Striscia di Gaza e i nazi razzisti islamici

Striscia di Gaza e i nazi razzisti islamici

Messaggioda Berto » mer gen 06, 2016 9:33 pm

Strika de Gaxa (e i nasirasisti xlameghi co łi so sostenidori e conpliçi cristiani)
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Re: Strika de Gaxa

Messaggioda Berto » mer gen 06, 2016 9:34 pm

https://it.wikipedia.org/wiki/Striscia_di_Gaza

Israele ha occupato la Striscia di Gaza nel giugno 1967 durante la guerra dei sei giorni. L'occupazione militare è durata per 27 anni, fino al 1994.
Durante il periodo di occupazione Israele ha creato un insediamento, Gush Katif, nell'angolo sud ovest della Striscia, vicino a Rafah e il confine egiziano. In totale, Israele ha creato 21 insediamenti nella Striscia di Gaza, su circa il 20% del totale del territorio. Durante tale periodo l'amministrazione militare è stata anche responsabile per la manutenzione di impianti civili e dei servizi.
Nel maggio 1994, a seguito degli accordi israelo-palestinesi, noti come accordi di Oslo, ha avuto luogo un graduale trasferimento di autorità governative per i palestinesi. Gran parte della Striscia (tranne che per la liquidazione blocchi militari e le zone insediate) passò sotto il controllo palestinese. Le forze israeliane evacuarono Madīnat Ghazza (la città di Gaza) e le altre aree urbane, lasciando l'amministrazione alla nuova Autorità Nazionale Palestinese.
Tuttavia, secondo gli accordi, Israele mantiene il controllo dello spazio aereo, le acque territoriali, l'accesso off-shore marittimo, l'anagrafe della popolazione, l'ingresso degli stranieri, le importazioni e le esportazioni, nonché il sistema fiscale.

Controllo dell'ANP (1994-2007)
L'Autorità palestinese, guidata da Yasser Arafat, ha scelto la città di Gaza come la sua prima sede provinciale. Nel settembre 1995, Israele e l'OLP firmarono un secondo accordo di pace che estende l'amministrazione dell'Autorità palestinese alla maggior parte delle città della Cisgiordania. La Pubblica Amministrazione della Striscia di Gaza e Cisgiordania sotto la leadership di Arafat ha visto episodi di cattiva gestione.

Il 14 agosto 2005 il governo israeliano ha disposto l'evacuazione della popolazione israeliana dalla Striscia e lo smantellamento delle colonie che vi erano state costruite (piano di disimpegno unilaterale israeliano).

Il 15 agosto ebbe inizio l'operazione "Mano tesa ai fratelli", che tendeva a conseguire pacificamente lo sgombero dei coloni israeliani insediatisi nelle Striscia di Gaza e in alcuni insediamenti della Cisgiordania. I soldati israeliani passarono casa per casa, tentando di convincere i coloni rimasti a partire.

Il governo israeliano ordinò ad ogni colono di nazionalità israeliana di abbandonare gli insediamenti entro la mezzanotte, considerando chiunque fosse rimasto oltre il limite prefissato in condizione di illegalità. Dopo la mezzanotte, il governo concesse due giorni di tolleranza, durante i quali le colonie furono progressivamente circondate da 40.000 militari e poliziotti israeliani.
Tutti i coloni che partirono entro la mezzanotte del 16 agosto, ebbero la possibilità di utilizzare mezzi propri e si videro riconosciuto il diritto all'indennizzo stanziato dal governo. Trascorsi i due giorni di tolleranza, dalla mezzanotte del 17 agosto ebbe inizio l'evacuazione forzata: i militari furono autorizzati ad imballare ed a caricare in container beni e mobili rimasti nelle case. I coloni ancora presenti furono spostati di forza dagli insediamenti.
Nella colonia di Nevé Dekalim, l'insediamento più importante della regione, si sono avuti gli scontri più violenti. Qui vivono più di 2.600 persone. In serata era circondato dalla polizia e dai militari. Secondo fonti da verificare un portavoce dell'esercito, parlando degli elementi israeliani più oltranzisti che rifiutavano di abbandonare il territorio palestinese occupato dal 1967, affermò che «il nostro problema non sono gli abitanti originari ma i militanti contrari all'evacuazione che si sono infiltrati illegalmente a Gaza».
Lo sgombero della Striscia terminò il 22 agosto, con il trasferimento delle ultime famiglie della colonia di Netzarim. I soldati impegnati nell'evacuazione furono trasferiti in Cisgiordania, dove vennero evacuati i coloni di Hamesh e Sa-Nur.
L'11 settembre, con una cerimonia molto sobria svoltasi presso i resti della colonia di Nevé Dekalim, i comandanti militari di Israele ammainarono la loro bandiera a Gaza. Verso sera, lunghe colonne di mezzi militari israeliani abbandonarono la Striscia.

Il 12 settembre 2005 il territorio della Striscia di Gaza passò in mano palestinese, e gli abitanti ebbero accesso alle aree che erano state loro precedentemente vietate. Alcuni palestinesi diedero fuoco alle sinagoghe abbandonate e ad infrastrutture varie (del valore di circa 10 milioni di dollari), fra cui alcune serre per coltivazioni. Il partito di al-Fatḥ governò in questo modo ufficialmente sulla striscia di Gaza, primo pezzo dello Stato di Palestina.

Controllo di Hamas (2007-oggi)
Dopo quasi due anni di controllo da parte di al-Fath, nel 2006 vennero indette nuove elezioni, che si tennero sia nella Striscia di Gaza che negli altri territori palestinesi della West Bank (ovvero la Cisgiordania, che costituisce la parte più estesa e più popolata dei territori palestinesi): secondo l'Onu e gli osservatori internazionali le elezioni furono regolari e furono vinte da Hamas, che con gli altri gruppi politici ad esso legati ottenne circa il 44% dei voti validi, mentre il principale partito rivale, Al-Fatah, che fino a quel momento aveva guidato i palestinesi, ottenne circa il 41%. La distribuzione del voto però era molto differente nei vari territori: le principali basi elettorali di Hamas erano nella Striscia di Gaza, mentre quelle del Fatah erano concentrate in Cisgiordania; questo lasciò subito presagire che, se i due partiti non avessero trovato un compromesso, sarebbe potuta scoppiare una lotta per il controllo dei due territori nei quali ciascuno dei due partiti era più forte e radicato.

Venne formato un governo a guida Hamas al quale Fatah rifiutò di partecipare, ma poiché l'Unione europea, e allo stesso modo gli Stati Uniti, consideravano Hamas un'organizzazione terroristica, interruppero l'invio dei loro aiuti ai territori palestinesi. Durante il giugno del 2007 la tensione tra Hamas e al-Fath, il partito dell'allora presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, che non voleva accettare la "coabitazione" col Governo espresso da Hamas, sfociò in scontri aperti tra le due fazioni che in pochi giorni fecero oltre un centinaio di morti. Il 14 giugno 2007 Hamas, dopo una campagna militare efficace e violenta, conquistò la sede militare dell'ANP arrivando di fatto al controllo dell'intera Striscia di Gaza, uccidendo od espellendo ogni appartenente ad al-Fatḥ.

Iniziò contestualmente una nuova fase del conflitto tra Hamas ed Israele che vide, da parte israeliana, un embargo verso la Striscia, missioni di guerra e cosiddetti assassinii mirati contro esponenti palestinesi giudicati particolarmente pericolosi per la sua sicurezza, che causarono però diverse centinaia di morti tra la popolazione della Striscia, e da parte Hamas, il lancio di razzi Qassam e tiri di mortaio dalla Striscia di Gaza, contro installazioni e città israeliane.
Colpi di mortaio e razzi Qassām caduti su Israele nel 2008[5]
Andamento delle vittime israeliane (in tutto Israele) e palestinesi (limitate a Gaza) durante il 2008

Il 1º marzo 2008, l'esercito dello Stato di Israele con l'operazione Inverno caldo invase direttamente l'area con forze blindate ed aeree.
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Re: Strika de Gaxa

Messaggioda Berto » mer gen 06, 2016 9:36 pm

???

Don Nandino CAPOVILLA, “Un Parroco all’inferno”

http://www.amo-fme.org/amo-fme/it/voci- ... ll-inferno

«È la prima volta che esco da Gaza, dopo aver vissuto quattordici anni in prigione. Gaza è una prigione… ».

È vero, Gaza è una prigione, come dice don MUSALLAM, una prigione a cielo aperto: le porte vengono aperte quando lo decidono gli usurpatori, quelli che dal 1967 continuano a occupare militarmente la Cisgiordania e Gaza. Quelli che sui Territori Occupati hanno continuato a costruire colonie e a trasferirvi, contro ogni legalità internazionale, la propria gente. Ma parlare di prigione per Gaza non è forse corretto: in prigione dovrebbero starci quelli che hanno commesso crimini e che per questo devono pagare il prezzo della libertà. (No ghe xe pì l'ocupasion militar de Ixrael e gnanca coloni de ebrei, anca se l'ocupasion la ghe jera stà par via de la goera ke li arabi li gheva fato contro Israel ke però el gheva vinto).

Israele ha occupato la Striscia di Gaza nel giugno 1967 durante la guerra dei sei giorni. L'occupazione militare è durata per 27 anni, fino al 1994. ... Il 12 settembre 2005 il territorio della Striscia di Gaza passò in mano palestinese, e gli abitanti ebbero accesso alle aree che erano state loro precedentemente vietate. Alcuni palestinesi diedero fuoco alle sinagoghe abbandonate e ad infrastrutture varie (del valore di circa 10 milioni di dollari), fra cui alcune serre per coltivazioni. Il partito di al-Fatḥ governò in questo modo ufficialmente sulla striscia di Gaza, primo pezzo dello Stato di Palestina.

Ma a Gaza il prezzo viene pagato dalla popolazione palestinese che non ha commesso reati (ki xe ke ga eleto el terorista Hamas al governo?), che dovrebbe avere il diritto di muoversi liberamente, per viaggiare, per curarsi, per commerciare, per lavorare, per studiare e che invece viene assediata, bombardata, uccisa.

L’assedio di Gaza è una punizione collettiva. Non è punire i responsabili che hanno tirato rockets sulla popolazione civile israeliana, ma è vendetta contro donne, uomini, bambini. E questa punizione, oltre a essere crudele, è persecuzione, è il tentativo di distruggere ogni possibilità di sviluppo di una popolazione distruggendo, come è stato fatto non solo dopo la presa del potere di Hamas a Gaza, ma anche prima in tutti gli anni dell’occupazione militare, le industrie, il porto, l’aeroporto, i ministeri, gli alberi, strade, scuole. La politica israeliana sbandierata come difesa, oltre a continuare un’occupazione coloniale, vuole coltivare odio e violenza. (Me despiaxe tanto ma el terorista Hanas lè sta eleto da li arabopalestinexi xlameghi nasirasisti ke li odia li ebrei e ke li làsa ke Hamas el ghe spare i ràsi so Ixrael da postasion sconte drento i paexi e i coartieri de la Strika de Gaxa).

La testimonianza di Abuna Manuel MUSALLAM raccolta da don Nandino è una testimonianza preziosa, che, dice lui stesso, vuole «restituire verità e dignità a coloro che dall’inferno della prigione di Gaza e di tutta la Palestina occupata non hanno potuto e non possono essere ascoltati da chi vive fuori dalle sbarre».

