Coki e nasi ixlam - Omosessualità e nazismo islamico

Re: Coki e nasi ixlam - Omosessualità e nazismo islamico

Messaggioda Berto » lun nov 27, 2017 8:38 pm

Pakistan, migliaia di minori abusati nelle scuole islamiche
Marianna Di Piazza
22/11/2017

http://www.occhidellaguerra.it/pakistan ... -islamiche


Ha sollevato la tunica del ragazzo e gli ha tirato giù i pantaloni. “Stavo piangendo. Mi stava facendo male. Mi ha infilato la maglia in bocca”, dice il bambino che usa la sua sciarpa per mostrare come l’uomo abbia cercato di soffocare le sue grida. “Ti ha toccato?” Annuisce. “Ti ha fatto male?” “Sì”, sussurra. “Ti ha violentato?” Affonda il viso nella sua sciarpa e annuisce. Il figlio di Parveen ha 9 anni ed è stato molestato dal suo insegnante. Come lui molti altri bambini.

In Pakistan sono centinaia le storie come queste. Gli abusi sessuali sono un problema diffuso in tutto il Paese, in particolare nelle scuole islamiche, le madrase. È qui che il clero abusa dei minori potendo contare sul fatto che quello delle violenze è un argomento tabù. Ma soprattutto è raramente perseguibile: la polizia infatti è spesso pagata per insabbiare gli episodi. Inoltre, il sistema legale pakistano permette alla vittima di “perdonare” l’autore del reato e accettare quello che viene definito come il “denaro insanguinato”.

I casi di abusi sessuali in Pakistan sono stati portati alla luce da una recente inchiesta di AP. Negli ultimi dieci anni sarebbero oltre trecento i casi di violenze all’interno delle scuole islamiche, ma si sospetta che gli episodi siano molti di più. “Ci sono migliaia di bambini vittime di abusi sessuali nelle scuole”, ha denunciato ad AP un funzionario che si occupa di registrare i casi di violenze. “È davvero una cosa comune”.

Le madrase

Sono oltre 22 mila le scuole in Pakistan, ma ci sono almeno altre 3 mila madrase non registrate. Le scuole sono finanziate da uomini d’affari, partiti politici religiosi e donatori di altri Paesi e non esiste un’autorità centrale che governi sulle strutture. Tutto ciò rende più difficile prevenire gli episodi di abusi. Ma tutti sono a conoscenza di quello che succede nelle scuole. “Non portare tuo figlio in quella madrasa. Quello che fanno lì è orribile“, affermano alcune donne.

Abusi e minacce

“Mi vergognavo e avevo paura. Mi ha detto che se l’avessi detto a qualcuno, a mio fratello, alla mia famiglia, avrebbero ucciso tutti”, racconta un altro adolescente violentato da un religioso. “L’ho pregato di lasciarmi in pace. Lui si è fermato, ma ha giurato su Corano che sarebbe tornato”. Anche altri compagni di classe sono stati violentati e minacciati dagli insegnanti. Ma la denuncia alla polizia è stata vana. Dalla scuola rifiutano le accuse di abusi e intimidazioni, mentre le forze dell’ordine negano di intimidire le famiglie e favorire i religiosi.

Le condanne

Sono molto rari i casi di condanne. Nel Punjab del sud, un religioso è stato condannato per aver aggredito sessualmente una ragazza minorenne nel 2016 e condannato a 12 anni di carcere e a pagare una multa di 1.500 dollari. Lo stesso religioso, in passato, è riuscito a convincere diverse famiglie a risolvere casi di abuso sessuale a causa dei suoi stretti legami con gruppi religiosi estremisti. Ma questa volta, un gruppo di attivisti locali noto come Roshan Pakistan, o Bright Pakistan, è riuscita a convincere la famiglia della ragazza a resistere.

Spesso però “la famiglia della vittima prende dei soldi per non parlare”. I casi di abusi avvengono soprattutto nelle piccole scuole dei paesi più poveri, dove le persone cedono ai ricatti dei religiosi in cambio di denaro. Anche Parveen alla fine ha ceduto: ha perdonato chi ha abusato di suo figlio e accettato 300 dollari.

