Basta finanziare il terrorismo nazi maomettano palestinese

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Messaggioda Berto » lun ago 29, 2016 6:04 pm

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IL DIALOGO DELLA SOLIDARIETA
Islamici ed ebrei insieme e con il cuore: ii terremoto fa crollare anche i pregiudizi
Tra le macerie di Amatrice lavorano i volontari di Islamic Relief e IsraAid
di Massimo Malpica *
(Il Giornale, 28 agosto 2016)

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8819070401

Il terremoto che ha sconvolto l'Italia centrale ha portato dolore e lutti, ma anche scatenato una gara di solidarietà. Ha fatto crollare case e palazzi, ma anche un po' di pregiudizi. Così ecco che tra le macerie di Amatrice, sul retro del palazzetto dello sport, si incontrano mentre lavorano fianco a fianco i volontari di Islamic Relief Italia e quelli di IsraAid. Musulmani ed ebrei in azione, insieme, per alleviare le sofferenze di una citta famosa per un sugo a base di un animale, il maiale, tabù per entrambe le religioni. Non male, visto che qualche starlette vegana ha affidato ai social il suo dimenticabile pensiero, sentenziando che il sisma ad Amatrice, col suo carico di lutti e distruzioni, sarebbe opera del karma, proprio per aver la cittadina ideato il condimento col guanciale di maiale (e peccato per i fondamentalisti che tra i volontari ci siano anche i buddisti vegani della «Supreme Master Ching Hai international association», evidentemente meno schizzinosi, quando si parla di solidarietà).
Insomma, il terremoto distrugge, ma cancella anche diffidenze radicate. «Quando si tratta di aiutare chi ha bisogno, si pensa ad aiutare, non alla politica o alla religione», taglia corto Hemi Pedhazur, volontaria di IsraAid arrivata da Tel Aviv a dare una mano. Sono in due ad Amatrice, ma altri volontari ebrei volati in Italia da diversi Paesi sono al lavoro ad Arquata e ad Accumoli. «Non ho problemi a lavorare accanto alla Islamic Relief, stiamo qui per la stessa ragione, aiutare chi ha bisogno, e tanto basta», spiega ancora Hemi. E sulla stessa linea è anche Ossama El Hamriti, 23enne nato a Carpi, di famiglia marocchina, prossimo a laurearsi in economia e finanza a Modena. Lui è qui con altri otto volontari di Islamic Relief Italia, ed era già stato sul campo per i terremoti dell'Aquila e in Emilia, dove la sua organizzazione aveva portato aiuti e generi di prima necessità. «Qui abbiamo incontrato ex sfollati aquilani, ora volontari, che sono venuti ad abbracciarci appena ci hanno visti. In Abruzzo siamo stati una delle ultime ad andarcene, e anche qui siamo venuti per dare una mano, senza limiti di tempo, visto che facciamo tutti parte dello stesso paese». A coordinare e orientare gli aiuti e i soccorsi sono Croce Rossa e Protezione civile, così i ragazzi di Islamic Relief sono stati inviati a lavorare con il Sovrano Militare Ordine di Malta, praticamente i Crociati. Ma Ossama non fa una piega. «Collaboriamo con l'ordine di Malta alla gestione del palazzetto dello sport, portando aiuti agli sfollati all'interno». Ma davvero non ci sono pregiudiziali a lavorare con volontari di ogni paese e colore, dagli israeliani alle "salamandre" di Casapound, dai buddisti agli eredi dei Cavalieri Ospitalieri? Il volontario musulmano giura di no. «Non è una collaborazione scritta sulla carta, ognuno è autonomo, ma si viene qui, si incontrano altre realta e si cerca di convivere con tutte, aiutandosi a vicenda e cercando di ottenere l'unico fine di portare speranza nelle vite di persone che hanno perso tutto: case, amici, madri, padri». Perché in fondo la morale di Hemi da Tel Aviv è la stessa di Ossama da Carpi. Più che la fede, conta aiutare. «Qui non si parla di credo, ma si parla di persone bisognose. E anche nell'Islam le persone vengono prima di tutto. Pure della religione». ***

https://www.facebook.com/54282881907040 ... 6618089614



Per Israele c’è una ong inglese dietro i rapimenti di Hamas
Ha sede a Birmingham e il fondatore è stato premiato dalla regina Elisabetta
di Giulio Meotti | 22 Giugno 2014
http://www.ilfoglio.it/articoli/2014/06 ... e_c180.htm

L’ordine di messa al bando porta la firma del ministro della Difesa d’Israele, Moshe Yaalon. L’accusa è di quelle pesanti: sostegno alla cellula terroristica di Hamas che ha rapito i tre studenti israeliani, scomparsi da una settimana. Si parla della Islamic Relief Worldwide, la più grande organizzazione non governativa musulmana del Regno Unito con sede al 19 di Rea Street South di Birmingham. È la stessa città del “Cavallo di Troia”, il progetto di infiltrazione e conquista islamista delle scuole pubbliche smascherato il mese scorso dalle forze di sicurezza inglesi.

Il bilancio del 2012 della Islamic Relief parla di cento milioni di sterline, 150 dipendenti nel Regno Unito e 2.500 nel mondo. È una ong islamica “occidentale”, molto ascoltata dal governo di Downing Street, che collabora con i “laici” di Oxfam e che per la sua attività è lodata dalle agenzie internazionali. L’operazione contro questa importante ong londinese non è politica, ma è partita da un’inchiesta dello Shin Bet, il servizio segreto interno di Israele, il cui motto è “Magen VeLo Yera’e”, “Scudo invisibile”.
Fondata nel 1984, l’Islamic Relief vanta tra i suoi partner la Commissione europea, l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Agenzia Onu per i rifugiati (dal 2007 al 2010 Bruxelles ha elargito 19 milioni di euro all’Islamic Relief). La ong riceve ogni anno milioni di sterline da parte del governo di Sua Maestà per la sua attività caritatevole. E la “zakat”, l’offerta obbligatoria pari al 2,5 per cento del reddito annuale, uno dei cinque pilastri dell’islam e un modo per redistribuire la ricchezza ai meno fortunati, va a rafforzare le finanze (già cospicue) del movimento. È in Europa che parte la pista del terrore contro Israele. Su cinque organizzazioni non governative palestinesi, ben quattro hanno le loro sedi principali nel Vecchio continente.

Nel 1996 il generale Ami Ayalon, allora capo dello Shin Bet, denunciò per primo le attività dell’organizzazione inglese Islamic Relief: “Questi istituti caritatevoli musulmani finanziano Hamas e servono da copertura ad azioni illegali”. La ong inglese fa parte dell’arcipelago dell’International Islamic Relief Organization, presente in almeno novanta nazioni, con il quartier generale a Gedda, in Arabia Saudita, ha come missione l’aiuto agli affamati, ai poveri, ai senzatetto e ha fra i suoi sostenitori “l’élite” della società saudita. I soldi e la perfidia saudite sono molti anni che affliggono il medio oriente. Il Comitato popolare per l’assistenza ai mujaheddin palestinesi, creato sin dall’indomani della guerra dei Sei giorni, il Comitato per l’intifada al Quds e il Fondo al Aqsa hanno contribuito al terrorismo palestinese per non meno di quindici miliardi di rial, quattro miliardi di dollari.

La ong inglese sotto accusa da parte di Israele è diretta da Hany el Banna, egiziano, laureato ad al Azhar, ammiratore dei fondatori della Fratellanza musulmana Hassan al Banna e Sayyid Qutb, medico patologo, insignito dalla regina Elisabetta dell’Ordine dell’impero britannico. Anche il principe Carlo ha presenziato agli eventi della sua ong. Ma secondo Israele dietro questa facciata umanitaria si nasconde un grande provider logistico e finanziario per il terrorismo. “L’Islamic Relief Worldwide dà assistenza all’infrastruttura di Hamas”, accusa il ministero degli Esteri di Gerusalemme. Secondo l’intelligence israeliana, nel 2004, nel 2007 e nel 2009 l’Islamic Relief avrebbe ricevuto donazioni dalla Charitable Society for Social Welfare, un ente di beneficenza fondato da Abdul Majeed Al Zindani, un religioso che a San’a ha fondato l’Università della Fede e che avrebbe ispirato anche il Gruppo islamico armato algerino. Il terrorista americano-yemenita Anwar al Awlaki, ucciso da un drone statunitense, è stato vicepresidente di una filiale americana dell’organizzazione.

Nel maggio 2006 l’intelligence israeliana fece arrestare il coordinatore della ong inglese a Gaza, Ayaz Ali, un cittadino britannico originario di Bradford. Il governo israeliano accusò Ali di aver sostenuto istituzioni di Hamas come al Wafa e al Tzalah, entrambe designate come organizzazioni terroristiche da Israele. Secondo il governo israeliano, Ali ha anche collaborato con dirigenti di Hamas in Giordania. File incriminanti sono stati trovati dagli israeliani sul suo computer, compresi i documenti che testimoniavano i legami dell’organizzazione con i fondi illegali di Hamas all’estero (nel Regno Unito e in Arabia Saudita) e a Nablus e documenti delle attività militari di Hamas.

Fra le accuse alla ong di Birmingham c’è anche la produzione di missili ed esplosivi nei locali della Islamic University of Gaza, finanziata appunto dall’Islamic Relief. Hamas avrebbe utilizzato il denaro per scuole e campi dove arruolava i ragazzi e li incoraggiava a compiere attentati suicidi, dando in cambio una pensione alle famiglie di kamikaze e martiri. La ong inglese, tramite il suo direttore Issam al Bashir, l’ex ministro degli Affari religiosi del Sudan, è legata allo European Council for Fatwa and Research dell’imam Yusuf al Qaradawi. Quest’ultimo è la guida religiosa dei Fratelli musulmani e scrisse una celebre fatwa che legittimava gli attacchi dei terroristi suicidi contro i civili israeliani. L’Islamic Relief di Birmingham, fra le altre, ha ricevuto donazioni anche dalla organizzazione benefica del Kuwait, Islamic Charitable Organization, che la Cia identifica come uno sponsor del terrorismo. Ahmed al Rawi, uno dei dirigenti di punta della ong inglese, nel 2004 firmò una fatwa di sostegno agli attacchi contro le truppe americane e inglesi in Iraq.

