Basta finanziare il terrorismo nazi maomettano palestinese

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Messaggioda Berto » sab mar 05, 2016 7:34 am

Tawfik Hamid, ex terrorista pentito: “I palestinesi? Non vogliono che gli ebrei sopravvivano”
5 marzo 2016
Riccardo Ghezzi

http://www.linformale.eu/tawfik-hamid-e ... pravvivano

Tawfik Hamid è una voce unica nel mondo islamico. Sebbene sottolinei di non aver mai commesso crimini violenti, si autodefinisce un ex-terrorista per aver fatto parte del gruppo militante egiziano al-Gama’a al-Islamiyya, gruppo che frequentò insieme ad Ayman Al-Zawahiri che in seguito divenne un leader di Al-Qaeda. Circa 35 anni fa, Hamid ebbe un risveglio spirituale e divenne consapevole della minaccia costituita dall’islam radicale. Fu allora che iniziò a insegnare una moderna interpretazione pacifica dei più importanti testi islamici.

È autore del libro “Inside Jihad” ed è ricercatore presso il Potomac Institute di scienze politiche. È stimato da personalità di spicco che dicono di lui: “È un grande studioso la cui conoscenza del terrorismo è estremamente importante. Non ci sono dubbi sulla sua esperienza diretta e sulla profondità della sua conoscenza. È davvero prezioso” (tenente generale Claude “Mick” Kicklighter, ex ispettore generale del Pentagono), “La sua conoscenza dell’islam radicale è indispensabile per poterlo sconfiggere” (ambasciatore James Woolsey, ex direttore della CIA ), “Le nozioni nebulose, alimentate dai principali mezzi d’informazione e da una mentalità americana politicamente corretta, si dissipano alla luce del sole grazie all’analisi e alla guida ragionata fornite dal dottor Hamid” (Thomas P. McDevitt, presidente del Washington Times).

Hamid ha rilasciato un’intervista in cui spiega brevemente la sostanza della questione palestinese. Alla domanda del giornalista: “La questione palestinese è davvero un conflitto territoriale, secondo lei?”, Hamid ha risposto: “No, non lo penso assolutamente. E’ una questione religiosa… Il problema con i palestinesi è che non vogliono che sopravvivano gli ebrei.”

Ritiene che il vero messaggio dell’Islam sia stato travisato da molte persone, le quali nel corso della storia hanno offeso la religione interpretandola in modo errato. Racconta di aver cominciato a predicare nelle moschee per promuovere il suo messaggio e di essere per questo diventato un bersaglio di militanti islamisti che l’hanno minacciato di morte.

Esprimendo la sua opinione su un possibile processo di pace tra Israele e l’Autorità palestinese, il dottor Hamid ha detto che le colpe dell’attuale fallimento ricadono sulla leadership palestinese. Ha affermato che la sofferenza degli arabi deve essere riconosciuta, ma la causa è la loro leadership. Ha aggiunto che l’Autorità palestinese e Hamas stanno cinicamente e immoralmente usando la situazione degli arabi per interesse politico.

“Un milione di arabi vivono in Israele con gli ebrei e non soffrono come gli arabi che sono effettivamente controllati dagli arabi. Per essere onesti, bisogna dire che la sofferenza palestinese c’è a causa della leadership, non a causa di Israele ” ha detto il dottor Hamid.

“La soluzione è nelle mani dei palestinesi. Devono prendere la decisione di porre fine alle sofferenze del loro popolo”. Hamid ha affermato che la chiave per la pace consista nel cambiare l’atteggiamento dei palestinesi nei confronti di Israele. Se i palestinesi tendono davvero la mano verso la pace tutto può essere risolto, ha aggiunto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » sab mar 05, 2016 6:01 pm

I terroristi, due liceali di 17 anni, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane accorse in aiuto.

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 9688572726

Quello che sta rilasciando la sua dichiarazione alla stampa si chiama Roey Harel e vive a Eli, un insediamento israeliano in Samaria.
Questa mattina all’alba si è svegliato presto per prestare il suo servizio come riservista per l’esercito quando aprendo la porta della sua casa è stato aggredito da due palestinesi. Non solo è riuscito a respingerli ma li ha spinti fuori casa dove stavano ancora dormendo sua moglie e i suoi figli. Roey racconta che “mentre lottavo contro di loro il mio pensiero è andato alla famiglia Fogel e alla famiglia Gavish” – uccise nelle loro case rispettivamente nel 2011 e nel 2002. I terroristi, due liceali di 17 anni, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane accorse in aiuto.

Alessandro Saracini
Nessuno che si interroghi sulle cause e sul che fare ? Che ne é della intelligenza, cultura e umanità, degli ebrei ?

Carlo Pegorotto
Secondo te cosa dovrebbero fare gli israeliani? Il discorso è uno solo: gli israeliani hanno il diritto di vivere in Israele o devono andarsene?

Alessandro Saracini
vivere e moltiplicarsi in Israele. In pace. Da non ebreo, dall'italianissimo salotto di casa, immagino che chi lì viva, classe dirigente e popolo, debba far lavorare il cervello più delle armi. Posso anche sbagliami, naturalmente.

Progetto Dreyfus
Quindi quando viene accoltellato e ucciso un ebreo, cosa che sta accadendo giornalmente, cosa devono fare?
Prendono l'assassino, lo sculacciano e lo rimandano a casa?

Paolo Di Ruzza Seeee,
mica stanno in Italia!

Myriam Anav
Alessandro Saracini queste cose non le devi dire a noi. Le devi dire ai Palestinesi. Il fine dei palestinesi non è quello di convivere, ma di annientarci. Non è quello di avere un loro stato accanto a un legittimo Israele, ma di annientare l'idea stessa di Israele. Gli arabi musulmani e cristiani che vogliono vivere in pace in Israele VIVONO IN PACE (vai a Haifa, se non ci credi. Io stessa ne ero sorpresa). Escrementi come quelli che hanno attentato alla vita del soldato non meritano nessuna giustificazione. Per quale motivo rimproveri noi e non loro?

Fabrizio Mazzi Pastorello
Perché la stessa domanda non viene mai posta ai palestinesi?

Patrizio Giulioni
e la cultura e l'umanità dei palestinesi dove sono,o meglio sono mai esistite? Perchè la causa di tutto ciò sono le menzogne,a cui anche lei crede evidentemente sig.Saracini, che inculcano nelle teste dei loro figli odio e vittimismo,xchè poi si ricordi che nn muoiono a causa della perdita di umanità degli ebrei!

Myriam Anav
e perché i saracini tirano il sasso e nascondono la mano?

Alfredo Dufour
Tutti i mussu che hanno invaso la terrasanta ed il nordafrica dal 600 in poi odiano coloro che se la sono ripresa...

Claudia Sanguinetti
Alessandro Saracini Per piacere, può dare una risposta propositiva all'ultima domanda di progetto Dreyfus, ovviamente pensando a cosa bisognasse fare nel caso appena esposto?