Casi di pedofilia

Qualche anno fa il Pakistan è stato scosso da uno scandalo di abusi sessuali dopo che sono stati scoperti 400 video con più di 280 bambini coinvolti. Le vittime, di età inferiore ai 14 anni, sono state riprese mentre venivano stuprate da 25 uomini. Questi ultimi hanno poi accusato le famiglie delle vittime di diffondere i filmati se non avessero pagato 40 rupie per video, l’equivalente di 30 centesimi.
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Re: Coki e nasi ixlam - Omosessualità e nazismo islamico

Messaggioda Berto » lun nov 27, 2017 9:23 pm

L’eros nell’Islam
di Nabil Shokri

http://islamicamentando.altervista.org/eros-islam

Nelle scienze sociali, specialmente quelle politiche, il tema dell’eros nell’islam è stato per anni limitato solo alla tematica riguardante la discriminazione e sottomissione delle donne musulmane. Da una parte questa discriminazione di cui soffre la donna musulmana è un dato di fatto, dall’altra la concentrazione su questo tema, in moltissimi studi politologici, sociologici e piscologici, ha implicato un’ingiustificata trascuratezza nei riguardi del quadro più ampio che dell’eros islamico in generale, in cui la discriminazione della donna rappresenta ben poco rispetto agli altri temi non meno problematici. Il discorso politico-religioso islamico non si nasconde dietro ad una evidente tendenza violenta e dispregiativa nei confronti della donna e questo è ben noto agli studiosi, agli esperti ed ai vari lettori che seguono le notizie quotidiane del Medio Oriente.

Infatti, nelle scienze sociali c’è una disputa sulla compatibilità dell’islam con le norme internazionali che mirano alla protezione dei diritti delle donne e ai diritti umani in generale. Recentemente è cresciuta anche una corrente di pensiero la quale sostiene che questa incompatibilità non sia sufficiente per affermare l’assenza di elementi democratici nell’islam. Il presente articolo sull’eros nell’islam vuole mostrare che le scienze sociali e in particolar modo quelle politiche, non sono riuscite né ad inquadrare il problema in modo preciso, né a scoprire la gravità del problema in sé. Per giungere a questo obiettivo, era necessario basarsi sulle varie fatwa emanate in passato e di recente che delineano il vero spettro di questo eros all’interno del pensiero islamico e dell’opinione pubblica musulmana. Quindi, esaminando queste fatwa, è stato possibile trovare quattro argomenti che più o meno costituiscono i pilastri dell’eros islamico: 1) pedofilia, 2) necrofilia (due fatawa: qui e qui) 3) zoofilia, 4) violenza contro le donne.
Innanzitutto, però, è fondamentale sottolineare che il processo di emanazione della fatwa si avvia nel momento in cui i richiedenti di pareri o consigli religiosi domandano in merito ad una certa questione ad un mufti o anche un religioso qualunque. Una fatwa non si emana mai senza la richiesta di un parere o di un consiglio da parte di uno o più fedeli della religione islamica.