I legami fra queste charities sono così intricati che il fondatore della ong, il dottor Hany el Banna, è un amministratore anche dello Humanitarian Forum, in cui siede il turco Huseyin Oruc, il rappresentante della ong Ihh. E’ la stessa che nel 2010 organizzò e diresse l’assalto contro la marina israeliana sulla flotilla “Mavi Marmara”, finito tragicamente con la morte di numerosi attivisti. Gli oboli raccolti nelle moschee europee vengono incanalati dalle ong con sede in Europa verso i gruppi islamisti, dietro al pretesto dell’aiuto agli affamati, ai poveri, ai senzatetto. Umanitarismo che uccide. E che, secondo Israele, potrebbe aver portato al sequestro dei tre studenti del Talmud.
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Messaggioda Berto » lun ago 29, 2016 9:13 pm

Palestinesi: Quando la "Montagna di Fuoco" erutterà
di Khaled Abu Toameh
29 agosto 2016
Pezzo in lingua originale inglese: Palestinians: When the Mountain of Fire Erupts
Traduzioni di Angelita La Spada

https://it.gatestoneinstitute.org/8811/ ... za-crimine

Qualche ora dopo che gli agenti di sicurezza avevano linciato un detenuto, il presidente dell'Autorità palestinese (Ap) Mahmoud Abbas ha esortato gli imprenditori palestinesi che vivono all'estero a sostenere l'economia palestinese investendo nei Territori palestinesi. Egli ha dichiarato che l'Ap sta "lavorando per garantire la sicurezza necessaria per incoraggiare gli investimenti".

Secondo Abbas, "i Territori palestinesi vivono in una condizione di stabilità dal punto di vista della sicurezza, a cui stiamo lavorando a favore dei residenti e degli investitori, garantendo il rispetto dello stato di diritto e aumentando la trasparenza e la responsabilità".

Deve essere bello creare la propria realtà, soprattutto se l'autentica realtà dei fatti è quella dell'81enne Abbas.

Nel suo discorso pronunciato davanti agli imprenditori, Abbas non ha fatto alcun riferimento all'ultima ondata di "caos nella sicurezza" nelle zone controllate dall'Ap in Cisgiordania, in particolare a Nablus, la più grande città palestinese.

Cinque palestinesi, tra cui due poliziotti dell'Autorità palestinese, sono stati uccisi durante uno dei peggiori episodi di violenza intestina che ha colpito la Cisgiordania negli ultimi anni. Abbas dunque sta prendendo in giro gli imprenditori o spera che essi siano sordi e ciechi come lui.

La violenza scoppiata a Nablus non sorprende chi ha seguito attentamente la situazione in Cisgiordania negli ultimi mesi.

In effetti, scene di illegalità e "caos nella sicurezza" costituiscono la norma in molte città, villaggi e campi profughi, segnale questo che l'Ap potrebbe perdere il controllo delle bande armate e delle milizie. I palestinesi parlano di falatan amni o "caos nella sicurezza". Un articolo pubblicato sul sito del Gatestone a giugno menziona un numero sempre maggiore di episodi di anarchia e illegalità nelle zone della Cisgiordania che sono sotto il controllo dell'Autorità palestinese, Nablus in primis.

Nablus è stata ribattezzata dai palestinesi come la "Montagna di Fuoco", un riferimento agli innumerevoli attacchi armati condotti dal 1967 dagli abitanti della città contro gli israeliani. Ma quanto è accaduto di recente nella città cisgiordana mostra con quale facilità l'incendio bruci il piromane. L'Autorità palestinese sta pagando il prezzo di aver ospitato, finanziato e incitato i membri di bande armate e miliziani che fino a poco tempo fa erano salutati da molti palestinesi come "eroi" e "combattenti della resistenza". Com'era prevedibile, la maggior parte di questi "fuorilegge" e "criminali" (come li descrive l'Ap) è legata a diverso titolo a Fatah, la fazione di Mahmoud Abbas.

Ora la "Montagna di Fuoco" minaccia di trasformarsi in un vulcano che sta per eruttare davanti ad Abbas e al governo dell'Autorità palestinese.

La situazione dei giorni scorsi a Nablus solleva seri interrogativi sulla capacità dell'Ap di attuare le misure di sicurezza più elementari e contenere le bande armate e i miliziani. Inoltre, la violenza senza precedenti ha ulteriormente distrutto la fiducia dei palestinesi nell'Autorità palestinese e i suoi leader in vista delle elezioni amministrative, fissate per l'8 ottobre.

Il sogno di Hamas di estendere il suo controllo alla Cisgiordania ora sembra più realistico che mai. Stando così le cose, Abbas offrirebbe la Cisgiordania a Hamas su un piatto d'argento, a meno che egli non si svegli e si renda conto di aver commesso un grosso errore autorizzando le elezioni amministrative.

E la delegazione di imprenditori che ha incontrato Hamas? Si potrebbe immaginare che essi siano abbastanza furbi da evitare investimenti destinati all'insuccesso. Nablus farà sicuramente al caso loro: probabilmente spariranno dal caos dei territori controllati dall'Autorità palestinese.

Le cose sono diventate evidenti quando il 18 agosto, nella città vecchia di Nablus, due membri delle forze di sicurezza dell'Autorità palestinese, Shibli bani Shamsiyeh e Mahmoud Taraira, sono stati uccisi in uno scontro con uomini armati.

Ore dopo, poliziotti dell'AP hanno colpito a morte due uomini armati palestinesi accusati di essere coinvolti nell'uccisione degli agenti delle forze di sicurezza. I due sono stati identificati come Khaled Al-Aghbar e Ali Halawah. I familiari di uno dei due uomini hanno accusato l'Autorità palestinese di aver compiuto un'esecuzione sommaria, affermando che i loro congiunti sono stati catturati vivi e solo in seguito uccisi. Hanno anche chiesto l'istituzione di una commissione indipendente d'inchiesta che faccia luce sulle circostanze connesse all'uccisione dei due uomini. E alla richiesta si sono unite le organizzazioni palestinesi per i diritti umani.

Il 18 agosto, due poliziotti dell'Autorità palestinese sono stati uccisi in uno scontro con uomini armati a Nablus (foto a sinistra). Ad aprile di quest'anno, nel campo profughi di Jenin (foto a destra) è scoppiata una feroce sparatoria tra i poliziotti dell'Ap e i membri del clan Jaradat. Lo scontro è iniziato in seguito al tentativo di arrestare un membro della famiglia.

A giugno, altri due agenti di sicurezza dell'Ap, Anan Al-Tabouk e Uday Al-Saifi, sono rimasti uccisi in una sparatoria con uomini armati a Nablus. L'Autorità palestinese ha dichiarato che le uccisioni sono state compiute da "criminali" e ha promesso di punire i colpevoli.

Le tensioni a Nablus hanno raggiunto l'apice il 23 agosto, quando decine di poliziotti dell'Ap hanno linciato Ahmed Halawah, un ax agente di polizia sospettato di essere a capo di una famosa banda appartenente alla fazione di Fatah. Halawah è stato picchiato a morte da un poliziotto dell'Autorità palestinese poco dopo essere stato arrestato e condotto nel carcere di Jneid, gestito dall'Ap.

La leadership dell'Autorità palestinese, che ha successivamente ammesso che Halawah è stato linciato dai suoi poliziotti, dice di aver chiesto l'apertura di un'inchiesta sul caso. I suoi dirigenti hanno dichiarato che si è trattato di "un errore inammissibile".

Il pestaggio a morte del detenuto ha causato un'ondata di proteste in tutta la Cisgiordania, con molti palestinesi che hanno invocato l'apertura immediata di un'inchiesta sulle circostanze del capo e chiesto che i responsabili siano processati.

L'Associazione forense palestinese ha diramato un comunicato che condanna fermamente il linciaggio di Halawah definendolo "un crimine e una violazione dei diritti umani". L'ordine degli avvocati ha chiesto di attribuirgli ogni responsabilità, aggiungendo: "Gli episodi spiacevoli e dolorosi, come l'uccisione di Ahmed Halawah, non fanno gli interessi dei cittadini del paese e aggravano le divisioni nella nostra società". L'Associazione ha inoltre esortato l'Ap e le sue forze di sicurezza a rispettare la legge e i diritti umani del palestinesi e le loro libertà pubbliche.

Preoccupati per le diffuse condanne del linciaggio di Halawah, alcuni funzionari dell'Autorità palestinese hanno cominciato a lanciare minacce dirette e velate contro i detrattori.

L'avvocato palestinese Wael Al-Hazam, che ha invitato Abbas a "ritirare" le sue forze di sicurezza da Nablus, ha ricevuto la visita di non identificati uomini armati che hanno sparato contro la sua abitazione 14 colpi d'arma da fuoco. Il legale e i suoi familiari non sono rimasti feriti nell'attacco che era un chiaro un messaggio di avvertimento a chiunque osasse alzare la voce contro la violazione dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza dell'Autorità palestinese. E in questo caso, il messaggio è arrivato.

Poco dopo l'attentato alla sua casa, l'uomo ha rilasciato una dichiarazione in cui ha affermato: "Quattordici colpo d'arma da fuoco sono abbastanza per farmi tacere. Sono un uomo di legge e non posso rispondere ai proiettili. La mia penna e la voce sono la mia unica arma. Non ho milizie militari per difendermi". L'episodio intimidatorio ha avuto luogo poco dopo che agenti della sicurezza dell'Ap avevano minacciato l'avvocato di non partecipare a un programma televisivo per parlare dell'ultima ondata di violenza scoppiata nella sua città.

I disordini a Nablus hanno spinto molti palestinesi a chiedere ad Abbas di posticipare le prossime elezioni amministrative della città. In una riunione d'emergenza convocata il 25 agosto a Nablus, diversi esponenti e fazioni palestinesi hanno concordato sul fatto che nelle attuali circostanze è impossibile tenere le elezioni.

Secondo Sarhan Dweikat, un membro anziano di Fatah, è necessario rinviare le elezioni per

"proteggere il tessuto sociale e preservare il nostro progetto nazionale, che si trova a dover affrontare una minaccia esistenziale alla luce del caos nella sicurezza e dell'anarchia a Nablus. (...) Le condizioni esistenti a Nablus non assicurano un clima favorevole allo svolgimento delle elezioni".

È difficile immaginare come Abbas, illuso come sembra essere, possa accogliere le richieste di posticipare le elezioni amministrative. Il suo patetico tentativo di convincere gli imprenditori palestinesi a investire il loro denaro nelle aree sottoposte al controllo dell'Autorità palestinese nel momento in cui le fiamme stanno inghiottendo il suo giardino è un ulteriore segno del rifiuto – o dell'incapacità – di quest'uomo di guardare in faccia la realtà.

