Islam in Giappone

Islam in Giappone

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 8:10 am

Islam in Giappone
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2168


I musulmani ciapanghexi en Ciapango łi xe poco pì de 60miła e i foresti łi xe manco de 100miła so 127 miłioni de ciapanghexi; łi xe cusita poki ke no łi xe sentesti cofà on pericoło e ła dotrina xlamega no ła fa proxełeti, i ciapanghexi no łi se sente par gnente atrati dal credo xlamego.
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Re: Ixlam e Ciapango (Giappone)

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 8:11 am

???

Terrorismo Islamico: perché non esiste in Giappone
10 settembre 2015
Articolo a cura di Cristiano Ruzzi dell’Associazione culturale Zenit

http://www.associazioneculturalezenit.org/?p=3505

Negli ultimi anni, oltre alla crisi economica, il mondo ha dovuto affrontare anche il problema emergente dell’estremismo islamico e, per confermare ciò, basta dare un’occhiata ai numeri sempre più crescenti degli attacchi terroristici nel mondo.
Dal 2011, con la comparsa sulla scena mondiale dell’ISIS, il numero delle vittime degli attacchi di fattrice islamica è nettamente cresciuto, assieme alla quota di Musulmani nel terrorismo mondiale che è sempre più in costante avvicinamento al 100%.
Nel 2013, secondo il Dipartimento di Stato Statunitense, un totale di 9.707 attacchi di origine terrorista è avvenuto in tutto il mondo, provocando più di 17.800 morti e più di 32.500 feriti. In aggiunta, più di 2.990 persone sono scomparse o sono state prese in ostaggio. Le informazioni riguardo i perpetratori sono state riportate, dal materiale di base, per il 32% degli attacchi terroristi nel 2013.
E di questo 32%, solo tre gruppi terroristici musulmani, i Talebani, ISIS e Boko Haram, sono stati ritenuti responsabili di 5.655 morti, all’incirca del 31.76 percento. Ciò vuol dire che della prima percentuale la stragrande maggioranza sono state perpetrate da soli tre gruppi terroristici, ossia più del 50% che esiste in questo mondo sempre più turbolento.
A questo punto sembrerebbe che non ci sia un singolo Paese dove i musulmani non possano innalzare le proprie bandiere, invece no! Esiste uno Stato abbastanza singolare, non uniforme al pietismo che oramai prevale sempre di più nel continente americano ed europeo, dove non è stato finora perpetrato un attacco terroristico sul proprio suolo. Il nome di questo Paese è il Giappone.
Ovviamente, si penserà che il Giappone ha raggiunto questo risultato attraverso politiche d’integrazione super efficaci, attraverso l’utilizzo delle più avanzate tecnologie ed assegnando miliardi di yen nella costruzione di centinaia di moschee e di scuole islamiche in tutto il territorio nazionale, vietando il maiale nei luoghi pubblici, introducendo ore separate per maschi e femmine nelle piscine, con i dottori maschili che non osano toccare i genitali delle loro pazienti, le donne musulmane che ottengono un immenso aiuto sociale ogni volta che hanno un figlio, i tribunali della Sharia introdotti nel sistema giudiziario giapponese ed, infine, il Corano che viene considerato come un testo sacro.
Niente di tutto questo. La soluzione a tale rompicapo è tanto semplice, quanto efficace: il Giappone è semplicemente chiuso ai musulmani, non nel senso che sono banditi, ma che il numero di permessi date alle persone provenienti dai Paesi islamici è molto basso. Ottenere un visto di lavoro non è facile per chi profeta la religione di Maometto, anche se sono fisici, ingegneri e manager mandati da compagnie straniere che sono attive nella regione. Come risultato, il Giappone è un “Paese senza musulmani”.
Non c’è una stima precisa della popolazione musulmana. Secondo la dichiarazione dell’ex presidente dell’Associazione Islamica Giapponese Abu Bakr Morimoto “per dirla francamente, solo un migliaio. Nel senso più ampio, voglio dire, se non escludiamo coloro che sono diventati musulmani per motivi, diciamo, matrimoniali, e non praticano la religione: allora il numero sarebbe di poche migliaia”.
Invece, uno dei leader della comunità Islamica in Giappone, Nur Ad – Din Mori, alla domanda “Che percentuale della popolazione totale del Giappone è musulmana?” ha risposto “Uno su centomila”.
Attualmente la popolazione Giapponese è di 130 milioni e quindi, se le risposte dei due leader Islamici sono corrette, dovrebbero esseri circa 1300 musulmani. Ma anch’essi, che hanno ottenuto i permessi dall’immigrazione e vivono da molti anni nel Paese hanno pochissime chance di diventare cittadini a tutti gli effetti.
Ufficialmente il Giappone vieta di esortare le persone ad adottare la religione dell’Islam, e qualsiasi musulmano che incoraggi ciò è visto come proselite di una cultura straniera indesiderabile. I promotori, per l’appunto, che sono troppo attivi rischiano la deportazione e, qualche volta, dure condanne di carcere.
La lingua arabe è insegnata in pochissimi istituti accademici: se ne può trovare, infatti, soltanto uno, l’Istituto Arabo Islamico a Tokyo. Inoltre l’università internazionale, sempre nella Capitale, non offre corsi di arabo. Importare il Corano in Arabo è praticamente impossibile, ed è permesso solo la versione adattata in Giapponese.
Fino a poco tempo fa, c’erano solo due moschee in Giappone: la Tokyo Jama Masjid e la moschea di Kobe. Ora, il numero totale di siti di preghiera è contato in circa trenta moschee a piano singolo ed un centinaio di stanze d’appartamento stanziati per le preghiere, e la società giapponese si aspetta, appunto, che tali persone preghino nelle loro case: non esiste, infatti, alcuna preghiera collettiva nelle strade o nelle piazze, e chi lo fa può ottenere delle multe molto “salate” o, in quei casi in cui la polizia giapponese ritiene seri, espellere dal Paese i partecipanti.
Dal punto di vista lavorativo, le aziende giapponesi in cerca di lavoratori stranieri fanno espressamente notare che non sono interessati ai musulmani. Non esiste alcuna traccia di Sharia, ed il cibo Halal è estremamente difficile da trovare.
La popolazione, in generale, tende a percepire l’Islam come una “religione strana e pericolosa” che un vero cittadino giapponese dovrebbe evitare, e gli omicidi avvenuti ad inizio anno dei due connazionali Haruna Yukawa and Kenji Goto per mano dell’ISIS non ha certamente migliorato la situazione.
La cosa più interessante, di tutto ciò, e che i giapponesi non si sentono in colpa per un approccio così “discriminatorio” all’Islam, e che non dovrebbero chiedere scusa ad alcuno per il modo negativo in cui percepiscono tale religione. Certamente fanno trattati economici con gli arabi per il gas ed il petrolio, questo sì, e mantengono buone relazioni con gli esportatori medesimi, ma non con l’islam, e neanche con l’immigrazione musulmana. E, cosa strana, i musulmani in Giappone non provocano rivolte, non marchiano i giapponesi come “razzisti”, non bruciano macchine, spaccano finestre, tagliano le teste dei soldati per essere stati in Afghanistan, Iraq o in qualunque altro posto sulla Terra – e non c’è stato un singolo giapponese vittima di un attacco terrorista sul proprio suolo nazionale negli ultimi trent’anni.
Che l’Europa, attanagliata non solo dell’estremismo islamico ma anche dell’immigrazione selvaggia, debba prendere da esempio il modello giapponese per trattare direttamente il problema? Chissà.
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Re: Ixlam e Ciapango (Giappone)

