Islam e islamici dove sta il problema?

Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 10:58 am

Islam e islamici dove sta il problema?
viewtopic.php?f=188&t=2709
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 10:59 am

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... nref=story


Per capire meglio la questione aiutiamoci con una semplice analogia: nazismo hitleriano e nazisti tedeschi dove sta il problema?

Il problema è tutto questo mondo, questo insieme:

il problema sono gli islamici o maomettani, seguaci di Maometto che si è inventato l'Islam quale ideologia e pratica politico giuridico religiosa incentrata sull'idolo Allah e su Maometto suo profeta;

è l'Islam come ideologia o fede e pratica politico giuridico religiosa;
è Maometto il "profeta" presuntuoso, invasato e assassino;
è il Corano o parola di Allah, l'idolo sacmbiato per Dio;
è il loro idolo Allah creduto presuntuosamente Dio di tutto e di tutti;

è l'Islam come insieme dei maomettani, dei seguaci di Maometto;
sono i paesi dove domina l'Islam e le sue teocrazie;
sono i mussulmani come persone islamiche credenti e praticanti il maomettanismo;


Questo è l'Islam o nazismo maomettano: idolatria, orrore, terrore e morte, da sempre:
viewtopic.php?f=188&t=2705
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4914927718
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 11:00 am

???

Il nemico è l'islam non i musulmani
Magdi Cristiano Allam - Mar, 17/01/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 51807.html

Stiamo subendo un crimine epocale. La nostra ricca Italia si sta trasformando in italiani sempre più poveri, assoggettati alla dittatura finanziaria ed eurocratica, oppressi da uno Stato ladrone e aguzzino.

Chi ci governa ha spalancato le frontiere promuovendo un'auto-invasione di clandestini prevalentemente islamici che finiranno per sostituirci come società e per porre fine alla nostra civiltà. Subiamo un tracollo demografico in assenza di una strategia per la crescita della natalità mentre viene scardinato l'istituto della famiglia naturale, l'unica che può rigenerare la vita, inculcando l'ideologia dell'omosessualismo dagli asili nido fino alla codificazione giuridica, dopo aver legittimato l'aborto di fatto praticato come anticoncezionale. Siamo in preda alla paura per il dilagare della criminalità e l'irrompere del terrorismo islamico, mentre le forze dell'ordine non vengono messe nella condizione di poter garantire la sicurezza. Abbiamo a tal punto aderito all'ideologia del relativismo da perdere la certezza di chi siamo, finendo per odiare noi stessi e amare il nostro aspirante carnefice, legittimando l'islam come religione e auto-colpevolizzandoci per le atrocità altrui, concependo la nostra casa comune una terra di nessuno e trasformandola in una terra di conquista.

Ecco perché oggi più che mai diventa vitale identificare chi è il nemico da combattere. Ad esempio, sul fronte dell'islam, chiariamo che il nemico è l'islam come religione e non i musulmani come persone, che vanno sempre rispettati e che sono essi stessi vittime di un'ideologia del tutto incompatibile con le nostre leggi, con le regole su cui si fonda la civile convivenza, con i valori che sostanziano la nostra civiltà. Ne consegue che è del tutto sbagliata la strategia governativa concentrata nell'identificare i terroristi veri o presunti che navigano in Rete o tramano nelle carceri, consentendo alle moschee di prosperare e diffondersi affermandosi come il referente dei musulmani dentro casa nostra, consentendo loro di aggregarsi in «comunità» distinte dalla società italiana che si auto-regolamentano sulla base della sharia, la legge islamica. Così come è suicida la posizione delle Chiese cristiane che legittimano l'islam come religione mettendolo sullo stesso piano del cristianesimo.

Ugualmente sul fronte dell'immigrazione, il nemico è l'immigrazionismo, un'ideologia che ci impone di accoglierli illimitatamente e incondizionatamente, e non sono gli immigrati come persone che vanno innanzitutto aiutati a vivere dignitosamente a casa propria. Così come dobbiamo combattere contro il multiculturalismo, che ci impone di elargire diritti e libertà senza esigere l'ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole, e prendere atto che la multiculturalità è un dato di fatto ovunque nel mondo. Così come vanno condannati il buonismo e non le persone di buona volontà, l'omosessualismo e non gli omosessuali, la dittatura finanziaria e non le banche, la dittatura informatica e non l'uso strumentale di prodotti informatici, lo statalismo e non la partecipazione statale, il globalismo e non la cooperazione internazionale, la partitocrazia e non i politici, la magistratocrazia e non i magistrati, l'eurocrazia e non gli europeisti.

Per salvarci abbiamo bisogno della collaborazione degli italiani con gli immigrati e gli stessi musulmani che scelgono di condividere l'Italia pur nell'abbandono dell'immigrazionismo e nella messa fuorilegge dell'islam, degli imprenditori, delle banche, dei politici, degli amministratori pubblici, dei magistrati, delle forze dell'ordine accomunati dall'amore per l'Italia e dalla determinazione a tramandare ai nostri figli l'unica civiltà al mondo che si fonda sulla sacralità della vita, sulla pari dignità tra le persone, sulla libertà di scelta.



Pietro Marinelli
https://www.facebook.com/pietro.marinel ... 3330857379

Pubblico il commento di Magdi Cristiano Allam sull'ultimo attentato terroristico islamico contro fedeli musulmani sufi in una moschea in Egitto

Cari amici, è una terribile strage quella che è avvenuta in Egitto ad opera del terroristismo islamico. Questa volta hanno colpito una moschea nel villaggio di al-Rawdah nel Sinai, dove l’Isis è radicato. Almeno 235 fedeli musulmani sono stati assassinati all’interno e all’esterno della moschea. 125 i feriti gravi. Oggi, venerdì, è la giornata festiva islamica nella quale i fedeli praticanti affollano le moschee nella preghiera del mezzogiorno. I terroristi islamici prima hanno fatto esplodere una bomba all’interno della moschea sovraffollata, poi hanno sparato all’impazzata con i mitra fuori dalla moschea contro i fedeli sopravvissuti in fuga. I terroristi islamici hanno sparato anche contro le ambulanze accorse per soccorrere i feriti.
Prendiamo atto che le principali vittime del terrorismo islamico sono gli stessi musulmani considerati eretici (in questo caso i sufi). Fin dall'inizio l’islam ortodosso si è rivelato violento, infierendo sia al suo interno sia all’esterno. I musulmani piu ortodossi, coloro che ottemperano letteralmente e integralmente a ciò che Allah prescrive nel Corano e a ciò che ha detto e ha fatto Maometto, arrivano a condannare di apostasia l’insieme della popolazione che non si sottomette al loro potere e a legittimarne il massacro. Il problema non sono i musulmani come persone ma è l’islam come religione.
Cari amici, liberiamoci dell’islam come religione per salvaguardare la nostra civiltà laica e liberale. Dobbiamo scardinare tutto ciò che si fonda su Allah e su Maometto. Basta con la menzogna dell’islam religione d’amore e di pace al pari del cristianesimo. Basta con l’ipocrisia del terrorismo islamico che non avrebbe nulla a che fare con l’islam. Noi ci salveremo solo se saremo in grado di far rispettare a tutti, compresi i musulmani, le leggi laiche dello Stato, le regole su cui si fonda la civile convivenza, i valori che sostanziano la nostra civiltà. Andiamo avanti forti di verità e con il coraggio della libertà. Insieme ce la faremo.


Francesco Birardi
"Il problema non sono i musulmani come persone ma è l’islam come religione"... Ecco spiegata in tre parole tutta quanta.la complessa faccenda, su cui si discute e si scrive da decenni....

Alberto Pento
L'Islam non esiste di per sé, esistono invece gli islamici in carne ed ossa. L'ideologia e la pratica politico-religiosa islamica esiste negli islamici e costituisce la personalità degli islamici. Non si può scindere l''Islam dagli islamici. Il problema sono proprio gli islamici come persone in quanto islamici e come tali costituiscono l'Islam. Senza l'Islam non esisterebbero gli islamici che esistono in quanto esiste l'Islam. E' un assurdo affermare che i problema non sono i mussulmani come persone ma l'Islam come religione, poiché l'Islam è parte della personalità dei mussulmani che li sostanzia come persone.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 11:01 am

L’islam è un problema - micromega-online
di Raffaele Carcano, da uaar.it
(28 agosto 2017)

http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... n-problema

Sappiamo dalla stampa che ha voluto farsi il bagno interamente vestita. Che ha rischiato di annegare

. Che ha rifiutato l’aiuto dei bagnini. Che suo marito non ha mosso un dito e non ha nemmeno ringraziato i soccorritori. Non sappiamo il suo nome. Ma sappiamo qual è il suo problema. Si chiama islam.

Lo sappiamo. Tutti. Anche se non tutti abbiamo il coraggio di dirlo. Anche perché dirlo costituisce a sua volta un problema, se lo si vuole dire — o scrivere — con le migliori intenzioni e senza alcun intento provocatorio. Perché è molto alto il rischio che sia preso comunque come offensivo, che sia accusato di “islamofobia”, che sia accostato a quanto diffuso dai razzisti. A prescindere. E allora, perché rischiare?

La negazione del problema viene da lontano, ma negli ultimi tempi si è decisamente accentuata. Il massacro della redazione del Charlie Hebdo è stato l’ultimo momento in cui si è potuto sperare che la libertà di espressione fosse ancora un valore ritenuto importante e condiviso, e che questa libertà comprendesse la libertà di criticare la religione. Ma già nei mesi successivi sono cominciati i distinguo. A ben vedere sono cominciati già nelle ore successive alla strage, quando ha cominciato a circolare un meme con il fermo immagine in cui si vedeva il poliziotto Ahmed Merabet, addetto alla protezione del Charlie Hebdo, pochi istanti prima di essere colpito a morte da uno dei jihadisti. Due frecce indicavano i due uomini e una scritta recitava: “Nel caso siate confusi: questo è un terrorista, questo è un musulmano”. Non so se abbia fatto venire meno la confusione, di certo non è stato un esempio di correttezza. Perché uno dei due era un poliziotto musulmano, l’altro un terrorista musulmano. Che un musulmano uccida un altro musulmano non è del resto una notizia. È un dato banale: su base mondiale, la maggior parte delle vittime dei terroristi musulmani sono musulmani (non terroristi).

