Nazismo islamico = dhimmitudine

Nazismo islamico = dhimmitudine

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 9:49 am

E D-o chiese a Caino: Caino dov'è tuo fratello?
Quando incontrate un mussulmano ospite o migrato nella nostra terra o un cittadino italiano convertitosi ad Allah, che pretende "diritti" come la moschea, non dimenticate mai di chiedergli come fece D-o con Caino:
maomettano dove sono gli ebrei e i cristiani alla Mecca e dove stanno le chiese cristiane e le sinagoghe ebraiche in questa grande città capitale dell'Arabia e dell'Islam ?
La risposta che vi daranno è l'essenza dell'Islam, cosi capirete da voi stessi chi sono gli islamici, cos'è l'Islam e se ha senso lasciar che si espandino e crescano nella nostra terra con il rischio che un domani ci caccino o ci ammazzino come hanno sempre fatto ovunque, da Maometto ai nostri giorni.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -Mecca.jpg


Quando alla Mecca vi saranno di nuovo chiese chiese cristiane, sinagoche ebraiche, templi zoroastriani e tutte le religioni potranno fare liberamente proselitismo e nessuno verra perseguito per la sua diversità religiosa e chiunque sarà libero di cambiare religione, allora ne riparleremo. Per intanto l'Europa deve tenere sottocontrollo i mussulmani edovrebbe trattarli da "dhimmi" come fanno loro nei paesi islamici con i cristiani e i diversamente religiosi. I cristiani poi devono organizzare delle nuove crociate contro gli infedeli di Maometto in difesa dei cristiani rimasti in Siria in Egitto in Libano, in Palestina e altrove perseguendo e sterminando i persecutori dei cristiani come fanno gli islamisti con i cristiani. Incominciamo a insegnare nelle scuole chi era veramente Maometto, cosa ha fatto, quanta gente ha sterminato e ha fatto sterminare, come si è espanso l'islam, come sono trattati i diversamente religiosi nei paesi mussulmani e cosa dicono le preghiere quotidiane dei mussulmani. Parliamo della loro arroganza, della loro ignoranza, della loro mancanza di rispetto per i Diritti Umani Universali, parliamo dei terroristi palestinesi e degli assassini del Vecchio della Montagna, ... raccontiamo del loro criminale disprezzo per i non islamici e del loro idolo orribile e terroristico e che la loro dottrina politico religiosa è peggio del nazismo e da bandire. E consegnamo Papa Francesco al Califfo dell'IS perché gli lavi i piedi oggi che è giovedì di Pasqua e resti con lui come schiavo cristiano.


Li adoradori de l'idoło demoniago Alà łi taca l'Ouropa
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Re: Nasixmo xlamego: ła dhimitudene

Messaggioda Berto » ven apr 01, 2016 7:00 pm

Sotto il giogo della vecchia legge islamica
Cristiani perseguitati e Occidente inerte: Israele non deve aspettarsi alcun aiuto il giorno che ne avesse disperatamente bisogno
Di Ephraim Herrera
venerdì 1 aprile 2016 - 22 Adar II 5776

http://www.israele.net/sotto-il-giogo-d ... e-islamica

Il devastante attentato suicida di Pasqua che ha colpito domenica scorsa Lahore, in Pakistan, ha provocato la morte di 72 cristiani. I talebani hanno rivendicato la responsabilità per l’attacco, e non è certo la prima volta che la comunità cristiana viene presa di mira dai terroristi islamisti del paese. Nel 2013, a Peshawar, 81 cristiani restarono uccisi per un attentato suicida in una chiesa. I talebani all’epoca giustificarono queste azioni sostenendo che cristiani pakistani devono essere ritenuti responsabili per la campagna di omicidi mirati condotta contro i talebani dall’Occidente cristiano.

Il Pakistan è stato creato come uno stato islamico, con l’implicita idea che debba essere “ripulito” (dai non-musulmani). Per i talebani, che propugnano l’applicazione della legge islamica classica, i non-musulmani sono considerati dhimmi, cioè persone che vivono “sotto protezione” nelle terre musulmane, con diritti politici limitati rispetto ai musulmani, con l’obbligo di indossare abiti umilianti che li identifichino in pubblico e di pagare la speciale “tassa” annuale nota come jizya. Ai cristiani è inoltre proibito esprimere la loro fede in pubblico: pertanto celebrare la Pasqua in un parco pubblico a Lahore è una grave violazione della legge sui dhimmi ed è punibile con la morte.

Per centinaia di anni questa è stata la sorte di cristiani, ebrei e zoroastriani nelle terre islamiche, fino a quando Francia e Inghilterra costrinsero l’Impero Ottomano, nel 1856, ad annullare la legge sui dhimmi. Oggi, questa continua ad essere la sorte dei cristiani che vivono là dove la legge islamica è legge dello stato. In Arabia Saudita, ad esempio, i cristiani non possono acquisire la cittadinanza e non sono autorizzati a praticare la loro fede in pubblico (l’Arabia Saudita ha allargato tale divieto alla sfera privata, in modo tale che i cristiani possono essere severamente puniti anche se celebrano il Natale dentro le loro case). In Arabia Saudita, come nella maggior parte degli stati musulmani, è vietato costruire chiese. Secondo la legge sui dhimmi, possono continuare ad esistere solo le chiese costruite prima della conquista musulmana, mentre quelle costruite dopo devono essere distrutte.

Lo “Stato Islamico” (ISIS) ha ripristinato la legge sui dhimmi nelle aree sotto il suo controllo. I cristiani in quelle zone sono tenuti a rispettare tutte queste norme discriminatorie, pena la morte.

La minoranza copta in Egitto ha subito un destino simile sotto il regime dei Fratelli Musulmani, che stava applicando ufficiosamente la legge sui dhimmi. Nell’agosto 2013, subito dopo il pronunciamento militare guidato da Abdel Fattah al-Sisi, in soli due giorni sono state bruciate 82 chiese copte perché la comunità copta era considerata sostenitrice del nuovo regime.