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 8:12 am

???

http://www.bufale.net/home/bufala-giapp ... bufale-net

BUFALA – Il Giappone e l’Islam
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bufala-islam-giappone

Sebastian e Francesco ci segnalano questo post pubblicato su Facebook:

ISLAM E GIAPPONE
di Artemisia Gentileschi

Possiamo imparare dal Saggio Giappone?( grazie a Raffaele Ferroni)
Ecco alcune leggi del Giappone

a – Il Giappone è l’unica nazione che non riconosce la cittadinanza ai musulmani.
b – In Giappone non viene rilasciata la residenza permanente ai musulmani.
c – Vi è un forte divieto di diffusione dell’Islam.
- Nelle università non viene insegnato nell’arabo parlato e scritto ne l’islam nelle ore di teologia.
e – Non è possibile imporare il “CORANO” pubblicato in lingua araba.
f – Secondo i dati del governo, è stato dato il soggiorno temporaneo a due lakhs musulmani, che devono seguire le leggi dello stato. I musulmani devono saper parlare giapponese e svolgere i loro riti religiosi nelle loro casa.
g – Il Giappone è l’unico paese che ha un numero minimo di ambasciate dei paesi islamici.
h – I giapponesi non sono attratti dall’Islam e non comprendono la religione islamica
i – I musulmani che vivono in Giappone sono solo i dipendenti di società estere.
l – Le aziende giapponesi includono una politica restrittiva per le assunzioni.
m – Il governo giapponese è del parere che i musulmani sono fondamentalisti, e non sono disposti a cambiare le loro leggi islamiche anche nella attuale era della globalizzazione.
n – Controllo all’interno dei quartieri dove è presente un vicino musulmano.
o – Non sono permesse cellule politiche
p – Non è permessa nessuna legge personale (Sharia)
q – Secondo Mr. Komico Yagi, rettore del dipartimento dell’Università di Tokyo, “C’è una percezione in giapponese che l’Islam è una religione per menti molto strette, e si dovrebbe stare lontano da esso.”

FONTE – Università Seikei – Kanto

Il Giappone è un Paese laico.

La Costituzione giapponese, all’articolo 20, prevede la piena libertà religiosa.

Article 20:

Freedom of religion is guaranteed to all. No religious organization shall receive any privileges from the State, nor exercise any political authority. No person shall be compelled to take part in any religious act, celebration, rite or practice. The State and its organs shall refrain from religious education or any other religious activity.

Tradotto:

È garantita la libertà di religione. Nessuna organizzazione religiosa riceverà alcun privilegio da parte dello Stato e non potrà esercitare alcuna autorità politica. Nessuno può essere costretto a partecipare a qualsiasi atto, celebrazione, rito o pratica religiosa. Lo Stato e i suoi organi si astengono dall’educazione e da qualsiasi attività di tipo religiosa.

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Da questo possiamo ben capire che gran parte dei punti trattati su Facebook vengono meno. Non si conoscono stime esatte dei credenti islamici in Giappone, siccome il governo non raccoglie statistiche sulla religiosità dei suoi cittadini, rispettando la Costituzione.

In merito al punto “h” (“I giapponesi non sono attratti dall’Islam e non comprendono la religione islamica“), risulta che nel 1982 i giapponesi mussulmani erano circa 30 mila, e che dal 1990 sono aumentati perché i giovani nativi giapponesi sposavano donne musulmane.

Nel territorio giapponese sono presenti moschee e altri luoghi adibiti alla preghiera.

Sul punto “q” non esiste alcun rettore del dipartimento dell’Università di Tokio dal nome “Mr. Komico Yagi”. Esiste però un docente di nome Kumiko Yagi, “Professor of Arab/Islamic Studies at Tokyo University of Foreign Studies”, il quale ha smentito tali affermazioni.

