Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 3:04 pm

Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono
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Sufismo
https://it.wikipedia.org/wiki/Sufismo

Il sufismo o tasāwwuf (in arabo: تصوّف‎, taṣawwuf) è la forma di ricerca mistica (da mysticos, cioè "pertinente l'iniziazione") tipica della cultura islamica. Da coloro che ne fanno parte, cioè i sufi, viene considerata la dimensione mistica dell'islam. Secondo il parere di alcuni studiosi, il sufismo in realtà sarebbe la continuazione di una preesistente e perenne filosofia dell'esistenza, nata prima dell'islam, la cui espressione circola all'interno di questa religione. Altri sostengono invece la natura prettamente islamica del sufismo; Titus Burckhardt, per esempio, respinge l'idea che il sufismo sia originato da fonti non-islamiche, facendo notare come non esistano elementi per ritenere che la catena di filiazione dei maestri sufi (silsila) non risalga direttamente a Maometto; e che, se il sufismo non fosse originato dall'Islam, non ci sarebbe modo per i suoi appartenenti di appoggiarsi al simbolismo coranico durante la ricerca spirituale ed esoterica. Sebbene non neghi del tutto influenze di elementi preislamici - che comunque non potevano essere, per una semplice questione di coerenza interna, estranei alla natura teologica dell'Islam - ridimensiona la portata che questi ebbero sul sufismo. In definitiva, per Burckhardt il sufismo si è generato dagli insegnamenti tramandati dal Profeta.


...

I sette gradi di elevazione a Dio

Il sufismo prevede sette distinti livelli di evoluzione dell'essere atti ad avvicinarsi alla comprensione e all'essenza Divina.

Il primo grado è quella del corpo simboleggiato dall’Adamo;
Il secondo grado è quello vitale simboleggiato da Noè;
Il terzo grado è quello del cuore simboleggiato da Abramo, l'intimo di Dio;
Il quarto è quello del sovracconscio per cui si hanno dei dialoghi spirituali con Dio proprio come faceva Mosè;
Il quinto è quello spirituale simboleggiato da Davide;
Il sesto è relativo all'ispirazione simboleggiato da Gesù che rivelò la parola di Dio;
Il settimo è il sigillo eterno, la completezza simboleggiata dal profeta Maometto.


http://www.sufi.it
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 3:10 pm

A proposito di Sufi e di sufismo

Al-Zawahiri (il capo dei terroristi di Al Qaida), tanto per citare un musulmano integralista dei nostri giorni, é un sufi.
http://islamicamentando.altervista.org/ ... had-armata



Sufi e jihad armata
Scritto il 16 maggio 2016

Il mondo sufi é un mondo piuttosto variegato, lo dimostra il fatto che esistono diverse confraternite al suo interno che si sono sviluppate in aree molto distanti tra loro e nell’arco di molti secoli. Ciò che è certo è che i sufi compaiono a partire dal VIII secolo. Dobbiamo tenere presente che nella storia dell’islam i sufi hanno rappresentato – e tuttora rappresentano – un tassello molto importante all’interno dell’ortodossia. Essere sufi non implica necessariamente essere mal visti o addirittura essere considerati eretici ed estranei all’islam. I dervisci ad esempio sono tutt’altro che “musulmani diversi” dato che fanno parte a pieno titolo dell’ala sunnita dell’islam. Non vi è autentico sufismo senza un’autentica adesione all’Islam e quindi al Corano e alla pratica del Profeta (Sunna): la Legge religiosa ne è l’aspetto esteriore (al-qishr, la “scorza”), il sufismo quello interiore (al-lubb, il “nocciolo”).

Dal X al XIV secolo i sufi diventano un vero e proprio movimento popolare a cui compete una dinamica sociale considerevolmente più forte rispetto alle scuole di legge degli ulama.

Il movimento sufi divenne la forma più popolare e maggiormente diffusa di islam.

Al-Zawahiri (il capo dei terroristi di Al Qaida), tanto per citare un musulmano integralista dei nostri giorni, é un sufi. Lo stesso amministratore di un noto forum on-line islamico che dimostra di avere posizioni molto radicali (es: ? e ?), da quanto si capisce dal suo nickname è un sufi.

In tempi moderni un esempio tra i più eclatanti è costituito dai Murabitun inglesi di Ian Dallas, un misterioso ex attore di teatro e cinema convertitosi in Marocco.

Attualmente, di maggior peso sembra la confraternina Naqshbandyya dello Shayk Nazim, legata al nazionalismo religioso neottomano di Erdogan.

Se i siti web europei sono pieni di inviti all’amore e alla tolleranza, i sufi, nelle loro attività interne, non mancano grandi manifestazioni ultraimperialiste e militariste.
Nel seguente video si può osservare la massiccia organizzazione propagandistica e revanchista della setta che riscuote molto successo tra i tolleranti e ingenui occidentali:
https://youtu.be/Fi7rA6nf3q0

Nell’islam molte sono le sovrastrutture depistanti utilizzate per penetrare nella società occidentale, oggi assai indebolita per motivi che non indagheremo in questo articolo. Come dicevamo, tra le varie modalità operative di questa pervasiva infiltrazione un ruolo privilegiato è affidato alle confraternite sufi (Tasawwuf), specializzate nel creare un bacino di reclutamento di occidentali sprovveduti, convinti di incontrare un islam “pacifista” e “moderato”.

Le confraternite sufi hanno elaborato un vero e proprio doppio binario, con un volto pubblico accogliente e transigente teso a occultare dottrine puramente jihadiste.

Il ramo islamico dei sufi ha sempre goduto di una visione eccezionalmente positiva in occidente. Considerati come mistici pacifici che intendono la jihad esclusivamente come una ricerca spirituale, quindi nulla di violento o spiacevole, i sufi hanno attirato a se convertiti occidentali di ogni sorta, dai new age della Marin County in California, agli intellettuali, artisti e semplici cittadini.

Eppure, al contrario di quello che è stato insegnato agli occidentali, attraverso i mezzi di diffusione del politicamente corretto nei confronti dell’islam, dalla nascita delle prime confraternite sufi sino ad oggi il jihadismo è sempre stato una realtà caratterizzante del sufismo. E non poteva essere altrimenti: se la mistica classica islamica è riuscita ad imporsi nell’islam è proprio perché c’è profonda consonanza con lo spirito guerrafondaio del Corano.

Non è infatti corretto considerare il misticismo sufi come la versione pacifica dell’islam, in contrapposizione ai violenti integralisti Wahabiti. Non bisogna fare l’errore di scambiare i sufi per una sorta di hippy. Nella storia sono state numerose le jihad aggressive organizzate, capeggiate e combattute dai sufi. I sufi hanno svolto un ruolo importantissimo durante l’espansione armata dell’islam, sia a livello sociale che a livello militare. Essi furono coinvolti in innumerevoli imprese militari e servirono come strumento di diffusione delle rigorose norme sunnite.

Il sufismo é sempre stato collegato alla jihad sin dall’undicesimo secolo.

In conformità alla relazione tra sufismo e ortodossia islamica, i sufi hanno sostenuto in maniera fervente l’istituzione della dhimmitutine, completa di tutte le sue regole umilianti per in non-musulmani. Il sufismo non è mai stato in contrapposizione con la sharia: per i sufi la legge islamica era ed è un mezzo essenziale per raggiungere la verità (haqia). È anche importante evidenziare l’infondatezza della teoria dottrinale della fantomatica “grande jihad spirituale” (jihad interiore), associata per lo più ai sufi . Persino Reuven Firestone ha riconosciuto la dubbia natura dell’hadith che presenta questa potenziale interpretazione della jihad: non ne é stata data la fonte, né si riesce a trovare nella “collezione canonica” degli hadith. [1] Non a caso i musulmani più influenti del XX secolo, come ad esempio il leader sciita Ayatollah Ruollah Khomeini (morte 1989), o il famoso ideologo sunnita Sayyid Qutb (morte 1966), hanno sempre sostenuto l’infondatezza dell’idea dei “sufi pacifisti” [2].

Di seguito andiamo a vedere cosa hanno sostenuto teologi e giuristi appartenenti a quest’ala dell’islam sull’istituzione della jihad armata e la sua istituzione accessoria, la dhimmitudine. Per semplificare sia il lavoro che la lettura dell’articolo ne abbiamo preso in esame solo alcuni tra i più autorevoli, servendoci del materiale reso disponibile su questo articolo in inglese.

Iniziamo con una figura di prominenza nella storia intellettuale islamica, il sufi Al-Ghazali (1058-1111). Egli nacque a Tus in Khorasan, vicino alla moderna Meshed in Iran, e divenne uno dei più importanti teologi, giuristi e mistici. William Montgomery Watt, considerato uno dei migliori conoscitori non musulmani dell’islam, rimarcò l’ortodossia islamica di Al-Ghazali. Watt conferma che Al-Ghazali fu:

…acclamato sia ad est che ad ovest come il più grande musulmano dopo Maometto, e non é in nessun modo non meritevole di tale valore… Portò l’ortodossia e il misticismo a stretto contatto… i teologi divennero più disponibili ad accettare i mistici come gente rispettabile, mentre i mistici erano più attenti a non oltrepassare i confini dell’ortodossia. [3]

Riguardo la jihad armata e al trattamento dopo la conquista della gente non musulmana Al-Ghazali scrisse:

Bisogna andare in guerra (jihad di tipo razzia o incursione) almeno una volta all’anno. Si può usare una catapulta contro di loro (i non-musulmani) quando sono in una fortezza, anche se tra di loro ci sono donne e bambini. Si può dar loro fuoco o affogarli. Se una persona tra gli Ahl al-Kitab (le genti del libro, ebrei e cristiani) viene fatta schiava, il suo matrimonio viene [automaticamente] cancellato. Si possono tagliare i loro alberi. Si possono distruggere i loro libri inutili. I jihadisti possono prendere come bottino qualsiasi cosa desiderino. Possono rubare tanto cibo quanto ne abbiano bisogno.

