Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » mar giu 30, 2020 5:41 pm

Il Vecchio della montagna e i suoi assassini
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2034
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito dei Sufi e del sufismo mistico e buono

Messaggioda Berto » mer mag 19, 2021 7:12 am

Battiato l'ispirato (da cosa e da chi ?) portatore di chissà che messaggio superiore, spirituale, divino e religioso (quello islamico, sufi, nazi maomettano ?).
Anche il povero Battiato è stato vittima del mito dei Sufi.
Vittima dell'illusione ignorante presuntuosa e idolatra che attraverso queste pratiche "mistico-religiose" si possa accedere a Dio, a meglio comprenderlo, ad avvicinarsi di più, a percepirlo di più ...
Si era fatto prendere dall'idolatria mistica del sufismo, confondendo le pratiche mistiche sufi con la spiritualità e senza mai verificare l'idolatria maomettana e il suo portato criminale, malvagio.
Vittima della falsa idea/credenza che il sufismo sia il volto religiosamente spirituale, mistico e umanamente-ideologicamente-politicamente buono dell'Islam.





Gli italiani folgorati da Allah 'La gioia di un Dio vicino'
di MAGDI ALLAM
30 novembre 1998

https://ricerca.repubblica.it/repubblic ... gioia.html

"Ma quelli che credono, siano essi ebrei, cristiani o sabei, quelli che credono cioè in Dio e nell' Ultimo Giorno e operano il bene, avranno la loro mercede presso il Signore, e nulla avran da temere né gli coglierà tristezza". (Corano, Sura della Vacca, versetto 62)