Questo è lo stesso presidente che dice di voler condurre il suo popolo verso uno Stato e un futuro migliore. Abbas probabilmente continuerà a ingannare i leader mondiali, facendogli credere che lui e l'Autorità palestinese sono pronti per la creazione di uno Stato palestinese. Tuttavia, il sangue versato a Nablus e in altre città palestinesi è la prova che Abbas sta per perdere il controllo della Cisgiordania, proprio come nel 2007 dovette cedere Gaza a Hamas. Se fino a oggi sembrava che Hamas costituisse la minaccia più grande al governo di Abbas in Cisgiordania, ora è evidente che non è così. La vera minaccia arriva dai lealisti locali di Abbas che si sono trasformati in ribelli.

Khaled Abu Toameh è un pluripremiato giornalista che vive a Gerusalemme.
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Messaggioda Berto » sab set 10, 2016 3:03 am

Abu Mazen era un agente al servizio del KGB sovietico
Il suo nome compare nell’archivio Mitrokhin, in una lista del 1983 di agenti (non semplici “informatori”) resa pubblica di recente
sabato 10 settembre 2016

http://www.israele.net/abu-mazen-era-un ... -sovietico

L’attuale presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) era una spia sovietica, a Damasco, negli anni ‘80. Ne ha dato notizia mercoledì sera la tv israeliana Canale 1 citando informazioni “molto attendibili” tratte dall’archivio trafugato dall’URSS dal disertore del KGB Vasily Mitrokhin.

Secondo il direttore Esteri di Canale 1 Oren Nahari, fra i documenti del celebre archivio Mitrokhin analizzati dai ricercatori israeliani Isabella Ginor e Gideon Remez, del Truman Institute dell’Università di Gerusalemme, è emersa una lista del 1983 di agenti (e non semplici informatori) del KGB nella quale compare il nome di Abu Mazen. Abu Mazen operava con il nome in codice di Krotov (derivazione da krot, talpa) facendo probabilmente capo a Mikhail Bogdanov, allora ambasciatore sovietico a Damasco. Oggi Bogdanov è l’inviato in Medio Oriente del presidente russo Vladimir Putin, ex ufficiale del KGB. Mitrokhin (deceduto nel 2004) era un importante archivista del KGB (i servizi segreti sovietici) che nel 1992 disertò nel Regno Unito con un’imponente quantità di documenti copiati e note scritte a mano che era riuscito a trafugare a Londra fra il 1972 e il 1984. I suoi documenti su varie operazioni del KGB sono stati resi pubblici di recente, mentre gli appunti scritti a mano restano segretati dall’MI5 (il controspionaggio britannico). Nahari, di Canale 1, ha spiegato che la parte dell’archivio Mitrokhin che contiene il nome di Abu Mazen è stata resa pubblica alcuni mesi fa.

I documenti di Mitrokhin sono considerati tra le più complete e attendibili informazioni disponibili sulle operazioni di intelligence sovietiche di quegli anni. Da tali documenti risulta che negli anni ‘70 il KGB reclutò come agente l’allora capo del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Wadi Haddad, che operava sotto il nome in codice di Natsionalist e riceveva dai sovietici finanziamenti e armi per l’FPLP.

Secondo l’alto ufficiale rumeno dei servizi segreti rumeni Ion Mihai Pacepa, che nel 1978 disertò negli Stati Uniti, sia l’FPLP che l’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), che il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina ricevevano aiuti da parte del KGB. Pacepa disse ai funzionari americani che nel 1972 l’allora capo dell’Olp Yasser Arafat collaborava strettamente con il KGB e con la Securitate (intelligence romena), e che i guerriglieri dell’Olp venivano segretamente addestrati da agenti dei servizi segreti sovietici.

Per tutta la prima parte della sua vita di attivista, Abu Mazen sviluppò una estesa rete di attivisti politici palestinesi provenienti da tutto il mondo arabo, destinati a costituire successivamente l’organizzazione Fatah e l’Olp. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 Abu Mazen studiò presso l’Università dell’Amicizia dei Popoli, in Russia, dove scrisse la sua tesi di dottorato intitolata “La relazione segreta tra nazisti tedeschi e sionisti” nella quale accusava i sionisti d’aver collaborato con i nazisti e affermava che le vittime ebraiche della Shoà non furono sei milioni, ma solo un milione. Una volta conseguito il dottorato, Abu Mazen si trasferì in Tunisia dove assunse un ruolo più attivo nella dirigenza dell’Olp, scalando la gerarchia sino a diventarne il capo. Nel 2004, dopo la morte di Arafat, divenne presidente dell’Autorità Palestinese.

(Da: Times of Israel, Jerusalem Post, YnetNews, 7.9.16)
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Messaggioda Berto » sab set 10, 2016 3:08 am

Almeno Berlino ha iniziato ad aprire gli occhi
Un documento del governo tedesco prende atto per la prima volta del banale trucco con cui l’Autorità Palestinese continua a finanziare i terroristi con i soldi europei
(Da: Times of Israel, 5.9.16)

http://www.israele.net/almeno-berlino-h ... -gli-occhi

Il governo tedesco ha ammesso per la prima volta che l’Autorità Palestinese dà verosimilmente sostegno finanziario ai terroristi e ai loro famigliari, e si è impegnato ad approfondire la questione.

A seguito di ripetute interrogazioni da parte di un deputato dell’opposizione, la scorsa settimana il Ministero degli esteri di Berlino ha riconosciuto che i fondi per i cosiddetti “martiri” e per i palestinesi detenuti nelle carceri israeliane per reati di terrorismo non provengono solo dall’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), ma in parte anche dal bilancio dell’Autorità Palestinese.

La Germania sostiene l’Autorità Palestinese con circa 160 milioni di euro all’anno, ma sinora ha sempre detto che il denaro veniva indirizzato solamente a specifici progetti di sviluppo, e non ai cosiddetti “stipendi” per palestinesi condannati per terrorismo né ai parenti di terroristi morti compiendo attentati.

Ora, invece, in un documento del Ministero degli esteri tedesco datato 1 settembre di cui Times of Israel ha potuto vedere una copia, si legge: “Vi sono istituzioni palestinesi che effettuano pagamenti alle famiglie dei detenuti in Israele e ai famigliari di coloro che sono stati uccisi o feriti. Tra questi figurano anche parenti di attentatori”. Il documento prosegue spiegando che i detenuti palestinesi ricevono il sostegno finanziario dalla “Commissione Olp per gli affari dei prigionieri ed ex prigionieri”, dal momento che l’Autorità Palestinese ha cessato tali pagamenti due anni fa quando ha sciolto il proprio “Ministero per gli affari dei prigionieri ed ex prigionieri”. “Il governo federale – afferma il documento – sta indagando le informazioni secondo cui in certi casi l’Autorità Palestinese avrebbe finanziato il budget della Commissione dell’Olp per i detenuti”. Il documento ammette inoltre che ricevono “stipendi” anche famiglie di palestinesi uccisi o feriti dalle forze di sicurezza israeliane mentre compivano attentati. “Questi pagamenti – si legge nel documento tedesco – sembrano provenire da un fondo per morti e feriti che non è parte del bilancio dell’Olp, ma viene pagato dal bilancio dell’Autorità Palestinese”.

Il documento è stato inviato al parlamentare Volker Beck, che dirige il Gruppo di amicizia parlamentare tedesco-israeliano, in risposta a una seconda interrogazione presentata lo scorso 22 agosto dopo una insoddisfacente risposta del governo a una precedente interpellanza sullo stesso argomento.

Secondo la posizione ufficiale, Berlino non finanzia l’Olp, ma solo progetti specifici dell’Autorità Palestinese, in particolare in settori come sviluppo, cultura, istruzione, aiuti umanitari e prevenzione di crisi civili. Per questo il documento del primo settembre sottolinea: “Se risulterà confermato che parti di detti pagamenti [ai terroristi detenuti e alle loro famiglie] proviene dal bilancio dell’Autorità Palestinese, il governo federale solleverà la questione con l’Autorità Palestinese e altri partner. Autorità Palestinese e Olp sono chiamate ad adottare tutte le misure necessarie contro l’incitamento alla violenza, e a incrementare i loro sforzi nella lotta contro il terrorismo”.

Hallel Ariel, 13enne israeliana accoltellata a morte nel sonno nella sua casa di Kiryat Arba lo scorso 30 giugno

Nel 2014, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) – che è anche capo dell’Olp – fece chiudere il “Ministero per gli affari dei detenuti ed ex detenuti” convertendolo in una Commissione direttamente subordinata all’Olp. “Lo scopo di quella mossa deliberatamente ingannevole – ha spiegato lo scorso luglio Yigal Carmon, presidente di MEMRI (Media Research Institute Medio Oriente, alla Commissione affari esteri della Camera dei rappresentanti americana – era quello di attenuare le pressioni sull’Autorità Palestinese da parte dei paesi donatori che non desiderano vedere usare i loro soldi a sostegno del terrorismo. Ma gli uffici sono rimasti gli stessi ed è rimasto lo stesso anche il funzionario incaricato, che ha solo cambiato titolo sul biglietto da visita. La fonte del denaro rimane l’Autorità Palestinese che lo riceve dai paesi donatori, e l’ente incaricato di supervisionare la destinazione dei fondi non è altri che la stessa Autorità palestinese”, cioè l’ente che ha ideato il trucco contabile.

Ora Beck, che è membro del partito dei Verdi, promette che continuerà a premere sulle autorità di Berlino in merito alla questione. “E’ una buona cosa che la volontà di non sapere del governo sembra terminata – dice il parlamentare tedesco a Times of Israel – Germania e Unione Europea devono mettere in chiaro all’Autorità Palestinese e all’Olp che pagamenti a terroristi e loro parenti sono inaccettabili e non rimarranno senza conseguenze”. E aggiunge che è inconcepibile che i contribuenti tedeschi finanzino un’istituzione che, ad esempio, premia in denaro le famiglie degli assassini di Hallel Ariel, la 13enne israeliana accoltellata a morte nel sonno nella sua casa di Kiryat Arba lo scorso 30 giugno. Come emerge dalla risposta del primo settembre, il governo di Berlino sa bene come funziona il sistema che finanzia i terroristi e le loro famiglie. “Quello che non è comprensibile è che abbiano chiuso gli occhi di fronte a questo problema – continua Beck – Quando sollevai la questione, nel 2014, davanti al Ministro palestinese degli affari sociali, questi pose fine assai bruscamente al nostro pranzo di lavoro, a cui erano presenti alti funzionari dell’ufficio di rappresentanza tedesca a Ramallah”.

