Islam come mafia politico religiosa e jihad

Islam come mafia politico religiosa e jihad

Messaggioda Berto » ven feb 19, 2016 9:54 pm

Islam come mafia politico religiosa e jihad
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2222



Da un punto di vista antropologico e pscicosociale la logica islamica è la stessa delle organizzazioni malavitose come la mafia.
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È come per gli associati alle mafie, vale la stessa legge. Da un punto di vista antropologico e pscicosociale la logica islamica è la stessa delle organizzazioni malavitose come la mafia.
Il fatto "discriminante" è che una persona che nasce in una comunità islamica non ha liberamente scelto di essere islamico, per cui questa legge è ingiusta, se l'avesse scelto da adulto in piena coscienza, libertà e responsabilità, potrei anche accettarla ma non essendo stato così vi è un vizio di origine che né vanifica ogni pretesa di legittimità.
Il diritto umano alla libertà e al rispetto della vita umana come Diritto Universale è infinitamente superiore a questo preteso diritto islamico contro l'apostata a difesa della comunità degli islamici.
Se poi vi si aggiunge il disprezzo razzista per chi non è islamico e definito miscredente, infedele, corruttore, inferiore si chiarisce meglio la natura non universale di questa legge e pratica "primitiva". Anche gli zingari hanno lo steso dispregio per i non zingari verso i quali si sentono in diritto di compiere qualsiasi malvagità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » ven feb 19, 2016 9:55 pm

Islam e mafia eguali sono

http://blog.ilgiornale.it/caputo/2014/1 ... epeat=w3tc

Ci si può credere o non credere, ma la fonte è autorevole: Raymond Ibrahim sul Middle East Forum, una delle pubblicazioni più serie sulle vicende del Medio Oriente. La sua tesi è che la parola mafia deriva dall’arabo “mahya” (che può essere tradotto con prepotenza) e che l’onorata società ha in realtà le sue radici nei due secoli di dominazione araba della Sicilia durante il Medioevo. Ma la parte più interessante dell’articolo riguarda le somiglianze nell’operato tra gli jihadisti seguaci del Corano e i nostri mafiosi. Eccone, qui di seguito, gli esempi più significativi.

LA STRUTTURA DI COMANDO.- Nella mafia (almeno nella versione cinematografica, che sembra il punto di riferimento di Ibrahim) c’è un padrino, che ha un controllo assoluto sulla organizzazione, è relativamente inaccessibile ai picciotti e comunica i suoi ordini attraverso un sotto-capo. Egli è come Allah, definito “Irraggiungibile, intoccabile, inconoscibile”, che a sua volta comunica con i fedeli attraverso un messaggero, Maometto.

DIVISIONE DEL BOTTINO- Il padrino ha sempre diritto a una parte del ricavato delle operazioni dei suoi sottoposti. Secondo il versetto 8.41 del Cortano, “un quinto del bottino acquisto dai fedeli in combattimento spetta ad Allah e al suo messaggero”.

ASSASSINII. Il padrino ordina attraverso il suo braccio destro l’uccisione di coloro che ritiene nemici mortali della “famiglia”. Parimenti, Allah attraverso Maometto o i suoi successori ordina la eliminazione di coloro che lo insultano: è avvenuto anche di recente, con le fatwe (per fortuna non portate a compimento) contro scrittori, disegnatori, giornalisti accusati di avere insultato la religione.

SENSO DI APPARTENENZA- La fedeltà al capo è una delle regole fondamentali delle famiglie mafiose. I picciotti sono anche tenuti a essere sempre disponibili ad eseguire un ordine. Se sgarrano, per esempio diventando pentiti, la pena è la morte. Ma l’organizzazione è anche come una fratellanza, nel senso che tra gli affiliati deve regnare solidarietà e armonia. Molto simile è la struttura dell’Islam: anche qui, la regola numero uno è l’obbedienza, anche se obbedire significa uccidere.

PUNIZIONE DEI TRADITORI – Nella mafia, come nell’Islam, non c’è nessuna pietà per chi tradisce. Nella mafia si elimina chi viola le leggi della lealtà al padrino e dell’omertà, nell’Islam gli apostati, cioè coloro che passano a un’altra religione. L’apostata, secondo la Sharia, può essere eliminato da qualsiasi buon musulmano, e spesso questo avviene all’interno di una stessa famiglia.

IL PIZZO COME LA JIZYA – Il pizzo, come tutti sanno, è il danaro che la mafia esige da commercianti, industriali, imprenditori vari, in teoria per “proteggerli”, in pratica per ricattarli. La Jizya è il tributo che devono pagare i non musulmani – ebrei, cristiani, buddisti – per potere vivere in un Paese a dominazione islamica senza convertirsi. “Se rifiutano di accettare l’Islam” ha detto il profeta o messaggero di Allah” pretendete da loro la jizya. Se accettano di pagare, lasciali tranquilli. Se rifiutano, chiedi l’aiuto di Allah e combattili”. In realtà, sia il pizzo sia la jizya sono una specie di barbara assicurazione sulla vita.

L’OFFERTA CHE NON PUOI RIFIUTARE – Chi ricorda “Il Padrino” sa che una “offerta che non puoi rifiutare” significa in realtà un yltimatum: o fai come ti ordino o subirai le conseguenze del tuo rifiuto. Quando gli islamici si impadroniscono di un territorio abitato dagli infedeli, danno loro tre possibilità: convertirsi, mantenere la propria religione, pagando la jizya e diventando dhimmi, cittadini di seconda classe o essere messi a morte. L’ISIS, nei territori conquistati in Siria e in Iraq, si è comportata esattamente così.

