Ungheria, Orbán vince le elezioni con quasi il 50 per cento dei votiOrbán, al potere dalla vittoria elettorale dell'aprile 2010, si afferma alle legislative, conquistando il terzo mandato consecutivo. "Ora difenderemo la madrepatria", dice subito dopo il risultato
di ANDREA TARQUINI
08 aprile 2018
http://www.repubblica.it/esteri/2018/04 ... -193304539 BUDAPEST - Alla fine Viktor Orbán ce l'ha fatta. Il popolare, carismatico premier nazionalconservatore e sovranista ungherese, secondo i dati provvisori delle elezioni legislative svoltesi questa domenica nel paese magiaro, conquista il 49,5 per cento dei voti. Tradotto in seggi, è maggioranza assoluta ma forse non la maggioranza di due terzi necessaria per continuare a sviluppare il suo progetto di "democrazia illiberale" che si ispira apertamente ai presidenti russo e turco, Putin ed Erdogan. "Questa è una vittoria decisiva, in futuro saremo in grado di difendere la nostra madrepatria", ha commentato subito dopo il risultato.
Guadagnano molti consensi salendo al 20 per cento i suoi rivali di Jobbik, partito trasformatosi da ultradestra xenofoba e antisemita in centrodestra presentabile. I socialisti (ex comunisti) sono all'11,85 per cento che arriva al 12 per cento sommando i piccoli alleati verdi. Secondo gli osservatori difficilmente i voti dall'estero (gli expats ungheresi a Berlino Londra Parigi eccetera, e i membri delle minoranze ungheresi in Slovacchia Romania Serbia Ucraina) potranno cambiare in modo essenziale questi risultati provvisori.
Orbán dunque ce l'ha fatta ancora una volta. Ha conquistato un terzo mandato (è al potere dalla vittoria elettorale dell'aprile 20110 e riconfermato nell'aprile 2014) e potrà continuare nella sua dura politica di no all'immigrazione e ai presunti diktat dell'Unione europea da cui pure Budapest riceve ingenti aiuti coi fondi di coesione. Il successo del leader magiaro è importante per i sovranisti in tutta la Ue.
Gli avversari lo avevano accusato di casi di corruzione, di controllo di istituzioni e media, di malversazione del 30 per cento degli aiuti europei, di amicizia con Putin incompatibile con le strategie di Ue e Nato, di connivenza con gli oligarchi.
Ma la sua campagna concentrata sul no ai migranti e sull'accusa (nome per nome) a tutti gli oppositori di essere agenti stranieri al servizio della presunta congiura del tycoon americano di origini ebree ungheresi Soros, per islamizzare l'Europa favorendo le ondate migratorie, sembra aver convinto.
Sotto Orbán l'Ungheria ha vissuto e vive una delle crescite economiche più robuste della Ue, ampi investimenti industriali di alta tecnologia, bassa disoccupazione e conti sovrani sotto controllo.Elezioni in Ungheria, Orban vince ancora 2018/04/08
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... ca078.htmlIl premier ungherese Viktor Orban ha vinto in maniera schiacciante le elezioni, conquistando il suo terzo mandato consecutivo dal 2010 in un voto che ha visto nel Paese un'affluenza record. Il partito di governo Fidesz, secondo i risultati diffusi quando lo spoglio era ormai oltre l'80%, conserva la maggioranza assoluta nel parlamento con il 49% dei consensi. Secondo è il partito Jobbik con il 20%, terza l'alleanza socialisti-verdi con 12%. Per tutto il giorno si sono registrate lunghe code davanti ai seggi elettorali, un'affluenza mai vista nel Paese. Una grande partecipazione che aveva fatto ipotizzare agli analisti la possibilità di una buona affermazione delle opposizioni che avrebbero potuto far perdere la maggioranza assoluta a Fidesz. Cosa che non è avvenuta.
Fino alla chiusura dei seggi, alle 19, circa 5,5 milioni di elettori sono andati alle urne, il 70%, contro un affluenza del 61,73% nel 2014. Circa 1547 i candidati in lizza per i 199 seggi del parlamento. Fidesz e il suo alleato il partito cristiano democratico avrebbero ne avrebbero conquistati 133. Il secondo posto alle elezioni è andato a Jobbik di Gabor Vona, partito conservatore nazionalista, ma non più euroscettico, che aveva promesso una lotta contro la corruzione generalizzata attribuita a Orban. A seguire l'alleanza socialista-verde (Mszp-P) e le altre formazioni politiche.