I cristiani nei territori palestinesi non se la passano meglio. Sotto il governo di Israele i cristiani erano la maggioranza a Betlemme e a Ramallah. Tuttavia, dopo che l’Autorità Palestinese ha assunto il controllo di queste città, la comunità cristiana è stata aggredita, tormentata e discriminata spingendo molti di loro a emigrare in Occidente. Oggi vi si trova solo una piccola minoranza di cristiani. Anche in Iraq, più dell’80% dei cristiani ha lasciato il paese.

In Medio Oriente, Israele è l’unico paese in cui la comunità cristiana è cresciuta e si è sviluppata. Il che però non impedisce ai leader cristiani nella comunità internazionale di prendere spesso e volentieri posizioni apertamente anti-israeliane. Per due motivi: primo, il timore di rappresaglie musulmane contro i cristiani che vivono o transitano nei paesi islamici; secondo, la secolare tradizione antisemita praticata per generazioni dalla Chiesa.

L’Occidente cristiano, a parte esprimere le addolorate condanne di circostanza, non ha adottato misure concrete per salvare i suoi fratelli che vivono sotto il giogo dell’islam. È bene che Israele non sia così sciocco da aspettarsi alcun aiuto da questo Occidente, il giorno che ne avesse disperatamente bisogno.
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Re: Nasixmo xlamego: ła dhimitudene

Messaggioda Berto » sab set 17, 2016 4:59 pm

Apartheid del nazismo dell'Umma islamica

Umma
viewtopic.php?f=188&t=2529

La Carta di Umar - Il regolamento imposto ai non musulmani nella Spagna medievale sotto il dominio islamico
18 ottobre 2014
http://islamicamentando.altervista.org/carta-umar

Tratto da «il Timone» n. 62, aprile 2007

Tra i molti fantasmi che si aggirano per l’Europa, uno dei più conosciuti è quello del multiculturalismo e la sua effigie è la Spagna moresca, la mitica Al Andalus, dove lo splendore dei tesori d’arte e l’eccezionale ricchezza culturale ed economica riportano a un’epoca in cui ebrei e cristiani sarebbero vissuti in pace sotto il dominio musulmano, senza che le loro comunità fossero perseguitate. In tal modo, un Islam tollerante e benefico potrebbe proporsi come ipotesi per una nuova Europa unita, stavolta sotto il segno della Mezzaluna.

La Croce, ahimé, non solo non gode di buona stampa ma, soprattutto in Spagna, è divenuta sinonimo di intolleranza e di fanatismo.

Per capire quale fosse realmente la situazione di ebrei e cristiani sotto il dominio islamico in Spagna bisogna rifarsi, necessariamente, alle norme che regolano la “dhimma”, la sottomissione dei Popoli del Libro alla legge coranica. La “Carta di Umar”, il secondo califfo dopo Maometto, divenne, nelle successive versioni, una sorta di manuale per governanti e principi e vale la pena riportare le condizioni cui dovevano sottoporsi i “dimmi” (i non musulmani):

1. non costruire e non riparare chiese, conventi ed eremi;
2. ospitare qualunque musulmano per almeno tre giorni;
3. non dare asilo ad alcuna spia;
4. non nascondere ai musulmani qualsiasi cosa possa loro nuocere;
5. non manifestare la propria religione, non predicarla, e permettere la conversione all’ Islam;
6. fare posto a sedere ai musulmani;
7. vestire in modo da essere riconosciuti come cristiani e non somigliare ai musulmani;
8. non utilizzane la sella e non portare armi;
9. non vendere bevande fermentate;
10. rasarsi la parte anteriore del capo come segno distintivo;
11. non mostrare croci e bibbie in pubblico;
12. non alzare la voce nelle chiese davanti a musulmani;
13. divieto di processioni per la Pasqua;
14. funerali silenziosi;
15. non costruire case più alte dei musulmani;
16. non colpire un musulmano;
17. non sposare una musulmana.

Quanto al tributo, la jizya, esso doveva essere pagato in modo umiliante: il suddito deve stare in piedi davanti all’esattore seduto, poi deve chinare il capo e beccarsi uno scappellotto. Questo rituale poteva variare a seconda delle interpretazioni, andando da un semplice versamento, privo di umiliazioni, a un rituale violento, con strappo della barba e botte sulle mani.

Questa ghettizzazione si rifletteva anche nelle carniere amministrative, di norma chiuse ai non musulmani e all’esercizio della giustizia che vedeva cristiani ed ebrei perennemente sfavoriti. A essi, però, erano riservati altri lavori, come raccogliere la spazzatura e pulire le latrine. In cambio di tutto ciò veniva concessa salva la vita, ma questo patto era quanto mai fragile e sottoposto alla buona volontà e alla buona fede dei musulmani. Un’accusa di oltraggio alla fede islamica bastava a portare il cristiano in tribunale con tutte le incognite del case.

Come fu possibile allora che la cristianità spagnola si sottomettesse a un simile regime per secoli? La questione va guardata, per una volta, con un’ottica militare e politica, poiché la normativa islamica era strumentale alle grandi conquiste del primo secolo di vita della nuova religione. Nel 722, un secolo esatto dopo l’Egira di Maometto verso Medina, l’Islam dominava gran parte del mondo conosciuto: Siria, Palestina, Persia, Africa settentrionale e Spagna erano sottoposte alla legge islamica e questo grazie a un’accorta politica di accordo con le popolazioni conquistate. Ognuna di queste era stata convertita all’Islam e messa in condizioni di non nuocere agli occupanti, ma l’eccezione notevole fu proprio quella della cristianità spagnola. Dal 711, anno della battaglia di Guadalete in cui fu infranto il regno visigoto, al 721, in cui fu compiuta la conquista di quasi tutta la penisola iberica, arabi e berberi avevano schiacciato le resistenze più deboli e negoziato con quelle più forti, facendo le opportune concessioni. Gli iberici, però, non si convertirono in massa, come era successo a persiani, berberi e siriani e quelli che lo fecero lo fecero dopo due secoli di dominazione. Mancò la spinta propulsiva dei convertiti e i musulmani nella penisola iberica furono, inizialmente, una ristretta minoranza che non poté compiere nuove durevoli conquiste in Francia. Le vittorie di Carlo Martello, a Poitiers e in Provenza, hanno proprio questa fondamentale radice: la carenza di effettivi da parte moresca.