A molti lettori i paralleli potranno sembrare un po’ tirati per i capelli, ed anche il sottoscritto non ne è persuaso al cento per cento. Tuttavia, molte analogie sono reali, e il fatto che una pubblicazione di indubbia serietà abbia dedicato un lungo articolo per metterle in mostra le rende ancora più degne di attenzione. La storia, spesso, percorre strade segrete e misteriose. La teoria che la mafia discende dall’Islam è sicuramente ardita, e nessuno è tenuto a sposarla; ma, di questi tempi, vale la pena almeno di conoscerla.
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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » ven feb 19, 2016 9:56 pm

Ayaan Hirsi Ali: "L'Islam radicale è come la mafia, non bastano le bombe, la battaglia è culturale"

La scrittrice somalo-olandese: "I terroristi sono protetti dall'omertà. Viviamo uno scontro di civiltà, che iniziò nel 1989 con la fatwa di Khomeini contro Rushdie"
di ANTONELLO GUERRERA
02 gennaio 2016

http://www.repubblica.it/esteri/2016/01 ... -130515141

Ayaan Hirsi Ali: "L'Islam radicale è come la mafia, non bastano le bombe, la battaglia è culturale"
(ansa)
L'ISLAM radicale in Occidente mi ricorda la mafia in Italia. Oltre agli attentati, c'è un'inscalfibile omertà di fondo, anche nelle comunità non estremiste ma contigue al jihadismo. Il terrorismo islamico deve essere combattuto come la mafia. Non bastano le bombe. Serve una battaglia culturale, ma autentica. Bisogna imporre i valori di libertà e diritti umani, che sono superiori a qualsiasi altro. Perché oggi viviamo uno scontro di civiltà. Prima però pensavo che l'Islam fosse irriformabile. Oggi non la penso più così. Una speranza ce l'ho".

Ayaan Hirsi Ali non rinuncia mai alla sua nettezza retorica e intellettuale, che le ha creato tanti sostenitori, critici e nemici. La 46enne attivista e scrittrice somalo- olandese, che ha rinnegato la fede musulmana in gioventù perché secondo lei "inconciliabile con la società contemporanea ", oggi vive in America ancora sotto protezione, 24 ore su 24. Questo dopo le minacce ricevute dagli estremisti per la sceneggiatura di Submission, il film che denunciò la "sottomissione" delle donne nell'Islam e che nel 2004 innescò l'assassinio del regista olandese Theo Van Gogh, giustiziato da un jihadista nel centro di Amsterdam. Oggi, non lontano da lì, c'è un nuovo spauracchio: Molenbeek, il sobborgo di Bruxelles da dove sono partiti i terroristi che hanno macellato Parigi e il cuore dell'Europa. Negli ultimi giorni, sempre nella "capitale" dell'Ue e a Monaco, sono stati sventati attentati previsti per Capodanno. Massacri e allarmi che per Hirsi Ali "non sono stati di certo una sorpresa".

Perché?
"Perché il numero di estremisti islamici nel mondo sta crescendo, sempre di più. Il loro obiettivo è l'Europa, da sempre. E nelle nostre periferie trovano porose comunità dove si possono infiltrare. E nascondere".

Allude a una silenziosa complicità dei musulmani europei?
"No. Buona parte delle comunità islamiche non simpatizza affatto con gli estremisti. Ma in esse ci sono componenti sociali e culturali che possono facilitare la penetrazione dei jihadisti e della loro perversa ideologia".

Per esempio?
"Prenda Salah Abdeslam, il terrorista del Bataclan tuttora latitante. Dopo la strage, lo ha raggiunto in Francia un amico dal Belgio, che si è giustificato dicendo che non sapeva niente. Lo stesso un fratello di Salah. Entrambi sono stati rilasciati. Mi sembra impossibile che queste persone non avessero mai avuto in vita il minimo sospetto su Salah per denunciarlo alla polizia".

Magari davvero non c'entravano nulla...
"Io non la penso così. Purtroppo, in una parte della comunità islamica in Europa, c'è ancora tanta omertà, che come colla limita denunce e segnalazioni alle autorità. È un comportamento di tipo tribale, simile a quello della mafia in Italia, che si lega ai concetti di tradizione, famiglia, identità religiosa. Ibn Khaldum, il grande filosofo arabo del XIV secolo, chiamava asabiyya questa fedeltà cieca, di sangue, impermeabile alla società esterna. Anche per questo credo poco nelle "radicalizzazioni sul web". Ogni estremismo ha un contesto reale favorevole al jihadismo che certe moschee o famiglie aizzano".

Però sempre più musulmani, nelle piazze e in Internet, esprimono la loro contrarietà ai fondamentalisti.
"È vero, dobbiamo ripartire da loro, "i riformatori". Ho cambiato idea nel tempo. L'Islam può adattarsi alla nostra società. Ma ci vuole pazienza".

E invece come si combattono l'omertà vischiosa e i fondamentalismi? Bastano le bombe in Siria ed Iraq?
"Assolutamente no. L'estremismo si combatte con le idee, pianificando una battaglia culturale, vera e potentissima. Quando i Paesi Bassi mi hanno accolto come rifugiata, mi hanno dato tutto: cibo, soldi, una casa. Ma non la cosa più importante".

Quale?
"L'educazione ai diritti fondamentali dell'uomo, ai valori della società olandese e occidentale: la libertà, la tolleranza, la democrazia, il rispetto delle diversità. Purtroppo europei e americani li danno per scontati, non li trasmettono più, pensano che la superiorità militare e di intelligence sia sufficiente per resistere. Si sbagliano. L'Islam fondamentalista ha una propaganda ricca e poderosa. Pensiamo solo alla dawah dell'Arabia Saudita e cioè ai miliardi che investe nella "missione" di diffondere in tutto il mondo la sua ideologia wahabita (ramo ultra-radicale dell'Islam sunnita, ndr). E noi cosa facciamo? Quando i nostri leader vanno a Riad neanche si azzardano a pronunciare le parole "libertà" o "diritti". Invece dovremmo scandirle a voce ferma e alta, in nome dei valori universali dell'uomo, che sono superiori a qualsiasi altro. Non dobbiamo avere paura di invocarli, questi valori".

Intanto i movimenti di estrema destra, che inneggiano alla lotta all'Islam, spopolano in tutta Europa. Secondo lei è in atto uno scontro di civiltà?
"Certo. Dal 1989, dalla fatwa assassina dell'Iran di Khomeini contro lo scrittore Salman Rushdie. Ma noi non ce ne siamo accorti. Questo purtroppo ha un'influenza anche sul multiculturalismo, che per me muore se diventa un multietnicismo che al suo interno tollera la sharam, e cioè l'umiliazione
delle donne musulmane, oltre alla discriminazione dei gay e l'abiura di libertà, anche di espressione, che certe culture e religioni negano. Se cediamo su questi diritti fondamentali, lo scontro di civiltà in Occidente sarà sempre più devastante".
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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » ven feb 19, 2016 10:01 pm

Mafia

https://it.wikipedia.org/wiki/Mafia

Il termine mafia indica una particolare e specifica tipologia di organizzazione criminale, generalmente dotata di peculiari caratteristiche.
Una delle organizzazioni del genere più famosa è nota come cosa nostra, espressione riferentesi alla mafia siciliana, che venne utilizzata per la prima volta pubblicamente dal primo pentito statunitense Joe Valachi.

