Georges Bensoussan accusato dai mafiosi islamici e loro sostenitori, di islamofobia e istigazione all'odio è stato assolto
Georges Bensoussan (Marocco, 17 febbraio 1952) è uno storico francese, di origini ebraiche e specializzato in storia contemporanea.
https://it.wikipedia.org/wiki/Georges_Bensoussan
Il processo contro lo storico Georges Bensoussan si è aperto a Parigi
Rossella tercatin
Parigi, Georges Bensoussan in tribunale. Con lui sotto accusa il vero anti-razzismo
23 Febbraio 2017
http://www.osservatorioantisemitismo.it ... o-a-parigi
Qualcuno non esita a chiamarlo l’Affaire Bensoussan. E se a confermare o meno la portata del paragone con il caso Dreyfus dovrà essere la storia, non c’è dubbio che il processo contro lo storico Georges Bensoussan, che si è aperto a Parigi nelle scorse settimane stia facendo discutere la Francia. A carico dello studioso, uno dei massimi esperti di storia della Shoah, un’imputazione per incitamento all’odio razziale per aver denunciato come nel paese “nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette come l’antisemitismo sia trasmesso con il latte della madre”. Queste parole vengono pronunciate nel corso di un dibattito radiofonico nel dicembre 2015. Nonostante Bensoussan abbia ripetutamente tentato di spiegare che la sua fosse semplicemente una metafora per riferirsi a un pregiudizio culturalmente diffuso, le grandi associazioni antirazzismo d’Oltralpe, Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France (CCIF) lo denunciano. E ora che il caso è davanti ai giudici, accademici, intellettuali ne discutono, interrogandosi su quale sia il suo significato non solo per la reputazione dello storico, ma per il futuro della Francia. Perché la sentenza determinerà il confine della libertà di espressione, e il caso rappresenta anche la contrapposizione, forse mai così netta, fra attivisti che combattono l’intolleranza in ambiti diversi (o almeno dichiarano di farlo). Tra coloro che si sono schierati apertamente con Bensoussan, molti esponenti della comunità ebraica francese, che denunciano il crescente antisemitismo e gli atti di violenza, in massima parte compiuti proprio da giovani di famiglie arabe, ma anche Alain Finkielkraut, uno dei massimi pensatori contemporanei, che conduceva la trasmissione radiofonica nel corso della quale è stata pronunciata la frase incriminata e ha lasciato il suo posto di membro onorario del consiglio del Licra in segno di protesta.
“Questo processo significa impedire qualunque tipo di ricerca o espressione pubblica nei confronti dell’Islam se non per lodarlo” ha dichiarato Finkielkraut in un’intervista radiofonica, denunciando un clima che in Francia si manifesta spesso: a farne le spese, oltre agli stessi Bensoussan e Finkielkraut, anche, per esempio, il saggista Bernard-Henry Levi, accusato di ‘difendere Israele’ e lo scrittore Michel Houellebeq, che ha ricevuto minacce di morte per il suo libro in cui racconta una Parigi del futuro governata dall’Islam politico.
Davanti ai giudici, Bensoussan ha sottolineato come in realtà lui abbia parafrasato quanto viene messo in luce da molti intellettuali musulmani, che però hanno negato decisamente. Tra loro il giornalista Mohamed Sifaoui, che ha dichiarato di essere rimasto scioccato da quanto sostenuto da Bensoussan, in quanto arabo e non anti-semita. Sifaoui ha sostenuto che quanto da lui scritto in un precedente articolo, secondo cui gli arabi “succhiano da capezzoli intrisi di antisemitismo” sia “completamente diverso”.
Lo stesso giudice ha poi fatto notare come tutti gli studi dimostrino che l’antisemitismo sia più diffuso tra i francesi di religione islamica e di estrema destra che nel resto della popolazione.
In una République sempre più in crisi d’identità, c’è chi teme che siano anche episodi come le accuse a Bensoussan a rendere facile il gioco di Marine Le Pen, che con l’estrema destra del Front National continua a guadagnare consenso. Anche se l’esperienza insegna che le campagne elettorali con la loro retorica non sono forse il momento più propizio, trovare delle risposte a questa crisi si fa sempre più pressante. Nel frattempo, la sentenza è prevista per il 7 marzo.
