Basta finanziare il terrorismo nazi maomettano palestinese

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Messaggioda Berto » sab feb 06, 2016 4:15 pm

CONTADINI DI RAFAH. TRA MISERIA E DIGNITÀ...

L'Antidiplomatico - "Una cosa del genere da noi finirebbe in un lacrimevole programma televisivo, qui invece sembra normale e viene fuori solo per caso. E’ un altro mondo: si sopravvive con due pecore ma si prende in casa chi perso la sua famiglia!"

Patrizia Cecconi
Gaza 3 febbraio 2016
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews ... 2&pg=14231
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 1253357381


Oggi sono andata verso il confine con l’Egitto. Avevo un piccolo compito da svolgere per conto di un’associazione amica, la Rete Radia Resh, quella fondata tanti anni fa da Ettore Masina e che porta il nome di una bambina (Radia Resh) morta di stenti e di polmonite dopo che Israele aveva demolito la sua casa. Ma quasi a testimoniare la speranza indomita dei palestinesi, la piccola, nel delirio degli ultimi attimi, sognava di lucidare i vetri della sua nuova casa, quella che stava aspettando dopo la bella azione del popolo eletto.

Dunque sono andata.

Sono venuti a prendermi i due giovani volontari del Palestinian Center for Organic Agricolture e per prima cosa mi hanno gentilmente “costretto” a fare colazione, ovviamente non con un veloce caffè ma con hummus, falafel, labaneh, pane arabo e, insomma, tutto quello che dà i suoi ricchi frutti in senso ponderale come ormai indiscutibilmente attestato dalle foto che mi vengono fatte.

I due ragazzi che sono venuti a prendermi (Hamad e Ahmad, la posizione della H è determinante) e che mi guideranno per l’intera giornata sono fratelli, sono entrambi laureati, hanno circa trent’anni e già la loro prima prole. Sono due persone splendide e mi porteranno a vedere campi e serre che permettono a molte decine di famiglie di lavorare e sopravvivere dignitosamente.

La prima persona che mi fanno conoscere è Abu Hassan, un contadino che loro definiscono ingegnere agrario per le sue competenze e che in realtà tiene anche dei corsi sull’agricoltura biologica. Ha un viso che sembra uscito da un quadro del Caravaggio e mi spiega il suo lavoro con tanta passione che quelle tre parole di arabo che conosco mi sembra si moltiplichino.

Abu Hassan mi porta in giro per i campi, le serre, il deposito delle sementi e del compostaggio e poi mi prende una pianta di ortica spiegandomi che ha molte proprietà benefiche. Bè, ora è entrato nel mio campo e sull’ortica sono certa che potrei stracciarlo, ma tre parole d’arabo non mi bastano per farlo e così mi limito a sorridere. Abu Hassan ha 7 figli e una figlia. La figlia studia all’università e per mantenerla agli studi, sia lui che i ragazzi, lavorano la terra per venderne i prodotti. Sarebbe il caso che lo sentissero tutti quei ripetitori di slogan che si scimmiottano l’un l’altro ripetendo che a Gaza le donne non possono studiare perché condizionate da un integralismo religioso che le relega in casa.

Lasciato Abu Hassan mi portano a conoscere molte famiglie beneficiarie del progetto di rete Radia Resh che ha consegnato loro due pecorelle per ricavarne latte e formaggi. Famiglie che mi colpiscono non tanto per l’estrema povertà in cui vivono, in case che sono il più delle volte squallidi tuguri, ma per quel tocco di umanità e di fierezza che pur se ho visto ormai tante volte non finirà mai di stupirmi.

La famiglia che mi colpisce di più è quella di Umm Mahmoud, vive in un piccolo villaggio vicino a Rafah. Sono quasi tutte donne e sono tante. La più piccola avrà tre anni e la più grande poco più di venti. La mamma mi parla delle grandi difficoltà che hanno per andare avanti, mi dice che suo marito lavora per 5 shekel al giorno (poco più di 4 euro) e che la scuola e in particolare l’università che frequenta una delle ragazze costa enormi sacrifici. Le pecorelle sono un grande aiuto ma non bastano a superare ogni difficoltà.

Mentre Umm Mahmoud parla le bambine scattano foto. Sono affettuosissime, una lo è in particolare, si chiama Farah, viene più volte a baciarmi e vuole foto e foto e ancora foto. Intanto Hamad, che mi traduce, mi dice che Nadeel, la ragazza che va all’università, fino alla criminale aggressione israeliana del 2014 abitava nella casetta accanto. Ma una bomba ha sterminato tutta la sua famiglia e lei è rimasta sola al mondo. Così, senza nessuna particolare formalità, è stato aggiunto un materasso e ora vive qui con le altre ragazze. E la sua nuova famiglia fa il possibile per non farle interrompere l’università!

Una cosa del genere da noi finirebbe in un lacrimevole programma televisivo, qui invece sembra normale e viene fuori solo per caso. E’ un altro mondo: si sopravvive con due pecore ma si prende in casa chi perso la sua famiglia!

Ora mi preparo a lasciare Rafah e a tornare nella mia casa portandomi nella mente, e forse anche nel cuore, tutte le figure incontrate oggi, dai due fratelli Hamad e Ahmad, alla signora che raccoglieva la malva, ad abu Hassan, a Umm Mahmoud. Intanto vedo qualcosa in cielo, forse un deltaplano? No, Hamad mi toglie ogni dubbio e mi dice che si tratta di un semplice pallone-spia che l’amabile stato di Israele usa per decidere quale omicidio extragiudiziale compiere all’interno della Striscia tanto, come ormai sappiamo tutti, agli occhi del mondo passerà inosservato.

Che amarezza questa conclusione! Per fortuna che intanto ci attraversa la strada un branco di pecore che il pastore beduino che le guida ha deciso di portare al mare. Chiudo così, con una foto al gregge che, assolutamente ignaro di avere un vicino nonché assediante tanto pericoloso, va a brucare l’ultima erbetta spuntata sulla sabbia in riva a questo mare la cui estensione ricorda la libertà che i gazawi non hanno.


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Strika de Gaxa (e i nasirasisti xlameghi co łi so sostenidori e conpliçi cristiani)
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Messaggioda Berto » mer feb 10, 2016 9:49 am

Palestinexi e ixraeliani
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Il vero volto della palestinese che pianse davanti alla Merkel: "Spero che Israele sparisca"

Intervistata da un quotidiano tedesco, la profuga non appare così innocente: "Quella terra non dovrebbe più essere chiamata Israele, ma piuttosto Palestina"

Sergio Rame - Mer, 29/07/2015

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ver ... 56545.html

Le lacrime di Reem Sahwil hanno fatto il giro del mondo. E tutti si sono schierati al suo fianco e hanno deprecato Angela Merkel per aver parlato con chiarezza alla rifugiata palestinese di soli 14 anni che le aveva chiesto di poter restare più a lungo in Germania.

Ora i tedeschi, che tanto avevano criticato la cancelliera per averle risposto con sincerità ("Non possiamo accogliere tutti"), hanno scoperto che la ragazzina non è poi così innocente.

"La mia speranza è che prima o poi Israele non ci sia più - ha detto in una intervista - e che esista solo la Palestina".

Il giornale Die Welt Am Sonntag ha dedicato una lunga intervista a Reem Sahwil per cavalcare l'ondata emotiva che ha innalzato la 14enne a paladina dei diritti dei rifugiati e la Merkel a carceriera inospitale. Peccato che è bastato ascoltare cosa pensa la giovane palestinese su Israele e più in generale sull'Occidente ha aperto gli occhi a buonisti e progressisti che l'hanno a lungo difesa. Alla domanda su cosa fosse la Palestina, la giovane ha letteralmente spiazzato il giornalista che la stava intervistando: "La mia speranza è che prima o poi Israele non ci sia più, e che esista solo la Palestina.

