Islam come mafia politico religiosa e jihad

Re: Ixlam come mafia rełijoxa e jihad

Messaggioda Berto » gio ago 11, 2016 7:55 pm

Marocchino denuncia il fratello estremista e dalla comunità arrivano minacce di morte
Fouad lavora come operaio in un’azienda in provincia di Padova
28/07/2016
andrea de polo
Franco Giubilei

http://www.lastampa.it/2016/07/28/ester ... agina.html

Fouad e Adil Bamaarouf. Due fratelli marocchini, entrambi di Monselice (Padova). Fouad, 43 anni, operaio in un’azienda della zona, nessun conto aperto con la giustizia, ha denunciato Adil, 37 anni, che dopo aver perso il lavoro ha iniziato a inneggiare all’Isis, ha giurato «Farò esplodere Roma» ed è stato espulso dall’Italia con un provvedimento firmato dal ministro Alfano in persona. Eppure, oggi, il condannato (a morte) tra i due è Fouad, quello «pulito». Tradito due volte. Da una fetta della comunità islamica locale, che gliel’ha giurata: «Hai venduto un nostro fratello, la pagherai». E anche dall’Italia, perché da quando la sua storia è diventata di pubblico dominio nessuno vuole più affittargli casa. Paura di ritorsioni, poca voglia di immischiarsi. Il contratto di affitto di Fouad scadrà il 6 novembre e non sarà rinnovato. Ieri, con la «regia» del segretario provinciale leghista Andrea Ostellari che ne ha sposato la causa, il marocchino ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Aiutatemi. Non ho fatto niente di male».

Un aiuto, per così dire, gliel’avevano offerto alcuni suoi connazionali. Dopo aver denunciato il fratello ai carabinieri, un anno fa, a casa Bamaarouf si è presentato un sedicente emissario della comunità islamica. «Mi ha chiesto se era vera la storia della denuncia» racconta Fouad «mi ha messo paura, e all’inizio ho negato tutto. Allora mi hanno offerto soldi e aiuto per la casa, ma solo se avessi pubblicato un video in cui scagionavo mio fratello. Sarebbe stato troppo, e ho rifiutato. Ho risposto che non mi serviva niente. Da quel momento nessuno mi parla più, e ricevo minacce anonime sul cellulare. Pazienza, in moschea non ci andavo nemmeno prima, ho visto troppe teste calde».

A riprova che i sospetti di Fouad erano fondati, Adil fu espulso lo scorso 29 dicembre dopo essere stato seguito per diverse settimane. Biglietto di sola andata per il Marocco, ma oggi potrebbe essere ovunque, anche in Siria. «Con me non parla più, perché dice che l’ho venduto» spiega ancora Fouad. «Era venuto a stare da me dopo aver perso il lavoro. Aveva in piedi una causa col titolare, e da allora ha iniziato a prendersela con gli italiani. Odiava il mondo. Si svegliava alle 11 perché di notte guardava i filmati di propaganda dell’Isis in rete. Quando ha iniziato a parlare di minacce concrete l’ho denunciato». Ora Adil è lontano, quello che preoccupa è l’affitto che scade: «Entro nelle agenzie, mi trovano l’appartamento, poi controllano il mio nome in internet e mi richiamano. Il proprietario non è più disponibile, rispondono. Hanno paura. Loro. Io no, perché ho fatto una cosa giusta. Per mio fratello, per l’Italia, per tutti».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ixlam come mafia rełijoxa e jihad

Messaggioda Berto » gio ago 25, 2016 3:26 am

L'ex sceicco Harmand da "Quelli della notte" a "quelli che cucinano"
Negli anni '80 fu preso di mira per avere interpretato un improbabile arabo nello show di Renzo Arbore. Oggi fa il cuoco e scrive libri: "Sono nato a New York. E sono rinato un'altra volta quando sono arrivato in Italia"
Nino Materi - Lun, 15/06/2015

http://www.ilgiornale.it/news/andy-luot ... tect=false

Ma la vera domanda è: Andy Luotto è bbuono o no bbuono? Lui, l'inventore del tormentone anni '80 che spopolava nel caravanserraglio arboriano di Quelli della notte , è ancora indeciso («come tutte le persone del mondo sono un po' bbuono e un po' no bbuono...»).

Doppia opzione che fece anche da titolo a un - tutt'altro che memorabile - 45 giri inciso con Silvia Annichiarico («in copertina c'era lei con la frangetta rossa e io con la tuta dell'eroe SuperAndy...»). E «super» Andy lo è sempre rimasto; non a caso Wikipedia ne fa un ritratto lusinghiero: «Attore, doppiatore, conduttore televisivo, scrittore, chef, divulgatore gastronomico e fondatore di celebri ristoranti». Andy fa il modesto: «Non sempre ho avuto successo, ma va bene così...».

Spazio alla sua presentazione fai-da-te: «Piacere, André Paul “Andy” Luotto, nato a Brooklyn e rinato in Italia, con trascorsi nel mondo dello spettacolo. Sono uno di quei cuochi che amano sedersi a tavola con i commensali. In quelle occasioni si raccontano storie, esperienze, opinioni. E allora io sono Andy, scampato al riformatorio, mandato in Italia per punizione, lanciatore di missili, cuciniere per sceicchi e pigmei, quasi arrestato in Canada, adottato dalla città di Napoli, cicerone a Roma, pubblicitario a Bari, showman con una velina scimmia, cugino di un beato, maoista mancato, pescatore bombarolo...».

Luotto ha 65 anni (è nato a New York il 30 luglio 1950), potrebbe fare un primo bilancio della sua vita, ma la parola «bilancio» non lo entusiasma più di tanto («sa di chiusura di un ciclo, ma io preferisco guardare avanti...»). Anche se, guardando indietro, di cose ne ha fatte tante («mi sono divertito, ho avuto grandi soddisfazioni, ma ci sono stati anche momenti difficili...»); una disavventura per tutte: la vicenda dello «sceicco Harmand».

È trascorso un quarto di secolo, ma Andy ha ancora un comprensibile timore a parlarne. Lui, «proto-vittima» dell'integralismo islamico sa bene che oggi, in tempi di Isis, la situazione è peggiore rispetto a quel lontano 1985, quando i fanatici di Allah lo picchiarono, lanciarono sul suo capo una fatwa che lo costrinse ad abbandonare il personaggio dello «sceicco Harmand», uno tra i più divertenti sfornati («il verbo sfornare mi piace, sa di pane caldo...») dalla cucina pazzoide di Quelli della notte di Arbore. Andy ricorda come la vicenda Harmand rappresenti «un incubo che non vuole più rivivere...». Sul web circolano sketch esilaranti di Harmand, costatigli però momenti drammatici tra pestaggi sotto casa ed esclusione dal programma. Anche in Rai, all'epoca, giunsero lettere di minaccia e l'azienda provvide al «licenziamento» di Harmand per ragioni - diciamo così - politically correct . Recitava il comunicato Rai di allora: «Non è nostra intenzione offendere il mondo arabo, ragion per cui l'azienda non manderà più in onda il personaggio di Harmand».

«Un paradosso - rievoca oggi Andy -, considerato che quella caratterizzazione non offendeva proprio nessuno, tantomeno il mondo arabo. Si trattava, al contrario, solo di una maschera umoristica originale e fuori dagli schemi». Insomma, un'invenzione geniale e per nulla blasfema. Sull'argomento oggi Luotto taglia corto: «Misero sulla mia testa una taglia, mi picchiarono sotto casa e minacciarono la mia famiglia. Per sei mesi fui scortato della Digos... Finché non ti aggrediscono e non sei nel mirino, non capisci di cosa sono capaci». Il tutto solo per un po' di satira politica: «Macché satira politica. Io sono solo un comico. L'imitazione me l'avevano ispirata proprio alcuni amici musulmani. Esiste infatti anche un islam progredito e civile che nulla ha a che fare con quel fanatismo violento che invece mi mise nel mirino...». Momenti di sconforto? «Sì, tanti. Ma poi grazie anche a mia moglie Antonella e ai miei figli ho sempre saputo reagire». Oggi Andy Luotto vive serenamente la sua «seconda vita»: «Che poi coincide con la prima, considerato che ho sempre fatto l'attore e cucinato fin da bambino». E a merenda, nessun dubbio: meglio la Nutella del kebab...

La passione di Andy per la cucina è nata per esigenza: «Fino all'età di 15 anni sono cresciuto a New York con mio fratello e mia mamma, scienziata, plurilaureata. Tra insegnamento e ricerche, mamma non aveva molto tempo per cucinare, perciò spesso e volentieri il compito era mio, cosa che peraltro che non disdegnavo affatto». Nel 1965 Andy arriva in Italia, il papà vive in una casa patrizia, grande e mandata avanti da servitù 24 ore su 24. «Maria, la cuoca - ricorda Luotto - diventa subito la mia migliore amica. Pur non parlando io l'italiano e ancor meno lei l'inglese, l'intesa fu immediata e straordinaria: passavo più tempo con lei in cucina che sui libri del mio prestigiosissimo liceo».

Intanto a scuola lo avevano soprannominato «the cook» (il cuoco) e spesso cucinava per i suoi professori prima di un esame importante. Per tre estati di seguito gli fu offerto un lavoro a Palazzo Brandolini a Venezia. «Gli insegnamenti del grande cuoco Vincenzo Listelli, sono rimasti con me fino a oggi: prima regola mai risparmiare sulla qualità della materia prima; seconda regola la pulizia sempre».

Torna in America nel 1969 dove, in tre anni e mezzo, si laurea in Scienze della comunicazione all'università di Boston. E naturalmente si mantiene agli studi «cucinando nelle case dei ricchi». Appena laureato torna in Italia disertando la chiamata sotto le armi («per non andare in Vietnam...»). Gira il mondo dall'Inghilterra al Sudan, dai Giappone alle Galapagos, («realizzando più di 150 documentari, la maggior parte didattici, commissionati dai ministeri dell'Educazione...»). È ovvio a questo punto che ovunque fosse andato, finiva sempre che la sera cucinava lui, sia che ci si trovasse nel deserto o in un palazzo reale. «Sono sicuro - ammette - che la maggior parte degli appalti ottenuti dalla mia piccola società siano avvenuti grazie a una sorta di “comunicazione gastronomica”».