La negazione rappresenta, ovviamente, una comprensibile esigenza dei musulmani moderati. Ma viene ripresa acriticamente nel mondo liberal e di sinistra. L’ha fatto il Manifesto dopo la strage di Barcellona, dando spazio alle parole di Mansur Ata, vicepresidente della comunità islamica Ahmadìa di Cordoba. Che ha cominciato l’intervista così: “Lo scriva ben chiaro, per favore: l’islam non ha nulla a che vedere con la violenza, basta leggere il Corano. Chiunque semini morte non può dirsi musulmano”. Ma chiunque legga il Corano si imbatterà in numerosi passaggi inequivocabilmente violenti, qualunque interpretazione vorrà dargli. Ma l’intervistatore non ritiene opportuno farlo notare, e passa alla domanda successiva. Anche il titolo riprende una risposta di Ata: “La religione islamica viene strumentalizzata come vettore di ideologie politiche”. Accade anche il contrario, purtroppo: che la politica si faccia vettore di ideologie religiose. Tanto per fare un esempio, Benoît Hamon, candidato socialista alle ultime presidenziali francesi, ha sottoscritto un appello in favore di un’associazione “femminista” islamista.

Il clima è questo. Un altro esempio. Tre mesi fa è stato pubblicato anche in Italia il libro Generazione Isis, scritto dal sociologo Olivier Roy, apprezzatissimo consulente di tante istituzioni. Nella quarta di copertina l’editore Feltrinelli lo presenta con queste parole: “Non è l’Islam a essere violento. Lo sono i ragazzi nichilisti e disperati che crescono nel cuore delle società occidentali.” Così facendo, ha ulteriormente forzato un testo la cui tesi principale è che “non è l’integralismo islamico la prima causa di questo terrorismo, ma un disagio tutto giovanile”. L’Isis sarebbe soltanto un pretesto; i salafiti sarebbero sì estremisti, ma non predicano il martirio. Roy paragona esplicitamente i terroristi islamici ai nichilisti anarchici di fine Ottocento, ma avrebbe dovuto sottolineare che uccidevano soprattutto sovrani e presidenti, anziché persone inermi e bambini. Nella generale scarsità di dati a sostegno delle sue tesi l’autore non manca di portare come “prova” anche la rivoluzione culturale di Mao e quella dei khmer rossi. E definisce i terroristi dello Stato Islamico “born again”, perché diversi di essi sono rinati alla vera fede in carcere.

A conti fatti, era meglio se restavano delinquenti comuni. Giovani lo sono senz’altro, i jihadisti, anche perché i giovani sono sì più ribelli, ma anche più condizionabili (è più difficile cambiare idea, da adulti). Ma bisogna mettersi d’accordo: non si può definirli, contemporaneamente, “esclusi” e “annoiati”. Non tutti del resto si fanno esplodere, anzi: molti tentano la fuga. E anche quelli che si fanno esplodere, che peraltro sono pure pagati per farlo, mirano soprattutto al paradiso (islamico) e alla gloria (islamica). La stragrande maggioranza dei terroristi islamici vive e agisce fuori dall’Europa, e non ha quindi alcun senso parlare di immigrati di prima o di quarta generazione: il maggior numero di foreign fighters pro capite spetta alle Maldive, dove vige un rigido regime islamista. E comunque le cellule jihadiste europee sono quasi esclusivamente costituite da amici, fratelli, cugini: network familiari in cui i figli estremizzano le convinzioni dei genitori, magari sotto l’influenza di un imam carismatico, spesso all’interno di realtà ormai monoculturali quali Molenbeek e Birmingham. Un background islamico e frequentazioni islamiche sono, non sorprendentemente, le caratteristiche più ricorrenti tra i terroristi islamici.

Naturalmente l’islam è cosa diversa dal terrorismo islamico. Ma anche Roy, a differenza del suo editore, deve alla fine ammettere che il terrorismo islamico interpella inevitabilmente l’islam, che non può limitarsi a ribattere che l’Isis non è vero islam o che l’islam è una religione di pace. Non funziona. Il terrorismo islamico è per definizione islamico, e chi lo nega può farlo soltanto in malafede, o nel disperato tentativo di nascondere alcuni imbarazzanti aspetti dell’islam. Come il fatto che Maometto sia stato un comandante militare, e che il Corano ne celebri le gesta. Celebra anche la pace, è vero, perché nei testi sacri c’è tutto e il contrario di tutto e chiunque può utilizzarli a proprio favore, dal pacifista all’assassino di bambini.

Nell’islam ci sono senz’altro imam moderati. Ma ci sono anche imam terroristi, come quello di Barcellona. E l’imam opera in una moschea: predica ai fedeli, incontra i fedeli e ci parla. Il terrorismo antiabortista negli Usa ha visto protagonisti anche ministri di culto cristiani, ma nessuno mette in dubbio la matrice cristiana dei loro atti. Come si fa a sostenere che la religione c’entra in un caso e non c’entra nell’altro? Come si fa ad affermare che la maggioranza dei fedeli musulmani è moderata, se quando vengono intervistati si dichiarano in maggioranza favorevoli all’imposizione della sharia anche ai non musulmani, nonché alla pena di morte per gli apostati? Come si fa a sostenere che “la religione islamica viene strumentalizzata come vettore di ideologie politiche”, quando è proprio la crescente radicalizzazione dei fedeli a radicalizzare tanti governi?

Un esempio recentissimo viene dalla Malaysia. Dove un gruppo di giovani atei ha “osato” fotografarsi e pubblicare la fotografia in rete. Zelanti fedeli hanno cominciato a chiederne la morte, perché tanti di essi saranno sicuramente ex musulmani. Il governo li ha prontamente ascoltati e ha già cominciato a investigare, e a reprimere ogni manifestazione di ateismo. Il tutto nel silenzio del ministro degli esteri Alfano, che pure ha recentemente lanciato (su Avvenire) un osservatorio sulla libertà religiosa nel mondo. Ma il silenzio generale coinvolge tutti coloro che gridano all’islamofobia alla minima critica (ripeto: “critica”, non minaccia di qualsiasi tipo). E stiamo parlando della Malaysia, ritenuto un paese islamico “moderato”. Come l’Indonesia, dove nei giorni scorsi una donna è stata condannata a due anni e sei mesi di carcere per aver insegnato un islam “scorretto”. O come la Turchia, dove si diffondono gli autobus per sole donne. Sono nazioni governate da partiti che, sino a poco tempo fa, erano considerati analoghi alle Democrazie Cristiane occidentali. Quanto vi accade è però ben poco democratico, come anche le femministe bendisposte verso l’islam dovranno ammettere.

L’islam è un problema che interpella chiunque, o non si verserebbero fiumi d’inchiostro sull’argomento. Ma i fiumi d’inchiostro sono inversamente proporzionali alle azioni intraprese per cercare di risolverlo. Si assiste ormai a un ridicolo gioco delle parti, ovunque. In Australia ha avuto luogo un siparietto tra una senatrice estremista di destra, presentatasi in burqa al dibattito parlamentare, e il procuratore generale che l’ha rimbrottata perché “è una cosa orribile schernire il burqa”. Con intensità diversa e per ragioni diverse mi ritengo lontanissimo da entrambi. E continuo a ritenere il velo un simbolo di sottomissione: figuriamoci il burqa.

L’islam è un problema, anche se non certo l’unico. L’islam è una religione: non è quindi né di pace né di guerra, perché tutte le religioni sono state di pace e di guerra. Può essere un elemento tranquillizzante ma può anche rappresentare un combustile potentissimo in grado di incendiare vasti territori. È intellettualmente disonesto sia sostenere che accada sempre, sia che non accada mai. Né criminalizzare l’islam, né negarne gli aspetti problematici renderanno più laici e ragionevoli l’islam e i musulmani. Un obiettivo che interessa tutti, in teoria. In pratica, nessuno. Agli uni e agli altri rivolgo un invito, anzi due. Abbandonate ogni retorica. E ogni volta che volete parlare di islam rivolgete un pensiero, magari anche solo di sfuggita, ai ragazzi malesi, bangladesi, pakistani che rischiano la morte — e talvolta sono uccisi — soltanto per essersi dichiarati atei.



Alberto Pento
Il problema sono gli islamici o maomettani, seguaci di Maometto che si è inventato l'Islam quale ideologia e pratica politico giuridico religiosa incentrata sull'idolo Allah e su Maometto suo profeta.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 11:02 am

???

Wael Farouq: «Non esistono un buon Islam e un cattivo Islam. Esistono solo le persone»
(12/01/2015)
di Lorenzo Alvaro

http://www.vita.it/it/article/2015/01/1 ... sol/128926

Il professor Weal Farouq

Gli attentatori erano francesi a tutti gli effetti. Questo significa che la Francia non è riuscita ad integrarli. Come si spiega?
Questo è un fenomeno tipico delle grandi metropoli europee, non solo Parigi. Un grande problema quello dell'integrazione. Perché l'integrazione è sembra basata sul rinunciare alla propria identità. In Francia ad esempio un cristiano non può esibire la croce, un musulmano non può mettere il velo e l'ebreo la kippah perché lo spazio pubblico deve essere senza identità. Questo modo ha cambiato lo spazio pubblico che è passato dall’essere un melting pot ad un confine tra le persone. È un grande problema. Essere persone è essere diversi. Escludere questa diversità è il contrario dell'incontro e dell'essere insieme. E quindi anche dell’integrazione.

In molti in questi giorni sostengono che questo sia il vero volto dell’Islam. Altri invece che il terrorismo non c'entri con l’essere musulmani. Dove sta la verità?

Non c'è un buon Islam e un cattivo Islam. Ci sono musulmani che hanno rinunciato all'uso della ragione e musulmani che usano la ragione. È semplice. Ho letto chi dice che la fonte di questa violenza sta in alcuni versetti del Corano. Questo non è vero. In Indonesia o in Malesia, dove ci sono 300 milioni di musulmani non succedono queste cose. Il problema è l'Islam come ideologia: l'islamismo. Un'ideologia politica. Un grande problema. Alla fonte del quale non c'è il Corano ma il tipo di modernità imposto con la forza dal colonialismo sui paesi arabi. E la stessa modernità è stata poi usata dalle dittatura nei paesi arabi. Questo tipo di modernità usa la violenza che possiamo trovare in alcuni testi sacri dell'Islam. Adesso l'Egitto è in guerra contro questa ideologia estrema. Non è Islam, è islamismo.