Quella terra non dovrebbe più essere chiamata Israele, ma piuttosto Palestina". E quando il cronista le ha detto con chiarezza di trovarsi in difficoltà di fronte a quell'affermazione chiaramente antisemita e le ha fatto presente che "la Germania non ammette l'odio verso gli ebrei", Reem Sahwil ha replicato severamente: "Sì, ma qui c'è la libertà di espressione. Qui posso affermare cose del genere e sono pronta a confrontarmi su qualsiasi argomento". E, in conclusione, ha rincarato la dose: "La mia patria è la Palestina, prima o poi mi trasferirò lì".





Antisemitismo islamico, esiste dai tempi di Maometto
di Valentina Colombo07-06-2014
La strage di Bruxelles

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-ant ... o-9404.htm

L’arresto di Mehdi Nemmouche, il francese autore della strage del museo ebraico di Bruxelles, e i legami di costui con la galassia dei jihadisti che dall’Europa si sono recati in Siria conduce irrimediabilmente a una serie di riflessioni. La prima riflessione riguarda le reazioni e le dichiarazioni che hanno fatto seguito all’attentato e che ne hanno individuato l’origine negli ambiti della destra europea o persino nel complottismo ebraico, escludendo in entrambi i casi eventuali legami con l’estremismo islamico.

Non si è fatto attendere, ad esempio, il commento di Tariq Ramadan, nipote del fondatore dei Fratelli musulmani e voce accreditata come “moderata” e “affidabile” a tutti i livelli delle istituzioni europee. Il 27 maggio Ramadan scriveva su Twitter: “I due turisti colpiti a Bruxelles lavoravano per i servizi segreti israeliani secondo Le Soir. Antisemitismo o manovra diversiva?” L’ipotesi del complotto ebraico-sionista attraverso due ex agenti del Mossad ben si accompagna con altre idee dell’islamologo svizzero che hanno fatto sì che nel 2004 dichiarasse a Silvia Grilli, all’epoca giornalista a Panorama, che uccidere un bimbo israeliano di otto anni perché da grande farà il soldato è “in sé è un atto moralmente condannabile. Ma è contestualmente comprensibile, perché la comunità internazionale ha consegnato i palestinesi agli oppressori”.

Tuttavia la seconda riflessione riguarda, più in generale, l’antisemitismo che permea l’ideologia dell’estremismo islamico che affonda le proprie radici nel testo coranico e nella tradizione islamica. Nell’VIII secolo dopo Cristo il poligrafo arabo al-Jahiz nella celebre Epistola contro i cristiani attribuì gli attacchi coranici nei confronti degli ebrei con la teoria della contiguità: “Il popolo preferisce i Cristiani ai Mazdei e agli Ebrei; è più disposto ad accordare loro amicizia, ha nei loro confronti meno odio, li crede meno infedeli e pensa che il castigo che subiranno nella vita futura sarà meno doloroso […]” perché “[…] in primo luogo gli ebrei si trovavano a Yathrib [l’attuale Medina] e quindi erano vicini ai musulmani. Ebbene, l’odio tra vicini è simile a quello che divide di solito i parenti per la profondità delle radici e la tenacia. L’uomo di fatto può essere ostile solo a chi conosce. La sua ingiustizia si esercita solo nei confronti di chi vede ogni giorno, è rivale solo al proprio simile e conosce bene i difetti di chi frequenta. Si odia e si fugge qualcuno nella misura in cui lo si ama e si è vissuti troppo vicino a lui.”

La storia dell’islam e la Sira, la biografia ufficiale di Maometto, danno ragione a Jahiz. Quando nel 622 il Profeta dell’islam si trasferì a Medina nella città vivevano tre tribù ebraiche, giunte probabilmente prima della distruzione del tempio del 70 d.C.: i Banu Qaynuqa’, i Banu Nadir e i Banu Qurayza. Dapprincipio le tribù ebraiche intrattennero rapporti pacifici con Maometto.

Purtroppo l’idillio si sarebbe ben presto infranto. La Sira, la biografia ufficiale di Maometto, riporta notizia della cosiddetta “Costituzione di Medina” nella quale si legge: “All’ebreo che ci segue sono dovuti aiuto e uguaglianza. […] Nessuna pace separata sarà stipulata quando i credenti combattono sulla via di Dio. Le condizioni devono essere eque per tutti. […] I credenti devono vendicare il sangue degli altri credenti quando versato sulla strada di Dio. […]”

È evidente che il documento preveda rispetto e tutela degli ebrei a condizione di fedeltà e non intromissione. E’ proprio l’accusa di tradimento e di connivenza con i meccani nei confronti delle tribù ebraiche che scatenerà l’ira di Maometto. Nel marzo 624 la battaglia di Badr, grande oasi a 20 km nord ovest di Medina, vede la vittoria miracolosa di Maometto sui meccani. Gli ebrei vengono accusati di essersi alleati in segreto con i meccani avversari di Maometto e i Banu Qaynuqa’ sono costretti all’esilio verso le oasi ebraiche del nord, Khaybar e Fadak, e viene consentito loro di portare con sè solo un cammello per famiglia.

Nel marzo 625 con la battaglia di Uhud, un’altura a nord di Medina, l’esercito di Maometto subisce una sconfitta e i Banu Nadir vengono espulsi dopo essere stati privati dei beni che, non essendo bottino di guerra spettarono a Maometto che li distribuì agli emigrati. Nel Corano si legge: “Il bottino che Allah concesse al Suo Inviato, sugli abitanti delle città, appartiene ad Allah e al Suo Inviato, ai [suoi] familiari, agli orfani, ai poveri e al viandante diseredato, cosicché non sia diviso tra i ricchi fra di voi. Prendete quello che il Messaggero vi dà e astenetevi da quel che vi nega e temete Allah. In verità Allah è severo nel castigo”. ( LIX, 1- 8 )

Nell’aprile 627 con la cosiddetta battaglia del Fossato che può essere definita una “semivittoria” da parte di Maometto, i Banu Qurayza vengono accusati di essere scesi a patti con il nemico meccano. Assediati vennero infine obbligati alla resa incondizionata e alla conversione all’islam. Chiunque non avesse accettato tale condizione sarebbe stato sottoposto alla pena capitale. Ebbene, solo quattro ebrei si convertirono, e la tradizione islamica narra che tra 600 e 900 uomini vennero decapitati per ordine di Maometto mentre le donne e i bambini vennero ridotti in schiavitù. L’accaduto viene ricordato anche dal testo coranico: “Ha fatto uscire dalle loro fortezze coloro, fra la gente del Libro, che avevano spalleggiato i coalizzati ed ha messo il panico nei loro cuori. Ne uccideste una parte e un'altra parte la faceste prigioniera. Vi ha dato in eredità la loro terra, le loro dimore e i loro beni e anche una terra che mai avevate calpestato. Allah è Onnipotente” (XXXIII, 26).

Ebbene, Tariq Ramadan nella sua biografia di Maometto Sulle orme del Profeta descrive il massacro dei Banu Qurayza come una “duplice vittoria” e sottolinea che “il destino riservato agli uomini dei Banu Qurayza rappresentò un forte messaggio per tutte le tribù limitrofe rammentando che ogni tradimento e ogni aggressione sarebbe stata severamente punita” (Tariq Ramadan, On the Footsteps of the Prophet, Oxford University Press, New York 2007, p. 156).

Nel X secolo il celebre teologo andaluso Ibn Hazm nel suo trattato di eresiografia Kitab al-milal wa-al-nihal ricorda altresì l’accusa di alterazione dei testi religiosi che l’islam rivolge sia a ebrei che cristiani: “I musulmani hanno precisato che entrambe le umma hanno apportato modifiche e alterato le scritture (tahrif). Gesù era convinto di ciò che aveva rivelato Mosé ed entrambi avevano dato la buona novella della venuta del nostro Profeta Maometto, profeta della misericordia” (I, pag. 249). Non solo, ma lo stesso autore nella Risala fi radd ‘ala Ibn al-Naghrila al-Yahudi, una replica all’ebreo Ibn Naghrila, si rivolge a quest’ultimo definendolo “ignorante sfacciato al quale l’ignoranza ha accecato e distrutto il discernimento”, “folle”, “un avvinazzato” dalle “viscere liquefatte dall’odio che porta al Profeta.” Quello che potrebbe apparire come un attacco ad personam si conclude invece come un attacco agli ebrei in senso lato “spero fermamente e ho molte speranze che Dio sarà severo contro coloro che si avvicinano agli ebrei, che li circondano, che ne fanno amici intimi e familiari, e non esercitano rigore nei loro confronti.”