I cristiani spagnoli adottarono due linee di condotta: una più accomodante, l’altra di resistenza a oltranza, per quanto non armata, a causa della propria debolezza militare. Dalla prima corrente ebbe origine l’adozionismo, quell’ eresia che considerava Gesù nella sua sola natura umana ma “adottato” da Dio. L’eresia fu condannata nel 785 e poi nel 794, proprio negli anni in cui il califfo Abd-er Rahman faceva costruire la moschea di Cordova laddove sorgeva la cattedrale, obbligando i cristiani a lavorare alla sua edificazione. I martiri iberici non furono numerosi e ne vengono ricordati solo alcuni per il primo secolo di occupazione. Poi dall’inizio del IX secolo in poi, il loro numero cominciò a crescere man mano che diventava evidente come l’Islam stesse soffocando la Chiesa un poco per volta. Più volte i cristiani di Cordova e di Toledo insorsero contro l’occupazione islamica e ogni volta la repressione fu spietata e sempre più generalizzata. Nell’837 Toledo insorse nuovamente e ci volle un assedio in piena regola per piegarne la resistenza. Molti cristiani mozarabi (da “musta’rib”: arabizzati) emigrarono verso nord, dove i reami cristiani in piena espansione erano ben lieti di accoglierli, ma altri scelsero la via del martirio consapevole pur di risvegliare le coscienze del propri confratelli.

Nell’851 il cristiano Isacco professò apertamente la propria fede e chiese al giudice di convertirsi prima di essere giustiziato. Nello stesso anno Nunilone e Alodia, figlie di padre musulmano e madre cristiana, violarono la legge islamica che le voleva musulmane dalla nascita e furono martirizzate anch’esse. Nei dieci anni successivi, vi furono almeno altri 46 martiri nella sola Cordova. Spesso erano figli di matrimoni misti come Adolfo e Giovanni di Siviglia o sposi come Aurelio e Sabighora, sacerdoti come Rodrigo, denunciato dal proprio fratello musulmano. L’accusa fu quella di apostasia o di oltraggio alla religione e, in verità, bastava dire che Maometto non era ispirato da Dio per commettere tale reato. Il fenomeno fece scalpore e spinse il califfo a convocare, nell’852, un concilio che condannò la voluttà di martirio ma questo non fermò il capo della rivolta, il sacerdote Eulogio, che continuò a polemizzare apertamente con le autorità moresche, tanto da essere eletto arcivescovo e primate di Spagna. Tale titolo non lo poteva sottrarre alla giustizia moresca, in attesa di un suo passo falso o, in altre parole, di una nuova confessione di fede. Così, nel marzo dell’859, una convertita, Leocricia, chiese la sua protezione ed egli gliel’accordò di buon cuore. Fu per questo motivo che venne subito arrestato, giudicato e sgozzato in una data che è diventata terribilmente significativa per la Spagna moderna: l’11 marzo, il giorno degli attentati di Madrid.

Dopo di lui vi furono altri martini, come la monaca Laura di Cordova e altri ancora nei secoli successivi, seppure in misura minore, così come è vero che le conversioni all’islam aumentarono di molto. Ma la resistenza, anche solo passiva, dei cristiani spagnoli costrinse i califfi a portane nella penisola nuovi immigrati e, con essi, le divisioni tribali e razziali che, rinate in terra iberica, portarono alla frammentazione dei “regni di taifas” (una serie di città-stato islamiche) e, in conclusione, alla scomparsa della Spagna moresca. Al suo posto si instaurava il potere del sovrani cristiani, pronti ad accordare privilegi ed esenzioni ai sudditi musulmani quando la situazione militare era precaria, ma altrettanto disposti a dar prova di intolleranza quando la ragion di stato lo chiedeva. Non era tempo per società multiculturali; non lo era stato prima e c’è da chiedersi se lo sia oggi.



Il patto di ʿOmar, stipulato nel 637, è un trattato di sottomissione ispirato, sembra, dal secondo califfo ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb (634-644) oppure, meno probabilmente, dal califfo omayyade ʿOmar II (682-720), che l'avrebbe fatto redigere nel 717 per regolare i rapporti sociali ed economici con la "Gente del Libro" (segnatamente, cristiani ed ebrei), abitante nelle terre conquistate dai musulmani.

https://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_Omar

Le versioni più antiche pervenute datano al XIII secolo ed è dunque tutt'altro che certo attribuire proprio al califfo omayyade la paternità di tale documento. Alcuni studiosi mettono addirittura in forse l'autenticità di tale atto, che sembra più che altro "una compilazione relativa a disposizioni elaborate progressivamente, di cui alcune potrebbero essere datate al tempo del regno del califfo Omar II". Da qui un'incertezza che non ha potuto finora essere definitivamente risolta.[1]. L'origine del cosiddetto Patto - che patto propriamente non sarebbe, quanto piuttosto un'imposizione dei vincitori musulmani sui popoli vinti di altre fedi monoteistiche, i quali non avevano la possibilità di obiettare alcunché - sarebbe stata l'incipiente adozione di una serie di restrizioni, più o meno pesanti e più o meno odiose, sia di carattere militare sia attinenti alla sicurezza interna che, da contingenti, si trasformarono col tempo in divieti legali e sociali veri e propri[2].

I popoli conquistati - ebrei, mazdei o cristiani che fossero - denominati dhimmi, in cambio del pagamento di tasse come la jizya ed eventualmente il kharāj, si videro riconosciuto il diritto di continuare a professare la propria religione ma costretti in contraccambio a subire diverse regole evidentemente discriminatorie (non potevano per esempio fare proselitismo o edificare nuovi luoghi di culto).
Il Patto di ʿOmar enumera le condizioni della sottomissione al potere politico islamico dei popoli vinti. Il documento, a prescindere dalla sua autenticità, divenne fondamentale nell'elaborazione legale dello status dei dhimmi nel periodo classico della giurisprudenza musulmana.

Da questo trattato sono rimasti invece esclusi i politeisti (a quei tempi ancora numericamente consistenti). Il Patto infatti imponeva che chi tra loro non si fosse convertito all'Islam non avrebbe più potuto vivere in quei territori. Oggi cristiani e musulmani palestinesi vedono il documento come avente forza di legge, anche dopo più di 14 secoli.