Sorprendentemente il discorso dell’eros islamico si sviluppa su questi quattro sopraindicati argomenti. I risultati empirici mostrano che per la pedofilia, intesa come il diritto del musulmano a sposare una bambina anche a tre anni d’età, occupa uno spazio considerevole all’interno dell’opinione pubblica musulmana. Tanto è vero che sono state trovate sei fatwa che supportano questa attitudine, fra qui 4 emanate recentemente. Così per la necrofilia, che consiste nel diritto dell’uomo musulmano ad avere un rapporto sessuale con sua moglie dopo un numero abbastanza discusso di ore della sua morte. Il caso più eclatante in questo caso è la richiesta di un parlamentare salafita di legalizzare la necrofilia in Egitto nel 2012, oltre alle varie fatwa anche più recenti. Invece per “zoofilia” si intende il rapporto sessuale di un uomo musulmano con un animale e non la zoofilia intesa in senso linguistico-etimologico come semplice amore verso gli animali. Nelle nove fatwa trovate, questa pratica è giustificata con l’esortazione a ridurre l’adulterio. Si conclude poi con la famosa e programmata violenza contro la donna, anche sulla base delle fonti coraniche. Questo argomento rappresenta il tema più discusso e altrettanto cercato sui motori di ricerca. Tali quattro pilastri dell’eros islamico sono stati definiti in questo articolo tramite le varie fatwa che sono state emanate dai vari imam per rispondere a normali fedeli. Per prevenire qualsiasi critica che possa sostenere che questi risultati non occupino spazio nell’attuale opinione pubblica musulmana, era necessario anche vedere l’impatto degli stessi argomenti sui motori di ricerca, per dare un quadro ben preciso dell’eros nell’islam.
Ora si deve avere consapevolezza che le richieste di alcuni musulmani di conciliare i sistemi giuridici degli stati con la sharia, la legge islamica, sono problematiche anche perché la sharia introduce un modello uomo-centrico della società che va al di là di ogni esperienza storica della maggior parte degli stati di tutto il mondo, e non solo in Europa. In più l’islam è un prodotto culturale beduino, frutto dell’intelletto arabo-tribale che difficilmente può far ritenere “normale” la sua bizzarra asserzione dell’eros. Le scienze sociali devono tener conto dell’esistente conflitto tra questa e i vari sistemi giuridici. La tradizionale percezione dell’eros che accomuna tutto il mondo non può essere accomunata alle tribù arabe, che insistono a promuovere l’eros islamico esportando appunto valori tribali non adatti alle società moderne.
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Re: Coki e nasi ixlam - Omosessualità e nazismo islamico

Messaggioda Berto » ven giu 08, 2018 8:49 am

Quei mille gay palestinesi salvati da Israele
L'intraprendente
Gabriele Carrer

http://www.lintraprendente.it/2015/12/86416

Non solo Payam, il poeta iraniano in esilio che, sfoggiando una tatuaggio con una stella di David sul collo, ha dichiarato il suo amore per Israele, al suon di «è il posto migliore sulla Terra, ed il più bello». Sono infatti oltre mille in poco meno di un anno i gay palestinesi scampati da morte sicura trovando rifugio in Israele (gli omosessuali in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza vengono infatti incarcerati con l’accusa di essere collaborazionisti di Israele e qui seviziati e torturati, spesso fino alla morte) . Rights Reporter nei primi mesi di quest’anno ha monitorato la situazione dopo il primo report del 2014 sui gay palestinesi rifugiatisi in Israele. L’organizzazione, in collaborazione con le autorità israeliane e nel rispetto delle norme di sicurezza imposte dalla situazione, ha silentemente favorito l’ingresso di omosessuali palestinesi in Israele.

Rights Reporter non nasconde i problemi burocratici con le autorità israeliane per il riconoscimento dello status di rifugiato, pur affermando la piena collaborazione ed una «totale tolleranza nei confronti dei gay palestinesi che per varie ragioni non hanno ancora ottenuto lo status di rifugiati. Nessuno li ha espulsi, nessuno li ha privati dei loro fondamentali diritti a partire dalle cure sanitarie, nessuno gli ha proibito di fare coppia con cittadini israeliani tanto che le coppie miste (palestinese/israeliano) riconosciute dallo Stato Ebraico di Israele negli ultimi 12 mesi sono state oltre 130 (per la precisione 133)». Ecco i dati riportati da Rights Reporter. I gay palestinesi richiedenti asilo negli ultimi 12 mesi sono stati 1.034 (1.011 uomini e 23 donne). Ad aprile le domande accettate sono state 291 e tutte le altre erano in corso di verifica: nessuno infatti è stato rifiutato da Israele, che ha deciso di fare uno strappo alle sue leggi assai dure per garantire il sogno della libertà.