Ringraziamo Sebastian e Francesco per la collaborazione.
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Re: Ixlam e Ciapango (Giappone)

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 8:14 am

https://it.wikipedia.org/wiki/Religioni_in_Giappone

La religione in Giappone è caratterizzata dalla mancanza di seguaci di un unico e solo filone religioso, e piuttosto, vi è la tendenza ad accomunare diversi elementi di varie religioni in modo sincretico, tendenza nota come shinbutsu-shūgō (神仏習合? sincretismo di kami e Buddha). Lo shinbutsu-shūgō fu ufficialmente disconosciuto come religione a seguito della restaurazione Meiji nel 1868[3], ma ciò nonostante continua a essere praticato. Lo shintoismo e il buddhismo giapponese quindi devono essere intesi non come due fedi completamente separate e concorrenti, ma piuttosto come un unico complesso sistema religioso.

Ai sensi dell'articolo 20 della sua Costituzione, il Giappone gode di piena libertà religiosa, permettendo ai suoi cittadini di aderire a qualsiasi tipo di fede, tra le quali vi sono anche il cristianesimo, l'islam, l'induismo, e il taoismo. Le cifre statali che parlano di una forbice che va dall'84% al 96% di giapponesi che seguono sia lo shintoismo che il buddhismo non si basano su sondaggi, bensì provengono principalmente dagli atti di nascita, a seguito della pratica consolidata di associare ufficialmente il nome di famiglia ad un locale tempio buddhista o shintoista. Tra la seconda metà degli anni novanta e i primi anni duemila si stimava che circa il 70% di giapponesi non seguisse alcuna religione, mentre nel 2007 il 65% non credeva in Dio e il 55% non credeva in Buddha.

Da un sondaggio del 2008 effettuato dalla NHK Broadcasting Culture Research Institute e dalla ISSP (International Social Survey Programme) è risultato che, delle 1200 persone intervistate, il 39% ha riferito di avere una fede religiosa, di cui il 34% ha dichiarato di seguire il buddhismo, il 3% lo shintoismo, l'1% il cristianesimo (0,7% protestantesimo, 0,2 % cattolicesimo) e un altro 1% ha dichiarato di seguire altre religioni. Nel 2011 la percentuale di non religiosi (atei, deisti e agnostici) raggiungeva il 67%, il 22% seguiva il buddhismo e il 2% il cristianesimo.


Islam
La moschea di Kobe

La religione islamica si è sviluppata solo di recente nell'arcipelago giapponese. Non ci sono fonti certe di come siano avvenuti i primi contatti tra l'islam e il Giappone, né eventuali tracce storiche della divulgazione dell'Islam in Giappone, ad eccezione di alcuni casi isolati di contatti tra giapponesi e musulmani di altri Paesi prima del 1868.

L'islam incominciò ad essere riconosciuto dalla cultura giapponese come parte del pensiero religioso occidentale nel 1877, mentre nello stesso periodo fu tradotto in lingua giapponese La vita del profeta Muhammad, il quale contribuì a ritagliare all'islam un posto nella immagine intellettuale del popolo giapponese, ma solo come una conoscenza e una parte della storia delle culture. I primi giapponesi che si convertirono all'islam furono Mitsutaro Takaoka nel 1909, prendendo il nome di Omar Takaoka dopo il pellegrinaggio alla Mecca; e Bumpachiro Ariga, il quale, facendosi chiamare Ahmad Ariga, viaggiò per l'India divulgando la parola di Maometto. Tuttavia, studi recenti hanno rivelato che un altro giapponese noto come Torajiro Yamada è stato probabilmente il primo musulmano giapponese che abbia visitato la Turchia, prendendo il nome Abdul Khalil e compiendo probabilmente il pellegrinaggio alla Mecca.

I dati passati parlavano di un numero vicino ai 30.000 giapponesi musulmani risiedenti in Giappone nel 1982. Ciò fu possibile grazie al boom economico degli anni ottanta, il quale provocò un'ondata di immigrazioni dal resto dell'Asia, portando infine all'integrazione degli stessi immigrati con la popolazione locale. La maggior parte delle stime parla di una popolazione musulmana totale di circa 100.000 individui. L'islam rimane tuttora una minoranza religiosa in Giappone, anche se dal 1990 sono aumentati il numero delle conversioni all'islam per via soprattutto di numerosi giovani nativi giapponesi che sposavano donne musulmane; inoltre, nel 2000 Keiko Sakurai aveva stimato il numero di musulmani giapponesi in Giappone a 63.552, e circa 70.000-100.000 stranieri musulmani residenti nel Paese. Ciò nonostante, non è possibile stabilire con certezza il numero di musulmami stranieri e nativi in Giappone, in quanto il governo giapponese non raccoglie statistiche sulla religiosità dei suoi cittadini, rispettando l'articolo 20 della sua Costituzione che riserva la piena libertà religiosa ai giapponesi.

Infine si stima siano circa 30-40 le moschee presenti sul suolo giapponese, più altri 100 luoghi adibiti a luoghi di preghiera in assenza di strutture adeguate.
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Re: Ixlam e Ciapango (Giappone)

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 8:15 am

GIAPPONE - ISLAM - SIRIA
Musulmani giapponesi: Lo Stato islamico distrugge la nostra fede, rilasci gli ostaggi
22/01/2015

http://www.asianews.it/notizie-it/Musul ... 33255.html

La piccola comunità del Sol Levante si schiera compatta contro i terroristi dell'SI: "I loro atti vanno condannati con forza e non rientrano nelle prescrizioni coraniche. Uccidere anche un solo innocente, per Allah, significa uccidere l'umanità intera". Nessuna notizia dei due ostaggi nelle mani dei terroristi: l'ultimatum per il pagamento del riscatto, 200 milioni di dollari, scade domani. Il premier Abe: "Non ci piegheremo mai, gli Stati musulmani devono aiutarci".