Dopo aver sconfitto i bizantini nella battaglia del Yarmuk conquistando la Palestina, Gerusalemme rimaneva però inafferrabile per i musulmani guidati da ʿAmr ibn al-ʿĀṣ grazie alle sue mura. Mentre era in corso l'assedio, il Patriarca Sofronio annunciò che non avrebbe firmato un trattato di resa se non col califfo stesso, ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb, invitandolo a Gerusalemme. ʿOmar accettò per metter fine all'ormai inutile spargimento di sangue.

ʿOmar partì da Medina con un solo servitore che fece viaggiare con lui sopra una dromedaria. Dopo un lungo viaggio, essi giunsero alla periferia di Gerusalemme in un giorno piovoso.
Quando il Patriarca Sofronio vide i due uomini arrivare, chiese ai musulmani quale di loro fosse ʿOmar. Essi gli risposero che il Califfo era quello con le redini dell'animale in mano. Al ché Sofronio consegnò le chiavi della città di Gerusalemme, aprendogli le porte, e sottoscrivendo il trattato che avrebbe regolamentato i rapporti fra i conquistatori e i nuovi sudditi della Umma.

Ai dhimmi fu concesso il diritto di praticare privatamente i propri riti religiosi. Fu prevista anche la protezione personale e dei beni, ma la punizione per le infrazioni commesse nei loro confronti era più leggera rispetto a quella prevista nei confronti di un musulmano. In certe epoche i diritti potevano variare o addirittura scomparire.

Per assicurarsi quei diritti, i dhimmi dovettero giurare lealtà ai conquistatori musulmani, pagare una apposita tassa (testatico) per i maschi adulti (la jizya), e in generale mostrare deferenza e umiltà nei contatti sociali.

Dal Sirāj al-mulūk di Abū Bakr Muḥammad ibn al-Walīd al-Ṭarṭūshī (m. 1126), il più antico autore che abbia riportato il contenuto del cosiddetto Patto:
« ʿAbd al-Raḥmān b. Ghanm (morto nel 78 E./697) ha detto:

Quando ʿOmar b. al-Khaṭṭāb, che Dio sia compiaciuto di lui, accordò la pace ai cristiani di Siria, noi gli scrivemmo quanto segue:
Nel nome di Dio Clemente Misericordioso.
Questo è il patto che il servo di Dio, ʿOmar, Comandante dei credenti, diede alla gente di Ælia. Egli diede loro sicurezza per loro stessi, il loro denaro, le loro chiese, le loro croci, i loro malati e i sani, e per tutta la comunità; che le loro chiese non siano occupate né distrutte e che niente manchi nelle loro proprietà in tutto o in parte, né nelle loro croci, né niente del loro denaro, e non vengano obbligati a lasciare la loro religione e che nessuno di essi sia maltrattato e che nessun ebreo viva in Ælia con loro.

La gente di Ælia dovrà pagare il tributo come tutti gli abitanti delle altre città e dovrà espellere i Romei e i banditi. Chi di essi decide di partire sarà sicuro e avrà la sicurezza per se stesso e per il suo denaro finché raggiunga la sua destinazione. Chi di essi rimane avrà la sicurezza e avrà gli obblighi del tributo come tutti i cittadini di Ælia.
Chi, tra la gente di Ælia, volesse prendere il suo denaro e andarsene con i Romei avrà la sicurezza fino a quando li raggiunga.
Chiunque sta in Ælia dei popoli della terra chi vuole può restare e avrà l’obbligo di pagare il tributo come tutta la gente di Ælia, e chi lo desidera potrà andare con i Romei, e chi lo desidera potrà tornare dai suoi parenti, e non si prenderà nulla del suo raccolto.
Quanto è incluso in questa lettera ha il patto di Dio e la fiducia del suo Profeta e la fiducia dei Califfi e la fiducia dei fedeli musulmani, se essi (i cristiani) pagano il tributo, come si deve”.
I testimoni su questo sono stati Khālid b. al-Walīd, ʿAmr b. al-ʿĀṣ, ʿAbd al-Raḥmān b. ʿAwf e Muʿāwiya b. Abī Sufyān. Scritto e sigillato il 15 (dall'Egira)

Noi cristiani:
Non costruiremo, nelle nostre città e nelle loro vicinanze, nuovi monasteri,
chiese,
conventi,
celle per monaci,
neppure ripareremo, di giorno o di notte, quegli edifici che stanno andando in rovina
o che sono situati nei quartieri dei musulmani ...
Noi non daremo rifugio, nelle nostre chiese o nelle nostre abitazioni, ad alcuna spia
né la nasconderemo ai musulmani
Non manifesteremo pubblicamente la nostra religione
né convertiremo alcuno
Non impediremo ad alcuno dei nostri parenti di entrare nell'Islam, se lo desidera.
Noi mostreremo rispetto nei confronti dei musulmani, e
ci alzeremo dal nostro posto se desiderano sedersi.
Non cercheremo di assomigliare ai musulmani negli abiti, nei cappelli, turbanti, calzari e acconciatura di capelli
Non parleremo come loro
e non impiegheremo i loro titoli onorifici.
Non saliremo su alcuna sella,
e non ci cingeremo di spade, non indosseremo alcuna arma, neppure le trasporteremo sulle nostre persone.
Non scolpiremo sigilli in lingua araba
Non venderemo bevande fermentate (alcoliche)
Non faremo vedere le nostre croci o i nostri libri nelle strade o nei mercati dei musulmani
Noi potremo suonare il batacchio delle campane solo molto delicatamente
Noi non alzeremo la voce durante servizi religiosi nelle chiese oppure in presenza di musulmani
e neppure alzeremo la voce quando seguiremo il nostro morto.
Non useremo luci in alcuna strada dei musulmani o nei loro mercati
Non seppelliremo il nostro morto vicino ai musulmani
Non prenderemo schiavi che siano stati assegnati ai musulmani
Non costruiremo case più alte di quelle dei musulmani. »

(da Jacob Marcus, The Jews in the Medieval World. A Sourcebook, 315-1791, New York, JPS, 1938, pp. 13-15)

Diverse imposizioni previste nel Patto di ʿOmar sono tuttora in vigore in diverse parti del mondo islamico, dove è vietato alle minoranze religiose fare proselitismo ed è piuttosto arduo, se non impossibile (come in Arabia Saudita) ottenere il permesso per la costruzione di nuovi luoghi di culto.
Inoltre vari palestinesi cristiani e musulmani fino ad oggi continuano a vedere il documento come avente forza di legge, anche dopo oltre 14 secoli.