MILANO - L' immagine sembra ispirarsi all' Ultima cena di Leonardo. Al centro di una lunga tavola di legno grezzo siede il nuovo profeta, il "Pioniere dell' Islam in Italia" come ama definirsi Abd al Wahid Felice Pallavicini. Dal corpo perso e fluttuante all' interno di un' abbondante tunica informe bianca avvolta da un mantello nero, emerge la folta barba brizzolata che fa da cornice a due occhi magnetici, quasi spiritati. A 72 anni l' indiscusso capo della Coreis, l' unica comunità di fedeli di Allah rigorosamente italiani e che prende nome dalla tribù di Maometto, esercita un irresistibile fascino ipnotico sui suoi discepoli. Gli adepti siedono composti ed emozionati ai due lati dello shaykh, il Gran Maestro seguace della confraternita sufica Ahmadiyya Idrissiyya. Sono i mistici dell' Islam. Ricoperti da un burnus e un copricapo arabo, ostentano un forte senso della disciplina e della solidarietà. Siamo all' interno di un capannone spoglio e freddo che sa tanto di grotta e rafforza un' atmosfera biblica. Eppure non siamo in Palestina ma in via Meda a Milano. Dalle 9 di sera fino alle 3 del mattino gli adepti della Coreis hanno accettato di rispondere all' interrogativo che più di ogni altro interessa l' opinione pubblica: perché un italiano si converte alla fede di Allah? "Ero un cattolico praticante quando aderii all' Islam nel 1951", inizia lo shaykh Pallavicini, "la mia conversione avvenne sulla base di una riflessione sulle religioni comparate. Sono divenuto musulmano per aver voluto adottare l' ultima rivelazione di Dio. Ma tutti i credenti monoteisti sono buoni musulmani. Musulmano significa sottomissione a Dio. Se l' ebreo e il cristiano si sottomettono a Dio son buoni musulmani e si salveranno perché seguono una rivelazione divina che ha pari validità salvifica". Questa transizione morbida dal cristianesimo all' Islam emerge subito come un incentivo fondamentale a una conversione senza traumi: "Noi siamo contrari all' esclusivismo dottrinale dal momento che il Dio è unico e la Verità è unica. Ognuno ascende alla montagna seguendo la propria rivelazione, Dio dall' alto vede i fedeli delle varie religioni salire da diversi versanti ma siamo tutti orientati verso di Lui". La prima conseguenza è uno shock sul piano dell' identità: "L' italiano musulmano fa scandalo. Gli islamici integralisti non ci considerano musulmani perché non siamo arabi. Gli italiani non ci considerano italiani perché siamo musulmani". Dalle decine di testimonianze raccolte emerge l' importanza capitale dell' esempio concreto di un italiano musulmano nell' opera di conversione di altri italiani. Quando l' Islam viene identificato come una religione italiana, quando si spezza l' automatismo Islam uguale arabo uguale terrorismo, allora l' italiano abbraccia più agevolmente e convintamente la fede di Allah. L' incontro con un altro Grande Maestro sufi, lo shaykh Gabriele Mandel khan, avviene in un seminterrato di un' elegante palazzina di viale Piceno a Milano. Non è un convertito. è un italiano musulmano dalla nascita di origine afghana. Autore di 168 libri, quattro lauree, docente universitario, pittore e psicologo, a 74 anni portati splendidamente Mandel è il khalifa, il vicario generale in Italia della Confraternita turca Jerrahi-Halveti. Tra i circa 150 discepoli italiani spicca il nome del cantante e artista Franco Battiato. Attorno a lui siede una decina di adepti. Waliah Mara Angeleri, 54 anni, dice: "Circa dieci anni fa ho attraversato diverse vie spirituali. Poi ho conosciuto Mandel. Gli chiesi: "Che cosa devo fare per diventare sufi?". Mi rispose: "Devi diventare musulmana". Mi sono bloccata, ero infarcita di pregiudizi nei confronti dei musulmani. Solo tre anni fa ho abbracciato il sufismo, è stato il più bel giorno della mia vita". Fatima Patrizia D' Amico, 45 anni, ex aderente all' ordine dei Terziari Francescani, sottolinea come nella sua conversione sia stata determinante la "completa individualità della fede islamica". Spiega: "Il mio cammino di avvicinamento a Dio è personale, senza intermediari, senza filtri, senza controlli che avrei potuto avere nel cattolicesimo. Nessuno si può intromettere tra me e Dio, nessuno mi deve dire come devo essere". Mandel conferma: "Noi non abbiamo un Papa. Non esiste nessuno che possa dirmi questo è l' Islam. Io sono il solo responsabile del mio rapporto con Dio". L' individualità della fede nell' Islam si presenta come un concetto dottrinale in sintonia con la cultura italiana incentrata sul principio universale della libertà dei singoli. L' ultrasessantenne Abdurrahman Rosario Pasquini, segretario del Centro islamico di Milano e Lombardia, la prima moschea "popolare" italiana costruita a Segrate, racconta: "Venticinque anni