Alessandro Saracini
Qualche tempo fa, a Milano, un tizio di colore ha ammazzato tre ignari cittadini a colpi di piccone. È stato catturato e riconosciuto per quello che era : un pazzo. Se vivessi in Israele, da ebreo e cittadino di quel paese, e da mesi vedessi intorno a me gente ammazzata con coltelli ed auto, non potrei credere di avere a che fare solo con pazzi o fanatici religiosi votati, o indottrinati, al martirio e se anche così la pensassi, mi chiederei comunque perchè mai solo ora e perchè in così gran numero. Riconosco che, se aggredito, prima sparerei e poi mi interrogherei sul perché, il percome, e il da farsi. Tutto qui.

Progetto Dreyfus
Dimentichi che prima della costruzione del muro di separazione, i terroristi s'imbottivano di esplosivo, chiodi e bulloni, entravano negli autobus o nei mercati o nelle zone dove erano presenti un numero considerevole di persone per farsi saltare in aria. Il tutto solo per fare più vittime possibile. Forse i ben pensanti dovrebbero leggere la dottrina dello Jihad o chiedere informazioni alla dirigenza di Hamas e poi fare eventualmente la propaganda "antisionista".

Patrizio Giulioni
sig.Saracini se lo chiede solo lei ció che è evidente,si chiama ODIO,motivato con la menzogna,come in tutti le passsate dittature fasciste e totalitarie,l'indottrinamento fanatico delle masse nn è una novità....peró nessuno si chiede xchè Israele è costretto ad essere duro...

Danila Franco
Forse perché se quegli assassini finiscono in carcere vengono mantenuti da Israele e prendono un vitalizio da ANP? O un'indennità se vengono uccisi. Ecco dove finiscono i contributi versati da UE, a mantenere i dirigenti palestinesi e a finanziare il terrorismo che diventa così, di fatto, un lavoro come un altro!

Carlo Pegorotto
I contributi UE finiscono anche in centri benessere e hotel 5 stelle a Gaza dove vanno a passare periodi di meritato riposo i capi di Hamas, dove studiano come immolare adolescenti per la causa, finiscono in cemento per costruire tunnel sotterranei per cercare di entrare in Israele e uccidere quanti più ebrei possibile, finiscono in armi sofisticate, in propaganda propal, finiscono in droga e ritornano in Europa ne cc dei capi.

Alfredo Dufour
Danila Franco è proprio così. ..crediamo di di aiutarli e di tenerli buoni ed invece manteniamo in piedi la stessa struttura terroristica. È un gatto che si morde la coda

Progetto Dreyfus
Alessandro Saracini, le ragioni si conoscono perfettamente e sono visibili a coloro che le vogliono vedere.
All'inizio si è voluto far passare "l'intifada dei coltelli" come la protesta di gente "calpestata dal cattivo sionista".
Bene, allora come mai la maggior parte di quelli che accoltellano sono dei ragazzini?
Come mai tra coloro che accoltellano ci sono arabi con passaporto israeliano che un lavoro lo hanno o che addirittura frequentano l'Università Ebraica di Gerusalemme?
Evidentemente c'è qualcosa che non torna, o no?
Purtroppo la situazione da quelle parti è talmente complessa che bisognerebbe seguirla giornalmente per poter comprendere.
I nostri media, disinformati, pretendono di far credere che il problema sia lo stato palestinese.
Non vogliono approfondire, o forse preferiscono non dire la verità.
Se lo facessero dovrebbero dire che nel 2008 l'allora premier israeliano, Olmert, offrì ad Abu Mazin tutto ciò che loro chiedevano per il loro stato e per quanto riguarda gli insediamenti uno swap di terre: il 6,3% della West Bank in cambio del 5,6% di terre israeliane.
Quando venne chiesto ad Abu Mazin perchè non avesse accettato la risposta fu: non ero interessato!
Non era interessato a cosa?
A uno stato palestinese?
Poi provò a correggersi affermando che non aveva capito la mappa che gli era stata sottoposta da Olmert.
La verità è molto semplice: la nomenklatura arabo palestinese non è per niente interessata a uno stato palestinese, per loro, non al popolo arabo palestinese che dipende da loro, la situazione è perfetta così.
Ricevono soldi con la pala dall'Occidente, l'Europa ha appena approvato un finanziamento di 274 milioni di euro per gli arabi palestinesi. fanno la bella vita, i loro figli studiano nelle università inglesi e statunitensi, vengono curati, gratis et amore dei, in Israele.
Ed il popolo arabo palestinese?
Non gliene può fregar di meno, quelli sono carne da macello da usare per ammazzare e farsi ammazzare.

Alessandro Saracini
Progetto Dreyfus , grazie. É un'analisi che coglie di sicuro una bella parte di verità. Può la classe dirigente Israeliana fare un quid in più per modificare questa disgraziata realtà ? Mi pare di aver capito che almeno una minoranza dei cittadini Israeliani ( chiamiamole forze di sinistra, per intenderci ) sia assai critica contro l'attuale leader e pensi che una diversa politica ( non sta a me dire quale ) potrebbe scardinare il legame fra la attuale, corrotta, dirigenza palestinese e il suo popolo e comunque mettere in moto un meccanismo virtuoso che porti, prima o poi, verso la pace. Possibile che solo l'attuale governo israeliano abbia in mano il pallino della verità ? Senza alternative ?


Progetto Dreyfus
La verità è sotto gli occhi di tutti ma bisogna leggere e informarsi.
Il governo israeliano non ha alcun potere sugli arabi palestinesi che sono governati a Gaza da Hamas e nella West Bank da al-Fatah e tieni presente che non ci sono elezioni da 11 anni!
Le minoranze di sinistra israeliana fanno una lotta politica contro il governo di centro-destra e continuano a insistere sul fatto che il problema sarebbero gli insediamenti.
Una sciocchezza grossa come una casa che si rivela tale nel momento in cui Abu Mazin non accetta lo swap di terre di cui ti avevo parlato nel mio precedente commento.
Forse non lo sai ma Hamas ha nel suo statuto la distruzione di Israele, i vari gruppuscoli armati che si riconoscono nel "moderato" al-Fatah parlano anch'essi di distruzione di Israele.
Come la risolviamo?
Nel 2005 Israele ha eliminato tutti gli insediamenti presenti nella Striscia di Gaza, fu una decisione unilaterale senza alcuna contropartita.
Come sarebbe stato logico attendersi si sperava in un atteggiamento più costruttivo da parte degli arabi palestinesi, invece è accaduto l'esatto contrario: più di 15.000 tra missili e colpi di mortaio lanciati verso le città israeliane.
Israele ha senz'altro le sue colpe MA difendersi dal terrorismo non è una colpa!
Rispondere ai lanci dei missili da Gaza non è una colpa!
Bisogna finirla di trattare gli arabi palestinesi come dei ragazzini capricciosi e anche un po' scemi, fino a quando l'Occidente non alza la voce con loro le cose non cambieranno mai.

Alessandro Saracini
prendo atto delle vostre analisi e vi ringrazio. Confido che più gente che sia possibile, ovunque viva e comunque la pensi, operi per la pace.