Il dhimmi non può nominare Allah o il Suo Apostolo. Ebrei, cristiani e majiani devono pagare la jizya [tassa-tributo specifico per i non-musulmani]. Quando dona la jizya, il dhimmi deve mostrarsi sottomesso mentre l’ufficiale lo afferra per la barba e lo colpisce sulla mandibola.

A loro non é permesso ostentare il loro vino e le loro campane da chiesa. Le loro case non possono essere più alte di quelle dei musulmani, non importa quanto basse queste siano. Il dhimmi non può cavalcare un cavallo o un mulo eleganti; può cavalcare un asino solo se la sella é di legno. Non può camminare sul lato buono della strada. I dhimmi devono indossare una toppa identificativa sui loro vestiti, anche le donne, e anche nei bagni pubblici non é loro concesso parlare. [4]

Mettiamo ora a confonto gli scritti di Al-Ghazali con le seguenti dichiarazioni di due prominenti giuristi venuti in seguito, Ibn Qudama (1147-1223), e Ibn Tamiyya (m1263-1328).

Iniziamo con Ibn Qudama:

La guerra lecita (jihad) è un dovere sociale obbligatorio (fard kifaya): quando un gruppo di musulmani ne garantisce il corretto svolgimento, gli altri ne sono esentati.

La jihad diventa un dovere personale vincolante (fard ‘ayn) per tutti i musulmani abilitati o il cui paese è stato invaso dal nemico. È obbligatorio solo per gli uomini che hanno raggiunto la pubertà, sono in grado di ragionare e di combattere. La jihad è il meglio di ció che si possa fare per avere una ricompensa superiore. Abu Huraira riporta che “Il Profeta, quando gli venne chiesto quale fosse la migliore opera fra tutte rispose: credere in Dio [e il Suo Profeta]’ – E poi? Qualcuno gli domandò. – La guerra per conto di Dio e un pacifico pellegrinaggio”. Abu Sa’id riporta inoltre che il Profeta, interrogato su chi fosse il migliore tra la gente, rispose, “Colui che combatte per la causa di Dio, di persona e con le proprie risorse”… È consentito sorprendere gli infedeli nel buio della notte, bombardarli con il mangonel (una specie di marchingegno che lancia pietre) e attaccarli senza dichiarare battaglia (du’a’). Il Profeta attaccò i Banu Mustaliq senza che questi se lo aspettassero, mentre i loro animali si stavano ancora dissetando; uccise gli uomini che avevano combattuto contro di lui e fece prigionieri i bambini. E’ vietato uccidere i bambini, i malati di mente, le donne, i preti, i vecchi deboli, gli infermi, i ciechi, quelli deboli di volontà, a meno che abbiano preso parte alla battaglia.

Il capo di Stato decide del destino di coloro che vengono fatti prigionieri; li può condannare a morte, ridurli in schiavitù, liberarli in cambio di un riscatto o garantire loro la libertà come donazione. Deve scegliere la soluzione che sia il più possibile compatibile con il bene comune dei musulmani.

La jizya può essere chiesta solo alle Genti del Libro (Ahl-al-Kitab) e agli zoroastriani (Magus), che si impegnano quindi a pagare e a sottomettersi alle leggi della comunità. Per Genti del Libro si intendono gli ebrei e chi segue la Torah, così come i cristiani e coloro che seguono il Vangelo. Quando la Gente del Libro chiede di pagare la jizya e di essere sottomessa alle leggi della comunità bisogna accontentare la loro richiesta, ed è proibito combatterli. La jizya viene raccolta all’inizio di ogni anno. È fissata a 48 dirhem per un ricco, 24 dirhem per un uomo che abbia mezzi moderati e 12 dirhem per chi ha una modesta proprietà. Non può essere chiesta ai bambini non ancora in pubertà, alle donne, i vecchi bisognosi, i malati, i ciechi, gli schiavi, e neppure ai poveri che non la possono pagare. Un infedele soggetto alla jizya che si converte all’islam diventa libero da quest’obbligo. Quando un infedele muore, i suoi eredi sono responsabili della jizya. [5]

Ibn Tamiyya:

Dato che la campagna militare è essenzialmente la jihad e dato che l’obbiettivo è di fare in modo che la religione e la parola di Dio prevalgano, in accordo quindi con tutti i musulmani, coloro che sono d’intralcio devono essere combattuti. Relativamente a quelli che che non possono offrire resistenza o non sono in grado di combattere, come le donne, i bambini, i monaci, i vecchi, i ciechi, gli infermi e affini, non devono essere uccisi eccetto che la loro battaglia sia quella delle parole (ossia propaganda) e azioni di tipo spionistico o di sostegno ai combattenti.

Per quanto le Genti del Libro e gli zoroastriani, questi vanno combattuti fino al momento in cui diventano musulmani oppure pagano il tributo (jizya) di loro volontà e sono stati umiliati. [6]

Comparando quanto sopra riportato, si può notare che rispetto ai giuristi Hanbali Ibn Qudama e Ibn Tamiyya, il sufi Al-Ghazali è egualmente bellicoso dal punto di vista della jihad, e più discriminatorio e oppressivo nelle sue guide linea sul trattamento dei dhimmi (non-musulmani sottomessi). Inoltre, la visione di Al-Ghazali riguardo ai dhimmi, che vista la sua autorevolezza diventò la visione dominante dei teologi e giuristi musulmani durante il califfato Abbaside-Baghdadiano, sfociò in atti di vera e propria persecuzione, come trascritto, per esempio, in questo resoconto del 1100 ad opera di Obadyah il Proselita, nella Baghdad di allora:

…il califfo di Baghdad, al-Muqtadi [1075-1094], aveva dato potere al suo visir, Abu Shuja… che impose che ogni maschio ebreo dovesse indossare una pezza identificativa gialla sul proprio copricapo. Questo era un segno distintivo sul capo, mentre l’altro si trovava sul collo – un pezzo di piombo del peso di un dinaro d’argento appeso intorno al collo di ogni ebreo con incisa la parola dhimmi a significare che tale ebreo dovesse pagare la tassa. Gli ebrei dovevano anche indossare una sorta di cintura intorno alla vita. Abu Shuja impose due ulteriori segni d’identificazione alle donne ebree. Dovevano indossare una scarpa nera ed una rossa, e ognuna di loro doveva avere una piccola campanella d’ottone al collo e sulla scarpa, che tintinnando avrebbe favorito la separazione tra le donne ebraiche e le donne musulmane. Incaricó crudeli uomini musulmani di spiare le donne ebree, per opprimerle attraverso ogni sorta di insulto, umiliazione e dispetto. La popolazione Musulmana era solita prendersi gioco degli ebrei, e le bande e i loro figli picchiavano gli Ebrei ovunque sulle strade di Baghdad… Quando un ebreo moriva senza aver pagato la jizya del tutto ed era in debito di una somma più o meno significativa, i musulmani non permettevano che la sepoltura avesse luogo fino al pagamento completo della jizya. Se il deceduto non aveva lasciato nulla di valore, i musulmani pretendevano che gli altri ebrei compensassero coi loro denari il debito di tassa jizya che il deceduto aveva contratto; altrimenti minacciavano di mettere il corpo al rogo. [7]

Infine, nello spirito degli insegnamenti di Al-Ghazali sulla jihad di guerra, le campagne jihadiste dei Selgiuchidi e degli Ottomani che avevano imperversato nella vicina Asia Minore dall’undicesimo sino al quindicesimo secolo, avevano al vertice i movimenti chiamati Ghazi (dal termine ghazwa, o razzia), “Guerrieri della fede”, uniti sotto la bandiera dell’islam per combattere gli infedeli e ottenere il proprio bottino. Incitati da “pacifici” teologi musulmani – in particolare i dervisci sufi – questi ghazi erano all’avanguardia sia nelle conquiste Selgiuchide che in quelle Ottomane. A.E. Vacalopoulos evidenzia il ruolo di questi dervisci durante le campagne Ottomane:

… i dervisci fanatici e altri leader musulmani… costantemente utilizzati per espandere l’islam. Avevano fatto così già dal primo inizio dello Stato Ottomano e avevano giocato un ruolo importante nel consolidamento e nell’estensione dell’islam. Questi dervisci erano particolarmente attivi nelle regioni di frontiera disabitate dell’est. Si stabilirono lì con le loro famiglie, attraendo altri che vi si insediarono diventando perció i fondatori di villaggi interamente nuovi, i cui abitanti mostravano le stesse particolarità in quanto a fervore religioso. Da posti come questi, i dervisci o i loro agenti sarebbero poi risultati come coloro che avrebbero preso parte alle nuove imprese militari per l’espansione dello Stato islamico. In cambio, lo stato garantì loro terra e privilegi alla generosa condizione che la terra venisse coltivata e i collegamenti messi in sicurezza. [8]

Ideologia sufi nell’India premoderna

Durante il tardo Sultanato di Delhi e il periodo iniziale dell’Impero Moghul, il sufismo era parecchio più intollerante rispetto all’Induismo, come documentato da K. S. Lal, un preminente studioso di islam. Lal si focalizzò sugli scritti del sufi Abdul Quddus Gangoh (1456-1537):