A partire dal 1948, con la nascita dello Stato di Israele, l’odio nei confronti degli ebrei di matrice coranica va gradualmente ad assommarsi e a giustificare l’anti-sionismo confondendo i livelli religioso e politico. Va comunque ricordato che inizialmente sia la polemica negazionista sia l’ideologia anti-semita vengono relegate ai margini del dibattito.

A dimostrazione di quanto affermato vanno le parole del politico iracheno Muhammad Fadhil Jamali (1903-1997) che alla Conferenza di Londra, pur essendo un acerrimo antisionista, ebbe modo di dichiarare quanto a segue: “Dobbiamo separare, totalmente e una volta per tutte, la questione ebraica mondiale da quella della Palestina. La questione ebraica deve essere trattata dall’Europa, poiché l’Europa ha bisogno di costruttori che possano riparare alla distruzione attuata dai nazisti. Non possiamo sostenere di avere vinto la guerra se il nazismo non verrà sradicato dall’Europa e continuerà a privare i cittadini europei di religione ebraica dal godimento dei pieni diritti civili e religiosi.” Non solo, ma al-Jamali espresse tutto il rispetto e l’affetto nei confronti della comunità ebraica irachena: “In Iraq vivono circa 120.000 ebrei. Per secoli gli ebrei hanno vissuto con i musulmani e i cristiani in perfetta pace e armonia in Iraq.”

Siffatto atteggiamento scompare con la nascita dell’islam politico e soprattutto con il movimento dei Fratelli musulmani nel 1928. In questo contesto motivazioni religiose e politiche si intersecano costituendo una miscela esplosiva. Ad esempio all’art. 7 dello Statuto di Hamas si legge: “Benché gli anelli siano distanti l’uno dall’altro, e molti ostacoli siano stati posti di fronte ai combattenti da coloro che si muovono agli ordini del sionismo così da rendere talora impossibile il perseguimento del jihad, il Movimento di Resistenza Islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto. Il Profeta – le preghiere e la pace di Allah siano con Lui – dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei” (citato da al-Bukhari e da Muslim).

Nel 2005 l’allora Guida Suprema dei Fratelli musulmani Mahdi Akef denunciava il “mito dell’Olocausto” difendendo le posizioni del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Nel 2007 la politologa e attivista di origine yemenita Elham Manea denuncia il sito Awladuna (“I nostri figli”), legato al movimento dei Fratelli Musulmani. Nell’articolo “L’odio nei confronti degli ebrei” denuncia altresì il doppio linguaggio dei Fratelli musulmani, anche quando si tratta di ebrei: “All’inizio non ci credevo, allora ho deciso di verificare con i miei occhi. La notizia, che avevo letto in una e-mail, era che il sito Awladuna dedicato ai bambini del movimento dei Fratelli musulmani egiziani aveva riservato alcune pagine per instillare l’odio nei confronti degli ebrei nei cuori dei ragazzi. Non ci credevo perché i Fratelli musulmani continuano a ripetere che non odiano nessuno e che secondo la loro interpretazione la religione islamica è una religione di pace, che non hanno alcun problema né con gli ebrei né con la religione ebraica, bensì con lo Stato di Israele e le sue azioni repressive contro il popolo palestinese.” La Manea riporta quindi alcune frasi contenute nel sito alla voce “Lo sai?”: “Lo sai che gli ebrei hanno ucciso 25 profeti di Dio, che la loro nera storia è colma di omicidi e malvagità? Lo sai che gli ebrei assassini hanno ingiuriato e oltraggiato il nostro Signore, Eccelso e Potente? Lo sai che gli ebrei hanno tentato di uccidere il nostro amato Inviato? […] Lo sai che gli ebrei istigano tutto il mondo contro l’islam e i musulmani con la scusa di combattere il terrorismo? […]”.

La riflessione della Manea riconduce ai fatti di Bruxelles. Se è vero che l’autore della strage è da ricondurre al jihadismo europeo in Siria, è pur vero che la maggior parte delle moschee in Europa sono gestite dai Fratelli musulmani. Quindi gli apparati di sicurezza farebbero bene ad andare oltre la punta dell’iceberg del jihadismo conclamato per occuparsi del doppio linguaggio di chi apparentemente è “moderato”, ma che in nome della storia delle origini dell’islam e di una ideologia antisemita e antisionista individua in ogni ebreo un nemico da odiare e in ultima istanza da eliminare.
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Messaggioda Berto » mer feb 10, 2016 10:01 pm

È il «palestinismo» la vera malattia dell'Onu
Redazione - Gio, 17/09/2009 - 02:09

http://www.ilgiornale.it/news/palestini ... l-onu.html

La relazione della commissione Goldstone sull'operazione "Piombo fuso" è un pericolo per tutti noi. È, nero su bianco, il proclama che stabilisce che bisogna arrendersi di fronte al terrorismo sistematico che colpisce e usa i civili. Se si dà una rapida occhiata alle 575 pagine prodotte per stabilire che cosa è accaduto a Gaza nella guerra del 2008-2009, si vede che la commissione istituita dall'Onu non ha avuto alcun interesse alla verità, ma solo alla ennesima criminalizzazione di Israele: l'Onu incarna qui, ancora una volta, un esempio del palestinismo moralista che sfrutta, in funzione della delegittimazione antioccidentale, i sensi di colpa del mondo contemporaneo e cerca, nella pratica immediata, la morte civile e fisica dello Stato ebraico.

L'Onu dedica ogni anno due terzi delle sue risoluzioni sui diritti umani alla condanna di Israele; la sua assemblea, dove sono già risuonati i discorsi antisemiti del presidente Ahmadinejad, adesso procede con una versione flautata, quella del giudice Goldstone, un ebreo con tanto di figlia che vive in Israele.

Andiamo per ordine. Israele attaccò solo perché messo all'angolo da tredicimila missili caduti sul suo territorio dal 2000 e nonostante le mille richieste all'Onu di fermare Hamas dopo che aveva interamente sgomberato Gaza. L'organizzazione terrorista finanziata dall'Iran, devota alla distruzione di tutti gli ebrei del mondo, proseguì però nei suoi lanci. Le richieste di Israele all'Onu ottennero uno sbadiglio simile a quello che Goldstone ha dedicato al cittadino di Sderot David Bedein quando è andato alla seduta del Comitato per testimoniare le sofferenze della gente del suo Paese.

In secondo luogo, il richiamo continuo alla legge internazionale che si fa in tutto il rapporto, delle cui bugie ci occuperemo fra un momento, ignora i crimini di Hamas, non mettendo in relazione la guerra col bombardamento cui ha sottoposto Israele. Solo Israele è sotto accusa e lo era fin dall'inizio, tanto che persino personaggi antisraeliani come Mary Robinson, commissaria Onu organizzatrice della Conferenza di Durban del 2001, hanno rifiutato di partecipare al comitato ritenendolo non equilibrato.
È evidente invece che i principali violatori della Convenzione di Ginevra sono coloro che combattono sparando sui civili, usando strategicamente come scudo umano fisso le proprie donne e i propri bambini e travestendo i propri combattenti coi panni dei civili. Hamas, dunque. Insomma, Goldstone non risponde alla domanda del mondo contemporaneo su come combattere al di là della convenzione di Ginevra in situazioni, per esempio, come quelle descritte da noti inviati, in cui la gente terrorizzata veniva obbligata a proteggere gli uomini di Hamas restando prigioniera per far loro scudo nelle proprie case, nelle scuole, negli ospedali, nelle ambulanze. Goldstone condanna Israele per aver combattuto in una situazione di grande difficoltà in cui erano in gioco i civili, e dimentica che il quartier generale di Hamas era situato nei sotterranei dell'Ospedale Shiba, e che Israele non l'ha toccato benché ne facessero un uso cinico.