La storia di Payam non è isolata. Lui, originario della città iraniana di Kermanshah, grazie ad un video sul suo canale YouTube è arrivato in Israele per presentare la sua ultima fatica letteraria. Poi però ha trovato la libertà. La stessa libertà che le associazioni e le autorità israeliane garantiscono ai perseguitati in Palestina. Alla faccia di chi, dall’Onu alle varie ong pacifinte, si stracciano le vesti per i diritti umani citando solo dati di Hamas. Alla faccia di tutte le associazioni LGBT occidentali che sostengono il boicottaggio di Israele, nonostante questo sia l’unico stato in Medio Oriente democratico, dove una persona omosessuale è libera di esprimersi e vivere la propria vita e la propria libertà.
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Re: Coki e nasi ixlam - Omosessualità e nazismo islamico

Messaggioda Berto » lun lug 02, 2018 7:39 am

Palestinesi: Non c'è posto per i gay
Khaled Abu Toameh
1 luglio 2018

https://it.gatestoneinstitute.org/12623 ... mosessuali

L'8 giugno, circa 250 mila persone hanno partecipato al Gay Pride a Tel Aviv. Turisti provenienti da tutto il mondo sono arrivati in Israele per assistere e sfilare all'evento. Il tema scelto quest'anno è "La Comunità fa storia" – un riferimento alla comunità LGBT in Israele.

Nel frattempo, mentre gli israeliani celebravano la tolleranza nelle strade di Tel Aviv, i loro vicini palestinesi erano occupati a fare esattamente l'opposto: chiedere il licenziamento degli autori di un programma tv sui gay nella Striscia di Gaza, basato sulle candid camera.

Questo programma controverso, intitolato "Out of Focus", ha suscitato ferme condanne da parte dei palestinesi, che invocano la punizione dei responsabili per "aver offeso i valori arabi e islamici".

Nella società palestinese e araba, l'omosessualità è denunciata e stigmatizzata. L'omosessualità è illegale sotto il governo di Hamas nella Striscia di Gaza e decine di palestinesi gay sono fuggiti in Israele per paura di essere perseguitati e vessati. Anche in Cisgiordania la legge dell'Autorità palestinese non tutela i diritti degli omosessuali.

Mentre gli israeliani celebravano la tolleranza nelle strade di Tel Aviv, i loro vicini palestinesi erano occupati a fare esattamente l'opposto: chiedere il licenziamento degli autori di un programma tv sui gay nella Striscia di Gaza, basato sulle candid camera. Nella foto: L'8 giugno 2018, decine di migliaia di persone hanno partecipato all'annuale sfilata del Gay Pride a Tel Aviv, in Israele. (Foto di Amir Levy/Getty Images)

Nel corso degli ultimi decenni, molti palestinesi gay sono stati uccisi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Nel 2016, Hamas ha giustiziato uno dei suoi più autorevoli comandanti militari, Mahmoud Ishtiwi, 34 anni, dopo che era stato riconosciuto colpevole di "turpitudine morale" – un riferimento sottilmente velato alla omosessualità. Ishtiwi, che è stato ucciso con tre colpi di arma da fuoco al petto, avrebbe vissuto dignitosamente se fosse stato cittadino israeliano. Se avesse vissuto in Israele, avrebbe potuto partecipare alla sfilata del Gay Pride a Tel Aviv senza dover nascondere la sua identità. Ma viveva nella Striscia di Gaza fra persone che considerano l'omosessualità un peccato punibile con la morte – e che agiscono di conseguenza.

Il caso di Ishtiwi rivela una grossa differenza tra la cultura e la società israeliane le loro omologhe palestinesi.

Israele ha proceduto sulla via della tolleranza e del riconoscimento dei diritti della comunità gay, mentre i palestinesi sono intolleranti come sempre nei confronti di coloro che osano agire e parlare in maniera diversa.

Il clamore suscitato da un programma televisivo sui gay nella Striscia di Gaza è un ulteriore esempio di come la società palestinese sia ancora lontana dal riconoscere e rispettare i diritti della comunità gay. Le riprese del programma, che sono state effettuate di recente a Gaza, mostrano una scena comica in cui un attore fa delle avances sessuali a giovani uomini, come parte di una "candid camera". In altre parole, le avances sessuali non sono reali, ma sono soltanto uno scherzo; le persone prese di mira ignoravano di essere riprese dalle telecamere.