I Mushaikh musulmani [leader spirituali sufi] erano scrupolosi sulle conversioni quanto gli Ulema e, contrariamente all’opinione comune, invece di essere gentili con gli induisti come dovrebbero esserlo i santi, essi speravano che gli induisti diventassero cittadini di seconda classe, nel caso non si fossero convertiti. L’esempio dello Shaikh Abdul Quddus Gangoh merita di essere citato, perché egli apparteneva al Chistia Silsila, considerato il gruppo sufi più tollerante. Egli scrisse delle lettere a Sultan Sikandar Lodi, Babur, e Humayun con l’intento di rinvigorire la Shari’a e relegare gli induisti a pagatori della tassa territoriale e della jizya. Egli scrisse a Babur, ‘Dai supporto e protezione ai teologi e ai mistici…essi dovrebbero essere mantenuti e sovvenzionati dallo stato… Nessun ufficio o impiego dovrebbe essere offerto, nel Diwan dell’islam, ai non musulmani… Oltretutto, in conformità ai principi della Shari’a, essi dovrebbero essere oggetto di ogni tipo di offese e umiliazioni. Essi dovrebbero essere costretti a pagare la jizya…Dovrebbe essere impedito loro di indossare gli abiti dei mussulmani, dovrebbero essere obbligati a nascondere il loro Kufr [infedeltà] e a non praticare le cerimonie del loro Kufr apertamente e liberamente… Non dovrebbe essere permesso loro di considerare sé stessi alla pari dei musulmani.’ [9]

Lo Shaykh (sceicco) Ahmad Sirhindi (1564-1624) fu un illustre mistico, legato a molte confraternite religiosi sufi (tra le quali la Naqshbandi), che contribuì molto alla rinascita dell’islam ortodosso, in seguito agli eterodossi esperimenti del regno di Akbar (1556-1605). Shirindi pubblicò un considerevole numero di trattati e lettere che promuovevano il suo punto di vista e condannavano l’ecumenismo promulgato da Akbar verso gli induisti. A differenza della sua intollerante visione degli induisti, l’attacco ad hominem di Sirhindi nei confronti degli ebrei riflette un Judenhass (odio per gli ebrei) di natura teologica, dato che è improbabile che avesse avuto un contatto diretto con la piccolissima comunità ebraica dell’India premoderna.

La Sharia deve essere alimentata dalla spada…. Il Kufr [la miscredenza] e l’islam sono contrari l’uno all’altro. Il progresso dell’uno è possibile solo a spese dell’altro e la coesistenza di queste due fedi contrapposte è impensabile…. Colui che rispetta i kuffar (plurale di kaffir-miscredente, infedele), disonora i musulmani. Rispettarli non significa solamente onorarli e assegnare loro un posto d’onore in qualsiasi assemblea, ma implica anche stare in loro compagnia e mostrare considerazione nei loro confronti. Dovrebbero essere tenuti a debita distanza come i cani…. Se qualche interesse mondano fosse impossibile da portare avanti senza di loro, in questo caso si potrebbe stabilire un minimo contatto, ma senza prendere confidenza. Il sentimento islamico più nobile suggerisce che è meglio rinunciare a qualsiasi interesse mondano e non stabilire relazioni con i kuffar…. Il vero intendo dell’imposizione della jizya su di loro [in non musulmani] è quello di umiliarli e portarli, attraverso la paura del pagamento della jizya, a non potersi vestire bene e avere una vita dignitosa . Essi dovrebbero costantemente vivere nel terrore e tremare. Con l’intento di disprezzarli e ribadire l’onore e il potere dell’islam… Il sacrificio delle mucche in India è la più nobile tra le pratiche islamiche. Probabilmente i kuffar potrebbero essere d’accordo sul pagamento della jizya, ma non accetterebbero mai il sacrificio di una mucca… L’esecuzione del maledetto kaffir di Gobindwal [un Sikh che guidò una rivolta contro l’opprimente legge musulmana nella sua comunità] è un risultato importante ed è la causa della sconfitta dei maledetti induisti…Qualunque possa essere la causa dell’esecuzione, disonorare i kuffar è l’atto di grazia più alto per i musulmani. Prima dell’esecuzione dei kuffar ho avuto una visione in cui l’Imperatore ha distrutto la corona sulla testa dello Shirk. In verità egli era il capo dei Mushik e la guida dei kuffar… Quando un ebreo viene ucciso, è un beneficio per l’islam. [10]

Yohanan Friedman offre un contributo riassuntivo dell’atteggiamento di Sirhindi nei confronti degli induisti:

Sirhindi continua con il suo rifiuto del credo e delle pratiche dell’Induismo con una, ugualmente convincente, dichiarazione riguardo alla condizione degli induisti nell’Impero Moghul. L’onore dell’islam richiede l’umiliazione degli infedeli e della loro falsa religione. Per raggiungere questo obiettivo, la jizya dovrebbe essere loro imposta senza pietà e essi dovrebbero essere trattati come dei cani. Le mucche dovrebbero essere sgozzate per dimostrare la supremazia dell’islam. Lo svolgimento di questo rito è, in India, il simbolo più importante della dominazione islamica. Una persona dovrebbe astenersi dal fare affari con gli infedeli, almeno che non sia assolutamente necessario, e anche in questo caso dovrebbe trattarli con disprezzo. L’islam e la miscredenza sono due opposti inconciliabili. L’uno deve fiorire attraverso il degrado dell’altro. Il profondo astio di Shirindi per i non-musulmani può essere illustrato al meglio con la sua esultanza per l’esecuzione, nel 1606, di Arjun, il quinto guru dei Sikh. [11]

Il sufi Shah Aladihlawi Wali-Allah (1703-1762) fu un teologo, pioniere della traduzione persiana del Corano, tradizionalista e attivista politico. Le lettere al sultano Shah Wali-Allah (Durrani), come quelle rivolte agli importanti leader musulmani locali per spingerli a cooperare con i Durrani e intraprendere una jihad contro i Maratha (induisti) e gli Jat, rivelano i suoi costanti sforzi per stabilire una dinastia (straniera, se necessario) più militante, senza l’India. Perciò, lo Shah Wali-Allah non fu solo d’ispirazione per le invasioni Durrani del 1756-57 e quelle del 1760-61, egli fu anche responsabile per aver aiutato ad organizzare una confederazione dei poteri dei musulmani contro i Maratha (induisti) nel nord dell’India.

E’ diventato chiaro per me, come il regno dei cieli abbia predestinato i kuffar ad essere ridotti ad uno stato di umiliazione ed essere trattati con profondo disprezzo. Quell’insieme di maestà e ardito coraggio dovrebbe [Nizam al-Maluk] prepararlo alla battaglia e dirigere la sua attenzione al compito di conquistare il mondo. Cosicché la fede diventi più affermata e il suo stesso potere venga rafforzato; una piccola fatica verrebbe ampiamente ricompensata. Egli non compierebbe sforzi, essi [i Maratha] verrebbero inevitabilmente indeboliti e annichiliti dalle calamità celesti…Giacché ho imparato ciò in maniera inequivocabile [dal Divino], scrivo spontaneamente per portare alla tua attenzione la grande opportunità postati davanti. Dovresti, prima di tutto, non essere negligente nel combattere la jihad…Oh Regnanti! Mala a’la vi stimola a trarre le vostre spade a e non rimetterle nel fodero prima che Allah abbia separato i Musulmani dai politeisti e dai ribelli kuffar e prima che i peccatori siano stati lasciati del tutto deboli e senza aiuto.’

Nel suo testamento a Omar [il successivo Califfo], Abu Bakr lo informò che se avesse temuto Allah, il mondo intero avrebbe avuto paura di lui [Omar]. Dichiarò che il mondo assomigliava ad un’ombra. Se un uomo le fosse corso dietro, essa lo avrebbe inseguito e, se egli avesse preso il volo dall’ombra, essa lo avrebbe comunque seguito. Allah ti ha scelto come protettore dei Sunniti e non esiste nessun’altro che possa assolvere a questo compito, ed è cruciale che tu consideri sempre il tuo ruolo come obbligatorio. Impugnando la spada per rendere supremo l’islam e subordinando a questa causa i tuoi bisogni personali, trarrai vasti benefici.

Noi ti supplichiamo [Durrani, un capo musulmano], nel nome del Profeta, di combattere una jihad contro gli infedeli di questa regione. Ciò ti conferirebbe grandi ricompense dinanzi ad Allah l’Altissimo e il tuo nome verrebbe incluso nella lista di coloro che hanno combattuto una jihad per amore di Allah. Per quanto concerne i guadagni del mondo terreno, vantaggi incalcolabili finirebbero nelle mani dei ghazi islamici e i Musulmani verrebbero liberati dai loro nodi. L’invasione di Nadir Shah, che ha distrutto i Musulmani, ha lasciato i Mathara e gli Jat sicuri e prosperi. Come risultato, gli infedeli hanno recuperato le forze e i capi dei Musulmani di Delhi sono stati ridotti a meri burattini. [12]

La dettagliata analisi di S.A.A. Rizvi sulla dottrina della jihad dello Shah Wali-Allah si conclude così:

Secondo lo Shah Wali-Allah, il simbolo della perfetta realizzazione della Sharia era il compimento della jihad. Comparò i doveri dei musulmani in relazione a quelli di uno schiavo prediletto che somministrava una medicina amara agli altri schiavi della casa. Se ciò fosse stato fatto con la forza sarebbe stato del tutto legittimo, ma se qualcuno avesse mischiato la forza con la gentilezza, sarebbe stato ancora meglio. In ogni modo, c’erano delle persone, disse lo Shah, che seguivano i loro istinti primordiali a causa della loro religione ancestrale, ignorando i consigli e gli ordini del profeta Maometto. Se qualcuno avesse cercato di spiegare la religione a persone come queste, avrebbe fatto un danno. L’uso della forza, disse lo scià, era la scelta migliore – l’islam avrebbe dovuto essere spinto loro in gola, come una medicina amara viene spinta nella gola di un bambino. Questo, comunque, sarebbe stato possibile solo se i leader delle comunità di non-musulmani che non avevano accettato l’islam, fossero stati uccisi; la forza della comunità fosse stata ridotta, le loro proprietà fossero state confiscate e si fosse creata una situazione in cui i loro seguaci e discendenti fossero stati portati ad accettare l’islam di buon grado. Lo Shah dichiarò che il dominio universale da parte dell’islam non sarebbe stato possibile senza la jihad. [13]

Sufismo sciita e dhimmitudine nell’Iran contemporaneo

Sultanhussein Tabandeh, un moderno leader sufi sciita, nel 1966 scrisse un intero trattato che prendeva in esame vari elementi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani dichiarando che sono incompatibili con la legge islamica: una ‘prospettiva islamica’ sulla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. [14] Secondo Eliz Sanasarian, un professore dell’Università della California del Sud che ha analizzato i problemi delle minoranze religiose nella Repubblica islamica, il trattato di Tabandeh è diventato ‘il fulcro ideologico su cui il governo iraniano ha fondato la sua politica nei confronti dei non-musulmani.’ Le sue opinioni sui non-musulmani, afferma Sanasarian, sono state prese quasi alla lettera nella Repubblica islamica dell’Iran.’ [15]

Tabandeh inizia il suo scritto definendo lo Shah Ismail I (1502-1524), il repressivo e intollerante fondatore della dinastia dei Safavidi, [16] come il paladino ‘degli oppressi’. Per poi riaffermare la tradizionale inferiorità dei non-musulmani in confronto ai musulmani, come impresso nella Sharia.

Perciò se un musulmano commette adulterio la sua pena prevede 100 frustate, la rasatura del cranio e un anno di esilio. Ma se un uomo non è musulmano e commette adulterio con una donna musulmana la sua pena è l’esecuzione… In maniera analoga, se un musulmano uccide deliberatamente un altro musulmano, si applica la legge del taglione ed egli viene condannato a morte per mano di un parente prossimo [della vittima]. Ma se un non-musulmano viene ucciso da un musulmano, la pena di morte non è valida. Il musulmano deve pagare una multa ed essere punito con la frusta. Dato che l’islam concepisce i non musulmani come esseri di livello inferiore per fede e convinzioni, se un musulmano uccide un non-musulmano…allora la sua punizione non può essere la morte, dato che la sua fede e convinzioni sono superiori rispetto a colui che è stato ucciso… Inoltre, le pene previste per un non-musulmano colpevole di fornicazione con una donna musulmana sono maggiori perché, oltre al crimine contro la moralità, gli obblighi sociali e religiosi, egli ha commesso sacrilegio perché ha disonorato una musulmana, dunque ha offeso i musulmani in generale, quindi deve essere ucciso.

L’islam e le sue genti devono essere al di sopra degli infedeli, e non devono permettere mai ai non-musulmani di prendere potere su di essi. Visto che il matrimonio tra una donna musulmana e un marito infedele (in conformità con il versetto che recita: ‘gli uomini sono preposti alle donne’) significa la sua sottomissione ad un infedele, questo fatto rende il matrimonio nullo, perché non segue le condizioni necessarie per rendere valido un contratto. (Corano 60:10, ‘Se le riconoscete credenti, non rimandatele ai miscredenti, esse non sono lecite per loro né essi sono loro leciti’). [17]

jihad sufi nel premoderno e moderno Caucaso del Nord

Il Daghestan fu inizialmente islamizzato a causa degli arabi musulmani ommayidi e abassidi, durante il VII e l’VIII secolo. Diversi secoli dopo, un’ondata di invasioni delle tribù turco-mongole dell’est, e la loro imposizione dell’islam, accrebbe la popolazione musulmana nel nord del Caucaso. [18] Nella metà del XVI secolo, i cosacchi russi iniziarono ad insediarsi nelle terre scarsamente popolate della Cecenia. Questi coloni russi divennero sudditi di Ivan il Terribile, con l’intento di ottenere protezione dalle razzie perpetuate dai tartari e dai turchi. [19] Nel 1781 l’Impero russo avanzò attivamente all’interno del Caucaso del nord e della Transcaucasia, accelerando la jihad anti-russa dello Sheikh Mansur Ushurma, un sufi Naqshbandi. [20] Seguì la distruzione, da lui promossa, di un’intera brigata russa, durante la battaglia di Sunzha nel 1785.

…gli abitanti delle montagne, chiamati alla guerra santa contro gli invasori infedeli, per qualche anno unificarono praticamente l’intero Caucaso del Nord, dal territorio ceceno ad ovest, alle steppe di Kumyk ad est. Il suo appello – almeno quello che conosciamo di esso – assomiglia molto ai vecchi appelli alla jihad da parte dei murshid [maestri, capi della fratellanza sufi] Naqshbandi… [21]

A partire da questa jihad spartiacque del XVIII secolo, fino ai giorni d’oggi, il tariqat [fratellanza] dei Naqshbandi ha giocato un ruolo cruciale per quanto riguarda la difesa e l’espansione del dominio musulmano, di fronte allo sconfinamento sia dello Zar, che della Russia sovietica. Trasformando ‘i montanari semi-pagani in musulmani ortodossi’, i Naqshbandiyya portarono l’islam nelle regioni animiste dell’alta Cecenia e del Caucaso dell’ovest.[22] Inoltre, i seguaci dalla ferrea disciplina dei Naqshbandi portarono avanti una prolungata resistenza contro le conquiste della Russia zarista, cosicché Bennigsen e Wimbush affermano in maniera plausibile:

Si può dire che la quasi cinquantenaria [XIX secolo] guerra del Caucaso ha offerto un importante contributo alla disfatta morale e materiale dell’Impero zarista e ha accelerato il crollo della monarchia dei Romanov. [23]

Durante i tragici anni della Rivoluzione del 1917-1921, che furono particolarmente sanguinolenti nel nordest del Caucaso, le fratellanze sufi, in particolar modo i Naqshbandi, ebbero nuovamente un ruolo centrale. I loro risultati finali nella resistenza contro i comunisti furono coerenti con i precetti della jihad, intesa come ideologia sia difensiva che espansionistica:

…per ristabilire una monarchia teocratica governata dalla Sharia, vanno espulsi i russi ed eliminati ‘cattivi musulmani’ che si sono piegati ai governanti infedeli. Il seguente fu uno dei discorsi dello Sheikh Naqshbandi , di nome Uzun Hajii, uno dei leader della fratellanza: ‘Se Dio vuole, possiamo costruire una monarchia shariatica, giacché in una terra musulmano non può esserci repubblica. Se accettassimo una repubblica, dovremmo dunque rinunciare al Califfato, il ché ci porterebbe a rinunciare al Profeta e, da ultimo, a Dio stesso’. E qualcos’altro a riguardo: ‘Sto tessendo una corda per impiccare gli ingegneri, gli studenti e, in generale tutti quelli che scrivono da sinistra verso destra.’ [24]

Malgrado le forti persecuzioni dell’era sovietica, nel febbraio 1944 gli specialisti della propaganda antislamica ammisero di aver fallito nel tentativo di contenere l’espansione delle organizzazioni sufi, che emersero anche dopo la Seconda Guerra Mondiale:

…più potenti e influenti che prima della Guerra, probabilmente anche più del 1917. V.G Pivovarov, un eccellente sociologo sovietico, scrisse nel 1975: ‘Più della metà dei credenti musulmani della Repubblica Autonoma di Cecenia ed Inguscezia, sono dei murid [seguaci] della fratellanza’ [25]

Attualmente, il leader sufi Naqshbandi, Shamil Basayev, che vede sé stesso plasmato sui modelli leggendari dei jihadisti del Caucaso del nord del XIX secolo, come il suo omonimo Imam Shamil, gioca un ruolo chiave nell’attuale jihad contro il governo post-sovietico. Basayev, deve essere evidenziato, non sembra solo avere sogni di Califfato, ma ha anche organizzato il brutale massacro di Beslan, Ossezia del nord, dove il 3 settembre 2004 sono morti 331 bambini.