Nell'agosto 2015 i miliziani dello Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi hanno conquistato una cittadina siriana popolata da cristiani, al-Kareten. Gli abitanti non sono fuggiti ma hanno chiesto di restare, accettando le condizioni loro imposte dagli occupanti. Lo Stato islamico ha emanato un documento che contiene un elenco di condizioni da rispettare. Reso pubblico, il documento si ispira in molte sue parti al Patto di Omar[3].
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Re: Nasixmo xlamego: ła dhimitudene

Messaggioda Berto » mer mar 22, 2017 1:02 pm

Patto di Omar al contrario:

Reciprocità con i cristiani, gli ebrei, i non mussulmani, gli atei e gli aidoli:

Noi mussulmani:

Non costruiremo, nelle vostre città e nelle loro vicinanze soltanto che poche moschee molto modeste e dimesse.
Noi non daremo rifugio, nelle nostre moschee o nelle nostre abitazioni, ad alcun integralista islamico, ad alcun assassino e terrorsita mussulmano, ad alcuna spia né li nasconderemo ai non mussulmani, ai cristiani, agli ebrei, ai laici, agli atei, agli aidoli.
Non manifesteremo pubblicamente la nostra religione né convertiremo nessuno.
Non impediremo ad alcuno dei nostri parenti di farsi cristiano o ateo, se lo desidera.
Noi mostreremo rispetto nei confronti dei non mussulmani, dei cristiani, degli ebrei, degli yazidi, di ogni diversamente religioso e pensante e ci alzeremo dal nostro posto se costoro desiderano sedersi.
Non cercheremo di assomigliare ai non mussulmani negli abiti, nei cappelli, turbanti, calzari e acconciatura di capelli.
Non parleremo come loro e non impiegheremo i loro titoli onorifici.
Non indosseremo alcuna arma, neppure le trasporteremo sulle nostre persone.
Non faremo vedere i nostri simboli come il velo e i nostri libri nelle strade o nei mercati dei non mussulmani, degli ebrei e dei cristiani.
Noi potremo far sentire il richiamo del muezzin solo molto ma molto sommessamente e delicatamente.
Noi non alzeremo la voce durante i servizi religiosi nelle moschee oppure in presenza di non musulmani, di cristiani e di ebrei e neppure alzeremo la voce quando seguiremo il nostro morto.
Non useremo luci in alcuna strada dei non musulmani o nei loro mercati.
Non seppelliremo il nostro morto vicino ai non musulmani, dei cristiani e degli ebrei.
Non costruiremo case più alte di quelle dei non musulmani, dei cristiani e degli ebrei.
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Re: Nasixmo xlamego: ła dhimitudene

Messaggioda Berto » mar gen 23, 2018 9:58 pm

Non più dhimmi - Il trauma dei cristiani in Medio Oriente
23/01/2018

http://www.linformale.eu/non-piu-dhimmi ... niel-pipes

Questo articolo è la trascrizione aggiornata di una conferenza tenuta da Daniel Pipes il 7 marzo 2012 al Christian Solidarity International, un organismo internazionale con sede a Zurigo, in Svizzera, ed è contenuto nel volume The Future of Religious Minorities in the Middle East, a cura di John Eibner. Lanham, Md.: Rowman & Littlefield, 2018, pp. 13-20.

Nel mondo musulmano sunnita, si è sviluppata una nuova corrente di pensiero: la pulizia etnica. Non è un genocidio, ma riguarda l’espulsione delle popolazioni non sunnite. La sua diffusione implica che le minoranze non sunnite avranno un triste futuro nei paesi a maggioranza musulmana; e alcune potrebbero anche non avere un futuro.

Traccerò le origini della pulizia etnica in Medio Oriente, ne rileverò l’impatto soprattutto sui cristiani e analizzerò le possibili reazioni a questo.

Per cominciare, esaminiamo la posizione dei non musulmani nei paesi a maggioranza musulmana prima del 1800.

I musulmani dividevano i non musulmani in due categorie: i monoteisti riconosciuti dall’Islam come seguaci di una fede valida (per lo più ebrei e cristiani) e i politeisti (soprattutto gli induisti), privi di tale riconoscimento. La prima categoria, l’argomento di cui ci stiamo occupando, è nota come Genti del Libro (Ahl al-Kitab).

I musulmani erano relativamente tolleranti nei confronti delle Genti del Libro – ma solo se esse accettavano di diventare dhimmi (persone protette) riconoscendo il dominio dei musulmani e la superiorità dell’Islam: in altre parole, se accettavano di essere inferiori. I dhimmi dovevano pagare tasse speciali (la jizya), non potevano servire nell’esercito o nella polizia, o più in generale non potevano esercitare alcuna autorità sui musulmani. Le leggi suntuarie abbondavano; un cristiano o un ebreo doveva camminare a piedi o andare in groppa a un mulo, ma non a cavallo e per strada doveva cedere il passo ai musulmani. (Ovviamente, la pratica effettiva differiva da un paese all’altro o da un’epoca all’altra.)

Lo status accordato alle minoranze religiose rese i paesi governati dai musulmani molto diversi dal Cristianesimo premoderno. I cristiani che vivevano sotto il dominio islamico godevano di condizioni di vita migliori rispetto a quelle di cui godevano i musulmani sotto il dominio cristiano. Intorno al 1200, si preferiva essere un cristiano nella Spagna islamica anziché un musulmano nella Spagna cristiana. E così anche per gli ebrei: Mark R. Cohen osserva che “sotto l’Islam, soprattutto durante i secoli formativi e classici (fino al XIII secolo), gli ebrei subirono molte meno persecuzioni rispetto agli ebrei vissuti nel mondo cristiano”.

Ma non dobbiamo idealizzare la condizione di dhimmitudine. Sì, è vero, offriva un certo livello di tolleranza, convivenza e deferenza – ma queste si basavano sul presupposto della superiorità musulmana e dell’inferiorità non musulmana. I musulmani potevano anche abusare a piacimento di questa condizione. Nessun cittadino moderno accetterebbe gli inconvenienti di vivere come dhimmi.