Ma nel mondo palestinese questa non è una cosa su cui scherzare.

Mousa Shurrab, un comico della Striscia di Gaza, e gli autori di questo programma offensivo sono nei guai! In un post su Facebook, Shurrab è stato costretto a scusarsi per il programma, aggiungendo di aver rimosso il video dai social media. "Ci scusiamo con tutti i nostri telespettatori", egli ha scritto. "Il programma è stato sospeso subito dopo la messa in onda. Abbiamo sbagliato e ne siamo pentiti".

Le scuse del comico non sono però riuscite a placare i suoi critici, i quali si sono rivolti ai social media per esprimere il loro disgusto per il programma e per la condotta di Shurrab.

"Che tipo di scusa è questa dopo che lei ha offeso tutti i valori culturali e religiosi per sete di notorietà?" ha scritto Taghreed Alemoure in un commento su Facebook. Molti altri utenti di Fb hanno accusato il comico di promuovere "una anomalia sessuale", facendo anche commenti sprezzanti e lanciando insulti per condannarlo e minacciarlo. "Rimuovere il video non ti esonera da questo crimine morale", ha commentato Mohamed Al-Aila.

Alcuni palestinesi hanno chiesto a Hamas di prendere delle misure contro Shurrab e gli autori del programma. Appello caduto nel vuoto. Il ministero dell'Interno di Hamas ha rapidamente convocato Emad Eid, uno dei produttori del programma, per interrogarlo. Sebbene l'uomo sia stato rilasciato poche ore dopo, Hamas ha fatto sapere che continuerà a indagare sulla faccenda.

L'agenzia di stampa Ma'an, con sede a Betlemme, che è stata accusata di produrre il programma, sta facendo del suo meglio per prendere le distanze. In un comunicato stampa, l'agenzia ha affermato di non avere mai autorizzato la messa in onda del programma e che c'è stata una fuga di notizie sui social media. "Uno degli attori ha postato il programma sui social media con il nostro logo", ha dichiarato l'organo di stampa. "Ci riserviamo il diritto di procedere per via legale contro i responsabili di questo atto illegale". L'agenzia ha inoltre presentato le proprie scuse perché quanto accaduto "danneggia la nostra popolazione e i suoi valori".

Anche l'Autorità palestinese ha aperto un'inchiesta sul programma televisivo, definendolo "dannoso per il nostro popolo e i suoi valori". A Ramallah, il ministero dell'Informazione ha dichiarato di voler promuovere un'azione giudiziaria contro i responsabili del programma.

Che cosa si può imparare da questa polemica destata da una candid camera palestinese? Che fondamentalmente è più sicuro essere un membro di Hamas che un gay. I leader palestinesi preferirebbero di gran lunga vedere i giovani palestinesi uccidere gli israeliani piuttosto che parlare di omosessuali nella loro stessa società. Nel mondo di Hamas e dell'Autorità palestinese, non sono ammessi né l'umorismo né la satira.

Come potrebbe essere altrimenti quando non c'è spazio per i gay o per chiunque altro osi toccare temi che sono tabù? Non è un segreto che nella società palestinese ci siano dei gay, ma le loro esistenze sono piuttosto diverse da quelle degli omosessuali che vivono a poche miglia di distanza, in Israele. È una coincidenza simbolica che la polemica sui gay palestinesi sia scoppiata lo stesso giorno in cui decine di migliaia di israeliani celebravano il Gay Pride a Tel Aviv.

Khaled Abu Toameh è un pluripremiato giornalista che vive a Gerusalemme. È Disinguished Senior Fellow al Gastestone Institute.
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Re: Coki e nasi ixlam - Omosessualità e nazismo islamico

Messaggioda Berto » mer lug 10, 2019 5:19 am

Omosessuale e pro Israele: il candidato sconvolge Tunisi
Chiara Clausi - Mar, 09/07/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 23282.html

Mounir Baatour, 48 anni, avvocato, gay dichiarato e aspirante presidente della Tunisia. scende in campo per le presidenziali. Nel Paese essere gay è ancora reato