Claudia Sanguinetti
PACE. Che bella parola, ma solo se entrambe le parti la vogliono. Se no é una parola senza senso

Myriam Anav
Alessandro Saracini perché tanti pazzi accoltellatori domandi? Perché i palestinese in ottima fede dicono: "noi non siamo contro gli ebrei, purché gli ebrei se ne vadano dalla nostra terra, eccezion fatta per quegli ebrei che ci abitavano già da prima dell'Ottocento. Niente sionismo, cancellare tutto: Kibbutzim, Moshavim, impronta ebraica del paese. Tutto. Distruggere Israele e ricreare una palestina a maggioranza mussulmana. Tutti gli ebrei, tranne qualcuno, debbono ritornare in Europa, America etc.". Beh questo è quanto propongono. E a noi questa pare una stronzata. Per cui tra noi e loro non c'è pace. Il giorno che i palestinesi cambieranno idea e accetteranno una piccola Palestina accanto ad Israele le cose cambieranno. Prima no. E non c'è differenza tra governi israeliani. Non cambiano le cose, se ci sia o meno Netanyahu o chi altro. La realtà dei fatti è quella descritta. La pace è un compromesso. Ma questa gente accetta solo di estinguerci. E se mi permetti la risposta è: "un accidente!"

Deborah Fait
Infatti Saracini ti sbagli.

Doretta Sonnino Rivka
Apprezzo i suoi buoni propositi signor Alessadro Saracini ma a me sembra che la pace la vogliono solo gli ISRAELIANI AL contrario dei palestinesi che IN FEDE AL LORO STATUTO SI ADOPERANO per la distruzione dello stato d'Israele!


Sara Campanella Levi
E gia' certo...perche' se un assassino (in questo caso due) ti vuole uccidere sfoderi tutta la tua "intelligenza,cultura e umanita'"......
Non dobbiamo scusarci proprio con nessuno se ci difendiamo e proteggiamo i nostri cari!
E giusto per dirlo chiaramente non ci sono"cause che spingono" ad uccidere ferocemente civili innocenti se non la perversa atroce e pericolosa "cultura della morte" !

Vito Perugia Mefisto
Saracini! Ma ci è andato anche all'università, per fare asserzioni così stupide! Ma perché non si fa un viaggetto in Israele e poi in qualche paese arabo?
E come reagirebbe al suo vicino di casa che parla di pace, a parole appunto, e poi educa i suoi figli ad aggredire, terrorizzare ed anche uccidere lei e i suoi familiari?
La sua compagna, suo figlio, i suoi fratelli e i suoi genitori?
Se lo desidererà, la aiuterò per la visita in Israele, anche economicamente, se serve

Giovanni Truppi
Condivido pienamente ciò che hai asserito, Saracini parla purtroppo a vanvera come io potrei fare traduzioni dall'afgano



Emy Raccah
Per loro è una specie di suicidio secondo me le 72 vergini (a testa) se le son meritati se dipendeva da me gle be avrei date anche 144 a testa perchè per riceverle tov can che anche loro passassero all'inferno Joe Joseph Raccah

Mario Indelicato ??... non erano 77 le vergini?
Mi piace • Rispondi • 2 marzo alle ore 18:29

Emanuela Prister
Terrificante. Il pensiero che ci sia gente che desideri ammazzare intere famiglie solo perché ebrei è assolutamente terrificante. Buon per lui che ha trovato la forza di resistere e combattere.

Anita Rocca
È evidente che Alessandro Saracini ritenga sia assolutamente nella norma che due ragazzini si siano presentati a casa di Roey con l'intento di massacrare lui e la sua famiglia!!!! Hanno fatto bene ad ucciderli,io avrei fatto altrettanto!!!!!

Elisabetta Dell'Arca
io mi chiederei cosa ne sia stato dell'intelligenza degli arabi (sull'umanità mi pare inutile interrogarsi, e sulla cultura purtroppo è dal XII-XIII secolo che non se ne vede traccia). Gli unici che devono interrogarsi sul perché e sul percome sono gli arabi. Se non hanno futuro è responsabilità loro. O non esiste più il libero arbitrio?

David Campagnano
Purtroppo cari amici è e sara il nostro destino!!!...spiegare,rispondere,giustificare.
Perché ci sarà sempre qualcuno come il sig.saracini pronto a dubitare della nostra legittimità a difenderci!!

Davide Pistoia
Ottimo Emoticon like e anche per quei due vermi ricacciati sottoterra niente 72 vergini..

Enzo Marchetti
spiega, spiega, perchè niente vergini per loro?

Davide Pistoia
Perché erano pure rotti in culo come chi prende le loro difese

Paolo Di Ruzza
Giustissima osservazione!

Stefano della Rocca
Ma possibile che esiste gente che non si astiene mai di fare delle asserzioni stupide e ignoranti come le ha fatte il sig Saracini

Joëlle Tibi
Se esiste un Popolo Palestinese è un Popolo composto di tutte le religioni che vivevano su queste terre ottomanne. I musulmani non hanno l'esclusiva. In compenso vorrei ricordare 1/ che al momento in cui l'ONU ha riconosciuto lo stato d'Israële nel lontano 1948 L'ONU ha creato lo stato della Palestina . Vorrei ricordare che questo stato non è mai esistito. Era Impero Ottomanno perso nel 1918 per sua alleanza alla Germania

Isaia Sermoneta
Sì sono meritati la fine che hanno -fatto - andati jper uccidere --e sono rimasti uccisi

Ezio Calza
Tanto per chiarire cos'è il sedicente popolo palestinese
Zuhayr Muhsin (in arabo: زهير محسن; Tulkarem, 1936 – Cannes, 26 luglio 1979) è stato un guerrigliero palestinese.
Nel 1977, intervistato dal quotidiano olandese Trouw, dichiarò al giornalista James Dorsey "Siamo tutti palestinesi per ragioni politiche" (Wij zijn alleen Palestijn om politieke reden):
« Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno Stato palestinese è solamente un mezzo per continuare la nostra lotta per l'unità araba contro lo Stato d'Israele. In realtà oggi non c'è differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Oggi parliamo dell'esistenza di un popolo palestinese per ragioni politiche e strategiche poiché gli interessi nazionali arabi richiedono che venga assunta l'esistenza di un distinto "popolo palestinese" da opporre al sionismo. Per ragioni strategiche la Giordania, che è uno Stato sovrano con confini ben definiti, non può vantare diritti su Haifa e Jaffa mentre io, come palestinese, posso senz'altro vantare diritti su Haifa, Jaffa, Beersheva e Gerusalemme. Comunque nel momento in cui i nostri diritti saranno riconosciuti non attenderemo nemmeno un minuto per unire la Palestina alla Giordania. »

Clelia Moresco
Bravo almeno ti sei levato la soddisfazione che tanti vorrebbero fare

Il Cesare ....bene due bastardi di meno.....

Consuelo Consu Coco
Quando scrivete 'insediamento israeliano in Samaria' vi riferite ad un territorio nella Cisgiordania?

Gian Luca Cevenini
Prima o poi Israele dovrà prenderla la "decisione"!

Vento Ariel
Bene!!!!

Giulia Della Seta Bravo!!
Kol a kavod!!