Don Manuel racconta dei giorni dell’aggressione (agresion ?) dei soldati israeliani a Gaza: racconta storie, sofferenze di persone, racconta dell’essere cristiano in mezzo ai musulmani, si appella ai cristiani del mondo perché vedano la verità, perché aiutino la comunità cristiana, ma soprattutto gli esseri umani umiliati e offesi ai quali sono stati tolti tutti i diritti da un’occupazione militare che uccide tutto e tutti (no ghè pì ocupasion militar). Si indigna don Manuel come ci indigniamo noi, che seguiamo con trepidazione e dolore gli avvenimenti e cerchiamo di esortare a che la comunità internazionale, i nostri governi, si assumano la responsabilità di far sì che Israele rispetti i diritti umani e la legalità internazionale.
Ma non è solo Israele che deve rispettare la legalità: siamo anche noi, i governi, l’ONU, perché, quando permettiamo a Israele ogni sorta di sopruso e di violazione del diritto, siamo responsabili di non fare applicare quanto noi stessi sottoscriviamo nei trattati.
Non abbandonare Gaza, togliere l’embargo che, oltre a procurare sofferenza e ingiustizia, aliena le possibilità di pace e riconciliazione. La popolazione di Gaza non può continuare a morire per l’embargo, soffocata nei tunnel che oggi sono l’unico modo per procurarsi cibo.
(Dalla Prefazione dell’On. Luisa MORGANTINI, già Vicepresidente del Parlamento europeo)

“Un parroco all’inferno” è l’intervista-testimonianza ad uno dei leader protagonisti della storia palestinese degli ultimi anni, è uno dei rarissimi testi usciti ad un anno dalla guerra che tanti lutti ha portato e contiene anche alcune straordinarie lettere di Abuna Manuel alla sua gente e a Papa Benedetto. Un estratto di un’inchiesta internazionale sulle violazioni dei diritti umani nella Striscia di Gaza completa l’opera allargandone i focus.



Um Al-Amar, Striscia di Gaza, (testimonianza di don Nandino Capovilla)
venerdì 1 agosto 2014

http://www.bocchescucite.org/um-al-amar ... -capovilla

La data non conta: ho vivissimo il ricordo della visita alla bellissima scuola costruita dall’Ong italiana Vento di Terra con i finanziamenti della Cooperazione italiana e della Conferenza Episcopale. Sono circondato di bambini pieni di vita e fatico a convincerli a stare buoni mentre intervisto il presidente Massimo Annibale Rossi.
Ora che sono qui, due anni dopo, in questa terra di Palestina devastata da un massacro infinito, a pochi chilometri da Um Al-Amar, non riesco ad immaginare lo strazio degli stessi bambini in quella stessa scuola che in queste ore è stata rasa al suolo dai bombardamenti israeliani.
Ma ormai ogni aggiornamento del numero di scuole, come degli ospedali distrutti e soprattutto delle persone uccise, appena viene pubblicato è già vecchio. E a chi scrive mancano le parole e gli aggettivi per commentare una tragedia di fronte alla quale sembra che il mondo stia rendendosi conto a rallentatore, quello descritto dalla parola più pesante: genocidio.
Vorrei chiedere a Lucia, la bravissima inviata di Rai News, di andare cercare tra i sopravvissuti della scuola di Um Al-Amar gli amici che in quelle case mi avevano offerto un delizioso caffè al cardamomo. E vorrei amplificare la rabbia del presidente di Vento di Terra che ha tuonato: “Ma perchè il nostro Governo che ha pagato quella scuola non dice nulla ad Israele? E perchè non lo fanno i Vescovi italiani?
Lucia Goracci si distingue da tutti gli altri giornalisti perchè ai numeri impressionanti del massacro preferisce i nomi e le storie, mille volte più impressionanti, dei civili uccisi o di quelli miracolosamente scampati a questo mostruoso bombardamento senza fine. “Di notte aspettiamo il giorno e di giorno aspettiamo la notte. Attendiamo che arrivi il nostro turno di andare al macello. E vediamo il cielo illuminato da una palla di fuoco”-le ha raccontato Abdul, di Kan Yunis.

Ma cosa deve ancora accadere di più brutale, per far uscire il mondo da questo assurdo silenzio sulle responsabilità dirette dello Stato d’Israele? A che numero devono arrivare i civili uccisi perchè cessi questo indottrinamento planetario fatto di giustificazioni ossessivamente ripetute sul “diritto d’Israele di difendersi”, sulla vendetta di Stato per l’uccisione di tre coloni la cui responsabilità è stata ora riconosciuta non ad Hamas, ma ad una cellula estremista?

Yonathan, Daniela e le voci israeliane che si oppongono.
Perchè i nostri corrispondenti non sono andati, come abbiamo fatto con la Delegazione di Pax Christi, ad intervistare chi si oppone non solo a questa ennesima strage, ma alla lunga storia di oppressione del popolo palestinese che l’ha preparata? Potevano andare a chiedere ad uno dei tremila israeliani che sono scesi in piazza a Tel Aviv come il mio amico Yonathan Shapira, che già quando l’avevo conosciuto dieci anni fa mi scaricava addosso la sua protesta che in questi giorni ha ripetuto. Allora ricordo che a fatica tratteneva le lacrime, quando mi raccontava il suo disgusto al ritorno da una “missione compiuta” sul campo profughi di Jenin. Dal suo aereo aveva sganciato una bomba che aveva ucciso15 persone tra cui 9 bambini. E oggi, dieci anni dopo, papà Yonathan va a manifestare con la sua piccola bimba sulle spalle: “Non voglio essere strumento di oppressione e di morte per bambini innocenti come mia figlia, perpetrando cicli di violenze senza limiti.
Il mio Paese è talmente militarizzato da non riuscire più a pensare ad una soluzione politica del conflitto. Ma è assurdo chiudere in prigione un milione e ottocentomila persone e pensare che non reagiscano.
Ogni popolo ha diritto di difendersi e noi dovremo essere i primi a saperlo”.
Chissà se almeno un dubbio sfiora i giovani laureati e colti che dalla cabina degli F16 che qui in Palestina sentiamo sfrecciare notte e giorno sulle nostre teste. Dal loro videogioco di guerra osservano puntini neri che corrono in preda al panico sui tetti delle case sconvolti dalla paura e con un click avvolgono di una nube nera di morte. Forse no, non sono assaliti da un dubbio di coscienza, perché non possono vederne i pezzi dei corpi sparpagliarsi tra le macerie, come d’altra parte non hanno mai incrociato un inesistente aereo nemico palestinese in volo.
Chi darà voce a questi ebrei israeliani che, come Daniela Yoel, che abbiamo intervistato a Gerusalemme, rappresentano la parte più lucida di un popolo che ha ormai sulla coscienza l’uccisione di più di 1000 esseri umani? Fuori onda rispetto all’intervista, Daniela si è sfogata: “Siamo diventati una nazione dove il machismo del nostra potenza militare ha talmente innervato la società e la cultura, che quando vedo il grande ponte di Calatrava all’ingresso di Gerusalemme penso che invece dell’arpa di Davide sia un’inconscia rappresentazione fallica della nostra smania di dimostrare con la forza che possiamo annientare tutto e tutti”.
Noi di BoccheScucite intensificheremo ancora di più le occasioni per dar voce a questi israeliani che dicono NO, come faremo nella prossima Giornata ONU per i diritti del popolo palestinese, a Lucca, sabato 29 novembre 2014 http://www.giornataonu.it, con il giornalista israeliano Gideon Levy, che tra i suoi connazionali vorrebbe tanti altri Yonathan: “per un pilota israeliano la più grande dimostrazione di coraggio è rifiutarsi di uccidere civili”(Internazionale n.1060)

Neanche un centimetro verso la pace
Ma stando qui in Palestina ci chiediamo: com’è possibile che nessuno capisca che anche questa devastante “operazione” non servirà assolutamente a nulla? Ha ragione Daniela ad interpretare la macchina di morte del suo Paese come un folle esibizionismo che non potrà certo avere un esito diverso dai precedenti “interventi” nella Striscia.
Non solo la pace si allontana, ma anche il conflitto israelo-palestinese non potrà vedere un qualche inizio di soluzione. “Solo l’odio sarà il frutto certo di questa guerra. Odio moltiplicato per mille”. Come sempre lucidissimo, il Patriarca emerito di Gerusalemme Michel Sabbah ci ha accolto a Taybeh ringraziandoci di avere fisicamente portato loro quella solidarietà che noi sentiamo invece troppo debole dall’Italia, in particolare dai nostri governanti (meglio avrebbe fatto l’onorevole Mogherini a starsene a Roma piuttosto che comparire a fianco a Netanyahu, responsabile del massacro, impacciata, muta e connivente, incapace di aggiungere alla sua visita ad una casa israeliana con un foro nella parete per un razzo di Hamas, una casa palestinese qualsiasi, anche solo murata viva).
Efficace e pungente come uno spillo mons. Sabbah ha fatto precedere da un lungo silenzio questa sua amarissima affermazione: “Questo ennesimo massacro non ci farà compiere neanche un centimetro verso la pace!”

Un compito per tutti: diffondere la verità dei fatti
Nelle nostre case la TV e i giornali potrebbero contribuire ad invertire la tragica rotta di annichilimento totale intrapresa da Israele e incoraggiata dai nostri governi muti e conniventi, ma sappiamo bene quanto siano condizionati da chi, come Giuliano Ferrara, farnetica in una difesa senza se e senza ma di Israele. Nelle nostre case abbiamo però almeno una connessione internet attraverso cui far passare la voce dei palestinesi e degli israeliani che da tempo ci supplicano: raccontate! A Gerusalemme la Rete dei cristiani di Terra Santa ci ha affidato un Appello e tutti noi possiamo con grande facilità firmare e far firmare.

https://www.change.org/it/petizioni/al- ... e-for-gaza

E poi stampiamo alcune copie dell’Appello e andiamo domenica prossima a distribuirlo fuori della chiesa più vicina. E’ troppo poco? Restare spettatori è comunque più colpevole. E poi ancora dedichiamo del tempo per cercare le testimonianze disperate di chi è in Palestina per inoltrarle ad altri amici, per ascoltare il grido di chi in questi giorni ci ha condensato in una manciata di minuti una diversa lettura della realtà e passarle in tutti i modi possibili a chi incontreremo. su http://www.bocchescucite.org trovate alcuni link di queste voci: fatele entrare in più case possibili, ricordando che proprio nelle case dei nostri fratelli di Gaza un esercito pronto ad uccidere continua a telefonare intimando la distruzione delle bombe, anzi, qualche fantasioso stratega militare ha avuto tempo di studiare anche il nome di questa nuova “tecnica” di guerra, “knock on roof”: bussiamo sul tetto della tua casa e fra pochi minuti…

per la Campagna Ponti e non muri di Pax Christi,
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Re: Strika de Gaxa

Messaggioda Berto » mer gen 06, 2016 9:43 pm

???
Amira Hass: “La disfatta morale di Israele ci perseguiterà per anni”
Pubblicato da Francesco Penzo il 1/8/14 • Inserito nella categoria: Hanno detto,Numero 197
di Amira Hass – Haaretz