Lo storico francese Georges Bensoussan è stato assolto dall'accusa di istigazione all'odio razziale contro la Comunità islamica
8 marzo 2017
http://www.osservatorioantisemitismo.it ... a-islamica
Lo storico francese Georges Bensoussan è stato assolto dall’accusa di istigazione all’odio razziale contro la Comunità islamica. Il verdetto, pronunciato dai giudici della 17esima Corte penale di Parigi, è stato reso pubblico nelle scorse ore e pone fine a una querelle iniziata nel 2012. In gioco, come più volte ricordato dai filosofi Alain Finkielkraut e Henry Bernard-Lévy, la libertà d’espressione. A far scoppiare il caso, la denuncia presentata da alcune associazioni francesi antirazziste (Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France – CCIF) a seguito di una frase pronunciata da Bensoussan, ebreo francese di origine marocchina e responsabile editoriale del Mémorial della Shoah di Parigi, durante un’intervista radiofonica con Finkielkraut: in Francia, “nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette, che l’antisemitismo è trasmesso attraverso il latte materno”, la denuncia di Bensoussan. Il riferimento dello storico si concentrava in particolare sull’antisemitismo diffuso tra i musulmani delle banlieues francesi, ostacolo alla loro integrazione e retaggio di una tradizione antisemita ben presente nel Maghreb, ovvero nei loro paesi d’origine. Un argomento a cui Bensoussan ha dedicato ampi e puntuali studi, tra cui il libro Juifs en pays arabes: Le grand déracinement 1850-1975 (2012). Distorcendo l’analisi la sua analisi, le associazioni che lo hanno querelato hanno interpretato la sua frase come un riferimento razzista. “Siamo di fronte a un antirazzismo deviato che chiede di criminalizzare un’inquietudine, invece che combattere ciò su cui si fonda. Se i giudici cedono, sarà una catastrofe intellettuale e morale”, aveva messo in guardia Finkielkraut. Ma il tribunale ha dato ragione a Bensoussan pronunciando una sentenza di assoluzione: “le osservazioni incriminate – spiega la Corte – sono state tenute in un contesto particolare” e soprattutto “il reato di istigazione all’odio, alla violenza e alla discriminazione prevede, perché si configuri, un elemento intenzionale”, elemento assente nel caso di Bensoussan.
Non solo, i giudici sottolineano che le parole dello storico non erano un invito a dividere la Francia in due comunità, quella islamica e quella non, ma al contrario un appello all’integrazione della prima nella società francese. “Il convenuto – spiegano i giudici, secondo quando riporta Le Figaro – non può essere accusato di aver suscitato o di voler suscitare un senso di ostilità o di rifiuto nei confronti di un gruppo di persone e ancor meno di aver esplicitamente istigato la commissione di atti precisi contro questo gruppo”. La corte ha anche dichiarato inammissibile la costituzione come parte civile del Collectif contre l’islamophobie en France.
“Gli avvocati del CCIF e alcuni dei testimoni – commentava Bernard Henry Lévy – hanno approfittato di questa insperata tribuna per affermare la loro ossessione, ispirata dagli ideologi e attivisti più radicali del Jihadismo, di un’islamofobia che non sarebbe altro che una maschera del razzismo”. Ma costoro hanno perso. Quello che però inquieta è la direzione che queste associazioni antirazziste hanno preso, come rilevava su questo portale la storica Anna Foa parlando in particolare del Mrap (Movimento contro il razzismo e per l’amicizia fra i popoli): “nato nel dopoguerra con un’impostazione di lotta contro il razzismo e l’antisemitismo, il MRAP si è venuto sempre più trasformando in un movimento volto a combattere esclusivamente il razzismo antimusulmano. Ma sembra che ormai non conosca nemmeno più il significato della parola ‘razzismo’ – spiegava la storica – e si sia tramutato in un movimento filo islamico e di violento attacco a Israele e agli ebrei in genere, tanto da determinare una scissione con gli altri movimenti antirazzisti”.
Bensoussan aveva parlato a riguardo di “terrorismo intellettuale”, che però, come dimostra la sua piena assoluzione, non ha trovato sponda nella giustizia francese.