Mounir Baatour vuole rompere tutti i tabù nel mondo arabo e punta alla guida di un Paese dove l'omosessualità è ancora reato. Il brillante legale è presidente del principale gruppo di difesa dei diritti Lgbt in Tunisia, Shams, e leader del Partito liberale tunisino. Anche in questa veste combatte per questioni per lui importanti: «L'uguaglianza tra donne e uomini», «la difesa delle minoranze» e «il riconoscimento dei diritti degli Amazigh e delle persone Lgbt». Cancellerà anche l'articolo che «proibisce ai non musulmani di candidarsi alla presidenza». «Dopo tanti anni di lotta per i diritti delle minoranze, - puntualizza - ho capito che nessuno può fare il lavoro meglio di me».

«Se diventerò presidente, avvierò un referendum per cambiare la costituzione e proclamare uno Stato secolare - ha precisato -, l'unica garanzia di rispetto per tutti gli orientamenti politici e religiosi». Baatour sa di doversi scontrare con settori della società ancora molto conservatori ma non ha paura di indicare i suoi nemici. «Considero il partito islamista Ennahdha un incubatore ideologico di estremismo - ha aggiunto - Non permetterò che sia associato a nessuna forma di governo». Baatour è stato in prigione per tre mesi nel 2013, accusato di sodomia, e le attività di Shams sono state sospese diverse volte. In Tunisia l'articolo 230 del codice penale condanna l'omosessualità a «tre anni di reclusione». Secondo Baatour prima «dell'arrivo degli islamisti al potere la persecuzione degli omosessuali era meno comune». Ora è un'urgenza.

La sua candidatura ha scatenato reazioni negative sui social. È stato insultato e accusato di «svergognare» la Tunisia. Alcuni avvocati hanno chiesto la sua rimozione dall'ordine perché ne «comprometterebbe l'immagine». Anche sul suo programma politico ha le idee chiare. «Democratizzare il potere rafforzando il peso del Parlamento e dare più peso alle istituzioni locali». Mentre le sue idee in campo economico, mirano «alla crescita della produzione, alla creazione di posti di lavoro». Sorprendente anche la sua posizione su Israele. «Due anni fa, ha espresso il suo sostegno per l'instaurazione di relazioni normalizzate con Israele - ricorda il quotidiano israeliano Haaretz - e ha detto che sarebbe felice di visitare Israele se ne avesse l'opportunità». «È nel nostro interesse economico e per le relazioni internazionali, non possiamo rimanere prigionieri dell'ostilità verso Israele». Da allora, però ha raddrizzato un po' il tiro. «È necessario il riconoscimento dei diritti dei palestinesi - ha aggiunto - e un accordo di pace. Tunisi potrebbe fare da mediatore».

Ma il suo cavallo di battaglia è la lotta per i diritti Lgbt. Nel gennaio 2019 ha dichiarato al francese Le Point: «Gli omosessuali sono cittadini senza diritti in Tunisia». Qui l'omosessualità è ancora un tabù. La maggioranza dei tunisini crede sia una malattia mentale e ci sono molti che chiedono l'uccisione degli appartenenti alla comunità gay.
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Re: Coki e nasi ixlam - Omosessualità e nazismo islamico

Messaggioda Berto » ven ago 30, 2019 6:29 am

BANGLADESH Giovane bangladeshi rompe il silenzio sugli abusi nelle madrasse: minacciato di morte
29 agosto 2019

http://www.asianews.it/notizie-it/Giova ... SlthPN0mq0

Da piccolo, il 23enne Hojaifa al Mamduh ha subito violenze carnali in tre scuole di Dhaka. Egli descrive il fenomeno degli abusi contro gli studenti come “diffuso e sfrenato”. Accusato di essere un “agente degli ebrei e dei cristiani”.

Dhaka (AsiaNews/Agenzie) – Ha infranto sui social il tabù degli abusi sessuali compiuti all’interno delle madrasse (scuole coraniche) in Bangladesh, e per questo merita una “giusta morte”. È il 23enne Hojaifa al Mamduh, ex studente di tre scuole islamiche di Dhaka. Nel mese di luglio egli ha scritto una serie di post sul suo profilo Facebook in cui descrive le violenze carnali “diffuse e sfrenate” subite dagli alunni delle scuole coraniche, cui egli ha assistito e subito sulla propria pelle quando era bambino.