La vittoria - sono state le prime parole di Orban che ha festeggiato il risultato con i suoi sostenitori - è un'opportunità "per difendere l'Ungheria".
A premiarlo, secondo gli osservatori, è stato soprattutto il martellamento andato avanti per mesi, anche attraverso i media pubblici da lui controllati, circa il "pericolo mortale" che starebbe minacciando gli ungheresi: l'arrivo di migliaia di migranti musulmani, con il ricollocamento obbligatorio voluto dall'Ue. "Dobbiamo decidere bene, perché sbagliando non ci sarà più modo di riparare, rischiamo di perdere il nostro Paese, che diventerà un Paese di immigrati", aveva detto ancora il giorno delle elezioni. Un messaggio che ha evidentemente raccolto il favore dell'elettorato.Ungheria: non xenofobia, ma sovranitàRodolfoCasadei
aprile 11, 2018
Come si spiega la grande vittoria dell'”impresentabile” Orban? Bisogna sapere un po’ di storia e comprendere i sentimenti di un popolo
https://www.tempi.it/la-parola-chiave-p ... s-XvJe-mjJ Le elezioni politiche ungheresi del 2018 si sarebbero potute decidere sugli ottimi risultati economici conseguiti dal governo della coalizione Fidesz-Kdnp negli ultimi otto anni e sui vantaggi che alle classi popolari sono venuti dalle politiche governative. Negli ultimi tre anni il Pil è cresciuto sopra il 4 per cento e la disoccupazione è scesa al 3,8 per cento grazie agli investimenti esteri e all’osmosi con l’economia tedesca, che subappalta all’Ungheria molte fasi delle sue produzioni industriali. Ciò ha permesso di aumentare gli importi delle pensioni, ridurre quelli delle bollette di gas ed elettricità, istituire sussidi per le famiglie numerose, “salvare” le famiglie che avevano sottoscritto mutui per la casa in franchi svizzeri, ecc. Argomenti validissimi per la propaganda del governo uscente.
Oppure le elezioni si sarebbero potute decidere sui sempre più numerosi scandali che hanno visto al loro centro ministri dell’esecutivo Orban, imprenditori amici del partito Fidesz, personalità nominate a posti di responsabilità pubblica dal governo, e sulle difficoltà a perseguire in giustizia i casi che li riguardano a causa della crescente subalternità del sistema giudiziario al potere politico. L’insofferenza crescente per il sistema di potere che si è consolidato negli ultimi otto anni, con la sua casta di privilegiati, avrebbe potuto aiutare l’opposizione a risalire la china e, se non proprio a detronizzare Orban, almeno a impedire che l’amministrazione uscente riconquistasse quella maggioranza parlamentare dei due terzi che le permette di fare tutto ciò che vuole.
Invece le elezioni si sono decise su temi apparentemente lunari come la minaccia islamica, l’ondata di migranti illegali (in un paese dove le domande d’asilo l’anno scorso sono state appena 3.397), la prospettiva che la barriera sul confine meridionale costruita nel 2015 al culmine della crisi migratoria venisse smantellata (in realtà nessun partito aveva questo punto nel suo programma), i tentativi di distruggere l’identità dell’Ungheria da parte del finanziere George Soros. Questi sono stati i temi ricorrenti e dominanti dei comizi di Viktor Orban e degli altri esponenti di Fidesz, insieme alla assicurazione che la conferma del governo uscente avrebbe salvato l’Ungheria da queste catastrofi. Fra le misure che Orban ha promesso in caso di vittoria alle elezioni spiccava quella di introdurre una legge che tasserebbe pesantemente le donazioni estere alle Ong ungheresi che si occupano di migranti secondo le prospettive e i valori di George Soros anziché quelli del governo ungherese. Gli elettori hanno ascoltato, si sono recati alle urne con una tasso di partecipazione del 68 per cento (quasi 7 punti in più della precedente tornata del 2014) e hanno premiato la coalizione guidata da Orban col 48,9 per cento dei voti.