Tokyo (AsiaNews) - Le gesta dello Stato islamico "sono imperdonabili atti di crudeltà, che non rientrano nella vera fede musulmana. Prendere ostaggi è un modo di fare indegno, e questi terroristi vanno condannati con la massima forza possibile. Con la loro finta 'guerra santa' non fanno altro che distruggere l'islam". È la posizione comune della piccola comunità musulmana giapponese, intervenuta dopo il rapimento di due ostaggi nipponici in Siria per mano dei militanti dell'SI.

Un video pubblicato lo scorso 20 gennaio mostra due uomini - Kenji Goto Jogo, cristiano, e Haruna Yukawa - nelle mani di un terrorista islamico. L'audio chiede al governo giapponese di pagare 200 milioni di dollari "entro 72 ore", ovvero entro il pomeriggio del 23 gennaio: se il pagamento non sarà effettuato, i due saranno uccisi.

Shigeru Shimoyama, portavoce della moschea Camii di Tokyo (la più grande del Paese), spiega: "Secondo la legge di Allah, uccidere anche un solo innocente equivale a distruggere l'umanità intera. Le azioni dei terroristi dello Stato islamico sono in contraddizione con la base della fede musulmana, ovvero il rispetto per la vita umana. Vanno condannati con forza".

Per il portavoce, che si è convertito all'islam circa 10 anni fa, lo Stato islamico sta inoltre "distruggendo la nostra fede. In Giappone, per tanto tempo i musulmani sono stati visti con sospetto e non sono stati capiti. Il rapimento di questi due connazionali non farà altro che alimentare l'idea che l'islam sia una religione per i terroristi. Per questo voglio dire a tutti che le persone che stanno dietro a questo rapimento non sono musulmani".

I giapponesi sono circa 127 milioni: di questi l'83,9% è di fede shintoista e il 71,4% segue anche il buddhismo (le due religioni possono sovrapporsi, essendo entrambe più una filosofia che un vero e proprio culto); i cristiani sono circa il 2%, per la maggior parte protestanti. I musulmani, infine, si attestano all'incirca sulle 100mila unità, con altri 70mila aderenti di nazionalità diversa. Le moschee sono circa 35, ma nel territorio si trovano altri 100 luoghi di preghiera nei luoghi dove non esistono strutture tradizionali.

Interrompendo un viaggio di Stato a Gerusalemme, il premier nipponico Shinzo Abe è rientrato in patria per gestire l'emergenza. Questa mattina ha chiarito che il suo Paese "non si piegherà al terrore. La nostra è una corsa contro il tempo, ma il governo farà tutto il possibile per ottenere il rilascio dei nostri cittadini. Ho chiesto l'aiuto del leader palestinese Mahmoud Abbas, di quello egiziano al-Sissi, del re giordano Abdullah e del presidente turco Erdogan. La comunità internazionale deve aiutarci".
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Re: Ixlam e Ciapango (Giappone)

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 8:15 am

Uno stato senza musulmani
Commento di Mordechai Kedar

(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, Giovanni Quer)

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=49210

Nel mondo e specialmente in Europa ci sono Paesi che stanno attraversando cambiamenti culturali radicali dovuti all'immigrazione islamica. Ma non il Giappone

Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi sono esempi di destinazione dell'immigrazione islamica, dove si sono insediate comunità che grazie al tasso di crescita elevato stanno influenzando tutti i settori sociali.
C'è però un Paese la cui posizione ufficiale sulla questione islamica è radicalmente differente: il Giappone.
I politici arabi non muovono pressoché alcuna critica al Giappone, e così i giapponesi non si esprimono sui Paesi islamici. Le relazioni tra il Giappone e i Paesi islamici sono basate su interessi ben definiti, che hanno a che fare con il petrolio e il gas, che il Giappone importa dagli Stati islamici.
La politica ufficiale giapponese è di non concedere la cittadinanza agli immigrati musulmani e di concedere raramente permessi di soggiorno permanenti.
Il Giappone vieta il proselitismo (in arabo, da'wah), considerato un tentativo di diffusione di una cultura straniera e non benvista. Poche università insegnano l'arabo. È anche difficile importare stampe del Corano, e gli immigrati di religione islamica sono di solito dipendenti di imprese straniere. In Giappone ci sono pochissime moschee.
In generale, la politica immigratoria è di non permettere l'entrata nel Paese ai musulmani, anche se sono medici, ingegneri o manager inviati da imprese straniere presenti sul territorio.
La società giapponese si aspetta che i musulmani residenti in Giappone preghino in casa. Le imprese giapponesi intenzionate ad impiegare stranieri specificano nelle offerte di lavoro che non sono interessate a candidati musulmani. Un musulmano che arriva in Giappone incontra serie difficoltà nella ricerca di una casa, e quelli che riescono ad affittare un alloggio sono solitamente oggetto di un invadente controllo sociale da parte dei vicini.
Il Giappone proibisce inoltre la formazione di organizzazioni islamiche, e la costituzione di una moschea o di una scuola islamica è quasi impossibile: a Tokyo c'è un solo imam.
Al contrario di quanto accade in Europa, ben pochi giapponesi sono attratti dall'Islam. Una ragazza giapponese che si sposa con un musulmano è allontanata dalla famiglia e emarginata dalla società.
In Giappone non si applica in alcun modo la shari'a, la legge islamica; si può trovare cibo " halal ", cioè conforme alle norme alimentari islamiche, benché sia difficile trovarlo nei supermercati.