1. Reuven Firestone. jihad—The Origin of Holy War in islam, Oxford University Press, 1999, pp. 139—140, note 19.
2. Ayatollah Ruhollah Khomeini. “islam is not a Religion of Pacifists (1942)”, “Speech at Feyziyeh Theological School (August 24, 1979)”, and “On the Nature of the islamic State (September 8, 1979)”, English translations in Barry Rubin and Judith Colp Rubin, Anti—American Terrorism and the Middle East, Oxford, Oxford University Press, 2002, pp. 29, 32—36.; Sayyid Qutb. Chapter 4, “Jihaad in the cause of God”, in Milestones, Cedar Rapids, Iowa, The Mother Mosque Foundation, 1993, pp. 53—76.
3. W.M. Watt. [Translator]. The Faith and Practice of Al—Ghazali, Oxford, England, 1953, p. 13.
4. Al—Ghazali (d. 1111). Kitab al—Wagiz fi fiqh madhab al—imam al—Safi’i, Beirut, 1979, pp. 186, 190—91; 199—200; 202—203. [English translation by Dr. Michael Schub.]
5. Ibn Qudama. Le precis de droit d’Ibn Qudama, jurisconsulte musulman d’ecole hanbalite né a Jerusalem en 541/1146, mort à Damas en 620/1223, (Livre XX— ‘La Guerre Legale’), translated from Arabic into French by Henri Laoust, Beyrouth (Beirut), 1950, pp.273—276, 281. [‘Legal War’, chapter 20, The Summary of Law by Ibn Qudama]. English translation by Michael J. Miller.
6. Ibn Taymiyya, from al—Siyasa al—shariyya, translated by Rudolph Peters in jihad in classical and modern islam, Princeton, NJ, Markus Wiener, 1996, pp. 44—54.
7. A. Scheiber. ‘The Origins of Obadyah, the Norman Proselyte’ Journal of Jewish Studies (Oxford), Vol. 5, 1954, p. 37. Obadyah the Proselyte was born in Oppido (Lucano, southern Italy). He became a priest, and later converted to Judaism around 1102 A.D., living in Constantinople, Baghdad, Aleppo, and Egypt.
9. K.S. Lal. The Legacy of Muslim Rule in India, New Delhi, Aditya Prakashan, 1992, p. 237
10.Saiyid Athar Abbas Rizvi, Muslim revivalist movements in northern India in the sixteenth and seventeenth centuries. Agra, Lucknow: Agra University, Balkrishna Book Co, 1965, pp. 247—50; Yohanan Friedmann, Shaykh Ahmad Sirhindi: an outline of his thought and a study of his image in the eyes of posterity. Montreal, McGill University, Institute of islamic Studies, 1971, p.74.
[11] Friedmann. Shaykh Ahmad Sirhindi: an outline of his thought.
[12] Saiyid Athar Abbas Rizvi. Shah Wali—Allah and his times. Canberra, Australia, Ma’rifat Publishing House, 1980, pp. 294—296, 299, 301, 305.
[13] Rizvi. Shah Wali—Allah and his times, pp. 285—286.
[14] Sultanhussein Tabandeh. A Muslim Commentary on the Universal Declaration of Human Rights, English translation by F. J. Goulding, London, 1970.
[15] Eliz Sanasarian Religious Minorities in Iran, Cambridge University Press, 2000, pp. 25, 173, footnote
[16] Tome Pires, Suma Oriental (1512—1515) Haklyut Society Publications, Vol. I (London, 1944), p. 27.; Raphael du Mans, Estat de la Perse, 1660, ed. Schefer (Paris, 1890), pp. 193—194; cited in, W.J. Fischel, ‘The Jews in Medieval Iran from the 16th to the 18th centuries: Political, Economic, and Communal aspects’, Irano—Judaica, Jerusalem, 1982, p. 266; C.N. Seddon (translator), A Chronicle of the Early Safawis [Being the Ahsanu’t—Tawarikh of Hasan—i—Rumlu], 1934, Vol. II, p. xiv.
[17] Tabandeh, A Muslim Commentary on the Universal Declaration of Human Rights, pp. 4, 17—19,37
[18] Atlas of islamic history, compiled by Harry W. Hazard; maps executed by H. Lester Cooke, Jr., and J. McA. Smiley. Princeton, N.J., Princeton University Press, 1951, pp. 6,8,10,18,22,24.
[19] Y.V. Nikolaev. The Chechen Tragedy. Mineola, NY, Nova Science Publishers, 1996, p. 7.
[20] Nikolaev. The Chechen Tragedy, p. 7; A. Bennigsen, S.E. Wimbush. Mystics and Commisars. sufism in the Soviet Union. Berkeley, CA: University of California Press, 1985, p. 18.
[21] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p. 18.
[22] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p. 19.
[23] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p.19.
[24] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p.24.
[25] Bennigsen and Wimbush. Mystics and Commisars, p. 31.
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 3:11 pm

La Sharia non è la legge di D-o ma soltanto quella dell'idolo Allah
viewtopic.php?f=188&t=2470

Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
viewtopic.php?f=188&t=2526
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » ven nov 24, 2017 10:46 pm

Egitto: strage in una moschea del Sinai, 235 morti e 109 feriti
2017/11/24

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... 183fe.html

Strage in Egitto in una moschea nel nord del Sinai. L'attacco è stato condotto piazzando una bomba all'interno del luogo di culto e sparando sui fedeli che fuggivano dopo l'esplosione.

L'ultimo bilancio è di 235 morti e 109 feriti fino ad ora.

Gli attentatori sarebbero giunti sul posto su fuoristrada 4x4.

La presidenza della Repubblica ha annunciato un lutto nazionale di tre giorni per le vittime.

Ferma condanna dell'attentato arriva in un tweet da Emmanuel Macron: "Tutte le mie condoglianze per le vittime del terribile attentato contro la moschea Bir El-Abid in Sinai", scrive il presidente francese. Paolo Gentiloni sempre via twitter: "orrore per la strage terroristica nella moschea del Sinai. I nostri pensieri vanno alle vittime, la nostra solidarietà alle famiglie colpite e all'Egitto". Il presidente Sergio Mattarella ha inviato al Presidente della Repubblica Araba d'Egitto, Abd Al-Fattah Khalil Al-Sisi, il seguente messaggio: "Ho appreso con profondo dolore la notizia del vile attentato che ha colpito poche ore fa la moschea di Bir Al-Abed con un drammatico bilancio di morti e feriti. Nella comune lotta contro il terrorismo e l'estremismo religioso - nemici esiziali della libera espressione del culto - l'Egitto potrà contare sempre sul determinato sostegno dell'Italia".


Cari amici, è una terribile strage quella che è avvenuta in Egitto ad opera del terroristismo islamico.

https://www.facebook.com/profile.php?id=100006591672886

Questa volta hanno colpito una moschea nel villaggio di al-Rawdah nel Sinai, dove l’Isis è radicato. Almeno 235 fedeli musulmani sono stati assassinati all’interno e all’esterno della moschea. 125 i feriti gravi. Oggi, venerdì, è la giornata festiva islamica nella quale i fedeli praticanti affollano le moschee nella preghiera del mezzogiorno. I terroristi islamici prima hanno fatto esplodere una bomba all’interno della moschea sovraffollata, poi hanno sparato all’impazzata con i mitra fuori dalla moschea contro i fedeli sopravvissuti in fuga. I terroristi islamici hanno sparato anche contro le ambulanze accorse per soccorrere i feriti.
Prendiamo atto che le principali vittime del terrorismo islamico sono gli stessi musulmani considerati eretici (in questo caso i sufi). Fin dall'inizio l’islam ortodosso si è rivelato violento, infierendo sia al suo interno sia all’esterno. I musulmani piu ortodossi, coloro che ottemperano letteralmente e integralmente a ciò che Allah prescrive nel Corano e a ciò che ha detto e ha fatto Maometto, arrivano a condannare di apostasia l’insieme della popolazione che non si sottomette al loro potere e a legittimarne il massacro. Il problema non sono i musulmani come persone ma è l’islam come religione.
Cari amici, liberiamoci dell’islam come religione per salvaguardare la nostra civiltà laica e liberale. Dobbiamo scardinare tutto ciò che si fonda su Allah e su Maometto. Basta con la menzogna dell’islam religione d’amore e di pace al pari del cristianesimo. Basta con l’ipocrisia del terrorismo islamico che non avrebbe nulla a che fare con l’islam. Noi ci salveremo solo se saremo in grado di far rispettare a tutti, compresi i musulmani, le leggi laiche dello Stato, le regole su cui si fonda la civile convivenza, i valori che sostanziano la nostra civiltà. Andiamo avanti forti di verità e con il coraggio della libertà. Insieme ce la faremo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » sab nov 25, 2017 2:29 pm

Idiozia pura! Quante falsità!


Strage in Egitto, perché i sufi sono diventati bersaglio dei terroristi
Roberto Tottoli
Milano, 24 novembre 2017 - 21:55

http://www.corriere.it/esteri/17_novemb ... resh_ce-cp

La strage dei fedeli nella moschea del Sinai, in Egitto: non è la prima volta che luoghi di culto sufi sono l’obiettivo di jihadisti e radicali

L’assalto terroristico che nel Sinai ha fatto oltre duecento morti ha scelto una moschea frequentata da sufi. Non è la prima volta che luoghi di culto o tombe di sufi sono l’obiettivo di jihadisti e radicali. Il sufismo, la mistica islamica, è stato sovente l’oggetto di diffidenze o di critiche nella storia musulmana, ma mai come nell’età moderna e contemporanea è stato oggetto di attacchi di tale portata. Eppure la storia dell’Islam è segnata dalla religiosità sufi nella stessa misura della speculazione giuridica religiosa o dell’elaborazione di rituali e doveri formali. La fonte di ispirazione è la vita di Maometto con alcuni passi coranici.

Non solo leader politico e guerriero, il Profeta ha lasciato testimonianze di una propria riflessione spirituale e di una condotta morigerata e di rinuncia. Nel Corano alcuni passi lasciano arguire contenuti che vanno oltre la lettera della parola sacra e aprono il campo per un’esegesi spirituale. L’Islam degli obblighi religiosi e dell’Onnipotenza assoluta di Dio lasciava in fondo uno spazio aperto al desiderio personale di avvicinarsi a Dio e comprenderne il significato profondo. I primi sufi emersero così, fin dalle prime generazioni, affinando speculazioni intellettuali e pratiche concrete di astensione e di esercizio spirituale, in modo non molto diverso dalle omologhe esperienze buddiste o cristiane. Accanto ai dottori della legge e agli esegeti enciclopedici che hanno segnato la storia intellettuale dell’Islam, grandi figure di sufi hanno dato corpo al senso spirituale dell’Islam, come al-Hallaj, giustiziato nel X secolo per la sua blasfema proclamazione «Io sono il Vero, ovvero Dio», oppure Ibn al-‘Arabi, nato a Murcia nel XII secolo, che ha lasciato un’opera complessa di insuperate riflessioni intorno al concetto di Unicità dell’Essere.