L’Occidente quindi come dovrebbe guardare alla questione?

Nel novembre 2014 ero invitato a parlare alla conferenza internazionale Metropolis a Milano con tanti studiosi europei. E tutti hanno parlato dei musulmani in Europa, nessuno di musulmani europei. I ragazzi con cui lavoro sono ragazzi italiani. Il lavoro che faccio con loro è iniziato su loro richiesta perché non sanno nulla della loro cultura di provenienza. Mangiano italiano, ascoltano la musica italiana e leggono libri italiani. Spesso non parlano neanche l’arabo

Sembra quasi che lei ritenga che la responsabilità sia Occidentale per quello che è successo…

Non c'è giustificazione per quello che è successo a Parigi. Ogni individuo musulmano che rinuncia a giudicare la sua fede e la sua vita fa parte di questi assassini. Ogni individuo musulmano ha la responsabilità di difendere la sua fede, usare la sua fede e giudicare. Ma c’è anche altro…

Cos’altro?

L'insulto assoluto a queste vittime è il dibattito ideologico tra una sinistra che sostiene l'islamismo per affrontare l'islamofobia e una destra che invoca una guerra santa contro l'Islam. Le vere vittime sono le persone come Ahmed, il poliziotto ucciso a Parigi. Musulmani che vivono tranquillamente in una società occidentale e per cui danno la vita.

Quindi l’integrazione, guardando Ahmed, è possibile?

L'integrazione è una realtà vissuta. Io ho vissuto in questi due anni l'Università Cattolica di Milano insieme a giovani cattolici, ortodossi, musulmani con il velo. Di fronte a certe tragedie mi hanno chiesto cosa potevano fare per testimoniare la propria contrarietà. Lavorando insieme fra loro è cominciata un'amicizia. Integrazione non è dialogo. Hanno iniziato condannando un male e sono finiti a testimoniare un amore tra loro. Questa è integrazione. Ricordiamoci: l'integrazione non fa notizia. Quando qualcuno chiede che venga tolto il crocifisso in una classe italiana perché offende gli islamici va in prima pagina. Centinaia di migliaia di bambini musulmani che studiano nelle scuole cattoliche a Il Cairo, il cuore del mondo islamico, non guadagnano neancheuno spazietto in ultima pagina.
La hanno offesa le vignette di Charlie Hebdo?
Sono più offeso nel vedere questi militanti che nel vedere quelle vignette.



Cristiani a rischio anche in Indonesia
Stefano Pasta

http://www.famigliacristiana.it/articol ... nesia.aspx

Se in Pakistan Asia Bibi è detenuta e rischia la pena di morte per blasfemia e i fedeli che vanno a Messa rischiano ogni domenica la vita, anche in Indonesia si può finire dietro le sbarre per lo stesso motivo. Spesso sottovalutato, il reato è in vigore anche nello Stato musulmano più popoloso del mondo. La scorsa settimana, infatti, Meidyatama Suryodiningrat, caporedattore del maggior quotidiano indonesiano in lingua inglese, il Jakarta Post, è stato indagato per aver autorizzato la pubblicazione, il 3 luglio, di una vignetta satirica verso l’Isis, ritenuta «offensiva dell’Islam»; sarà ascoltato la prossima settimana e rischia fino a cinque anni di carcere.

Nella vignetta, un militante del movimento terrorista, presente in Siria e in Iraq ma che fa propaganda anche nel Sud-Est asiatico, sventola una bandiera nera contenente l’immagine di un teschio e una scritta in arabo su Allah, sacra per i musulmani. Dopo le prime proteste, il giornale ha diffuso una nota di «scuse sincere», pubblicata con ampio risalto, in cui «si rammarica per l’errore di valutazione commesso, ma non aveva alcuna intenzione di offendere il sentimento religioso», ma piuttosto di «criticare l’uso di simboli religiosi per atti di violenza». Nonostante ciò, il Corpo dei predicatori islamici ha sporto denuncia.

Solo il mese scorso, Amnesty International aveva chiesto al nuovo governo di mettere fine all’utilizzo di uno strumento legale che consente ai gruppi islamisti di creare un clima di intolleranza e pressione crescente sulle minoranze e sugli stessi musulmani moderati. «I casi di blasfemia – spiegano dall’Ong – avvengono soprattutto a livello locale, dove politici, gruppi religiosi radicali e forze di sicurezza collaborano nel prendere di mira le minoranze. Un pettegolezzo o una voce è talvolta sufficiente a far accusare di blasfemia; molte persone vengono molestate e attaccate da gruppi radicali prima del loro arresto e portati in tribunale in un’atmosfera intimidatoria. Anche se le condanne sono spesso giustificate dal voler “mantenere l’ordine pubblico”, l’aumento delle persecuzioni per blasfemia va visto in un più ampio contesto di deterioramento della libertà religiosa».

Negli ultimi dieci anni, Amnesty ha censito 106 casi di individui a cui è stato applicato il reato, magari «per niente di più che aver fatto un fischio durante una preghiera, aver scritto le proprie opinioni su Facebook o aver detto di aver ricevuto una “rivelazione da Dio”». Tra di loro, Rusgiani, una donna cristiana dell’isola di Bali (a maggioranza indù) condannata a 14 mesi per aver chiamato «sporche e disgustose» le offerte induiste, o Tajul Muluk, un leader sciita di Giava che sta scontando quattro anni di carcere perché accusato di «insegnamenti devianti» dai capi sunniti dell’isola di Madura, dove dirigeva una scuola.

In Indonesia, il reato di blasfemia risale al 1965, periodo di tensioni tra comunisti e islamici, quando l’allora presidente Sukarno, per guadagnarsi il consenso dei musulmani, emise un decreto che non solo proibiva le offese alle religioni, ma metteva fuori legge tutte le fedi non incluse nelle cinque ufficialmente riconosciute (islam, protestantesimo, cattolicesimo, induismo e buddismo, ai quali è stato più tardi aggiunto il confucianesimo). La legge era rivolta innanzitutto contro la setta islamica eterodossa Achmadiyya, presente nell’arcipelago dal 1920, e contro i cosiddetti movimenti della vita interiore, comunità mistiche molto popolari tra i giavanesi, che i leader musulmani consideravano una minaccia, ma venne poi utilizzata contro tutte le minoranze. La norma implica anche che chi professa una fede indigena, come la religione Marapu dell’Isola di Sumba, non possa sposarsi legalmente, con la conseguenza che i figli non siano considerati eredi legali.

In particolare, nei dieci anni dell’ex presidente Susilo Bambang Yudhoyono (2004-2014), le condanne in base alla legge del 1965 sono aumentate. Nel 2010, la Commissione nazionale dei diritti umani e alcune associazioni indonesiane avevano presentato un ricorso per l’abolizione del reato, con l’appoggio della Conferenza episcopale indonesiana, del Consiglio delle Chiese protestanti e di autorevoli intellettuali islamici. Al contrario, alcune associazioni islamiche, specialmente quelle più radicali, insieme ad esponenti indù, buddisti e confuciani, si opposero alla revisione e ottennero la conferma della legge da parte della Corte Costituzionale.


I numeri delle persecuzioni dei cristiani in Indonesia
Trenta chiese incendiate o distrutte nel 2015. Intolleranza anche verso i cinesi

http://www.truenumbers.it/cristiani-per ... -nel-mondo

I grafici mostrano gli atti di intolleranza religiosa contro i luoghi di culto (a sinistra) e contro le persone (a destra) avvenuti in Indonesia nel 2015. I luoghi più colpiti sono le chiese cristiane (azzurro) e le moschee (verde scuro) dei musulmani che non aderiscono alla corrente sunnita, maggioritaria nel Paese. Tuttavia anche le moschee sunnite (verde chiaro) hanno subito incendi e atti di vandalismo, come quelle di altre sette di origine islamica (verde oliva) Non sono stati risparmiati neppure i templi buddisti e induisti.
I cristiani perseguitati nel mondo


Per quanto riguarda le aggressioni alle persone (grafico a destra), il gruppo più colpito sono i cinesi (1,2% della popolazione): non sono particolarmente religiosi e infatti vengono aggrediti nelle proprie case o negozi, ma chi li perseguita lo fa perché non sono musulmani.
I cristiani in Indonesia sono quasi il 10% della popolazione, 7% protestanti e 2,9% cattolici; contro le Chiese ci sono stati 163 atti di vandalismo e incendi. Nella provincia di Aceh una chiesa è stata data alle fiamme da estremisti islamici. In tutta l’Indonesia sono state distrutte 30 chiese cristiane. A volte sono state le autorità, con il pretesto della mancanza di permessi. I cristiani che hanno subito violenze sono stati 29, tutti protestanti.
Gli sciiti in Indonesia sono una minoranza, stimata in 2-3 milioni su 237 milioni di indonesiani. Come si vede dal grafico, 31 di loro sono stati aggrediti e 110 moschee vandalizzate o date alle fiamme. L’intolleranza non risparmia neppure gli ahmadi (circa 400.000), un’altra minoranza musulmana, e i gavatar, una setta che combina credenze ebraiche, cristiane e islamiche. Anche i musulmani sunniti, pur essendo circa l’85% della popolazione subiscono a volte aggressioni, personali o ai luoghi di culto.
Gli indù e i buddisti, diffusi soprattutto a Sumatra e Java hanno subito anche loro qualche atto di intolleranza da parte dei musulmani.