Ricky Tognazzi dice di Andy: «È un cuoco che sarebbe piaciuto tanto anche a mio padre Ugo». E poi: «Sfogliando il suo libro Padella story mi viene in mente Ugo che, proprio come Andy, ha saputo coniugare vita e arte culinaria in gustosissimi libri, dove succulente e inedite ricette si coniugano con il racconto della sua esistenza». Insomma nei libri di Andy Luotto, come nei «suoi» ristoranti, c'è una «grattugiata» di tutto: passione, umorismo e sentimenti. Ingredienti fondamentali per cucinare un piatto di classe.

Ma in questa grande insalata di passioni umane, non poteva certo mancare una spolverata di considerazioni salate assai: «Il bel sogno europeo è diventato un incubo: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (tra i paesi più belli del mondo) sono ora i Pigs (acronimo che significa “maiali” in inglese). Aggiungiamo la nostra spaventosa denatalità e quale futuro ci aspetta?».

Ma Andy, cosa mi combina? Si mette a fare il santone trombonesco? «Macché “trombone”, bisogna reagire. Ma quali sono i modelli da seguire? Le ideologie si sono rivelate film d'orrore». Immaginiamo che il nostro Paese si trasformi in un Ristorante Italia, come gestirlo? «Quel che si capisce al volo è che un ristorante è una cosa seria, mentre un paese - per niente. Può permettersi maniaci, buffoni, incompetenti, e ladruncoli. L'enogastronomia è invece l'ultimo baluardo: l'unica arte dove vigono i vecchi concetti “religiosi” del buono, del bello e del vero. La sola arte che si mangia e deve essere digerita». Intossicazioni permettendo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ixlam come mafia rełijoxa e jihad

Messaggioda Berto » sab feb 11, 2017 9:14 pm

Il profeta pericoloso.
novembre 15, 2015
Traduzione dell’articolo di Hamed Abdel-Samad pubblicato qui. Abdel-Samad è uno scrittore di origine egiziana naturalizzato tedesco. Figlio di un imam sunnita e un tempo membro dei Fratelli Musulmani, ora è dichiaratamente ateo.

https://wrongdoers.wordpress.com/2015/1 ... pericoloso

Molti mussulmani sono tuttoggi prigionieri della figura misteriosa di Muhammad, il quale visse nel VII secolo. Ma anche il Muhammad storico è un prigioniero: dell’eccesso di venerazione da parte dei mussulmani e della loro pretesa che sia un personaggio intoccabile. L’onnipresenza del profeta nell’istruzione e nella politica e l’esagerata enfasi che si dà alla componente religiosa in molte società islamiche impediscono di poter ricorrere ad altri esempi in base ai quali formare la propria identità. Ogni cosa risale a lui, la sua presenza aleggia dappertutto e determina la quotidianità dei cittadini, politici e teologi mussulmani. Al contempo, il legame emotivo dei mussulmani con Muhammad e la sconsiderata sovrastima del profeta impediscono un confronto storico-critico col fondatore dell’islam.

Quand’ero ancora un fervente mussulmano, pensavo di conoscere tutto su Muhammad, solo perché avevo letto la sua biografia, il Corano e i suoi numerosi hadith (i suoi detti extra-coranici). Tuttavia, come studioso, era necessario che stabilissi una certa distanza critica. Quanto piú mi occupavo di Muhammad, tanto piú mi sembrava di avere in mano un mazzo di tarocchi. Alcune di queste carte davano fiducia e speranza, mentre altre erano terrificanti. Qui appariva come il predicatore meccano dedito all’argomentazione etica, altrove come l’intollerante signore della guerra medinese. Qui come l’essere umano che raccomandava la compassione ed il perdono, altrove come il criminale genocida ed il tiranno psicolabile.

Per tale ragione, non avevo intenzione di scrivere una nuova biografia di Muhammad, quanto, invece, di adottare un approccio del tutto personale alla sua vita, per arrivare ad una specie di resa dei conti. A tale scopo, non mi baso solo su canoni di valutazione odierni, ma anche su criteri morali e sociali di quel tempo, dacché, anche dal punto di vista dei suoi contemporanei, Muhammad ha compiuto molte azioni deprecabili. Inoltre, mi sforzo di capire le ragioni politiche e psicologiche delle sue azioni.

La bramosia di potere e di riconoscimento.

Muhammad era un orfano che non crebbe con la propria famiglia, ma fu nvece allevato da beduini estranei. Tornato alla Mecca, pascolava come schiavo le capre della propria tribú, dalla quale, evidentemente, non veniva preso molto in considerazione. Gli mancarono non solo l’amore e la cura dei genitori, ma anche figure di riferimento. Al ruolo di guerriero solitario era predestinato dalla nascita. Piú avanti, sposò una ricca vedova e nell’impresa di lei divenne un carovaniere di successo. Era benestante e fortunato. Eppure, all’età di 40 anni precipitò improvvisamente in una crisi esistenziale. Vagava da solo per il deserto, meditava in una caverna, aveva visioni e sosteneva che le pietre gli avrebbero parlato. Soffriva di crisi d’ansia e contemplava il suicidio. E credeva che una rivelazione gli sarebbe stata inviata dal Cielo.

Una seconda svolta nella vita di Muhammad fu segnata dalla sua emigrazione a Medina. Lí non solo venne fondato il primo stato islamico, ma si manifestò altresí il profeta violento che per i propri scopi passava anche sul cadavere del prossimo. La differenza fra il Muhammad della Mecca e il Muhammad di Medina è la stessa che passa fra il giovane Lenin teorico marxista e il Lenin capo di stato sovietico. Dopo la conquista del potere, i principi un tempo tenuti in alta considerazione finirono sempre piú sullo sfondo: la logica del potere e la paura del tradimento determinarono quasi tutto. Alle guerre dovettero seguire altre guerre e Muhammad iniziò un’ondata di conquiste ineguagliate che segnano il mondo ancor oggi.

La sua personalità ambivalente si vede anche dalle relazioni con le donne. Non si comportava come un tiranno, bensí piuttosto come un bambino che soffriva di paura della perdita, cosa che influisce tuttoggi sulla condizione delle donne mussulmane. L’imposizione del velo, la poligamia e l’oppressione sono da imputare alle paure di Muhammad. Tuttavia, parlò anche molto positivamente delle donne, al punto che alcuni mussulmani pensano che lui, le donne, le abbia liberate.

Muhammad bramava potere e riconoscimento e li cercò sia presso le donne che in guerra. Soltanto negli ultimi otto anni della sua vita combatté piú di 80 guerre. Ma fu solo all’ombra delle spade che ottenne il riconoscimento cui aveva sempre ambito. Però piú diventava potente, piú era dominato dal suo stesso potere. Piú nemici eliminava, piú cresceva la sua paranoia. A Medina controllava i propri seguaci ad ogni passo. Tentava di regolare e di tenere tutto sotto controllo, persino il loro ciclo del sonno. Li radunava cinque volte al giorno per pregare e, in tal modo, assicurarsi della loro fedeltà. Li metteva in guardia dai tormenti dell’inferno. I peccatori venivano fustigati. I bestemmiatori e gli apostati uccisi. Ciò che era peccato, lo decretava lui.

Un emarginato pieno di risentimento come signore della guerra.

Le ultime sure del Corano, con l’esaltazione della guerra e la condanna dei miscredenti, piantarono il seme dell’intolleranza. Siccome il Corano è ritenuto l’eterna parola di dio che ha valore in tutti i tempi, gli islamisti odierni interpretano i passi relativi alla guerra come legittimazione del proprio jihad globale. Muhammad promise ai propri guerrieri non soltanto il paradiso eterno, ma anche ricche ricompense e belle donne da tenere come schiave già in questo mondo. Quello fu il giorno in cui nacque l’economia islamica. Dopo la morte di Muhammad, le spoglie di guerra, la tratta degli schiavi e l’introduzione del testatico (ovvero jizya, NdT) sugli infedeli rimasero ancora per secoli le fonti principali di entrate dei regnanti mussulmani. Umayyadi, Abbasidi, Fatimidi, Mammelucchi ed Ottomani si rifacevano a Muhammad in questo senso. Al giorno d’oggi il gruppo terroristico dell’ISIS giustifica le proprie azioni di guerra in base alla carriera del profeta, il quale decapitava i prigionieri di guerra ed espelleva gli infedeli dalle proprie dimore.

Eppure, anche nei panni di signore della guerra, Muhammad rimase in un certo senso un bambino. Era un emarginato risentito ed emotivo, un uomo perennemente deluso dal mondo. Sia da pastore che da commerciante, sia da predicatore che da generale, Muhammad era alla continua ricerca di un rifugio. Questo rifugio poteva essere rappresentato da Khadija (la sua prima moglie) o dalle lettere del Corano, oppure dagli uomini credenti o, ancora, dalle sue mogli affettuose. Alla fine, il campo di battaglia divenne la sua ultima casa.

Muhammad morí 1400 anni fa, ma non è mai stato definitivamente sepolto. Ha lasciato in eredità un sistema di regole che determina ancora oggi ogni faccenda nella vita quotidiana dei mussulmani. I suoi approcci sociali del periodo meccano offrono conforto e sono benefici. Le sue guerre del periodo medinese giustificano la violenza. Ha trasmesso ai mussulmani tratti della propria personalità che si potrebbero definire patologici: delirio di onnipotenza e megalomania, paranoia e manie di persecuzione, incapacità di gestire la critica e disturbi ossessivi-compulsivi. La migliore valutazione che Muhammad potrebbe ricevere oggi sarebbe quella di essere visto per l’essere umano che era e di superare la fede nella sua onnipotenza. In altre parole, andrebbe sotterrato un idolo pericoloso.