In base alla legge dell’Autorità Palestinese, Ramallah versa quasi 170 milioni di dollari all’anno a terroristi detenuti e famiglie di terroristi. Le indennità mensili dei detenuti crescono con la durata della pena, cioè sono tanto più consistenti quanto più sanguinosi sono stati gli attentati commessi.
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Messaggioda Berto » lun set 19, 2016 11:04 pm

“Ho creduto alle cose che mi venivano dette….”
maggio 7, 2012
Aaron Klein

https://bugiedallegambelunghe.wordpress ... vano-dette

Il regista arabo israeliano Muhammad Bakri, autore del documentario “Jenin, Jenin” che accusava Israele di genocidio e crimini di guerra, ha ammesso in una deposizione la scorsa settimana d’aver falsificato alcune scene usando informazioni sbagliate e d’aver ricevuto finanziamenti da parte dell’Autorità Palestinese per la produzione del film diffamatorio. Il regista e produttore del celebre film, che accusava i militari israeliani d’aver commesso atrocità inaudite nel campo profughi di Jenin nell’aprile 2002, deponendo in tribunale nel corso di un processo per diffamazione ha riconosciuto che in tutto il film sono presenti errori e artifici.

Il regista deve difendersi dalla querela di cinque soldati israeliani che hanno combattuto a Jenin e i cui volti sono riconoscibili nelle sequenze del documentario che accusa i militari d’aver ucciso “un grande numero di civili”, mutilato corpi di palestinesi, eseguito esecuzioni a casaccio, bombardato donne bambini e disabili psico-fisici, e d’aver spianato l’intero campo profughi compresa un’ala del locale ospedale.

Il documentario non mostra nessuna immagine delle presunte atrocità, ma in alcune sequenze i volti dei soldati (che hanno querelato Bakri) vengono sovrapposti a presunte “testimonianze oculari” con la chiara indicazione che essi sarebbero colpevoli di “crimini di guerra”.

Ora però Bakri ammette d’aver “prestato fede” a testimonianze selezionate senza procedere a nessun controllo sulle informazioni che gli venivano fornite. “Ho creduto alle cose che mi venivano dette. Le cose a cui non ho creduto non sono state incluse nel film”, ha spiegato il regista.

Ad una domanda relativa alla scena del film in cui si lascia intendere che truppe israeliane siano passate con i loro mezzi sopra civili palestinesi, Bakri ha ammesso d’aver costruito la sequenza come sua propria “scelta artistica”. Alla domanda se crede davvero che “durante le operazioni a Jenin soldati israeliani abbiano ucciso la gente in modo indiscriminato”, Bakri ha risposto “No, non lo credo”. La parte forse più clamorosa della deposizione è giunta quando Bakri ha ammesso che il suo documentario, proiettato nei cinema di tutto il mondo, è stato finanziato dall’Autorità Palestinese, spiegando che “parte delle spese per il film sono state coperte da Yasser Abed Rabu, allora ministro palestinese per la cultura e l’informazione nonché membro del comitato esecutivo dell’Olp sotto la direzione dell’allora leader palestinese Yasser Arafat”.

Nell’aprile del 2002 le truppe israeliane entrarono a Jenin nel quadro dell’Operazione Scudo Difensivo volta a fermare la sequela ormai quotidiana di attentati suicidi ad opera di Hamas, Jihad Islamica e Brigate Martiri di Al Aqsa. Israele inviò unità di fanteria alla ricerca di terroristi casa per casa anziché colpire da lontano la “culla” degli attentatori: una scelta che costò la vita a 23 riservisti uccisi da imboscate, cecchini e trappole esplosive palestinesi. Subito dopo la fine dei combattimenti venne fatta circolare dalla dirigenza palestinese l’accusa che Israele avesse commesso un deliberato massacro a sangue freddo di più di 500 civili indifesi.

Successivamente è stato appurato che i morti palestinesi nei durissimi combattimenti erano stati 53, per la maggior parte armati. Resoconti di stampa, prove documentarie, indagini di enti governativi, non governativi e di organizzazioni umanitarie hanno presto dimostrato che non aveva avuto luogo nessun massacro di civili.

Il film di Bakri mostra diversi “testimoni” che descrivono “brutalità” da parte delle Forze di Difesa israeliane, sostenendo che Israele avrebbe aggredito e ucciso “numerosissimi” palestinesi con carri armati, aerei e cecchini. L’autore tuttavia si guarda bene dall’indicare chiaramente quale dovrebbe essere, secondo lui, il numero esatto di palestinesi uccisi.

Nel frattempo un altro film, “The Road To Jenin” di Pierre Rehov, è giunto a smentire le accuse di Bakri. Una di queste era che Israele avrebbe sparato undici missili contro l’ospedale di Jenin spianandone un’intera ala con tutti i pazienti all’interno, e che non avrebbe nemmeno permesso al personale di soccorso di accedere alla zona. Il direttore dell’ospedale, dottor Mustafa Abo Gali, dice al pubblico del film di Bakri: “Tutta l’ala ovest è stata distrutta. Caccia militari lanciavano i loro missili ogni tre minuti”. Bakri non si prese la briga di controllare. Ma quando Rehov intervistò lo stesso dottor Gali per il suo film e si fece mostrare le dimensioni dei danni, tutto ciò che questi poté mostrare fu un modesto buco sull’esterno dell’ala ovest, completamente intatta.

Rehov fornisce anche le immagini aeree dell’ospedale prese l’ultimo giorno della battaglia di Jenin in cui si vede che tutte le sezioni dell’edificio sono normalmente in piedi. Circa l’accusa di Bakri per cui alle ambulanze non fu permesso di raggiungere la zona, il dottor David Zangen, capo ufficiale medico delle Forze di Difesa israeliane durante l’azione a Jenin, racconta a Rehov come i soldati israeliani hanno soccorso molti combattenti palestinesi feriti, compresi quelli di Hamas.

Rehov mostra persino un soldato israeliano che autorizza Gali in persona a ricevere tutto il materiale medico di cui ha bisogno per il suo ospedale. “Anche lo spettatore più distratto – ha scritto Tamar Sternthal, del Committee for Accuracy in Reporting in the Middle East – si accorgerebbe delle evidenti incongruenze delle presunte testimonianze su cui fa affidamento Bakri”. Bakri sostiene che i soldati avrebbero sparato a una mano di un inerme abitante palestinese, Ali Youssef, per poi sparargli anche alle gambe. Ma Rehov ha rintracciato Youssef e nel suo film rivela che questi venne ferito a una mano mentre stava dentro a un edificio insieme a terroristi armati di Hamas. Medici israeliani medicarono la ferita di Youssef, gli riscontrarono un difetto congenito al cuore e lo inviarono in Israele perché fosse curato nell’ospedale di Afula. Dalle cartelle cliniche dell’ospedale si rileva che Youssef non è mai stato ferito alle gambe.

Secondo Zangen, Bakri fa ampio ricorso a tecniche filmiche ingannevoli per creare il mito del massacro a freddo, cosa che ora Bakri ammette nella sua deposizione. Zangen cita ad esempio la scena di un tank che si dirige verso una folla. La scena quindi si oscura, lasciando la falsa impressione che quella gente sia stata uccisa. Inoltre Bakri, che in nessun momento della battaglia è stato sul posto a filmare, ingannevolmente giustappone le immagini di tank israeliani e quelle di tiratori scelti in posizione di tiro ad immagini di bambini palestinesi: altra circostanza ammessa da Bakri nella sua deposizione. Alcune di queste immagini giustapposte includono i cinque soldati riservisti che hanno querelato l’autore davanti a un tribunale di Tel Aviv. I cinque accusano Bakri d’averli falsamente accusati di crimini di guerra e spiegano che, oltretutto, nella loro professione civile hanno frequenti contatti con palestinesi che ora potrebbero riconoscere i loro volti per averli visti nel diffamatorio documentario di Bakri, cosa che mette a repentaglio la loro attività professionale e la loro stessa vita.
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Messaggioda Berto » gio ott 06, 2016 7:00 am

Palestinesi: "La mafia di distruzione"
di Khaled Abu Toameh
5 ottobre 2016
Pezzo in lingua originale inglese: Palestinians: "The Mafia of Destruction"
Traduzioni di Angelita La Spada

https://it.gatestoneinstitute.org/9076/ ... e-medicina

I funzionari di Hamas e l'Autorità palestinese (Ap) hanno trasformato le cure mediche in un affare che rende loro centinaia di migliaia di dollari l'anno. Questa corruzione ha permesso agli alti papaveri in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza di sottrarre milioni di shekel al bilancio dell'Ap.

Nel 2013, l'Autorità palestinese ha speso più di mezzo miliardo di shekel per coprire le spese mediche di palestinesi che sono stati trasferiti in ospedali fuori dai Territori palestinesi. Tuttavia, nessuno sembra sapere con esattezza come il denaro sia stato speso e se tutti coloro che ne abbiano beneficiato avessero davvero bisogno di cure mediche. In un caso, è emerso che 113 pazienti palestinesi erano stati ricoverati in ospedali israeliani al costo di 3 milioni di shekel, senza che alcuna documentazione lo dimostrasse. Anche l'identità dei pazienti era sconosciuta.

Hajer Harb, una coraggiosa giornalista palestinese della Striscia di Gaza, dice di essere stata accusata di "diffamazione" per aver denunciato la corruzione. La donna è stata ripetutamente interrogata da Hamas. Il regime dell'Ap, da parte sua, non è molto felice dello scandalo.

Gli ospedali di Gaza sarebbero attrezzati meglio se Hamas usasse il denaro per costruire centri medici anziché tunnel utilizzati per contrabbandare armi dall'Egitto e compiere attacchi contro Israele.

Una domanda: 'I pazienti palestinesi come ottengono i permessi per ricevere cure mediche in Israele e negli ospedali di tutto il mondo?' Risposta: pagando tangenti agli alti funzionari palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Chi non può permettersi di farlo viene lasciato morire negli ospedali poco attrezzati e sotto organico, soprattutto nella Striscia di Gaza.

