che non avevamo elettricità, acqua, telecomunicazioni e strade già prima della crisi dei rifugiati siriani".Così come accade in Europa, negli Stati Uniti e in molti altri paesi, sembra che anche in Libano qualcuno raccolga voti sulla pelle dei migranti. Una strategia particolarmente subdola, se consideriamo che il settanta percento dei siriani in Libano vive al di sotto della soglia di povertà e il quattordici per cento è affetto da disabilità fisiche o psichiche.

Ma al di là dei comportamenti xenofobi particolarmente diffusi fra i libanesi e alle politiche discriminatorie del loro governo, a chi altro sono ascrivibili le responsabilità di questa crisi umanitaria - e di umanità- che osserviamo in Libano? Per rispondere con onestà a questa domanda è indispensabile fare un salto indietro di un secolo e analizzare il processo che portò alla fondazione dello stato libanese.

Tutti gli attori e le variabili entrati in gioco negli ultimi cento anni in Medio Oriente non hanno rappresentato altro che una reazione alla scelta scellerata di due potenze europee di sedersi a tavolino, matita rossa e matita blu alla mano, per spartirsi su una carta geografica quest'area del mondo [11]. Nel 1916, in seguito al crollo dell'Impero ottomano, Gran Bretagna e Francia si divisero il Medio Oriente attraverso gli accordi segreti di Sykes-Picot, dal nome dei rispettivi diplomatici che raggiunsero l'intesa: Iraq, Giordania e Palestina finirono sotto l'influenza britannica, Siria e Libano sotto quella francese. Le ripercussioni di questo accordo sul Libano moderno sono descritte al meglio dal giornalista inglese Robert Fisk, in un passaggio che vale la pena riportare per intero del suo libro"Il martirio di una nazione. Il Libano in guerra":

"I francesi capirono appieno che il sentimento nazionalista siriano si opponeva al loro dominio. Questo in pratica significava che i sunniti erano i loro principali antagonisti, e procedettero quindi a capitalizzare sulla buona volontà dei cristiani, gli amici di più vecchia data, creando un nuovo stato che toglieva Tiro, Sidone, Tripoli, la valle della Beqaa e la stessa Beirut alla Siria per annetterli al sanjak (il distretto amministrativo) ottomano del Monte Libano, vera e propria spina dorsale della cristianità maronita. La Siria fu separata dai suoi porti più importanti e Damasco (centro del nazionalismo arabo musulmano che si opponeva al dominio francese) fu indebolita a scapito di Beirut e del nuovo regime retto dai cristiani. Lo «stato del Grande Libano», proclamato dal generale francese Gouraud il 31 agosto 1920, era così un'entità del tutto artificiale creata dai francesi. Oltre vent'anni più tardi le sue frontiere sarebbero diventate i confini dello stato indipendente del Libano. E fu in difesa della presunta «sovranità» di questa particolare nazione (un prodotto del Quai d'Orsay più che l'espressione di una qualsivoglia aspirazione nazionalista araba) che infinite migliaia di persone sarebbero morte più di mezzo secolo più tardi"(p. 90).

La guerra civile libanese, quella siriana e l'occupazione israeliana della Palestina sono fra gli esempi più significativi della continua sofferenza causata alle popolazioni del Medio Oriente dalle frontiere disegnate un secolo fa dalle potenze europee, frutto di un'attitudine colonialista di cui ancor oggi fatichiamo a liberarci.

Se è impossibile tornare indietro e cancellare quegli accordi, di certo non lo è porre fine alla sofferenza dei rifugiati siriani e palestinesi in Libano. Basterebbe utilizzare due strumenti in mano ai governi europei e a quello statunitense: la diplomazia, per porre fine all'occupazione israeliana della Palestina, obbligando contemporaneamente Israele a riconoscere il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi già sancito dall'ONU nel 1948; e l'apertura delle frontiere alle persone migranti, in stragrande maggioranza siriane, costrette a vivere in condizioni disumane nei campi profughi libanesi, offrendo loro rifugio, protezione, assistenza medica e la possibilità di condurre un'esistenza libera da un destino di violenza al quale proprio Europa e Stati Uniti le hanno condannate nell'ultimo secolo. I governi degli Stati Uniti e dell'Unione europea, però, sembrano continuare a preferire la rotta tracciata nella prima metà del secolo scorso.

Se gli USA continuano a finanziare l'esercito israeliano con 3,8 miliardi di dollari l'anno, come deciso dall'amministrazione Obama, e ora a riconoscere ufficialmente Gerusalemme occupata come capitale di Israele, l'Unione europea continua ad esternalizzare le proprie frontiere, costringendo le persone migranti ad affogare nel Mediterraneo o all'oblio delle prigioni libiche o dei campi profughi mediorientali. Un esempio di questa esternalizzazione, come sempre mascherata da aiuto umanitario, sono le nuove priorità di partenariato firmate il 15 novembre del 2016 dal Libano con l'Unione europea, che garantiscono al primo un flusso minimo di 480 milioni di euro in due anni in cambio, tra le altre cose, di una sua "maggiore capacità di gestione dei flussi migratori" e di un "rafforzamento della capacità di gestire le frontiere". Questo accordo ha fatto seguito alla richiesta del governo libanese ai donatori internazionali, esplicitata alla conferenza di Londra del febbraio dello stesso anno, di sette miliardi di dollari in cinque anni per far fronte alla crisi umanitaria. Di questi, 1,75 miliardi sono la stima dei bisogni del solo settore dell'educazione. D'altronde, come ha scritto il governo libanese nella dichiarazione d'intenti conclusiva della conferenza in riferimento ai bambini e ai ragazzi siriani, "più speranza creiamo per loro qui, meno è probabile che loro o i loro genitori tentino un viaggio pericoloso verso l'Europa".
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Re: Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele

Messaggioda Berto » sab set 25, 2021 7:30 am

PARLAMENTO EUROPEO VOTA CONTRO HEZBOLLAH "DESTABILIZZA IL LIBANO PERCHE' LEGATA A IRAN"
17 settembre 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8174765883

Con 575 voti a favore, 71 contrari e 39 astenuti, il Parlamento europeo ha adottato venerdì 17 Settembre 2021 una risoluzione che addita Hezbollah, l’organizzazione terroristica sponsorizzata dall’Iran, come una delle cause di destabilizzazione e corruzione in Libano.
Il paragrafo “S” della lunga risoluzione sottolinea che Hezbollah, qualificato come organizzazione terroristica da diversi stati membri dell’Unione Europea, mantiene il controllo di ministeri chiave anche nel nuovo governo libanese, e che destabilizza le istituzioni del paese con la sua “fedeltà ideologica” all’Iran.
La risoluzione accusa anche Hezbollah per la repressione del movimento popolare libanese del 2019 e per la crisi politica ed economica, esortando le potenze esterne a non ingerirsi negli affari interni del paese e nella sua sovranità.


L'Ue metta al bando Hezbollah. L'appello transatlantico
Gabriele Carrer
17/07/2020

https://formiche.net/2020/07/lue-bandisca-hezbollah/

A otto anni dall'attentato antisemita in Bulgaria, 236 parlamentari Usa, europei e israeliani chiedono all'Ue di non distinguere più tra ramo politico e ala militare di Hezbollah (classificazione che il gruppo stesso respinge) e di bandire l'intera organizzazione

Duecentotrentasei deputati di entrambe le sponde dell’Atlantico hanno firmato una “dichiarazione transatlantica” pubblicata dal sito dell’Ajc Transatlantic Institute, cioè l’ufficio europeo dell’American Jewish Committee, per chiedere “all’Unione europea di designare Hezbollah come organizzazione terroristica nella sua interezza”.

L’ATTENTATO DEL 2012

Il 19 luglio di otto anni fa, l’attentato suicida in Bulgaria contro un autobus per stava portando turisti giunti da Israele dall’aeroporto ai loro hotel. Persero la vita sei persone: l’autista bulgaro e cinque cittadini israeliani, tra cui una donna incinta. Quell’attacco terroristico fu opera di Hezbollah, l’organizzazione libanese finanziata dall’Iran. A seguito di quell’episodio, come ricorda la dichiarazione pubblicata oggi, “l’Unione europea ha vietato unicamente la cosiddetta ala militare di Hezbollah, interrompendo le relazioni con il gruppo terroristico solo attraverso il meccanismo delle sanzioni”. “Sollecitiamo pertanto l’Ue a porre fine a questa falsa distinzione tra braccio ‘militare’ e ‘politico’ — una distinzione che Hezbollah stesso respinge — e quindi chiediamo di mettere al bando l’intera organizzazione”, si legge nell’appello.

I FIRMATARI

I firmatari sono europarlamentari, deputati degli Stati Uniti, dei Paesi dell’Unione europea e di Israele. Figurano: i senatori statunitensi Ted Cruz e Marco Rubio, l’ex ministro israeliano Yair Lapid e il presidente della commissione Affari esteri del Parlamento europeo David McAllister. Ecco gli italiani: i senatori di Forza Italia Massimo Berutti, Andrea Causin, Massimo Ferro, Lucio Malan, Giuseppe Moles, Adriano Paroli, Maria Rizzotti; i deputati di Forza Italia Giorgio Mulé, Andrea Orsini, Urania Papatheu e Maria Tripodi; gli eurodeputati Carlo Calenda e Pina Picierno (S&D), Salvatore De Meo, Fulvio Martusciello e l’ex presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani (Ppe).

LE ATTIVITÀ DI HEZBOLLAH

“Hezbollah, l’alleato più micidiale del regime iraniano, gestisce una rete terroristica globale che minaccia non solo i Paesi della sua stessa area geografia, ma anche le democrazia occidentali”, si legge ancora nel documento in cui si evidenziano le attività del gruppo al fianco del “regime assassino” di Bashar Al Assad in Siria, oltre all’addestramento e al rifornimento di armi alle milizie sciite in Yemen e Iraq. E ancora: “Utilizza la propria popolazione civile come scudi umani per nascondere circa 150.000 missili puntati contro civili israeliani”. E proprio lo Stato ebraico è al centro delle celebrazioni annuali del Quds Day di Hezbollah, ricorda la dichiarazione, durante le quali “le richieste di annientamento” di Israele “fanno eco ai capitoli più oscuri della storia europea”.

GLI ESEMPI DA SEGUIRE

“Come mostrano gli esempi degli Stati Uniti, dei Paesi Bassi, del Canada, del Regno Unito, del Consiglio di cooperazione del Golfo della Lega araba, mettere al bando Hezbollah non preclude il continuo impegno politico con Beirut”, scrivono i parlamentari, convinti che la proscrizione non destabilizzare il Paese bensì sia l’unica possibilità per la sua reale stabilità economica e politica. “L’Unione europea, che rappresenta la democrazie, i diritti umani e l’ordine internazionale basato sul rispetto dello stato di diritto, dovrebbe esercitare la propria autorità per mettere in guardia da Hezbollah. La nostra sicurezza collettiva e l’integrità dei nostri valori democratici sono in gioco: è questo il momento di agire”, concludono i deputati.
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