http://www.bocchescucite.org/amira-hass ... per-anni-2

Se la vittoria si misura in base al numero dei morti, allora Israele e il suo esercito sono dei grandi vincitori. Da sabato, quando ho scritto queste parole, a domenica, quando voi le leggete, il numero [dei morti palestinesi] non sarà più di 1.000 (di cui il 70-80% civili), ma anche di più [sono già più di 1300].
Quanti altri ancora? Dieci corpi, diciotto? Altre tre donne incinte? Cinque bambini uccisi, con gli occhi semichiusi, le bocche aperte, i loro piccoli denti sporgenti, le loro magliette coperti di sangue e tutti trasportati su una sola barella? Se vittoria vuol dire causare al nemico una pila di bambini massacrati su una sola barella, perché non ce ne sono abbastanza, allora avete vinto, capo di stato maggiore Benny Gantz e ministro della Difesa Moshe Ya’alon, voi e la nazione che vi ammira.
E il trofeo va anche alla Nazione delle Start Up, questa volta alla start up premiata per sapere e riferire il meno possibile al maggior numero possibile di mezzi di comunicazione e siti web internazionali. “Buon giorno, è stata una notte tranquilla” ha annunciato plaudente il conduttore della radio militare giovedì mattina. Il giorno precedente il felice annuncio, l’esercito israeliano ha ucciso 80 palestinesi, 64 dei quali civili, compresi 15 bambini e 5 donne. Almeno 30 di loro sono stati uccisi durante quella stessa notte tranquilla da una devastante cannoneggiamento, bombardamento e fuoco di artiglieria israeliana, e senza contare il numero di feriti o di case distrutte.
Se la vittoria si misura con il numero di famiglie distrutte in due settimane – genitori e bambini, un genitore e qualche bambino, una nonna e alcune nuore, nipoti e figli, fratelli e i loro bambini, in tutte le variabili che si possono scegliere – allora noi siamo i vincitori. Ecco qui i nomi a memoria: Al-Najjar, Karaw’a, Abu-Jam’e, Ghannem, Qannan, Hamad, A-Salim, Al Astal, Al Hallaq, Sheikh Khalil, Al Kilani. In queste famiglie, i pochi membri sopravvissuti ai bombardamenti israeliani nelle scorse due settimane invidiano la loro morte.
E non bisogna dimenticare la corona di alloro per i nostri esperti giuridici, quelli senza i quali l’esercito israeliano non fa una mossa. Grazie a loro, far saltare in aria una casa intera – sia vuota o piena di gente – è facilmente giustificato se Israele identifica uno dei membri della famiglia come obiettivi legittimi (che si tratti di un importante dirigente o semplice membro di Hamas, militare o politico, fratello o ospite della famiglia). “Se questo è ammesso dalle leggi internazionali” mi ha detto un diplomatico occidentale, scioccato dalla posizione a favore di Israele del suo stesso Stato, “vuol dire che qualcosa puzza nelle leggi internazionali.”
E un altro mazzo di fiori per i nostri consulenti, i laureati delle nostre esclusive scuole di diritto in Israele e negli Stati Uniti, e forse anche in Inghilterra: sono certo loro che suggeriscono all’esercito israeliano perché è consentito sparare alle squadre di soccorso palestinesi e impedirgli di raggiungere i feriti. Sette membri delle equipe mediche che stavano cercando di soccorrere i feriti sono stati uccisi da colpi sparati dall’esercito israeliano in due settimane, gli ultimi due solo lo scorso venerdì. Altri sedici sono stati feriti. E questo non include i casi nei quali il fuoco dell’esercito israeliano ha impedito alle squadre di soccorso di arrivare sulla scena del disastro.
Ripeterete sicuramente quello che sostiene l’esercito: “Le ambulanze nascondevano dei terroristi” – poiché i palestinesi non vogliono veramente salvare i loro feriti, non voglio veramente evitare che muoiano dissanguati sotto le macerie, non è questo che pensate? Forse che i nostri acclamati servizi di sicurezza, che in tutti questi anni non hanno saputo scoprire la rete di tunnel, sa in tempo reale che in ogni ambulanza colpita direttamente dal fuoco dell’esercito, o il cui cammino per salvare persone ferite è stato bloccato, ci sono davvero palestinesi armati? E perché è ammissibile salvare un soldato ferito al prezzo del bombardamento di un intero quartiere, ma non è consentito salvare un anziano palestinese sepolto sotto le macerie? E perché è proibito salvare un uomo armato, o meglio un combattente palestinese, ferito mentre respingeva un esercito straniero che ha invaso il suo quartiere?
Se la vittoria si misura con il successo nel provocare trauma permanenti a un milione ottocentomila persone (e non per la prima volta) che si aspettano in ogni momento di essere giustiziati – allora la vittoria è vostra.
Queste vittorie si aggiungono alla nostra implosione morale, la sconfitta etica di una società che ora si impegna a non fare un’auto-analisi, che si bea nell’autocommiserazione a proposito di ritardi nei voli aerei e che si fregia dell’arroganza di chi è di è libero da pregiudizi. È una società che ovviamente è in lutto per i propri oltre 40 soldati uccisi, ma allo stesso tempo indurisce il proprio cuore e la propria mente di fronte a tutte le sofferenze e al coraggio morale ed eroismo del popolo che stiamo attaccando. Una società che non capisce quale sia il limite oltre il quale l’equilibrio delle forze gli si ritorcerà contro.
“In tutte le sofferenze e la morte “ ha scritto un mio amico da Gaza “ ci sono tante manifestazioni di tenerezza e di gentilezza. Le persone si prendono cura le une delle altre, si confortano a vicenda. Soprattutto i bambini, che cercano il modo migliore per aiutare i loro genitori. Ho visto tanti bambini di meno di 11 anni che abbracciano e consolano i loro fratellini più piccoli, cercando di distrarli dall’orrore. Così i giovani si prendono in carico qualcun altro. Non ho incontrato un solo bambino che non abbia perso qualcuno – un genitore, una nonna, un amico, una zia o un vicino. E penso: se Hamas è nato dalla generazione della prima Intifada, quando i giovani che tiravano pietre sono stati presi a fucilate, cosa nascerà dalla generazione che ha sperimentato i ripetuti massacri degli ultimi sette anni?”
La nostra sconfitta morale ci perseguiterà per molti anni in futuro.
Nena News, 30 luglio 2014



Alla famiglia della millesima vittima del massacro
Pubblicato da Francesco Penzo il 1/8/14 • Inserito nella categoria: Lente d'ingrandimento,Numero 197
Ilan di Ilan Pappé

http://www.bocchescucite.org/alla-famig ... l-massacro

Carissimi, non so ancora chi fosse il vostro caro. Avrebbe potuto essere un bimbo di pochi mesi, o un giovane, un nonno o uno dei vostri figli o genitori. Ho sentito parlare della morte del vostro caro e so bene che l’uccisione del vostro amato, così come la trasformazione i quartieri di Gaza in macerie e l’allontanamento di 150.000 persone dalle loro case, è parte di una strategia israeliana ben calcolata: questa carneficina distruggerà l’impulso dei palestinesi di Gaza a resistere alle politiche israeliane.

Sul giornali del 25 luglio ho letto che il noto storico Benny Morris ritiene che quando abbiamo prodotto a Gaza non sia ancora abbastanza. Egli esige molta più distruzione di massa in futuro.

Deserto inumano.
Siamo nel 2014 e la distruzione di Gaza è ben documentata. Questo non è 1948, quando i palestinesi hanno dovuto faticare non poco per raccontare la loro storia di orrore; molti dei crimini commessi allora dai sionisti sono stati nascosti e non sono mai venuti alla luce, anche fino ad oggi. Così il mio primo e semplice impegno e promessa che vi faccio è quello di registrare, informare e insistere sulla verità.

Impegno per il boicottaggio.
Ma sicuramente questo non è sufficiente. Mi impegno a continuare lo sforzo di boicottare uno Stato che commette tali crimini. Solo quando l’Unione delle Federazioni Calcistiche Europee espellerà Israele, quando la comunità accademica si rifiuterà di avere rapporti istituzionali con Israele, quando le compagnie aeree esiteranno a volare lì, e quando ogni gruppo che può perdere denaro a causa di un atteggiamento etico nel breve termine capirà che a lungo andare si guadagnerà sia moralmente che finanziariamente – solo allora inizieremo a onorare la vostra perdita.

Macello.
Prego e spero che in questo momento, guardando alle rovine di Shujaiya, Deir al-Balah e Gaza City e a ciò che il mio Paese ha prodotto con aerei da guerra israeliani, carri armati e artiglieria, voi non perdiate la speranza nell’umanità.

Questa umanità comprende anche i cittadini di Israele non ancora nati, che forse saranno in grado di sfuggire a una macchina di indottrinamento sionista che insegna loro, dalla culla alla tomba, a disumanizzare i palestinesi a un livello tale che ardere vivo un ragazzo palestinese di sedici anni non riesce a commuoverli o a distruggere la loro fede nel loro governo, nell’esercito o nella religione.

Possa la vostra persona amata riposare in pace sapendo che la sua morte non è stata vana – e non perché sarà vendicato. Non abbiamo bisogno di ulteriori spargimenti di sangue. Credo ancora ci sia un modo per portare i sistemi malvagi verso loro fine con la forza della giustizia.

Giustizia significa anche portare in tribunale gli assassini che hanno ucciso la vostra persona amata e tanti altri come anche perseguire i criminali di guerra di Israele nei tribunali internazionali.

E’ un modo molto più lungo e, a volte, anche io sento l’impulso di far parte di quelli che utilizzano la forza bruta per mettere fine alla disumanità. Ma mi impegno a lavorare per la giustizia, la piena giustizia.
Questo è quello che posso promettere: lavorare per evitare la prossima fase della pulizia etnica della Palestina e il genocidio dei palestinesi a Gaza.

Nena News, 29 luglio 2014


???

Per non far morire la pace
Pubblicato da Francesco Penzo il 1/9/15 • Inserito nella categoria: Editoriale,Numero 215

http://www.bocchescucite.org/per-non-fa ... ment-24920

“Amici di BoccheScucite, vi supplico, vi chiedo ancora una volta: alzate la voce presso i vostri governanti, fatevi sentire in Italia e dite loro che non ne possiamo più di sopportare tanta ingiustizia!”
Quante volte abuna Aktham, per anni studente a Venezia, è venuto nelle nostre città per denunciare l’occupazione israeliana e le ingiustizie subite dai palestinesi. Per questo BoccheScucite non può solamente approvare e diffondere il comunicato con cui Pax Christi ha denunciato il furto della terra e la distruzione degli ulivi di Cremisan. Come dimenticare la vibrante testimonianza con cui abuna Aktham, nel Natale del 2010, commosse una chiesa gremita:
“Più passava il tempo e più sentivo che dovevo condividere la lotta della mia gente. Partecipavo alla sofferenza delle mie famiglie a cui distruggevano i campi abbattendo centinaia di piante d’ulivo, stavo con i miei studenti che protestavano all’università di Bir Zeit e li ho aiutati ad attraversare i checkpoint, a volte stando per 8-10 ore in fila con loro, perchè non dovessero sopportare troppe umiliazioni e troppe violenze. Ho condotto gli ammalati con la mia auto in ospedale: li caricavo sulla mia auto e correvo all’ospedale perchè ero l’unico che poteva raggiungere con l’auto Ramallah. Sono stato l’ultimo ad andare a letto la sera, avevo sempre paura che succedesse qualche cosa, mentre che io dormivo”.
In questi giorni sentiamo spesso gli amici di Beit Jala di cui si parla in tutti i giornali e scegliamo una interessante annotazione di strategia militare che abuna Aktham non ha denunciato ad altri media:
“Purtroppo c’è una novità da registrare: Israele, sempre più preoccupata dell’opinione pubblica mondiale, che nel web smaschera e diffonde tutta la violenza delle sue azioni, sta sperimentando a Cremisan una nuova strategia: visto che è troppo pesante vedere nei media internazionali le foto dei soldati sulle ruspe che abbattono gli ulivi, l’esercito che umilia gente inerme e magari un militare che aggredisce il parroco che vuole celebrare la messa sotto gli ulivi ormai sradicati, ha deciso di cambiare metodo. Hanno studiato una nuova strategia volta a mascherare tutto (o quasi): nessun militare apparirà più nelle foto che immortalano lo scempio in atto, perché tutta l’operazione deve nascondere l’operato dell’esercito e sostituirlo con ben più accettabili “funzionari della Municipalità”. L’esercito di occupazione che siamo abituati a vedere in azione ovunque, è stato sostituito da “poliziotti di città”, decisamente presentabili ad ogni telecamera ficcanaso. Sono il Comune e la Città di Gerusalemme a sostituire l’ingombrante e decisamente poco fotogenico esercito armato in azione. Qui a Beit Jala, direi che stanno sperimentando una semplice ma efficace “trasformazione” dell’azione di guerra in atto amministrativo. Drammaticamente, nel silenzio del mondo, le vittime di questo crimine di stato diventano i colpevoli di un atto illecito. E’ accaduto così che due giovani siano stati arrestati solo perchè passeggiavano sotto casa, ma con un’accusa chiara e inequivocabile: questa strada non appartiene più a voi, come le vostre terre. Da oggi la vostra terra e gli ulivi che da secoli appartengono alle vostre famiglie sono terre della Municipalità di Gerusalemme”.
Ad abuna Aktham promettiamo di tenere costante la nostra denuncia, di non tacere sulle ipocrisie dei nostri politici, di continuare a partire per la Palestina, come può fare chiunque unendosi al prossimo pellegrinaggio di giustizia dal 10 al 19 ottobre (unponteperbetlemme@gmail.com).
E continueremo a raccontare anche di te, umile e coraggioso pastore del tuo popolo oppresso, ricordando la tua voce spezzata in skype, quando ci hai detto di non essere riuscito con il tuo corpo ad impedire l’arresto di due tuoi giovani parrocchiani, e la confessione personale che tu facesti con gli occhi lucidi in quei giorni di Natale:
“I soldati mi hanno sparato 3 volte. Non posso dimenticarlo. Ho attraversato montagne e valli, per arrivare alla mia parrocchia. E alla fine, ho pagato caro il prezzo della mia missione: a dispetto del fatto di essere stato membro di tanti movimenti di pace e di aver anche incoraggiato gli studenti della scuola a partecipare a questi movimenti, in cui lavorano insieme palestinesi e israeliani, mi hanno accusato di essere un terrorista e sono rimasto quattro anni senza il permesso di soggiorno. Sono stato illegale in Palestina. Non riuscivo ad andare a trovare la mia famiglia in Giordania, soprattutto nelle circostanze difficili. Nonostante tutti questi eventi, ho cercato sempre di tenere salde la fede e la speranza, perchè senza di esse moriremo tutti, e morirebbe la pace.”
BoccheScucite
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Re: Strika de Gaxa

Messaggioda Berto » mer gen 06, 2016 10:05 pm

Basta sostegner sti preti come Capoviła ke łi fiankexa i teroristi xlameghi ke spara a Ixraełe, no ghe sarà mai paxe se łi xlameghi łi seita spararghe doso a łi ebrei de Ixrael.
Xe natural ke Ixrael el ghe ła pianta dura, cosa vorisiłi ke łì ebrei łi se làsase copar ono o diexe al dì e ke li ciapàse su e łi se butàse tuti in mar a negarse?