fa ho capito che l' Islam è la liberazione dell' uomo dal dominio dell' uomo. Ero un avvocato anarchico, dopo essere stato comunista, e quindi non credevo in Dio. Mi ero separato da mia moglie e non lavoravo più. Ero in una fase di ricerca, di travaglio interiore. L' Islam mi ha aperto gli occhi. L' unico che devo avere sopra di me non è un altro uomo ma il Creatore". Un lungo travaglio alla ricerca di un ordine interiore ha preceduto anche la conversione di Omar Camiletti della Lega musulmana mondiale, 46 anni, musulmano da quattro anni: "Ho attraversato tutte le illusioni del secolo, l' anarco-comunismo, l' esoterismo, la rivoluzione sessuale, la musica, la beat-generation, gli indiani metropolitani, la droga. Quando ho toccato il fondo, un amico italiano musulmano mi ha fatto conoscere l' Islam. Accettando l' Islam ho trovato un equilibrio tra il corpo e lo spirito". Tormentata pure la conversione del coetaneo Hamza Roberto Piccardo, segretario nazionale dell' Ucoii (Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia): "Nel ' 68 avevo 16 anni. Ero di sinistra, ero tra i fondatori dei centri di iniziativa del Manifesto. Poi mi sono spostato su posizioni più estreme, vicino all' Autonomia operaia. Nel ' 75, poco dopo aver finito il servizio militare, ho attraversato il deserto del Sahara con mezzi di fortuna. Lì è successo qualcosa. Ho visto la gente pregare nel deserto e ho cominciato ad occuparmi dell' Islam. Poi mi sono reso conto che vi era un' identità di comportamenti tra i musulmani praticanti che avevano la luce della fede. Io l' ho vista questa luce. Ho acquisito una serenità interiore molto forte, il rapporto con Allah è ogni momento della mia vita, è una dimensione globale". Assolutamente pacata è stata invece la conversione del presidente della sezione italiana della Lega musulmana mondiale, l' ex ambasciatore Mario Scialoja: "Tra l' 87 e l' 88 ho cominciato a leggere il Corano prima di coricarmi. Vi trovai un' affinità di carattere intellettuale. Ho apprezzato il rapporto diretto tra il fedele e Dio, senza intermediari, la sua austerità e spiritualità. E' stato un processo naturale senza alcuna costrizione. Fu così che cominciai a pregare in una moschea di New York". Tranquilla e graduale anche la conversione di Hassan Giulio Soravia, docente di Lingua e letteratura araba all' università di Bologna: "è stato un processo iniziato da bambino. Vengo da una famiglia laica e non andavo a messa. Ho cominciato a studiare l' Islam perché m' interessava la cultura araba. Avevo uno zio paterno egiziano che m' affascinava. La conversione formale è avvenuta in Somalia nell' 89". Approccio culturale all' Islam anche per il giovane Hamza Massimiliano Boccolini, 21 anni, studente di islamistica all' Orientale di Napoli, segretario dell' Associazione islamica Zayd ibn Thabit: "Ero di sinistra, laico e materialista. Militavo nel partito comunista, poi nel movimento studentesco. Dopo la licenza liceale volevo imparare l' arabo. Conobbi un italiano musulmano che insegnava l' arabo nella moschea Imam Boukhari gestita dai somali. Così ho conosciuto l' Islam. Due anni dopo mi sono convertito". La passione per i libri è ugualmente all' origine della conversione all' Islam di Salvo Citarda, commerciante palermitano: "Un giorno ebbi un dibattito su Dio e le religioni con un cattolico e un ebreo. Quest' ultimo disse che il Corano è un pasticcio tra l' ebraismo e il cristianesimo fatto da Maometto. Decisi di conoscere la verità, lessi il Corano e la vita del profeta. L' attimo in cui decisi di diventare musulmano fu nel ' 95. Ero in Tunisia ospite di un uomo che non conoscevo. Ci capivamo a stento. Si presentò e mi regalò un Corano in arabo. Me lo mise tra le mani. Ebbi una sensazione tanto bella che esplosi a piangere abbondantemente di felicità. Tremavo intensamente e non riuscivo a trattenere le lacrime. Quando mi calmai capii che era un segno, che dovevo entrare nell' Islam". Originale la semiconversione di un anziano facoltoso di Mazara del Vallo che ha deciso di sposare islamicamente una bellissima tunisina di 25 anni. A settant' anni suonati ce l' ha messa tutta: ha imparato l' arabo, ha studiato il Corano e si è perfino fatto circoncidere pur di strappare il sì della sua giovane innamorata. Ma contro di lui si è messa la burocrazia: finora non ha potuto sposarsi in moschea perché non riesce a superare l' esame di conversione all' Islam presso l' ambasciata tunisina a Roma. A questo punto, avendo adempiuto a tutti gli obblighi prescritti da Allah e ritenendo di non avere ancora molto tempo a disposizione, l' anziano mazarese ha finito per sposare laicamente la sua bellissima tunisina da cui ha già avuto una figlia. Aiutati che Allah ti aiuta. (5 - fine)