Tenere sotto scacco la verità: Georges Bensoussan e i suoi censori
Niram Ferretti
http://www.progettodreyfus.com/tenere-s ... oi-censori
Georges Bensoussan è stato assolto. Già questo è clamoroso, che sia stato assolto. Come, uno dei più grandi e rigorosi storici viventi, l’autore di L’eredità Di Auschwitz, Come ricordare, Storia della Shoah, Genocidio, una passione europea, e di molti altri libri fondamentali per comprendere l’antisemitismo, la sua genesi, le sue forme, è stato assolto? Da cosa? Dall’accusa di essere razzista, “islamofobo”. La “colpa” di Bensoussan è stata quella di avere commentato durante una trasmissione radiofonica francese l’affermazione di un sociologo algerino, Smain Laacher, secondo il quale L’“antisemitismo [degli immigrati arabi], è già archiviato nello spazio domestico[…] ed è quasi naturalmente depositato nella lingua. Uno degli insulti da parte dei genitori ai loro figli quando li vogliono rimproverare, consiste nel chiamarli ebrei. Questo tutte le famiglie arabe lo sanno”. E cosa avrebbe detto Bensoussan?, che in queste famiglie “l’antisemitismo si succhia con il latte materno”.
A quel punto è stato esposto al ludibrio pubblico, e accusato in modo infamante di “incitare all’odio razziale”. Il dispositivo dei nuovi custodi della sanità pubblica francese si è attivato prontamente tramite alcune sigle emblematiche (Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France – CCIF).
Si stagliano tra queste associazioni qualifiche nobilitanti come “diritti dell’uomo”, e “collettivo contro l’islamofobia“. Esso è oggi il reato d’opinione par excellence. Si difendono i “diritti dell’uomo” soprattutto quando è l’antisemitismo islamico a essere messo sotto accusa. Strano, perché nessun paese musulmano ha mai aderito alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, preferendo confezionarsi la propria il 19 settembre 1981 e fondandola sul Corano e sulla Sunna.
“Razzismo” e “islamofobia” sono oggi i corpi contundenti con coi la polizia del pensiero colpisce chiunque osi manifestare dubbi o esercitare critiche nei confronti di una fiction narcotizzante che racconta di un Islam intessuto prevalentemente di purezze e incanti.
Infondo a Bensoussan è andata assai meglio di Robert Redeker, il quale, sempre in Francia, per avere attaccato duramente Maometto e l’Islam in uno suo articolo apparso sul numero di Le Figaro del 19 settembre 2006, è da allora costretto a vivere sotto scorta.
Ma Bensoussan non ha attaccato né l’Islam né Maometto, si è limitato a parlare di una realtà precisa, l’antisemitismo insegnato come lessico famigliare in numerose famiglie arabe. E, lo ricordiamo, la sua è stata solo una glossa al commento di un autore arabo-algerino.
In suo sostegno, è intervenuto uno scrittore tra i più noti, algerino anch’esso, Boualem Sansal. In una lettera inviata alla Presidente della XVII Camera penale del Tribunale di Parigi in veste di testimone a favore dello storico francese, Sensal scrisse:
“In Algeria, non c’è e non c’è mai stato, e spero che non ci sarà mai, un affaire Bensoussan. Come non c’è mai stato un affaire Sansal. In Francia, per aver denunciato l’islamismo e attirato l’attenzione del pubblico sulla sua incredibile capacità di attrazione sui giovani privi di riferimenti, e per aver dichiarato che l’islam non è compatibile con la democrazia, sono stato considerato da alcuni un islamofobo. In Algeria niente di tutto questo, esprimo le stesse opinioni, i miei libri vendono e sono letti, i miei interventi in Francia sono ripresi quasi ogni giorno dai media algerini, e spesso duramente commentati, ma mai sono stato accusato di islamofobia. Le parole che si rimproverano a Georges Bensoussan in Francia fanno parte dei discorsi che tengo quasi quotidianamente in pubblico in Algeria… Dire che l’antisemitismo fa parte della cultura islamica, è semplicemente ripetere ciò che dice il Corano, ciò che viene insegnato nella moschea (che è prima di tutto una scuola) e senza dubbio in molte famiglie tradizionaliste. L’antisemitismo è un riflesso acquisito molto presto. Poi la vita farà sì che si praticherà o si respingerà ciò che si è appreso”.