L'effettiva origine del lemma e del fenomeno sono ancora oggi incerte. Alcuni ritengono che il fenomeno abbia origine e sia ispirato dalla setta segreta spagnola della Garduna, secondo altri da quella dei Beati Paoli, operante in Italia nel XII secolo circa. Una delle prime apparizioni del termine fu in un documento redatto in Italia, dal funzionario del Regno delle Due Sicilie Pietro Calà Ulloa scrisse, a proposito del fenomeno, nel 1838:
« Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senza altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di fare esonerare un funzionario, ora di conquistarlo, ora di proteggerlo, ora d'incolpare un innocente....Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di una protezione impenetrabile". »

Riguardo l'origine del termine, un primo utilizzo venne registrato in Sicilia nel 1863, nell'opera teatrale I mafiusi de la Vicaria, ambientata nel carcere della Vicaria di Palermo e scritta da Giuseppe Rizzotto e Gaetano Mosca. Secondo Giuseppe Pitrè il termine mafioso indicava una persona, un oggetto o un ambiente "di spicco" e nell'insieme abbia un non so che di superiore ed elevato (...) Una casetta di popolani ben messa, pulita, ordinata, e che piaccia, è una casa mafiusedda e solo dopo l'inchiesta del procuratore palermitano è obbligata a rappresentare cose cattive. Tuttavia il Pitré non ne chiarisce l'origine.

Si è quindi voluto associare il termine - spesso forzatamente e senza chiari riscontri - con un qualche vocabolo di origine araba, a causa della sua radice non facilmente accostabile a termini di origine invece latina o greca. Tale accostamento alla lingua araba sarebbe giustificato con la presenza in Sicilia nel corso del X secolo della componente islamica. Questo ovviamente presupponendo un'ipotetica origine siciliana delle principali organizzazioni di questo tipo. Così secondo Diego Gambetta il vocabolo originario potrebbe provenire dall'arabo مهياص (mahyas = spavalderia, vanto aggressivo) o, come propone il Lo Monaco, مرفوض (marfud = rifiutato) da cui proverrebbe il termine mafiusu, che nel XIX secolo indicava una persona arrogante, prepotente, ma anche intrepida e fiera.

Secondo Santi Correnti invece, che rigetta le origini del termine dall'arabo, sarebbe un termine piuttosto recente, forse derivato dal dialetto toscano, trovando un riscontro nella parola maffia. Di simile avviso Pasquale Natella che ricorda come a Vicenza e Trento si usasse il vocabolo maffìa per indicare la superbia e la pulizia glottologica (...) va subito applicata in Venezia dove a centinaia di persone deve essere impedito di pronunciare S. Maffìa (...). La diceria copriva, si vede, l'intera penisola e nessuno poteva salvarsi; in tutte le caserme ottocentesche maffìa equivaleva a pavoneggiarsi e copriva il colloquio quotidiano così in Toscana come in Calabria, dove i delinquenti portavano i capelli alla mafiosa.

In merito a ciò ricordiamo quanto scritto già nel 1853 da Vincenzo Mortillaro nel suo Nuovo dizionario siciliano-italiano per Mafia: Voce piemontese introdotta nel resto d'Italia ch'equivale a camorra. Tra le cause della nascita del fenomeno sono sicuramente da annoverare il dominio dal latifondo che vessava una massa di contadini miserabili. Fra nobiltà terriera e contadini era presente un ceto di spregiudicati e violenti massari, campieri ("guardie armate" del latifondo) e gabelloti (gestori dei fondi a gabella, cioè in fitto) che terrorizzavano i contadini e i proprietari con i loro sgherri, venivano a patti con i briganti, amministravano una rozza giustizia che però non ammetteva alcuna forma di opposizione. I briganti, i ladri, i ribelli avevano un ambiguo rapporto con i massari.

I contadini servivano i massari e vedevano talvolta in loro degli alleati possibili contro i latifondisti che a loro volta si servivano dei massari e dei campieri, pur disprezzandoli e temendoli, come forza contro il latente pericolo costituito da possibili rivolte delle masse contadine. Massari e campieri si servivano dei briganti contro nobili e contadini ma sapevano anche spazzarli via con violenza quando dovevano dimostrare a tutti gli abitanti del feudo chi comandava effettivamente. La mafia, per giungere al dominio del territorio, controllava non solo il mondo rurale, i trasporti, l'attività mineraria, gli allevamenti, ma anche la delinquenza urbana, i tribunali, le centrali di polizia, i centri del potere. I mafiosi erano nel contempo imprenditori, organizzatori della produzione, giudici, gendarmi, esattori delle tasse, poiché prelevavano quote di ricchezza dal lavoro e dalla rendita dei ceti sociali in mezzo ai quali vivevano ed operavano.

Nell'età moderna prima e contemporanea poi, mentre nella maggior parte dell'Europa i poteri legali e centrali si rafforzavano ed espandevano, fenomeno risaltato soprattutto dalla nascita dei primi stati nazionali, in Italia ed in Sicilia è in una situazione di legalità frammentata: i signori feudali in concorrenza con i deboli poteri centrali; un groviglio di giurisdizioni e di competenze; i deboli esposti allo strapotere dei signori e degli sbirri; i deboli ceti produttivi e mercantili soggetti alle soperchierie di funzionari e baroni. La violenza, in questo contesto premessa per la sicurezza, si privatizza: i signorotti del posto hanno i loro sgherri, l'Inquisizione ha i suoi ufficiali ed agenti, le corporazioni hanno le loro compagnie d'armi, i mercanti pagano le scorte armate per i trasferimenti di merci. Si assiste ad un continuo scontro di poteri e di interessi, in una terra, la Sicilia, in cui il continuo succedersi di poteri e dominazioni non ha favorito la coesione tra popoli e governanti.