Raffaella Piazza
Sed Bravo!!!!!
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Messaggioda Berto » lun mar 07, 2016 4:23 am

Il fantasma all’opera
Claudio Vercelli
(6 marzo 2016)

http://moked.it/blog/2016/03/06/il-fantasma-allopera

“È vero che i nostri nemici comuni sono la Gran Bretagna e i sovietici, i cui principi sono opposti ai nostri. Ma dietro di essi si nasconde l’ebraismo che guida entrambi e che, in questi due paesi, ha un solo obiettivo. Contro queste due nazioni siamo attualmente impegnati in una battaglia per la vita o per la morte, che non determinerà solo l’esito della lotta tra nazionalsocialismo ed ebraismo; infatti, l’intera condotta di questa guerra vittoriosa sarà di grande e concreto aiuto agli arabi impegnati nella stessa lotta”. Così Hitler a un signore dall’aspetto misurato e dai toni gentili, vestito integralmente con un elegante caffettano nero e un turbante chiaro. Sono le parole che il secondo attribuisce al primo. Chi era Muhammad Husayni-al Amin (o anche Haj Amin-al Husseini e altro ancora, a seconda di come lo si traslitteri e lo si qualifichi)? Il nome è da sempre noto a tutti gli studiosi della politica mediorientale ed in particolare agli storici. Meno conosciuto, invece, lo era al grande pubblico prima che nell’autunno scorso il premier israeliano Benjamin Netanyahu lo chiamasse direttamente in causa quando, dinanzi ad una platea selezionata, quella del World Zionist Congress, riunitasi a Gerusalemme il 21 settembre scorso, ebbe modo di affermare che: «And this attack and other attacks on the Jewish community in 1920, 1921, 1929, were instigated by a call of the Mufti of Jerusalem Haj Amin al-Husseini, who was later sought for war crimes in the Nuremberg trials because he had a central role in fomenting the final solution. He flew to Berlin. Hitler didn’t want to exterminate the Jews at the time, he wanted to expel the Jews. And Haj Amin al-Husseini went to Hitler and said, “If you expel them, they’ll all come here.” “So what should I do with them?” he asked. He said, “Burn them”». Quanto il ruolo dell’autorità “spirituale” arabo-musulmana sia stato rilevante, se non decisivo, nel percorso di radicalizzazione delle scelte naziste che portarono allo sterminio sistematico delle comunità ebraiche nei territori occupati dalle armate tedesche, è materia di discussione. Che intendesse liberarsi degli ebrei è fatto certo, rivendicato allo spasimo dal medesimo protagonista. Al di là dell’ipoteca storiografica formulata dal primo ministro Netanyahu, rimane il fatto che il politico palestinese fu al medesimo tempo cinque soggetti in uno: un aspro e durissimo esponente del nazionalismo panarabo prima e del nazionalismo palestinese poi, delle cui istanze, spesso contraddittorie tra di loro, si eresse a maggiore esponente nell’area mediorientale, in ciò tuttavia contrastato da altri capi in cerca di visibilità, che finirono con l’oscurarlo e il soppiantarlo quando l’evoluzione del quadro geopolitico e storico lo permise; al medesimo tempo un antagonista del sistema coloniale franco-britannico, dalla cui dissoluzione confidava di cogliere i migliori benefici per la sua parte, ed un estimatore profondo, brutalmente “sincero”, del modello ideologico nazista; un pervicace “antisionista”, la bandiera dietro la quale diede corpo al suo viscerale antisemitismo, identificando l’ebraismo con la “modernità” e quest’ultima con il colonialismo corruttore, oltre che con le peggiori nefandezze dei tempi correnti; un precursore, sia pure atipico dal punto di vista dottrinario (a fronte della modestia della sua produzione intellettuale che, per buona parte, ebbe poco o nulla a che fare con la dottrina e la teologia musulmane), del radicalismo islamista, di cui raccolse e strutturò le istanze politiche che dagli anni Venti in poi venenro definendosi, dandogli corpo e sostanza; il figlio di una delle più importanti famiglie del notabilato arabo, composto dagli Husseini, dai Nusseibeh, dai Khalidi, dai Dajani, dai Nashashibi (suoi acerrimi avversari), fino agli Alauri che componevano, nel loro insieme, la rigida tessitura di una aristocrazia terriera e latifondiaria, basata sul legame verticale e gerarchico tra gli “effendi” (posti ai vertici) e i “fellahim”, il bracciantato rurale. Un legame di vincoli e subalternità apparentemente inamovibili, intrecciate con la disposizione amministrativa dell’Impero ottomano di cui i distretti che componevano l’area della futura Palestina mandataria erano il territorio elettivo di azione dei militanti arabo-islamisti, e che ebbe parte non secondaria nelle dinamiche dello sviluppo del movimento nazionalista locale. Di lui, morto a Beirut nel 1974, dopo un’esistenza tanto pirotecnica quanto sostanzialmente fallimentare sul piano dei risultati politici, rimane la solida immagine di un agitatore indefesso, ostile innanzitutto all’immigrazione ebraica nella Palestina mandataria e poi alla nascita d’Israele. Alla prima e al secondo, in competizione con gli altri esponenti del nazionalismo arabo e poi del panislamismo, andava contrapponendo invece la generazione di uno Stato musulmano, legato all’ipotesi di una “grande Siria”, saltando per più aspetti a piè pari le brutali ma inossidabile logiche della spartizione mandataria attuata con gli accordi segreti Sykes-Picot del 1916, sottoscritti dalla Gran Bretagna e dalla Francia. Fin qui, peraltro, nulla di nuovo. Ben diverse, invece, sono le liaisons dangereuses, i legami spavaldi e intollerabili, con l’Italia fascista prima e poi, in un comune sentire evidentemente ancora più gratificante di quello velleitariamente offertogli da Roma, con la Germania nazista. Comprovato è il suo sforzo, tra gli altri, per il reclutamento (in parte riuscito, soprattutto in Bosnia) dei musulmani nelle formazioni internazionali delle Waffen-SS; la compromissione con l’Abwehr, l’intelligence militare tedesca; i rapporti con alcuni dei maggiori esponenti delle SS; i due incontri con Hitler, tra il 1941 e il 1942 che, tuttavia, suggellarono soprattutto la dipendenza del Muftì dal secondo. La base comune era l’antisemitismo, ovvero la lotta contro il «giudeo-bolscevismo». Quanto all’apertura di credito che il duce tedesco gli offrì, al di là dell’ovvio gradimento per tutto quanto Husayni-al Amin portava generosamente in “dono” – a partire dalla corresponsabilità nei diversi moti antiebraici succedutisi dal 1921 alla Seconda guerra mondiale, passando per l’avversione nei confronti degli inglesi, continuando con l’adesione all’antisemitismo apocalittico e “redentivo” (Saul Friedländer) di Berlino per giungere, infine, alla concezione dell’identità musulmana come di un totalitarismo ideologico per più aspetti omologo a quello nazista -, la questione non è ancora del tutto risolta sul piano storiografico. Poiché Hitler intrattenne sempre e comunque un rapporto di reciprocità calcolata con un personaggio che, per più aspetti, se da un lato poteva risultare funzionale alla politica mediterranea e araba di Berlino, dall’altro risultava problematico per più di un aspetto riguardo ai progetti di lungo corso nel merito di “nuovo ordine orientale”. Peraltro, il Muftì gerosolimitano, nel suo sgomitare ossessivo, scontava anche la competizione di altri leader arabi e musulmani i quali lo considerarono sempre e comunque una figura di scarso valore. Non è un caso se abbia faticato nell’avanzare nel corso degli studi, di fatto interrompendoli ed assurgendo poi al ruolo spirituale, morale e civile di Muftì in base alla nomina voluta da parte dell’allora Alto commissario britannico per la Palestina mandataria, sir Herbert Samuel (un ebreo, per intenderci), nel 1921, in una rosa di cinque nomi dove Husayni-al Amin risultava non solo tra le figure più deboli ma anche la peggio accreditata dinanzi alla comunità musulmana. Non era infatti né uno “shaykh”, non avendo visto riconosciuta l’autorevolezza che ad altre figure era invece garantita, né un sapiente in materia religiosa, in grado quindi di emanare decisioni tali da imporsi sulla comunità dei credenti. L’unica qualifica corrispostagli con certezza, oltre ad un diploma alla Scuola di amministrazione di Istanbul (cosa ben diversa dai più prestigiosi studi religiosi al Cairo, nei quali non sembra che avesse avuto modo di eccellere), fu quella di “pellegrino”, avendo compiuto nel 1913 il viaggio rituale a La Mecca. Era invece, nella sua apparente debolezza contrattuale (elemento che sicuramente pesò nella decisione di Samuel, convinto di potere integrare un esponente altrimenti sovversivo dentro la ragnatela dei rapporti istituzionali), un elemento affine al radicalismo, poiché la sua maturazione ideologia era avvenuta in qualità di allievo di Rashid Rida (1865-1935), il dominus intellettuale e politico della cosiddetta «rinascita araba», dentro la quale maturarono tutti gli elementi che sarebbero poi stati recepiti e raccolti nel fondamentalismo islamista, dal secondo dopoguerra in poi: l’avversione programmatica contro l’«Occidente»; l’enfatizzazione del Jihad come precetto fondamentale della fede coranica e della prassi dell’uomo pio e praticante; il rimando alla Sharia come fonte primaria (ed unitaria) nella legislazione e nella vita associata; un antisionismo viscerale, che si trasfondeva nell’antisemitismo programmatico, quest’ultimo probabilmente coltivato avendo assistito, e forse anche in qualche modo partecipato, al genocidio degli armeni, nella sua qualità di ufficiale dell’esercito ottomano, stanziato con la sua unità di artiglieria nella città di Smirne fino al 1916. L’adesione alla Fratellanza musulmana, negli stessi tempi della sua fondazione in Egitto, testimonia di questa impostazione di fondo, che rimandando alla visione wahhabita dell’Islam, che predica la “purezza” della terra consacrata attraverso l’espulsione o l’eliminazione dei non credenti, degli apostati, delle stesse minoranze. I fatti successivi, dalla corresponsabilità nei massacri di Hebron (1929) fino alla totale compromissione con la politica dell’Asse tripartito, sono questioni che accompagnano come un’ombra inquietante la fisionomia e il ruolo politico del Muftì gerosolimitano. Fino ai giorni nostri, laddove ci deve confrontare con il suo “lascito”, coltivato da ineffabili nipotini di rigorosa aderenza fondamentalista. Di tutto questo, del ruolo svolto nella realizzazione della «soluzione finale della questione ebraica», delle sue attività postbelliche avremo modi di parlare martedì 8 marzo, dalle ore 20,45, a Milano, presso la Residenza Arzaga, in via Arzaga 1, nell’ambito delle attività promosse dal progetto Kesher, voluto e realizzato, tra gli altri, dalla Comunità ebraica ambrosiana.
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Messaggioda Berto » lun mar 07, 2016 4:23 am