Da chi ha ricavato le proprie informazioni Goldstone, che accusa Israele di aver colpito volontariamente i civili e di aver fatto fra i 1200 e i 1400 morti? E sono verificabili? La risposta è che il rapporto è pieno di bugie consapevoli. La commissione era già formata in origine da personaggi come la professoressa di Diritto Christine Chinkin che, prima dell'inchiesta, aveva «rifiutato categoricamente» il diritto di Israele all'autodifesa e che, sempre in anticipo, aveva dichiarato Israele «aggressore e perpetratore di crimini di guerra».

Se si va a guardare da vicino le fonti consultate, troviamo che molte non sono identificabili. Le altre, sono semplicemente le Ong antisraeliane più politicizzate: Betzelem e il Palestinian Center for Human Rights sono citate 70 volte, l'organizzazione palestinese Al Haq altre 30, e così via. L'assunzione che siano stati colpiti intenzionalmente luoghi e persone appartenenti al mondo civile, fa uso di errori fattuali: Abdullah Abdel Hamid Muamar, 22 anni, ucciso, viene definito dal Palestinian Center uno studente, dunque un civile. Anche Human Rights Watch, un'altra delle fonti preferite, ne fa una vittima innocente, ma secondo una pubblicazione delle Brigate Al Qassam, Muamar era un membro di Hamas, e appare sul un website arabo mentre regge un missile Qassam. Secondo una ricerca dell'esercito israeliano, 564 morti erano membri armati di Hamas, 100 erano della Jihad Islamica; i membri del Fatah, pure presenti, non sono contati, e i poliziotti del regime di Hamas, categorizzati come civili, erano per l'84% parte del meccanismo di sicurezza di Hamas; fra loro, Muhammad el Dasuqi, un membro del Comitato della Resistenza, era per esempio probabilmente uno di terroristi che attaccò un convoglio dell'ambasciata Usa nel 2003. L'attacco alla scuola dell'Onu nel campo profughi di Jabaliya, che all'inizio fu indicato come una grande strage, fu poi smentito: la scuola, anche secondo fonti locali, non fu in realtà attaccata, l'esercito sparò a una struttura nei dintorni, dove si erano acquartierati i militanti di Hamas.
In realtà, il Centro Interdisciplinare di Herzliya sostiene, secondo i dati riportati dal giornalista Ben Dror Yemini, che fra il 63 e il 75% dei colpiti sono stati uccisi perché erano coinvolti nella guerra. Erano circa 900 persone, e a questi vanno aggiunti, purtroppo, i civili usati come scudi umani. Hamas è il vero colpevole di crimini di guerra.


Xlamixasion de l'Ouropa contro Ixrael
viewtopic.php?f=92&t=2209

Perché l'Europa rischia l'islamizzazione?
Intervista alla scrittrice Bat Ye'Or
Autore: Gerardo PerrottaMar, 09/02/2016
http://www.sulromanzo.it/blog/perche-l- ... -bat-ye-or
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Messaggioda Berto » mer feb 10, 2016 10:10 pm

Nazismo xlamego arabo palestinexe

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfus

La diseducazione e l'incitamento all'odio delle leadership palestinesi denunciate in questi anni, stanno dando i loro peggiori frutti. Quando organizzazioni e giornali denunciano che nelle scuole palestinesi i libri distorcono la storia, o quando si denuncia che le tv palestinesi trasmettono cartoni per bambini che invitano ad uccidere gli ebrei e gli infedeli, lo si fa con la consapevolezza che se non si interviene tempestivamente, tutto ciò porta inevitabilmente alla formazione di nuove generazioni violente così come lo sono state quelle precedenti. Il terrorismo viene chiamato "resistenza", gli attentati - anche contro bambini - vengono fatti passare per "lotta di liberazione".

Ed ecco che con la complicità delle associazioni filo palestinesi di mezzo mondo, accadono fatti come quelli di questa mattina: una adolescente palestinese di Gerusalemme Est di 16 anni è stata arrestata per aver tentato di accoltellare un poliziotto presso la Porta di Damasco, mentre una ragazzina di 13 anni poco prima entrava nel villaggio ebraico di Karmei Tzur con un coltello nel tentativo di colpire civili.

Questi sono soltanto gli ultimi episodi, peraltro senza vittime, ma negli ultimi mesi sono state decine i morti e i feriti del terrorismo palestinese, perlopiù compiuto da mani minorenni. E quando si investe intenzionalmente un bambino di due anni facendogli perdere l'uso di una gamba, quando si uccide una ragazza di 16 anni o quando di spara a due genitori che viaggiano in macchina davanti ai propri figli, ci si dovrebbe chiedere "è questa la lotta di liberazione palestinese?

Paragonare la Resistenza antifascista a quella terrorista è un insulto, oltre che un'idiozia.

Immagine
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... tinexi.jpg



Il titolo di questa vignetta è ironico ma descrive il vero di questi ultimi mesi.

L’immagine descrive l’auspicio mai negato sia di Mahmoud Abbas che di Hamas. Un popolo votato al martirio, che si fa ammazzare o arrestare dopo aver portato a termine l’attentato con più vittime israeliane possibili. Alcuni genitori palestinesi insegnano questo ai loro figli proprio come a quelle due adolescenti palestinesi che questa mattina hanno tentato vanamente di colpire con i loro coltelli obiettivi israeliani.

Un recente sondaggio realizzato da un’agenzia demoscopica araba, riferisce che quasi il 54% dei palestinesi sono contro la terza intifada. Un sondaggio verosimile perché se così non fosse il numero degli attentati che avvengono giornalmente in Israele e negli insediamenti israeliani raggiungerebbe un numero molto più elevato. Per gli ottimisti è un numero incoraggiante ma nei fatti è ancora insufficiente a fermare quella minoranza dagli istinti terroristi incoraggiata dalla leadership palestinese che trascina nel baratro un’intera generazione di giovani palestinesi.

Immagine
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... A7iclo.jpg



“Non abbiate pietà del colono, mandatelo all’inferno”.
La nuova canzonetta di Hamas con videoclip.

Dopo aver ostentato un pericolosissimo carrarmato di legno nei giorni scorsi, ora i creativi di Hamas puntano alla musica per terrorizzare gli israeliani.

Utilizzando un simpatico ritmo arabeggiante, la nuova creazione musicale dal titolo amichevole “Il tetto dell’autobus sta prendendo il volo” è andata in onda per la prima volta ieri su al-Aqsa TV, l’emittente televisiva del terroristi della Striscia. E mentre la canzonetta che incita a far saltare in aria gli israeliani è destinata al successo sia nelle top ten di Gaza che di Ramallah nonostante il videoclip abbia una scenografia limitata ad un autobus in fiamme con una pigra coreografia, prende forma la certezza che ai palestinesi di Hamas sia tornata la voglia di un confronto bellicoso con lo Stato ebraico considerando peraltro i lavori senza soste per la realizzazione dei tunnel della morte e i proclami al martirio che negli ultimi giorni si sono fatti sempre più frequenti. Il testo della canzone – davvero molto originale – incita l’ascoltatore palestinese a farsi saltare in aria dentro un autobus magari a Tel Aviv con un travestimento da ebreo ortodosso. Per di più si trova anche spazio per fare un tributo alla memoria del povero Yahya Ayyash, detto “l’ingegnere”, per via della sua esperienza nella confezione di esplosivi mortali che nei mesi scorsi è stato disgraziatamente eliminato dalle forze di sicurezza israeliane.

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HANIN ZOABI INCARNA L’ESAGERATA DEMOCRAZIA ISRAELIANA

Se la cava con settecentocinquanta dollari di multa e sei mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena, la deputata arabo-israeliana Hanin Zoabi a cui oggi il Tribunale di Nazareth ha comunicato la sua sentenza per un episodio risalente al 2014 dove la Zoabi insultò le forze dell’ordine nelle ore successive al rapimento e all’omicidio dell’adolescente arabo Muhammed Abu Khdeir, ucciso da estremisti ebrei che qualche giorno fa sono stati condannati dalla giustizia israeliana.