Che cosa fa un bambino che riceve poca considerazione? Che cosa fa un uomo che non viene riconosciuto dalla propria comunità? Cerca di integrarsi in una comunità piú significativa di quella cui apparteneva originariamente. Oggi, il figlio di immigrati che vive a Dinslaken e che ha a malapena qualche connessione tanto con le proprie radici turche quanto con l’ambiente tedesco circostante e che si sente costantemente escluso, probabilmente va alla ricerca di una comunità immaginaria chiamata umma, ovvero la comunità di tutti i credenti mussulmani. Il giovane trova certi gruppi radicali, che rappresentano solo una frazione della grande identità islamica, in internet e ai margini delle comunità islamiche. Si identifica con le sofferenze e l’oppressione dei mussulmani in luoghi sconosciuti del mondo. Abbandona il vecchio mondo che l’ha ferito e parte per la Siria per divenire parte dell’utopica umma. Taglia la gola agli infedeli e sogna di conquistare un giorno la Germania per vendicarsi.

Metodi mafiosi.

Una vicenda sviluppatasi in tale modo potrebbe essersi verificata anche 1400 anni fa: Muhammad era uno straniero in patria. Il suo clan l’aveva misconosciuto e ferito. Si diede ad una fuga metafisica, alla ricerca di un’identità piú grande. La reazione alla figura di Abramo fu l’inizio. Muhammad non vedeva Abramo solo in qualità di modello, in relazione al monoteismo, bensí anche come progenitore carnale. Nel Corano chiama Abramo umma (16:120, NdT), cioè nazione. Ad Abramo Muhammad giunge attraverso Ismaele, il figlio di Abramo, il quale è stato quasi ignorato nella Bibbia. Muhammad vedeva se stesso come un eletto ed Ismaele come anticipatore di tale elezione. Muhammad diventava furioso se qualcuno contestava la sua affinità con Ismaele, dato che la cosa avrebbe potuto spezzare il suo legame con Abramo e, quindi, distruggere il mito fondante dell’islam.

Gli odierni riformisti dell’islam sostengono che l’islam sarebbe nato come rivoluzione morale e sociale contro l’ingiustizia che regnava in Arabia e che si sarebbe trasformato in una religione guerresca durante il periodo umayyade. I simpatizzanti della mafia argomentano in modo simile, asserendo che la mafia si sarebbe originata come movimento di resistenza al dominio straniero francese. Secondo loro, la parola mafia sarebbe un acronimo di Morte Alla Francia Italia Anela. Tuttavia, la mafia non è mai stata un’organizzazione fondata sull’onestà. Anche l’islam è nato come confraternita giurata unita da una profonda diffidenza per quanti non appartenevano alla famiglia o al clan. L’islam descrive la prima comunità di mussulmani in questo modo: Muhammad è l’inviato di dio e coloro che sono con lui sono spietati con gli infedeli, ma misericordiosi gli uni con gli altri (48:29, NdT). Si è gentili gli uni con gli altri, ma con i nemici si è senza pietà. Un soldato di Muhammad poteva piangere per timore reverenziale durante la preghiera e pochi minuti piú tardi decapitare un infedele. Similmente, in chiesa un mafioso può ascoltare devotamente una predica sull’amore per il prossimo e poco dopo sparare ad un uomo in mezzo alla strada.

Ancora un parallelo: il capo dei capi non può essere né contraddetto né criticato. Un bacio sulla mano simboleggia la fedeltà dei membri e la loro cieca dedizione a costui. Muhammad non accettava scuse dai propri seguaci quando si trattava di partecipare alla preghiera o ad una delle sue guerre. Disse: nessuno sarà mai un vero credente se non ama me piú dei propri genitori, dei propri figli e di chiunque altro (In Bukhari, qui; in Sunan ibn Majah, qui, NdT).

L’islam: una confraternita giurata legata da una profonda diffidenza per chi non vi appartiene.

Certamente, anche i despoti sono semplici uomini. Spesso la loro vita privata non si accorda alla loro immagine di monarchi assoluti. Una persona che decida costantemente chi deve vivere o morire potrà essere talvolta debole. Anche il profeta Muhammad era sopraffatto dal proprio potere. Piú diventava potente, piú diventava solo. Piú invecchiava, piú il suo comportamento nei confronti delle donne si dimostrava immaturo: a volte era amorevole, altre volte era duro, spesso insicuro e geloso. Impose loro il velo integrale, limitò la loro libertà di movimento e permise loro di parlare con gli uomini solo se separate da una parete che li dividesse.

Il problema di Muhammad con le donne.

Verso la fine della propria vita, Muhammad trattava le donne come oggetti da collezionare a piacere. Alla prima moglie Khadija ne seguirono altre undici, nove delle quali vissero con lui contemporaneamente nella stessa casa. Oltre a quelle, ci furono altre 14 donne con le quali sottoscrisse un contratto di matrimonio, ma senza consumare fisicamente l’unione. In piú ci furono due dozzine di donne con le quali fu fidanzato. Senza dimenticare le sue schiave, parte del bottino di guerra o ricevute in dono. Muhammad fu possessivo persino dopo la propria morte e proibí alle proprie mogli di contrarre matrimonio con altri uomini dopo la sua scomparsa. Dev’essere stato particolarmente difficile da sopportare per la giovane moglie ‘A’isha, dato che, secondo le fonti islamiche, divenne vedova all’età di 18 anni.

Quando Muhammad sposò ‘A’isha, lei aveva appena sei anni. Per secoli il matrimonio di ragazze minorenni è stato legittimato grazie al matrimonio di Muhammad con ‘A’isha. Oggigiorno è piuttosto imbarazzate per molti mussulmani moderati riconoscere che il loro profeta ha sposato una bambina di sei anni e perciò cercano disperatamente di cambiare argomento. Molti ricordano che lui la sposò solo formalmente, quando lei aveva sei anni, ma che consumò il rapporto sessuale tre anni piú tardi. Secondo gli apologeti ciò significa che a quel tempo alcune bambine di nove anni sarebbero state precocemente mature. La cosa si può contestare: innanzitutto, è ‘A’isha stessa ad affermare che gli approcci di Muhammad furono di tipo sessuale sin da principio e che lui fece praticamente di tutto con lei, eccetto che penetrarla. In secondo luogo, una ragazzina di nove anni è solamente una ragazzina di nove anni ed ora come allora solamente una bambina. Ai tempi di Muhammad non era per nulla normale che un uomo sposasse una bambina.

Nonostante il grande affetto per ‘A’isha, Muhammad sposò in media una nuova donna quasi ogni sei mesi. Piú in là, l’infedeltà divenne per lui un grosso problema. Di conseguenza, non solo venne imposta la norma del velo integrale, ma vennero introdotte anche nuove leggi per contrastare l’adulterio: chi praticava la fornicazione veniva punito con cento nerbate. Chi commetteva adulterio veniva lapidato a morte. Ancora oggi le donne in Iraq, Siria e Nigeria vengono trattate come bottino di guerra e subiscono violenza fisica quasi dappertutto nel mondo islamico. Nelle società islamiche gli attacchi con l’acido contro le donne che non portano il velo, le mutilazioni genitali, le lapidazioni ed i delitti d’onore rappresentano le forme piú brutali di misoginia. Non si può ritenere che Muhammad ed il Corano siano gli unici responsabili di tutto ciò, ma a tutto questa situazione hanno dato un grosso contributo.

Stando al Corano, la donna ha innanzitutto una funzione da compiere nella comunità islamica: quella di procurare sollievo all’uomo. Prima che i guerriglieri dell’ISIS riuscissero a catturare le donne yezidi e cristiane per usarle come schiave sessuali, i giovani in Siria venivano reclutati con l’assicurazione che lí il jihad del sesso era permesso. Di converso, mussulmane da ogni angolo del mondo, soprattutto dal Nord Africa, si offrono ai jihadisti. I dotti sunniti che sostengono il jihad del sesso, si richiamano al profeta, il quale permise ai propri soldati di contrarre matrimoni di piacere durante le lunghe guerre. In questo caso, la questione non c’entra con l’etica, in quanto si ha a che fare con un principio piú elevato: il jihad.

E, allora, a che cosa somiglia il paradiso? Il paradiso islamico non è altro che un bordello celeste nel quale ad ogni martire spettano 72 vergini e, oltre a queste, 70 servitrici ciascuno. Il teologo medievale al-Suyuti scrisse: dopo che abbiamo dormito con una houri, lei si trasforma nuovamente in una vergine. Il pene di un mussulmano non si affloscia mai. L’erezione dura in eterno ed il piacere dell’unione è infinitamente dolce e non è di questo mondo. Ogni eletto avrà 70 houri, oltre alle mogli che aveva in terra. Tutte loro avranno una vagina deliziosa.

Perché nel XXI secolo Muhammad deve ancora decidere chi può amare o sposare chi e che cosa deve fare, mangire o indossare?

Pochissime parole in arabo hanno piú sinonimi di quella che significa rapporto sessuale. E la maggior parte di queste parole non descrivono un atto d’amore, ma una forma di violenza. Nel primo dizionario della storia araba, il Lisan al-arab dell’anno 1290, alla voce nikah si trovano i seguenti significati: montare, dibattersi, assalire, colpire, violare, esaurire, scoccare, stare insieme, picchiare, calcare, cadere, crollare, penetrare, aggredire, infilare, ululare.

Muhammad stesso non era particolarmente misogino per i suoi tempi. Si espresse piú volte positivamente a proposito delle donne ed esortò i suoi seguaci a trattare amorevolmente le proprie mogli. Inoltre, non ci sono notizie del fatto che lui stesso abbia mai picchiato le mogli. Ciononostante nel Corano ha reso eterno il diritto di un uomo di picchiare la moglie quando lei sia ostinata. Purtroppo, oggi risulta difficile persino ad alcuni mussulmani moderati dire: picchiare le donne è sbagliato senza se e senza ma, indipendentemente da quanto scritto nel Corano. Invece, si cita il profeta lí dove prescriveva che i colpi non dovevano lasciare segni e che il volto della donna doveva essere risparmiato dalle percosse.