Di fatto, la condizione di dhimmitudine fu abolita nei tempi moderni, vale a dire dopo il 1800, quando le potenze europee (quella inglese, francese, olandese, spagnola, italiana, russa e altre) sconvolsero quasi tutto il mondo islamico. Perfino quei pochi paesi – Yemen, Arabia, Turchia, Iran – che sfuggirono al diretto controllo europeo sentirono il predominio dell’Europa.

Gli imperialisti cristiani ribaltarono la dhimmitudine, favorendo i cristiani e gli ebrei, i quali mostrarono una maggiore disponibilità ad accettare i nuovi governanti, ad imparare le loro lingue e competenze, a lavorare per loro e a fungere da intermediari per la popolazione a maggioranza musulmana. Ovviamente, le popolazioni a maggioranza musulmana mal sopportavano questo elevato status di cristiani ed ebrei.

Quando il dominio europeo raggiunse la sua inevitabile fine, i musulmani, una volta tornati al potere, ricollocarono le minoranze al loro posto, e cosa peggiore, non ripristinarono la dhimmitudine, che era stata eliminata. Insicuri di se stessi, i nuovi governanti in genere guardavano cupamente le Genti del Libro, arrabbiati con loro per aver servito gli imperialisti e sospettosi dei loro legami permanenti con l’Europa (e nel caso degli ebrei, i legami con Israele).

Si potrebbe dire che lo status di cittadini di seconda classe dei dhimmi sia ora diventata una condizione di cittadini di terza o quarta classe. Con il crollo dell’Impero ottomano ci furono più persecuzioni di cristiani ed ebrei di quanti ce ne fossero mai state prima, a cominciare dal genocidio del popolo armeno in Turchia nel primo decennio del XX secolo fino ad arrivare ai recenti traumi subiti dai cristiani in Iraq e in Siria.

Prima di continuare con l’esperienza cristiana, soffermiamoci brevemente su quella ebraica. Le antiche comunità ebraiche scomparvero a seguito della fine dello status di dhimmitudine e la creazione dello Stato di Israele nel 1948. Gli ebrei se ne andarono o furono cacciati soprattutto nei venti anni successivi alla Seconda guerra mondiale. La piccola ma vivace comunità ebraica dell’Algeria offre forse l’esempio più lampante dei cambiamenti post-imperiali. Gli ebrei residenti in quel paese erano talmente legati al governo francese che l’intera comunità ebraica lasciò l’Algeria nel luglio 1962 insieme ai governanti francesi. [i] Nel 1945, la popolazione ebraica dei paesi a maggioranza musulmana contava circa un milione di persone; oggi, si aggira tra i 30-40 mila e quasi tutte vivono in Iran, Turchia e in Marocco. In pochissimi risiedono altrove: forse in Egitto ci sono60 ebrei, 9 in Iraq e ancora meno in Afghanistan. Queste sparute comunità di persone anziane non esisteranno più nel giro di pochi anni.

C’è un modo dire che recita: “Prima il popolo del Sabato poi il popolo della Domenica”. E adesso è il turno dei cristiani. I cristiani ora reiterano l’esodo ebraico. Dal 1500 al 1900, i cristiani costituivano un consistente 15 per cento della popolazione mediorientale, secondo David B. Barrette Todd M. Johnson. Nel 1910, questa percentuale era scesa al 13,6 per cento, secondo Todd M. Johnson e Gina A. Zurlo; e nel 2010, i cristiani si erano ridotti a un misero 4,2 per cento, ossia meno di un terzo rispetto a un secolo prima. Ovviamente, la tendenza al ribasso continua rapidamente.

Come afferma il giornalista Lee Smith: “Essere cristiani in Medio Oriente non è mai stato facile, ma l’ondata di tumulti che ha investito la regione in quest’ultimo anno ha reso quasi insopportabile la situazione per la minoranza cristiana della regione”.[ii] Gli esempi sono allarmanti e per molti versi senza precedenti nella lunga storia delle relazioni fra cristiani e musulmani. Eccone alcuni (a tale riguardo, ringrazio Raymond Ibrahim):

In Nigeria, il gruppo islamista BokoHaram uccise nel 2010 almeno 510 persone, soprattutto cristiane, incendiando o distruggendo più di 350 chiese in dieci stati nel nord del paese.
In Uganda, la vigilia di Natale del 2011, i musulmani gettarono dell’acido in faccia a un pastore di una chiesa provocandogli gravi ustioni.
In Iran, le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in una chiesa dove si stava celebrando il Natale e tuti i presenti, compresi i bambini della scuola domenicale, sono stati arrestati e interrogati.
In Tajikistan, un giovane vestito da Nonno Gelo (ossia Babbo Natale) è stato accoltellato a morte mentre visitava i parenti e portava doni.
In Malesia, i parroci e i dirigenti delle chiese hanno dovuto ottenere il permesso per cantare le carole natalizie, fornendo le loro identità e i numeri delle loro carte d’identità alle stazioni di polizia.
In Indonesia, “vandali” hanno decapitato la statua della Vergine Maria.

Il messaggio è chiaro: “Cristiani, non siete i benvenuti. Andatevene”.

I cristiani hanno risposto rapidamente lasciando il Medio Oriente, al punto che la fede sta morendo nel suo luogo di nascita. In Turchia, la popolazione cristiana contava 2 milioni di fedeli nel 1920, ma ora ne conta qualche migliaio. In Iraq, il Christian Solidarity International ha scoperto nel 2007 che circa la metà del milione di cristiani che vivevano lì, nel 2003 era fuggita dal paese.Forte il grido dell’Iraqi Christian Relief Council: “Siamo in via di estinzione”.[iii] In Siria, all’inizio del secolo scorso, i cristiani rappresentavano circa un terzo della popolazione, oggi sono meno del 10 per cento. In Libano, la percentuale è passata dal 55 per cento di 70 anni fa a meno del 30 per cento di oggi. I copti se ne stanno andando come mai era successo prima nella loro lunga storia.