La Zoabi aveva protestato contro un drappello di poliziotti arabo israeliani definendoli “traditori” per aver arrestato alcuni giovani palestinesi durante una sommossa a Nazareth. La deputata israeliana si era difesa affermando di “combattere contro l’oppressione di un regime che applica una politica razzista”.

La Zoabi, esponente della terza forza politica del paese con il partito arabo Balad, oltre a beneficiare degli stessi diritti dei suoi 119 colleghi alla Knesset - il parlamento israeliano – a partire dallo stipendio che si aggira attorno ai 9.500 euro più benefit, la settimana scorsa ha incontrato i familiari dei terroristi palestinesi.

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Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 11:27 am

Odio e falbarie contro łi ebrei e Ixraełe

Le azioni del premier israeliano dimostrano il suo disinteresse alla pace
News - 13/2/2016

http://www.infopal.it/le-azioni-del-pre ... -alla-pace

L’accademico palestinese Abdalhadi Alijla attribuisce a Netanyahu la principale responsabilità per la spirale di odio che sta interessando Israele

Le notizie che arrivano da Israele e dalla Palestina sembrano rappresentare la fine degli Accordi di Oslo e di un processo di pace che si è dimostrato inutile per entrambe le parti in gioco. L’approccio alla questione dovrebbe essere completamente ripensato e in tempi brevi, per porre fine alla serie di attacchi suicidi a Tel Aviv ed evitare il crollo definitivo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp).

Il lemma “pace” sembra ormai svuotato di ogni significato. La cosiddetta “pace” non è mai stata in grado di garantire la fine delle uccisioni e delle ostilità, a partire dal 1993. Anzi, in questi anni sono aumentate le confische delle terre, le demolizioni delle case, così come gli arresti, le uccisioni e le esecuzioni. Il blocco imposto alla Striscia di Gaza permane, insieme al sistema di apartheid praticato sistematicamente in Cisgiordania e a un’ineguaglianza sostanziale tra i Palestinesi con cittadinanza israeliana e il resto della popolazione.

Dall’elezione di Netanyahu nel 1996, il termine pace suona ancora più stomachevole. Ci torna alla mente l’“Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” dello storico romano Tacito: “Hanno fatto il deserto e lo chiamano pace”. È quello che sta accadendo a Palestinesi, Arabi, Europei, Americani e Israeliani. La pace e il processo che dovrebbe concretizzarla non sono che scatole vuote.

Mentre in tutto il mondo si festeggiava il Natale, Israele giustiziava cinque adolescenti palestinesi a pochi chilometri da Betlemme, luogo di nascita di Gesù. Dall’ottobre scorso, sono stati uccisi oltre 150 palestinesi e nella maggior parte dei casi,le efferate esecuzioni sono state riprese dalle telecamere.

Poco tempo fa,abbiamo visto la rappresentazione plastica del segmento più radicale della società israeliana: in un video, divenuto virale, gli invitati a un matrimonio brindavano alla crudele morte di un bambino palestinese, arso vivo dal gruppo estremista “Price Tag”. Sempre da ottobre, Israele ha eseguito oltre 800 arresti di cittadini palestinesi.

Ciò che sta accadendo nei Territori Palestinesi occupati è la naturale conseguenza delle azioni israeliane, tese a radicare odio e razzismo nei cittadini, che determinano un sentimento crescente di frustrazione e disperazione. Il fallimento del processo di pace, unito alle politiche israeliane, determinerà il collasso dell’Autorità Nazionale Palestinese e del suo apparato di sicurezza in Cisgiordania. I Palestinesi hanno perso fiducia in Fatah, Hamas e, più in generale, nell’Anp.

Il terrorista più efferato vive e opera in Israele: è il suo primo ministro, che in realtà fa di tutto per delegittimare il Paese di cui è alla guida, esacerbare il radicalismo e l’estremismo non solo entro i suoi confini, ma in tutta la regione.

Il Governo Israeliano porta sulle sue spalle la responsabilità di ogni terrorista che si lascia esplodere per le strade di Tel Aviv. Quanto accaduto nella città israeliana di recente dimostra che Netanyahu e il suo governo non fanno che radicalizzare la società e generare una spirale di odio con le loro arroganti politiche. L’oppressione, lo stallo del processo di pace, le ingiustizie marcate e la frustrazione crescente tra i Palestinesi destabilizzano ancora di più il quadro. Reprimere ogni forma di dissenso non violento in seno alla società palestinese genererà, al contrario, un’escalation della violenza stessa.

Sembra che il mondo abbia dimenticato la situazione di estremo disagio in cui versa il popolo Palestinese per via dell’occupazione israeliana. Le conseguenze di questo stallo costringeranno i Palestinesi a fare un passo indietro, pur di attirare l’attenzione della comunità internazionale.

Una conseguenza prevedibile sarebbe il crollo dell’Autorità Nazionale Palestinese e l’indebolimento del governo di Hamas, nella Striscia di Gaza: l’unica alternativa possibile sarebbe quella catastrofica, caratterizzata da un più spiccato estremismo, con la conseguente creazione di un terreno fertile per fazioni o gruppi che si rifanno all’ISIS.

Chiaramente, questo riporterebbe le lancette dell’orologio a una fase precedente agli accordi di Oslo, quando Israele occupava completamente la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. Ma la comunità internazionale non accetterebbe la prolungata occupazione militare e alcuni segmenti della società israeliana non sarebbero disposti a pagare lo scotto delle follie del suo esercito.

L’alternativa è il mantenimento dello status quo, che necessariamente condurrà all’aumento di fanatici ed estremisti in entrambi gli schieramenti. A prescindere dalla piega che prenderanno gli eventi, Netanyahu sta scherzando con il fuoco, in un gioco che non avrà ripercussioni solo su di lui, ma sull’intera regione.

Netanyahu e al suo governo devono essere fermati o continueranno a fomentare l’odio in Israele: le azioni del premier dimostrano con chiarezza il suo disinteresse all’effettivo raggiungimento della pace. È fondamentale contrastare lui e il suo governo estremista. L’unica speranza può venire dalla pressione internazionale, da manifestazioni di massa non violente, dal boicottaggio dei prodotti israeliani, dalle sanzioni ai danni di Israele, da processi internazionali che condannino i leader responsabili dell’attuale regime di apartheid.

Purtroppo, ad oggi, il peggior terrorista è Netanyahu, che al momento sembra inarrestabile.

Traduzione di Romana Rubeo
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Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 12:55 pm

I palestinexi łi jera łi ebrei e no łi arabi muxlim

Quel titolo del NYT del 1945 che dimostra che i palestinesi erano… gli ebrei
12 febbraio 2016 Riccardo Ghezzi

http://www.linformale.eu/quel-titolo-de ... -gli-ebrei

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“Arabs to boycott palestinian goods”. Gli arabi boicottano le merci palestinesi. Il titolo, del New York Times, oggi scatenerebbe la curiosità di molti. Come è possibile che gli arabi boicottino i beni dei loro fratelli palestinesi?
Un’obiezione che oggi faremmo in molti. Ma oggi siamo nel 2016.
Quel titolo risale invece al 4 dicembre 1945. Israele non aveva ancora dichiarato l’indipendenza, ma gli ebrei in “Palestina” c’erano già ed erano un problema per gli arabi.
I palestinesi del 1945 erano, ovviamente, gli ebrei. Oggi li definiremmo israeliani.
All’epoca la Palestina esisteva come entità geografica, ma non esistevano gli arabi palestinesi, di fatto “inventati”, come ben sappiamo, anni dopo.

Il noto e autorevole quotidiano americano dimostra due cose: innanzitutto, nel 1945 i “palestinesi” come li intendiamo oggi non erano ancora stati inventati. In secondo luogo, la Lega Araba aveva cominciato a boicottare i “sionisti” quando Israele ancora non aveva dichiarato l’indipendenza. Difficile credere alla favoletta secondo cui il problema alla radice del conflitto tra arabi ed ebrei sia il mancato riconoscimento di uno stato e di un popolo che nel 1945 ancora non esisteva. Perlomeno secondo il New York Times.