Nel corso del XX secolo le aggregazioni rette dalla legge dell'omertà e del silenzio consolidarono un'immensa potenza in Sicilia e riemersero dopo la seconda guerra mondiale. La letteratura italiana, a partire dal secondo dopoguerra, ha spesso prestato attenzione al fenomeno. Nel 1959, quando il fenomeno era ormai diffuso e aveva già subìto l'evoluzione storica della seconda guerra mondiale, Domenico Novacco invitava ad una lettura critica del passo di Mortillaro, in quanto a suo dire la "boutade" del Mortillaro (...) era emessa nel solco d'un filo autonomistico siciliano antiunitario che dava ai sabaudi il demerito d'aver introdotto nella immacolata isola cattive tradizioni e tendenze paraispaniche.
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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » ven feb 19, 2016 10:08 pm

La mafia islamica
3 luglio 2006
Pubblicato da jan reister
Una risposta ai lettori di Paolo Granzotto

http://www.nazioneindiana.com/2006/07/0 ... a-islamica

Il “Padrino, parte seconda” è una fantastica lezione sullo scontro di civiltà. Maurizio Crippa

La rubrica della posta è il più profondo spazio di corrispondenza tra la redazione e i lettori di un giornale. In questa pagina si captano gli umori del pubblico e i peli sullo stomaco dei giornalisti, grazie a un genere di scrittura molto personale, a un linguaggio schietto e fuori dai denti.
“La parola ai lettori”, la rubrica curata da Paolo Granzotto per il Giornale, rappresenta uno dei principali strumenti di fidelizzazione utilizzati dal quotidiano di Paolo Berlusconi per corteggiare il suo pubblico più fedele, con una sapiente dose di tradizionalismo.
Granzotto ha iniziato a scrivere a 19 anni sulla “Settimana illustrata”, ha lavorato dieci anni al “Messaggero” e gli ultimi venti li ha trascorsi al Giornale, prima come inviato e poi come vicedirettore. Viene dalla scuola di Indro Montanelli, maestro insuperato di quella generazione di giornalisti italiani conservatori, appassionati di storia e belle lettere.[1]
La rubrica di Granzotto è una crestomazia quotidiana, un esercizio di scrittura breve e frammentaria. Lettere che parlano di storia del vino e spicchi di memorialistica anticomunista, illuminazioni sui percorsi meno frequentati della provincia italiana e divagazioni sull’attualità. In questo erculeo sforzo classificatorio c’è sempre posto per i rapporti tra islam e occidente. L’islam è addirittura usato come un nome proprio, un personaggio in carne e ossa: “L’Islam distrusse la biblioteca di Alessandria”, titola Granzotto il 10 settembre 2005. Generalizzazioni come questa vengono presentate con grande erudizione storiografica, date e personaggi storici della storia musulmana sono connessi, complicati e risolti in una fiammata evenemenziale non più lunga di cinquecento parole:

Maometto aveva da tempo messo gli occhi sull’Egitto, ma la morte lo colse (8 giugno 632) prima che vi potesse mettere anche le mani. Volle provarci il suo successore, Abu Bakr, ma non ebbe il tempo (troppe beghe nella Umma) e toccò quindi al califfo Omar Ibn Al-Khattab, subentrato ad Abu Bakr, compiere l’opera e nel 640 il suo generale, Amr ibn al-As, già poneva l’assedio alla fortezza di Babylon, sul Nilo, ultimo baluardo a difesa di Alessandria.

Granzotto ricalca l’amore montanelliano per le grandi narrazioni storiche ma le contrae nello spazio concentrato di una risposta, sfruttando la rapidità espressiva e la velocità tipiche dell’epistolario. Gli eventi vengono addossati uno all’altro, spinti da un’implacabile urgenza stilistica e da una buona dose di ironia, annullando ogni altro elemento che appartenga all’altra storia, quella dei senza volto e dei fuori casta – la storia privata e quotidiana dell’islam, che ovviamente non può conoscere (chi potrebbe farlo?).
Le lettere di Granzotto si trasformano in un bignami islamico, da dove tirare fuori brevi note informative, diligentemente accumulate e ordinate. Tanti frammenti scelti dall’autore, come se l’islam fosse un argomento troppo vasto e complesso da raccontare tutto in una volta.
Una storia che potrebbe rivelarsi anche noiosa, e quindi lasciate che vi spieghi io come stanno le cose, e soprattutto che sia io a tradurre dall’arabo le parole adatte. Il compendio dipende tutto dalla scelta aprioristica dell’autore. A prevalere sulla materia analizzata è la bravura, la competenza e il mestiere del giornalista, la sua capacità di fornire risposte chiare ai lettori che chiedono spiegazioni.
In questo riassunto a puntate dell’islam, gli spigoli, le striature e i margini del mondo arabo e musulmano vengono considerati superflui rispetto all’enumerazione implacabile dei fatti. E i fatti sono che San Francesco proprio non riuscì a dialogare con gli arabi, e che pure quei modelli di libertà come gli illuministi erano convinti di avere una missione: far progredire i “buoni selvaggi”, come scrisse l’abate Raynal, amico di Rousseau, nel suo trattato di filosofia politica.[2]
I fatti sono che il 7 ottobre si festeggia Santa Maria delle Vittorie sull’Islam, festività cattolicissima, celebrata da Papa Wojtyla e dedicata all’eroe cristiano Janos Hunyadi, che nel 1456 annientò l’armata turca nei pressi di Belgrado. Perché secondo Granzotto la Bibbia, ripulita dalle incrostazioni progressiste del Concilio Vaticano II, è un libro di guerra, con un Dio degli eserciti (Deus sabaoth) e una milizia celeste (militia coelestis exercitus).[3] Granzotto decide quale sarà l’argomento del giorno e lo astrae in splendida solitudine dal suo contesto storico, separandolo dalla molteplicità brulicante di eventi in cui l’aveva trovato. È una forma di persuasione didascalica dei lettori basata sulla sintesi e sulla esattezza quantitativa dei dati.
Un metodo di decifrazione della realtà rigidamente soggettivo ma presentato come oggettivo al lettore. L’islam resta sempre fuori dalla percezione di Granzotto e dentro la sua immaginazione.[4]

Terroni e terroristi
Il 28 settembre 2005, il signor Gianni Ferrero scrive al Giornale: “Prima c’è stato l’emirato di Cordoba definito il posto più civile della terra da ‘Repubblica’, ora la Sicilia musulmana del ‘Corriere della Sera’, della quale si rimpiangono ‘benefici e virtù’. Cosa succede? Hanno già vinto loro?”.
La risposta di Granzotto è fulminante: la Sicilia musulmana inventò ‘u pizzu. Dopo aver smontato le tesi di Michele Amari sulla “Storia dei musulmani in Sicilia”, l’autore passa a ricordare i frutti della dominazione araba: arance, limoni e gelso, cupole e bagni pubblici. Ma al di là della poesia e della canalizzazione delle acque, il lascito degli arabi è stato letale. Veniamo a sapere che la mafia avrebbe origini islamiche: “pare che venga (la parola ‘mafia’) appunto dall’arabo mahefil (adunanza) o, ancora, muhafak (protezione dei deboli)”. Come appare evidente dalla risposta di Granzotto, la filologia serve a descrivere mentalità e modi di essere. Lingua e razza sono collegate.
I terroni mafiosi sono i discendenti degli arabi, padrini i figli, imam i padri, tutti assassini perché sta scritto nel loro codice genetico. Usano le stesse autobomba, no?
La mafia, il disordine civile e la mancanza di progresso del mondo islamico fanno tutt’uno in questa dissertazione linguistica sulla devianza.