Paranoia e mania del controllo.

Il profeta godeva di potere ed influenza nel mondo dal quale era nato. Però perché deve mantenere lo stesso potere e la stessa influenza in un mondo che lui non ha mai conosciuto? Perché nel XXI secolo Muhammad deve ancora decidere chi può amare o sposare chi e che cosa si deve fare, mangiare o indossare? Perché i mussulmani si infilano in questa trappola della storia?

Si può accusare Muhammad di molte cose, ma non del fatto che fosse un bugiardo: il suo fervore, la sua capacità di provare sofferenza e la sua perseveranza dimostrano che era convinto di aver ricevuto messaggi di origine divina. Desiderava che un potere piú alto lo assistesse. All’iinizio cercava la liberazione, ma alla fine divenne egli stesso un prigioniero. Un maniaco del controllo. Non solo l’idea che aveva di dio riflette questo fatto: molti rituali islamici sono caratterizzati da ripetizioni senza senso, ad esempio le prostrazioni della preghiera o le abluzioni rituali. In pratica, anche nelle regioni piú aride, ogni mussulmano doveva lavarsi cinque volte al giorno per la preghiera, bagnandosi ogni parte del corpo per tre volte. Se non ci fosse stata acqua a disposizione, ci si doveva pulire simbolicamente con la sabbia. Muhammad informò i propri seguaci che dio avrebbe bruciato i luoghi del corpo non detersi dall’acqua o dalla sabbia nel giorno del giudizio (in Bukhari, qui, NdT).

Probabilmente era ossessionato dalla pulizia, un disturbo causato sia dal senso di colpa che dalla mania di controllo. Ancora al giorno d’oggi un mussulmano deve lavarsi per la preghiera se prima ha dato la mano ad una donna. In una moschea si deve entrare col piede destro, mentre nella toilette si deve entrare col piede sinistro. Il mussulmano deve recitare una preghiera prima di andare al bagno per proteggersi dai demoni malvagi che sono in agguato in gabinetto. All’uscita è d’uopo recitare un’altra preghiera e si deve ringraziare Allah per essere scampati agli spiriti malvagi. La lista dei precetti che intralciano il mussulmano nell’organizzazione autonoma della propria giornata si potrebbe riempire di innumerevoli esempi.

Per essere un buon mussulmano, il credente deve imitare il profeta in tutto e per tutto. L’autonomia decisoria, la flessibilità e la creatività non sono previste. Agli odierni chierici islamici conservatori si presenta la possibilità di esercitare il proprio potere sui mussulmani. Interi programmi televisivi hanno come scopo di rispondere alle domande dei credenti per agire secondo l’esempio del profeta. Il problema qui non sta tanto nello sforzo di comportarsi in modo ritualmente corretto, quanto nel fatto che è sotteso che tutti coloro che non si attengono ai precetti illustrati sono peccatori impuri. Al giorno d’oggi i sensi di colpa ed il desiderio di espiazione sono i principali motori della radicalizzazione. Gli islamisti si considerano gli autentici eredi del profeta.

Amare la morte piú della vita.

Chi si sopravvaluta, spesso sopravvaluta anche l’ostilità di quanti lo circondano. La tradizione islamica antica conta ben 15 complotti per assassinare il profeta ai quali egli sarebbe sopravvissuto: tre orditi da arabi pagani e dodici da ebrei. Sebbene nel Corano sia scritto che dio ha suddiviso l’umanità in popoli affinché si conoscano l’un l’altro (49:13, NdT), Muhammad profetizzò: i popoli un giorno vi attaccheranno perché diventerete deboli nei vostri cuori. I vostri cuori diverranno deboli, perché amerete la vita e odierete la morte (Sunan Abi Dawud, qui, NdT). Perciò gli islamisti rivendicano il fatto di amare la morte piú della vita. Non per nulla un tipico grido di guerra dei terroristi è: voi amate la vita e noi amiamo la morte.

Il Consiglio Centrale dei Mussulmani in Germania sancisce che Muhammad non poteva sapere che cosa fosse il calcio.

Non c’è un passo del Corano che preveda esplicitamente la pena di morte per chi vilipende il profeta, ma nella biografia di Muhammad vi sono numerosi aneddoti a proposito di persone che furono giustiziate su suo ordine per aver bestemmiato il suo nome. La tradizione menziona piú di 40 vittime, fra cui alcuni poeti e cantastorie, che avevano osato ridicolizzarlo. Nella collezione di hadith di Abu Dawud si legge: il profeta trovò il cadavere di una donna uccisa davanti alla sua moschea. Domandò agli oranti chi l’avesse uccisa. Un cieco si alzò e disse: sono stato io. È la mia schiava e da lei ho avuto due figli belli come perle. Ma ieri lei ti ha offeso, profeta di dio. Le ho intimato di non insultarti piú, ma lei ha ripetuto quello che aveva detto. Non ho potuto tollerarlo e l’ho ammazzata. Al che Muhammad rispose: il sangue di questa donna è stato versato secondo giustizia. (Sunan Abi Dawud, qui, NdT).

L’importanza assoluta data all’islam produce il fondamentalismo.

Ciò che è spaventoso a proposito di questa storia non è soltanto il fatto che un uomo ammazzi la madre dei propri figli (in uno degli hadith il sangue della donna bagna uno dei figli che le si aggrappa alle gambe, NdT), quanto il trasferimento in ambito privato della facoltà di ricorrere alla violenza. L’esecuzione di una sentenza di morte non è privilegio del sovrano o di uno dei poteri dello Stato: ciascun mussulmano ha tale potere. Quando ho tenuto un discorso al Cairo nel giugno del 2014 in cui affermavo che il fascismo islamico è cominciato con Muhammad, un professore dell’università di al-Azhar ha invocato la mia uccisione ed ha citato la storia della schiava del cieco come prova della legittimità della sua sentenza.

All’inizio del 2015 della teppaglia ha lapidato a morte una giovane donna afgana per aver bruciato un Corano. Un’insegnante britannica è finita in carcere per aver chiamato Muhammad un orsacchiotto. La società calcistica Schalke 04 ha sollevato delle critiche, perché il suo inno dice: Mohamed war ein Prophet, der vom Fußball nichts versteht (Muhammad era un profeta che non capiva niente di calcio). In ogni caso, il Consiglio Centrale dei Mussulmani in Germania ha sancito che Muhammad non poteva avere idea di che cosa fosse il calcio.

Le sofferenze del mondo islamico possono venire guarite solamente se i mussulmani si liberano delle molteplici manie e malattie del profeta: delirio di onnipotenza, paranoia, intolleranza alla critica e suscettibilità. Anche l’immagine distorta della divinità, che è diventata l’archetipo del despota, deve essere messa in discussione.

Il fondamentalismo non è una coseguenza dell’errata interpretazione dell’islam, bensí la conseguenza dell’eccesso di importanza che all’islam viene data. La riforma dell’islam comincerà quando i mussulmani troveranno il coraggio di liberare Muhammad dalla sua condizione di intoccabilità. Solo allora potranno essi stessi evadere dalla prigione della fede ed essere parte del presente che non viene determinato da dio, bensí dagli esseri umani.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ixlam come mafia rełijoxa e jihad

Messaggioda Berto » dom dic 31, 2017 9:58 pm

Il capondrangheta di Ramallah e il Vangelo
Ariella Lea Heemanti
28 dicembre 2017

http://www.linformale.eu/capondrangheta ... ah-vangelo

Mahmud Abbas, il capondrangheta di Ramallah, sosia e omologo del defunto capobastone della ‘ndrangheta Giuseppe Piromalli, ha nuovamente espresso le sue tesi, questa volta all’Onu, in quello che la scrittrice americana Chynthia Ozick ha giustamente definito “il più vergognoso covo di antisemiti al mondo”.

Le agenzie di stampa ci informano che il signor trenta per cento, come viene chiamato Abu Mazen nel suo stesso mandamento, per via della mazzetta che egli chiede a chiunque voglia anche solo pensare di disegnare una finestra nel feudo dell’Autorità nazionale palestinese, ha dichiarato con tono mesto, addolorato e cupo che “Riconoscendo Gerusalemme come capitale d’Israele, gli Stati Uniti hanno insultato milioni di persone e anche la città di Betlemme”. אוי ואבוי. Oi va voi! Il duraturo capocosca ha quindi manifestato l’orgoglio suo e della sua comunità per il fatto di vivere in una terra, palestinese, s’intende, che ha dato i natali a così tanti uomini santi, a profeti, e ovviamente a Gesù, noto arabo palestinese in keffiah, si capisce! L’auspicio del cittadino onorario di Napoli e Pompei è quindi che il mondo voglia fermare questa dissacrazione del Natale, quest’oltraggio dei sionisti, ovvero degli ebrei, alla tradizione islamico-cristiana supportata dalla storia e persino dalle pietre.
Come assicurò infatti qualche decennio fa un gran muftì della zona, “non una sola pietra testimonia della presenza degli ebrei in questa terra”. אױ װײ. Oy vey! Non a caso ce lo ricordiamo, “il più grande delinquente del ventesimo secolo”, Yasser Arafat, appena stanato da Tunisi e riapprodato in Medioriente a riorganizzare in loco la strategia del terrore, assistere bavoso e sorridente alla messa di Natale a Betlemme, a fianco della moglie Suha, figlia della banchiera cristiano-araba Raimonda Hawa Tawil, che teneva in braccio e cullava raggiante la loro piccola unigenita, nata davvero per miracolo, dal momento che il raìs, travestito sempre da combattente senza mai aver partecipato a una battaglia, aveva ogni volta tenuto a precisare, persino in punto di nozze, che lui era sposato con la Palestina, anche se di tanto in tanto non disdegnava di minacciare con la pistola alla tempia qualche bel giovane poliziotto del suo staff che si fosse permesso di sottrarsi alle sue voglie estemporanee.
Per non parlare dei ragazzini rumeni estratti a forza dalle fogne di Bucarest e usati dai Servizi segreti di Ceausescu come esca di ricatto sessuale verso un pericoloso concorrente sulla ribalta della solidarietà rivoluzionaria. Uno che “il genio dei Carpazi”, “Il Danubio del pensiero”, non sopportava per rivalità, per invidia e chissà, forse anche per intolleranza epidermica a quel continuo sputacchiare, toccare, abbracciare, ringhiare, promettere in questo modo di liberare la Palestina dal Fiume al Mare.