Numeri piccoli, ma in crescita

In tutto gli atti di intolleranza religiosa in Indonesia sono stati 197, pochissimi in un Paese così grande. Tuttavia, la situazione sta rapidamente peggiorando. L’Islam indonesiano è tradizionalmente tollerante, al punto da incorporare elementi di sincretismo con induismo e cristianesimo ma, in tempi recenti, si stanno diffondendo movimenti che vogliono “purificare” la religione, vale a dire, avvicinarla alle correnti più estremiste dell’Islam sunnita. È in vigore una legge “anti blasfemia” che di fatto proibisce di criticare l’Islam: tra il 2005 e il 2014 sono state arrestate o multate pesantemente 100 persone per questo reato.
Nella provincia di Aceh, dove i musulmani sono il 98,2% della popolazione, è stata introdotta la Sharia, come legge locale. E i cristiani hanno sempre più paura.
I dati si riferiscono al 2015 - Fonte: Setara Institute



Indonesia, persecuzione di un governatore cristiano
Stefano Magni

http://lanuovabq.it/it/indonesia-persec ... -cristiano

Fino a pochi mesi fa, Basuki "Ahok" Tjahaja Purnama, era il popolare governatore cristiano di Giacarta. In buoni rapporti con il presidente Joko Widodo, attivo nel campo della protezione dei diritti umani e della libertà di religione, godeva di un tasso di approvazione attorno al 70% presso i suoi cittadini. Il 19 aprile ha perso le elezioni e il 9 maggio è stato condannato a due anni di carcere per blasfemia. L’accusa è partita da una sua dichiarazione pubblica, durante un comizio ai pescatori di Thousand Islands del settembre 2016, in cui invitava a non strumentalizzare il Corano a fini politici.

Da quel suo breve discorso, il cui intento era tutt’altro che dissacrante nei confronti della religione musulmana, per Ahok la discesa dalle stelle della politica alla galera è stata rapida e inesorabile. L’11 ottobre, il Consiglio degli ulema indonesiani (Mui) aveva chiesto alla polizia di Jakarta di compilare una denuncia contro Ahok per diffamazione del Corano. L’ala giovanile del Muhammadiyah (movimento islamico moderato) ha poi chiesto la condanna del politico per blasfemia. Il 4 novembre 100mila islamici scesero in piazza per chiedere il processo e la condanna del governatore. Subito dopo è arrivata l’incriminazione formale per il governatore. Il 10 novembre, meno di una settimana dopo, il generale Ari Dono Sukmanto, capo detective, ha detto che gli ispettori hanno ascoltato 40 testimoni e raccolto “prove” sufficienti per aprire un fascicolo. Dopo una contro-manifestazione a sostegno della Pankasila, il principio di tolleranza e coesistenza fra religioni in Indonesia, gli islamici radicali sono tornati in piazza. Senza incidenti, pacificamente, ma chiedendo la condanna del governatore, il 3 dicembre 2016, più di 200mila musulmani (circa il doppio rispetto al mese precedente) hanno di nuovo sfilato nel centro della capitale chiedendo di processare il governatore.

Tutta questa tensione ha certamente influenzato l’esito del voto del 19 aprile, vinte da Anies Baswedan, già ministro dell’Educazione e candidato di riferimento anche delle associazioni islamiche più estremiste. Ahok ha conquistato il 42% dei voti, contro il 58% del suo rivale. Per mesi, oltre alle manifestazioni di piazza, gli imam radicali islamici avevano predicato nelle moschee perché il popolo votasse per Baswedan. Ai sostenitori di Ahok venivano addirittura negati i funerali. In meno di sei mesi sono riusciti a ribaltare completamente la scelta popolare, trasformando il candidato preferito in un perdente. Secondo osservatori dell’Indonesia citati dall’agenzia missionaria Asia News, le elezioni di Giacarta “non sono state solo delle elezioni ‘locali’ o una battaglia regionale tra Ahok e Baswedan, ma riflettono un più ampio panorama politico nazionale. Le ‘Pilkada 2017’ sono state una lotta tra le componenti moderate della società indonesiana e i gruppi islamisti radicali, tra i democratici e gli autoritari”. E i secondi hanno ottenuto una chiara vittoria.

Il peggio, per il governatore Ahok, doveva ancora venire. Il 9 maggio, venti giorni dopo la sconfitta alle urne, è arrivata, puntuale, la sentenza. L’aspetto più inquietante di questo processo è che la sentenza del giudice supera le richieste della pubblica accusa. I procuratori avevano fatto cadere l’accusa di blasfemia nella loro richiesta di sentenza, dicendo che non vi fosse alcuna prova. Quindi, avevano chiesto che Ahok fosse condannato a due anni con la condizionale e un anno di carcere in caso di reiterazione del reato. Invece il collegio di giudici condotto da Dwiarso Budi Santiarso ha condannato Ahok a due anni di carcere per blasfemia. Il governatore (lo è ancora: il suo mandato scadrà a ottobre) ha annunciato ricorso, ma intanto è già stato internato. Il giudice, nel motivare la sua sentenza, ha detto che, nel suo comizio di Thousand Islands, invece di discutere questioni inerenti la pesca tra i pescatori locali, Ahok ha di proposito “deviato” il problema, rilasciando commenti offensivi che non erano “correlati” alla sua intenzione di incontrare gli abitanti del luogo. Se questo è sufficiente a provare la blasfemia…

“Come può l’Indonesia definirsi ‘una nazione secolare basata sullo Stato di diritto’ se Ahok, un cristiano di discendenza cinese, lavoratore incorruttibile che non accetta compromessi, viene dichiarato ‘colpevole’ di blasfemia e politicamente ‘condannato’ in un processo così ingiusto? – si chiede l’attivista musulmano Lilik Sugianto, il cui parere è riportato da Asia News - Per la maggior parte dei cittadini e degli attivisti, quello di Ahok è un processo ‘creato ad arte’ per giungere ad una condanna e al carcere”. “La sentenza è strana e comunemente chiamata ‘ultra petita’, il che significa che il verdetto è più pesante di quanto richiesto dai procuratori – commenta Koerniatmanto, docente di giurisprudenza all’università di Bandung - Per il collegio dei giudici, tale verdetto è socialmente ‘amichevole’ per motivi di sicurezza. Le folle arrabbiate non ‘attaccheranno’ i giudici e Ahok sarà condotto in prigione in totale sicurezza”. Come in Pakistan, insomma. Dove i giudici supremi non hanno ancora avuto il coraggio di processare Asia Bibi in ultimo appello (era previsto per giugno, già rinviato, ma è slittato ancora) letteralmente per paura di assolverla. Ma l’Indonesia non era conosciuta, finora, come una realtà radicale islamica alla stregua del Pakistan.

L’Indonesia (il paese musulmano più popoloso del mondo), con l’eccezione grave della provincia di Aceh, dove vige la sharia, ha sempre affermato il principio della coesistenza fra religioni. La graduale radicalizzazione del paese, anche con atti di terrorismo contro i cristiani sempre più numerosi, è l’ennesima dimostrazione del cosiddetto “risveglio islamico” in tutto il mondo. Anche nella democratica e laica Turchia, dove di democratico e soprattutto di secolare resta sempre meno. Anche in Malesia, dove ai cristiani è vietato scrivere la parola Allah, per volere della magistratura.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 11:04 am

"I musulmani non sono umani". La Svezia fa dimettere il politico
Lucio Di Marzo - Lun, 27/11/2017

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/i-m ... 67992.html

Martin Strid, del partito di destra Democratici svedesi, costretto a lasciare
È stato costretto a lasciare il posto, dopo che in un dibattito tramesso in televisione ha sostenuto con una certa convinzione che i musulmani "non sono del tutti umani".
Così Martin Strid, politico dei Democratici svedesi, è stato fatto dimettere, quando parlando alla conferenza nazionale del partito di destra ha giudicato i seguaci dell'Islam su una scala da 1 a 100.
"Da un lato sei umano al 100%, una persona, con tutto ciò che questo concetto comporta. Dall'altro, sei al 100% maomettano", ha detto, utilizzando un termine ormai in disuso e che i fedeli stesso trovano offensivo per definire i musulmani.
La denuncia è arrivata dagli stessi colleghi di Strid, mentre il segretario del partito, Richard Jomshof, definiva apertamente "razzismo" quelle parole. "Se pensi che qualcuno valga meno per il colore della sua pelle o la comunità di cui fa parte, questo per me è razzismo - ha commentato - Non siamo disposti ad accettarlo".
A poco sono valse le spiegazioni ulteriori fornite da Strid, che ha provato a spiegare di ritenere l'Isis "vicino all'essere 100% maomettano", ma ha rincarato la dose dicendo: "Tutti i musulmani sono da qualche parte su quella scala".


Alberto Pento
Infatti i nazisti maomettani sono disumani come Maometto ed il loro idolo dell'orrore e del terrore, idolo di morte. Umanità disumana.


I popoli nativi o indigeni d'Europa si rivoltano contro l'invasione e la violenza islamica e le caste europee che la promuovono e sostengono
viewtopic.php?f=188&t=2054

I popoli del mondo si rivoltano contro il nazismo maomettano (e le sue mostruosità incivili e disumane: Maometto, Islam, Corano, Sharia) - orrore e terrore politico religioso.
viewtopic.php?f=188&t=2702
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 11:06 am

Bergoglio in Asia (le idolatrie religiose si reggono a vicenda, si sotengono anche se sono incompatibili)
In Bangladesh su 300mila imam (uno per ogni moschea), oltre 200mila sono per la violenza maomettana e solo 100mila sono contro.
Dove sta il problema?



???

A papa Francesco una fatwa contro l’estremismo firmata da 100mila imam (su 300mila)

AsiaNews.it
29/11/2017
BANGLADESH – VATICANO
Anna Chiara Filice


http://www.asianews.it/notizie-it/Leade ... 42448.html

Allamma Majharul Islam è il grande custode della moschea Amber Shah Shahi Jami. Un gruppo interreligioso per promuovere l’armonia tra le fedi. Il dolore per l’attentato alla mosche nel Sinai. Per frenare il terrorismo, “puntare sull’educazione nella madrasse e controllare i sermoni nelle moschee”. Dall'inviato

Dhaka (AsiaNews) – A papa Francesco “consegneremo una lettera che contiene una fatwa contro l’estremismo firmata da 100mila imam”. Lo dice ad AsiaNews Allamma Majharul Islam, Grand Khatib (grande custode) della Amber Shah Shahi Jami Mosque, nella zona di Kawran Bazar a Dhaka. Lo incontriamo nella moschea di cui egli è custode, di sera, mentre gli studenti della sua madrassa (scuola coranica) recitano le preghiere islamiche (v. foto). Tra una tazza di thè e un dolce preparato dalla moglie di un imam che lo accompagna, egli parla di armonia interreligiosa, di come costruire la pace in Bangladesh, del fondamentalismo islamico. Soprattutto sottolinea: “L’islam non consente alcuna forma di terrorismo. Da predicatore, insegno ai miei studenti che islam vuol dire pace, e non offendere i sentimenti religiosi di nessuno”. Di seguito l’intervista.