Il regime islamico fu tollerante coi cristiani. Tolleranza islamica, ben inteso: una volta conquistata la Sicilia, gli arabi ridussero gli abitanti a dimmit, vassalli che vivevano soggetti e che se non si convertivano erano tenuti a pagare una ‘tassa di protezione’, la jazya. Jazya che stando a Michele Amari i siciliani presero poi a chiamare, veda un po’ lei, caro Ferrero, pizzu. E dove vige il pizzu non è che fiorisca una civiltà da rimpiangere troppo, almeno io credo.[5]

L’ipotesi dell’onorata società musulmana aveva già colpito altri colleghi del Trust orientalista. Il 21 settembre, Giuliano Ferrara titola la sua rubrica della posta sul “Foglio”: “Tra i benefici della civilizzazione araba di Sicilia non va dimenticata la mafia”. Nella rubrica dell’Elefantino si può leggere:

Il lascito degli arabi in Sicilia è notevole in ogni campo, e da Michele Amari a Sergio Romano occorre sempre che qualcuno ricordi gli splendori di quella civilizzazione, benefici e virtù. Tra i quali va compresa la persistente forma clanica e familistica che si chiama mafia.

Ferrara non va oltre il cinismo sardonico che lo contraddistingue, ma Granzotto vuole dare una prova di razionalismo in più, dimostrare concretamente che le parole sono oggetti reali.vi Nel significato di un vocabolo è inscritto il comportamento, la morale, l’origine biologica dei popoli. La parole producono una visione del mondo piuttosto che un’altra: il punto di vista primitivo della razza islamo-terrona o quello superiore dei nordisti atlantici. Solo un dialetto inquinato dall’arabo poteva inventarsi ‘u pizzu. Il dialetto diviene una sorta di anomalia della lingua italiana – il toscano purissimo dell’autore – imbastardita dai barbarismi lessicali presenti nella dominazione araba della Sicilia. Nella lingua islamica c’è il germe malato di don Vito Corleone, come scrive Maurizio Crippa, un habitué della rubrica della posta di Ferrara, in un bell’articolo apparso il 24 settembre:

Mafia, Ma afir, mahias. Se come spiegano i libri la parola mafia è uno dei tanti lasciti arabi alla Sicilia, il paradosso multiculturale sarebbe eccellente. Perché dall’islam poi la mafia è traslocata in terra cristiana, con i suoi riti sacri e blasfemi tanto cari ai padrini. Saremmo allora davanti al primo caso, ante litteram e ante secula, di fallimento della inculturazione cristiana: il cristianesimo che non è riuscito a cancellare dalla sua terra e dalla sua lingua il mafioso substrato arabo, la madrassa di Via Quaranta come la madrassa di Santa Rosalia, la mafia come il primo fardello dell’uomo bianco. Bisognerebbe spostare qualche parallelo più su, e qualche secolo indietro, la linea di confine dell’occidentalismo. Qualcuno dirà che è colpa della terza serata, ma il “Padrino, parte seconda” è una fantastica lezione sullo scontro di civiltà.[7]

Questa recensione del “Padrino” in chiave islamista cattura per l’originalità dello spunto: mischiare Hollywood, le madrasse e Santa Rosalia.
Ma far credere che fattori storico-linguistici presi a caso, e che si succedono in modo non lineare e discontinuo, possano produrre enunciati scientificamente veritieri è un’altra cosa.
La parentela stretta tra i poeti arabi siciliani e un tipaccio come Sonny Corleone non deriva da un’esigenza descrittiva della prosa di Crippa, ma da un giudizio di tipo valutativo: non sono mafioso, non sono terrone né terrorista, sono Maurizio Crippa, la metamorfosi dell’occidentale steso sul divano a guardare un film.
Le certezze dell’orientalismo corrono da un giornalista all’altro, si fanno stile, artificio retorico e narrativo, acquistano forza e legittimazione ad ogni passaggio. Per Filippo Facci, editorialista del Giornale, la Calabria è la nostra Algeria e se vogliamo esportare la democrazia dobbiamo prima sconfiggere la ‘ndrangheta. Il Trust è un sistema di citazioni che aumenta l’unità ideologica complessiva del gruppo.[8]
Sia Ferrara che Granzotto scelgono la prestigiosa vetrina della posta per fare opera di pedagogia sui lettori. Bernardo Provenzano come al Zarqawi, sono gli autori a dirlo, a confermarlo a distanza di giorni, a dimostrarlo con tutto il peso della loro autorità. Non ci sono prove tangibili, a meno che non si voglia credere davvero che il “pizzo” abbia qualcosa a che vedere con la jizya, la tassa che i miscredenti siciliani dovevano pagare ai loro padroni arabi nel medioevo. Per Granzotto è senza dubbio così: Bouriqui Boutcha, l’imam-macellaio di Torino, espulso dall’Italia perché considerato una cinghia di trasmissione con Bin Laden, è stato prelevato da casa nel cuore della notte. L’hanno sbattuto fuori dal nostro paese appena in tempo, prima che Torino si trasformasse nella nuova medina corleonese.[9]