L’assoluzione di Georges Bensoussan smaschera la violenza intimidatoria dei suoi censori, il loro ricatto culturale che si esercita indiscriminatamente contro chiunque osi parlare senza estremismi o isterie, di come l’antisemitismo sia presente e coltivato in un’alta percentuale del mondo islamico. Dire la verità non è né può mai essere un esercizio d’odio.
La legge Gayssot non è applicabile contro gli ebrei
Daniel Reichel
Francia, assolto lo storico Bensoussan dall’accusa d’istigazione all’odio
http://mauriziodangelo.blogspot.it/2017 ... ebrei.html
Lo storico francese Georges Bensoussan è stato assolto dall’accusa di istigazione all’odio razziale contro la Comunità islamica. Il verdetto, pronunciato dai giudici della 17esima Corte penale di Parigi, è stato reso pubblico nelle scorse ore e pone fine a una querelle iniziata nel 2012. In gioco, come più volte ricordato dai filosofi Alain Finkielkraut e Henry Bernard-Lévy, la libertà d’espressione. A far scoppiare il caso, la denuncia presentata da alcune associazioni francesi antirazziste (Ligue des droits de l’homme, Licra, MRAP, SOS-Racisme ainsi que le Collectif contre l’islamophobie en France – CCIF) a seguito di una frase pronunciata da Bensoussan, ebreo francese di origine marocchina e responsabile editoriale del Mémorial della Shoah di Parigi, durante un’intervista radiofonica con Finkielkraut: in Francia, “nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette, che l’antisemitismo è trasmesso attraverso il latte materno”, la denuncia di Bensoussan. Il riferimento dello storico si concentrava in particolare sull’antisemitismo diffuso tra i musulmani delle banlieues francesi, ostacolo alla loro integrazione e retaggio di una tradizione antisemita ben presente nel Maghreb, ovvero nei loro paesi d’origine. Un argomento a cui Bensoussan ha dedicato ampi e puntuali studi, tra cui il libro Juifs en pays arabes: Le grand déracinement 1850-1975 (2012). Distorcendo l’analisi la sua analisi, le associazioni che lo hanno querelato hanno interpretato la sua frase come un riferimento razzista. “Siamo di fronte a un antirazzismo deviato che chiede di criminalizzare un’inquietudine, invece che combattere ciò su cui si fonda. Se i giudici cedono, sarà una catastrofe intellettuale e morale”, aveva messo in guardia Finkielkraut. Ma il tribunale ha dato ragione a Bensoussan pronunciando una sentenza di assoluzione: “le osservazioni incriminate – spiega la Corte – sono state tenute in un contesto particolare” e soprattutto “il reato di istigazione all’odio, alla violenza e alla discriminazione prevede, perché si configuri, un elemento intenzionale”, elemento assente nel caso di Bensoussan.
Non solo, i giudici sottolineano che le parole dello storico non erano un invito a dividere la Francia in due comunità, quella islamica e quella non, ma al contrario un appello all’integrazione della prima nella società francese. “Il convenuto – spiegano i giudici, secondo quando riporta Le Figaro – non può essere accusato di aver suscitato o di voler suscitare un senso di ostilità o di rifiuto nei confronti di un gruppo di persone e ancor meno di aver esplicitamente istigato la commissione di atti precisi contro questo gruppo”. La corte ha anche dichiarato inammissibile la costituzione come parte civile del Collectif contre l’islamophobie en France.
“Gli avvocati del CCIF e alcuni dei testimoni – commentava Bernard Henry Lévy – hanno approfittato di questa insperata tribuna per affermare la loro ossessione, ispirata dagli ideologi e attivisti più radicali del Jihadismo, di un’islamofobia che non sarebbe altro che una maschera del razzismo”. Ma costoro hanno perso. Quello che però inquieta è la direzione che queste associazioni antirazziste hanno preso, come rilevava su questo portale la storica Anna Foa parlando in particolare del Mrap (Movimento contro il razzismo e per l’amicizia fra i popoli): “nato nel dopoguerra con un’impostazione di lotta contro il razzismo e l’antisemitismo, il MRAP si è venuto sempre più trasformando in un movimento volto a combattere esclusivamente il razzismo antimusulmano. Ma sembra che ormai non conosca nemmeno più il significato della parola ‘razzismo’ – spiegava la storica – e si sia tramutato in un movimento filo islamico e di violento attacco a Israele e agli ebrei in genere, tanto da determinare una scissione con gli altri movimenti antirazzisti”.