Se se vol ła paxe no se ghe spara caro preve veneto, anca łi ebrei łi xe omani e łi ga el dirito de vivar, ti a te ono ke supia soto e ke te tien vivo el fogo, par coaxi ca te odi łi ebrei de Ixrael.
No te me piaxi prete, par mi no te si on bon cristian.


Par mi ła vida de n'omo ebreo d'Ixrael ła val tanto coeła de on pałestinexe musulman, anca łi ebrei d'Ixrael łi ga i so diriti, me despiaxe tanto ma se i nasirasisti xlameghi palestinexi no łi soporta łi ebrei e łi vol pararłi fora da Ixrael łi ixraełiani łi fa benon a star a caxa sua e a defendarse co łe onje e co i denti e łi xe anca màsa boni.



Ixlam, pałestinexi, ebraixmo, ebrei, Ixraełe
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Re: Strika de Gaxa

Messaggioda Berto » mer gen 06, 2016 10:06 pm

Gaza, le ragioni di un conflitto infinito
Nuovo capitolo nello scontro Israele-Palestina: ma perché da oltre 60 anni vince la guerra?
enrico caporale
16/09/2014
http://www.lastampa.it/2014/09/16/cultu ... agina.html

L’8 luglio 2014, quando Israele lancia nella Striscia di Gaza l’operazione “Margine Protettivo” con l’obiettivo di eliminare i tunnel di Hamas e di porre fine al lancio di razzi che minacciano i suoi cittadini, nessuno immagina che è appena esploso uno tra i più sanguinosi conflitti israelo-palestinesi della storia recente. La campagna militare del premier Netanyahu scatta dopo che i cadaveri di tre ragazzi israeliani, rapiti a giugno nel sud della Cisgiordania, vengono ritrovati nei pressi della città palestinese di Halhul. I giorni precedenti erano stato caratterizzati da accuse incrociate tra Hamas e Israele e dall’arresto di numerosi leader palestinesi. A Gerusalemme, come rappresaglia per la morte dei tre israeliani, un giovane palestinese viene rapito e arso vivo. A quel punto dalla Striscia di Gaza partono razzi contro Israele e Netanyahu ordina raid mirati per eliminare Hamas. Qualche giorno più tardi le truppe israeliane invadono Gaza, provocando in poche settimane quasi 2 mila morti (la maggior parte civili e bambini). Ma l’odio tra israeliani e palestinesi ha origini profonde: per comprenderlo bisogna tornare indietro di oltre 60 anni.

“La creazione di una striscia costiera intorno alla città di Gaza – ricorda su “La Stampa” Abraham Yehoshua, scrittore e drammaturgo israeliano - risale alla fine della guerra del 1948”. Il conflitto scoppiò subito dopo l’approvazione della risoluzione Onu che sanciva la nascita di due Stati nell’allora Palestina, uno ebraico e l’altro arabo, di dimensioni pressoché uguali. La creazione di una nazione ebraica, oltre a essere un tentativo di risarcire moralmente i sopravvissuti della Shoah, intendeva neutralizzare il terribile e pericoloso virus dell’antisemitismo, che aveva portato allo sterminio di sei milioni di ebrei. Ciononostante, i palestinesi e gli Stati arabi non accettarono la risoluzione e si prepararono a distruggere il neonato Stato ebraico.

Il 15 maggio 1948, gli eserciti di tre Paesi arabi invasero la Palestina (quello giordano a Est, il siriano a Nord e l’egiziano a Sud) per cercare di annientare lo Stato di Israele. “Dopo aspre battaglie – racconta Yehoshua - gli israeliani riuscirono a respingere l’attacco giordano (che aveva messo sotto assedio Gerusalemme), a cacciare quello siriano dalla Galilea e a fermare quello egiziano a soli 78 chilometri da Tel Aviv”. Al termine degli scontri, nelle mani dei palestinesi rimase solo metà del territorio loro assegnato dall’Onu. Tuttavia, qui non venne fondato un nuovo Stato palestinese, ma governarono due Paesi: la Giordania in Cisgiordania, e l’Egitto nella Striscia di Gaza. “I giordani – spiega Yehoshua – mantennero buoni rapporti con i palestinesi, ma gli egiziani trattarono con durezza gli abitanti della Striscia, isolati dai loro fratelli e dal loro popolo in Cisgiordania”. Gaza rimase sotto il controllo dell’Egitto fino al giugno del 1967, a eccezione di un breve periodo dopo la campagna del Sinai, nel 1956, quando Israele sconfisse l’esercito egiziano conquistando l’intero deserto del Sinai e, in un solo giorno, anche la Striscia di Gaza. Al termine di quella guerra, alla quale presero parte anche Francia e Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica imposero a Israele di arretrare entro le linee dell’armistizio del 1948.

Ma nel 1967 scoppiò un altro conflitto (la “Guerra dei Sei Giorni”) a causa della provocazione del dittatore egiziano Abdul Nasser. Per sei giorni Israele combatté con successo su tre fronti: a nord, contro i siriani, dove conquistò le alture del Golan, a est, contro i giordani, dove conquistò la Cisgiordania, e a sud, contro gli egiziani, dove occupò il deserto del Sinai, riconquistando ancora una volta la Striscia di Gaza. Nel 1973 una nuova crisi portò alla IV guerra arabo-israeliana, detta anche del “Kippur” (da una festività religiosa ebraica). In questa occasione furono gli eserciti dell’Egitto e della Siria ad attaccare Israele, che perse il controllo del Canale di Suez. Nel 1979, dopo lunghe trattative, Israele ed Egitto firmarono un trattato di pace (il primo tra Israele e uno Stato arabo) che comportò la restituzione all’Egitto della penisola del Sinai e il riconoscimento dello Stato di Israele. “Non è un caso – sottolinea Yehoshua - che nel trattato di pace gli egiziani rifiutarono di riprendersi la Striscia, lasciando questa problematica regione nelle mani di Israele”.

Nel 1967 i quattrocentomila abitanti e rifugiati della Striscia di Gaza erano infatti diventati un milione e ottocentomila. “I profughi - spiega Yehoshua - rimasero fedeli alla loro madrepatria e, con ostinata e pericolosa ingenuità, ancora sognavano di ritornare ai villaggi e alle città dai quali erano stati espulsi o erano fuggiti durante la guerra del 1948”. Tuttavia, nel 1973, Israele decise di confiscare un terzo del territorio della povera e affollata Striscia di Gaza per insediarvi, proprio accanto ai campi profughi, ottomila ebrei. “Mai decisione fu più sbagliata e mai azione fu più stupida e immorale - commenta Yehoshua -. Una parte dell’audacia degli odierni combattenti di Hamas deriva dalla rivolta contro quegli insediamenti”. Nel 1987, infatti, esplose la prima intifada (una sommossa contro la presenza israeliana in Palestina che si concluderà con gli accordi di Oslo del 1993 e la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese), a cui ne seguirà una seconda tra il 2000 e il 2005, anno del ritiro di Israele da Gaza. Da allora l’esercito di Tel Aviv lanciò diverse campagne militari (le più famose “Pioggia d’estate” e “Piombo fuso”, fino a “Margine protettivo”) per cercare di neutralizzare Hamas che, dal 2001, continuò a bersagliare le città israeliane con i razzi. Sempre con l’obiettivo di garantire la sicurezza dei propri confini, nel 2006 Israele decise di invadere il Libano dove operavano le milizie armate di Hezbollah.

“Alla radice dell’integralismo di Hamas – conclude Yehoshua - c’è una storia di emarginazione, di repressione, di blocco economico (iniziato durante il governo egiziano della Striscia), di profughi senza speranze e dell’errore degli insediamenti israeliani”. Ecco perché, “dopo la distruzione e le morti, a Gaza e in Israele, lo Stato ebraico non deve accontentarsi di accordi provvisori o di intese parziali, come al termine di scontri precedenti, ma deve prendere l’iniziativa e, con l’aiuto dell’Egitto e di altri Stati, ricostruire Gaza - il figliastro amareggiato e incollerito -, smantellarne i missili, distruggerne i tunnel ma, al tempo stesso, interromperne l’isolamento e ripristinare i legami col suo popolo mediante un corridoio sicuro che colleghi la Striscia alla Cisgiordania, come previsto negli accordi di Oslo”.




Origine e andamento del nuovo conflitto tra Israele e Hamas.

Le questioni sullo sfondo: l’unità nazionale palestinese, il collasso delle "primavere arabe" e il negoziato sul nucleare iraniano.
Le carte e le migliori analisi di Limes sull’argomento.

Una certa idea di Israele | Il buio oltre Gaza
a cura di Matteo Oppizzi e Niccolò Locatelli
8/08/2014

http://www.limesonline.com/la-guerra-tr ... esto/64607

Dopo oltre un mese e mezzo di guerra, Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per il cessate-il-fuoco con la mediazione dell’Egitto [26 agosto].
L’8 luglio 2014 Israele ha iniziato l’operazione Protective Edge (Margine protettivo), ossia un intervento militare contro Hamas nella striscia di Gaza, in Palestina.
Si tratta della quarta operazione militare israeliana contro la Striscia di Gaza dal 2006 – quando il movimento islamista Hamas ha vinto le elezioni ai danni di Fatah, il partito fondato da Yasser Arafat e attualmente retto dal presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) – e la terza dal 2007, quando Hamas ha preso il controllo di Gaza estromettendo Fatah.
L’ascesa al potere di Hamas ha condotto al "blocco" di Gaza, ossia alla chiusura dei valichi di frontiera della Striscia e alla fine dei finanziamenti da parte di Ue e Stati Uniti. L’aeroporto internazionale della Striscia, distrutto nel 2011, non è più stato ricostruito; l’accesso al mare – che gli accordi di Oslo sancivano fino a 20 miglia – è stato ridotto, su decisione israeliana, a 3 miglia.
La crisi che ha portato alla nuova guerra è iniziata con il rapimento di tre giovani israeliani, avvenuto il 12 giugno nel sud della Cisgiordania. I tre ragazzi sono stati trovati morti lo scorso 30 giugno. Il governo israeliano capeggiato dal primo ministro Benjamin Netanyahu ha attribuito la responsabilità del sequestro ad Hamas, che pure ha smentito il suo coinvolgimento. Si ritiene che a rapire e uccidere i ragazzi siano stati dei membri della tribù dei Qawasameh.
Dopo 10 giorni di bombardamenti aerei, cui Hamas ha risposto intensificando il lancio di razzi verso lo Stato ebraico, giovedì 17 luglio è cominciata l’invasione via terra dell’esercito israeliano (Idf o Tsahal) nella Striscia. A inizio agosto Tsahal si è ritirato da Gaza.
Netanyahu ha specificato che l’obiettivo di Protective Edge è distruggere i "tunnel del terrore che vanno da Gaza fino a Israele".
Prima del 26 agosto erano stati raggiunti diversi cessate-il-fuoco, ma nessuno di questi aveva portato a una tregua duratura.
In un mese e mezzo di guerra sono morti oltre 2100 palestinesi e 66 israeliani (di cui 64 militari), secondo le cifre fornite dall’Ocha.
L’ultima crisi tra Israele e Hamas è legata all’accordo dello scorso 23 aprile tra Hamas e Fatah per dar vita a un governo di unità nazionale palestinese e indire nuove elezioni. Un passo che Netanyahu definì "contrario alla pace", vista la partecipazione di Hamas – che è considerata un’organizzazione terrorista da Israele, Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Giappone.
La guerra di Gaza avviene in un contesto regionale da sempre instabile, ma che in questa fase è sconvolto da varie crisi: dalla guerra civile in Siria alla nascita del califfato in Iraq – proclamata dallo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis, ora Is – organizzazione jihadista) – alle difficili transizioni delle "primavere arabe" in paesi come l’Egitto e la Libia.
Sullo sfondo, il percepito disimpegno degli Stati Uniti dalla regione e il delicato negoziato nucleare con l’Iran.
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Re: Strika de Gaxa

Messaggioda Berto » mer gen 06, 2016 10:18 pm

???