NOTE
1. Paolo Granzotto ha pubblicato, tra gli altri, Sommario della storia d’Italia, Rizzoli 1986, e Perché parliamo italiano, Le Lettere 1998
2. P. Granzotto, Islam, storia di un dialogo mancato, il Giornale, 21 settembre 2005
3. P. Granzotto, Anche la Chiesa festeggia le vittorie sull’Islam, il Giornale, 17 novembre 2005; L’Islam e le campane che suonano a mezzogiorno, il Giornale, 23 novembre 2005
4. “Col tempo i lettori dimenticano l’intervento dell’orientalista e percepiscono la ricostruzione come se si trattasse dell’Oriente tout court”, Edward Said, Orientalismo, Feltrinelli 2001, p.133
5. P. Granzotto, La Sicilia Musulmana che inventò ‘u pizzu, il Giornale, 28 settembre 2005
6. Scrive Said, a proposito del trattato sul semitico di Ernest Renan: “doveva costituire un decisivo passo avanti, e una solida base su cui fondare le successive prese di pozione sulla religione, la razza e il nazionalismo”, cit., p. 143
7. Maurizio Crippa, Il kamikaze della Revolucion, il Padrino e le madrasse di Santa Rosalia, il Foglio, 24 settembre 2005
8. Oltre alla mafia, gli arabi sarebbero anche dietro la strage di Ustica (27 giugno 1980). Almeno a sentire Gian Marco Chiocci e Claudia Passa, Ustica e Bologna, prima delle stragi gli arabi lanciarono un ultimatum, il Giornale, 21 settembre 2005
9. P. Granzotto, L’imam di Torino e la tassa sui miscredenti, il Giornale, 11 settembre 2005
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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » ven feb 19, 2016 10:10 pm

Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà
viewtopic.php?f=188&t=1922
Ixlam = dotrina połedego rełijoxa de l teror e de l'oror


No a ła mafia xlamego-coranega - Convertii apostati come i pentii de mafia, costrenxesti a scondarse.

“Noi, i cristiani-fantasma venuti dall’Islam”
Un reportage tra gli islamici che, in Italia, si sono convertiti al cristianesimo. «Per evitare ritorsioni e minacce da parte dei musulmani più fanatici siamo costretti a nasconderci»
In Italia potrebbero essere un migliaio gli islamici divenuti cristiani
07/02/2016
mauro pianta

http://www.lastampa.it/2016/02/07/vatic ... agina.html

Omar, lo chiameremo così, soffia via il fumo leggero della sigaretta che si è concesso nella pausa del lavoro. Si schiarisce la voce, poi ti guarda dritto negli occhi: «Sì, adesso sono felice. Rimpiango solo gli anni che ho passato senza conoscere Cristo, ma si vede che doveva andare così. Sono rinato, la mia vita è cambiata. Non è che non abbia problemi, figurati… Ma sono più paziente, sereno». Omar, 55enne ingegnere chimico egiziano che oggi si aggiusta a fare il cameriere in una città del centro-Italia, era musulmano. Con più di una venatura di fanatismo. Poi c’è stato l’arrivo in Italia, la crisi per la morte della madre, la lettura della Bibbia e in particolare del libro dell’Apocalisse, l’appassionarsi per le omelie di un predicatore cristiano egiziano guardate grazie alla parabola, infine l’incontro con alcuni cristiani che sono divenuti suoi amici e che lo hanno accompagnato fino al battesimo, tre anni fa. L’elemento decisivo per la sua conversione? «L’aver visto in queste persone – dice a Vatican Insider – un’umanità più completa della mia e il fatto che mi hanno aiutato senza chiedermi di cambiare religione». Resta, per Omar, un enorme, drammatico, cruccio: «Non posso praticare apertamente la mia fede cristiana: ho paura che qualche fanatico islamico possa fare del male non solo a me, ma soprattutto ai parenti che sono rimasti in Egitto. Perché – si chiede – gli italiani che si convertono all’Islam possono andare tranquillamente a parlarne in tv e invece io devo nascondermi per evitare ritorsioni?».

“Chi cambia religione tradisce il suo popolo”

Rivolgiamo la domanda di Omar a padre Samir Khalil Samir, gesuita, uno dei maggiori islamologi a livello internazionale: «L’Islam non è solo religione ma è anche politica, cultura, società. Esso penetra fin nelle minime cose. Non esiste una separazione tra fede e politica, il credente in Allah fatica a distinguere il cristianesimo dall’Occidente. Ecco perché un musulmano che passa ad un’altra religione commette un tradimento rispetto alla comunità: non tradisce solo la propria fede, ma anche il proprio popolo, la nazione. Insomma, nell’Islam si può entrare ma è vietato uscire». E infatti in nessun paese islamico ci si può convertire a un altro credo senza subire conseguenze. Il reato di apostasia è punito con diverse gradazioni: dalla “morte civile” (perdita del lavoro, della tutela dei figli e di alcuni diritti, rottura dei legami familiari), si arriva fino al carcere o alla pena di morte. «Anche in terra di emigrazione – osserva ancora padre Samir – l’apostata è oggetto di riprovazione, minacce o violenze da parte della comunità di appartenenza o della sua stessa famiglia. Da qui la necessità per i convertiti di vivere nella riservatezza. Nonostante tutto questo il fenomeno dei musulmani che diventano cristiani, grazie anche alle tv satellitari e al web, è sempre più diffuso».

Ecco chi sono

Ma qual è l’identikit del musulmano che abbraccia il cristianesimo in Italia? Il profilo disegnato dalle associazioni cattoliche che si occupano di immigrati e dall’esperienza di chi lavora del Servizio nazionale per il Catecumenato Cei (i catecumeni sono coloro che si preparano a ricevere il battesimo da adulti, ndr) è molto variegato. Tra i “neocristiani” vi sono studenti universitari, diplomatici, giovani lavoratori stagionali, vedove, figli nati in Italia da almeno un genitore musulmano, migranti che richiedono asilo.

Quanti sono in Italia? Il censimento impossibile

Sapere, invece, quanti sono i convertiti nel Belpaese è praticamente impossibile. Va ricordato che secondo il diritto canonico le richieste di battesimo provenienti da persone con più di 14 anni devono essere sottoposte al vescovo della diocesi di competenza, il quale può autorizzare l’amministrazione del sacramento al termine di un percorso di catecumenato che dura mediamente due anni. «Il punto – spiega il giornalista Giorgio Paolucci autore insieme con Camille Eid del libro “Cristiani venuti dall’Islam” (Piemme, 2005) – è che i registri battesimali compilati dalle parrocchie e dalle diocesi (unica fonte statisticamente affidabile, ndr) non segnalano la fede religiosa da cui i catecumeni provengono ma solo la loro nazionalità». Nel 2014 ci sono stati 1206 catecumeni battezzati in Italia, di cui 347 italiani, 567 stranieri e 292 di provenienza non specificata. Negli ultimi anni la tendenza costante è di un 50-60 per cento di battezzati stranieri. La Cei, per motivi di sicurezza e per evitare che le cifre possano essere lette come il risultato di una conquista frutto del proselitismo, non segnala nemmeno quanti di questi battezzati stranieri arrivano da nazioni di tradizione islamica. Ma a taccuini chiusi una fonte Cei interna al Servizio nazionale per il Catecumenato parla di «almeno un migliaio di convertiti presenti sul territorio italiano considerando però anche coloro che sono divenuti protestanti e chi ha aderito alla chiesa copta».