Eppure, a quanto pare, alcuni palestinesi hanno più diritti di altri: quelli le cui vite non sono in pericolo, ma fingono che lo siano. Tra questi ci sono imprenditori, commercianti, studenti universitari e parenti degli alti dirigenti dell'Autorità palestinese (Ap) e Hamas, che ricevono permessi per recarsi in Israele e altri paesi con il pretesto dell'emergenza medica.

Molti palestinesi puntano il dito contro il Ministero della Salute dell'Ap, in Cisgiordania. Essi sostengono che gli alti dirigenti abusano dei loro poteri per raccogliere tangenti sia da parte dei pazienti sia da parte di altri palestinesi che vogliono solo permessi medici al fine di lasciare Gaza e la Cisgiordania. Grazie alla corruzione, a molti pazienti veri è negata la possibilità di ricevere adeguate cure mediche in Israele e altri paesi.

Un palestinese soccorso da un'ambulanza israeliana al valico di Eretz, tra la Striscia di Gaza e Israele, viene trasferito in un ospedale israeliano il 29 luglio 2014. (Fonte dell'immagine: Ministero degli Esteri israeliano)

Lo stesso trattamento ovviamente non si applica agli alti dirigenti palestinesi e ai loro familiari, che continuano a fare ampio uso degli ospedali israeliani e di altri centri medici in Giordania, Egitto, nel Golfo Persico e in Europa.

Anche gli alti funzionari di Hamas godono del libero accesso agli ospedali israeliani. Nel 2013, Amal Haniyeh, nipote del leader di Hamas Ismail Haniyeh, è stata trasferita in un ospedale israeliano per trattamenti medici urgenti. Un anno prima, anche la sorella di Haniyeh, Suheilah, era stata portata d'urgenza in un nosocomio israeliano per un intervento al cuore.

Ma Haniyeh non aveva bisogno di offrire denaro per sottoporre la nipotina e la sorella alle cure mediche israeliane. Di fatto, è chiaro che alcuni palestinesi hanno molti più diritti di altri.

La corruzione in seno al sistema sanitario palestinese, in Cisgiordania e a Gaza, è da lungo tempo un segreto di Pulcinella. I palestinesi senza i legami giusti e senza denaro da dare agli alti dirigenti o ai medici sono pienamente consapevoli che non sarà loro mai permesso di essere "trasferiti all'estero per cure mediche". La firma di un medico o delle autorità sanitarie è la merce più preziosa in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Questa firma permette ai pazienti di ricevere cure mediche gratuite in Israele e altri paesi.

La mancanza di regole chiare che sanciscono chi abbia diritto a questo privilegio ha agevolato una diffusa corruzione in seno al sistema sanitario palestinese. Il nepotismo svolge un ruolo importante in questa forma di corruzione. Il parente di un alto dirigente palestinese può essere facilmente trasferito in un ospedale israeliano, giordano o egiziano, mentre i pazienti poveri della Striscia di Gaza possono aspettare mesi prima di ottenere tali permessi.

I funzionari di Hamas e dell'Ap fanno affari con la vita dei pazienti palestinesi. Hanno trasformato le cure mediche in un business che rende loro centinaia di migliaia di dollari l'anno. Questa corruzione, in assenza di trasparenza e controlli, ha permesso agli alti papaveri in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza di sottrarre milioni di shekel al bilancio dell'Ap.

Sebbene Hamas e l'Autorità palestinese abbiano promesso di combattere questo sfruttamento dei pazienti palestinesi, secondo la popolazione non è affatto così. Pare che oltre il 70 per cento dei casi di trasferimento negli ospedali israeliani e all'estero non sia mai stato documentato e non è chiaro come e dove il denaro sia stato speso.

Ad esempio, nel 2013, l'Ap ha speso più di mezzo miliardo di shekel per coprire le spese mediche di palestinesi che sono stati trasferiti in ospedali fuori dai Territori palestinesi. Tuttavia, nessuno sembra sapere con esattezza come il denaro sia stato speso e se tutti coloro che ne abbiano beneficiato avessero davvero bisogno di cure mediche.

L'Autorità palestinese sostiene che nel 2014 più di 54.000 palestinesi di Gaza sono stati trasferiti in ospedali fuori della Striscia di Gaza. Ma le autorità sanitarie di Gaza dicono di essere a conoscenza di soli 16.382 casi di pazienti che hanno ricevuto tali permessi.

Tra il 1994 e il 2013, l'Ap non ha chiesto agli ospedali israeliani il dettaglio delle spese sostenute per i trattamenti medici forniti ai pazienti palestinesi. Il denaro viene detratto su base mensile dalle imposte riscosse da Israele e poi devoluto all'Autorità palestinese.

La Coalizione Palestinese per la Responsabilità e l'Integrità (Aman), un gruppo palestinese attivo nel settore della democrazia, dei diritti umani e della buona governance, che mira a contrastare la corruzione e ottimizzare l'integrità, rendere effettivi i principi di trasparenza e i sistemi di controllo nella società palestinese, è uno dei pochi organismi che ha lanciato un campanello d'allarme in merito a questi abusi.

L'anno scorso, l'Aman ha pubblicato un rapporto in cui metteva in guardia contro la corruzione in seno al Dipartimento preposto al trasferimento all'estero dei pazienti, che fa parte del Ministero della Salute dell'Ap. Il report sottolineava le discrepanze nei costi delle cure mediche in Israele e altri ospedali e le reali spese. Ad esempio, in un caso, è emerso che 113 pazienti palestinesi erano stati ricoverati in ospedali israeliani al costo di 3 milioni di shekel, senza che alcuna documentazione lo dimostrasse. Anche l'identità dei pazienti era sconosciuta.

Nel rapporto di Aman si legge che le misure prese dalle autorità sanitarie palestinesi per contrastare il nepotismo e la corruzione, e prevenire lo sperpero di fondi pubblici, non sono state sufficienti. I medici sono sottoposti a pressioni da parte dei funzionari dell'Ap affinché certifichino la necessità dei trasferimenti negli ospedali israeliani e di tutto il mondo, anche nei casi in cui non ce ne sarebbe bisogno. In alcuni casi, sempre secondo il rapporto, i pazienti avrebbero potuto ricevere le cure mediche in loco senza dover sostenere gli esosi costi del trasferimento in altri nosocomi.

L'Ap afferma di aver chiesto alla Commissione anticorruzione di indagare sullo scandalo. Fino ad oggi, non è chiaro se siano state adottate misure concrete contro i responsabili della corruzione.

Hamas, da parte sua, continua a ritenere l'Ap responsabile delle sofferenze dei pazienti della Striscia di Gaza. Secondo il movimento islamista, il governo dell'Autorità palestinese si rifiuta di rilasciare i permessi medici come mezzo per punire i palestinesi per il sostegno offerto a Hamas.

Ma la verità è alquanto diversa: anche gli ufficiali sanitari della Striscia di Gaza che sono legati a Hamas sfruttano il dramma dei pazienti. Ma a Hamas non interessa affatto che questo venga alla luce.

Hajer Harb, una coraggiosa giornalista palestinese della Striscia di Gaza, di recente ha condotto un'inchiesta sulla corruzione dei funzionari della sanità in Cisgiordania e a Gaza. La donna è stata ripetutamente interrogata da Hamas.

La Herb dice di essere stata accusata di "diffamazione", per aver denunciato la corruzione, ed è stata convocata dagli inquirenti dopo una denuncia presentata nei suoi confronti da un medico della Striscia di Gaza.

Durante gli interrogatori le è stato chiesto di rivelare le fonti e l'identità di chi fosse coinvolto nello scandalo della corruzione. "Ho detto loro che sono una giornalista e non posso fornire loro l'identità delle mie fonti senza un ordine del tribunale", ella ha dichiarato.

"Mi è stato detto che ero accusata di sostituzione di persona (essi affermano che non ho rivelato la mia vera identità nel corso della mia inchiesta); di aver diffamato il Ministero della Salute; di aver pubblicato informazioni erronee e inesatte e aver lavorato con 'stranieri' (nel redigere il report per una rete tv londinese, con il pretesto che l'organo d'informazione non è registrato presso l'Ufficio stampa della Striscia di Gaza)."

Nel suo reportage, la Harb ha parlato degli intermediari che ottengono i trasferimenti dei pazienti negli ospedali israeliani e stranieri in cambio di tangenti. La giornalista ha contattato uno di questi intermediari e gli ha detto che voleva uscire dalla Striscia per recarsi in Cisgiordania a sposare un uomo del posto. È riuscita a ottenere il permesso e ha anche ottenuto la possibilità di ricevere cure mediche nell'ospedale al-Makassed di Gerusalemme Est, previo pagamento di una tangente a un medico locale. Ha inoltre scoperto diversi trasferimento falsi a nome del figlio di un alto dirigente palestinese della Striscia di Gaza, ottenuti per terminare i suoi studi in Cisgiordania. La giornalista ha anche trovato un uomo che sosteneva di lavorare per il Servizio di Sicurezza Preventiva dell'Ap e si vantava di poter procurare un permesso per cure mediche fuori dalla Striscia di Gaza in cambio di 200 dollari. Un altro palestinese ha acquistato un permesso medico per lasciare Gaza e andare a lavorare in un ristorante a Ramallah.

Hamas dice di combattere la corruzione dei funzionari che rovinano la vita dei pazienti palestinesi. In realtà, il movimento è troppo occupato a infastidire i giornalisti che dicono la verità. Il regime dell'Ap, da parte sua, non è molto felice dello scandalo.

Il Sindacato dei giornalisti palestinesi, con sede in Cisgiordania, ha biasimato Hamas per condotta persecutoria nei confronti della Harb. Ma questa critica va più vista nel contesto della lotta di potere tra l'Ap e Hamas piuttosto che come una preoccupazione per le libertà pubbliche.

In una dichiarazione, il sindacato ha criticato Hamas per aver sottoposto a interrogatorio la Harb definendo questo atto come una "grave violazione del lavoro dei media e della libertà di espressione", nei Territori palestinesi. Il sindacato ha sottolineato il diritto dei giornalisti a non rivelare l'identità delle loro fonti, aggiungendo che la Harb aveva rispettato tutte le norme morali, giuridiche e deontologiche.

Najat Abu Baker, membro del Consiglio legislativo palestinese che appartiene a Fatah, la fazione del presidente dell'Ap Mahmpud Abbas, è stata una dei pochi politici della Cisgiordania che ha osato esprimersi contro lo scandalo della corruzione.