Grand Khatib, come accoglierà il papa e cosa vuole dirgli?

Accogliamo papa Francesco con immensa gioia. Egli è un leader mondiale. Viene in un piccolo Paese islamico. La sua visita ci rende onore, perché egli non è solo il capo dei cristiani, ma è un leader di tutti i fedeli. Ogni religione porta con sé un messaggio di pace, e il Santo Padre lo promuove in maniera adeguata. Sarò uno dei 500 religiosi islamici che incontreranno papa Francesco [durante il raduno interreligioso ed ecumenico per la pace del primo dicembre, nel giardino dell’arcivescovado – ndr]. In quell’occasione gli consegneremo una lettera che contiene una fatwa contro la militanza islamica firmata da 100mila sacerdoti musulmani.

Cosa si aspetta che papa Francesco dirà a voi musulmani?

Il Santo Padre darà un messaggio di amore, in particolare per i Rohingya, e li aiuterà a risolvere il loro problema di rifugiati. Di sicuro la sua visita porterà ad una rapida risoluzione della crisi [dei profughi musulmani scappati dal Myanmar e accampati in centri di fortuna nella zona di Cox’s Bazar – ndr]. Allo stesso tempo, da leader islamico, io ritengo che essi debbano ritornare in Myanmar, perché essi non sono mai stati cittadini del Bangladesh. E soprattutto perché ognuno ha diritto di vivere nel proprio luogo di origine.

Secondo lei, come si può stimolare l’armonia e la convivenza tra le religioni in Bangladesh? E tra i fedeli musulmani sciiti, sunniti e sufi?

Abbiamo creato il World Religious Forum (Wrf), che raduna insieme i leader religiosi musulmani, cristiani, indù e buddisti. Io ne sono il coordinatore. Con questo forum non vogliamo solo costruire rapporti di fratellanza tra sunniti e sciiti, ma anche tra le altre religioni. Organizziamo programmi per il dialogo interreligioso con coloro che praticano la vera religione che è quella della pace. Anche il card. Patrick D’Rozario [arcivescovo di Dhaka] fa parte del gruppo ed è coinvolto in maniera diretta nelle iniziative. Per il nostro grande contributo alla costruzione dell’armonia interreligiosa abbiamo anche ricevuto numerose lettere di ringraziamento da parte del Vaticano.

Ci fa qualche esempio concreto di convivenza e di rispetto tra le religioni?

Negli scorsi anni sono stati pubblicati su Facebook alcuni commenti che incitavano alla violenza religiosa a Cox’s Bazar, o contro i cristiani di Rongpur, o che giustificavano l’omicidio di Sunil Gomes, un cattolico sgozzato a Natore. Noi abbiamo organizzato una marcia di protesta, cui hanno partecipato 5mila imam e fedeli. È stata la prima volta che il Wrf protestava contro gli attacchi settari nei confronti dei fedeli di altre religioni. Il programma interreligioso ha avuto anche risonanza su tutti i media e noi abbiamo ricevuto apprezzamento da più parti.

Avrà sentito del recente attentato nel Sinai, che ha fatto più di 300 morti e aveva come obiettivo una moschea frequentata da sufi. Quali sono i suoi sentimenti a riguardo?

Quando ho sentito la notizia, ho avvertito un profondo dolore nel cuore. Essi sono dei terroristi. Noi siamo contro la violenza. Siamo addolorati per tutte le atrocità che accadono nel mondo, non solo verso i musulmani ma anche verso i cristiani, i buddisti e gli indù.

In che modo si può assicurare la pace e la giustizia sociale nel suo Paese?

Noi lavoriamo per garantire la giustizia sociale e in questo siamo appoggiati dalle politiche del governo. Io sostengo che tutti debbano godere dei propri diritti, anche i Rohingya. Sosteniamo anche lo sviluppo delle donne e diamo aiuti alle vedove. Per assicurare la pace, operiamo insieme agli altri leader religiosi, in modo che essi godano della libertà di predicare secondo i valori della propria religione. Nessuna fede promuove la violenza religiosa. E per quanto riguarda il terrorismo islamico, nessuna religione permette il conflitto e le uccisioni.

E come frenare il terrorismo?

Dobbiamo ripartire dall’educazione. Noi insegniamo i nostri valori nelle madrasse. Agli alunni riportiamo i veri insegnamenti dell’islam. Motiviamo i giovani e diciamo loro che non c’è posto per le armi o per compiere attacchi contro altri fedeli. Sono orgoglioso di dire che il 90% dei membri del Wrf sono studenti coranici. Il fondamentalismo in questo Paese deriva dalla sbagliata educazione. Poi dobbiamo stare attenti ai sermoni. In Bangladesh ci sono circa 300mila moschee, di cui 10mila solo a Dhaka. Nella mia moschea vengono a pregare circa 8mila musulmani, tra cui diversi ministri del governo. Io sono consulente del ministro dell’Interno e ho il compito di controllare le predicazioni, per evitare che gli imam indulgano in discorsi d’odio. Se ci rendiamo conto che qualcuno predica gli insegnamenti sbagliati e incoraggia l’estremismo, dobbiamo agire contro di essi.

(Ha collaborato Sumon Corraya)



Alberto Pento
100mila Imam contro la violenza maomettana? Ma altri 200mila sono per la violenza maomettana!



In Bangladesh aumentano le violenze contro i cristiani
Fabio Polese - Ven, 11/12/2015

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ban ... 03369.html


Due fratelli cattolici sono stati feriti in modo grave nella tarda mattinata di ieri a Dacca. La dinamica dell’aggressione è molto simile a quella avvenuta lo scorso 18 novembre al missionario italiano Piero Parolari

Ancora violenze religiose in Bangladesh. Questa volta è toccato a due fratelli cattolici, feriti in modo grave nella tarda mattinata di ieri nella capitale del Paese.

I due, Rajesh D’ Cruze e Ranjan D’ Cruze, si trovano in condizioni disperate presso il Medical College Hospital di Dacca.

La dinamica dell’aggressione non è ancora del tutto chiara. Ma secondo le prime ricostruzioni, i due fratelli sono stati avvicinati intorno alle 12 da diversi assalitori armati di pistole e coltelli, mentre erano nella zona di Mohakhli, uno dei quartieri più affollati della capitale.

L’attacco armato è molto simile a quello dello scorso 18 novembre al medico e sacerdote italiano Piero Parolari, avvenuto nella città di Dinajpur, a circa trecento chilometri a nord di Dacca. Il missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime), era stato attaccato da tre uomini armati mentre si stava recando al lavoro. Questa aggressione era stata subito rivendicata dagli uomini dello Stato Islamico. “Il crociato italiano Pietro Parolari che opera da anni in una campagna missionaria nel distretto di Dinajpur”, si leggeva nel comunicato diffuso dai tagliagole del Califfo, “è stato attaccato con diversi colpi sparati da una pistola con silenziatore che gli hanno provocato gravi lesioni”.

“Condanniamo senza riserve questo attacco efferato e chiediamo azioni immediate contro i colpevoli”, ha detto ad Asia News Nirmal Rozario, segretario generale della Bangladesh Christian Association (Bca). “Quest’anno ci sono stati numerosi episodi di violenza contro i cristiani. Vogliamo la giusta punizione per chi ha commesso questo crimine”. E ha lanciato un appello al governo: “Chiediamo di garantire giustizia e sicurezza per tutti”.

Sempre secondo quanto riferisce Asia News, nelle ultime settimane diversi cristiani sono stati minacciati di morte con una serie di lettere e messaggi recapitati sul cellulare delle vittime designate, “colpevoli di essere stranieri o predicatori del Vangelo nel Paese”. Nelle minacce si consiglia loro di “mangiare finché possono, perché presto saranno uccisi”.



https://it.wikipedia.org/wiki/Diritti_u ... Bangladesh

Attacchi a case e luoghi di culto si verificano prevalentemente contro i fedeli del culto Ahmadi e con sempre maggior frequenza, ma il governo ha fatto la scelta di non prevenir in alcuna maniera tali atti né disciplinare gli agenti di polizia responsabili che non sono riusciti (o che non hanno voluto) difendere le vittime degli attacchi. Anche altre minoranze religiose si trovano prese di mira e sotto attacco tramite rapimenti, profanazione dei luoghi di culto e conversioni forzate; con sempre maggior insistenza vengono segnalati casi in tal senso[8].
Vi sono state anche molte segnalazioni di persone di fede induista sfrattate arbitrariamente dalle loro proprietà e di ragazze indù vittime di violenza sessuale[9], ma con le forze di polizia che si rifiutano di indagare per perseguire penalmente i responsabili di tali azioni.

Anche a causa di questo clima palpabile di persecuzione religiosa, centinaia di migliaia di buddhisti, cristiani e indù si son trovati costretti a lasciare il paese.



Bangladesh, il Papa e cristiani perseguitati
novembre 10, 2017

http://www.tempi.it/bangladesh-la-visit ... h-P5zdryjI

«La speranza di noi cattolici è che la visita del Santo Padre possa tradursi in una maggiore sicurezza per le minoranze religiose»

Bangladesh, September 2012 Chittagong. Bishop House Mass Project trip of Veronique Vogel, Jesus Garcia

Tratto da Acs – «La speranza di noi cattolici del Bangladesh è che la visita del Santo Padre possa tradursi in una maggiore sicurezza per le minoranze religiose». Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Gabriel Amal Costa, missionario del Pime, originario della diocesi di Dacca.

Il religioso ha raccontato come l’intera popolazione bengalese, musulmani inclusi, sia lieta di ricevere la visita di Papa Francesco, in programma il 1° e il 2 dicembre prossimi. La comunità cristiana, che rappresenta appena lo 0,3 percento dei 160 milioni di bengalesi, attende ovviamente con ansia il Pontefice e spera che Francesco possa invitare le autorità locali a tutelare maggiormente le minoranza religiose. «Dopo l’attentato di Dacca nel luglio 2016, abbiamo vissuto un periodo di paura e incertezza e auspichiamo che il Papa possa aiutarci in tal senso».