Bensoussan aveva parlato a riguardo di “terrorismo intellettuale”, che però, come dimostra la sua piena assoluzione, non ha trovato sponda nella giustizia francese
Jean-Claude Gayssot (Béziers, 6 settembre 1944) è un politico francese.
https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Claude_Gayssot
Come parlamentare, è il promotore della legge del 13 luglio 1990 detta "legge Gayssot" che proibisce e sanziona penalmente le tesi revisioniste.
Intervista allo storico Georges Bensoussan sull’antisemitismo contemporaneo
16 Gennaio 2018
Francesco Berti
http://www.osservatorioantisemitismo.it ... temporaneo
L’antisionismo non muore mai
La diffusione dell’ideologia antisionista impone un continuo sforzo di riflessione volto a comprendere la natura di questo fenomeno e il suo rapporto con l’antisemitismo. Ne parliamo con uno studioso noto ai lettori del Foglio, Georges Bensoussan, storico di fama internazionale del sionismo e della Shoah, direttore editoriale del Mémorial de la Shoah di Parigi e della Revue d’histoire de la Shoah, autore di decine di studi su questi temi. Il 13 e 14 novembre scorso, Bensoussan ha tenuto due conferenze a Padova. Il 13, a Palazzo Moroni, è intervenuto su “L’antisemitismo e l’antisionismo oggi”, evento curato dalla Fondazione Italia Israele, Cristiani per Israele e Comunità ebraica di Padova. Il giorno successivo, al Bo – sede dell’università – su “Le sionisme: de la mythologie à l’histoire”, conferenza organizzata dal Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. L’antisionismo sembra sempre più diffuso nella cultura politica contemporanea, in occidente come nei paesi musulmani. Dove affonda le sue radici questo atteggiamento così pregiudizialmente ostile verso il sionismo e verso Israele? “Per l’opinione corrente – risponde lo storico -, l’antisionismo è una ideologia originata nell’estrema sinistra e nel mondo arabo, che ha avuto una crescita notevole dopo la Guerra dei sei giorni del 1967. Pochi sanno, però, che l’antisionismo ha radici molto più antiche, precedenti alla Seconda guerra mondiale, che risalgono alla fine del XIX secolo, e che hanno trovato la prima espressione nell’antisemitismo di una parte della chiesa cattolica e in quello di matrice razziale. E’ questo il periodo in cui si fa largo, come propaggine delle reazioni alla Rivoluzione francese, l’idea del complotto sionista, che viene a sovrapporsi a quella del complotto giudaico. Nel 1897, l’anno del primo congresso sionista tenutosi a Basilea, la Civiltà cattolica pubblicò un primo articolo antisionista. L’idea della restaurazione, per così dire, di uno stato ebraico, veniva percepita come una sorta di affronto verso il cattolicesimo: se la religione ebraica è una religione caduca, è in “L’Europa odierna esalta il multiculturalismo e considera ogni identità nazionale alla stregua. di una identità di morte” concepibile che gli ebrei ritrovino la loro indipendenza politica nella terra di Israele. Per quanto riguarda l’estrema destra, che faceva dell’antisemitismo una questione razziale, essa lanciò, a partire dalla pubblicazione in Russia nel 1903 dei Protocolli dei Savi di Sion, una violenta campagna antisionista. Va notato che nel periodo precedente alla Prima guerra mondiale, gli antisionisti presentarono il sionismo non tanto come il progetto di creare uno stato ebraico, quanto come quello di dar vita a una dominazione mondiale lo stato ebraico sarebbe stato dunque unicamente un pretesto per conseguire questo fine. Pare significativo il fatto che nel 1924 i Protocolli siano stati tradotti in Germania col titolo di Protocolli sionisti. Tra le due guerre, gli antisionisti sostennero che il movimento sionista, grazie alla Dichiarazione di Balfour, stava creando un organo centralizzato di governo allo scopo di dominare il mondo. Questo tema si arricchì negli anni Venti e Trenta di nuovi elementi e in particolare si legò all’antibolscevismo, presentato come un’invenzione ebraica”. Ma quale fu il rapporto del nazismo, capace di elaborare la forma più radicale di antisemitismo, con il