Nelle sue parole, la corruzione in seno al Dipartimento dell'Ap preposto al trasferimento all'estero dei pazienti l'ha trasformato in un organismo "mafioso guidato da personaggi influenti". La Abu Baker ha accusato il ministero di sfruttare i residenti indigenti della Striscia di Gaza e sprecare il denaro pubblico:

"La questione dei permessi per motivi medici è diventata un business e gli unici che stanno pagando il prezzo sono i pazienti della Striscia di Gaza. Centinaia di questi pazienti che sono morti sono vittime delle misure prese dal Ministero".

La parlamentare ha chiesto l'istituzione di una commissione d'inchiesta sullo scandalo della corruzione. Ha osservato che molti pazienti della Striscia di Gaza sono morti in attesa di un trasferimento ospedaliero, mentre altri, che non erano malati, hanno ottenuto i permessi grazie al nepotismo e alla corruzione.

"I mercanti di morte alterano il destino dei nostri pazienti. È ora di dire la verità in modo che possiamo sbarazzarci della mafia di distruzione e porre fine al commercio delle vite dei nostri pazienti".

Lo scandalo dei permessi medici è un'ulteriore prova del fatto che Hamas e l'Autorità palestinese sfruttano spudoratamente la loro popolazione per scopi politici e finanziari. L'Ap approfitta del suo potere per rilasciare permessi medici al fine di esercitare pressioni sui palestinesi della Striscia di Gaza affinché si rivoltino contro Hamas. I suoi funzionari vendono i permessi in cambio di moneta sonante. Hamas, che continua a tenere in ostaggio l'intera Striscia, ha le sue idee su come il denaro vada speso. Gli ospedali di Gaza sarebbero attrezzati meglio se Hamas usasse il denaro per costruire centri medici anziché tunnel utilizzati per contrabbandare armi dall'Egitto e compiere attacchi contro Israele. Se i permessi medici vengono venduti al miglior offerente palestinese, allora ci si chiede: 'Quanto costa un permesso per fare chiarezza sul comportamento dei leader palestinesi?'.

Khaled Abu Toameh è un pluripremiato giornalista che vive a Gerusalemme.
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Messaggioda Berto » sab ott 08, 2016 9:36 pm

Panico in Algeria: le mappe sui libri mostrano Israele. Ritirati e mandati al macero
Ott 7, 2016

http://www.rightsreporter.org/panico-in ... ialWarfare

Momenti di panico al Ministero della Istruzione algerino quando si sono accorti che i libri di geografia destinati alle scuole medie del Paese nordafricano mostravano (giustamente) lo Stato di Israele e non la “grande Palestina”. Per l’Algeria è inconcepibile che ai bambini venga insegnata la vera geografia, meglio raccontargli la storia dell’isola che non c’è e negare l’esistenza di Israele continuando ad allevare le nuove generazioni arabe nell’odio e nella menzogna.

Immediato l’ordine di ritirare tutti i libri di testo che contenevano questa “bestemmia” e altrettanto immediata l’apertura di una inchiesta sull’editore del libro di testo che adesso potrebbe anche rischiare grosso anche perché il libro di testo non si limitava solo a indicare l’esistenza di Israele nelle mappe geografiche, ma molto più spudoratamente nominava lo Stato Ebraico.
Esposto alla Commissione Europea

Appresa la notizia Rights Reporter ha inviato attraverso canali messi a disposizione dalla UE un esposto alla Commissione Europea per chiedere se i libri di testo delle scuole algerine sono o meno finanziati dall’Unione Europea a seguito dell’accordo denominato “European Neighbourhood and Partnership instrument in Algeria” firmato nel 2010. Nel caso la risposta sia affermativa (come crediamo) riteniamo che sia un obbligo della Unione Europea interrompere immediatamente qualsiasi finanziamento all’Algeria in quanto la decisione di negare l’esistenza di Israele è chiaramente un tentativo di alimentare odio antisemita e di crescere i bambini algerini nella menzogna oltre che nell’ottica dell’odio, tutti punti che vanno contro i maggiori trattati europei e anche contro qualsiasi visione di moderno sviluppo. Attendiamo come sempre una risposta tempestiva dalla UE ribadendo comunque che in base alle convenzioni europee l’Europa è tenuta a vigilare sull’uso del denaro destinato allo sviluppo e alla istruzione affinché non succeda che con il denaro dei contribuenti europei si alimenti l’odio verso chicchessia.
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Messaggioda Berto » lun ott 10, 2016 9:27 pm

C’è chi in Italia giustifica ancora il terrorismo palestinese
Ospitate in talk show, cariche istituzionali e diffusione per mezzo dei Social Network. Ecco come chi ergendosi a difensore della causa palestinese sostiene i terroristi assassini di innocenti
10 ottobre 2016

http://www.progettodreyfus.com/ce-itali ... alestinese

Dopo l'attentato di ieri avvenuto a Gerusalemme in cui un palestinese, Misbah Abu Sbeih, già noto alle forze dell'ordine israeliane, ha ucciso 2 persone e ne ha ferite 6, torna in me quella voglia sfrenata di raccontare la verità. Quella verità tanto palese ma altrettanto celata inverosimilmente dai media italiani.

Ormai dalle agenzie di stampa e dalle testate editoriali siamo abituati a leggere di tutto, soprattutto notizie di cui l'ordine cronologico degli eventi è sistematicamente invertito facendo passare le vittime (gli israeliani) per carnefici (ruolo spesso ricoperto con orgoglio dai palestinesi). Quel che però mi fa rabbrividire è quel meccanismo perverso secondo il quale in molti dei talk show italiani sono spesso invitati personaggi che giustificano, supportano e elogiano un terrorismo palestinese rivolto troppo spesso contro inermi civili israeliani. In tutto questo di contraddittorio nemmeno l'ombra.

Personaggi come Davide Piccardo, Chaimaa Fatihi, Sulaiman Hijazi e altri giovani legati a fantomatiche associazioni per la pace (o in alcuni casi direttamente al mondo dei Fratelli Musulmani) hanno ormai un ruolo fisso in questi programmi sempre pronti a ricordare come la colpa di ogni male, dalla povertà alla fame del mondo, sia sempre colpa d'Israele.

Nessuno ricorda alcuni loro post in cui giustificano massacri di civili inermi e chiudono un occhio davanti al terrorismo. Oggi se si parla di terrorismo tutti sobbalzano dalla sedia ma stranamente quando la matrice è quella palestinese tutto tace.

Trovo infatti inumano sostenere la tesi che a fronte di una guerra che dura ormai da 70 anni si possa giustificare l'uccisione a sangue freddo di una signora di 60 che tornava a casa serenamente dopo essere stata al mercato accusandola di essere "una sporca sionista colona" facendo passare inoltre l'assassino come martire ed eroe. E i primi a sostenere queste tesi, oltre agli scimmiottatori nostrani sono proprio i leader palestinesi di Hamas e Al Fatah, i quali da una parte mostrano al mondo la propria fame di avere uno stato Palestinese e dall'altra incitano all'uccisione degli ebrei con ogni mezzo.

Proprio gruppi come Hamas, Al Fatah, FPLP, Jihad Islamica (e tanti altri sotto-gruppi palestinesi) di partigiano non hanno davvero nulla. Per queste organizzazioni terroristiche la "resistenza" è l'unico fattore in comune solo se letta nell'ottica di voler uccidere gli ebrei.

Mi piacerebbe avere l'opportunità di raccontare questi concetti in TV, davanti a milioni di italiani, proprio come loro propinano le loro tesi. Sbatterli educatamente in faccia a chi sostiene la morte invece che la vita. Sarebbe cosa giusta che gli italiani che ascoltano passivamente le solite storielle di Pallywood sapessero il vero pensiero di questi personaggi. Chissà, forse le redazioni del servizio pubblico e di alcune emittenti private un giorno si degneranno di raccontare davvero come stanno le cose e la smetteranno di dare visibilità, credito e fama a questi signori.
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Messaggioda Berto » ven ott 14, 2016 8:07 am

Noi palestinesi abbiamo la chiave per un futuro migliore
di Bassem Eid
12 ottobre 2016

http://www.linformale.eu/4118-2

Sono un orgoglioso palestinese che è cresciuto in un campo profughi e ha allevato una grande famiglia. Voglio la pace e la prosperità per la mia gente. Voglio porre fine alla miseria e alla distruzione.

Dopo 66 anni di errori e occasioni mancate, è giunto il momento per noi palestinesi di creare le condizioni per la pace e lavorare per un futuro migliore. È ora che smettiamo di fare finta che siamo in grado di distruggere Israele o buttare a mare gli ebrei. È ora che smettiamo di ascoltare i radicali islamici o i regimi arabi che ci usano per continuare una guerra inutile, distruttiva, e immorale con Israele.

Cerchiamo di essere realistici. Noi palestinesi non ci stiamo comportando bene.

A Gaza, le nostre scuole sono controllate da fanatici musulmani che indottrinano i nostri figli, e Hamas usa i nostri civili come scudi umani in una battaglia persa contro Israele. Hamas mantiene il potere con la violenza e si assicura che il denaro venga speso per il suo arsenale piuttosto che per rendere migliore la vita dei palestinesi. Mentre il presidente Abbas è pronto a denunciare Israele ogni volta che attacca Hamas, non ha assolutamente alcuna possibilità di fermare Hamas dal provocare Israele.

In Cisgiordania, mentre Abu Mazen non è stato in grado di fermare la costruzione di insediamenti israeliani, gli unici buoni posti di lavoro sono con aziende israeliane, e il movimento BDS (Boicottaggio, sanzioni e disinvestimento) sta facendo del suo meglio per allontanare quei posti di lavoro. Abbas gestisce una dittatura corrotta che utilizza i fondi internazionali per consolidare la propria amministrazione, piuttosto che per sviluppare l’economia palestinese.

A Gerusalemme Est, alla PA si dà così poca fiducia che la maggior parte dei palestinesi preferirebbero vivere sotto il governo israeliano piuttosto che sotto il dominio PA, tuttavia alcuni di noi non sembrano in grado di vivere in pace con gli ebrei.

Nei campi palestinesi nei paesi arabi i nostri diritti umani sono costantemente violati e siamo semplicemente utilizzati dai nostri ospiti arabi per promuovere i loro scopi.

Nonostante quello che ci raccontiamo, Israele è qui per rimanerci. Inoltre, ha il diritto di esistere. È la nazione degli ebrei, ma anche una nazione per gli arabi israeliani che hanno una vita migliore rispetto agli arabi ovunque nei paesi arabi. Dobbiamo accettare questi fatti e andare avanti. L’antisemitismo promosso da Hamas, Fatah, e il movimento BDS, non è la risposta per noi palestinesi.