Le relazioni coi musulmani in Giappone si possono esprimere significativamente anche in numeri:
in Giappone ci sono 127 milioni di abitanti, ma solo una minima percentuale di musulmani, che ammonta a qualche decina di migliaia; inoltre sono pochissimi i casi di conversione all'Islam dei giapponesi.
Ci sono immigrati musulmani che lavorano in Giappone, perlopiù pachistani, che sono riusciti ad ottenere un visto di lavoro come dipendenti di imprese edili, ma mantengono un profilo molto basso per l'atteggiamento ostile della società giapponese nei confronti dell'Islam.

L'ostilità verso l'Islam in Giappone ha diverse alcune ragioni:
I giapponesi tendono a generalizzare le considerazioni sull'Islam, considerando i musulmani dei fondamentalisti che non riescono a liberarsi dalle visioni tradizionaliste e adottare sistemi di vita moderni.
L'Islam in Giappone è considerato una religione sospetta, da cui tenersi alla lontana. La maggior parte dei giapponesi non ha affiliazione religiosa, benché i membri delle alte sfere del paese si conformino a pratiche religiose scintoiste e buddiste.
In Giappone, la religione è legata ai principi nazionali, con dei pregiudizi sugli stranieri, in particolare cinesi, coreani, malaysiani, indonesiani e in fondo anche sugli occidentali. Alcuni definiscono questo atteggiamento una "consapevolezza nazionale sviluppata", mentre altri lo considerano una forma di razzismo—in entrambi i casi non ci si sbaglia di molto.
I giapponesi non riconoscono il monoteismo né la fede in una divinità astratta, forse perché il loro mondo di idee è legato alla materia, non alle credenze e ai sentimenti.
Sembra anche che associno il giudaismo all'Islam.
Il Cristianesimo, per contro, non è percepito negativamente, probabilmente per l'immagine di Gesù che è considerata allo stesso modo dell'immagine di Buddha. Ciò che è ancora più interessante è il fatto che i giapponesi non ritengono di doversi scusare per le relazioni negative con l'Islam.
Riescono a distinguere molto bene tra gli interessi economici legati al petrolio, che costringe il Giappone a relazioni amichevoli con i Paesi musulmani, e i principi nazionali giapponesi che considerano l'Islam adatto ad altri Paesi e che quindi deve rimanere fuori dal Giappone.
Il temperamento mite dei giapponesi, la serenità e la tranquillità che mostrano agli stranieri, fanno sì che si adotti un atteggiamento cortese e rispettoso verso di loro. Un diplomatico giapponese non alzerà mai la voce, e non parlerà mai chiaramente della presenza di stranieri, guadagnandosi il rispetto internazionale, benché siano razzisti e nonostante discriminino gli immigrati musulmani.
Ciò che rende il Giappone un paese quasi senza presenza islamica è il fatto che l'ostilità verso l'Islam è comune a tutta la popolazione, dall'uomo di strada alle associazioni, dalle imprese fino alle élite.
In Giappone non ci sono, come in altri Paesi, organizzazioni per i "diritti umani" che operano come agenzie di supporto ai musulmani contro la posizione del governo.
In Giappone non ci sono organizzazioni malavitose che trafficano in clandestini illegali per guadagnare qualche yen, e non c'è quasi nessuno che dia aiuto legale agli immigrati musulmani per far avere loro il permesso di soggiorno, la residenza o la cittadinanza.

Un altro elemento che previene l'immigrazione islamica in Giappone è l'atteggiamento dei giapponesi nei confronti dei lavoratori stranieri, che non sono bene accetti perché rubano il lavoro ai giapponesi.
Un datore di lavoro giapponese si sente in dovere di assumere giapponesi anche se questo gli viene a costare di più. Inoltre, il rapporto tradizionale tra datore di lavoro e impiegato è molto più forte che in Occidente, poiché entrambi si sentono legati l'uno all'altro: il datore sente che deve dare di che vivere al lavoratore, e il lavoratore sente che deve presentare al proprio capo i frutti del proprio lavoro—il che allontana potenziali impiegati stranieri con bassa motivazione al lavoro.
Il consenso sociale e politico contro l'immigrazione islamica ha creato una cortina di ferro attorno al Giappone che i musulmani non riescono a valicare e che previene qualsiasi critica internazionale, poiché nessuno in Giappone si convincerebbe ad aprire le porte del paese all'immigrazione islamica.

Il Giappone dà un insegnamento importante al mondo: c'è un legame diretto tra la coscienza nazionale e la politica immigratoria. Un popolo con un'identità nazionale e culturale ben definita non permette l'ingresso a tutti i disoccupati del mondo; allo stesso modo un popolo con un'identità nazionale e culturale debole non ha mezzi di difesa contro l'invasione di una cultura straniera nel proprio paese.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link: http://eightstatesolution.com/
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Re: Ixlam e Ciapango (Giappone)

Messaggioda Berto » mer gen 20, 2016 8:20 am

La piccola comunità - L’Islam in Giappone

Una minoranza confessionale che fatica a prendere piede all’interno della cultura nipponica

http://www.lindro.it/lislam-in-giappone

Il Giappone è un Paese che, rispetto ai parametri culturali dell’Occidente moderno, può essere definito uno Stato laico, in cui il singolo individuo gode della piena libertà di parola, di pensiero e di coscienza; è garantita inoltre a ciascuno la completa libertà di fede e di culto, oltre che l’estraneità dello Stato rispetto alle questioni religiose, così come espresso dall’articolo 20 della Costituzione giapponese («La libertà di religione è garantita a tutti. Nessuna organizzazione religiosa riceverà qualsiasi privilegio dallo Stato, né eserciterà qualsiasi potere politico. Nessuna persona sarà obbligata a partecipare a qualsiasi atto, celebrazione, rito o pratica religiosa. Lo Stato ed i suoi organi si asterranno dall’istruzione religiosa o da qualsiasi altra attività religiosa»).