In Terra Santa, i cristiani costituivano il 10 per cento della popolazione nel periodo ottomano; quella cifra si attesta oggi intorno al 2 per cento. Betlemme e Nazareth, le più identificabili di tutte le città cristiane, per quasi due millenni sono state a maggioranza cristiana, ma ora non più: sono città a maggioranza musulmana. A Gerusalemme, nel 1922, i cristiani erano più numerosi dei musulmani; oggi, i cristiani della città sono solo il 2 per cento della popolazione. Nonostante questa emigrazione, Khaled Abu Toameh, un giornalista palestinese musulmano, osserva che “Israele rimane l’unico posto in Medio Oriente dove i cristiani arabi si sentono protetti e al sicuro”.[iv]

Il Wall Street Journal riporta che oggi “sono più numerosi i cristiani arabi che vivono al di fuori del Medio Oriente di quelli rimasti nella regione. Circa venti milioni vivono all’estero, contro i 15 milioni di cristiani arabi che rimangono nel Medio Oriente, secondo un rapporto dell’anno scorso di un trio di charities cristiane e dell’Università di East London”. Citando Samuel Tadros dello Hudson Institute, il quotidiano rileva che il numero delle chiese copte negli Stati Uniti è aumentato passando da due nel 1971 a 252 nel 2017.

I cristiani d’Oriente stanno affrontando questa crisi in vari modi. Ne esaminerò tre.

I cattolici melchiti (che vivono principalmente in Libano e in Siria) hanno cercato di evitare problemi dicendo ai musulmani esattamente ciò che vogliono sentirsi dire. Il patriarca Grégoire III Laham di Antiochia, disse in modo memorabile nel 2005:

Noi siamo la Chiesa dell’Islam. (…) L’Islam è il nostro ambiente, il contesto in cui viviamo e con cui siamo storicamente solidali. (…) Capiamo l’Islam dall’interno. Quando sento un versetto del Corano, per me non si tratta di una cosa estranea. È una espressione della civiltà cui appartengo.[v]

Grégoire III accusava l’Occidente dell’islamismo: “Il fondamentalismo è una malattia che si scatena e prende piede davanti al vuoto della modernità occidentale”.[vi] Allo stesso modo, il patriarca di Antiochia nel 2010 accusò Israele degli attacchi jihadisti ai cristiani d’Oriente: La violenza

non ha niente a che fare con l’Islam. (…) Ma in realtà è un complotto ordito dal sionismo e da alcuni cristiani con orientamenti sionisti e mira a minare l’Islam e a darne una cattiva immagine. (…) È anche un complotto contro gli arabi (…) per negare loro i diritti e soprattutto quelli dei palestinesi.[vii]

E nel 2011 Grégoire III ha aggiunto che il conflitto arabo-israeliano è “l’unico” motivo dell’emigrazione dei cristiani orientali dal Medio Oriente e questo sta causando la loro “estinzione demografica”.[viii]

L’approccio del patriarca di Antiochia equivale a dire: musulmani, per favore, non fateci del male; diremo tutto ciò che volete. Non abbiamo una nostra identità. Siamo, di fatto, una specie di musulmani. È una supplica dhimmi per l’era post-dhimmi.

I maroniti storicamente hanno offerto l’esempio più eclatante di contrapposizione a questa autodenigrazione. Per ragioni teologiche (la Chiesa cattolica) e geografiche (le montagne), essi rappresentavano la comunità cristiana più assertiva e libera del Medio Oriente. Armati e autonomi, mantennero a distanza i signori islamici.

Nel 1926, indussero una potenza imperiale, la Francia, a creare uno Stato – il Libano – per loro. Ma i maroniti erano avidi: anziché accettare un “Piccolo Libano” dove loro e altri cristiani avrebbero costituito l’80 per cento della popolazione, chiesero e ottennero un “Grande Libano” dove costituirono meno del 40 percento della popolazione totale. Cinquant’anni dopo, nel 1976, i maroniti pagarono il prezzo di questa pretesa quando i musulmani scatenarono una guerra civile che durò quindici anni e distrusse il potere maronita.

I maroniti reagirono accusandosi a vicenda. Se alcune fazioni continuarono ad essere ribelli, la fazione più importante divenne simile ai melchiti. Nel 1991, l’ex generale Michel Aoun affrontò i siriani; oggi, adula Hezbollah e serve il jihad. Come rilevato da Lee Smith:

I maroniti si erano sempre distinti per essere una delle più ostinatamente indipendenti sette religiose della regione. Ma la paura, il risentimento e il calcolo politico a breve termine oggi li hanno spinti a cercare protezione e patrocinio da parte degli elementi più pericolosi e retrogradi del Medio Oriente: la Siria, l’Iran e Hezbollah.[ix]

In breve, i maroniti sono passati dall’essere dei cristiani liberi a dhimmi parziali.

Dalla conquista islamica, circa quattordici anni fa, i copti egiziani hanno intrapreso un cammino quasi opposto a quello maronita. La loro geografia (piatta), la loro storia (un forte governo centrale) e la loro società (frapposta tra i musulmani) erano sfavorevoli al potere indipendente, costringendo i copti a chinare il capo. Accettando pienamente la condizione di dhimmitudine, i copti sopravvissero e riuscirono a resistere all’islamizzazione meglio di quanto fecero molti altri cristiani d’Oriente, come attestano i loro numeri relativamente elevati.

L’epoca coloniale offrì loro un ruolo più importante, che assunsero prontamente, come simboleggiato dal nonno dell’ex segretario generale delle Nazioni Unite BoutrosBoutros-Ghali, che fu primo ministro dell’Egitto dal 1908 al 1910. Questa parentesi di potere terminò con la partenza degli inglesi negli anni Cinquanta.

A partire dal 1980, ebbero luogo due sviluppi paralleli. Da un lato, gli islamisti presero sistematicamente di mira i copti, praticando varie forme di coercizione e violenza contro di loro, spalleggiati dal governo egiziano, che in genere attribuisce al fatto di mantenere ottime relazioni con gli islamisti maggiore priorità rispetto al fatto di proteggere la sua minoranza cristiana. I cristiani divennero una specie di calcio politico; ad esempio, Hosni Mubarak fece il doppio gioco, fingendo di essere il protettore dei copti, mentre era tutt’altro.