Gaza: le 10 cose cose da sapere per comprendere la questione Palestinese
Scritto il 19 luglio 2014 alle 15:00 da Redazione Finanza.com

http://redazione.finanza.com/2014/07/19 ... ia-di-gaza

Conflitto ebrei palestinesi striscia di GazaNegli ultimi giorni è scoppiato nuovamente il conflitto, mai sopito, tra arabi e ebrei in Palestina. La questione palestinese è piuttosto complicata da comprendere e soprattutto da risolvere. Ecco alcune verità storiche, utili per comprendere meglio le ragioni delle divisioni. Ovviamente, data la complessità dell’argomento, si deve interpretare questo articolo come una semplice base, per alcuni sicuramente riduttiva, utile per capire l’origine della diatriba e comprendere meglio cosa sta accadendo in un territorio non così lontano dalla nostra nazione. Lasciamo al lettore gli indispensabili ulteriori approfondimenti sulla spinosa questione che si trascina da oltre mezzo secolo .

1. Come è nato lo stato di Israele?

L’idea di creare uno stato ebraico in Palestina è sorta con la creazione, alla fine dell’ottocento, del sionismo. Corrente minoritaria nella prima metà del novecento, il Sionismo riprese vigore alla fine della seconda guerra mondiale, rinvigorito dall’appoggio dei paesi occidentali, intenzionati a ripagare gli ebrei delle sofferenze pagate nel conflitto. Gli accordi del 1947 stabilirono la nascita dello stato di Israele in Palestina.

2. Chi abitava la Palestina prima dell’arrivo degli ebrei?

I sionisti più radicali affermano che lo stato di Israele sia stato creato in un territorio pressoché disabitato. Dal punto di vista storico questa affermazione non è esatta, poiché la Palestina, prima della nascita dello stato di Israele, era popolata da circa 800.000 persone (88% arabi, 10% cristiani, 2% ebrei).

3. L’esistenza dello stato palestinese era prevista negli accordi del 1947?

Gli accordi del 1947 prevedevano l’esistenza di due stati distinti. L’ostilità dei paesi arabi confinanti ha spinto Israele ad occupare una parte di territorio decisamente più ampia. Nel 1993 le due parti trovarono un accordo per la nascita dello stato palestinese (accordo di Oslo) ma l’assassinio del premier israeliano Rabin e l’ostilità dei suoi successori ne hanno ostacolato il rispetto.

4. Come è nata la lotta armata palestinese?

L’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) venne creata nel 1964 ed è stata a lungo presieduta da Yasser Arafat. Oltre all’OLP sono sempre state attive fazioni più estremiste, tra cui il gruppo Settembre Nero, protagonista del massacro di Monaco del 1972.

5. Quali sono i legami tra lotta armata palestinese e terrorismo islamico?

La maggioranza degli stati occidentali ha sempre considerato le organizzazione di lotta armata palestinesi veri e propri gruppi terroristici, ma non sono mancate opinioni contrarie .

6. Hamas è un partito totalitario?

A partire dal 2006 è in corso una dura guerra tra Hamas, che ha vinto le elezioni, e Al Fatah, con reciprochi attacchi che hanno causato la divisione nei fatti, tra la Cisgiordania e la striscia di Gaza.

7. Le azioni di militari di Israele: risposta alle provocazioni palestinesi?

L’ultima offensiva israeliana è stata causata dall’uccisione di 3 giovani ebrei, ma, estendendo l’orizzonte temporale e analizzando i dati pubblicati dall’Huffington Post, si nota che le interruzioni delle tregue sono state provocate nella maggior parte dei casi dagli israeliani (79%).

8. Quante sono le vittime del conflitto arabo-israeliano?

Non è semplice effettuare una stima, considerando l’alto numero di civili coinvolti. La sproporzione tra le forze in campo fa sicuramente propendere per un numero di palestinesi uccisi molto più elevato, soprattutto negli ultimi decenni.

9. Quali sono i confini tra i due stati previsti dagli accordi del 1947?

L’attuazione del piano originario del 1947 prevedeva la creazione di due stati indipendenti dall’estensione simile (Israele 56%, Palestina 44%).

10. Qual è la soluzione alla questione palestinese?

Le spinte estremiste, da entrambi i fronti, rendono difficoltosa la soluzione della questione palestinese. Una soluzione utopistica, paventata dalla sinistra radicale di entrambi gli schieramenti, potrebbe essere la creazione di un unico stato laico, in cui vengano riconosciuti pari diritti a tutti i cittadini.


Stato laico ognoło, no xe posibiłe ensemenii!
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Re: Strika de Gaxa

Messaggioda Berto » gio gen 07, 2016 7:35 am

Basta co sti preti creistiani eresponsabiłi antiebrei e antixaraełiani ke supia sol fogo sostegnendo i teroristi pałestinexi xlameghi de Hamas ke łi xe rasinasisti e xjonfi de odio contro łi ebrei e łi ixraełiani. Basta col rasixmo cristian contro łi ebrei!


Ixlam, pałestinexi, ebraixmo, ebrei, Ixraełe
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=1924

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https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 1963525726

In moschea l'imam brandisce il coltello e ordina di uccidere gli ebrei per ordine di Allah e di Maometto

Venerdì scorso in una moschea a Rafah, nella Striscia di Gaza controllata da Hamas, l'imam ha impugnato il coltello nel corso del sermone ordinando ai fedeli di uccidere gli ebrei nel nome di Allah ed emulando le gesta di Maometto.

Il ricorso al coltello, l'arma simbolo di quella che viene indicata come la “Terza Intifada”, la nuova rivolta palestinese caratterizzata da un'ondata di accoltellamenti di ebrei, trova riscontro nei versetti coranici:
«Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo (…) Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi». (8, 12-17)
“Quando [in combattimento] incontrate i miscredenti, colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati”. (47, 4)
Così come è illuminante l'esempio di Maometto che nel 627, alle porte di Medina, partecipò di persona allo sgozzamento e alla decapitazione di circa 800 ebrei della tribù dei Banu Qurayza.

Nel dicembre 1987 esplose la Prima Intifada, ribattezzata “delle pietre”, l'arma con cui i shabab, i giovani, palestinesi colpivano coloni e soldati israeliani. Il 28 settembre 2000, quando l'allora leader dell'opposizione Ariel Sharon fece una passeggiata sulla Spianata delle Moschee (per i musulmani) o Monte del Tempio (per gli ebrei), è considerato come la data d'inizio della Seconda Intifada, connotata dall'uso del kalashnikov in azioni armate contro militari e civili israeliani. C'era stata, ancor prima, una sanguinosissima ondata di attentati terroristici suicidi, firmati da Hamas, Jihad Islamica e Al Fatah, dopo la storica stretta di mano tra Rabin e Arafat il 13 settembre 1993, per far fallire il neonato processo di pace israelo-palestinese.

Il Corano è un testo profondamente anti-ebraico, al punto da far impallidire il Mein Kampf di Hitler.
Gli ebrei sono presentati come “i più feroci nemici di coloro che credono”, “coloro che Allah ha maledetto”, perché “uccidevano ingiustamente i profeti”, “praticano l’usura”, “con falsi pretesti divorano i beni della gente”, che Allah “ha trasformato in scimmie e porci”, che “somigliano a un asino”.

La legittimazione dell'odio, della violenza e dell'uccisione degli ebrei e dei cristiani è sancita da Allah nel Corano:

«Dicono i giudei: “Esdra è figlio di Allah”; e i nazareni dicono: “Il Messia
è figlio di Allah”. Questo è ciò che esce dalle loro bocche. Ripetono le parole
di quanti già prima di loro furono miscredenti. Li annienti Allah (…)”. (9, 30)

La “Terza Intifada dei coltelli” è l'onda lunga delle decapitazioni dei terroristi dello “Stato islamico” dell'Isis, meno eclatante mediaticamente perché manca l'ostentazione della testa mozzata, ma più diffusa tra la popolazione e che si conclude comunque con l'uccisione dei nemici dell'islam.
L'augurio è che la Sinistra non ripeta l'errore di schierarsi pregiudizialmente al fianco dei palestinesi, anche quando accoltellano a morte gli ebrei, immaginandoli come le vittime storiche ed eterne di un'ingiustizia che si sostanzia con la stessa presenza dello Stato di Israele.

L'augurio è anche che la Chiesa di Papa Francesco cessi di assecondare acriticamente una politica incentrata sul buonismo, che l'ha portata a riconoscere uno Stato palestinese inesistente e che non è mai esistito nella Storia. La pace vera, stabile, sicura e duratura tra israeliani e palestinesi ci sarà solo quando sarà sconfitto il terrorismo palestinese ed islamico, che disconosce aprioristicamente, nel nome di Allah e di Maometto, il diritto di Israele ad esistere come Stato del popolo ebraico.




L’Intifada del “presidente moderato”. Il Foglio svela l’Abu Mazen connection
Esclusiva. Ecco una prova della responsabilità di Abu Mazen negli attacchi terroristici che hanno ucciso trenta persone in Israele. Così gli ufficiali della sua Guardia presidenziale gestiscono le piattaforme dell’odio
di Giulio Meotti | 05 Gennaio 2016
http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/01/0 ... e_c317.htm

Roma. Aprile 2002, culmine della Seconda Intifada. L’esercito israeliano compie un’incursione a Ramallah e negli uffici di Fatah scopre documenti che dimostravano il passaggio di ordini da Yasser Arafat a Marwan Barghouti, percorrendo tutta la catena del terrore. Soldi, cinture di tritolo, armi, tutto annotato in lettere. Oltre a invitare al “martirio”, Arafat forniva consapevolmente i soldi per la preparazione degli attentati alle Brigate di al Aqsa. Prove che sarebbero servite a far condannare Barghouti a cinque ergastoli (un anno fa un tribunale di New York ha anche condannato l’Autorità nazionale palestinese per il suo diretto coinvolgimento in sei attentati).

Per spiegare la “Terza Intifada”, che in questi due mesi e mezzo ha causato trenta morti e trecento feriti fra gli israeliani, non è possibile ricorrere a documenti simili. Con un dollaro a Ramallah ora puoi acquistare i coltelli da cucina usati per pugnalare gli israeliani, con la stessa cifra nelle strade trovi i cd con la “musica dell’Intifada” e, più che in lettere su carta, gli ordini oggi corrono sulla rete. “Is Palestinian-Israeli violence being driven by social media?’”, chiede la Bbc.