Quella volta fu l’allora patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Michel Sabbah, a salutare la presenza di Arafat come una radiosa stella cometa apparsa nel cielo della Basilica della natività, destinata a rifulgere sull’islamizzazione di Betlemme, con quei quattro coloni giudei sempre là a piangere, a insidiare le pietre cristiano-islamiche, se non fosse per l’Unesco. Era il 1995, e si sa che poi vennero invece anni bui, con Arafat bloccato alla Muqata, nel bunker hitleriano, dove, al lume di candela a causa del taglio della luce da parte dei sionisti, riceveva file di visitatori provenienti da ogni dove, straziati e partecipi del suo ingiusto stato di detenzione; che insomma, se uno ulula, a ogni attentato, a ogni strage, che “milioni di piccoli shaid sono pronti a marciare su Gerusalemme”, e questo mentre sua figlia fa shopping milionario a Parigi, insieme alla flavescente Suha che anche lei esprime tutta la sua ammirazione per i martiri minorenni della Palestina, basta che la propria creatura non venga convocata, non è mica colpa sua. Questi israeliani da sempre adusi “all’uso sproporzionato della forza”, cui Massimo degli Ulema spiegò con maligna consapevolezza che “quando hai trecento milioni di persone, tutt’intorno, che ti odiano, inutile sperare nell’esercito più forte del mondo”, questi ebrei che mica si ricordano di quando non erano che scarafaggi del ghetto, non permisero allora di partecipare alla messa di Natale a Betlemme al nipote del gran muftì Hamin Al Husseini, quello là con gli occhi azzurri, graditi a Hitler, che si era fatto promettere dal Führer di essere scelto come consigliere per l’attuazione anche in Palestina della Endlösung der Judenfrage, della Soluzione Finale della questione ebraica.

Ma sì, liberiamo la dialettica antisemita, liberiamola, finalmente, con ‘sto Auschwitz che “un se ne pole più”, come si dice a Livorno. E se una leggeva che anche il deputato Claudio Fava e il giudice Peppino Di Lello si erano messi in fila alla Muqata, per visitare il raìs, diceva con le mani fra i capelli – Non è possibile. Vada per un giornalista orfano di Giuseppe Fava, di un uomo che pagò con la vita la sua battaglia contro i violenti, i corrotti, i complici e i protettori dei mafiosi, vada per l’ideologia traballante di un cronista allettato dalla politica, ma un giudice! Un magistrato del maxiprocesso a Cosa Nostra, a una cricca smisurata di assassini, che si recava ora alla Muqata, dal capo delinquenziale di quello che lo stesso amico e portavoce di Rabin, Eitan Haber, definì “un regno virtuale della menzogna dove ogni funzionario, da Arafat ad Abbas in giù, passa le giornate a mentire ai giornalisti occidentali”.

Com’è possibile che un giudice vada là, alle porte di quel regno della menzogna e del delitto, e si metta in fila per visitare il capo dei capi con keffiah e lupara. Forse che Salvatore Riina in persona non si era definito un “perseguitato in fuga come un ebreo, così come ora la cosa più in malafede del mondo era paragonare i palestinesi agli ebrei e gli ebrei ai nazisti? Com’era possibile che un giudice, un mensch, un essere umano completo volesse autoingannarsi e ignorare le parole di Giancarlo Pajetta, secondo cui “proprio per la loro storia i comunisti europei avrebbero dovuto capire” quale razza di enorme inganno si erga dietro la lotta degli arabi contro gli ebrei? Com’era possibile! E sembra che la cronista, tra un bambino divenuto grande e l’altro, sia ancora là a farsi quella domanda con uno sgomento nel cuore più fitto delle tenebre della Muqata, più grande di quell’oscurità delle coscienze che persino il giudice Peppino Di Lello si illudeva di illuminare reggendo insieme ad altri il moccolo della candela del falso guerrigliero Yasser Arafat.

E poi ancora venne l’asserragliamento dei miliziani palestinesi dentro la Basilica della Natività. I frati francescani che insomma, aiutati dai vignettisti, non potevano certo assistere imparziali alla scena del nuovo bambinello Gesù palestinese assediato da un esercito di giudei di duemila anni dopo, e lo davano a intendere. Il Vaticano, mai rassegnato a mettere veramente da parte la inimica teologia del verus Israel, emetteva comunicati stampa in cui condannava l’orrore e la barbarie di questi israeliani diretti discendenti di quelli che non vollero riconoscere il messia, con il più sconvolto di tutti, Joaquin Navarro Vals, che però manteneva l’aplomb inflessibile e gelido con cui suggerire agli israeliani, agli ebrei, di togliere l’assedio alla mangiatoia e di lasciare che, duemila anni dopo, si realizzasse la pace. Era compito di Bashar Al Assad, il leone alawita che aveva ereditato dal padre carceri, torture e pena di morte per gli oppositori, dire fuori dai denti al pontefice Karol Wojtyla che “gli israeliani stanno facendo ai palestinesi quello che fecero a Gesù duemila anni fa”. Con il pontefice curvo, silente, un silenzio pari a un macigno, a una di quelle pietre del Muro del Pianto dove poco prima era andato a infilare bigliettini sotto il battito di ali delle colombe bianche.

Anche in quel caso alla cronista toccava arrivare di primo mattino in una redazione dove c’era gente intelligente e chiedere, “Ma vi rendete conto?”. Le toccava rievocare il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino da parte degli Alleati in cerca, durante la seconda guerra mondiale, delle pattuglie tedesche e, semmai, fare l’unico paragone possibile fra i civili sorpresi dalle bombe nell’abbazia e quel ragazzino palestinese che era corso fuori a più non posso dalla basilica a Betlemme e si era consegnato ai soldati israeliani per non restare in mezzo a quella pletora di vigliacchi e ai loro ostaggi in tonaca compiacenti. “Vi rendete conto?” chiedeva la cronista a colleghi e colleghe intelligenti, vedendoli sospirare, sorridere dolcemente, con amarezza, poiché essi sì, si rendevano conto.

Si sa che il delinquente internazionale Yasser Arafat morì a Parigi, non di Aids, come conferma a ogni occasione il suo medico, ma avvelenato dai sionisti con il polonio, come insistono la vedova di stanza a Malta e lo stesso Abu Mazen, che invece non si muove da Ramallah da allora, da quando, mentre il raìs era già con un piede nella tomba, egli si contendeva con la bionda figlia della banchiera Raimonda il bottino di milioni di dollari non ancora dirottato nelle casse personali del padre della Palestina libera. Cosa fino ad allora puntualmente avvenuta con gli aiuti destinati a un popolo che quel padre imbroglione e ladro lo amava, lo piangeva, se ne lasciava spogliare e tenere nel fango.

Per giorni Mahmud Abbas e Suha Tawil minacciarono di rifiutarsi di staccare la spina del respiratore artificiale cui era attaccato Arafat, senza prima aver raggiunto un accordo sui miliardi. Il polonio, anche il fantomatico polonio degli israeliani era là, a prestarsi alla contesa della moglie e del successore del terrorista che amava farsi ritrarre con l’effigie dell’aquila imperiale alle spalle.

Quel successore, tesoriere del massacro degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, si era laureato all’università di Lumumba a Mosca con una tesi sul numero assai ridotto degli ebrei sterminati nella Shoà, numero senz’altro ingigantito dai perfidi e furbi giudei per giustificare l’aberrante colonizzazione sionista dopo una semplice disgrazia peraltro voluta dagli stessi ebrei, che si erano messi d’accordo con Hitler e avevano organizzato il loro olocausto, di certo più esiguo, per il numero di vittime, di quello che andavano sostenendo, e comunque da loro stessi ideato e perseguito con un Führer soggiogato dai loro piani diabolici.

A quel tempo le tesi di Abu Mazen erano queste. Poi, tra una strage e l’altra a opera dei liberatori della Palestina in Israele e in giro per il mondo, vennero le scuole, le piazze e le targhe per gli eroi della morte comminata agli ebrei. Di tanto in tanto una piccola sortita dell’universo personale, come quando il cittadino onorario di Napoli e Pompei, nato a Safad, in Galilea, denunciò all’opinione pubblica internazionale l’orrendo misfatto di una banda di rabbini che avevano fatto cordone all’ingresso della sacra città cabalista per impedirgli di tornare a casa, di visitare anche solo una volta la città da cui egli era dovuto fuggire.

La cronista all’epoca abitava a Safad, in via Shimon Bar Yochai, in una piccola casa che dava sulle montagne di Meron abbagliate dai colori rossi dei tramonti. Una mattina lei uscì fuori e percorse tutta Rechov Yerushalaym, sino a giù, sino in fondo, sino alla stazione degli autobus. Tornò indietro, fece la strada del gesher, del ponte, chiese alle amiche se per caso loro avessero visto, in quei giorni, una banda di rabbini che faceva cordone per impedire a Mahmud Abbas di tornare anche solo una volta, una volta soltanto, a Safed. Niente. Di rabbini che si tenevano per mano a guisa di cordone, per impedire al successore di Arafat alla guida del mandamento mafioso di Ramallah di accedere alla città della luce e della visione cabalista, neanche l’ombra. O forse sì. L’ombra dell’immaginazione antigiudaica, di quello zolfo di code e di corna che si autoproduce in una mente refrattaria alla cognizione e disposta invece a rimanere aggiogata ai miti della propria condizione non libera per scelta.

Di recente Mahmud Abbas, sempre impegnato nell’esortare i giovani del suo feudo e anche quelli di altri mandamenti islamici a correre a liberare con il coltello il sacro suolo di Al Aqsa infestato dai giudei, che lo “insozzano coi loro luridi piedi”, è stato applaudito da un Parlamento europeo in estasi e in piedi, mentre egli riferiva di come un’altra banda di rabbini, o forse quella stessa, avesse dato ordine agli ebrei di avvelenare le falde acquifere e i pozzi dei palestinesi.