Quanto è brutto e cattivo Israele che pratica l'apartheid contro i palestinesi. Guardate e condividete come hanno combinato Ramallah:
https://youtu.be/7SfjXo99O7U

Ramallah - a city in the west bank (Palestinian territory)
https://www.youtube.com/watch?v=7SfjXo99O7U&app=desktop
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Messaggioda Berto » mer mar 09, 2016 8:28 am

Così il boicottaggio di Israele si insinua tra gli accademici dell'Università di Torino
Aule occupate per conferenze senza dibattito sull'"apartheid di Israele", petizioni contro le collaborazioni di ricerca scientifica con un istituto israeliano. La spaccatura tra i docenti dell'ateneo
di Gabriele Carrer | 08 Marzo 2016

http://www.ilfoglio.it/cultura/2016/03/ ... e_c350.htm

Torino. Alla fine si è tenuto l'evento torinese dell'Israeli Apartheid Week, la settimana internazionale dedicata ad “educare i cittadini circa la natura d’apartheid dello stato d’Israele contribuendo a rafforzare campagne per il Boicottaggio il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) contro Israele”. La conferenza tenuta dall'antropologo dell'ateneo torinese Roberto Beneduce e dall'attivista israeliano pro-Palestina Ronnie Barkan ha avuto luogo giovedì in un'aula occupata da 140 studenti del Campus Luigi Einaudi. Gli occupanti sono andati contro la decisione dei vertici dell'università di revocare l'autorizzazione all'utilizzo degli spazi dell’ateneo concessi in precedenza al collettivo di studenti chiamato “Progetto Palestina”. Fuori dall’università, le forze dell'ordine monitoravano la situazione a distanza mentre al suo interno, gli studenti e alcuni docenti e ricercatori, tra cui gli antropologi Piero Paolo Viazzo e Roberto Benedice e l'associata d'Inglese Elana Ochse, hanno preso parte alla conferenza. Tutti firmatari della petizione, definita “assurda” dal sindaco Piero Fassino, per chiedere all'Università e al Politecnico di Torino di boicottare e sospendere ogni rapporto con l’istituto di ricerca israeliano Technion di Haifa. Dietro le richieste di boicottaggio ci sarebbe il pericolo di collaborare indirettamente all'“occupazione della Palestina”, attraverso le sinergie con un istituto che ha legami con l'esercito israeliano. Dalle pagine torinesi di Repubblica è intervenuto Gabriele Levy, ingegnere ed ex allievo del Technion, che durante l'assemblea è stato invitato dagli organizzatori a non esprimere la sua posizione a favore dell'istituzione di Haifa. “Al Technion studiano ragazzi di tutte le etnie e le religioni: circa il 20 per cento degli studenti è arabo, e naturalmente ci sono anche ebrei, buddhisti ed anche tanti atei. Il primo rettore del Technion si chiamava Albert Einstein”.

A sollevare dubbi circa l'occupazione è il professor Ugo Volli, semiologo, sentito dal Foglio. Uno studente, che preferisce l'anonimato, ricorda di essere stato invitato a lasciare l'aula dal personale del Campus Einaudi mezz'ora prima dell'inizio dell'esame. La ragione: le aule devono rimanere chiuse a chiave fuori dagli orari di lezioni o esami e solo il docente o il personale sono autorizzati ad aprirle. Ci sono quindi due possibilità secondo Volli: o i dipendenti hanno infranto le disposizioni dell'ateneo, e se ciò fosse appurato meriterebbero almeno un provvedimento disciplinare, oppure ci sono gruppi in possesso delle chiavi. In caso di scontri o di un semplice infortunio accaduto nell'aula la responsabilità sarebbe ricaduta sulle spalle dell'università. Il rettore Gianmaria Ajani, attraverso l'ufficio stampa, ha fatto sapere che non verrà intentata azione legale né verrà preso alcun provvedimento disciplinare. Rosario Ferrara, direttore della scuola di Scienze giuridiche, politiche, economiche, sentito dal Foglio, ha tenuto a precisare che, dopo le verifiche del personale, non è stato riscontrato alcun danneggiamento ai locali né alcun rifiuto fuori posto.