Eppure il sufismo è stato, a partire dal XII secolo, soprattutto un grande fenomeno sociale che ha progressivamente cambiato il mondo islamico. In questo periodo si sono formate le prime confraternite, veri e propri ordini religiosi, nati intorno a pratiche collettive di recitazione o vincolate da altri rituali atti a consolidare legami tra allievi e maestri. Il loro successo fu tale che le confraternite fiorirono in ogni dove dell’Islam e contribuirono dal XIII secolo all’ulteriore espansione dell’Islam nell’Africa sub-sahariana e nelle isole malesi e indonesiane. L’Islam delle confraternite era sempre quello delle preghiere, del digiuno di Ramadan e degli altri doveri, ma con una devozione che voleva aggiungere ulteriore significato alla fede di ognuno. Vi è stato quindi un periodo, tra tardo Medioevo e inizi dell’era moderna, nel quale ogni musulmano in pratica apparteneva a una confraternita sufi e considerava recarsi con i confratelli a una moschea o presso una tomba di un grande maestro sufi del passato una parte imprescindibile della propria fede. L’irrompere della modernità e della penetrazione coloniale occidentale dal XIX secolo ha stravolto ogni cosa nel mondo islamico e anche le sorti e la percezione del sufismo.

Per gli Occidentali europei i rituali e le organizzazioni sufi erano pratiche popolari che il progresso doveva travolgere, oltre che un ostacolo concreto al controllo coloniale. Le élite musulmane che a queste visioni si ispirarono pensavano la stessa cosa e vedevano nei sufi solo arretratezza e irrazionalità. Dal XX secolo, con la nascita della Fratellanza islamica e del radicalismo, il sufismo è stato oggetto di ulteriori critiche e di attacchi feroci . Il Wahhabismo saudita e anche le varie forme di salafismo la pensano allo stesso modo: il sufismo esprime una sensibilità religiosa inconciliabile con lo stretto dettato delle tradizioni ed è solo frutto di distorsioni e di ricezioni di credenze e pratiche estranee al puro Islam. E da qui opposizione feroce e anche attacchi alle celebrazioni sufi dal Marocco al Caucaso, dal Pakistan all’Indonesia, dove l’Islam delle confraternite ha saputo dialogare con tradizioni locali e diffondere una visione della fede non racchiusa nel dato tradizionale. In ogni regione del mondo islamico sono quindi spesso i musulmani formati all’Islam salafita e i tradizionalisti i più accesi nemici giurati delle confraternite tradizionali e del sufismo in ogni sua espressione.

È in fondo la loro duttilità e adattabilità, seppure declinata nella fede in uno stesso unico Dio e nell’esempio del Profeta Maometto, che dà fastidio e che diventa l’obiettivo dei jihadisti e dei sostenitori di un’essenza formale unica dell’Islam, valida ovunque. L’attentato in Egitto lo testimonia e sottolinea fino a che punto divisioni interne e visioni diverse segnano tutto il mondo islamico. E il jihadismo, in tale realtà, ha come primo obiettivo ogni altro musulmano, come i sufi, portatore di una storia e di un’idea diversa di cosa sia l’Islam.

24 novembre 2017 (modifica il 24 novembre 2017 | 21:56)



Alberto Pento
Maometto è stato il fondatore del nazismo maomettano, il primo assassino e terrorista islamico. Era un invasato idolatra che si è inventato l'idolo Allah. La spiritualità è ben altro dall'idolatria religiosa, specialmente da quella dell'orrore e del terrore. Il primo discriminatore e sterminatore di ogni diversamente religioso dall'Islam è stato Maometto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » dom nov 26, 2017 7:07 am

Maja Mann
https://www.facebook.com/MajaMann/posts ... ment_reply


Alberto Pento Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono
viewtopic.php?f=188&t=2554

Al-Zawahiri (il capo dei terroristi di Al Qaida), tanto per citare un musulmano integralista dei nostri giorni, é un sufi.

Maja Mann
Questa è la tesi di Khomeini. " L' Islam non è una religione dei pacifisti (1942) ", " il discorso alla scuola teologica di feyziyeh

Alberto Pento
Maometto è il fondatore dell'Islam e costituisce la chiave interpretativa, il discrimine e l'esempio su cui giudicare se l'Islam è pacifico o no. Mi pare che la vita, le azioni e le parole di Maometto e tutta la storia dell'Islam di dicano, attestino, confermino che l'Islam è violento e non pacifico e che Allah sia l'idolo dell'orrore e del terrore e che l'Islam sia definibile come nazismo maomettano.

Maometto è stato il fondatore del nazismo maomettano, il primo assassino e terrorista islamico. Era un invasato idolatra che si è inventato l'idolo Allah. La spiritualità è ben altro dall'idolatria religiosa, specialmente da quella dell'orrore e del terrore. Il primo discriminatore e sterminatore di ogni diversamente religioso dall'Islam è stato Maometto.


Roberto Franco
I Sufi sono in realtà assimilabili agli sciiti, soprattutto quelli non duodecimani. Probabilmente molti sufi erano inizialmente sciiti che fingevano di essere sunniti ma mantenevano il livello iniziatico, quindi, de facto, per l'Islam ortodosso, sono idolatri. La stessa dinastia Savafide che convertì la Persia allo sciismo era inizalmente sunnita e sufi.

Maja Mann
Chi sono i sufi e perché i jihadisti li odiano - Il ramo mistico dell'Islam colpito dall' attentato alla moschea egiziana di Rawdah
https://www.agi.it/estero/sufi_chi_sono ... 2017-11-25

Chi sono i sufi e perché i jihadisti li odiano
di Brahim Maarad 25 novembre 2017, 07:28

Non è una moschea qualunque quella che gli estremisti hanno scelto per compiere uno degli attentati più sanguinari della storia recente dell'Egitto, provocando almeno 235 morti e oltre 130 feriti. Si tratta di una moschea a Rawdah, un villaggio di 2.500 anime a 20 chilometri dalla città di Al Arish, nel nord del Sinai egiziano. È considerata una Zawia, un luogo di rifugio per i fedeli sufi, il ramo più spirituale della fede islamica considerato eretico dagli estremisti islamici e che, sebbene non abbia una diretta influenza politica, in Egitto - spiega Jonathan Brown della Carnegie Endowment for international peace si è spesso schierato con i partiti liberali e moderati.

L'attentato di ieri è avvenuto nel venerdì della settimana di nascita del profeta Maometto: giovedì prossimo si celebrerà l'anniversario, una ricorrenza molto sentita dai sufi e respinta dai radicali perché considerata un'innovazione e non ritenuta quindi una festa islamica. Non è la prima volta che i gruppi armati mettono nel mirino i sufi, soprattutto nel Sinai egiziano. In particolare lo Stato islamico, nel 2013, aveva rivendicato gli attacchi ai santuari del Sheikh Abu Jarir nel villaggio Al Mazar e del Sheikh Hamid nel centro del Sinai, tra i luoghi simbolo della dottrina sufi.

Chi sono i sufi e perché i jihadisti li odiano

Nell'ottobre del 2016 l'Isis ha emesso un comunicato con cui ha inserito gli appartenenti alla scuola sufi nella lista delle persone da uccidere per non seguivano i suoi decreti, tra cui il divieto di festeggiare la ricorrenza della nascita del profeta. La rivista del sedicente Stato islamico aveva diffuso l'annuncio di uno dei suoi comandanti in cui minacciava i sufi: "Diciamo a tutti i santuari sufi, sceicchi e i seguaci all'interno e all'esterno dell'Egitto, che non consentiremo l'esistenza di rotte sufi nel Sinai, specialmente in Egitto in generale". Pochi giorni dopo, l'organizzazione terroristica annunciò il rapimento e la decapitazione del maestro sufi Suleiman Abu Heraz (aveva 98 anni). Era il principale esponente della scuola sufi nel Sinai e fu accusato proprio di essere "eretico" e quindi condannato a morte.

Il sufismo è agli antipodi del salafismo, protagonista, quest'ultimo, di diverse ondate terroristiche nei paesi arabi. Proprio l'esigenza di perfezionamento interiore dell'Islam li ha resi sgraditi a quelle correnti islamiste che vedono nell'ortodossia la strada per il 'vero' Islam. "L'origine della parola - spiega l'enciclopedia Treccani - viene spesso riferita al sostantivo f ("lana"), che alluderebbe al materiale del saio indossato dai primi asceti; ma il termine è stato anche fatto derivare da af' ("purezza") o da uffa ("portico"), con riferimento forse al portico adiacente alla casa di Maometto a Medina, sotto cui il profeta aveva ospitato alcuni pii personaggi. Sul finire dell'8 sec. si ha la prima attestazione conosciuta del termine.


Alberto Pento
Maomettani sono, nazisti maomettani in tutto e per tutto.