Oggi le agenzie di stampa ci informano delle sue dichiarazioni all’Onu sull’insulto che questi impenitenti giudei rivolgono, tramite gli Stati Uniti, alla città di Betlemme e a milioni di persone, comprese quelle migliaia di arabi cristiani costretti ad andarsene dall’Autorità Nazionale Palestinese, da quel regno virtuale della menzogna e dell’inganno, o da Gaza, perché perseguitati e dominati a causa della loro fede, una fede, senza dubbio, arabo-palestinese. E il mondo sta lì. Il mondo tace, come ci ha raccontato Elie Wiesel. O meglio, si alza in piedi e applaude alla menzogna, all’inganno. Senza memoria, senza amore, con perdizione e ignavia.

Il capobastone di Ramallah attinge al Vangelo. E non più a quello stalinista di José Saramago, che da Ramallah, in fila anch’egli alla Muqata, scriveva che là c’era Auschwitz, non c’erano camere a gas ma c’era Auschwitz. La liberazione della dialettica antisemita dopo Auschwitz individuata dalla prima presidente del Parlamento europeo, Simone Veil, per la cui scomparsa, nel giugno scorso, Abu Mazen fece le condoglianze alla Francia da cui gli ebrei partono perché ogni giorno inseguiti dal grido propalestinese ” La Mort aux le Juifs”, senza sapere neanche chi lei fosse stata, in realtà, e che era stata lei, sopravvissuta alla Shoà, allo sterminio negato nella tesi di laurea dell’uomo di panza di Ramallah, a vedere nella lotta palestinese e filopalestinese la disinibizione, ancora una volta nella storia, dell’animo, del sentire e della cultura antisemiti.

Abu Mazen oramai attinge all’evangelo cristiano, ai pastori, alle capanne, al presepe universale modello Betlemme, messo in pericolo dalle trame degli ebrei spalleggiati dagli Stati Uniti che insultano i fedeli della religione islamico-cristiana. Persino San Gennaro e la Madonna di Pompei sono in ansia dopo le parole accorate e responsabili del loro concittadino onorario, quell’angelo della pace del Natale dei poveri, dotato di villa residenziale a Ramallah con più cemento armato delle fortezze dei Piromalli nella Piana di Gioia Tauro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ixlam come mafia rełijoxa e jihad

Messaggioda Berto » mer giu 13, 2018 9:31 am

Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
viewtopic.php?f=188&t=2526
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Ixlam come mafia rełijoxa e jihad

Messaggioda Berto » dom set 16, 2018 10:04 am

Il Papa vergognoso che giustamente condanna la mafia siciliana ma stotalemente e criminalmente santifica la mafia peggiore e più diffusa della terra ossia l'Islam o nazismo maomettano e il suo fondatore l'assassino criminale e idolatra Maometto.


Papa Francesco a Palermo ricorda don Puglisi: "Non si può credere in Dio ed essere mafiosi"
15 settembre 2018

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... cc50b.html

Visita del Papa a Palermo a 25 anni dall'omicidio di don Pino Puglisi, il sacerdote assassinato dalla mafia. Dopo la messa seguita da circa 100mila persone, il pontefice ha pranzato nella missione speranza e carità. Nel pomeriggio il Papa è andato in piazza Anita Garibaldi, luogo dell'uccisione del religioso, a Brancaccio. Poi in piazza Politeama, per l'ultima tappa della sua visita. In festa le migliaia di giovani che lo hanno accolto.

Al termine della sua visita pastorale, lasciando Palermo, Papa Francesco si è fermato lungo l'autostrada A29 davanti alla stele che ricorda la strage di Capaci, il 23 maggio 1992, per rendere omaggio alle vittime: i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli agenti della polizia di Stato Antonino Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

"No alla rassegnazione. Tutto può cambiare. Si può generare una civiltà nuova, fraterna, dell'amore. Siate liberi", è il messaggio di Papa Francesco ai giovani.

"Il Signore non si ascolta stando in poltrona. Dio si scopre camminando, facendo qualcosa per gli altri e facendo del bene. Non si aspetti che nella vita accada magicamente qualche cosa. Dio detesta la pigrizia e ama l'azione. Non vi sentiate mai arrivati", così Papa Francesco rispondendo alle domande dei giovani in piazza Politeama. "Meglio cavalcare i sogni belli con qualche figuraccia che diventare pensionati del quieto vivere: meglio buoni idealisti che pigri realisti: meglio essere Don Chisciotte che Sancho Panza", ha aggiunto il Papa.

"Abbiamo bisogno di uomini e donne veri, che denunciano il malaffare e lo sfruttamento, che vivono relazioni libere e liberanti, che amano i più deboli e si appassionano di legalità, specchio di onestà interiore. Abbiamo bisogno di uomini e donne che fanno quel che dicono, dicendo no al gattopardismo dilagante", ha detto il Papa.

"Sicilia incrocio di culture, resti terra d'incontro"
Papa Francesco ha evocato il tema dell'accoglienza ai migranti nell'incontro con i giovani in piazza Politeama a Palermo. "È la prima volta che vengo su quest'Isola, ma nel mio primo viaggio ero stato a Lampedusa", ha ricordato. "Anzitutto - ha confidato - mi è piaciuto sentirvi dire che la Sicilia, al centro del Mediterraneo, è sempre stata terra di incontro. Non si tratta solo di una bella tradizione culturale, è un messaggio di fede. Perché la fede si fonda sull'incontro. Dio non ci ha lasciati soli, è sceso a incontrarci: ci ha voluti incontrare e salvare insieme, come popolo, non come individui".

Infatti, ha spiegato il Papa ai ragazzi di tutte le diocesi siciliane: "l'altro, la sua dignità, l'accoglienza, la solidarietà per noi non sono buoni propositi per gente educata, ma tratti distintivi del cristiano. Sono i nostri preziosi distintivi, perché il cristiano crede che Dio si è fatto uomo e che allora amando l'uomo, ogni uomo, si ama Dio. Non lo dico io, ma Gesù. Ricordate? 'Ogni volta che mi avete visto affamato, malato, forestiero, lì c'ero io'".

"La pietà popolare non sia strumento di mafia"
"Vorrei dire qualcosa sulla pietà popolare, molto diffusa in queste terre. È un tesoro che va apprezzato e custodito, perché ha in sé una forza evangelizzatrice, ma sempre il protagonista deve essere lo Spirito Santo. Vi chiedo perciò di vigilare attentamente, affinché la religiosità popolare non venga strumentalizzata dalla presenza mafiosa, perché allora, anziché essere mezzo di affettuosa adorazione diventa veicolo di corrotta ostentazione", ha detto il Papa incontrando il clero a Palermo.

"Lo abbiamo visto nei giornali, no?, quando la Madonna si ferma e fa l'inchino davanti alla casa del capomafia. Quello non va, non va assolutamente", ha detto il Papa tra gli applausi. "Sulla pietà popolare abbiate cura, aiutate siate presenti - ha continuato -. Un vescovo italiano ha detto questo: la pietà popolare è il sistema immunitario della Chiesa. Quando la Chiesa comincia a farsi troppo ideologica, troppo gnostica, o troppo pelagiana, la pietà popolare la protegge, porta tutta questa difesa".

"Non si può credere in Dio ed essere mafiosi"
"Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore. Oggi abbiamo bisogno di uomini di amore, non di uomini di onore; di servizio, non di sopraffazione; di camminare insieme, non di rincorrere il potere. Se la litania mafiosa è: “Tu non sai chi sono io”, quella cristiana è: “Io ho bisogno di te”. Se la minaccia mafiosa è: “Tu me la pagherai”, la preghiera cristiana è: “Signore, aiutami ad amare”. Perciò ai mafiosi dico: cambiate, fratelli e sorelle! Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi, convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo! Altrimenti, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte". Così Papa Francesco nell'omelia della messa a Palermo per commemorare don Pino Puglisi.

Non si può credere in Dio ed essere mafiosi: chi è mafioso bestemmia con la vita il nome di Dio-Amore.

"Non si può seguire Gesù con le idee, bisogna darsi da fare. 'Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto', ripeteva don Pino", ha detto di don Puglisi. "Quanti di noi mettono in pratica queste sue parole? - ha chiesto - Oggi, davanti a lui domandiamoci: 'Che cosa posso fare io? Che cosa posso fare per gli altri, per la Chiesa?'". "Non aspettare che la Chiesa faccia qualcosa per te, comincia tu - ha aggiunto Francesco -. Non aspettare la società, inizia tu! Non pensare a te stesso, non fuggire dalla tua responsabilità, scegli l'amore!".

Solo dando la vita si sconfigge il male. Don Pino Puglisi lo insegna: viveva per seminare il bene.

Il Papa: l'unico 'populismo' è servire il popolo senza accusare
"Senti la vita della tua gente cheha bisogno, ascolta il tuo popolo. Questo è l'unico populismopossibile, l'unico 'populismo cristiano': sentire e servire ilpopolo, senza gridare, accusare e suscitare contese", ha detto papa Francesco durante la messa al Foro Italico.

Prima di arrivare davanti al palco, Francesco a bordo della Papa mobile ha salutato le migliaia di fedeli e accarezzato Vito, un bimbo di pochi mesi, nato prematuro e in asfissia, sorretto dai genitori e con addosso la maglia di calcio della nazionale Argentina.

"Sono contento di trovarmi in mezzo a voi. E' bello il sole della Sicilia!". Così papa Francesco ha iniziato il suo discorso durante l'incontro con i fedeli a Piazza Armerina, sottolineando la giornata di sole che lo ha accolto in Sicilia.