Nel volantino dell'evento si accusava il Technion di essere “coinvolto nell’occupazione e nell’apartheid della Palestina”. I rettori di entrambi gli atenei torinesi hanno comunque precisato che la collaborazione scientifica tra gli istituti non prevede alcun tipo di applicazione militare e riguarda esclusivamente gli ambiti di Salute, acqua e agricoltura. La revoca poi violata dell’utilizzo dell'aula è stata illustrata da Rosario Ferrara che ha spiegato come gli studenti avessero parlato di un dibattito plurale. Ma ciò non sarebbe accaduto, a causa delle posizioni comuni dei due relatori, entrambi favorevoli al boicottaggio di Israele. A loro difesa il gruppo di studenti ha spiegato che non era stato promesso alcun tipo di contraddittorio. Tanto che le ragioni apportate dall'ateneo per far valere la revoca dell’utilizzo dell’aula sono state contestate dal collettivo “Studenti Indipendenti” (che rappresenta la maggioranza nel Consiglio degli studenti e figura tra gli organizzatori dell'assemblea al fianco di “Progetto Palestina” e al “Collettivo Universitario Autonomo”) che in un comunicato in cui si esprime solidarietà al gruppo di “studenti pacifici” dichiara: “La presenza di un contradditorio [sic!], ci pare, non rappresenta prerequisito necessario per un dibattito per altro non di carattere puramente informativo ma politico e programmatico”. Di “campagna pacifica” riferendosi al boicottaggio del Technion, ha invece parlato il professor Angelo D'Orsi, firma di Micromega e grande firmatario di appelli contro Israele.

A difesa della collaborazione fra le università torinesi e il Technion, il secondo ateneo israeliano e tra i primi al mondo nella ricerca tecnologia, sono intervenuti alcuni docenti. Tra questi Daniela Santus, docente di Geografia culturale, che ha provocatoriamente chiesto che cosa sarebbe accaduto se un gruppo di studenti e docenti avesse chiesto un'aula per propagandare il boicottaggio delle istituzioni palestinesi. Alla difesa dell’iniziativa si è unito invece Peppino Ortoleva, esperto di comunicazione, che in una lettera a Repubblica ha sottolineato la sua linea critica nei confronti del governo di Gerusalemme ma ha dichiarato il suo “totale disaccordo” con i colleghi e con una campagna che colpisce il sistema accademico israeliano, quello che, nota Ortoleva, tiene in vita l'opposizione interna e democratica al governo Netanyahu: “Boicottare un ateneo significa dunque opporsi anche alle persone che possono lottare affinché Israele cambi le proprie politiche”. Ortoleva chiede perché non troncare allora i rapporti con gli atenei della Russia di Putin, della Turchia di Erdogan e della Cina. Stessa linea del professor Volli che sottolinea l'ipocrisia di un ristretto manipolo di “non studenti antisemiti” che non rappresenta che una piccolissima minoranza del totale e che vede solo le università israeliane collaborare con le forze armate. Una minoranza “ignorante”, secondo la professoressa Santus, coautrice assieme all'imam Yahya Pallavicini di un libro sull’apertura al confronto tra religioni. Al Foglio, Santus racconta dei volantini affissi sulla porta del suo studio con su scritto “Santus zion” e molto altro. La professoressa mostra anche alcuni esempi dell'ignoranza degli studenti. Uno su tutti è la risposta alla domanda d'esame scritto che chiedeva di indicare sulla cartina il principale stato sciita. Risposta “Gaza” con crocetta piazzata su Cipro. “Il BDS è un movimento assolutamente minoritario nella nostra università ma che ha vita facile nei mari d'ignoranza. Per fortuna è, come detto, una ristretta minoranza”.

Se il problema non è Israele ma piuttosto la lotta democratica, antifascista, pacifica e pacifista contro i signori della guerra – come fu per l'aggressione e la contestazione subite dal professor Panebianco a Bologna – bisognerebbe capire la mancanza di critiche contro lo stesso ateneo torinese per i suoi rapporti con università cinesi, come la Zhejiang University, amministrata dal ministero della Cultura e con la quale Via Po ha attivo un programma di doppia laurea. “È del tutto ovvio che l'università abbia rapporti con i principali istituti al mondo”, afferma Volli. E guardando l'offerta di studi dell'Università di Torino salta all'occhio l'attuazione di quel “sacro dovere del cittadino” che è la difesa della patria, sancito dall'articolo 52 della nostra Costituzione: l'ateneo, infatti, organizza il corso di laurea in Scienze strategiche destinato alla formazione del personale civile e militare (quest'ultimo in collaborazione con l'Accademia militare di Modena). E anche il Politecnico di Torino partecipa alla difesa italiana con il recente rinnovo della collaborazione tra l'ateneo, che già prevede il corso di laurea in Ingegneria aerospaziale, e Thales Alenia Space Italia, una società del gruppo Thales e Finmeccanica.
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Messaggioda Berto » mer mar 09, 2016 8:55 am

RAMALLAH, CENTINAIA DI INSEGNATI PROTESTANO CONTRO L'ANP
08/03/2016

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 1991638829

A Ramallah, detta la Beverly Hills palestinese, è in corso una lunga protesta che si sta protraendo da più di due settimane. Docenti provenienti da tutta la West Bank si sono radunati davanti alla sede dell'Autorità Nazionale Palestinese per chiedere l'aumento del salario del 10% che era stato promesso ormai tre anni fa. Gli insegnanti, che rappresentano la categoria più numerosa di impiegati statali, lamentano stipendi troppo bassi e irrisori rispetto ad altri lavoratori che dipendono dall'ANP.
Da parte sua, l'Autorità Palestinese risponde di non avere le risorse necessarie a soddisfare le richieste, storia che evidentemente i docenti non si bevono, chiedendosi dove vanno a finire tutti i finanziamenti internazionali milionari che l'ANP riceve ogni anno.
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Messaggioda Berto » mer mar 09, 2016 9:28 pm

Hezbollah e Hamas sotto accusa per gli omicidi Hariri e Barakat
9 marzo 2016
Mario Del Monte

http://www.progettodreyfus.com/hezbolla ... -e-barakat

Libano ed Egitto hanno messo nel mirino le organizzazioni terroristiche Hezbollah e Hamas ed ora cercheranno di colpirle attraverso azioni legali di una certa rilevanza.

Il quotidiano kuwaitiano al-Anba ha riportato nelle ultime ore la notizia che il Tribunale Speciale per il Libano è in procinto di accusare Hezbollah per l'omicidio del Primo Ministro Rafik Hariri avvenuto nel 2005. Inizialmente lo stesso Tribunale aveva stabilito che l'azione era stata decisa e commessa in autonomia da quattro individui appartenenti all'organizzazione terroristica sciita, ora nuove prove scoperte dall'accusa indicano che l'assassinio di Hariri fu pianificato nei minimi dettagli da importanti funzionari di Hezbollah.