La risposta è “sì” e le prove portano diritto alla “Muqata” di Ramallah, il palazzo di Abu Mazen, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese. Quasi tutti gli attentatori in quest’ultima ondata di terrore hanno lasciato messaggi su Facebook. Il primo fu Muhannad Halabi, il terrorista palestinese che ha accoltellato a morte due persone a Gerusalemme, che aveva postato sul suo Facebook le motivazioni del duplice assassinio: “La Terza Intifada è iniziata. Ciò che sta accadendo alla Moschea di al Aqsa è ciò che sta accadendo ai nostri luoghi santi, è la via del nostro Profeta Maometto, è ciò che sta accadendo alle donne di al Aqsa e alle nostre madri e sorelle. Io non credo che il popolo soccomberà all’umiliazione. Il popolo si solleverà e sarà davvero Intifada”.

Finora, media e analisti hanno portato come “prove” del coinvolgimento di Abu Mazen figure come Ahmed Ruweidi, consigliere del presidente per gli affari di Gerusalemme, che ha detto: “Sono orgoglioso dei combattenti che adoperando il sangue, gli arresti, gli attacchi e le percosse sono riusciti a espellere gli ebrei con i loro corpi. A loro va tutto il mio rispetto e apprezzamento”. E’ l’incitamento all’odio del “moderato” Abu Mazen su cui il mondo punta, che chiama le piazze con i nomi dei terroristi e lascia che le sue tv e i suoi siti siano pieni di incitamento. Il Foglio in questa esclusiva è in grado di fare di più: dare un nome e un volto a uno dei principali burattinai di questa Terza Intifada.

Uno dei principali canali di indottrinamento per gli assalti palestinesi con i coltelli e le auto è una pagina Facebook traducibile dall’arabo come “Vietato l’ingresso agli ubriachi”. Il logo è un ragazzino palestinese con la kefiah, una lama in mano e la scritta: “Vigilate sulla Palestina con il coltello”. La pagina, fino a oggi, ha raccolto un milione e mezzo di like. Si trova sotto la sezione “arte e intrattenimento” ed è stata lanciata nel 2011 durante la cosiddetta “primavera araba”.

Da quando è stata promossa la Terza Intifada, alla fine di settembre, la pagina ha registrato un’impennata giornaliera di visitatori. Un’analisi attenta di questa pagina rivela un antisemitismo esasperato e l’invito giornaliero a uccidere ebrei israeliani.

Il 14 ottobre si chiede ai palestinesi di asfaltare gli israeliani in attesa dell’autobus, accompagnato da tanto di contachilometri: “Figli di Palestina, accoltellate e passate sopra con l’auto”. L’11 dicembre: “Vi invito in Palestina a testimoniare la rivoluzione contro l’occupazione sionista”. E ancora: “Figli di puttana (rivolto agli ebrei, ndr), che Allah vi maledica”. Ovunque immagini degli attentatori: “La sua anima è in paradiso”. Un soldato israeliano? “Figlio di cane”. Il 12 dicembre ci sono fotografie di assalti palestinesi a civili e soldati: “A coloro che dubitano della Palestina e del suo stato, guardate che eroismo”. Il 9 dicembre, con foto di israeliani portati via in ambulanza: “Allah il Grande ha ucciso un sionista”. Due giorni fa è arrivato, puntuale, anche un elogio di Nashat Melhem, il terrorista che venerdì ha ucciso due ragazzi israeliani nel caffè di Tel Aviv: “Che Allah lo protegga”. Gli ebrei sono chiamati ovunque “figli di scimmie e maiali”. Il 31 dicembre hanno avuto un modo originale di fare gli auguri: “Tutti aspettano Capodanno. Noi aspettiamo la testa di Netanyahu nelle mani della resistenza palestinese”.

Chi c’è dietro questa piattaforma terroristica? Husam Nabil Adwan. E’ un palestinese nato nel 1988 e cresciuto ad Al Ezaria, un sobborgo di Gerusalemme est. Perché è importante? Perché dal 2006 Adwan ha le mostrine con le spade ricurve della Guardia presidenziale di Abu Mazen, il corpo d’élite responsabile della sicurezza del presidente palestinese e dei suoi ospiti stranieri in visita a Ramallah. Nella sua pagina Facebook, si fa fotografare con alle spalle la moschea di al Aksa, il Corano in una mano e il kalashnikov nell’altra. Ci sono poi le foto con i volti più noti della politica e della sicurezza palestinese, fra cui la storica guardia del corpo di Arafat, Mohammed Daya, e l’ex primo ministro Abu Ala. Questa terza non è affatto una “Intifada spontanea” ma ha un software preciso, l’incitamento all’odio, e alti ufficiali e pretoriani dell’Autorità nazionale palestinese che gestiscono le maggiori piattaforme di questa “guerra silenziosa”.

Nei giorni scorsi il dottor Ofer Merin, capo dell’unità traumi dell’ospedale Shaare Zedek di Gerusalemme, ha tenuto una conferenza stampa sulle vittime della Terza Intifada: “Gli attentatori sanno sempre dove colpire, le ferite che vediamo non sono mai casuali”. Colpiscono sempre per uccidere.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Strika de Gaxa (e i nasirasisti xlameghi)

Messaggioda Berto » gio gen 07, 2016 9:30 am

Israele è la parte forte o debole del conflitto israeliano-palestinese?

http://veromedioriente.altervista.org/p ... debole.htm

La propaganda ha la caratteristiche di riuscire a creare una realtà che rovescia la verità dei fatti e di farla accettare alla gente. Israele è costantemente colpito da essa, ed in questa sede si vuole ricordare come una nazione debole, che lottava disperatamente per la sopravvivenza contro la volontà di distruzione islamica, sia improvvisamente stata dipinta come una parte forte che opprime avversari deboli.

Si tratta ovviamente di una esposizione riassuntiva, utile per far capire velocemente una contraddizione che in molti fanno finta di non vedere.

C'è una forte propaganda partita nel 1967, quando gli arabi persero la guerra contro Israele ed andarono su tutte le furie, che partì dal mondo arabo e dai loro alleati sovietici per poi diffondersi in tutto il mondo grazie all'appoggio politico delle sinistre e dei giornalisti: si tratta dell'idea che Israele sia la parte forte del conflitto contro i poveri ed indifesi palestinesi, e come tale va condannato. C'è insomma una situazione in cui Davide lotta contro Golia, ed un conflitto israeliano palestinese.

Cambia la realtà e cambia anche la terminologia, si passa quindi dal conflitto mussulmano-israliano al conflitto israeliano-palestinese (notare che viene messo prima la parola israeliana come se fosse la parte forte), si passa da un miliardo di musulmani che vogliono la distruzione di Israele, tra cui gli stati più potenti della Terra grazie al petrolio e gruppi di Stati in grado di dirigere le decisioni ONU, ad una situazione in cui una maggioranza di ebrei opprimerebbe e combatterebbe una minoranza di palestinesi. Così il mondo condannerà il cattivo e grosso Israele che opprime i piccini palestinesi.


Ma andiamo con ordine.

Fin dalla sua nascita, Israele è stato fortemente odiato dai paesi musulmani, perché viene considerata una nazione illegittima in quanto Stato non musulmano su un territorio che, secondo le loro credenze, Allah avrebbe dato di diritto al popolo Islamico, d'altronde faceva parte di un antico califfato islamico, così come per le altre terre che sono state sotto il dominio islamico in passato.
A tutto ciò si aggiunge l'aggravante che Israele non è uno stato religioso ma una nazione laica, libera e democratica sul modello europeo, che praticamente è un modello odiato dal mondo islamico e considerato nemico del vero Islam. Israele diventa quindi come una parte di Europa in una zona dove il fanatismo islamico domina incontrastato, quella stessa Europa odiata dall'Islam in quanto vi è la convinzione diffusa dagli arabi dopo il crollo dell'Impero Ottomano di essere colonizzati, oppressi e umiliati dall'Occidente, una cultura che considerano inferiore.

Israele, in quanto Stato non islamico, ha sfidato l'Islam e deve essere distrutto, questa è tutta la storia. Fosse Stato Israele uno Stato che si basava sulla Sharia, la legge islamica, non ci sarebbe stato alcun conflitto e nessuno avrebbe avuto da ridire. Altro che nazioni che vogliono la sua distruzione.

Ovviamente nel mondo islamico c'è l'equazione ebrei = Israele, ecco perché in tutti i Paesi islamici gli ebrei sono stati perseguitati e/o scacciati, ecco perché in questo conflitto si punta spesso ad ammazzare gli ebrei.


Ma qual è il rapporto di forza?

Quelle che vedete qui sotto sono le nazioni arabe, che vogliono la distruzione di Israele, che lo attaccano sul piano diplomatico (in passato anche militare), che fanno propaganda di odio anti-israeliano e che finanziano chi lo attacca, senza contare l'uso dei palestinesi come arma contro lo Stato ebraico.
Si tratta di nazioni più grandi di Israele di ben 640 volte e con una popolazione 65 volte superiore.

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Queste invece sono le nazioni islamiche nel mondo che fanno altrettanto, vogliono la distruzione di Israele e tutto il resto. Qui il rapporto superficie-Israele aumenta esponenzialmente, Israele è poco più di un punto sulla mappa al loro confronto. Queste sono le nazioni nemiche di Israele, è come se Israele combattesse contro di loro.

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Questi invece sono i musulmani nel mondo, i quali condividono l'ideologia di odio contro Israele, si tratta di 1 miliardo di persone ed hanno un forte impatto sul piano culturale, propagandistico, economico e politico, fino ad arrivare all'influenza diretta su organismi come l'ONU.
Israele ha 7,9 milioni di persone e deve di fatto lottare contro 1,5 miliardi di musulmani.

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Ed ovviamente non finisce qui perché, un pò per il retaggio sovietico ed un pò per per l'alleanza con il blocco arabo, ci sono anche i Paesi comunisti o ex comunisti, nonché le dittature e gli Stati canaglia che condividono il loro odio per Israele e sono molto attivi soprattutto nella battaglia politica contro di esso, anche in sede ONU, dove insieme ai paesi musulmani, costituiscono un pericoloso blocco di voti inarrestabile. All'ONU ci sono 120 nazioni su 193 che perseguono strategie di odio contro Israele, attacchi politici e demonizzazioni. Si tratta della maggioranza, quindi posso far passare qualsiasi cosa contro l'odiato Israele, e lo fanno. Per questo Israele viene continuamente condannato, 20 volte più di Stati che causano distruzioni e uccisioni di massa, e per questo viene condannato anche per fatti falsi o assurdi, anche per essersi difeso, mentre i Paesi che lo aggrediscono ed i terroristi godono di immunità. Questo è il sistema politico in cui viviamo.

E poi potremmo anche continuare facendo presente che ci sono numerose nazioni di altro tipo, come quelle Europee, che perseguono una strategia di boicottaggio o comunque di ostilità nei confronti di Israele sulla base di ideali propagandistici, con non pochi danni sul piano politico ed economico.

A conti fatti, sembra davvero che una nazione grande come la Lombardia con 7,9 milioni di abitanti sia costretta a combattere un conflitto con la maggioranza del mondo! E Israele sarebbe la parte forte del conflitto?

Ed in tutto questo, Israele si trova in una zona ricca di sanguinosi e distruttivi conflitti, spesso motivati proprio dal fondamentalismo islamico.

Come spiegato anche qui, la storia di Israele è contestualizzata negli stessi termini in uso fin dai primi anni '90, quelli della ricerca di una "soluzione dei due stati". Viene ritenuto che il conflitto sia "israelo-palestinese", il che significa che si tratta di un conflitto posto sul territorio che Israele controlla - lo 0,2 per cento del mondo arabo, in cui gli ebrei sono una maggioranza e gli arabi una minoranza.