“Così li accoglie la Chiesa”

«La Chiesa – osserva don Jourdan Pinheiro, responsabile del Servizio per il catecumenato dell’Ufficio Catechistico Nazionale della Cei - li accoglie nelle comunità ecclesiali con grande rispetto e prudenza. E’ molto importante non tenerli come gruppo a parte, separati dalla vita pastorale». In ogni caso, perché queste persone bussano alle porte della Chiesa cattolica? «I motivi sono diversi – risponde ancora don Pinhero -: il desiderio di integrarsi, la simpatia per lo stile di vita dei cristiani che hanno conosciuto, la riconoscenza per le associazioni che li hanno accolti e aiutati, la richiesta del battesimo per i figli nati nel nostro Paese. Ma credo che l’elemento decisivo – conclude don Pinhero – sia l’incontro con cristiani autentici che vivono pienamente e gioiosamente la propria fede in una comunità viva e accogliente e che sanno testimoniare il Vangelo nella semplice quotidianità».

Promessi Sposi in Pakistan

L’incipit che porta a chiedere il battesimo può anche passare dall’essersi innamorato di una donna cristiana. E’ la storia di S. K. , 42 anni, pakistano, in Italia dal 2010. «Ho conosciuto la mia futura sposa – racconta a Vatican Insider - tanti anni fa, in Pakistan. All’epoca ero un musulmano molto osservante, provenendo da una famiglia di talebani. Mi sono innamorato di lei quasi subito, nel tempo ho capito che il suo essere speciale, così diversa, dipendeva anche dalla sua fede in Gesù. Ho cominciato a leggere il Vangelo, a informarmi. Ci sono voluti tredici anni per convincere la sua famiglia al matrimonio. Nel 2001 mi sono battezzato e due anni dopo, in gran segreto dai miei familiari, ci siamo sposati in chiesa. Qualche anno dopo la nascita dei due figli, però, abbiamo deciso di andare via dal nostro Paese. Laggiù chi cambia religione viene ucciso. Avevamo paura per i bambini: cominciavano tutti a guardarci in modo strano perché eravamo diversi. Vivevamo isolati, nella paura. Siamo riusciti a fuggire». Nella sua terra S. K. era un manager, da noi si guadagna da vivere facendo il camionista. «Pazienza – dice -, sono molto più contento. La paura? C’è, ma ci affidiamo a Dio e ad alcune famiglie italiane che ci danno una mano. E per maggior prudenza evitiamo comunque di frequentare persone di religione islamica». Qualcuno li chiama i cristiani-fantasma.

Ixlameghi ke łi se converte al creistianixmo
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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » ven feb 19, 2016 10:12 pm

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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » ven feb 19, 2016 11:16 pm

Islam e Mafia
http://www.geocities.ws/paceislamica/mafia.htm

La Mafia e l´Islam appaiono come creazioni molto differenti. La mafia é laica, mentre l´Islam si riferisce ad un certo Mohamed della Mecca ed ad Allah.

Nonostante ciò, ci sono delle parallele che non sono molto ovvie.

La mafia si presenta a delle dite ma anche a delle persone private ricche per offrire loro la sua protezione. Per questa protezione chiede dei soldi. Se i “protetti si rifiutano di pagare, tutti sanno che cosa succede. Tanti negozi sono già stati bruciati. Tanta gente é morta.

Uno stato islamico con la giurisprudenza islamica, vuole dagli abitanti non- musulmani la Jaziya, una tassa di punizione perché non adottano l´Islam, che viene considerato l´unica religione giusta. Se pagano i non- musulmani vengono protetti dalla legge della guerra dell´Islam. Se non pagano queste regole vengono nuovamente attivate e i Dimmi perdono il loro diritto di vivere nei limiti stabiliti dalla Dhimma.

Questo era anche una delle ragioni perché nella Turchia della prima guerra mondiali più di 1,5 milioni di armeni furono ammazzati nella maniera più crudele. Grazie alla pressione delle potenze europee nel 19° secolo sí erano emancipati come cittadini uguali davanti alla legge e non come sudditi inferiori, catturati dalla Dhimma. Ciò era troppo per il regime islamico, per il quale questi poveri armeni avevano perso il diritto di vivere. Dovevano essere ammazzati. In Egitto ed in altre paesi islamici succedono spesso assalti a dei cristiani, perché la Jaziya non viene colletta più dallo stato laico. Gli integralisti musulmani credono di avere il diritto divino di ricevere questa tassa dagli infedeli. Ciò é stabilito dal Corano, che dai musulmani viene considerato l´ultima verità:

Corano 9/29 Combattete (uccidete) coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati. Va notato che la sura 9 era l´ultima allucinazione di Maometto, quindi il suo testamento. I cristiani del Egitto e gli Armeni sono solo due casi fra migliaia, nella storia dell´Islam.

Se un membro della mafia se né va, corre il rischio di essere ucciso, specialmente se diventa un pentito e collabora con la polizia. Per questo spesso ricevono una nuova identità, e vivono con ansia.

Nell´Islam chi volta le spalle alla religione di Maometto viene visto come perdente nell´al di là.

Corano: 18/29. Di': « La verità [proviene] dal vostro Signore: creda chi vuole e chi vuole neghi ». In verità abbiamo preparato per gli ingiusti un fuoco le cui fiamme li circonderanno, e quando imploreranno da bere, saranno abbeverati da un'acqua simile a metallo fuso che ustionerà i loro volti. Che terribile bevanda, che atroce dimora

In più la sharia prevede che gli apostati vanno messi a morte:

Bukhari V.9 B. 83, N. 17

Narrò Abdullah: Il Messaggero di Allah disse: “Il sangue di un musulmano che testimonia che nessuno ha il diritto di pregare a qualcun´altro che ad Allah, e che io sono il suo Messaggero non dev´essere sparto, tranne che in tre casi: Come “Quisas” per un omicidio. Una persona sposata che fa illegalmente il sesso, e qualcuno che volta le spalle all´Islam (un Apostata) e che lascia i musulmani.