Il Tribunale Speciale fu istituito nel Gennaio 2014 per processare in contumacia i quattro membri di Hezbollah accusati di aver organizzato l'attentato di Beirut del Febbraio 2014 in cui un autobomba esplose davanti all'Hotel St. George mentre passava il corteo di Hariri. Insieme al Primo Ministro libanese persero la vita altre venti persone. Come Segretario Generale di Hezbollah all'epoca dell'attentato, Hassan Nasrallah potrebbe essere inserito fra gli indiziati.

Il processo per l'omicidio Hariri ha attirato un grande interesse internazionale ed è stato trasmesso in diretta in arabo, inglese e francese. Fin dal principio si è sospettato che il regime siriano di Bashar al-Assad fosse coinvolto nell'attentato e che gli uomini di Hezbollah stessero agendo per conto di Damasco. In particolare alla Siria non sarebbero piaciuti i tentativi di Hariri di perseguire una politica estera indipendente. Il processo inoltre ha ulteriormente diviso un paese che già da lungo tempo soffre la contrapposizione fra Sciiti e Sunniti.

In Egitto invece un avvocato ha presentato un'azione legale per classificare Hamas come organizzazione terroristica in seguito ai commenti del Ministro degli Interni egiziano Magdi Abdel Ghaffar riguardanti l'omicidio del Pubblico Ministero Hisham Barakat avvenuto a Giugno 2015 al Cairo. Ghaffar ha accusato i Fratelli Musulmani e Hamas di aver cooperato per portare a termine l'attacco. In particolare Hamas avrebbe fornito gli esplosivi per l'autobomba e avrebbe addestrato il commando che ha eseguito l'attentato. L'azione legale, presentata da Tarek Mahmoud, sarà discussa presso il Tribunale di Alessandria il 23 Marzo.

"Hamas nel suo Statuto si definisce l'ala militare dei Fratelli Musulmani. Questo indica che Hamas è da ritenere responsabile per tutti gli attentati che recentemente hanno colpito l'Egitto" ha dichiarato Mahmoud al portale di notizie al-Arabia.

Non si tratta della prima azione legale contro Hamas in Egitto, già lo scorso anno a Marzo un tribunale aveva accusato l'organizzazione di Gaza di aver condotto attentati terroristici nel paese. Il governo però annullò la sentenza per "potenziali danni alla politica estera egiziana". Da Gaza Khalil al-Haya, membro del dipartimento politico di Hamas, ha negato in una conferenza stampa qualsiasi coinvolgimento dell'organizzazione nell'omicidio Barakat ed ha affermato che Hamas non ha alcun collegamento con i Fratelli Musulmani in Egitto.

Le conseguenze che entrambe le azioni legali potrebbero avere su Hezbollah e Hamas sono notevoli: l'organizzazione sciita potrebbe ritrovarsi con tutto il suo apparato dirigente in carcere proprio ora che è impegnata nel supporto all'esercito di Assad in Siria, stessa sorte toccherebbe a tutti gli attivisti affiliati a Hamas in Egitto che sarebbero così imprigionati con l'accusa di terrorismo.
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Messaggioda Berto » mer mar 09, 2016 10:10 pm

IL MONDO DEVE CONDANNARE IL TERRORISMO E LA GLORIFICAZIONE DELLA VIOLENZA DA PARTE DELL’AUTORITA’ PALESTINESE

https://www.facebook.com/padregabrielit
https://www.facebook.com/padregabrielit ... 0072206013

Ieri, in una giornata funestata da ripetuti attacchi terroristici in Israele, il cittadino americano Taylor Force è stato assassinato da un terrorista palestinese a Giaffa, a solo 1 miglio di distanza da dove il vice presidente americano Joe Biden stava incontrando i leader israeliani.

Oggi, l’Autorità Palestinese celebra l’assassino di Taylor Force come un "martire eroico". Il loro "martire" ha sferrato un folle attacco a colpi di coltello ferendo 12 persone ed uccidendo Taylor davanti a sua moglie, anch’essa accoltellata e ancora in condizioni critiche.

I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con le famiglie di tutte le persone colpite dal terrorismo. Ci auguriamo che il mondo condanni sia queste stragi assurde di persone innocenti in Israele, che la glorificazione della violenza fatta dall’Autorità Palestinese che indottrina la propria gente a commettere questi orribili atti.

Come ha detto il direttore della Coalizione Europea per Israele Tomas Sandell, "i finanziamenti all’Autorità Palestinese devono essere subordinati alla cessazione dell’incitamento". In caso contrario, stiamo finanziando e permettendo il terrorismo.
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Messaggioda Berto » gio mar 10, 2016 4:18 pm

https://www.facebook.com/ClaudioSecondoCarpentieri

Il Consiglio Studentesco dell'Università di Vienna, che riunisce tutte le associazioni degli studenti - comprese quelle vicine alla sinistra radicale - ieri, mercoledì 9 marzo, ha rilasciato un duro, esplicito comunicato di condanna 'di ogni forma di antisemitismo, compreso il movimento BDS', che vorrebbe isolare e ghettizzare Israele.
Nel medesimo comunicato si biasima apertamente la decisa recrudescenza di atti antisemiti tanto in Europa - come ad esempio in Francia - quanto negli Stati Uniti (qui soprattutto in ambito accademico, da parte di piccole minoranze fanatiche di estremisti filopalestinesi).
Il comunicato è stato firmato dai rappresentanti di tutte le associazioni studentesche, comprese quelle vicine alla c.d. sinistra radicale austriaca (sinistra socialista, verdi, etc...).

http://www.jpost.com/Diaspora/Austrian- ... ies-447346

Rejection of BDS by continental student organizations is believed to the first major European opposition to the hubs of anti-Israel and anti-Semitic academic initiatives in the UK and US.
vienna jewish

Members of the young Jewish community attend a commemoration ceremony for Holocaust victims in front of the synagogue in Vienna [File]. (photo credit:REUTERS)

BERLIN --Student associations at the University of Vienna issued a statement on Wednesday, declaring their opposition to every form of anti-Semitism, including the BDS (Boycott, Divestment, Sanctions) movement targeting Israel.

“As student representatives it is important for us to criticize the academic boycott against Israel, which entirely excludes Israeli academics,” the student council of the University of Vienna said.

The rejection of BDS by continental student organizations is believed to the first major European opposition to the hubs of anti-Israel and anti-Semitic academic initiatives in the United Kingdom and the US.


The student council added, ”There are rising violent anti-Semitics attacks on , above all, American universities, which are connected to BDS and Israel Apartheid Week. Academic events from Jewish professors are regularly disrupted. And hostility toward the existence of Israel is expressed by the burning of Israeli flags.”

Camila Garfias, a member of the association of socialist students (VSStÖ), said “Anti-Semitic violence is part of daily life in Europe.” The association of socialist students is affiliated with the Social Democratic Party in Austria. (SPÖ). Austrian Chancellor Werner Faymann is from the SPÖ.

The student group noted that Jews in France no longer feel safe and are immigrating to Israel. An anti-Semitic riot took place against the Israeli soccer Maccabi Haifa in Salzburg; businesses in Paris were vandalized with anti-Semitic slogans, as well as Synagogues in Germany. The students said their examples of the manifestations of anti-Semitism are just a few and anti-Semitism remains part and parcel of everyday life in Europe.

The Green Party students (GRAS), the Socialist students, and Communist students-Left List, which are part of the Austrian Students Union, blasted BDS in their joint statement.