Si ringrazia Roberto Giovannini per la collaborazione

Heimat
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Messaggioda Berto » dom feb 14, 2016 1:16 pm

ISRAELE E LA PENA DI MORTE
domenica 14 febbraio 2016

http://giovanniciri.blogspot.it/2016/02 ... l?spref=fb

Lo sanno tutti. Israele è praticamente in guerra dal giorno della sua nascita, cioè da circa 68 (SESSANTOTTO) anni.
Ebbene, nel corso di tutta la storia di questo stato UN SOLO civile è stato giustiziato. Si tratta del criminale nazista Adolf Eichmann, uno dei principali responsabili della “soluzione finale del problema ebraico”, responsabile della morte di alcuni milioni di esseri umani.
In precedenza, nel corso della guerra del 1948, era stato fucilato Meir Tobianski, un soldato israeliano accusato e riconosciuto colpevole di tradimento.
Si confronti questo dato con quanto è avventuto in tempo di guerra in altri eserciti. È noto che sia nel primo che nel secondo conflitto mondiale furono numerosissimi i casi di fucilazione di soldati accusati di diserzione, viltà o tradimento. Dopo la disfatta di Caporetto ci furono nell'esercito italiano numerosi casi di “decimazione” di truppe considerate poco affidabili. Nella seconda guerra mondiale la repressione di soldati ed ufficiali nell'esercito sovietico raggiunse picchi di incredibile brutalità. Bastava interpretare male un ordine per finire di fronte al plotone d'esecuzione, o, nel migliore dei casi, in Siberia.

Anche nei periodi in cui è ufficialmente non in guerra lo stato di Israele deve sopportare uno stillicidio continuo di attentati terroristici. Eppure non un solo terrorista è stato fucilato nello stato ebraico, neppure uno di quegli “eroi” che si divertono ad ammazzare civili innocenti in autobus o pizzerie. Come ha invece reagito ad atti terroristici il paese che per decenni molti degli attuali nemici di Israele hanno considerato il “paradiso dei lavoratori”?

Il 30 Agosto 1918 Fanny Kaplan, una militante socialrivoluzionaria, sparò alcuni colpi di pistola a Lenin, ferendolo senza però ucciderlo. La militante socialista rivoluzionaria era esasperata dalla brutale repressione messa in atto dai bolscevichi contro tutti i partiti rivali e dalle fucilazioni di un gran numero di militanti anarchici. In Gennaio Lenin aveva sciolto la assemblea costituente, col pretesto che era stata votata in un momento politico “diverso” e non era quindi più rappresentativa della realtà sociale russa (in casi simili nei paesi normali si indicono, al massimo, nuove elezioni). In effetti i bolscevichi detenevano nella assemblea, da loro convocata, di 175 seggi su un totale di 707.
L'attentato a Lenin fu seguito da una repressione di incredibile brutalità. Circa 1300 (MILLETRECENTO) persone furono fucilate nella sola Pietrogrado. Venne emanato il decreto sul terrore rosso: rinforzava la Ceka e deva licenza di deportare in campi di concentramento i presunti “controrivoluzionari” e di fucilare senza processo gli “insorti”.
Inutile aggiungere che ci sono forti dubbi sull'attentato a Lenin. Alcuni sostengono che sia stato il risultato di una faida interna al partito bolscevico. Fanny Kaplan venne condannata ai lavori forzati ma fu fucilata poco tempo dopo nel sotterraneo del carcere in cui era reclusa.

Il primo dicembre 1934 venne assassinato a Leningrado Sergej Mironovič Kirov, un fedele compagno d'armi di Giuseppe Stalin. L'attentatore era Leonid Nikolaev, un giovane vicino agli anti stalinisti di sinistra. Dopo la destalinizzazione il caso Kirov venne riaperto ed oggi è quasi unanimemente accettata la tesi di chi sostiene che si sia trattato di un complotto staliniano. Stalin temeva la crescente popolarità di Kirov, un potenziale rivale che era meglio toglier di mezzo, e mirava a creare il pretesto per una mostruosa ondata di purghe che eliminasse tutti i possibili oppositori nel partito. In effetti la repressione seguita all'omicidio di Kirov fu tra le più brutali della storia. Lo storico sovietico Roy Medvedev racconta in “lo stalinismo” che durante le grandi purghe c'erano periodi in cui nella sola Mosca venivano fucilate più di 2.000 (DUEMILA) persone al giorno.

Se dalla storia passiamo alla cronaca le cose cambiano poco. In stati come l'Iran, l'Arabia saudita, la Corea del Nord, la Cina, i boia lavorano alacremente . Si mandano sulla forca non solo gli assassini, ma le adultere, gli omosessuali, i “nemici dello stato”. A Gaza dopo processi farsa sono fucilati, spesso e volentieri, presunti “collaborazionisti” con Israele.
Da quanto afferma la rete risulta che In Iran la pena di morte è prevista per omicidio, adulterio, stupro, omosessualità, blasfemia, estorsione, corruzione ed altri casi ancora, compreso, fino al 2004, il consumo di alcool. Secondo il codice penale iraniano, fino al 2004 i maschi sopra i 15 anni e le femmine sopra i 9 potevano essere giustiziati. Nel 2004 è stata vietata l'esecuzione di minori di 18 anni, ma il decreto non è stato rispettato. Il 19 luglio 2005 due ragazzi di 18 e 16 anni sono stati impiccati in Iran per lo stupro di un bambino di 13 anni avvenuto nel 2004, quando i presunti assassini avevano rispettivamente 17 e 15 anni. C'è chi sospetta che l'accusa di stupro sia una montatura e che il vero motivo delle impiccagioni sia da ricercarsi nella omosessualità dei due giovani,.
Se non ci si fida dei dati che la rete riporta si può fare riferimento ad una associazione “insospettabile” per gli occidentali politicamente corretti: “nessuno tocchi Caino”. Questa da notizia che nel periodo che va dal Luglio 2013 al Giugno 2015 sono state giustiziate in Iran circa 2.000 persone. Nel 2014 in Cina, sempre per la stessa associazione, le esecuzioni capitali sono state circa 2.400. Nel corso dello stresso anno sono state 33 negli USA, da sempre indicati al pubblico disprezzo per il persistere della pena di morte. Negli USA, forse è il caso di ricordarlo, la pena di morte riguarda non adultere od omosessuali ma i responsabili di omicidi particolarmente efferati.

Non è il caso di continuare d affastellare numeri. È notorio che in paesi come la Cina, la Corea del Nord, l'Iran, l'Iraq, l'Arabia saudita, il Pakistan il boia deve fare gli straordinari. In Israele no. Nello stato ebraico chi fa il boia deve cercarsi un secondo lavoro o rischia di morire (destino beffardo!) di fame. Eppure si tratta di uno stato letteralmente circondato da centinaia milioni di fanatici che vorrebbero semplicemente cancellarlo dalla carta geografica. Uno stato in guerra da quasi settanta anni. In guerra non per controversie territoriali od economiche, in guerra per la propria pura e semplice sopravvivenza.
Ma è contro questo stato che si mobilitano di continuo i “democratici” ed i “progressisti” di mezzo mondo. Gli stessi che fingono di non vedere i boia sempre al lavoro in Iran o in Pakistan si indignano se un soldato israeliano spara ad un giovane palestinese che tentava di accoltellarlo. Panciuti navigatori in rete diventano esperti in arti marziali di fronte a simili casi. Il soldato non doveva sparare, doveva difendersi cercando di disarmare l'aggressore con qualche mossa di krav maga! Profondi intellettuali danno loro man forte. I coltelli palestinesi, come i missili di Hammas, sono armi giocattolo, che vergogna che i “nazisti israeliani” osino sparare a dei ragazzini che si divertono con simili, innocui balocchi!
E non solo di questo si tratta. I prodotti israeliani che vengono dai “territori occupati” (occupati al termine della guerra dei sei giorni, in cui una coalizione di stati arabi ha cercato di annientare Israele) quei prodotti dicevo, devono essere “marchiati”, anche se non si marchiano, ad esempio, i prodotti che vengono da quella parte dell'Isola di Cipro che la Turchia, ma non la Grecia e la comunità internazionale, riconosce come sua. E se c'è qualche manifestazione culturale o sportiva subito si mobilitano i “democratici” e chiedono che Israele non possa partecipare. E c'è il BDS che pretende che tutti i prodotti israeliani vengano boicottati, e ci sono, naturalmente, fior di intellettuali che passano il tempo a denunciare le “brutalità” dello stato ebraico e fior di laici che condannano il carattere “religioso” di Israele, ma che non hanno nulla da dire sulle repubbliche islamiche la cui la costituzione è il Corano.
Ed anche gli ebrei non israeliani sono nel mirino. Certo, i nemici di Israele non sono antisemiti, solo anti sionisti. Però, se un ebreo prende la parola in qualche pubblica manifestazione è bene accetto solo se, prima di ogni altra cosa, si dichiara “critico” di Israele. Insomma, i nemici di Israele non sono antisemiti, loro amano gli ebrei, a condizione che si tratti di ebrei come Moni Ovadia...