Magdi Allam
https://it.wikipedia.org/wiki/Magdi_Allam
Dieci anni dopo questo articolo in cui si esalta l'Islam, nel 2008 Magdi Allam ha lasciato formalmente l'Islam e si è fatto cristiano, divenendo al contempo un apostata estremamente critico dell'Islam, giustamente presentato come nazismo maomettano che lo ha condannato a morte.

Magdi Cristiano Allam l'apostata, un eroe dell'umanità
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=1854




Battiato parla di sufismo e fa il tutto esaurito
Gazzetta di Reggio
31 ottobre 2005

https://ricerca.gelocal.it/gazzettadire ... ET101.html

REGGIO. Hanno risposto in massa i reggiani all'appuntamento dedicato a Franco Battiato e al sufismo. La Sala degli Specchi del teatro Valli era gremita ieri pomeriggio in occasione dell'incontro tra l'artista catanese e Gabriele Mandel Khan, vicario generale per l'Italia della confraternita sufi Jerrahi-Halveti. Al centro della conversazione (introdotta dall'assessore alla Cultura, Giovanni Catellani) la spiritualità sufi, ma anche i suoi legami con l'arte, la cultura e le altre religioni. La stessa giornata di ieri ha esplorato vari aspetti legati al sufismo, a partire dal cinema (con la proiezione de «Il destino» dell'egiziano Youssef Chahine) alla musica (quella del Trio Sharg Uldusù che ha proposto melodie dell'area mediorientale).
CAMMINO MISTICO.Nell'attesa dell'arrivo di Battiato (giunto in ritardo da Napoli per problemi di aereo) il pubblico presente alla Sala deglio Specchi ha ascoltato con interesse l'introduzione di Mandel, che ha contestualizzato il sufismo all'interno del mondo musulmano, ricordando come i sufi abbiano «perpetuato i valori dell'Islam, perfezionando sempre più l'arte e la scienza». Mandel (che ha elogiato la riproposta delle danze sufi nelle opere musicali dell'artista di Catania) ha pure sottolineato con forza il profondo rispetto dei sufi, come «punta di diamante dell'Islam», per la vita della persona, la pace e le altre religioni.
SAGGI E DERVISICI.Battiato ha poi ricordato il primo incontro con la cultura sufi: «E' avvenuto senza sapere come né perché: semplicemente ne ho sentito il bisogno». Questa sensazione lo ha portato, all'inizio degli anni ‘70, sino alla città turca di Konya, dove ha potuto vedere i «dervisci rotanti», i ballerini immortalati nei versi di «Voglio vederti danzare». «Di quell'esperienza - racconta l'artista - mi colpi molto l'estrema 'bontà" e il desiderio di 'andare alla fonte" di queste persone: qualcosa di simile alla spiritualità di San Francesco».
ARTE.Tracce della passione di Battiato per il sufismo si trovano anche nel brano «Il re del mondo»; ma Battiato ha negato che la musica sufi abbia avuto un influsso diretto sulla sua produzione. «Non ho attinto dalla musica orientale - ha detto - ho piuttosto mutuato da quella cultura un atteggiamento intimo, molto diverso da quello tipico della musica occidentale». Parlando della genesi dell'arte con Susy Blady, accorsa a Reggio in nome dell'amicizia che la lega al cantante, Battiato ha ricordato le fonti dell'ispirazione e del «potere dirompente del suono»; lo stesso che il cantante riconosce a Benigni e che costituisce la prima tappa del cammino sufi verso il perfezionamento. «Il sufismo è la negazione dell'immobilismo - ha aggiunto Mandel - siamo nella terra per cercare, non per trovare».
Il pubblico ha lungamente applaudito Battiato e Mandel, pronto a ritrovare l'artista in serata, per la proiezione del film «Musikanten» e la conversazione con Enrico Ghezzi.
Gabriele Maestri


Alberto Pento
La stupidità degli uomini è ben evidente nel loro farsi incantare da ciò che non si conosce per niente, che viene da lontano e che di presenta come qualcosa di stranamente e magicamente buono, migliore, fascinoso che è la tipica modalità ingannatrice con cui si presenta il male per farsi accettare e per fare man bassa e strage.




Franco Battiato ...segue il sufi ....ha scritto anche una canzone (La polvere del branco - Danze sufi)
23 giugno 2020
https://www.youtube.com/watch?v=THR7Vn_-WcY

https://www.facebook.com/42232625786481 ... 279530492/

FRANCO BATTIATO e la sua conversione all'Islam
NO, non è la ragione principale, ma la seconda. La ragione principale è che l’Islam è PACE, e insegna la fratellanza degli uomini sulla terra. Noi viviamo su questo pianeta per perfezionare noi stessi, e se l’Islam fosse praticato universalmente come fratellanza sotto un unico Dio-Padre, si realizzerebbe il vero socialismo, ognuno in base alle sue capacità, e ai suoi bisogni. L’Unicità di Dio è contenuta in tutti i testi “interni” di tutte le maggiori religioni, per questo è una verità universale.