L’atteggiamento dello Stato giapponese nei confronti della fede religiosa della propria gente apparirebbe quasi di completo disinteresse, almeno a prima vista. Lo testimonierebbero la scarsa attività di censimento e l’approssimazione dei dati statistici relativi alla ‘demografia religiosa’ della popolazione nipponica. Eppure, in una società come quella giapponese, l’aderenza al senso comune, il rispetto delle ritualità sociali e delle aspettative familiari, rimangono elementi fondamentali per garantire la piena accettazione dell’individuo all’interno della propria comunità d’appartenenza.

Diverse problematiche emergono, in tal senso, nelle situazioni in cui l’aderenza ai propri doveri religiosi viene a scontrarsi con la necessità di conformarsi ai propri ‘doveri sociali’. È il caso della piccola comunità islamica nipponica, la cui popolazione è approssimativamente stimata, secondo alcune fonti accademiche, tra i 70,000 e i 100,000 individui, in maggioranza stranieri immigrati, su un totale di 127 milioni di abitanti. L’ancor più esiguo nucleo di musulmani autoctoni (circa un 10% rispetto al totale complessivo), è costituito per lo più da donne giapponesi sposate a uomini stranieri di fede islamica.

I primi contatti veri e propri tra il Giappone e l’Islam possono essere fatti risalire alla seconda metà del XIX secolo; in particolare attraverso l’incontro con malesiani di fede musulmana che servivano come membri dell’equipaggio sulle navi inglesi e olandesi. Allo stesso periodo risale la prima traduzione della Vita del profeta Muhammad, che contribuì a diffondere l’Islam tra la popolazione giapponese, che continuò a percepirlo però solo come parte della cultura e del pensiero ‘occidentale’ (ossia straniero).

Nel corso del XX secolo i rapporti tra il Giappone e l’Islam subirono una svolta, complici soprattutto le circostanze storiche. Una vera e propria comunità islamica nipponica non si formò in ogni caso prima dell’avvento della Rivoluzione d’Ottobre, con l’arrivo di diverse centinaia di rifugiati di etnia turco-tartara in fuga dalla Russia e dall’Asia Centrale. Questi ultimi trovarono asilo in diverse città giapponesi formando piccole comunità. La vicinanza tra la popolazione locale e queste prime comunità di musulmani diede origine a diversi episodi di conversione di giapponesi all’Islam.

Nel corso degli anni Trenta si ebbe quello che è stato definito il ‘Boom degli studi islamici’, con la pubblicazione di oltre un centinaio tra giornali e riviste riguardanti l’Islam e con l’istituzione della Grande Lega nippo-musulmana (Dai Nippon Kaikyou Kyoukai), prima organizzazione islamica ufficiale del Giappone. Tale interesse per gli studi islamici, così come anche l’istituzione della Lega, furono fortemente connessi alle ideologie ultranazionaliste e alla teorizzazione della Grande Asia Orientale, il progetto di liberazione dei paesi asiatici dal giogo del colonialismo occidentale e la riunificazione di essi sotto l’egida del Grande Giappone Imperiale. Vennero infatti istituite realtà legate ad operazioni di intelligence militare (come la Zuikoryo, formata da esperti sull’Islam asiatico) e venne dato forte sostegno ai gruppi anti-colonialisti e ai rivoluzionari musulmani presenti in paesi come l’Indonesia.

Il secondo ‘Boom islamico’ si ebbe negli anni Settanta, in seguito alla crisi petrolifera che colpì il Giappone nel 1973. Presa coscienza dell’importanza rappresentata dal Medio Oriente e dalle sue ingenti riserve di petrolio per l’economia giapponese, l’interesse nei confronti del mondo islamico crebbe ulteriormente.

La grande ondata immigratoria legata al grande balzo economico degli anni Ottanta portò all’accrescimento della popolazione musulmana non giapponese, favorendo i legami con la popolazione autoctona e nuovi episodi di conversione.

A tutt’oggi, la comunità islamica giapponese rappresenta, al pari del cristianesimo (la cui percentuale di credenti è stimata intorno allo 0,7%) una minoranza religiosa che non riesce a scalfire la preponderanza, tanto storica che culturale, delle due maggiori religioni presenti in Giappone, Buddhismo e Shintoismo.

Non trascurabile è poi il dato riguardante il sincretismo religioso estremamente diffuso nella società giapponese, che non permette di stilare delle indagini statistiche precise. Questo rappresenta uno degli ostacoli principali che incontra la diffusione di una fede come quella islamica sul suolo nipponico, almeno in quella che dovrebbe essere la sua forma ortodossa.

Il rifiuto delle bevande alcoliche durante le occasioni conviviali; la difficoltà di reperire cibo halal (ossia il cibo preparato in maniera ‘lecita’, secondo i dettami islamici); la necessità di interrompere l’attività lavorativa per dedicarsi alla preghiera rituale; l’abbigliamento di tipo hijab (coprente) previsto per le donne musulmane; rappresentano espressioni della fede islamica potenzialmente problematici all’interno del contesto sociale giapponese.