Perché nell’Ungheria del 2018 la questione delle frontiere e dei migranti è più decisiva per l’esito delle elezioni degli argomenti che riguardano l’operato in bene e in male del governo? Perché la vertenza che si trascina con l’Unione Europa dal 2015, cioè il rifiuto da parte di Budapest di ricollocare 1.294 richiedenti asilo provenienti da Italia e Grecia, è così importante per governanti ed elettori ungheresi? I media e l’establishment dell’Europa Occidentale e Bruxelles agitano gli spauracchi della xenofobia, dell’antisemitismo, delle risorgenze fasciste o della penetrazione strisciante della Russia di Putin. Un misto di arroganza e ignoranza: Viktor Orban è stato dissidente antisovietico, si è laureato con una tesi su Solidarnosc, ha studiato a Oxford grazie a una borsa di studio della fondazione di George Soros (proprio lui!), la sua formazione politica è da sempre affiliata al Partito Popolare Europeo. Non più tardi del 2006 il partito socialista (Mszp) raccoglieva i voti del 43 per cento degli ungheresi: domenica scorso si è fermato a 12,3. Al secondo posto è finito Jobbik, fino a pochi mesi fa impresentabile partito antisemita e criptonazista, ma riabilitato agli occhi delle cancellerie europee da quando ha seppellito l’ascia di guerra contro Bruxelles e si è dato disponibile per una grande alleanza di tutti i partiti ungheresi contro Orban. Jobbik ha ricevuto il 19,3 per cento dei voti. Questo significa che quasi il 70 per cento dei votanti di domenica scorsa sceglie partiti nazionalisti contrari all’immigrazione di massa in Ungheria. Lo si poteva già intuire dal risultato del referendum contro le quote europee di migranti che il governo Orban promosse nel 2016: 3 milioni e 316 mila elettori – cioè 1 milione in più di quelli che avevano votato Fidesz alle elezioni di due anni prima – votarono contro la decisione europea di redistribuire obbligatoriamente anche in Ungheria una parte dei migranti arrivati in Italia e Grecia.
La parola chiave per capire quello che a livello politico succede in Ungheria e in altri paesi dell’Est che hanno aderito alla Ue (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) non è xenofobia, ma sovranità. L’Ungheria, come gli altri paesi dell’Europa orientale i cui elettorati hanno votato in massa forze nazional-conservatrici o populiste euroscettiche, è una nazione che ha trascorso metà della sua storia sotto il tallone di potenti vicini: nel suo caso ottomani, austriaci, sovietici. Ha perduto popolazione e territorio in conseguenza delle due guerre mondiali. Non ha partecipato a imprese coloniali, non ha praticato l’imperialismo nei confronti dei continenti extraeuropei nel XIX o nel XX secolo, dunque non nutre complessi di colpa verso africani e mediorientali. Ha aderito all’Unione Europea per godere della prosperità e dell’indipendenza che fino ad allora gli erano state per lungo tempo negate. Ora queste nazioni scoprono che il prezzo della prosperità che l’adesione alla Ue ha certamente favorito è la progressiva rinuncia alla propria indipendenza a vantaggio di una integrazione dove tutte le culture e le storie sono tenute a sciogliersi in un’indistinta unità fondata sulla libertà di mercato e sui diritti individualistici.
Liberatisi della dottrina brezneviana della “sovranità limitata”, in base alla quale nessun paese socialista poteva sperare di riavvicinarsi al capitalismo senza che gli altri paesi socialisti, a cominciare dall’Unione Sovietica, intervenissero con le buone o con le cattive per riportarlo all’ovile, oggi i paesi dell’Est si trovano di fronte a una nuova versione di quella dottrina, concepita stavolta a Bruxelles: nessun paese della Ue può opporsi al progetto di sempre maggiore integrazione fra i paesi aderenti, compresa la delicata materia delle politiche dell’immigrazione, senza rischiare di perdere i diritti di voto e i finanziamenti dei Fondi di coesione. Ma questa linea dura contro Budapest e Varsavia che trova ogni giorno nuovi sostenitori in Europa occidentale e a Bruxelles rischia di aggravare la crisi di coesione dell’Unione anziché risolverla. Occorrerebbe invece contemperare i processi di integrazione con la salvaguardia delle identità nazionali. Come scrive il filosofo Mathieu Bock-Côté: «Il diritto alla continuità storica è vitale per un popolo».
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