Battiato e il rifiuto di farsi reclutare dalla politica, su un fronte o su un altro
Battiato volava molto più alto dei suoi critici, specie quando veniva stimolato su un piano diverso dalla musica, come la politica
di Marzio Breda
18 maggio 2021

https://www.corriere.it/politica/21_mag ... 89e2.shtml


Una delle cose che davano più fastidio a Franco Battiato era quel marchio di «ideologo musicale della nuova destra utopica» affibbiatogli con sbrigativa sufficienza quando la sua ricerca intellettuale approdò al misticismo islamico e all’esoterismo. Una fase nella quale alternò – con grande scandalo di chi non lo conosceva – un concerto sacro davanti al Papa a un concerto nella Bagdad di Saddam Hussein.

Inutile dire che volava molto più alto dei suoi critici, Battiato. Specie quando veniva stimolato su un piano diverso dalla musica, per esempio la politica, nella stagione in cui tanti lo consideravano, oltre a un’icona pop, una sorta di guru spirituale. Definizione che non gli piaceva. Si sentiva semmai «un sufi reincarnato», impegnato a cercare «l’unità trascendente di tutte le tradizioni», procedendo in bilico tra Oriente e Occidente. Ma soprattutto respingeva apertamente la nostra «falsa democrazia», intossicata da una «cultura del karaoke che ormai sta contagiando anche le arti maggiori». Tanto più detestava «la pseudodemocrazia perché nega le diversità». Per questo senso di alterità collocava sé stesso dentro una «aristocrazia speciale», intesa non in chiave di arroganza sociale quanto come «uno stato di grazia da conquistare giorno per giorno, alzandosi sopra la mediocrità che schiaccia il genere umano nella nostra epoca».

Passato da «un disco per l’estate» agli studi con Stockhausen, dal pop d’avanguardia alle rivisitazioni di Brahms e Wagner, dai ritmi circolari dei dervisci ai cori dei madrigalisti (senza però trascurare alcuni singolari interessi coltivati grazie all’amicizia con l’amico filosofo e paroliere catanese Manlio Sgalambro), uno come Battiato ovviamente rifiutava di farsi reclutare su un fronte o su un altro e non poteva dunque accettare pagelle politiche. Soprattutto – recriminava – «se vedo che a stilarle sono i bramini dei partiti, una casta il cui modo di parlare già di per sé offende la comune intelligenza». Quindi, aggiungeva, «la sola militanza possibile è quella per affermare il significato del nostro viaggio sulla terra, per l’acquisto dell’intelligenza, per allargare i propri confini percettivi. Ma è una militanza che non prevede proselitismo. È un percorso che si fa da soli, per gradi». Quando si allargava a questi temi, e succedeva nella sua casa di Milo, a mezza costa sull’Etna, Battiato era nella fase della piena maturità, durante la quale intratteneva misteriosi rapporti con alcuni «professionisti dello spirito». Il mondo della clausura, per esempio, al quale – spiegava – lo avvicinava «il silenzio e l’amore per una certa musica che può affinare particolari facoltà e aiutarci a indagare sulle tracce del sacro».



Battiato: un pellegrino musicale ispirato dal sufismo
Redazione Agi.it
18 maggio 2021

https://www.agi.it/cultura/news/2021-05 ... -12587674/


AGI - Invita al viaggio, il pellegrino eremita in costante ricerca di quell’Uno che è l’Amato, che è l’Inviolato, che è l’Origine, che è il Fine. Franco Battiato spentosi stamane nel suo eremo di Milo, sul fuoco mai sopito dell’Etna, a Milo era in pellegrinaggio.

Fermo il corpo, cuore e mente continuavano incessantemente a ricercare quella Luce che innerva e sostanzia la sua produzione artistica più matura e profonda - quella che lascia le sperimentazioni pop ed elettroniche ante litteram di Cuccurucucu Paloma e scende negli abissi delle profonde altezze spirituali di E ti vengo a cercare e di Un irresistibile richiamo, dichiarazioni in musica d’amore e di fede.