C'è poco da scherzare. Uno stato da sempre in guerra, letteralmente assediato, tormentato dal terrorismo, riesce a non essere brutale, mantiene l'essenziale delle libertà civili, garantisce a tutti la libertà religiosa, ripudia di fatto la pena di morte. Eppure è sempre, costantemente sotto accusa. Sotto accusa non da parte dei fanatici che lo vorrebbero cancellare, no, sotto accusa da parte di occidentali. E non di occidentali vecchi rottami del nazifascismo, no, da parte di persone che si dichiarano “democratiche, laiche e progressiste”.
L'eclissi della ragione che sta dietro un simile, incredibile fenomeno fa paura. E' una sorte di folle istinto di autodistruzione che l'occidente si porta dentro da tempo e che emerge periodicamente quando ci sono di mezzo gli ebrei. Eppure la storia ha dimostrato sin troppo bene dove portino le eclissi della ragione.
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Messaggioda Berto » lun feb 15, 2016 11:46 am

“Mezzo secolo di frustrazione”: degli israeliani
Prima di dare a Israele tutta la colpa per le violenze palestinesi, si dia un'occhiata al ruolo svolto dai palestinesi in cinque decenni di terrorismo locale e globale
Di Ely Karmon
(Da: Times of Israel, 10.2.16)

http://www.israele.net/mezzo-secolo-di- ... israeliani

In un suo recente intervento al Consiglio di Sicurezza sulla situazione in Medio Oriente, il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ha condannato gli attacchi con “coltelli, veicoli e armi da fuoco da parte dei palestinesi contro civili israeliani” ed anche “il continuo lancio di razzi su Israele da parte di gruppi militanti nella striscia di Gaza”. Ma, ricorrendo a un linguaggio insolitamente forte, ha attribuito questi atti alla crescente frustrazione e al malcontento dei palestinesi “sotto il peso di mezzo secolo di occupazione e per la paralisi del processo di pace”. Ed ha anche affermato che qualunque progresso verso la pace richiede il congelamento delle attività negli insediamenti israeliani. Il Segretario Generale ha ribadito queste sue dichiarazioni in un editoriale sul New York Times del 31 gennaio, dopo la dura reazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Chi scrive queste righe è estremamente critico verso la politica di Israele negli insediamenti e le sue conseguenze negative sulle relazioni tra i due popoli, ma anche verso il ruolo della comunità internazionale, e in particolare le Nazioni Unite, nella situazione attuale.

Ad un livello storico più profondo c’è da rilevare che il Segretario Generale dell’Onu non menziona, o non capisce, il “mezzo secolo di frustrazione” del popolo israeliano che aveva sinceramente sperato di arrivare alla pace con arabi e palestinesi: significa non tener conto della decisione di tutti gli stati arabi di non riconoscere e non negoziare con Israele per decenni, fino alla decisione sacrosanta (ma isolata) del presidente egiziano Sadat nel 1977 di fare la pace; e delle continue ondate di terrorismo palestinese all’interno di Israele e attraverso i suoi confini, sponsorizzate dalla maggior parte dei regimi arabi.

Di più. C’è una verità che oggi non è politicamente corretto affermare: con i loro attentati contro gli israeliani e gli ebrei in tutto il mondo, e talvolta contro bersagli americani e occidentali, i palestinesi – non i jihadisti – sono stati i veri pionieri del terrorismo globale che ora minaccia molti stati membri delle Nazioni Unite e la comunità internazionale in quanto tale. I palestinesi riuscirono a realizzare i loro funesti piani con il sostegno attivo dei regimi siriano iracheno e libico, e grazie alla paura di reagire con forza indotta nelle loro vittime in Occidente o altrove.

Ecco una breve lista, assolutamente incompleta: il primo dirottamento di un aereo civile (della compagnia israeliana El Al) nel 1968; il dirottamento e la distruzione di quattro aerei civili nel 1970 in Giordania e al Cairo (Pan Am, TWA, Swissair e BOAC) e i tentativi di attacchi aerei suicidi da parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), veri anticipatori dello scenario dell’11 settembre 2001; il primo attacco alle Olimpiadi (Monaco, 1972), e si pensi ai miliardi di dollari spesi dopo quel tragico evento per garantire la sicurezza ai giochi olimpici in ogni paese globo; il primo uso di missili anti-aerei contro aerei civili (Roma 1971), di bombe barometriche su aerei civili già nel 1970 (volo Swiss Air 330, uccisi tutti i 47 passeggeri, e Austrian Airlines, senza perdite di vite umane) e il primo uso di bombe liquide (nitroglicerina); i primi attacchi contro sinagoghe, scuole ebraiche e ambasciate israeliane (da Bruxelles a Bangkok, passando per Roma, Parigi, Buenos Aires); gli attacchi contro interessi occidentali e americani (dirottamento FPLP del volo Lufthansa LH181 nel 1977 ecc.).

La maggior parte degli autori di questi attacchi, tra cui anche giovani minorenni (come i terroristi palestinesi di oggi), partiti dal Libano o dalla Giordania, vennero rapidamente scarcerati dalla maggior parte dei paesi coinvolti, anche quando ne erano rimasti vittime loro stessi cittadini. Nessuno dei paesi arabi sponsor che diedero rifugio a questi terroristi è mai stato redarguito.

Sono le organizzazioni palestinesi quelle che hanno dato l’esempio ai terroristi Hezbollah libanesi, a quelli della Rote Armee Fraktion tedesca, alle Tigri Tamil dello Sri Lanka. Ben prima che al-Qaeda istituisse i suoi campi di addestramento in Afghanistan, i palestinesi addestravano, in Libano, una lunga lista di organizzazioni terroristiche, tra cui l’Esercito Rosso giapponese, l’ASALA armeno, i Montoneros argentini, l’ETA basca.

Alcuni gruppi terroristici palestinesi preferirono farsi mercenari al servizio dei servizi segreti iracheni, siriani o libici prendendo di mira bersagli in Occidente o in altri paesi arabi. Tra questi gruppi mercenari si annoverano Fatah-Consiglio rivoluzionario/Abu Nidal, la Gioventù Araba Nazionalista per la Liberazione della Palestina, il Fronte di Liberazione Arabo, Al Saiqa.

Imad Mughniyeh, il capo di stato maggiore delle forze militari di Hezbollah e capo delle sue operazioni internazionali, è stato il terrorista internazionale più ricercato dall’America, principale architetto degli attentati esplosivi contro caserme di marines statunitensi e paracadutisti francesi della forza di pace di stanza a Beirut nel 1983 costati la vita a più di 330 persone. Ma Mughniyeh aveva iniziato la sua carriera da giovanissimo nel movimento palestinese Fatah, ne era rimasto membro fino al 1984 e terminò la sua carriera di terrorista solo quando saltò in aria con la sua auto, a Damasco, nel 2008.