"Non sono poche le piaghe che vi affliggono. Esse hanno un nome: sottosviluppo sociale e culturale; sfruttamento dei lavoratori e mancanza di dignitosa occupazione per i giovani; migrazione di interi nuclei familiari; usura; alcolismo e altre dipendenze; gioco d'azzardo; sbilanciamento dei legami familiari. Di fronte a tanta sofferenza, la comunità ecclesiale può apparire, a volte, spaesata e stanca; a volte invece, grazie a Dio, è vivace e profetica, mentre ricerca nuovi modi di annunciare e offrire misericordia soprattutto a fratelli caduti nella disaffezione, nella diffidenza, nella crisi della fede". Ha detto il Papa incontrando i fedeli.

"Vi esorto, pertanto - ha proseguito il Pontefice -, a impegnarvi per la nuova evangelizzazione di questo territorio centro-siculo, a partire proprio dalle sue croci e sofferenze".



"Non si può credere in Dio ed essere mafiosi": il grido di papa Francesco contro i boss
Il Pontefice ricorda don Pino Puglisi riecheggiando Wojtyla: "Sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese”. Poi un passaggio sul populismo: "L'unico cristiano è servire il popolo senza accusare"
di EMANUELE LAURIA, SALVO PALAZZOLO e PAOLO RODARI
15 settembre 2018

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2 ... -206510870

PALERMO. Legge molto lentamente dal testo dell’omelia le parole più dure contro la mafia: “Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore”. Poi alza la testa e, a braccio, affonda ancora con maggiore forza: “Convertitevi! Il sudario non ha delle tasche, non potrete portare niente con voi!”.

Papa Francesco a Palermo, bagno di folla al Foro Italico
Papa Francesco dedica la sua omelia al Foro Italico di Palermo alla mafia e a don Pino Puglisi, il prete ucciso il 15 settembre 1993 da Cosa nostra per il suo impegno sociale, sacerdote che “non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli anti-mafia, e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma seminava il bene, tanto bene”. E denuncia la “litania mafiosa” che è: “Tu non sai chi sono io”. Mentre, dice ancora Francesco, quella cristiana è: “Io ho bisogno di te”. E quindi continua: “Se la minaccia mafiosa è: ‘Tu me la pagherai’, la preghiera cristiana è: ‘Signore, aiutami ad amare’. Perciò ai mafiosi dico: cambiate! Smettete di pensare a voi stessi e ai vostri soldi, convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo! Altrimenti, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte”.

Palermo, il grido di papa Francesco: "Non si può credere in Dio ed essere mafiosi"

Venticinque anni dopo Giovanni Paolo II che nella Valle dei Templi, stringendo il crocifisso e alzando il dito verso il cielo davanti a migliaia di giovani giunti da ogni parte, disse ai mafiosi “convertitevi, una volta verrà il giudizio di Dio”, anche Papa Bergoglio si rivolge agli stessi mafiosi chiedendo loro di cambiare vita. Lo fa nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria liturgica del beato Puglisi: “La sua – dice il Papa - sembrava una logica perdente, mentre pareva vincente la logica del portafoglio. Ma padre Pino aveva ragione: la logica del dio-denaro è perdente”.

Papa Francesco a Piazza Armerina, le foto

E ancora: “Guardiamoci dentro. Avere spinge sempre a volere: ho una cosa e subito ne voglio un’altra, e poi un’altra ancora, sempre di più, senza fine. Più hai, più vuoi: è una brutta dipendenza. Chi si gonfia di cose scoppia. Chi ama, invece, ritrova se stesso e scopre quanto è bello aiutare, servire; trova la gioia dentro e il sorriso fuori, come è stato per don Pino”.

Il papa a Palermo: l'arrivo al Foro Italico

Venticinque anni fa, quando morì nel giorno del suo compleanno, don Puglisi sorrideva. “Coronò la sua vittoria col sorriso, con quel sorriso che non fece dormire di notte il suo uccisore, il quale disse: ‘C’era una specie di luce in quel sorriso’”, dice il Papa. E oggi, dopo 25 anni, è il vescovo di Ragusa, Carmelo Cuttitta, a rivelare a Tv2000 che alla estumulazione del prete siciliano “lo abbiamo trovato con lo stesso sorriso, era intatto”.

Palermo, bagno di folla per la papamobile con Bergoglio

Don Puglisi ebbe la “colpa” i togliere dalla strada ragazzi e bambini che, senza il suo aiuto, sarebbero stati risucchiati dalla vita mafiosa, e impiegati per piccole rapine e spaccio. Il fatto che lui togliesse giovani alla mafia fu la principale causa dell'ostilità dei boss, che lo consideravano un ostacolo. Decisero così di ucciderlo, dopo una lunga serie di minacce di morte di cui don Pino non parlò mai con nessuno. Nel 1992 venne nominato direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugurò a Brancaccio il centro Padre Nostro per la promozione umana e la evangelizzazione.

Palermo, il Papa a Brancaccio sul luogo dell'omicidio di don Puglisi

Il 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, intorno alle 22:45 venne ucciso davanti al portone di casa in piazzale Anita Garibaldi, traversa di viale dei Picciotti nella zona est di Palermo. Sulla base delle ricostruzioni, don Pino Puglisi era a bordo della sua Fiat Uno di colore bianco e, sceso dall’automobile, si era avvicinato al portone della sua abitazione. Qualcuno lo chiamò, lui si voltò mentre qualcun altro gli scivolò alle spalle e gli esplose uno o più colpi alla nuca. Una vera e propria esecuzione mafiosa. I funerali si svolsero il 17 settembre.

Il 19 giugno 1997 venne arrestato a Palermo il latitante Salvatore Grigoli, accusato di diversi omicidi oltre quello di don Pino Puglisi. Poco dopo l'arresto Grigoli cominciò a collaborare con la giustizia, confessando 46 omicidi compreso quello di don Puglisi. Grigoli, che era insieme a un altro killer, Gaspare Spatuzza, gli aveva sparato un colpo alla nuca.

Papa Francesco: "L'unico populismo cristiano sentire e servire il popolo"

Davanti alla folla di 80mila fedeli assiepata al Foro Italico, il Santo Padre fa inoltre un significativo cenno ai “populismi”, con un passaggio che porta dritto all’attualità politica. “L’unico populismo possibile è il populismo cristiano: sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese”. Nel pomeriggio il Papa ha pranzato alla missione di Biagio Conte e poi ha incontrato il clero in Cattedrale: "Il sacerdote - ha detto - deve essere portatore di Gesù, benevolo, misericordioso, ma se il prete è un chiacchierone porterà guerra, odio, rabbia, porterà tante cose negative che faranno dividere il paese". Poi è tornato sui temi mafiosi: "Vi chiedo un favore, non fate che la religiosità popolare venga influenzata dalla presenza mafiosa. Lo abbiamo visto sui giornali: quando la Madonna si ferma e fa l'inchino davanti alla casa del boss. quello non va. La pietà popolare è il sistema immunitario della Chiesa". Alla fine il Pontefice si è anche fermato alla stele che ricorda la strage di Capaci del 23 maggio 1992, per rendere omaggio alle vittime: i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli agenti della polizia di Stato Antonino Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.


Papa Francesco ricorda don Pino Puglisi e fa un appello, ma i mafiosi non si 'convertiranno' mai
Giovanna Maggiani Chelli
5 settembre 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... ai/4628100

Nel giorno dell’anniversario della morte di Don Pino Puglisi, il Papa è andato a Palermo per ricordare l’uomo di chiesa ucciso dai fratelli Graviano per la sua opera di contrasto alla mafia. L’invocazione del Papa verso i mafiosi di “Cosa Nostra“ è stata la stessa usata da Giovanni Paolo II quando il nove maggio 1993 andò nella Valle de Templi e disse : “mafiosi, convertitevi “.

Corre l’obbligo precisare che di lì a poco, era il 27 luglio 1993, a Roma furono fatte saltare due chiese care al Papa, la Curia vescovile del Papa San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. Le indagini, peraltro archiviate a Firenze, portarono a capire che le gerarchie ecclesiastiche della Chiesa, non supportarono mai in quegli anni tormentati l’abolizione del 41 bis ai mafiosi, come volevano i fratelli Graviano .

Solo i cappellani delle carceri si fecero portavoce di carcerati e famigliari dei carcerati affinché fosse abolito il 41 bis a “Cosa Nostra” . I cappellani delle carceri si lagnavano di dover dire la messa nelle celle del 41 bis, celle anguste e umide.

Le gerarchie, come detto, tacevano. Va da se la domanda: Leoluca Bagarella e i Fratelli Graviano fecero saltare le chiese care al Papa per dare un messaggio chiaro alla Chiesa? Servirebbero ulteriori indagini preliminari per capire bene fino in fondo.

Del resto tutti sappiamo che Don Padre Puglisi, una settimana prima di morire, assassinato da un gruppo di killer tra cui Gaspare Spatuzza, cercò di contattare il presidente della Commissione antimafia Violante , affinché lo ascoltasse su cose urgenti che aveva da riferirgli. L’incontro non avvenne in tempo, Don Puglisi fu ucciso!

I fratelli Graviano erano tornati a Brancaccio da Forte dei Marmi quel settembre 1993 . A Forte dei Marmi, i fratelli di Brancaccio Filippo e Giuseppe , avevano riposato dopo la strage di Via dei Georgofili del 27 Maggio 1993 in una villa da 25 milioni di lire di affitto al mese.

Corre quindi l’obbligo di porre altre domande: i fratelli Graviano tornado a Brancaccio si vantarono dei massacri stragisti del maggio e luglio precedenti? Don Puglisi ne venne a conoscenza? E per questo voleva parlare con il dottor Violante e fu ucciso? Sono domande alle quali bisogna rispondere in fretta, con serie complete indagini .