Se da una parte lo Stato rispetta la piena libertà individuale di culto e di espressione, è pur vero che il rispetto (si può dire quasi ‘religioso’) delle norme di comportamento condivise – pena l’esclusione sociale – e il forte legame identitario che il Giappone mantiene con la propria religiosità tradizionale, ben espressa soprattutto dalla religione shintoista (con la sua visione ‘nippo-centrica’ che vede il Giappone quale Paese degli dèi e i giapponesi quali discendenti diretti da una stirpe di origine divina, la cui immagine si incarna nella figura dell’Imperatore), fanno sì che elementi come l’universalismo, la natura unica del divino o l’aniconicità non trovino facilmente presa nel sostrato culturale nipponico. A questo genere di problematiche si aggiunge la questione dalle severe leggi giapponesi sul controllo dell’immigrazione, che impediscono il costituirsi di una comunità musulmana più ampia.

Come afferma Daniel Atzori, islamista, dottorando presso l’Institute for Middle Eastern and Islamic Studies della University of Durham (United Kingdom) e autore di “Fede e mercato: verso una via islamica al capitalismo? (Il Mulino, 2010): “In Giappone, l’Islam non può vantare una tradizione di presenza secolare, come in altre realtà asiatiche come la Cina o il subcontinente indiano, né può proporsi come elemento di continuità con le religioni del Libro, come in Occidente. Dunque, una conversione all’Islam, in una società come quella giapponese, rischia di essere percepita come una rottura radicale col contesto circostante. Mentre in Europa esistono esperienza storiche, come quella dell’Islam andaluso (ad esempio il califfato di Cordova), che rendono possibile e pensabile forme di Islam europeo, in Giappone non esistono precedenti analoghi . l’Islam in Giappone dovrebbe inventarsi ex novo. La diffusione capillare della fede islamica in Giappone è da ritenersi un’eventualità piuttosto remota e dunque non viene percepita come una ‘minaccia’ dall’establishment”.

Recentemente il Primo Ministro giapponese Abe Shinzo ha avviato diverse iniziative mirate a un avvicinamento con la realtà del Medio Oriente e con la fede islamica in generale. Come ad esempio l’offerta di un iftar, il pasto serale consumato dai musulmani durante il periodo di Ramadan, alla presenza di una trentina di leader musulmani. Il premier Abe in tale occasione aveva dichiarato la volontà di «approfondire la comprensione reciproca fra il Giappone e le nazioni musulmane».

Sono infatti in corso diverse trattative tra Tokyo e i governi di paesi come Turchia ed Emirati Arabi per concludere importanti accordi in materia di approvvigionamento energetico; tema prioritario per il Giappone dopo il grande terremoto del Tohoku e l’incidente di Fukushima. Il premier Abe è intenzionato giocare bene le sue carte diplomatiche, perseguendo il suo programma di risanamento economico senza temere la possibilità di un ‘intaccamento’ significativo del tessuto sociale giapponese da parte dei fedeli di Allah.

L’atteggiamento dell’ultra-conservatore e nazionalista Abe, criticato per le sue posizioni in favore dell’ideologia del Grande Giappone imperialista; per le visite al santuario shintoista Yasukuni (in cui sarebbero venerati come spiriti eroici tutti i caduti che hanno combattuto per la causa del Giappone imperiale, compresi alcuni criminali di guerra di classe A) e per la rivalutazione della figura del Tenno, il sovrano celeste, che negli anni del cosiddetto fascismo giapponese era legata a una particolare espressione politico-religiosa denominata ‘Shintoismo di Stato’, sembra rivelare infatti la solidità di quell’intreccio sotterraneo esistente tra politica e religione, tra vita sacra e vita profana, ancora fortemente presenti nel background culturale giapponese, a scapito della dichiarata ‘laicità’ ufficiale dello Stato.
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Re: Islam in Giappone

Messaggioda Berto » lun mar 01, 2021 7:24 pm

La comunità musulmana giapponese vuole sentirsi a casa
12 febbraio 2021 12:07
(Traduzione di Maria Chiara Benini)


https://www.internazionale.it/notizie/2 ... pone-islam

La città di Beppu, sull’isola di Kyūshū, la più meridionale delle grandi isole giapponesi, è una località molto frequentata per le sue fonti termali. Ogni venerdì una folla di donne e uomini musulmani si riunisce in una moschea, in un modesto edificio di quattro piani. Molti sono giovani che frequentano la Ritsumeikan Asia Pacific university (Apu), vicino a Beppu, e lavorano part-time negli alberghi della zona. Altri invece sono arrivati per lavorare nei cantieri navali e sulle imbarcazioni da pesca, impieghi per cui la manodopera locale, sempre più anziana e meno numerosa, non basta più.

Negli ultimi anni, in seguito agli sforzi del governo per attirare lavoratori e studenti dall’estero, le file dei credenti si sono infoltite. Secondo i dati riportati da Tanada Hirofumi dell’università Waseda, la popolazione musulmana è più che raddoppiata nello scorso decennio, passando dai 110mila credenti nel 2010 ai 230mila della fine del 2019 (la cifra comprende i circa 50mila giapponesi convertitisi all’islam). Il paese ha più di centodieci moschee. Come osserva Muhammad Tahir Abbas Khan, professore all’Apu e presidente della Beppu muslim association (Bma), è un cambiamento positivo. Nel 2001, quando lui appena laureato arrivò dal Pakistan, c’erano solo 24 moschee in tutto il Giappone e nessuna nel Kyūshū.