Nei paesi islamici tante persone vengono messe a morte perfino dalla propria famiglia perché hanno lasciato l´Islam. Tanti assassini uccidono un´Apostata soltanto per spedirlo all´inferno. Se ciò suona sadico, LO é.

Se la mafia viene confrontata con accuse la risposta é: “Ma no, noi siamo una famiglia perbene!”

Nella zona dove viene commesso il reato vigilia l´OMERTA. Nessuno non ha visto niente. Nessuno non sa niente. Tutti devono tacere.

Nell´Islam é simile. Se uno parla delle condizione disastrose in Afghanistan o nell´Arabia Saudita la risposta unisona é: “Ma ciò non é il vero Islam.” O: “Quelli non sono musulmani veri.”

Se esplode una bomba? Si può immaginare la risposta: „Non ha niente a che vedere con l´Islam.” É una bugia, e tutti lo sanno.

In realtà i Sauditi e i talebani sono musulmani che seguono fedelmente il Corano e la Sunna che é l´esempio del profeta. Sono obbedienti al Messaggero, come lo esige il Corano.

Quante volte si poteva sentire che Osama bin Laden era innocente?!! Era la prima reazione dei suoi seguaci in occidente ed altrove, per confondere gli avversari.

Scrivere sulla Mafia può essere pericoloso per un giornalista. Similmente é problematico pubblicare opinioni critiche sull´Islam. In Italia sono già morti dei giornalisti perché avevano scritti sulla Mafia, come anche nei paesi islamici giornalisti che criticavano l´Islam sono stati decapitati. Spesso vanno in prigione o vengono discriminati in altre maniere. Perfino in Italia l´autrice Oriana Fallaci si deve presentare davanti al giudice, per aver criticato l´Islam. Se non prestiamo attenzione non sarà un caso unico, e l´Italia diventa una nazione della Dhimma.

Ibn´Warraq vive di nascosto in Europa,. La ragione? Ha scritto il libro: Perché non sono Musulmano. Ali Sina di http://www.faithfreedom.org si nasconde con uno pseudonimo.

Theo van Gogh il regista del film Submission é stato ucciso, ed Ali Hirsi l´autrice deve nascondersi. Se appare in pubblico lo fa soltanto con guardie del corpo.

Se un mafioso fa un adulterio, ciò é contrario al codice d´onore. In più un tale comportamento può causare problemi con la famiglia della sposa.

Secondo la sharia un uomo o una donna che hanno commesso il reato di un adulterio o vengono fustigati, o lapidati. Sono punizioni molto crudeli.

Dall´altra parte la Sharia permette più donne, e per un uomo musulmano il divorzio é molto facile, mentre é per un mafioso é difficile fare lo stesso.

Mediamente le zone infestate dalla Mafia sono più povere del resto del paese.

Anche paesi musulmani mediamente sono più poveri di quelli democratici. Basta paragonare la Spagna con il Marocco, la Francia con l´Algeria o l´Italia con la Tunisia. Neanche il petrolio aiuta tanto. Lo standard di vita medio dell´Arabia Saudita é molto più bassa di quello italiano. I musulmani sono fra gli immigrati più poveri, e lo rimangono anche.

Non é una meraviglia. Il profeta era un padrino.
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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 11:31 pm

Apostaxia o ridda o … entel vecio ebraixmo e l'ixlam
viewtopic.php?f=24&t=1327

Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà
viewtopic.php?f=188&t=1922

Asasini, el Vecio de ła Montagna
viewtopic.php?f=188&t=2034

Magdi Cristiano Allam l'apostata
viewtopic.php?f=188&t=1854
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -Allam.jpg
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Re: Ixlam come mafia rełijoxa

Messaggioda Berto » gio feb 25, 2016 7:28 pm

GIORNALISTI ARABI VISITANO ISRAELE PER LA PRIMA VOLTA

Hanno chiesto che la loro identità non sia rivelata, perché se si viene a sapere che hanno visitato Israele, non solo rischierebbero il loro lavoro, ma anche la loro vita.

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 1320147931

Il Ministero degli Esteri ha ospitato una delegazione di quattro giornalisti arabi che vivono in Europa, nel tentativo di cambiare la copertura negativa di Israele. "La visita in Israele è stata emozionante e unica. È un peccato che la maggior parte delle persone nel mondo arabo sono ancora pieni di odio cieco e di pregiudizio nei confronti di Israele", ha detto G.M., un giornalista iracheno che vive in esilio in Germania. I quattro giornalisti, di origine irachena, siriana ed egiziana, scrivono dall'Europa per una serie di agenzie di stampa in lingua araba, tra cui Al-Sharq ,Al-Awsat, Sky News, BBC araba, Deutsche Welle arabo e Kitabat.
Hanno chiesto che la loro identità non sia rivelata, perché se si viene a sapere che hanno visitato Israele, non solo rischierebbero il loro lavoro, ma anche la loro vita. Durante la loro permanenza in Israele, i giornalisti hanno visitato il Museo dell'Olocausto Yad Vashem, la Knesset, la Corte Suprema. Hanno anche fatto un giro di Gerusalemme, si sono incontrati con i membri della Knesset, il Ministero degli Esteri, e con giornalisti israeliani. "Possiamo discutere di cose, tra cui la questione palestinese, ma non dobbiamo cadere nella trappola di odio e di incitamento."Questa visita in Israele ha cambiato il nostro modo di pensare su tutti voi",ha detto un giornalista."La visita ci ha offerto una profonda conoscenza dello Stato di Israele" ha detto un altro giornalista.Abbiamo visto i rappresentanti ufficiali, parlato con gli israeliani per la strada e imparato cose che non sapevamo prima. Abbiamo anche imparato a conoscere la struttura sociale, culturale, etnica e religiosa di Israele e come sia uno stato pluralistico. Questo viaggio senza dubbio ci permetterà di trasmettere un'immagine diversa di Israele ai nostri lettori. Vorrei che questo potrebbe portare alla riconciliazione tra le nazioni ".Il portavoce del Ministero degli Esteri Emmanuel Nahshon ha concluso, "Di tutte le delegazioni che il Ministero degli Esteri ha ospitato, la delegazione dei giornalisti arabi è la più importante. Dal nostro punto di vista, il dialogo con il mondo arabo è una priorità assoluta. Ci auguriamo che più delegazioni arriveranno presto. "
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