Francesco d'Assisi, l'Islam e Maulānā Rūmī
03 febbraio 2013
Maurizio Sabbadini
http://www.islamitalia.it/islamologia/s ... orumi.html
Il misterioso ecumenico incontro fra il santo italiano, fondatore della più grande confraternita monastica cristiana e il sultano d’Egitto Malik al-Kamil.
Il parallellismo fra S.Francesco d'Assisi (1182-1226) e il poeta mistico persiano Maulānā Jalāl ad-Dīn Muḥammad Balkhī Rūmī (1207-1273), fondatore della confraternita sufi dei "dervisci rotanti"
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » dom nov 26, 2017 8:12 am

Gesù e il sufismo
Daniele Civettini
3 dicembre 2007

http://www.terrasanta.net/tsx//showPage ... number=910

Dottore in scienze delle religioni, antropologia ed etnologia, membro del Gruppo dei Saggi (organo costituito dall'Unione Europea in vista dei rapporti tra diverse culture nello spazio euro-mediterraneo), nominato dall'Onu nel 2001 come una delle dodici figure mondiali impegnate nello scambio culturale tra i popoli, Skali è profondo conoscitore del variegato mondo del sufismo, su cui ha scritto diverse opere. Questo suo libro è il frutto di una collaborazione con l'orientalista, convertita all'islam, Eva de Vitray-Meyerovitch, scomparsa nel 1999.

Se la delicata disciplina del dialogo interrelioso o interculturale consiste nella capacità di superare le reciproche differenze in vista dell'accoglimento di importanti valori comuni, e allo stesso tempo in uno scambio fecondo dei contenuti più raffinati e universalmente interessanti contenuti nelle diverse tradizioni, in questa duplice accezione Faouzi Skali rappresenta sicuramente un'autorità e un punto di riferimento.

Dottore in antropologia, etnologia e scienze delle religioni, membro del Gruppo dei Saggi (organo costituito dall'Unione Europea in vista dei rapporti tra diverse culture nello spazio euro-mediterraneo), nominato dall'Onu nel 2001 come una delle dodici figure mondiali impegnate nello scambio culturale tra i popoli, Skali è profondo conoscitore del variegato mondo del sufismo, su cui ha scritto diverse opere. L'ultima di queste, Gesù nella tradizione sufi, disponibile per i tipi delle Paoline, è il frutto di una collaborazione con la grande orientalista convertita all'islam Eva de Vitray-Meyerovitch, scomparsa nel 1999.

Nella letteratura sufi Gesù è il «sigillo di santità», allo stesso modo in cui Maometto è il «sigillo della profezia». Il termine «sigillo» indica una dimensione insuperabile, il concretizzarsi massimo di una determinata prerogativa; il termine «santità» descrive il grado di intimità del rapporto tra Dio e l'uomo. In questo senso Gesù è pienamente sufi, perché l'obiettivo della mistica islamica, e quindi l'oggetto della letteratura sufi, è il realizzarsi di un rapporto reale, preferenziale e totalizzante tra Dio e la sua creatura più amata, e questo, quale dono del Dio misericordioso agli uomini, rappresenta allo stesso tempo la possibilità di realizzazione delle più nobili aspirazioni umane e lo spirito medesimo della Sacra Scrittura (che qui si intende come tutto il patrimonio che va dall'Antico Testamento fino al Corano).

Ora, tanto la Scrittura, quanto la vita e la missione dei profeti come Gesù e Maometto, guidano l'uomo aiutato da Dio alla purificazione del cuore rispetto al mondo, ovvero alla «verginità» dove «nasce», anche nel vertice più alto della letteratura islamica, il germoglio della parola di Dio. Secondo queste coordinate l'islam è in grado di «leggere» nell'arco dei secoli non solo la vita di Gesù e Maometto, ma anche quella della madre di Gesù, di Giovanni Battista, di suo padre Zaccaria e degli antichi profeti, cui parimenti viene attribuita venerazione.

In definitiva, per il livello di altissima spiritualità in cui la ricca letteratura islamica giunge a porre le figure principali del cristianesimo, è evidente come il saggio di Faouzi Skali, possa indurre il lettore occidentale a un serio approfondimento dei fondamenti del proprio credo.



Altissima spiritualità?

Ma quali sono i valori spirituali e umani dell'Islam?
viewtopic.php?f=188&t=2580

Maometto (santo o criminale terrorista ?)
viewtopic.php?f=188&t=2030

Islam, Maometto, Allah, Corano e Sharia sono orrore e terrore
viewtopic.php?f=188&t=2644

Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
viewtopic.php?f=188&t=2526
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » dom nov 26, 2017 8:25 am

???

Islam, estremisti salafiti perseguitano i musulmani sufi
gennaio 28, 2013
Leone Grotti

http://www.tempi.it/lattacco-degli-estr ... hpd24hryjI

Intervista a imam Yahya Pallavicini, vicepresidente Coreis: «Dopo la Primavera araba noi sufi, come anche i cristiani, stiamo peggio di prima».

Più di 40 mausolei sufi bruciati o saccheggiati in Tunisia in soli 8 mesi, senza contare quelli distrutti nel centro di Tripoli, in Libia, e a Timbuctu, in Mali. Tra i paesi del Nordafrica, “liberati” dalla Primavera araba o sotto attacco dei terroristi collegati ad Al Qaeda, c’è una costante: la violenza contro i musulmani sufi e la distruzione dei loro templi e mausolei. Attentati che non riguardano solo l’islam, ma tutte le religioni, cristiani compresi. «L’attacco degli estremisti salafiti, corrente minoritaria e puritana nell’islam, contro i musulmani minaccia sia il pluralismo religioso interno all’islam sia le altre religioni, come cristianesimo ed ebraismo» spiega a tempi.it imam Yahya Pallavicini (nella foto), vicepresidente di Coreis (Comunità religiosa islamica italiana).

Solo in Tunisia, in questi due anni i salafiti hanno scagliato attacchi continui alle confraternite sufi.
I salafiti sono degli integralisti che attaccano qualsiasi visione differente dalla loro perché ritengono a torto di essere gli esclusivi depositari di una via spirituale che altro non è se non una ideologia di puritanesimo anacronistico. Questi attacchi purtroppo non sono una novità.

Cioè?
Fratelli Musulmani e salafiti attaccano da secoli i maestri, i sapienti, i santi e i mausolei sufi, cioè tutto ciò che rappresenta la voce autentica di una virtù spirituale presente nell’islam come anche nell’ebraismo e nel cristianesimo.

È strano vedere musulmani che attaccano altri musulmani.
Questi sono fanatici che strumentalizzano la religione per usare violenza ai religiosi veri. Così come attaccano i copti o gli ebrei, si scagliano anche contro i musulmani. Ecco perché cristiani, ebrei e confraternite sufi devono allearsi per evitare di essere schiacciati dagli integralisti ma anche dai laicisti.

Perché i salafiti odiano tanto i sufi?
Il sufismo rappresenta il cuore della dimensione interiore e contemplativa dell’islam autentico e quindi rappresenta per i salafiti, che vogliono diventare il cuore puritano dell’islam, il nemico peggiore. La cosa più curiosa è che i salafiti sono la parodia dei sufi e attaccano da puritani proprio chi porta avanti la dottrina della purificazione.

La Primavera araba ha aggravato la situazione delle confraternite sufi?
Il sufismo ha rappresentato in questi ultimi secoli in Egitto, Libia, Algeria, Tunisia e Marocco un punto di riferimento costante di educazione, di esempio virtuoso, di solidarietà e di sostegno all’integrazione armoniosa tra spiritualità e responsabilità civile. L’ha sempre fatto, anche sotto i regimi. La Primavera araba è nata da problemi sociali, non religiosi, i giovani volevano lavoro e pane ma poi la loro rivolta è stata strumentalizzata da un’ideologia puritana. Ora stiamo peggio di prima dal punto di vista religioso, perché i musulmani, compreso il sufi, come anche i cristiani, non sono più rispettati come prima: questi fanatici pretendono di attaccare sia internamente il cuore autentico della spiritualità islamica sia qualsiasi pluralismo religioso, a cominciare dai cristiani.

Il sufismo è sotto attacco in tutto il mondo islamico?
No, paesi come Marocco e Turchia rappresentano una certa positività. Il Marocco con il re e la società civile sta arginando i tentativi di intransigenza estremista, così come avviene in Turchia. Purtroppo in Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto il rinnovamento politico sta mettendo in discussione il pluralismo prima esistente. Noi che siamo da quest’altra parte del Mediterraneo dobbiamo giocare un ruolo euromediterrraneo che difenda tutti i cittadini nella loro libertà di opinione e tutti i religiosi nella loro dignità di fede, patrimonio indiscutibile per il futuro dell’umanità. Se prevalesse il fondamentalismo laicista da un lato, puritano e bigotto dall’altro ci troveremmo davanti a una gravissima crisi della società civile.


Alberto Pento
A Pallavicini il convertito all'Islam ricordo:
l'Islam è violenza, è orrore e terrore, è cecità e paralisi della ragione, è discriminazione, è sterminio, è disprezzo e rapina, è violazione dei diritti umani universali, è dittatura teocratica, è odio per i non mussulmani infedeli e miscredenti e per i mussulmani ritenuti eretici, è nazismo puro all'ennesima potenza, è disumanità ... lo è sempre stato da Maometto in poi, già nelle opere e nelle parole di Maometto e in tutta la sua storia lungo 1400 anni.
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » dom gen 21, 2018 1:44 pm

L'ISLAM HA CERCATO LO SPIRITO, MA È STATO REPRESSO COL TERRORE. QUI C'È UN ESEMPIO.

Al-Husayn Ibn Mansur Al-Hallaj.

Al-Hallàj (Tur-Iran 858 – Baghdad 922) apparteneva alla corrente islamica del Sufismo. I Sufi sostenevano che Dio fosse fondamentalmente amore e che con lui gli uomini potevano raggiungere un’unione mistica. Il Dio nell’Islam tradizionale era invece un giudice supremo inavvicinabile a cui gli uomini dovevano sottomettersi. Il messaggio del Sufismo era nuovo e destabilizzante per cui i mistici entrarono in contrasto con l’Islam ufficiale, furono accusati di blasfemia ed il loro rappresentante più importante e carismatico Al-Hallàj fu infine condannato a morte sulla croce.