Il conflitto sarebbe ben più accuratamente descritto come "arabo-israeliano" oppure "arabo-ebraico", cioè un conflitto tra i 6 milioni di ebrei di Israele e i 300 milioni di arabi nei paesi circostanti. (Forse "israelo-musulmano" sarebbe più esatto, prendendo in considerazione l'inimicizia di stati non arabi come l'Iran e la Turchia e, più in generale, di un miliardo di musulmani in tutto il mondo.) Questo è il conflitto che si è dispiegato in diverse forme per un secolo, prima che Israele esistesse, prima che Israele conquistasse i territori palestinesi di Gaza e della Cisgiordania e prima ancora che il termine "palestinese" venisse mai utilizzato.

L'inquadratura "israelo-palestinese" permette agli ebrei, una piccola minoranza in Medio Oriente, di essere raffigurati come la parte forte. Essa comprende anche il presupposto implicito che se il problema palestinese fosse in qualche modo risolto, il conflitto finirebbe, anche se nessuna persona informata oggi riterrebbe ciò minimamente vero. Questa definizione permette anche di descrivere il progetto degli insediamenti israeliani, che credo sia un grave errore morale e strategico da parte di Israele, non come quello che è, uno dei sintomi più distruttivi del conflitto, ma piuttosto come la sua causa.

Un osservatore esperto del Medio Oriente non può evitare l'impressione che la regione sia un vulcano e che la lava sia l'Islam radicale, un'ideologia le cui diverse incarnazioni stanno ora plasmando questa parte del mondo. Israele è un piccolo villaggio sulle pendici del vulcano. Hamas è il rappresentante locale dell'Islam radicale ed è apertamente dedicato alla eradicazione della enclave minoritaria ebraica, in Israele, proprio come Hezbollah è il rappresentante dominante dell'Islam radicale in Libano, lo Stato Islamico in Siria e in Iraq, i talebani in Afghanistan e Pakistan e così via.

Hamas non è, come si afferma liberalmente, parte dello sforzo di creare uno stato palestinese a fianco di Israele. Essa ha diversi obiettivi su cui è molto sincera e che sono simili a quelli dei gruppi qui sopra elencati. Dalla metà degli anni '90, più di ogni altro protagonista, Hamas ha distrutto la sinistra israeliana, ha fatto vacillare gli israeliani moderati nei confronti di eventuali cessioni territoriali e sepolto le possibilità di un compromesso a due stati. Questo sarebbe un modo più preciso di inquadrare la storia.


Un osservatore potrebbe anche legittimamente inquadrare la storia attraverso la lente delle minoranze in Medio Oriente, che sono tutte sotto forte pressione da parte dell'Islam: quando le minoranze sono impotenti, il loro destino è quello degli Yazidi o dei cristiani del nord dell'Iraq, come abbiamo appena visto, quando sono armate e organizzate possono reagire e sopravvivere, come nel caso degli ebrei e (dobbiamo sperare) dei curdi.

Ci sono, in altre parole, molti modi diversi di vedere ciò che sta accadendo qui. Gerusalemme è a meno di un giorno di viaggio da Aleppo o da Baghdad e dovrebbe essere chiaro a tutti che la pace è piuttosto sfuggente in Medio Oriente, anche in luoghi dove gli ebrei sono totalmente assenti. Ma i giornalisti in genere non possono vedere la storia di Israele in relazione a qualsiasi altra cosa. Invece di descrivere Israele come uno dei villaggi adiacenti il vulcano, descrivono Israele come il vulcano.

La storia di Israele è incorniciata in modo tale da sembrare che non abbia nulla a che fare con gli eventi nelle vicinanze perché la "Israele" del giornalismo internazionale non esiste nello stesso universo geo-politico, come l'Iraq, la Siria, o l'Egitto. La storia di Israele non è una storia riguardo gli eventi attuali. Si tratta di qualcosa di diverso.

La politica israeliana non è espansionista, checché ne dicano i nemici. Tutt'al contrario è una politica di resistenza. Se tatticamente nella maggior parte dei combattimenti Israele ha preso l'offensiva, a causa della scarsa profondità di manovra del suo territorio, strategicamente Israele è sulla difensiva, è una fortezza assediata, che cerca di prevenire chi vuole distruggerlo e di logorare il suo impianto bellico.

Israele non può conquistare i paesi arabi, 500 volte più vasti e 50 volte più abitati di lui; i paesi arabi possono pensare invece di distruggerlo. E' questa la logica fin dal '48 e anche prima, dallo scoppio della guerra aperta degli arabi contro gli ebrei negli anni Venti del secolo scorso.

Israele sa che non ha alleati solidi, neppure gli Stati Uniti, che gli hanno impedito di vincere fino in fondo molte volte: nel '56 e nel '67, nelle guerre in Libano, nella “seconda Intifada”. Come è stata tradita dalla Gran Bretagna diverse volte, dalla Francia nel '67, dall'Unione Sovietica a partire dagli anni Cinquanta.
In queste condizioni non può vincere, solo resistere. Dissuadere gli attaccanti. Esercitare deterrenza.


In più deve combattere una vera e propria guerriglia politica, legale e mediatica. Si tratta di una situazione critica dove Israele è costretta a combattere per la sua sopravvivenza con forze enormemente più grandi.

Non bisogna dimenticare la storia recente, dalla data della nascita di Israele ad oggi, gli Stati confinanti con esso hanno provato più volte a distruggerlo con le loro forze armate. Resosi conto della difficoltà di agire in scontri diretti, hanno poi optato dal 1967 la scusa di un "popolo palestinese" come arma per continuare la lotta tesa alla distruzione di Israele, sia utilizzando la violenza ma soprattutto utilizzando armi politiche e propagandistiche.


In pratica, visto che la questione è trattata in altre sedi, sintetizziamo correttamente la situazione palestinese con parole dell'Olp (organizzazione per la liberazione della Palestina) che nel 1977 dichiarò:

« Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno Stato palestinese è solamente un mezzo per continuare la nostra lotta per l'unità araba contro lo Stato d'Israele. In realtà oggi non c'è differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Oggi parliamo dell'esistenza di un popolo palestinese per ragioni politiche e strategiche poiché gli interessi nazionali arabi richiedono che venga assunta l'esistenza di un distinto "popolo palestinese" da opporre al sionismo. »

Oppure anche con parole di Arafat:

"Il nostro obiettivo è la distruzione di Israele. Non ci può essere né compromesso né moderazione. No, noi non vogliamo la pace. Vogliamo la guerra e la vittoria. La pace per noi significa la distruzione di Israele e niente altro." ("Esquire", Buenos Aires, 21.3.1971). "Nulla ci fermerà fino a quando Israele non sarà distrutto. Scopo della nostra lotta è la fine di Israele. Non vi sono compromessi né mediazioni possibili. Non vogliamo la pace: vogliamo la vittoria. Per noi la pace è la distruzione di Israele e niente altro." (New Republic, 16.11.1974).

"Visto che non possiamo sconfiggere Israele con la guerra, dobbiamo farlo in diverse tappe. Prenderemo tutti i territori della Palestina che riusciremo a prendere, vi stabiliremo la sovranità, e li useremo come punto di partenza per prendere di più. Quando verrà il tempo, potremo unirci alle altre nazioni arabe per l'attacco finale contro Israele". (1993)

D'altronde l'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) nel suo statuto menziona sempre come obiettivo dell’Olp “l’annientamento dello Stato di Israele”. Bisognerebbe sempre sottolineare la data di nascita dell’OLP, organizzazione per la liberazione della Palestina: 1964. La cosiddetta occupazione dei cosiddetti territori palestinesi è iniziata nel 1967; nel 1964 l’unico territorio occupato da Israele era lo stato di Israele. A uso e consumo di chi ce la mette tutta a convincersi che l’obiettivo sia la costituzione dello stato di Palestina.

Ed è chiaro in proposito anche chi governa Gaza, Hamas ha scritto nel suo statuto "Israele, in quanto Stato ebraico, e i suoi ebrei sfidano l’islam e tutti i musulmani." E ancora: articolo 11 di Hamas:

<< Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un sacro deposito (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio. Chi, dopo tutto, potrebbe arrogarsi il diritto di agire per conto di tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio?

Questa è la regola nella legge islamica (shari’a), e la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con la forza, perché al tempo della conquista i musulmani la hanno consacrata per tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio.>>

Per i palestinesi opporsi al riconoscimento di Israele come stato nazionale del popolo ebraico è più importante di qualunque questione di territorio, dal momento che questo è il vero cuore del conflitto. Nella pubblicistica palestinese si continua ad affermare che la Palestina è sotto "occupazione" dal 1948, cioè dalla nascita dello Stato di Israele. E da quella data il terrorismo è l'incubo di Israele, che dal 2000 al 2005 è stato quotidiano con 1200 vittime civili ammazzate dai kamikaze.

I palestinesi potevano avere una loro patria già nel 1948. E hanno rifiutato. Nel 1967, hanno rifiutato. Nel 1979 , hanno rifiutato. Perché hanno sempre rifiutato ogni soluzione pacifica dedicandosi solo al terrorismo? Perché il loro obiettivo non è di avere una nazione ma di distruggere Israele e poi creare il grande Califfato islamico.
Il contenzioso che dura ormai da più di cento anni è sul diritto del popolo ebraico ad avere una sede nazionale indipendente in Terra di Israele. E la questione, ovviamente, non riguarda solo i palestinesi ma soprattutto gli Stati arabi. Ovviamente il problema non avrà mai fine pacificamente a causa della motivazione religiosa di fondo che spinge i palestinesi e gli arabi contro Israele. Se Israele fosse stato uno stato islamico, non ci sarebbe stato alcun problema.


Perché lo Stato d'Israele costituisce un problema per l'Islam?

Come spiegato qui, la dottrina islamica divide il mondo in due aree di potenza. La “Casa dell’Islam” (Dar al-Islam), che viene detta anche “Casa della pace” (Dar e-Salaam), è il territorio che si trova sotto la “Sharia”, il diritto islamico. Questa zona è costituita da tutti i paesi in cui l’Islam è la religione di Stato.
Il resto del mondo viene indicato come “Casa della guerra” (Dar al-Charb). Questa zona è costituita da tutti i paesi non (ancora) islamici.
Qui viene alla luce una delle più importanti differenze tra Islam e Cristianesimo. Secondo la visione biblica, il Regno di Dio comincia nel cuore delle singole persone e di lì si allarga fino a diventare una comunità di credenti. E’ decisivo quello che avviene nella vita della singola persona, non il possesso della terra o il diritto giuridico.
Nell’Islam invece è decisivo il sistema giuridico vigente in un determinato territorio. Quindi possono essere considerati “Casa dell’Islam” anche paesi in cui gran parte della popolazione non è musulmana.
Il mezzo attraverso cui avviene l’islamizzazione del mondo si chiama in arabo “Jihad”, “Guerra Santa”. E’ “Jihad” tutto quello che serve all’estensione della “Casa dell’Islam”. Questo comprende non soltanto i soliti metodi di guerra o il terrorismo degli Islamisti radicali, ma anche e soprattutto l’invito fatto agli infedeli ad una volontaria conversione (Sura 2,256; 3,20; 8,7-8).

Appartiene alla “Jihad”, per esempio, fare opera di convinzione, in un centro islamico in Germania, affinché gli uomini sposino donne tedesche. Fanno “Jihad” i Musulmani che depositano il Corano negli alberghi o costruiscono moschee in occidente. Tutto quello che serve alla diffusione dell’Islam è “Guerra Santa”, anche dei metodi che in campo cristiano sarebbero indicati come “missione” o “evangelizzazione”.
Gli “uomini del libro”, come vengono chiamati nel Corano gli Ebrei e i Cristiani, sono “Dhimmi”, cioè persone di seconda classe. Come tali hanno, secondo la “Sharia”, diritto di esistenza (temporaneo). Nella “Casa dell’Islam” non è importante quello che le persone pensano, credono o sentono. Quello che conta è il sistema giuridico che governa la loro vita. Per questo è possibile che Musulmani, Ebrei e Cristiani abbiano potuto vivere insieme pacificamente per secoli sotto il governo musulmano.