In Bangladesh gli abusi sessuali sono venuti a galla con il caso di Nusrat Jahan Rafi. La studentessa di 19 anni è stata violentata dal preside della sua scuola a Feni (sud-est del Paese), che poi pretendeva il ritiro della denuncia. Di fronte al rifiuto della giovane, l’uomo l’ha attirata con l’inganno sul tetto della scuola e le ha dato fuoco. È morta dopo quattro giorni di agonia.

Ispirato dal coraggio della ragazza, al Mamduh è stato tra i primi a scoperchiare il fenomeno degli abusi sessuali perpetrati da presidi e insegnanti nelle scuole religiose islamiche del Paese. Dopo di lui, tanti ex studenti hanno seguito l’esempio e denunciato le violenze e le pressioni subite per mantenere il silenzio. Grazie alle denunce degli abusati, il Paese ha scoperto una dinamica molto diffusa nelle migliaia di madrasse sparse su tutto il territorio, dove studiano soprattutto studenti di famiglie povere, che non avrebbero altri mezzi per mandare i propri figli a scuola.

È proprio la povertà e la paura delle famiglie a mantenere il segreto per anni. Abdus Shahid, capo dell’associazione Bangladesh Shishu Odhikar Forum che difende i diritti dei minori, dichiara che “per anni i crimini hanno eluso i riflettori a causa della sensibilità dell’argomento. Musulmani devoti mandano i loro figli nelle madrasse, ma non parlano delle violenze perché temono che questo possa danneggiare le istituzioni religiose”.

Ora al Mamduh è accusato di essere “un agente degli ebrei e dei cristiani” e di aver sporcato “l’immagine sacra” della madrassa. Un altro utente gli augura la fine di Avijit Roy, famoso blogger ateo ucciso a colpi di machete per aver denunciato l’estremismo islamico.
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Re: Coki e nasi ixlam - Omosessualità e nazismo islamico

Messaggioda Berto » mer dic 18, 2019 7:52 pm

Nel mondo mussulmano, specialmente nei paesi del Magreb e del medio oriente sunnita, l’omosessualità maschile è molto più diffusa di quanto non si creda. Molto di più che nel mondo occidentale.

https://www.facebook.com/groups/1349427 ... 411776591/

Alla base di questa diffusione c’è ancora una volta l’islam. I motivi principali sono 2 ed interconnessi.

Il primo è che per gli adolescenti, che sono immersi in una zuppa di ormoni, è praticamente impossibile avere rapporti sessuali con l’altro sesso sino all’età adulta per il rigido controllo che l’islam opera sulla morale femminile. Quindi per soddisfare la naturale pulsione sessuale i maschi iniziano, praticamente tutti, ad avere rapporti tra di loro non appena usciti dalla pubertà.

L’altro motivo è che nel corano, Maometto impone ai suoi fedeli di “non spargere il seme nel deserto’ (perché non germoglia). Il seme simboleggia la stessa religione islamica, mentre chi semina è il Profeta Muhammad.

Per estensione il seme che si pianta e germoglia, è stato assimilato nelle interpretazioni successive, al seme umano maschile. Naturalmente con la maturità la maggioranza abbandona l’omosessualità per rapporti eterosessuali.

Ma nei ricchi paesi della penisola arabica, l’omosessualità, viene praticata, quasi ritualmente, almeno una volta l’anno. Gruppi di 15-20 adulti ed esclusivamente solo maschi, una volta l’anno, per una decina di giorni, si ritirano nel deserto caricando sui loro SUV extralarge tende, vettovaglie e viveri per rivivere quell’esperienza giovanile.

Nell’ipocrisia che regna nel mondo arabo, tutti lo sanno, ma deve essere uno status da tenere rigorosamente nascosto, pena sanzioni gravi che possono arrivare sino alla condanna a morte.
L'immagine può contenere: una o più persone, persone in piedi e spazio al chiuso
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