The groups form the governing coalition in the Austrian student parliament at the University of Vienna.

"As a student organization on the University of Vienna, we condemn every form of anti-Semitism, as well as from German nationalist fraternities, and anti-Semitism in the new form of BDS," Karin Stanger from the Green Party student group said.

The Left List student Jana Reischl slammed the extremist Freedom Party of Austria (FPÖ) for spreading "anti-Semitic cartoons and minimizing the crimes of National Socialism.“
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Messaggioda Berto » ven mar 11, 2016 10:45 pm

Un dubbio: ma chi glielo fa fare, ai palestinesi, di diventare un piccolo e marginale Gabon?
Di Yoav J. Tenembaum
(Da: Jerusalem Post, 24.2.16)
11 marzo 2016

http://www.israele.net/un-dubbio-ma-chi ... nale-gabon

E se gli arabi palestinesi non volessero affatto un loro stato? E se l’assioma sulle aspirazioni palestinesi dato per scontato da quasi tutti fosse in realtà sbagliato?

Che gli arabi palestinesi non vogliano un loro stato è un’affermazione che può sembrare troppo paradossale. Tuttavia, vale la pena provare ad approfondirla. Gli arabi palestinesi hanno ottenuto una posizione di assoluto rilievo nella diplomazia internazionale come raramente accade a popoli senza stato. Non c’è quasi risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ostile a Israele che non goda di una schiacciante maggioranza di voti. Qualunque risoluzione fortemente critica verso Israele ha ottime probabilità di essere approvata nella maggior parte degli organismi internazionali. Qualsiasi incidente, anche minimo, che veda coinvolti arabi palestinesi e Israele riceve grande rilievo sulla maggior parte dei mass-media internazionali. Gli arabi palestinesi sono comunemente rappresentanti come le vittime, nel loro lungo conflitto con Israele. I capi dell’Autorità Palestinese vengono ricevuti come graditi ospiti dalla maggior parte dei leader mondiali.

Nessuna entità non-statale ha mai ricevuto tanto sostegno in così tante organizzazioni internazionali come l’Autorità Palestinese. La posizione palestinese, anche quando si tratta delle fazioni più estremiste come Hamas, gode di grande simpatia internazionale, accompagnata da sistematiche condanne delle politiche israeliane. Qualunque tentativo da parte di Israele di difendersi contro gli attacchi violenti perpetrati contro la sua popolazione civile non fa che accrescere l’immagine degli arabi palestinesi come vittime.

La causa palestinese ha goduto di un grado di attenzione e sostegno senza pari. Dunque l’ipotesi sarebbe che gli arabi palestinesi preferiscano di gran lunga continuare ad essere le star internazionali, nella parte delle vittime eterne che possono sempre incolpare Israele per tutti i loro problemi, veri e immaginari. Poniamoci la domanda: perché mai la dirigenza palestinese, sia in Cisgiordania che nella striscia di Gaza, dovrebbe desiderare di porre fine alla situazione attuale? Perché mai dovrebbe desiderare di istituire uno stato? Fondare uno stato significa assumersi grosse responsabilità. Significa anche che le persone che vivono in quello stato non sono più considerate dal mondo come vittime eterne di un potere esterno. C’è un limite alla quantità di colpa che può essere scaricata su un soggetto esterno per i problemi e i guai che emergono al proprio interno.

Una volta fondato uno stato sovrano, l’aiuto economico e il sostegno diplomatico esterni sarebbero legati più alla reale performance di governo dei suoi dirigenti che non alla loro capacità di diffondere di se stessi l’immagine di deboli vittime.

Una volta fondato uno stato sovrano, la causa palestinese verrebbe archiviata dalla diplomazia internazionale. Lo stato palestinese sarebbe solo uno dei tanti stati del mondo. Ogni suo successo dipenderebbe dei suoi sforzi, e non della pietà e benevolenza che è capace di suscitare nell’opinione pubblica mondiale.

Uno stato palestinese potrebbe essere solo un altro Gabon (con tutto il rispetto per il Gabon). Perché mai i palestinesi, ormai abituati ad essere i beniamini di tutto il mondo, dovrebbero desiderare di ridursi soltanto a un Gabon qualunque? L’agenda palestinese sulla scena internazionale potrebbe ottenere al massimo l’attenzione che viene accordata a quella di un paese come il Guatemala (con tutto il rispetto per il Guatemala). Perché mai i palestinesi, abituati a vedere la loro causa costantemente sulla ribalta della diplomazia internazionale, dovrebbero desiderare che la loro agenda scomparisse al livello di un qualunque Guatemala?

Quando Israele ritirò tutti i suoi civili e le sue forze armate dalla striscia di Gaza, nell’estate 2005, i palestinesi avrebbero potuto creare un’entità statuale che avrebbe goduto di ampissimi aiuti e appoggi esterni. Gaza avrebbe potuto diventare un modello di sviluppo economico e di progresso sociale per il futuro stato palestinese. Non è successo. Gaza è stata trasformata in una grande base terroristica. All’interno del campo palestinese si è consumata una sanguinosa campagna di Hamas contro Fatah che ha portato Hamas a stabilire una dittatura islamista. Conflittualità e odio hanno avuto la meglio su pace e progresso. Per Hamas, l’obiettivo di eliminare Israele dalla faccia della terra è molto più importante che istituire un’entità modello nella strada della piena sovranità. La Cisgiordania, che è ancora governata dall’Autorità Palestinese, non ha avuto un destino simile a quello di Gaza grazie principalmente alla presenza delle forze di sicurezza israeliane. Altrimenti la dirigenza dell’Autorità Palestinese sarebbe già stata brutalmente eliminata, come è accaduto ai loro compagni di Fatah a Gaza.

Probabilmente sarebbe potuto nascere uno stato palestinese indipendente in Cisgiordania e Gaza se gli arabi palestinesi fossero stati disposti ad accettare un compromesso equo ed equilibrato con Israele. L’allora presidente egiziano Anwar Sadat e l’allora re Hussein di Giordania hanno dimostrato in modo chiaro e inequivocabile che l’opinione pubblica israeliana, quando si convince della sincera volontà dei suoi nemici di vivere in pace, improvvisamente sostiene con forza e con entusiasmo compromessi che fino a quel momento parevano inaccettabili.

Ne deriva che, probabilmente, il vero ostacolo a un accordo sta essenzialmente nel rifiuto degli arabi palestinesi di avere un loro stato, e non solo nel loro rifiuto di vivere fianco a fianco con uno stato ebraico. Contrariamente a quanto ci hanno fatto credere, gli arabi palestinesi probabilmente preferiscono restare sotto i riflettori internazionali come star della scena diplomatica, dipingendosi come le vittime permanenti dell’oppressione israeliana e godendo in questo modo di appoggi e aiuti che non hanno precedenti né eguali in tutto il mondo. Non vogliono fare il salto verso l’ignoto. Non desiderano assumersi la responsabilità della piena sovranità, con tutte le difficoltà che essa comporta.

Forse, dopo tutto, gli arabi palestinesi hanno tutto l’interesse a restare la cause célèbre della diplomazia internazionale, anziché correre il rischio di diventare uno staterello marginale, magari sull’orlo del fallimento.
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