La risposta è di vivere in pace e in democrazia, fianco a fianco con Israele. Abbiamo perso molte opportunità per farlo. La abbiamo persa nel 1947, quando i regimi arabi ci hanno incoraggiato a rifiutare il piano di spartizione delle Nazioni Unite. La abbiamo persa tra il 1948 e il 1967 quando abbiamo rifiutato di creare uno stato vicino a Israele. La abbiamo persa di nuovo ogni volta che abbiamo rifiutato una soluzione a due stati che ci fu presentata.

Eppure sappiamo che gli israeliani vogliono vivere in pace e che la stragrande maggioranza degli israeliani è amichevole e di buon vicinato. Sappiamo che i risultati della violenza palestinese nei confronti degli israeliani ha scoraggiato questi ultimi a essere favorevoli alla pace e li ha incoraggiati semmai a eleggere governi di destra. Sappiamo che l’Egitto è stato in grado di garantire un accordo di pace molto favorevole con Israele, perché l’Egitto è stato d’accordo nell’accettare Israele e di rinunciare alla violenza. Sappiamo che l’approccio soft con Israele funziona, eppure continuiamo a usare la violenza e la retorica estremista.

Israele non accetterà mai un grande afflusso di palestinesi che avrebbe cambiato il carattere ebraico di Israele. Ciò significa che, insistendo sul ritorno di milioni di profughi in Israele è pura illusione. In aggiunta a ciò, i villaggi di cui raccontiamo ai profughi palestinesi dove loro un giorno dovrebbero tornare non esistono più. Stiamo semplicemente mentendo a noi stessi.

Per fare la pace con Israele, dobbiamo cambiare il nostro approccio. Dobbiamo accettare il fatto che il diritto al ritorno sarà risolto attraverso una compensazione finanziaria che permetterà ai rifugiati palestinesi di stabilirsi o nei paesi arabi o in Palestina. Dobbiamo accettare il fatto che la sicurezza di Israele è una chiave per qualsiasi soluzione. Dobbiamo accettare il fatto che Gerusalemme Est potrebbe dover rimanere parte di Israele.

Il nostro più importante cambiamento di approccio, tuttavia, quello con cui avremo bisogno dell’aiuto della comunità internazionale, è che abbiamo bisogno di un governo democraticamente eletto e secolare che risponda alle esigenze della nostra gente. Come ho scritto nel mese di agosto 2008 con Nathan Sharansky, ex dissidente sovietico e autore del libro “The Case for Democracy”, non ci sarà pace senza democrazia. Finché il cosiddetto leader palestinese è in grado di utilizzare i fondi internazionali per consolidare la propria rete di compari corrotti, i palestinesi non si fideranno di lui, e cercheranno un’altra alternativa, che sembra purtroppo essere Hamas.

Come Sharansky ed io abbiamo scritto nel 2008, la logica israeliana e internazionale che il rafforzamento di un leader corrotto e non democratico farà in modo che egli sia “in grado di combattere Hamas e forgiare una pace definitiva con Israele” non funziona. Quasi sette anni dopo, è ancora più chiaro che questo approccio non porta da nessuna parte. Il presidente Abbas non ha alcuna credibilità tra i palestinesi, e anche se voleva un accordo di pace (che sembra dubbia), non ha alcuna possibilità di venderla al pubblico palestinese.

Ciò di cui noi palestinesi abbiamo bisogno è una forte società civile e delle istituzioni democratiche forti, e abbiamo bisogno di una fine alle violazioni dei diritti umani, compresi quelli perpetrati da palestinesi e altri arabi. I ben intenzionati donatori internazionali devono garantire che il loro denaro venga speso verso questo obiettivo, e non verso il puntellare Hamas o Fatah. Non vi è dubbio che è necessario molto lavoro, ma per lo meno abbiamo bisogno di invertire l’attuale tendenza che sta portando la società palestinese alla deriva e sempre più verso un governo corrotto e brutale, sia a Gaza che in Cisgiordania. Ironia della sorte, è solo a Gerusalemme Est, sotto il governo israeliano, che la maggior parte dei palestinesi si sentono adeguatamente rappresentati dai loro politici.

Nonostante la nostra situazione attuale, credo che il nostro futuro sarà luminoso se faremo ciò che è necessario per raggiungere la pace. Possiamo avere una democrazia secolare che persegue i nostri stessi interessi. Possiamo vivere in pace con Israele e gli ebrei, e possiamo beneficiare del successo economico di Israele e dei valori democratici. Abbiamo il potere per trasformare un nemico di lunga data in un amico. Abbiamo una scelta, e siamo in grado di esercitare questa scelta verso un futuro migliore per il nostro popolo.

Articolo di Bassem Eid per Times of Israel, tradotto in italiano da Diego Manca
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Basta finansiar el terorixmo ixlamego pałestinexe antiebreo

Messaggioda Berto » gio dic 08, 2016 12:56 pm

La menzogna sovietico-palestinese
di Judith Bergman
8 dicembre 2016
Pezzo in lingua originale inglese: The Soviet-Palestinian Lie
Traduzioni di Angelita La Spada

https://it.gatestoneinstitute.org/9515/ ... -sovietica


"L'OLP è stata concepita dal KGB, che aveva un debole per le organizzazioni di 'liberazione'." — Ion Mihai Pacepa, ex capo del Servizio di informazioni estere dell'intelligence romena.

"Innanzitutto, il KGB distrusse i documenti ufficiali che certificavano la nascita di Arafat al Cairo, rimpiazzandoli con documenti falsi che lo facevano figurare nato a Gerusalemme e, pertanto, palestinese di 'nascita'". — Ion Mihai Pacepa.

"Il mondo islamico era una piastra di Petri in cui potevamo coltivare un ceppo virulento di odio antiamericano e antisraeliano, cresciuto dal batterio del pensiero marxista-leninista. L'antisemitismo islamico ha radici profonde... Dovevamo solo continuare a ripetere i nostri argomenti – che gli Stati Uniti e Israele erano 'paesi fascisti, imperial-sionisti" finanziati da ricchi ebrei." — Yuri Andropov, ex capo del KGB.

Già nel 1965, l'Urss propose ufficialmente una risoluzione all'ONU che condannava il sionismo come colonialista e razzista. Sebbene il tentativo fallì, le Nazioni Unite si rivelarono grate all'Unione Sovietica per l'intolleranza e la propaganda e nel novembre del 1975 fu alla fine approvata la Risoluzione 3379 che condannava il sionismo come "una forma di razzismo e discriminazione razziale".

La recente scoperta che Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità palestinese (Ap) era una spia del KGB a Damasco nel 1983, è stata definita dai media mainstream come una "curiosità storica", se non fosse che la notizia è venuta fuori in modo inopportuno nel momento in cui il presidente Vladimir Putin stava cercando di organizzare un incontro tra Abbas e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per far ripartire i colloqui di pace. Com'era prevedibile, l'Autorità palestinese ha respinto la notizia. Nabil Shaath, dirigente di Fatah, ha negato che Abbas sia mai stato un agente operativo del KGB e ha parlato di "campagna diffamatoria".

La scoperta, ben lungi dall'essere una "curiosità storica", è un aspetto di uno dei tanti tasselli del puzzle delle origini del terrorismo islamico del XX-XXI secolo. Quelle origini sono quasi sempre offuscate e occultate nei tentativi malcelati di presentare una particolare narrativa sulle cause del terrorismo contemporaneo, biasimando qualsiasi prova del contrario come "teoria del complotto".

Non c'è nulla di cospiratorio riguardo alla recente rivelazione che arriva da un documento degli archivi Mitrokhin custoditi dal Churchill Archives Center dell'Università di Cambridge, nel Regno Unito. Vasily Mitrokhin era un alto funzionario del servizio di intelligence sovietico, poi degradato ad archivista del KGB. Mettendo la sua vita in grave pericolo, ha trascorso 12 anni a copiare diligentemente i dossier segreti del KGB che erano secretati (gli archivi dell'intelligence estera del KGB non sono stati aperti al pubblico, nonostante il crollo dell'Unione Sovietica). Quando Mitrokhin disertò nel 1992 rifugiandosi nel Regno Unito, portò con sé i documenti copiati. Le parti declassificate dell'archivio Mitrokhin sono state portate a conoscenza dell'opinione pubblica negli scritti del professor Christopher Andrew, docente dell'Università di Cambridge, che è coautore del libro del disertore sovietico L'archivio Mitrokhin (pubblicato in due volumi). Gli archivi di Mitrokhin portarono, tra le altre cose, alla scoperta di molte spie del KGB in Occidente e altrove.

Purtroppo, la storia dell'entità dell'influenza del KGB e delle informazioni fasulle non è così nota come dovrebbe essere, considerando l'enorme influenza che l'organo di polizia segreta dell'Unione Sovietica ha esercitato sulle questioni internazionali. Il KGB ha condotto operazioni ostili contro la NATO, contro il dissenso democratico in seno al blocco sovietico e ha messo in moto eventi sovversivi in America Latina e in Medio Oriente, con ripercussioni fino ad oggi.

Inoltre il KGB è stato un attore molto attivo nella creazione dei cosiddetti movimenti di liberazione in America Latina e in Medio Oriente, movimenti coinvolti nel terrorismo letale, come documentato tra l'altro nell'Archivio Mitrokhin e anche nei libri e negli scritti di Ion Mihai Pacepa, l'ufficiale comunista più alto in grado che abbia disertato dall'ex blocco sovietico.

Pacepa era ex capo del Servizio di informazioni estere dell'intelligence romena e consigliere personale del leader comunista romeno Nicolae Ceausescu prima che disertasse negli Stati Uniti nel 1978. Pacepa ha lavorato con la CIA per più di dieci anni per sconfiggere il comunismo; l'agenzia ha descritto la sua cooperazione come "un importante e straordinario contributo agli Stati Uniti".