Anche se i musulmani posso pregare, hanno ancora molti problemi per trovare un posto degno per la sepoltura. In Giappone circa il 99 per cento dei defunti viene cremato, ma questa pratica non è ammessa dall’islam. Il governo centrale non ha previsto misure per andare incontro alle esigenze degli stranieri con usanze diverse da quelle giapponesi, in parte perché i lavoratori stranieri sono considerati “gente di passaggio” e non migranti. Nella maggioranza delle prefetture giapponesi, compresa quella di Ōita, dove si trova Beppu, non ci sono cimiteri musulmani.

L’aiuto di un monaco
Da anni la Bma è impegnata nella battaglia per costruire un cimitero musulmano a Hiji, un conglomerato di piccoli centri abitati sparsi sulle colline che sovrastano Beppu, ma l’opposizione degli abitanti ha fatto arenare il progetto. “Se morissi oggi, non so dove sarei sepolto”, dice preoccupato Muhammad Tahir Abbas Khan.

Le polemiche per la costruzione del cimitero hanno innescato un dibattito più ampio sul ruolo degli stranieri nella società. Alcuni giapponesi hanno accettato gli stranieri e i loro costumi diversi. “Dal momento che sono diventati giapponesi, dovremmo interessarci di loro e della loro cultura”, sostiene Yumiko Kawabe, esponente dell’amministrazione comunale favorevole al cimitero. “Anche una piccola città può essere cosmopolita e speciale”, aggiunge. Ma altre persone non sono d’accordo: “Se prendessero la cittadinanza giapponese, dovrebbero adeguarsi ai costumi locali e cremare i defunti”, afferma Kiyotaka Eto, un componente del consiglio comunale che ha lanciato la petizione contro il cimitero.

A molti abitanti di Hiji l’idea di seppellire i morti suscita una sensazione sgradevole

La Beppu muslim association aveva cominciato a muoversi per cercare un terreno da destinare alle sepolture circa dieci anni fa. La comunità cattolica aveva proposto di condividere il suo cimitero, ma l’associazione ne voleva uno interamente dedicato ai musulmani. Le trattative con le autorità locali erano a un punto morto quando è arrivato un monaco buddista che ha aiutato la Bma a trovare un appezzamento di terreno non lontano da un monastero trappista con un cimitero in disuso. Secondo Khan, il gruppo ha investito tra i 60 e i 70 milioni di yen (tra i 582mila e i 679mila dollari) e quasi tre anni di lavoro nel progetto. Oggi il cimitero cattolico è pieno, ma con l’avvicinarsi dell’inizio dei lavori gli abitanti delle frazioni circostanti hanno sollevato nuove questioni. C’è il rischio che i corpi sepolti contaminino le riserve d’acqua? In caso di terremoto, i cadaveri potrebbero rotolare giù per la collina?

A molti abitanti di Hiji l’idea di seppellire i morti suscita una sensazione sgradevole. “Non è qualcosa di concreto, è più una sensazione”, dice Kiyotaka Eto. “Non riusciremmo più a bere l’acqua senza provare disagio”.

Eto vive in un piccolo sobborgo di case tradizionali e terrazzamenti per la coltivazione del riso. Così hanno vissuto i suoi antenati per secoli, almeno da quattro generazioni. Non aveva mai incontrato un musulmano prima che cominciassero le consultazioni sul cimitero. Non ha nulla contro l’islam, dice, ma teme che qualche batterio possa infiltrarsi nel bacino idrico che si trova vicino al terreno scelto per il cimitero. “Se il governo vieta l’inumazione”, dice, “dev’esserci qualche problema sotto”.

La signora Kawabe, invece, si chiede se i suoi compatrioti siano davvero preoccupati per l’acqua. Qualsiasi prova scientifica che smentisce la pericolosità delle sepolture viene ignorara. Per il suo appoggio alla costruzione del cimitero, Kawabe ha ricevuto lettere e telefonate di protesta. “Se sei giapponese perché stai dalla parte dei musulmani?”, mi chiedono. Le persone del posto vivono con preoccupazione l’influenza culturale degli stranieri e la prospettiva dell’apertura di una scuola islamica. “Hanno paura”, ammette dispiaciuta.

È una vergogna, dice Khan, perché il Giappone è “un bel posto per vivere”. I migranti musulmani apprezzano la sicurezza, la pulizia e l’ordine che trovano nel paese. “Anzen, anzen” (una parola che in giapponese significa sicurezza) rispondono i pescatori indonesiani di Tokyo quando sono intervistati sulla loro vita in Giappone. “Le persone sono gentili”, afferma Ben Mandaliev, arrivato dall’Uzbekistan con una borsa di studio per economia e commercio. I suoi colleghi di lavoro hanno accettato il fatto che deve pregare cinque volte al giorno, anzi ormai sono loro a ricordargli quando è l’ora della preghiera. Anche se gli stereotipi negativi sull’islam sono tanti, la maggior parte dei giapponesi ne ha poca conoscenza e rimane aperta di mente.

In un modo o nell’altro si stanno facendo dei passi avanti verso l’integrazione. Nell’aeroporto di Fukuoka è stata allestita una sala per la preghiera, dice Muhammad Tahir Abbas Khan. I negozi e ristoranti halal sono ancora pochi, ma ne vengono continuamente aperti di nuovi. Le autorità della prefettura di Oita si sono rivolte alla Beppu muslim association per organizzare un sistema di certificazione per i ristoranti locali. Alcuni impianti termali vendono addirittura dei costumi da bagno a pantaloncino per i visitatori musulmani. La comunità di Beppu ha conquistato gli abitanti della città cucinando e distribuendo viveri alle persone sfollate dopo il terremoto del 2016, inoltre organizza feste annuali e cene gratuite nella moschea per creare buoni rapporti con i vicini giapponesi. “Stiamo cercando di integrarci”, dice Khan. “Abbiamo adottato il Giappone come nostro paese”.
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