sionismo? “Il movimento nazista fu ossessionato dal sionismo fin dal suo sorgere, a partire naturalmente dal suo ideologo Alfred Rosenberg, il quale nel 1919 nel suo primo volume analizzò il sionismo. Rosenberg era un tedesco estone che aveva abbandonato la terra natia a causa della Rivoluzione russa. Quindi in Rosenberg l’antisionismo alimentato dai Protocolli e l’antibolscevismo si saldarono in un’unica visione. Anche Hitler parlò del sionismo nel Mein Kampf, scrivendo che il sionismo chiarisce la vera natura del giudaismo, che è quella di una entità biologica, piuttosto che di una confessione religiosa. Inoltre affermò che l’obiettivo dei sionisti è solo in apparenza quello di creare uno stato ebraico, poiché il suo scopo è la sovversione mondiale e in particolare la distruzione della civiltà occidentale”. Quanto all’atteggiamento antisionista nel secondo Dopoguerra, Bensoussan chiarisce subito che “manifestarsi pubblicamente antisemiti dopo Auschwitz era quasi impossibile. In un certo modo, Auschwitz ha screditato l’antisemitismo. L’antisemitismo prosegui perciò principalmente nella forma dell’antisionismo, nella lotta virulenta per delegittimare lo stato di Israele. Questo è il compito che si pose l’estrema destra dopo il 1945. Si sviluppò una pubblicistica in cui si sostenne che il complotto sionista è guidato dallo stato di Israele, che si prefigge di prendere il controllo del mondo manipolando le grandi potenze. Si posero così le premesse per un incontro tra l’antisionismo e le dottrine negazioniste della Shoah. I negazionisti asseriscono che non vi sono mai stati sei milioni di morti: si tratta di un pretesto per permettere la creazione dello stato di Israele. Se lo stato di Israele ha come unico motivo di legittimità il genocidio degli ebrei in Europa, bisogna provare che il genocidio degli ebrei non ha mai avuto luogo. Ma con la Guerra dei sei giorni cambiò tutto. Da allora, il sionismo venne legato al colonialismo, in un contesto mondiale di decolonizzazione. L’antisionismo virò decisamente a sinistra, legandosi a lotte come l’antirazzismo, l’antimperialismo, l’anticolonialismo appunto. Si arrivò così alla famosa risoluzione del 10 novembre 1975, nella quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite decretò, a larga maggioranza, che il sionismo è una forma di razzismo. Questa nuova giudeofobia prese necessariamente i tratti dell’antisionismo, tanto più che ora si sviluppava prevalentemente a sinistra, dove non ha cittadinanza un antisemitismo che si presenti col suo vero nome. Tuttavia — prosegue — appare evidente il legame tra l’antisionismo attuale e quello sviluppato dall’estrema destra negli anni Trenta del Novecento. Quest’ultimo sosteneva che gli ebrei avrebbero portato il mondo a una guerra mondiale. A partire dagli anni Settanta, gli antisionisti di sinistra vanno predicando che lo stato di Israele precipiterà il mondo nella terza guerra mondiale. Siamo passati dall’ebreo fautore di guerra allo stato di Israele fautore di guerra. Siamo evidentemente all’interno della medesima logica intellettuale”. Quindi l’odio antisionista si abbevera alla stessa fonte dell’odio antisemita? “L’ossessione per gli ebrei prima della Seconda guerra mondiale e l’ossessione per lo stato di Israele dopo la guerra si spiegano col medesimo senso di angoscia collettiva generato dal cattivo andamento delle cose nel mondo e col conforto che la risposta antisemita e antisionista, molto semplice e facile da comprendere, offre a tale angoscia. All’ebreo demonizzato succede lo stato di Israele demonizzato: è la figura del diavolo che viene spostata dal popolo allo stato. L’antisemita — dice Bensoussan — ha bisogno dell’ebreo per esistere, perché l’ebreo è la risposta alle sue paure. Tutti i suoi fantasmi ripulsivi si cristallizzano nell’immagine dell’ebreo. Non è solo il meccanismo del capro espiatorio: è legato a tutto quello che è l’insegnamento del disprezzo, che fa sì che nella civiltà occidentale l’ebreo sia diventato da tempo immemorabile una figura maledetta. Questa immagine si è