In compenso, i copti, dopo secoli di semisilenzio, trovarono la loro voce collettiva. Si organizzarono per difendersi, per parlare apertamente del loro dramma e guidare le proteste quando un presidente egiziano si recò in visita a Washington. Nonostante una lunga tradizione di quiescenza, i copti stavano diventando i nuovi maroniti.

Nonostante questi disparati metodi – super-dhimmi, dhimmi e assertivo – il futuro del Cristianesimo in Medio Oriente sembra cupo. La posizione ammessa del dhimmi ha lasciato il posto a un fugace miglioramento seguito da una mentalità di pulizia etnica.

Si sente molto parlare dell’odio e della paura dell’Islam, ora chiamati “islamofobia”. Ma secondo Ayaan Hirsi Ali, ex musulmana ed ex parlamentare olandese, il vero problema è qualcosa di completamente diverso: la cristofobia.

Una valutazione imparziale degli eventi e delle tendenze recenti porta alla conclusione che l’entità e la gravità dell’islamofobia impallidiscono rispetto alla sanguinosa cristofobia che attualmente è in corso nei paesi a maggioranza musulmana da un capo all’altro del globo. Il complotto del silenzio che circonda questa violenta espressione di intolleranza religiosa deve cessare. È in gioco nientemeno che il destino del Cristianesimo, e in definitiva di tutte le minoranze religiose [tra i musulmani].[x]

Insieme, la pulizia etnica degli ebrei e quella dei cristiani segnano la fine di un’era. L’affascinante molteplicità di aspetti della vita mediorientale viene ridimensionata alla piatta monotonia di un’unica religione e di una manciata di minoranze assediate. L’intera regione, non solo le minoranze, è impoverita da questa tendenza.

Cosa possono fare gli occidentali – e in particolare Christian Solidarity International – per risolvere questo problema?

Esistono soltanto due opzioni: proteggere i non musulmani – cristiani ed altri – in modo che continuino a vivere nei paesi a maggioranza musulmana oppure aiutarli ad andarsene, rinunciando alle loro storiche patrie.

La prima opzione è ovviamente preferibile perché i cristiani hanno un diritto inalienabile a restare nei loro paesi. Ma in che modo gli occidentali li aiutano a raggiungere questo obiettivo? Ciò richiede sia atti di volontà da parte loro sia una propensione da parte dei musulmani al cambiamento. Ma nessuna delle due ipotesi sembra minimamente una prospettiva realistica. Soprattutto quando sono in gioco i diritti umani degli altri, i governi democratici da soli non possono prendere delle decisioni: hanno bisogno del sostegno popolare. Al momento, gli occidentali sembrano riluttanti a prendere i provvedimenti necessari – come la pressione economica e militare – per garantire la sopravvivenza in loco del Cristianesimo mediorientale.

Il che rende l’alternativa meno allettante: aiutare i cristiani ad andarsene e accoglierli. L’emigrazione è un’esperienza intrinsecamente dolorosa e le democrazie avranno difficoltà a formulare politiche che diano priorità ai fedeli di certe religioni. Indipendentemente da questi e altri aspetti negativi, la migrazione è un’opzione reale e su cui agire quotidianamente.

E così, i cristiani d’Oriente,tragicamente, stanno scomparendo sotto i nostri occhi dalle loro antiche terre natali.

Traduzione in italiano di Angelita La Spada

Qui l’articolo originale in lingua inglese

Opere citate

Ali, AyaanHirsi. “The Global War on Christians in the Muslim World”. Newsweek. February 6, 2012.

Berger, Judson. “Mob Attacks on Iraqi Christian Businesses Raise Security Concerns”. Fox News. December 9, 2011.

Lloyd C. Briggs and NorinaLamiGuède, No More For Ever: A Saharan Jewish Town, (Cambridge, Mass: Papers of the Peabody Museum of Archaeology and Ethnology, 1964).

Cohen, Mark. Under Crescent and Cross – The Jews of the Middle Ages (Princeton: Princeton University Press, 1994).

Fowler, Jack. “Melkite Patriarch Absolves Islam, Blames ‘Zionist Conspiracy’”. National Review. December 13, 2010.

The Free Library. “Catholic patriarch warns Christians face ‘extinction’”. The Free Library. No date.

Toameh, Khaled Abu. “Arab Spring Sending Shudders Through Christians in the Middle East”. GatestoneInstitute. December 20, 2011.

Valente, Gianni. “Noi siamo la Chiesa dell’islam. Intervista con il patriarca di AntiochiaGrégoire III Laham”. Sinodo dei Vescovi n. 10 (2005).

[i] Lloyd C. Briggs and NorinaLamiGuède, No More For Ever: A Saharan Jewish Town, (Cambridge, Mass: Papers of the Peabody Museum of Archaeology and Ethnology, 1964).

[ii] Lee Smith, “Agents of Influence,” Tablet, January 4, 2012 (consultato il 17 febbraio 2017).

[iii]Citato in precedenza da Judson Berger, “Mob Attacks on Iraqi Christian Businesses Raise Security Concerns,” Fox News, December 9, 2011 (consultato il 17 febbraio 2017).

[iv]Cfr.Khaled Abu Toameh, “Arab Spring Sending Shudders Through Christians in the Middle East,” Gatestone Institute, December 20, 2011 (consultato il 17 febbraio 2017).

[v]Citato in precedenza da Gianni Valente, “Noi siamo la Chiesa dell’Islam”. Intervista con il patriarca di Antiochia Grégoire III Laham, Sinodo dei Vescovi no. 10 (2005) (consultato il 17 febbraio 2017).

[vi]Ibid.

[vii] Citato in precedenza da Jack Fowler, “Melkite Patriarch Absolves Islam, Blames ‘Zionist Conspiracy,'” National Review, December 13, 2010 (consultato il 17 febbraio 2017).

[viii]Citato in precedenza daThe Free Library, “Catholic patriarch warns Christians face ‘extinction,'” The Free Library, n.d. (consultato il 17 febbraio 2017).

[ix] Lee Smith, “Agents of Influence,” Tablet, January 4, 2012 (consultato il 17 febbraio 2017).

[x] AyaanHirsi Ali, “The Global War on Christians in the Muslim World,” Newsweek, February 6, 2012, (consultato il 17 febbraio 2017).

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