“Convertitevi”: le parole di ben due Papi non possono dare giustizia alle vittime di mafia :

1) perché non si convertiranno mai lo hanno già dimostrato il 27 maggio 1993 uccidendo bambini e ragazzi ;

2) perché è l’accertamento della verità che serve, anche con richiesta da parte della Chiesa!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam come mafia politico religiosa e jihad

Messaggioda Berto » dom set 06, 2020 8:43 am

Ma quali sono i valori spirituali e umani dell'Islam?
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2580


Come fanno quelli del dialogo interreligioso e del politicamente corretto, come Bergoglio l'incoerente e vile Papa romano, a condannare i terroristi islamici gridando a gran voce che non si può uccidere in nome di Dio e che i mussulmani che uccidono in nome di Allah non sono veri islamici e che l'Islam è una religione di pace e non del terrore, quando Maometto il profeta fondatore dell'Islam è stato il primo assassino terrorista islamico e la sua religione ha come missione e fine la distruzione di tutte le altre religioni della terra per sostituirle con quella islamica, sterminando tutti coloro che non vorranno convertirsi?


Il Papa bugiardo e l'infernale alleanza con l'Islam
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2378

Sacerdote sgozzato, il Papa: "Il mondo è in guerra ma le religioni non c'entrano"
Due jihadisti sgozzano un prete in chiesa. Bergoglio: "Tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri"

Sergio Rame - Mer, 27/07/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sac ... 90126.html

"Abbiamo bisogno di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace". Sul volo che da Roma lo porta a Cracovia per portare alla Giornata Mondiale della Gioventù, papa Francesco condanna gli ultimi attacchi inflitti all'Europa dal terrorismo islamico.

Il Papa condanna l'odio. Ma non nomina l'Isis
Ora la linea morbida mette a disagio i cattolici
"L'islam non ferma i fanatici. Dobbiamo farlo noi"
"Più martiri ora che ai tempi di leoni e stragi"

Ma si affretta a chiarire: "Quando parlo di guerra, parlo di guerra sul serio e non di guerra di religione".

Il mondo cattolico è sconvolto dalla brutale omicidio di padre Jacques Hamel, sgozzato da due terroristi mentre stava dicendo la Santa Messa nella chiesa di Saint-Etienne du Rouvray. Lo hanno fatto inginocchiare davanti all'altare e, dopo aver recitato un sermone in arabo, gli hanno reciso la gola. Una macabra esecuzione filmata col cellulare che ricorda le decapitazioni degli ostaggi occidentali eseguite dal boia dell'Isis Jihadi John. I due giovanissimi jihadisti hanno risposto alla chiamata alle armi dello Stato islamico. E, per la prima volta nella storia dell'Unione europea, un parroco è stato ammazzato in chiesa in virtù della fede che professa. Papa Francesco si è, tuttavia, affrettato ad allontanare lo spettro della guerra di religione. "C'è guerra per interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli - ha spiegato - questi sono i motivi. Qualcuno parla di guerra di religione, ma tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri, capito?".

Nell'ultimo mese gli attacchi all'Europa si sono moltiplicati di giorno in giorno. Con la strage lungo la Promenade des Anglais a Nizza, i seguaci dell'Isis hanno "inaugurato" una lunga scia di sangue che sembra non aver fine. "Da tempo il mondo è in guerra a pezzi - ha ammesso papa Francesco - non è tanto organica forse (organizzata sì), ma è guerra". Durante il volo verso Cracovia, il Santo Padre ha rivolto un pensiero a padre Jacques: "Questo santo sacerdote ieri è morto per la preghiera che offriva alla chiesa. È uno, ma pensiamo a quanti innocenti, a quanti bambini muoiono. Pensiamo alla Nigeria, ad esempio. 'Ah quella è l'Africa', dicono, sì è l'Africa, ma è in guerra". Poi, una volta atterrato in Polonia, nella cornice imponente del Wawel, l'antico Palazzo Reale, Bergoglio ha affrontato il tema dell'accoglienza: "Occorre la disponibilità ad accogliere quanti fuggono dalle guerre e dalla fame - ha detto - la solidarietà verso coloro che sono privati dei loro fondamentali diritti, tra i quali quello di professare in libertà e sicurezza la propria fede".


Papa Francesco: "Ingiusto identificare l'islam con il terrorismo e la violenza"
Papa Francesco nega il legame tra islam e jihadismo: "So come la pensano i musulmani cercano la pace e l'incontro". E avverte: "Vedo violenze anche in Italia ad opera di cattolici"

Sergio Rame - Lun, 01/08/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/pap ... 91673.html

"Non è giusto e non è vero identificare l'islam con il terrorismo e la violenza".

In volo di ritorno dalla Polonia, dove in questi giorni ha partecipato alla 31esima Giornata mondiale della gioventù, papa Francesco ha negato che ci sia un legame tra l'islam e il terrorismo. E, nel giorno in cui i musulmani hanno pregato in chiesa con i cristiani, ha assicurato: "Gli islamici cercano la pace e l'incontro".

Durante la conferenza stampa sul volo da Cracovia, papa Francesco ha spiegato ai giornalisti che non gli piace parlare di violenza islamica: "Tutti i giorni sui giornali vedo violenze anche in Italia ad opera di cattolici battezzati". "Se io parlo di violenza islamica devo parlare anche di violenza cattolica - ha poi spiegato - ma non tutti i cristiani sono violenti così come non tutti gli islamici lo sono". In quasi tutte le religioni, secondo il Santo Padre, "c'è un piccolo gruppetto fondamentalista, anche noi lo abbiamo". Bergoglio ha ricordato di aver recentemente parlato con il Grande Imam di al Azhar, Ahmad al-Tayyib. "So come la pensano - ha puntualizzato - cercano la pace e l'incontro".

Papa Francesco ha poi raccontato del nunzio di un Paese africano che gli ha rivelava come nella capitale, dove questo opera, "c'è una coda di gente per la porta santa per il Giubileo e alcuni si accostano ai confessionali". "Cattolici anche, ma la maggior parte va avanti, avanti a pregare l'altare della Madonna - ha detto il Pontefice - questi sono musulmani che vogliono fare il giubileo. In Centrafrica sono andato da loro e anche l'imam è salito sulla papamobile - ha continuato - si può convivere bene". Eppure il fondamentalismo c'è. E allora Bergoglio ha chiesto: "Quanti giovani che noi europei abbiamo lasciato vuoti di ideali che non hanno lavoro e vanno alla droga, all'alcol e si arruolano in gruppi fondamentalisti?".

Durante la conferenza stampa in diversi hanno voluto sapere perché, dopo gli attentati rivendicati dall'Isis e l'uccisione di padre Jacques Hammel, papa Francesco abbia sempre parlato di terrorismo senza mai citare l'islam. "Il terrorismo è dappertutto - ha ribattuto Bergoglio - il terrorismo cresce quando non c'è un'altra opzione mentre al centro dell'economia mondiale c'è il dio denaro e si caccia via la meraviglia del creato, l'uomo e la donna - ha concluso - questo è un terrorismo di base, contro tutta l'umanità".


Non si può condannare quelli dell'IS e santificare Maometto che ha fatto le stesse identiche cose, copiate poi da quelli dell'IS suoi seguaci.
O forse si ritiene che gli assassini ed il terrorismo di Maometto fossero giusti perché Maometto era Maometto il profeta ed aveva perciò tutto il diritto e il dovere di comportarsi così in nome di Allah per affermare la sua religione e il potere di Allah sulla terra mente quelli dell'IS no perché non sono Maometto?
Se sono crimini quelli dell'IS perché non lo dovrebbero essere anche quelli di Maometto?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Islam come mafia politico religiosa e jihad

Messaggioda Berto » dom set 06, 2020 8:43 am

L'Islam o nazismo maomettano: idolatria, orrore, terrore e morte, da sempre
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2705



Islam e islamici dove sta il problema?
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2709
In Europa e nell'occidente vi sono taluni personaggi dementi e irresponsabili che hanno santificato e santificano il maomettismo o islam come "religione di pace, amore, fraternità che migliora ed eleva l'uomo, le sue comunità e le sue politiche". Costoro ci portano la morte in casa e sono in parte responsabili delle stragi, delle prossime guerre civili e della distruzione dell'Europa e della sua civiltà.


La demenza irresponsabile di Bergoglio, dei suoi vescovi e dei falsi buoni che fanno del male e che non rispettano i nostri diritti umani, questi idolatri presuntuosi che si credono salvatori dell'umanità e del mondo a nostre spese.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 132&t=2591

Criminali e irresponsabili difensori dell'Islam o nazismo maomettano
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2263

Il Papa bugiardo e l'infernale alleanza con l'Islam
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2378


Bergoglio, il Papa che ha santificato Maometto, il Corano e Allah, tradendo Cristo, i cristiani, la fede cristiana, gli ebrei e ogni non mussulmano della terra

Santificare Maometto è un crimine contro l'umanità

Santificare Maometto equivale a santificare le sue gesta, le sue guerre, i suoi omicidi, i suoi stermini e tutti i suoi crimini, dichiarandoli perciò giusti, motivati e costituenti il bene, il sommo bene;

al contempo la santificazione del carnefice Maometto e di tutti i suoi crimini comporta la demonizzazione e la criminalizzazione di tutte le sue vittime, di tutti i diversamente religiosi che si sono opposti a Maometto e che Maometto ha cacciato, depredato, ridotto in schiavitù, assassinato e sterminato, quindi equivale a dichiarare come male gli ebrei, i cristiani, gli zoroastriani, i mazdei, i politeisti e tutti gli altri diversamente religiosi e pensanti che hanno difeso la loro libertà, la loro religione e cultura, il loro ordinamento politico e civile, i loro beni e che si sono opposti alla presunzione, all'arroganza, alla pretesa di Maometto di essere l'ultimo profeta di Dio e perciò l'autorità politico-religiosa a cui tutti dovevano sottomettersi;

tutto ciò implica anche che quanto hanno fatto i seguaci di Maometto o maomettani, lungo i 1400 anni da Maometto ad oggi, imitandolo in tutto e per tutto nelle parole e nelle sue gesta, contro tutti i non mussulmani e i diversamente pensanti, sia stato sempre e sia tutt'ora un bene, il sommo bene e perciò giusto e da continuare a perseguire.


Il maomettismo e i maomettani o l''Islam e gli islamici sono una minaccia, una offesa, un'ingiuria, un pericolo per l'umanità intera
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2667
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Precedente

Torna a Islam

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

cron