Padre Costa ha riferito del grande cambiamento del Bangladesh negli ultimi anni, in particolare a causa della diffusione di un fanatismo islamico che non appartiene affatto alla cultura bengalese. «Le principali vittime di questo fanatismo sono le minoranze religiose, ma vengono colpiti anche i musulmani non radicali», afferma il sacerdote notando tuttavia come il partito al potere stia cercando di arginare l’estremismo e si stia impegnando per rendere il Paese maggiormente democratico.

Al tempo steso si sono registrati anche cambiamenti positivi, come ad esempio la crescita della popolazione cattolica. Rispetto alle 4 diocesi che contava la Chiesa visitata da Giovanni Paolo II nel 1986, quella che incontrerà Francesco vanta oggi 8 diocesi e un maggiore numero di battezzati e di sacerdoti, religiosi e vescovi locali. «Non mancano neanche le conversioni di musulmani al Cristianesimo, anche se si tratta di un processo piuttosto lungo. La Chiesa, infatti, deve essere molto prudente in questi casi perché seppure le conversioni dall’Islam non sono proibite per legge, a livello sociale sono spesso ostracizzate».

Nonostante le difficoltà, la Chiesa del Bangladesh conserva una fede ben salda che padre Costa ritiene possa essere d’esempio ai cristiani occidentali, «i quali a volte hanno paura o vergogna di mostrare la loro identità religiosa. I cristiani bengalesi invece vivono apertamente la loro fede e la mostrano con orgoglio».



Minacciato di morte, un intero villaggio indù costretto a fuggire
30/03/2015

http://www.asianews.it/notizie-it/Bangl ... 33854.html

BANGLADESH
Sumon Corraya

Le 14 famiglie che abitavano Chandantola vivono ora come rifugiati in una città vicina. Politici locali li hanno costretti a vendere le proprietà a prezzi stracciati. La polizia ha arrestato alcuni responsabili, ma la minoranza denuncia: “Da tempo subiamo persecuzioni e le nostre ragazze vengono regolarmente molestate”.

Dhaka (AsiaNews) – Una fila di case ancora tutte ammobiliate, ma senza alcun essere umano al loro interno. È così che appare oggi il villaggio Chandantola (distretto di Barguna, Bangladesh), a maggioranza indù. Le 14 famiglie che lo abitavano hanno abbandonato le loro proprietà per mancanza di sicurezza e per la continua persecuzione che subivano. Con le ultime minacce di morte, sono stati costretti a vendere le loro proprietà a prezzi irrisori e ora vivono in una città del distretto come rifugiati.

È nel 2013 infatti che una prima famiglia decide di abbandonare il villaggio, a causa delle ripetute minacce. All’inizio del 2014 altre due famiglie hanno preso la stessa decisione. Le ultime nove se ne sono andate il 13 marzo scorso.

Secondo testimonianze locali, dietro questa campagna intimidatoria vi sono Abdur Rashid Akan, leader locale del Bangladesh Nationalist Party (Bnp, nazionalista), e Jakir Hossain Sarkar, dell’Awami Juba League. I due avrebbero istigato la comunità islamica contro quella indù, con l’obiettivo di cacciare la minoranza dal villaggio e prendersi i terreni.

“Guidate da Jakir e altri leader – racconta Taslima Begum, musulmana di 40 anni – alcune persone sono venute nel villaggio è hanno costretto gli indù a vendere le loro case a prezzi stracciati.

Per la loro “fuga” il 22 marzo scorso alcuni musulmani sono stati denunciati e arrestati, incluso Rashid. Un funzionario di polizia di Taltoli, Mohammad Babul Akhter, riferisce: “Stiamo investigando sul caso con la massima urgenza”. Tuttavia, nonostante le assicurazioni delle autorità distrettuali, la comunità non ha intenzione di tornare al villaggio. “Se necessario – spiega il vice-commissario di Barguna, Mir Zahurul Islam – costruiremo loro nuove case con fondi del governo”.

Gli indù accusano l’amministrazione di non aver tenuto conto dei loro reclami e delle pressioni che hanno portato al loro esodo.

Le vittime spiegano che le ragazze della comunità hanno dovuto subire regolari molestie sessuali. Le persone hanno anche dovuto ritirare una denuncia contro Rashid, colpevole di aver torturato alcune donne, per via delle minacce di Jakir. “Ci hanno minacciato con coltelli e chiesto di abbandonare la zona subito. Ci siamo anche rivolti ai leader dell’Awami League [primo partito del Paese, ndr], ma è stato inutile”.

Persecuzione di natura religiosa, minacce ed espropri terrieri stanno riducendo a poco a poco la comunità indù in Bangladesh. Ogni mese ci sono episodi di demolizione di templi e idoli della minoranza. Dall’essere il 30% della popolazione nel 1947, quando il territorio [allora Pakistan orientale, ndr] è diventato indipendente dai coloni inglesi, oggi gli indù sono ridotto al 10% su oltre 164 milioni di persone.


Vedi anche


28/01/2014 BANGLADESH
Bangladesh, indù sotto attacco. A rischio la loro sopravvivenza
Ogni giorni templi vengono violati, negozi e case saccheggiati. Inutili le proteste da parte della società civile contro "le atrocità post-elettorali". La minoranza indù è presa di mira in modo sistematico, soprattutto dalle frange fondamentaliste islamiche. Come in passato, molti lasciano il Paese: oggi la comunità è inferiore al 10% della popolazione.

06/02/2015 BANGLADESH

Dinajpur, attaccato un villaggio cattolico. Il vescovo: Basta violenze
Mons. Sebastian Tudu lancia l'appello dopo settimane di tensione. Oltre 300 musulmani hanno aggredito la comunità per questioni legate a un terreno, di proprietà dei tribali cattolici. Negli scontri muore un islamico: il gruppo risponde dando fuoco a tutte le case.

08/01/2014 BANGLADESH

Bangladesh, madre e figlio cattolici uccisi per questioni di terra
I cadaveri di Monika Mridha e del figlio Sushil sono stati ritrovati ieri con colpi di arma da taglio su collo e testa. Il segretario generale dell'Associazione dei cristiani del Bangladesh ad AsiaNews: "Chiunque sia stato, ha approfittato del clima di impunità e di violenza delle elezioni. Chiediamo una punizione esemplare".

26/10/2009 BANGLADESH

Pressioni su una famiglia cattolica per derubarle casa e terreno
Gruppi di musulmani hanno sparato alla casa e hanno edificato un muro per espropriare il terreno, mentre la polizia non agisce. “Allah Akbar” al posto della croce. Già altre famiglie cristiane hanno dovuto lasciare la zona.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 11:06 am

???
Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam
viewtopic.php?f=24&t=2561
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 11:08 am

Non si combatte un'idolatria di morte che promuove l'assassinio e lo sterminio con un'altra idolatria di morte che promuove il lasciar uccidere e il lasciarsi uccidere e al contempo sostiene l'idolatria che uccide.
In tal modo si uccide la vita e si rende un cattivo servizio all'umanità.



Visto che ho tempo per riflettere, dirò che distinguo fra persone e ideologia, che le possiede in modo più o meno soffocante. Musulmani e islam, quindi.

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8648466724

Pur essendo credente, riesco a distinguere fra il nocciolo di una fede e le sue manifestazioni storiche, spesso censurabili. E non mi tiro indietro da questa censura, anzi! Sono fiero di essere anticlericale, un mangia preti, se volete. Vi sono musulmani che criticano la loro religione? Molto pochi, anime intelligenti e dubbiose sulla validità di come islam si sia realizzato. Ma vengono soffocate da islam mainstream, come dice qualcuno: islam pret à porter per ignoranti e sciocchi. Questo islam è la maggioranza. una religione che ha soffocato Dio in un puntiglioso ed esasperante elenco di casi partici su come comportarsi, sempre in contraddizione l'un con l'altro. E questa ideologia religiosa è avallata dagli utili idioti nostrani, gente che, con pochi studi alle spalle, si sente autorizzata a guidare le scelte di uno Stato intero in materia culturale, educativa, assistenziale. Quali sono le competenze, seriamente certificate, di questa folla di tronfiamente ignoranti? Vedete, il problema in Italia è sempre il solito: l'assenza di serietà. La cosa più dolorosa sarà che tutta la società futura pagherà gli errori allegri delle attuali cattive guide. Il primo atto di un politico serio e avveduto potrebbe essere quello della negazione di qualsiasi titolo di rappresentatività alla cosiddetta Costituente Islamica, che vedo unicamente come uno sforzo per creare una comunità separata all'interno dello Stato italiano. Ricordiamoci che siamo in un paese ancora formalmente laico, dove la legge dovrebbe essere preminente su qualsiasi religione particolare. Quindi: no islam mainstream, più Cavour, Mazzini, Carducci...Queste sono le nostre guide, non certo qualche ignorante imam di Bari, telegenico (per ora).

Gino Quarelo
Se mi è permesso dissento dall'impostazione che hai dato al tuo argomentare perché dà l'impressione (così almeno è l'impressione che ho io) che sia esistito un Islam diverso, un Islam originario santo ed edificante per l'umanità; cito le tue parole: "Questo islam è la maggioranza. una religione che ha soffocato Dio in un puntiglioso ed esasperante elenco di casi partici su come comportarsi, sempre in contraddizione l'un con l'altro." Sono in molti che tendono a questa operazione piuttosto che affrontare di petto il fatto che Maometto era così e che così è l'Islam da sempre, non vi è mai stato un'Islam differente in origine, poiché è Maometto all'origine di tutto, le sue azioni e le sue parole; non esiste e non può esistere altro Islam. Ciò che può esistere è l'apostasia, la contestazione di Maometto, di Allah, del suo idolo e del Corano la parola di questo idolo, e perciò la negazione dell'Islam. L'interpretazione maomettana del bene è una male per l'intera umanità, non si può salvare nulla. O lo accetti o lo cobatti fino in fondo, fino alla sua scomparsa.