Che poi sono la stessa cosa, ed è la sola legge a cui “tutto l’universo obbedisce”. Rapito come in estasi d’amore dalla ricerca spirituale che fa capo alla corrente Sufi dell’Islam più ascetico, Franco Battiato nella musica pregava.

A spiegare ad Agi la filosofia che sta dietro e dentro la spiritualità del Sufismo è Francesca Bocca-Aldaqre, teologa, scrittrice e professore di Cultura Araba alla Società Umanitaria di Milano.

Professoressa Bocca-Aldaqre, di Franco Battiato ricordiamo un memorabile concerto a Baghdad, in cui in arabo cantò le sue canzoni e la sua ricerca di vita: una scelta abbastanza sottotraccia perché non prese posizione netta rispetto alla religione. Cosa distingue però l’Islam tout court dalla ricerca mistica del sufismo?

Ciò che avvicina molti artisti al sufismo è proprio il linguaggio che i Sufi usano, che è quello dell’arte e della poesia, per esprimere le proprie verità. Verità che sono le stesse del Corano: non c’è una separazione né di religione, né di setta, né di dottrina, e alcuni Sufi diranno neppure di gruppo.

Eppure c’era un gruppo di riferimento.

Il contatto Sufi di Battiato, a Milano, fu Gabriele Mandel, di cui fu maestro Hamza Boubakeur. Lo stesso Mandel era un personaggio interessante: studiò con Matisse, D’Annunzio fu suo padrino. E tra le altre cose, Mandel fu anche maestro Sufi della confraternita Halveti Jerrahi, che fu poi la confraternita cui si unì Franco Battiato. Loro praticano la Khalwa, che è una sorta di breve eremitaggio, un ritrarsi dal mondo temporaneamente per poi ritornarci: lui stesso ha fatto questa scelta di ritrarsi in maniera radicale non solo per un motivo di salute ma anche per una volontà spirituale.

Un pellegrinaggio da fermo.

Hamza definiva i Sufi come delle persone in una marcia risoluta, cioè persone che si contraddistinguono per il loro cammino, non per qualcosa di specifico in cui credono o per essere una categoria di persone superiori: ma perché agiscono in una certa maniera.

C’è un’origine precisa, geografica, di questa pratica?

Ogni comunità cala le pratiche nella sua cultura. La confraternita cui faceva riferimento Battiato era di origine turca: è il motivo per cui citava spesso i dervisci rotanti appartenenti all’Impero ottomano.

E l’origine dei Sufi?

Si tratta di una corrente mistica nata quasi contestualmente al diffondersi dell’Islam: risale dunque al 600. La parola è di etimologia incerta: forse dall’arabo per “lana”, che ricorda i vestiti di lana grezza che questi mistici portavano, oppure dalla “suffa”, la panca nella Moschea di Maometto dove andavano a vivere questi eremiti, rinunciando al mondo. Oppure ancora richiama la radice semantica per indicare quei credenti che guidavano i pagani arabi.

Qual è la cifra del sufismo?

Gli stilemi ricorrenti sono i riferimenti al vino, che in Paradiso non mancherà, come allegoria dell’ebbrezza mistica, e al dialogo tra amante e Amato, come simbolo del dialogo con Dio. Ci sono tante pratiche sufi, un’infinità. In comune hanno questo fatto di utilizzare il linguaggio della poesia, dell’arte: ciò rende possibile a molte persone percepire qualcosa, un profumo della profondità spirituale di cui stanno parlando, che invece resta inaccessibile se si consulta solo un testo di spiritualità dell’Islam classico, che usa un altro linguaggio e ha molte premesse per poter essere fruito.

Se una persona invece legge una poesia di Rumi, il più grande poeta Sufi dell’Islam, qualcosa intuisce, e non si sbaglia, perché ciò che intuisce è giusto. Però c’è sempre qualcosa di più. Quelli che fanno parte della confraternita di Rumi, per esempio, tutta la vita leggono le poesie di Rumi, quindi è ovvio che uno a seconda della sua crescita interiore ci trovi sempre nuove cose.