In un'intervista del 2004 a FrontPage Magazine, Pacepa disse:

L'OLP è stata concepita dal KGB, che aveva un debole per le organizzazioni di 'liberazione'. C'era l'Esercito di liberazione nazionale della Bolivia, creato nel 1964 dal KGB con l'aiuto di Ernesto "Che" Guevara (...) il KGB ha anche creato il Fronte per la liberazione della Palestina, che ha compiuto numerosi attacchi dinamitardi. (...) Nel 1964, il primo Consiglio dell'OLP, composto da 422 rappresentanti palestinesi selezionati con cura dal KGB, approvò la Carta nazionale palestinese – un documento che era stato redatto a Mosca. Anche il Patto nazionale palestinese e la Costituzione palestinese sono nati a Mosca, con l'aiuto di Ahmed Shuqairy, un influente agente del KGB che è diventato il primo presidente dell'OLP...

Nel Wall Street Journal, Pacepa ha spiegato come il KGB costruì Arafat, o nel gergo corrente, come costruirono una narrativa per lui:

Egli era un borghese egiziano trasformato in un devoto marxista dall'intelligence estera del KGB. Il KGB lo aveva formato nella sua scuola per operazioni speciale a Balashikha, cittadina a est di Mosca e a metà degli anni Sessanta decise di prepararlo come futuro leader dell'OLP. Innanzitutto, il KGB distrusse i documenti ufficiali che certificavano la nascita di Arafat al Cairo, rimpiazzandoli con documenti falsi che lo facevano figurare nato a Gerusalemme e, pertanto, palestinese di nascita.

Come ha scritto lo scomparso storico Robert S. Wistrich in A Lethal Obsession, la guerra dei sei giorni scatenò una lunga e intensa campagna da parte dell'Unione Sovietica volta a delegittimare Israele e il movimento per l'autodeterminazione ebraica, conosciuto come sionismo. Ciò è stato fatto al fine di porre rimedio ai danni creati al prestigio dell'Urss dopo che Israele sconfisse i suoi alleati arabi:

Dopo il 1967, l'Urss cominciò a inondare il mondo di un costante flusso di propaganda antisionista. (...) I nazisti, nei loro dodici anni di potere, furono gli unici che siano mai riusciti a produrre un flusso sostenuto di false calunnie a mezzo stampa come strumento della loro politica interna ed estera.[1]

Per questo l'Urss utilizzò una serie di parole-chiave naziste per descrivere la sconfitta inflitta da Israele all'aggressione araba del 1967, e molte di queste parole-chiave sono ancora usate oggi dalla sinistra occidentale nei confronti di Israele, come ad esempio "esperti di genocidio", "razzisti", "campi di concentramento" e "Herrenvolk".

Inoltre, l'Urss intraprese una campagna internazionale di diffamazione nel mondo arabo. Nel 1972, l'Unione Sovietica lanciò l'operazione "SIG" (Sionistskiye Gosudarstva o "Governi sionisti"), onde ritrarre gli Stati Uniti come "un arrogante e altezzoso feudo ebraico finanziato dal denaro ebraico e governato da politici ebrei, il cui obiettivo era quello di subordinare tutto il mondo islamico". Circa 4.000 agenti furono inviati dal blocco sovietico nel mondo islamico, armati di migliaia di copie dei Protocolli dei Savi anziani di Sion, falso documentale utilizzato dalla Russia zarista. Secondo Yuri Andropov, capo del KGB:

"Il mondo islamico era una piastra di Petri in cui potevamo coltivare un ceppo virulento di odio antiamericano e antisraeliano, cresciuto dal batterio del pensiero marxista-leninista. L'antisemitismo islamico ha radici profonde... Dovevamo solo continuare a ripetere i nostri argomenti – che gli Stati Uniti e Israele erano 'paesi fascisti, imperial-sionisti" finanziati da ricchi ebrei. L'Islam era ossessionato dall'idea di evitare l'occupazione del suo territorio da parte degli infedeli ed era assolutamente ricettivo al ritratto da noi fatto del Congresso americano come un rapace organismo sionista volto a trasformare il mondo in un feudo ebraico.

Già nel 1965, l'Urss aveva proposto ufficialmente una risoluzione all'ONU che condannava il sionismo come colonialista e razzista. Sebbene il tentativo fallì, le Nazioni Unite si rivelarono grate all'Unione Sovietica per l'intolleranza e la propaganda e nel novembre del 1975 fu alla fine approvata la Risoluzione 3379 che condannava il sionismo come "una forma di razzismo e discriminazione razziale". Ciò fece seguito a quasi un decennio di diligente propaganda sovietica rivolta al Terzo Mondo, che descriveva Israele come un cavallo di Troia per l'imperialismo occidentale e il razzismo. Questa campagna fu concepita allo scopo di raccogliere consensi a favore della politica estera sovietica in Africa e Medio Oriente.[2] Un'altra strategia consisteva nel fare comparazioni visive e verbali nei media sovietici tra Israele e il Sud Africa (questa è l'origine della frottola "apartheid israeliana").

Il Terzo Mondo e la sinistra occidentale si sono bevuti tutta questa propaganda sovietica. E la sinistra occidentale continua a disseminarla in gran parte. In realtà, diffamare qualcuno, chiunque esso sia, definendolo razzista, è diventata una delle armi primarie della sinistra da utilizzare contro chi non condivide le sue posizioni.

Parte delle tattiche sovietiche volte a isolare Israele facevano apparire l'OLP come un'organizzazione "rispettabile". Secondo Pacepa, questo era il compito assegnato al leader romeno Nicolae Ceausescu, che riuscì nell'impresa improbabile di far credere all'Occidente che lo spietato Stato di polizia romeno fosse un paese comunista "moderato". Niente di più lontano dalla verità, come alla fine si scoprì nel processo del 1989 contro Nicolae Ceausescu e la moglie Elena, che si concluse con l'esecuzione della coppia [fucilata da un plotone di esecuzione, N.d.T.].

Yasser Arafat (a sinistra nella foto) con il leader romeno Nicolae Ceausescu durante una visita a Bucarest nel 1974. (Fonte dell'immagine: Museo Nazionale di Storia della Romania)

Pacepa ha scritto nel Wall Street Journal:

Nel marzo del 1978 condussi in gran segreto Arafat a Bucarest per le istruzioni finali su come comportarsi a Washington. "Devi solo far finta di rompere con il terrorismo e riconoscere Israele, ancora, e ancora e ancora", disse Ceausescu ad Arafat. (...) Ceausescu era euforico all'idea che Arafat e lui potessero riuscire ad accaparrarsi un Premio Nobel per la pace con la loro farsa del ramoscello d'ulivo.

... Ceausescu non riuscì a ottenere il suo Premio Nobel per la pace. Ma nel 1994 Arafat lo ricevette, proprio perché continuò a interpretare alla perfezione il ruolo che gli avevano affidato. Aveva trasformato la sua OLP terrorista in un governo in esilio (l'Autorità palestinese), fingendo sempre di porre fine al terrorismo palestinese, pur continuando ad alimentarlo. Due anni dopo la firma degli accordi di Oslo, il numero degli israeliani uccisi dai terroristi palestinesi era aumentato del 73 per cento.

Nel suo libro Orizzonti rossi, Pacepa ha riportato quello che disse Arafat nel corso di un incontro che ebbe con lui nel quartier generale dell'OLP a Beirut, nel periodo in cui Ceausescu cercava di rendere l'OLP "rispettabile":

Sono un rivoluzionario. Ho dedicato la mia intera vita alla causa palestinese e alla distruzione di Israele. Non cambierò, né scenderò a compromessi. Non sarò d'accordo su qualcosa che riconosce Israele come Stato. Mai... Ma sono sempre disposto a far credere all'Occidente che voglio fare quello che il Fratello Ceausescu vuole che io faccia.[3]

La propaganda ha aperto la strada al terrorismo, ha spiegato Pacepa in National Review:

Il generale Aleksandr Sakharovsky, che creò la struttura di intelligence della Romania comunista e poi diresse l'intelligence estera della Russia sovietica, spesso mi diceva: "Nel mondo di oggi, in cui le armi nucleari hanno reso obsoleta la forza militare, il terrorismo dovrebbe diventare la nostra arma principale".

Il generale sovietico non stava scherzando. Solo nel 1969 ci furono 82 dirottamente aerei in tutto il mondo. Secondo Pacepa, la maggior parte di questi dirottamenti fu compiuta dall'OLP o da gruppi affiliati, tutti appoggiati dal KGB. Nel 1971, quando Pacepa incontrò Sakharovsky nell'ufficio di quest'ultimo nel palazzo della Lubjanka (sede del KGB), il generale si vantava: "I dirottamenti aerei sono una mia invenzione". Al Qaeda usò la tattica del dirottamento dei voli di linea per gli attentati dell'11 settembre, facendo schiantare gli aerei contro gli edifici e provocandone il crollo.

E Mahmoud Abbas che ruolo ha in tutto questo? Nel 1982, Mahmoud Abbas studiava a Mosca presso l'Istituto di Studi orientali dell'Accademia delle Scienze dell'Urss. (Nel 1983 divenne una spia del KGB.) A Mosca, egli scrisse la sua tesi di dottorato, pubblicata in arabo, dal titolo "L'altra faccia: Le relazioni segrete tra il nazismo e i capi del movimento sionista". Nella sua dissertazione, Abbas ha negato l'esistenza delle camera a gas nei campi di concentramento e ha messo in discussione il numero delle vittime dell'Olocausto definendo i sei milioni di ebrei che erano stati uccisi "una fantastica menzogna", accusando al contempo gli ebrei stessi dell'Olocausto. Il relatore della sua tesi era Yevgeny Primakov, che in seguito divenne ministro degli Esteri della Russia. Anche dopo aver finito la tesi, Abbas ha mantenuto stretti legami con la dirigenza sovietica, l'esercito e i membri dei servizi di sicurezza. Nel gennaio del 1989, Abbas fu nominato copresidente del Comitato di lavoro palestinese-sovietico (e poi russo-palestinese) sul Medio Oriente.

La notizia che l'attuale leader degli arabi palestinese era un accolita del KGB – le cui macchinazioni hanno provocato la morte di migliaia di persone solo in Medio Oriente – non può essere liquidata come una "curiosità storica", anche se gli opinionisti contemporanei preferirebbero vederla come tale.

Anche se Pacepa e Mitrokhin hanno lanciato l'allarme molti anni fa, solo in pochi si sono preoccupati di ascoltarli. Occorre farlo.

Judith Bergman è avvocato, scrittrice, editorialista, e analista politica.

[1] Robert S. Wistrich, 'A Lethal Obsession' (2010) p 139.

[2] Robert S. Wistrich, 'A Lethal Obsession' (2010), p 148.

[3] Ion Mihai Pacepa, 'Red Horizons' (1990) p 92-93.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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