Piercarlo Accornero
Vedi, Gino Quarelo, il mio procedimento per valutare la bontà morale di fatti storici (terreno molto scivoloso, perché estremamente soggettivo!) è il seguente: l'analisi di singoli, fatti, comportamenti, fenomeni alla Kant, gli unici elementi che possono indicare la substantia, to hypokeimenon, quello che sta alla base della pratica, religiosa in questo caso. Di più: come ha chiarito egregiamente ieri Justin Sonaggere, di Maometto e della sua cultura si sa veramente pochissimo di ceto, al punto di dubitare della sua esistenza, in particolare di quella iconica delle biografie islamiche. Quindi, non credo proprio che vi sia stato un Maometto "eterno", da sempre così e un islam indifferenziato dall'originario. Che cosa è islam attualmente e quali furono le sue basi? Tralasciando un intervento divino, che escludo in quanto cristiano, ci troviamo di fronte a una persona carismatica nel nord dell'Arabia, illetterato, come dice lo steso Corano, che probabilmente creò una religione arraffando un po' da tutte le fedi con cui era venuto in contatto. E se non lo fece lui in prima persona, islam venne creato dai suoi aiutanti, o comunque persone interessate a creare qualcosa di genuinamente arabo. Questo l'afflato iniziale. Nel prosieguo, islam perse la sua carica spirituale, molto labile e incerta, proprio a causa delle sue origini, trasformandosi, nella versione più diffusa, quella sunnita, in una casistica di leggi, leggine, norme e normette, che imperversano come una nube tossica sui musulmani. Questo non può venire da un Dio vivente, ma da una sua brutta copia.


Gino Quarelo
Scusami tanto ma fai una terribile confusione, quello che conta non è quello che pensi tu ma quello che pensano i maomettani, per i quali non è Maometto che è eterno ma Allah e la sua parola rivelata al profeta Maometto attraverso l'arcangelo Gabriele e trascritta nel Corano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam e islamici dove sta il problema?

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 11:08 am

La Torre di Vedetta del jihad: Intervista con Robert Spencer
16/12/2017

http://www.linformale.eu/la-torre-di-ve ... rt-spencer

Per molti anni, Robert Spencer ha scritto estensivamente sull’Islam, il jihad, sfatando il luogo comune secondo il quale il sistema teopolitico fondato da Maometto nel VII secolo sia da considerarsi essenzialmente una religione della pace.

Il direttore di Jihadwatch è diventato la bestia nera di molti apologeti dell’Islam – sia negli Stati Uniti che fuori di essi – i quali, per delegittimare il suo lavoro lo hanno qualificato come “islamofobo”, la definizione imbrattante usata così spesso oggi come uno stigma contro tutti coloro i quali criticano l’Islam. Con la sua consueta ironia, Spencer ha intitolato il suo ultimo libro “Confessioni di un islamofobo”.

Un ospite regolare de L’Informale, ha accettato di rispondere ad alcune nuove domande.

Mr. Spencer, l’Islam, come l’ebraismo, non possiede un’autorità centrale. Nel mondo sunnita ci sono quattro principali scuole di giurisprudenza, la hanafita, la malichita, la shafi’ita e la hanbalita. A parte i differenti approcci esegetici di queste scuole, si può sostenere che nel mondo islamico vi sia un consenso generale riguardo al ruolo e al dovere fondamentale di ogni pio musulmano?

Sì, esiste un consenso tra tutte le madhahib, le scuole di giurisprudenza, riguardo alla necessità di imporre la legge islamica su tutto il mondo. Non è qualcosa su cui vi sia discordia. Nella legge islamica viene posto molto valore al consenso, Ijma. Se vi è consenso su qualcosa da parte delle principali scuole di giurisprudenza, allora è considerato definito una volta per tutte e non è più suscettibile di essere discusso. È riportato che Maometto abbia detto “La mia comunità non si accorderà su un errore”, e dunque, malauguratamente per i non musulmani, gli insegnamenti in base ai quali la comunità musulmana deve intraprendere il jihad contro i non musulmani in modo da imporre loro la legge islamica e soggiogarli come inferiori sono accettati in tutte le scuole di giurisprudenza e in quanto tali non sono considerati né riformabili né modificabili.

Secondo il defunto pensatore religioso sudanese, Mahmoud Mohammed Taha, il Corano contiene due messaggi differenti e antagonisti, uno più pacifico, che il profeta Maometto predicò alla Mecca, e l’altro più intollerante e violento, che predicò quando viveva a Medina. Taha riteneva che soltanto ripudiando il secondo messaggio l’Islam possa essere riportato al suo messaggio essenziale. Per le sue idee venne arrestato e giustiziato in Sudan nel 1985. Cosa ha da dire in proposito?

Ovviamente, Mahmud Mohamed Taha non ha dato origine alla divisione del Corano tra le sure meccane e le sure medinesi, questa divisione è tradizionale ed è parte dell’esegesi coranica classica tra i principali studiosi islamici, e certamente non ha dato origine all’idea che i passi meccani siano più pacifici di quelli medinesi. In realtà non sono molto cortesi nei confronti dei miscredenti i quali vengono costantemente minacciati con il fuoco dell’inferno, anche se non consigliano la guerra nei loro confronti. Per quanto riguarda Taha, quando afferma che i passi meccani sono più tolleranti e dovrebbero avere la precedenza su quelli medinesi che spingono alla guerra, ciò è in contrasto con la teologia islamica consolidata che insegna che siccome i passaggi medinesi vengono cronologicamente dopo, sostituiscono i passaggi meccani.
Nel capitolo 2 del Corano, versetto 106, Allah dice “Noi non abroghiamo un versetto o causiamo che essi venga dimenticato, eccetto se ne stabiliamo uno migliore o simile ad esso”. Dunque il precedente cronologico è assoluto. Se qualcosa che viene successivamente sembra che contraddica qualcosa che viene precedentemente, ciò che viene successivamente ha la precedenza. Ciò significa che la guerra contro i miscredenti è sempre il livello più alto e finale del jihad per i credenti nel Corano. Taha venne condannato come un eretico perché le sue opinioni non erano tradizionali e costituivano una innovazione, Bid’ah, qualcosa che è considerato un grande peccato per l’Islam.
Quindi, mentre vorrei che così fosse, che i passaggi meccani sostituissero quelli medinesi e che Taha fosse nel giusto, sfortunatamente il suo punto di vista va contro la tradizione della teologia islamica, ed è per questo motivo che venne giustiziato.

Sentiamo spesso la distinzione tra Islam politico e un Islam che non lo sarebbe. Suona strano, poiché l’Islam è stato politico dal suo sorgere. Cosa ha da dire in proposito?

Lei ha perfettamente ragione. L’Islam è stato politico fin dal suo sorgere. È importante notare che Maometto fu un profeta, o affermò di esserlo secondo le tradizioni islamiche per ventitré anni, e per i primi dodici, quando si trovava alla Mecca, fu solo un predicatore di idee religiose. Non fu fino all’Egira, quando lui e i suoi seguaci si trasferirono alla Mecca, che divenne un capo politico e militare oltre che religioso. È da quel periodo che comincia il calendario islamico, dall’anno uno, l’anno dell’Egira di Maometto a Medina. I musulmani fanno cominciare l’Islam dal momento in cui diviene politico, non dal momento in cui Maometto comincia a predicare, quando inizia ad affermare che non c’è altro Dio all’infuori di Allah e nessun altro profeta se non Maometto. Ciò dimostra che l’aspetto politico dell’Islam è considerato dai musulmani tradizionalisti come intrinseco ad esso e non separabile. Bisogna che vi sia un aspetto politico perché possa essere considerato Islam di fatto. Il politico non è separabile dall’Islam, perlomeno se si parla in senso tradizionale.

Una delle principali sette musulmane moderne, se non la principale, la quale ha ristabilito la necessità del jihad, è quella dei Fratelli Musulmani, fondati da Hasan al Banna in Egitto nel 1928. Al Banna era un puritano il quale reputava che l’Islam nella sua purezza richiedesse il jihad contro gli infedeli. È così, la “purezza” dell’Islam è coessenziale con il jihad?

Sì, assolutamente, perché l’Islam considera l’esempio di Maometto come quello sommo. Il Corano afferma al capitolo 33, versetto 21, che Maometto è l’esempio eccellente per i credenti, il che viene interpretato dagli studiosi islamici in un senso assoluto. Se lo ha fatto Maometto è un bene ed è giusto, e i musulmani dovrebbero farlo a loro volta. E dunque siccome Maometto ha proclamato il jihad, il Corano raccomanda il jihad. Tutto ciò è centrale, non si può avere l’Islam senza il jihad. Non è mai esistito un Islam senza jihad.

Questa è una domanda che ho fatto alla rinomata studiosa europea Bat Ye’or. Continuiamo a sentire che l’Islam è stato una fonte molto importante durante il Medio Evo per il venire in essere della civiltà occidentale, ma fondamentalmente tutti i contributi dati all’Islam all’Occidente in quel periodo non hanno radici specificamente islamiche. Cosa ha da dire in proposito?

L’Islam è l’unica religione al mondo con un ramo che si occupa di pubbliche relazioni, uno sforzo concentrato da parte dei credenti il cui scopo è far sì che nessuno possa pensare male dell’Islam, che si pensi tutti che esso sia una forza positiva. Non esiste nessun’altra religione che lavora così alacremente per cercare di produrre una buona impressione e nessun’altra religione che abbia bisogno di lavorare così tanto per produrla.
Gli apologeti islamici ci spiegano costantemente che l’Islam è una religione di pace, lo devono fare perché non è una cosa ovvia, perché i musulmani praticano la violenza in nome dell’Islam ogni giorno.
Ci sono continuamente apologeti islamici che ci dicono che l’Islam è responsabile di straordinari risultati. Anche questo non è ovvio. Ogni stato islamico o nazione a maggioranza islamica nel mondo, è arretrato e abusa dei diritti umani e certamente non è un luogo che nessuno possa reputare un centro di insegnamento culturale. Ci vengono continuamente dette queste menzogne le quali hanno lo scopo di renderci compiacenti nei confronti della massiccia immigrazione musulmana in Occidente.
Quando si arriva alla questione dei risultati dell’Islam e delle sue invenzioni, ci viene detto che le traduzioni dei testi classici greci da parte dei dhimmi ebrei e cristiani prigionieri dello stato islamico del Califfato di Baghdad, il califfato Abbaside, mille anni fa, che le loro invenzioni nell’ambito della medicina e altre innovazioni, sono dovute all’Islam. Queste persone non erano nemmeno musulmane, vivevano soltanto in uno stato islamico. Ciò con cui stiamo confrontandoci è uno sforzo concentrato inteso a fare credere agli occidentali che la massa di immigrazione musulmana nei loro paesi è qualcosa da non temere, poiché probabilmente ci sarà una nuova fioritura di una età dell’oro islamica, e ci saranno invenzioni, e ci sarà cultura, e ci saranno pace e tolleranza. Tutto questo è privo di senso. Non è mai accaduto nel passato e non accadrà ora. Fa tutto parte delle relazioni pubbliche.