È una continua intuizione, così come il Qoelet della Bibbia, o i Vangeli, o il Corano intero: se smettono di dirti qualcosa di nuovo non sono loro che hanno esaurito il messaggio, ma sei tu che hai smesso di leggere.

È così. Nel sufismo anche il linguaggio della musica è molto utilizzato, anche come musicoterapia in molte confraternite sufi, per guarire diversi mali dell’anima, della spiritualità: la musica è una cura.

La cura.

Infatti: trovo sia molto risonante con la produzione di Battiato.

Per quanto riguarda la danza, ci sono molti riferimenti ai dervisci rotanti. Ci sono diversi modi di avvicinarsi al sacro e pregarlo: il modo della danza è una preghiera, come un’estasi dionisiaca?

Anche qui ci sono diversi livelli. Uno stesso gesto danzante compiuto da diverse persone svela una profondità che deve essere già presente in chi lo fa. Il rituale dei dervisci danzanti è molto codificato, quindi non dobbiamo immaginarlo come una danza spontanea, o una danza che una persona presa dall’estasi si mette a fare. Era così all’inizio: Rumi quando descrive le sue esperienze mistiche descrive questo movimento di rotazione da cui viene preso come una estasi.

Ma poi la sua confraternita, quella Mevlevi, che ha continuato questa pratica, l’ha codificata. Diventa più una riflessione sul ruotare del cosmo, una riflessione quasi astrale, un invito a sciogliersi nella pace e nell’armonia del cosmo. Ovviamente questo rituale della danza, che viene chiamato semà, è accompagnato da musica, da pause, da recitazione di versetti coranici, che hanno una specifica risonanza con queste cose. Alla fine della danza viene recitato un versetto del Corano che dice che a Dio appartengono oriente e occidente e dovunque vi volgiate, dunque, lì è il volto di Dio. Questo fa capire in che maniera queste cose vanno insieme: la danza, il girare, il cosmo, e la parte religiosa.

Legato a questa ricerca cosmica è anche il tema della luce, che torna spesso: dalla simbologia orientale, di marca zoroastriana, al fuoco e alla luce che tornano sempre nell’Islam. L'ombra della luce?

C’è un brano del Corano che spiega esattamente questo punto: è la storia di Abramo, che da ragazzino, insoddisfatto della religione idolatrica della sua tribù, se ne va nella natura, che poi è una pratica che molti Sufi hanno mantenuto per meditare i segni della natura, e vede sole stelle e luna che tramontano, e dice la famosa frase “Non amo chi tramonta”. Tutti i segni nascondono dietro qualcosa.

Questa è la premessa per cui, nel Corano, Abramo diventa poi pronto per la rivelazione divina. L’Islam si vede come la prima religione che è stata rivelata all’uomo: Adamo era già una relazione di quella divinità lì, l’unica. Le religioni rivelate non sono diverse nella loro nascita, ma diverse nella loro evoluzione: secondo l’Islam Dio ad Adamo ha detto le stesse cose che ha detto poi ad Abramo, a Mosè, a Gesù, e a Mohammad con alcune differenze in legge ma mai differenze di credo. L’idea dell’Islam è quella di aver convissuto con questo sentimento dell’uomo di meraviglia, di numinoso di fronte alla natura, ma di essere sempre stato lì un passo prima. Cioè Dio era sempre pronto a rivelarsi nel momento in cui l’uomo fosse arrivato a quel passo, a quel dire “ecco la luce, la luce cosa mi dice”.

E i sufi hanno valorizzato tantissimo questo elemento. Una delle preghiere del breviario della sera è la preghiera della Luce in cui si chiede a Dio “Oh Dio, portami luce nel mio cuore, luce nella mia tomba, luce davanti, luce dietro di me, luce alla destra, luce alla sinistra”: una meditazione sulla luce”.


Alberto Pento
Quante idiozie idolatre, quante falsità, quante demenzialità e assurdità in questo scritto apologetico dell'Islam.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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