Al-Hallàj era una guida mistica che svolgeva la sua opera tra la gente annunciando e predicando l’amore di Dio per le sue creature. La sua figura era circondata da un alone di santità. Egli sentiva che Dio aveva preso dimora in lui, in un rapporto totale di unità ed armonia. A testimonianza una sua poesia.

IN ME SEI TU

Il tuo Spirito si è mescolato poco a poco al mio spirito.
In mezzo a una alternanza di incontri e di abbandoni.
E adesso io sono Te stesso.

La Tua esistenza è la mia,
per mia stessa volontà intonata ormai alla Tua.
Signore, mio Signore,
ho abbracciato con tutto il mio essere il Tuo Amore.

Mi spogli tanto di me che sento che in me sei Tu.
Ma eccomi ancora qui, nella prigione della vita;
assediato, nonostante tutto, dalla mia umanità.

Strappami via dalla prigione e portami verso di Te.

Sono divenuto Colui che amo e Colui che amo è comparso in me.
Siamo due Spiriti infusi in un solo corpo.

IL MARTIRIO

Quando decisero di condannarlo a morte, ricevette un supplizio particolarmente atroce e crudele. Accettò la sua condanna, come un ulteriore modo per testimoniare il suo amore per Dio agli altri. La sua morte è descritta da ʿAṭṭār come un atto eroico. Quando veniva portato in giudizio, un sufi gli chiese: “Cos'è l'amore?” ed egli rispose: “Lo vedrai oggi, domani e dopodomani”. Fu quel giorno appeso a una croce, dopo che sulla testa gli fu beffardamente messa una corona, fu bastonato, gli furono amputati mani e piedi e lasciato lì tutta la notte, decapitato e bruciato il giorno seguente, dopo che il suo cadavere fu cosparso d'olio. Le sue ceneri furono disperse al vento, il 27 marzo 922, dall'alto di un minareto.
“Questo è l'amore” disse ʿAṭṭār.



Gino Quarelo
Ma siamo sicuri che questo fosse un mussulmano, un vero maomettano, che credesse in Maometto e Allah?
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » dom feb 25, 2018 9:13 pm

???

Cosa c'è dietro le rivolte dei dervisci che ora stanno infiammando l'Iran
Costantino Leoni

http://www.occhidellaguerra.it/cosa-ce- ... ando-liran

Dopo la protesta contro il velo, in Iran è esplosa la rivolta dei dervisci. Nelle ultime settimane le strade di Teheran sono state scenario di numerosi scontri tra forze di polizia e manifestanti, appartenenti ad un movimento sufi sciita chiamato Gonabadi. Le proteste hanno raggiunto un grado di violenza che in pochi si aspettavano: cinque tra agenti di polizia iraniana e milizie basiji sono stati uccisi in tre differenti attacchi, due dei quali sono avvenuti utilizzando vetture scagliate a tutta velocità contro posti di blocco, mentre uno utilizzando un coltello. Nei video ripresi dai passanti, le cui immagini sono presto circolate in rete, si vedono numerose auto date alle fiamme, bombe molotov lanciate contro gli agenti e manifestanti, armati di bastoni che si scontrano contro le forze di sicurezza. Durante gli scontri tra manifestanti e polizia ci sono stati diversi feriti e, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa iraniana Irna, “almeno 300 persone sono state arrestate, tra cui i responsabili delle uccisioni dei membri della polizia”

Per diversi giorni il quartiere Pasdaran, a Nord della capitale, è stato letteralmente bloccato da centinaia di appartenenti alla confraternita sufi Gonabadi che si opponevano all’arresto del loro leader, l’avvocato Noor Ali Tabandeh. Non è la prima volta che i dervisci si riversano davanti all’abitazione di Tabandeh per evitare un suo arresto, ma una violenza simile non era mai accaduta. Ciclicamente reparti della polizia tentano di prelevare dalla propria casa l’avvocato-mistico, ma hanno sempre desistito dinanzi alla difesa dei sufi.

La setta dei dervisci Gonabadi, secondo la Commissione Immigrazione e Rifugiati del Canada, conta almeno 2 milioni di appartenenti in tutto il paese comprese le grandi città come Teheran e Isfahan.

L’Ordine Sufi Gonabadi è uno dei tre rami principali dell’Ordine Sufi Nematollahi che ebbe origine con Shah Nematollah Wali, un maestro sufi vissuto tra il XIV e XV secolo nella città di Gonabad, in Khorasan. I dervisci Gonabadi, affermano (si legge sul loro sito) di credere nella pace, nella sicurezza e nell’uguaglianza, dicono di voler evitare la violenza e di non voler entrare in politica. la vita di Noor Ali Tabandeh però contrasta su questo ultimo punto. Dopo aver conseguito un dottorato in legge, Tabandeh ha fatto della difesa dei dissidenti politici la sua peculiare caratteristica. A prescindere dal regime in vigore in Iran, i suoi clienti sono sempre state personalità politiche critiche verso il potere. Per questo, prima della Rivoluzione Islamica del 1979, Tabandeh difese addirittura il fratello dell’Ayatollah Khomeini, oltre che l’ayatollah Esfahani, all’epoca responsabile dei sermoni del venerdì durante i quali folle di iraniani venivano aizzate contro il regime dello Shah. Dopo la rivoluzione invece passò a difendere i “nemici della rivoluzione”. Il suo cliente più noto fu senza dubbio Abbas Amir-Entezam, un ambasciatore del primo governo post-rivoluzionario accusato nel Dicembre del 1979 di spionaggio a favore degli USA e condannato al carcere a vita. Ad oggi Entezam detiene il triste record di prigioniero politico con il periodo di detenzione più lungo di tutto l’Iran.

Tabandeh fu sempre critico nei confronti della teocrazia e in particolare del velayat-e Faqih (autorità cognitiva del giurista islamico), principio fondante della repubblica Khomenista. Fondò, insieme ad altri giuristi la Society for Defending Freedom nel 1985 e nel 1990 fu tra le 90 prestigiose personalità che firmarono la lettera contro il presidente Rafsanjani condannando alcune delle sue politiche ritenute lesive dei diritti umani. L’aspra critica verso gli Ayatollah non impedì però a Tabandeh di ottenere perfino un posto di rilievo nel governo di Mehdi Bazargan in qualità di Vice Ministro della Giustizia, carica da cui si dimise nel 1980 per protestare contro l’impossibilità di attuare vere riforme democratiche. Un personaggio stimabile sotto tanti punti di vista ma, a dispetto di quanto dice, nient’affatto estraneo alla politica. Sono diverse le foto che ritraggono il Gran Maestro (Shaykh) dei dervisci Gonabadi in compagnia delle personalità più importanti del mondo riformista iraniano. Sono diversi i moventi che spiegano la volontà degli ambienti conservatori iraniani di mettere a tacere una voce scomoda come quella di Tabandeh e non riguardano soltanto le sue amicizie nel mondo politico.

Molti aderenti alla confraternita Gonabadi hanno importanti incarichi nei pubblici uffici e la loro influenza in istituti statali risulterebbe scomoda a diversi esponenti dell’ala più vicina all’Ayatollah. Non è certamente passato inosservato ai detrattori di Tabandeh, la decisione dello shaykh sufi di istituire il 21 febbraio 2009 la “giornata del derviscio”. Una data pregna di significato: il 21 febbraio 1921 l’ultimo sovrano Qajar venne deposto dal generale Reza Khan, primo esponente della dinastia Pahlavi, eterna nemica dei sostenitori della Rivoluzione.

Nel mondo islamico i membri delle confraternite sono perfettamente integrati nelle società in cui vivono e non è facile distinguere un derviscio da un normale musulmano laico. Frequentemente i sufi sono uomini d’affari, imprenditori e dipendenti statali. I Gonabadi in questo non fanno eccezione: la Damdaran, una delle più importanti aziende di latticini di tutto l’Iran, è infatti direttamente dipendenze di uomini vicini alla confraternita.

In molti credono che dietro alle proteste degli scorsi giorni ci siano potenze straniere che hanno tutto l’interesse nella destabilizzazione di un Paese sempre più protagonista in Medio Oriente. Non è un caso che pochi giorni prima degli scontri siano apparsi numerosi articoli legati alle discriminazioni subite dai sufi in Iran su alcuni importanti quotidiani arabi vicini alle posizioni delle petromonarchie sunnite del Golfo. È singolare che a difendere i sufi iraniani siano Stati come l’Arabia Saudita fondata su un’ideologia (wahhabita) che considera i Sufi politeisti e infedeli. È dunque chiaro che in questo caso siamo di fronte ad una strumentalizzazione a fini politici di una protesta che, se fosse avvenuta a Riyad, sarebbe stata trattata nello stesso identico modo.

Le proteste ora si sono placate e lo stesso Tabandeh ha aspramente criticato l’uso della violenza da parte dei suoi, inviando messaggi di condoglianze alle famiglie delle vittime. “Non ho niente a che vedere con certi materiali provocatori postati in alcuni siti web”, ha detto il novantenne leader derviscio, “chiedo a tutti i miei confratelli di seguire soltanto i miei ordini diretti e non fidarsi di finte frasi che mi sono state attribuite”.

Anche per le autorità iraniane il caso sembra, per il momento, chiuso. I responsabili della morte dei cinque agenti saranno perseguiti dalla legge e Tabandeh potrà restare nella sua casa. La miccia però è ormai stata accesa, e le azioni violente dei sufi hanno alzato di molto il livello dello scontro in un Iran che sempre meno riesce a contenere le sempre più frequenti proteste (più o meno eterodirette).
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