Per la teologia islamica l’Islam è la religione primigenia dell’umanità. Ciò significa che ogni altra religione e in modo specifico le due religioni del Libro, l’ebraismo e il cristianesimo sono lacunose, piene di errori e falsità. Solo l’Islam è nel giusto. Tuttavia sentiamo spesso dire che l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam possono andare d’accordo. Lei crede sia possibile?

Sì, certamente l’Islam, l’ebraismo e il cristianesimo possono andare d’accordo fintanto che gli ebrei e i cristiani sappiano qual è il loro posto e accettino il loro statuto di cittadini di seconda classe che la legge islamica stabilisce per i non musulmani secondo le regole dell’Islam. Nello stato islamico, secondo la legge islamica, gli ebrei e i cristiani sono liberi di praticare le loro religioni fintanto che non costruiscano luoghi di preghiera, o riparino quelli vecchi, in modo che le loro comunità siano costantemente in declino.
Non possono rivendicare alcuna autorità sopra i musulmani, così, socialmente, possono essere impiegati solo per i lavori più umili in virtù dei quali non hanno alcuna autorità sopra gli altri, e ovviamente devono pagare la jizia, la tassa speciale resa obbligatoria dal Corano. Devono sottomettersi a tutta una serie di regole che facciano in modo che essi si rammentino sempre di essere dei rinnegati che hanno rigettato la verità di Maometto e dell’Islam. Quindi, devono scendere da un marciapiede se sta arrivando un musulmano, e vengono salutati con “La pace sia su chi è guidato rettamente“ piuttosto che “La pace sia su di te” che è il saluto musulmano standard per gli altri musulmani, perché un musulmano non desidera la pace per un non musulmano. Augura la pace ai musulmani, la pace sia su di loro, su chi è guidato rettamente. Ci sono tutta un’altra serie di umiliazioni quotidiane, discriminazioni e vessazioni, che sono imposte dalla legge islamica nei confronti degli ebrei e dei cristiani. Così era nella Spagna musulmana che è ritenuto fosse un luogo stupendo, multiculturale e tollerante, e così è in qualsiasi altro posto nel quale la legge islamica è applicata nella sua interezza. Non c’è nessun altro luogo nei paesi a maggioranza musulmana, o paesi sotto il governo musulmano, dove c’è stata una eguaglianza di diritti tra ebrei, cristiani e musulmani e non ci sarà mai perché l’Islam non è cambiato.
Qual è la sua valutazione della decisione del presidente Trump di dichiarare Gerusalemme la capitale di Israele e conseguentemente di spostare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme?

E’ benvenuta, è importante, è storicamente rilevante a un livello politico che credo non sia stato raggiunto da quando Ronald Reagan chiese a Michail Gorbacev di fare cadere il Muro di Berlino. Ci sono grandi paralleli tra le due cose, perché in entrambi i casi tutti gli analisti più autorevoli, tutti gli opinion makers tradizionali, tutti i facitori politici, dissero che Reagan e Trump non dovevano fare quello che hanno fatto. Si sbagliavano tutti. Trump e Reagan sono andati contro la visione onirica maggioritaria per la quale bisogna pacificare chi è violento, la quale afferma che quando ti confronti con gente con intenzioni omicide, allora si concede loro quello che vogliono, non si rimane fermi sulle proprie posizioni. Sia Trump che Reagan, Trump con la sua decisione riguardo a Gerusalemme e Reagan quando chiese la fine del Muro di Berlino, si sono confrontati con il male chiamandolo con il suo nome. Hanno dimostrato entrambi un coraggio immenso nell’andare contro l’opinione consolidata e mantenendosi fermi contro la violenza, l’intimidazione e il bullismo che tutti gli altri volevano pacificare e accomodare. Credo che Trump sarà ricordato come uno degli uomini grandi e coraggiosi della storia per questa decisione.

Se dovesse riassumere cos’è per lei l’Islam è nella sua essenza, cosa direbbe?

L’Islam è molte cose per me, qualcosa che ho studiato tutti questi anni. Giusto ora sto scrivendo una storia del jihad da Maometto fino all’ISIS, la quale mostrerà che il jihad è una costante della storia islamica. L’Islam è una forza che ha oppresso molte persone, che, nel corso della propria storia ha distrutto la vita di molta gente nel mondo, e va definito per quello che è. Ci sono molte persone le quali affermano che sia la fonte di quanto c’è di buono nel mondo. Se vogliono propagare queste opinioni non ho alcun problema se non cercano di impormele o tentino di soggiogarmi sotto la loro legge. Credo fortemente nelle società libere occidentali, nelle società aperte dove non c’è una singola opinione che sia imposta dalle élite, sulla quale dobbiamo basarci. Combatterò fino all’ultimo respiro per la difesa di queste società contro questo sistema radicalmente intollerante, violento, aggressivo, autoritario e suprematista.

This post is also available in: English (Inglese)

E’ a Istanbul, a casa di Erdogan che si dà convegno l’OIC, l’Organizzazione della Cooperazione Islamica, convocata dall’autocrate turco per un summit straordinario, a seguito del riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele da parte di Donald Trump. La convocazione urgente chiamata da Erdogan è un tentativo di legittimarsi come guida della riscossa islamica contro lo Stato ebraico, definito “terrorista” da uno dei più delinquenziali leader politici in circolazione. Ma così funziona la politica, il grottesco e il paradosso sono all’ordine del giorno, soprattutto in merito al conflitto dei conflitti, quello arabo-israeliano poi trasformatosi in virtù di un sapiente marketing che dura da cinquanta anni, in israelo-palestinese.

E’ la risposta turca a Netanyahu, il quale, a Parigi, nella conferenza stampa con Macron aveva dichiarato di non accettare lezioni di morale da un personaggio come il presidente turco, il che, naturalmente, aveva mandato su tutte le furie Ankara, abituata ultimamente a toni ben più miti, soprattutto da parte della UE. E così è partita la convocazione per affermare in contrasto con la decisione americana che Gerusalemme Est è la capitale della Palestina. In realtà per rivendicare su tutta la città il dominio musulmano.

Ci si incontra e ci si rinsalda nel comune odio per Israele e per gli USA, e tra gli ospiti convenuti, tutti, a turno, a capo di teocrazie, monarchie, dittature, appare anche Nicolas Maduro, in nome della lucha contro “l’imperialismo yankee”. Vecchio afflato quello del Sudamerica revolucionario con i nemici islamici della democrazia. Rispunta dall’album di famiglia la fotografia del conducator Chavez con Ahmadinejad, ricevuto a Caracas con tutti gli onori nel 2009. D’altronde, in Libano, quello stesso anno si recò in visita anche Alieda Che Guevara, la primogenita del natural born killer argentino, per deporre una corona di fiori sulla tomba del fondatore del gruppo terrorista Hezbollah.

L’odio per l’Occidente e per la democrazia è uno dei collanti della costellazione islamica riunita a Istanbul con ospitata venezuelana, Gerusalemme è solo un pretesto, l’occasione formale per riconoscersi affini e motivati. Non c’è mai da sbagliarsi quando ci si schiera contro Israele e ovviamente contro gli Stati Uniti. Si ritrovano a braccetto gli eroi della sinistra terzomondista come Maduro e gli integralisti islamici, i quali hanno preso il posto dei sovietici nel coracon di chi vorrebbe Israele annientato e in sua vece un cinquantottesimo stato musulmano.

Sorrisi, abbracci, come quello tra Erdogan e Omar al Bashir, il presidente sudanese ricercato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini di guerra. Sì, una bella compagnia, che all’unisono, e senza alcuna vergogna, afferma che la decisione di Trump indebolisce il “processo di pace” in Medioriente, il quale, dal 1948 ad oggi, per non farlo antecedere agli anni ’30, non ha mai preso l’abbrivio in virtù del costante rifiuto arabo-musulmano di accettare l’esistenza di Israele in una terra considerata per sempre Dār al-Islām.

Ed è qui, spalleggiato, che il vecchio e abusivo padrino di Ramallah, Abu Mazen, ha recitato uno dei suoi vecchi pezzi di teatro, quello in cui dichiara di volere cancellare gli accordi di cooperazione dell’Autorità Palestinese con Israele, accordi grazie ai quali, come ha ricordato il Ministro della Difesa, Avigdor Liberman, è ancora in vita. Già da tempo il padrino sarebbe morto infatti, se non ci fosse la cooperazione di intelligence tra Israele e l’Autorità Palestinese, che gli consente di non essere fatto fuori dai fratelli coltelli di Hamas, come avvenne ad altri meno fortunati nel 2007 durante il regolamento di conti avvenuto a Gaza tra Hamas e Fatah, con gli esponenti del partitito di Abu Mazen freddati per strada e gettati giù dai tetti con le mani legate dietro la schiena. Ma l’usurato leader palestinese che da anni coltiva il suo feudo multimiliardario (l’impero commerciale di Abu & Sons sorto all’ombra della “lotta di liberazione dall’oppressione sionista” vale non meno di 300 milioni di dollari) nei territori “oKKupati”, è un esperto di doppi e tripli ruoli, come il suo predecessore, l’indimenticato Yasser Arafat.

Fa un certo effetto guardare questa congrega a cui partecipa sonnecchiosamente anche l’Arabia Saudita sempre più stanca insieme ad Egitto ed emirati arabi di doversi spendere per un relitto ideologico del passato come la “causa palestinese”, e prendere atto che le posizioni da essa espresse sono infondo le medesime della Comunità Europea. Ma si tratta di una vecchia storia che risale alla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta, quando l’Europa progressivamente divenne filoaraba e trasformò il palestinismo nella propria religione laica.

Da una parte Trump e Israele, dall’altra l’OIC con puntello della UE.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Prossimo

Torna a Islam

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 3 ospiti

cron