trasferita dal popolo ebraico allo stato ebraico: il secondo, come il primo, è il figlio del diavolo o diavolo lui stesso, un paria che non si vuole conoscere e frequentare”. Ma allora è possibile dire che, nella misura in cui fa appello alla distruzione dello stato di Israele, l’antisionismo diventa un messaggio genocidario? “Anche in questo caso bisogna rispondere affermativamente, ma occorre fare una distinzione tra l’antisionismo europeo e quello presente nei paesi musulmani. La propaganda antisionista europea si fonda per lo più sulla riprovazione. Quella che viene proposta nei paesi arabi e musulmani invece si presenta molto spesso come un esplicito appello al genocidio, che ricorda la propaganda antisemita radicale sviluppatasi in Europa tra Otto e Novecento. Molto prima di Hitler, a partire dalla metà del XIX secolo, negli ambienti antisemiti tedeschi più estremi circolava già un chiaro messaggio genocidario. Paul de Lagarde, nel 1887, affermò proprio questo: con gli ebrei non si deve discutere, bisogna sterminarli. Oggi troviamo lo stesso concetto in riferimento allo stato di Israele. Si dice che questo stato è di troppo, è un cancro, una peste, una malattia. Alcuni paesi islamici utilizzano l’espressione entità sionista’, non lo chiamano neppure stato di Israele. Questi appelli alla distruzione dello stato sono identici agli appelli di distruzione del popolo ebraico che circolavano in Europa nei decenni precedenti alla Seconda guerra mondiale”, osserva lo storico. Perché, domandiamo, l’Europa sta sottovalutando questa minaccia? “In Europa non si ascoltano le radio arabe e iraniane, non si guarda la televisione né si leggono i giornali di quei paesi. Esiste una agenzia internazionale, Memri, specializzata nello scandagliare minuziosamente quanto si dice e scrive nei media persiani e arabi. Chiunque pub vedere nel sito di questa agenzia i filmati a cui mi riferisco sottotitolati in inglese. Il quadro che ne emerge è catastrofico. Continui sono i messaggi che prospettano la distruzione totale dello stato di Israele. Gli europei sono spinti a sottovalutare questi appelli al genocidio per varie ragioni. La prima è intellettuale. Generalmente, in qualunque epoca, non siamo mai contemporanei della nostra storia: non capiamo la storia che stiamo vivendo e guardiamo sempre il presente con gli occhi del passato. In secondo luogo, c’è arroganza e disprezzo verso chi non si pone in linea con il pensiero dominante. Si accusa di essere islamofobo e razzista anche solo chi mette in discussione alcuni stereotipi culturali. Inoltre, l’Europa deve ancora finire di fare i conti con il senso di colpa per la Shoah. Di qui le accuse a Israele di essere uno stato nazista: se si arriva a credere che gli israeliani si stanno comportando come i nazisti, il senso di colpa si affievolisce, o viene addirittura cancellato”. Inoltre, aggiunge Bensoussan, “a ben considerare, poi, nell’antisionismo europeo rivive l’antica accusa rivolta agli ebrei di essere il popolo deicida. Ecco allora che il palestinese diventa la nuova figura del Cristo sulla croce, come se Cristo fosse stato crocifisso una seconda volta, sempre per colpa degli ebrei e sempre in terra di Israele. Infine, lo stato di Israele disturba perché, pur essendo multietnico, si è costruito sull’identità nazionale ebraica. L’Europa odierna esalta il multiculturalismo e considera ogni identità nazionale alla stregua di una identità di morte, in quanto l’identità nazionale viene vista come una esclusione dell’altro. E’ come se gli ebrei avessero seguito una evoluzione contraria a quella dell’Europa. In ogni caso, il discorso antisionista, che assuma o meno esplicitamente l’appello allo sterminio, è analogo al discorso antisemita prima della Seconda guerra mondiale: prepara alla distruzione, perché la distruzione comincia sempre con delle parole. Ci si abitua all’idea che Israele impedisce di vivere bene nel mondo. Licenza è concessa al genocidio”.
Francesco Berti è professore associato di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli studi di Padova