Uno dei pilastri di Al-Qaeda e della sua ideologia e strategia jihadista fu lo studioso islamico palestinese Abdullah Azzam. Fu lui a creare il Maktab al-Khidamat, l’Ufficio Servizi per i mujahideen in Afghanistan, la fondazione per il reclutamento internazionale di Al-Qaeda da cui uscirono molti alti comandanti della rete terroristica. Gli insegnamenti di Azzam sulla jihad ebbero un impatto enorme su generazioni di combattenti, compreso lo stesso Osama bin Laden, e le sue idee continuano ancora oggi a ispirare i foreign fighters. Azzam sosteneva il ritorno della jihad in Palestina e fu determinante per la creazione di Hamas, sostenendola politicamente, finanziariamente, logisticamente e fornendole addestramento militare in Pakistan. La prima generazione delle Brigate ‘Izz al-Din Qassam, l’ala militare di Hamas, venne addestrata da lui. Nel 1987 i capi di Hamas gli mandarono persino una bozza del loro statuto per una sua “revisione”. Hamas è l’organizzazione islamista palestinese che fece deragliare il processo di pace tra Israele e palestinesi mettendo in atto, insieme con la Jihad Islamica palestinese, le grandi campagne di attentati terroristi suicidi subito dopo la firma degli accordi di Oslo del 1993 e per tutti gli anni ’90, e di nuovo durante la violentissima seconda intifada scoppiata dopo il summit di Camp David del 2000, quella che ha quasi completamente alienato l’opinione pubblica israeliana dal processo di pace rafforzando nella società israeliana i circoli che sostengono l’ampliamento degli insediamenti.

Il ritiro unilaterale di Israele dalla striscia di Gaza nel 2005, abbandonando sul posto considerevoli strutture agricole ed educative, non ha portato né pace né sviluppo alla popolazione locale, mentre al contrario vennero immediatamente avviate campagne di lanci di razzi contro il territorio israeliano, la militarizzazione del territorio di Gaza sotto il primo governo elettivo di Hamas e poi, nel 2007, il sanguinoso colpo di stato di Hamas contro l’Autorità Palestinese legittima e il suo conseguente smembramento in due entità nemiche fra loro.

Nel suo articolo, Ban Ki-moon chiede alle autorità israeliane di “sostenere in modo inequivocabile l’Autorità Palestinese e le sue istituzioni” e di introdurre “cambiamenti significativi nelle politiche verso Cisgiordania e Gaza”. Certo, dice anche ai palestinesi che il cambiamento richiede da loro una ”denuncia coerente e ferma del terrorismo e l’adozione di misure preventive per porre fine agli attentati contro israeliani, compresso uno stop immediato della costruzione dei tunnel a Gaza”. Ma non c’è, da parte sua, una vera denuncia dell’intensa opera di indottrinamento e istigazione all’odio da parte dell’Autorità Palestinese ad ogni livello, anche il più elevato, né dell’esplicito sostegno da parte del governo di Hamas delle violenze in Cisgiordania e all’interno di Israele. Anzi, è interessante notare come Hamas – con il suo sanguinario terrorismo e la sua dedizione alla distruzione di Israele – non sia nemmeno citata per nome una sola volta nelle dichiarazioni del Segretario Generale.

E’ ora che le Nazioni Unite e la comunità internazionale riconoscano il ruolo chiave svolto dai palestinesi nell’attuale situazione, ed anche “il peso di mezzo secolo di frustrazione” del popolo israeliano e le ragioni che stanno alla base della sua mancanza di fiducia nella disponibilità dei palestinesi e dei loro rappresentanti ad accettare un compromesso storico per la soluzione a due stati.
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Messaggioda Berto » lun feb 15, 2016 12:02 pm

Mo: aumentano agenti Anp coinvolti in attacchi a israeliani
Da ottobre 228 aggressioni. L'11% compiute da ragazze
15 febbraio, 19:41
(di Aldo Baquis)

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfus

(ANSAmed) - TEL AVIV, 15 FEB - A cinque mesi dal suo inizio, l'Intifada palestinese nei Territori ha assunto due sviluppi particolarmente inquietanti: per la terza volta in poche settimane ieri a Gerusaleme un uomo inquadrato nelle forze di sicurezza dell'Anp ha partecipato ad un attacco, in cui poi ha trovato la morte. E sempre ieri, a distanza di poche ore e in zone geografiche distanti, tre assalitori hanno usato armi automatiche svedesi di tipo Carl Gustav.

Dunque la intifada dei coltelli, la intifada degli incidenti stradali, la intifada del singolo attentatore che si lancia a testa bassa contro i militari israeliani sta cambiando volto e - forse per la prima volta - ora si insinua il sospetto che dietro agli attacchi quotidiani vi possa essere una regia. La scorsa notte a Kalandya (presso Ramallah) agenti dello Shin Bet (sicurezza interna) hanno arrestato un dirigente locale di Tanzim, l'ala militare di al-Fatah, di nome Jamal Abu Leil.

Ancora non è chiaro se la sua cattura sia legata all' inasprimento delle violenze nei Territori o - come ritiene Mohammad Dahlan, un dissidente di al-Fatah - se sia stato ispirato tacitamente da Abu Mazen. In caricature apparse di recente in siti web vicini ai movimenti integralisti, il presidente palestinese è mostrato, assieme all'egiziano Abdel Fattah al-Sisi, come solerte custode degli interessi di sicurezza di Israele.

Nei Territori la giornata di ieri è stata particolarmente cruenta, con almeno cinque palestinesi uccisi dopo aver tentato attacchi, mentre una sesta giovane palestinese, data in un primo momento per deceduta a Hebron potrebbe essere ancora ricoverata in condizioni gravi. Fra questi attentatori spiccava il nome di Mansur Shawmrah, 20 anni, ''ufficiale - secondo l'agenzia di stampa Maan - in una unità speciale delle forze di sicurezza dell'Anp''. Ieri, alla porta di Damasco, ha sparato a bruciapelo contro agenti israeliani, prima di essere abbattuto.

Altri membri dei servizi di sicurezza dell'Anp avevano agito il 3 dicembre e il 31 gennaio, presentandosi indisturbati a posti di blocco israeliani e aprendo il fuoco a bruciapelo contro soldati. Finora, si afferma in Israele, sono episodi isolati per quanto allarmanti. Sempre ieri, però, tre attentatori con armi da fuoco sono entrati in azione quasi simultaneamente a Jenin, Beit El (Ramallah) e Gerusalemme. E questo rappresenta un motivo ulteriore di inquietudine in Israele.

Nel frattempo lo Shin Bet ha reso noto che dall'1 ottobre gli attacchi palestinesi sono stati 228. Il 90 per cento sono avvenuti in Cisgiordania e a Gerusalemme. Il 96 per cento degli attentatori proveniva dalla Cisgiordania o da Gerusalemme est.

Le ''mehablot'' (terroriste) - prosegue lo Shin Bet - sono state 24, ossia l'11% del totale. Identica percentuale per gli attentatori di meno di 16 anni. Diversamente dal passato, secondo le statistiche dello Shin Bet, i campi profughi della Cisgiordania che avevano alimentato la prima e la seconda intifada sono invece rimasti relativamente in disparte.(ANSAmed).

http://www.ansamed.info/ansamed/it/noti ... 4e11c.html
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Basta finansiar el terorixmo ixlamego pałestinexe antiebreo

Messaggioda Berto » mer feb 17, 2016 3:26 pm

Basta darghe skei a sti ladri, farabuti, parasidi, teroristi, xe ani ke łi conta bàłe e ke łi fa łe fabe vitime de łi ebrei

https://www.facebook.com/14535391082885 ... 4458297325

https://www.facebook.com/nzy.sqwry/vide ... 6479301408

http://www.israelvideonetwork.com/befor ... nt-rolling

This video gives you the feel of a set for a movie before the filming starts. Everybody’s in place, but the acting hasn’t started… The main complication in this film is that the camera is already working.
A revealing glimpse into Hamas propoganda. If they filmed the burial, I hope they didn’t forget to dig them out afterwards. And to add these shots to the “bloopers” at the end of the film.
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