In tutto questo però gli Ebrei occupano una posizione più bassa di quella dei Cristiani. Secondo le affermazioni del Corano, gli Ebrei, a differenza dei Cristiani, stanno sullo stesso livello dei pagani e si mostrano “estremamente ostili ai fedeli” (Sura 5,82). Per questo Allah ha detto degli Ebrei: “Nell’aldiqua avranno vergogna e nell’aldilà dovranno aspettarsi un duro castigo” (Sura 5,41). Gli Ebrei meritano “soltanto vergogna nella vita terrena. E nel giorno della risurrezione verranno colpiti con il più severo castigo” (Sura 2,85).

Secondo la dottrina del Corano, la “Casa dell’Islam” si estende sempre di più. Questo non dipende dagli uomini, ma dalla volontà di Allah che combatte per mezzo dei suoi fedeli (cfr. Sura 8,10.17). In tutto il mondo una parte sempre più grande di terra viene sottomessa alla Sharia. E in questo si può riconoscere l’essenza di Allah, l’onnipotenza del Dio dell’Islam.
Allah è onnipotente, si dice. E inoltre: Allah è l’unico vero Dio. Maometto afferma: “L’Islam è sempre superiore, non c’è nulla più grande di lui”.
Questa pretesa si vede chiaramente nel richiamo del Muezzin al culto, che deve essere più forte del suono delle campane delle chiese; e anche nell’architettura, perché quando una moschea si trova vicino ad una chiesa, il suo minareto è più alto, come per esempio vicino alla chiesa della natività in Betlemme o vicino alla chiesa della tomba in Gerusalemme.

Il Corano dice (Sura 5.56): “Quelli che stanno dalla parte di Dio saranno vincitori”. Secondo l’insegnamento del Corano, un giorno tutto il mondo sarà “Dar al-Islam”, “Casa dell’Islam”. Allora la vita di ogni persona sarà regolata dalla “Sharia”, il diritto islamico, anche se non tutti diventeranno musulmani.
Il Regno di Allah coincide con l’estensione politica dell’Islam e la validità giuridica della Sharia. Secondo la dottrina islamica, un territorio che è stato islamico non può più essere de-islamizzato. Quindi, per esempio, nella teologia dei musulmani anche la Spagna o i Balcani sono “waqf”, territorio musulmano. E gli eserciti di Allah sono obbligati a riconquistare il territorio islamico quando questo è andato perduto.

L’orientalista Moshe Sharon, professore di storia islamica all’Università Ebraica di Gerusalemme, arriva alla conclusione che con la costituzione dello Stato di Israele nell’anno 1948 sono state infrante tutte le leggi islamiche relative al territorio, ai luoghi santi e alla posizione degli Ebrei. Per il musulmano non è grave soltanto il fatto che i luoghi santi dell’Islam in Gerusalemme siano caduti in mani ebree, ma è soprattutto grave il fatto che in Israele gli Ebrei governino sui Musulmani.

Non esiste dunque nessuna possibilità di ottenere una pace (anche soltanto provvisoria) in terra santa? Una vera amicizia tra Musulmani e infedeli è fondamentalmente da escludere (Sura 3,118; 4,89-90.138-139; 4,144-145). Il profeta Maometto ammonisce i suoi seguaci: “O fedeli! Non prendete come amici gli Ebrei e i Cristiani! Tra di loro essi sono amici, ma non con voi. Se qualcuno di voi si unisce a loro, appartiene a loro e non più alla comunità dei fedeli” (Sura 5,51).
In parole povere: un Musulmano che stabilisce un’autentica amicizia con un infedele e conclude con lui una vera pace si esclude da solo, automaticamente, dalla comunità dei veri Musulmani.
E tuttavia la teologia islamica offre una via d’uscita. Se il nemico non musulmano è troppo forte e non può essere vinto, una tregua è possibile (cfr. Sura 3,28; 4,101).

Un precedente storico famoso si trova nella biografia di Maometto. Nell’anno 628 Maometto voleva tornare come pellegrino nella Mecca, sua città natale. Ma la città era governata dalle tribù Kureish, che non si vollero sottomettere alla sua autorità. Poiché le tribù Kureish erano troppo forti e Maometto non aveva la possibilità di sottometterle, concluse con loro un trattato di pace.
I Kureish si sentirono sicuri e si disarmarono. Ma nell’anno 630 Maometto marciò con 10.000 soldati contro la Mecca e provocò un orribile bagno di sangue. Sia il massacro, sia la rottura del trattato sono giustificati dal diritto islamico, perché servono alla gloria di Allah.

Per poter stabilire una simile finta pace è necessario che l’avversario sia molto forte. Se invece il nemico è debole, l’insegnamento del Corano obbliga ogni Musulmano a riprendere la battaglia. Per questo i fondamentalisti islamici devono continuamente riprendere la battaglia contro Israele non appena credono che lo Stato ebraico possa essere vinto.

Per questo motivo i leader arabi e palestinesi parlano implicitamente (ed a volte esplicitamente) di distruzione di Israele, per questo motivo Hamas ne parla chiaramente nei suoi discorsi e nel suo statuto, senza mai dimenticarsi di dire che lo fa per mettere in pratica la volontà di Allah.

“Chi parla di fine del conflitto mediorientale dice sciocchezze”, afferma Moshe Sharon, consigliere dell’ex Primo Ministro Menachem Begin; “Questo conflitto è una guerra di Allah contro i suoi nemici”. Anche se i Musulmani volessero una vera pace, non sarà loro permesso di concluderla.

Perché se lo Stato ebraico di Israele avesse veramente un futuro, dal punto di vista islamico questo sarebbe una capitolazione dell’onnipotente Allah.
Per i fedeli Musulmani l’esistenza di uno Stato ebraico sul territorio musulmano pone la seguente domanda: Chi è il vero Dio? E’ il “Dio di Abraamo, Isacco e Giacobbe” o il “Dio di Abraamo, Ismaele ed Esaù”?
Fino a che anche il più piccolo pezzo di terra nella “Casa dell’Islam” resta occupato da uno Stato ebraico, la sua semplice esistenza dichiara la bancarotta di Allah.


Obiettivo: distruzione di Israele in nome di Allah

Le cose sono molto semplici, ecco perché tutti gli studi portano sempre alla stessa conclusione, c'è il conflitto perché una parte (l'islam/gli arabi) vogliono la distruzione dell'altra che invece vorrebbe vivere in pace (Israele), come ben spiegato anche qui in modo semplice http://youtu.be/Gfj8-D9G7b4

Ecco perché Israele è sotto costante attacco militare e politico fin dalla sua creazione. Ma perché il mondo appoggia il desiderio islamico di distruzione di Israele?

L'appoggio all'obiettivo della distruzione di Israele in nome di Allah ha senso se si parla di musulmani, data l'evidente diffusione del fanatismo di questa religione, che fa più fatti che parole. Ed ha senso l'appoggio a questo obiettivo anche da parte dei paesi comunisti o ex comunisti, un pò per la loro alleanza con gli arabi ed un pò perché stupidamente non riescono a staccarsi dall'ideologia sovietica anti-israeliana, ma tutti gli altri? Possibile che basti l'antisemitismo, una ideologia di sinistra che viene dalla Guerra Fredda e la paura di mettersi contro gli arabi per appoggiare un obiettivo così sporco? Così sembra!

E quindi ecco che maestose campagne d'odio e disinformazione inondano il mondo per indurre la gente a partecipare in un modo o nell'altro a questo obiettivo, magari convincendo le persone che Israele è grosso e cattivo e va combattuto e disprezzato.

D'altronde l'Islam considera le persone di religione diversa come esseri inferiori, e si aspetta che si comportino da Dhimmi, da esseri sottomessi che servano i loro padroni musulmani. Ecco, è esattamente quello che il mondo non islamico sta facendo.

Ma l'odio per Israele va oltre quello per motivi religiosi ed antisemiti, e c'è anche altro che l'alimenta, come ben spiegato qui e come riportiamo di seguito.

Nell'anti-israelismo e nell'antisionismo c'è spesso una base tradizionalmente antisemita, questo è chiaro. Israele non è solo lo stato degli ebrei, è l'ebreo degli stati e viene trattato come gli ebrei venivano trattati durante l'esilio: ghettizzato, discriminato, boicottato, sospettato di crimini ridicoli e spesso infamanti, come “ammazzare bambini”.

Grazie a un millennio e mezzo e passa di martellante antigiudaismo cristiano, gli ebrei sono il gruppo che viene facile odiare e il loro stato, che non doveva mai essere costituito secondo la sensibilità cristiana (perché l'esilio dell'ebreo errante faceva parte della punizione del “popolo deicida”) segue la stessa sorte, unico fra gli stati del mondo.

Ma oltre a questa radice teologico-politica, nello schieramento istintivo da parte di molta sinistra a favore del terrorismo arabo vi è qualcosa di più generale, che si ripercuote anche contro Israele: l'idea che bisogna schierarsi con loro, anche se usano metodi di lotta atroci e inumani, perché sono i “più deboli”, “gli oppressi”, e dunque i nuovi proletari, la “moltitudine” di cui parlava Toni Negri nel suo best seller internazionale “Impero”. E' un atteggiamento così diffuso e irriflesso che non si può non farci i conti. Ma bisogna dire che esso è radicalmente sbagliato.

E' sbagliato sul piano etico, naturalmente. Il drone o l'aereo che cerca di uccidere il terrorista può sbagliare, naturalmente e coinvolgere persone che non c'entrano. In guerra è sempre successo, purtroppo, e questo è un buon motivo per cercare di evitare le guerre, per tentare di risolvere le dispute sul piano pacifico. Ma il colpo mira a un bersaglio preciso, a un combattente nemico.
Il terrorista suicida che si fa saltare nella metropolitana, o come è successo spesso in Israele negli autobus nei caffè nei supermercati nei ristoranti non cerca neanche di distinguere, non si dà obiettivi militari, se la prende con la gente qualunque dall'altra parte della barricata. Lo stesso fanno i razzi di Hamas, le molotov e i sassi sulle macchine, gli accoltellamenti casuali, le stragi di civili di altra religione, magari dopo aver marcato la loro casa con un segno infamante come facevano i nazisti.

C'è in questo modo di combattere l'idea, tipicamente razzista, che tutto l'altro popolo sia non solo nemico, ma degno di morire in massa, salvo che eventualmente si sottometta e si converta. Questo modo di combattere senza distinzione fra civili e militari è tipico dell'Islam, è all'origine del genocidio armeno e assiro, della distruzione dei greci che abitavano e avevano fondato le città della costa asiatica dell'Egeo che oggi si dicono turche, delle conquiste islamiche antiche della Spagna, dell'Africa del nord, della Mesopotamia.

Ma in questo modo di vedere le cose vi sono anche degli errori di fatto. Non è vero che gli arabi siano gli “umili”, i “deboli”. Loro non si vedono affatto così. Storicamente hanno sempre pensato a se stessi come i signori e si battono per riconquistare questo ruolo, che considerano oggi provvisoriamente usurpato.

Sono stati storicamente i più grandi colonialisti: partiti dalla penisola arabica deserta e spopolata, hanno conquistato e arabizzato mezzo mondo, accumulando ricchezze gigantesche depredate ai popoli che conquistavano e opprimevano, distruggendo la loro cultura e la loro economia. L'Africa del Nord era il granaio dell'Impero Romano, abitata da popolazioni berbere; la conquista araba le ha rese spopolate, incolte… e arabe; la Mesopotamia era abitata dai babilonesi, la Siria dagli assiri, che parlavano l'aramaico, ora virtualmente estinto.

L'Africa nera fu depredata dai mercanti di schiavi arabi, che per un certo periodo fornirono gli inglesi di carne umana per le colonie americane, ma molto più a lungo servirono il mercato domestico arabo. Le regole del Corano sono tipicamente coloniali: gli indigeni conquistati sono inferiori, se non si convertono devono riscattare la loro sopravvivenza con umiliazioni legali e fiscali senza fine.

Anche il territorio dell'antica Giudea e dell'attuale Israele è stato sottoposto a queste pratiche di arabizzazione forzata e anche di immigrazione islamica dall'Egitto, dall'Arabia Saudita, perfino dall'Anatolia e dal Caucaso. La “questione palestinese” in buona parte deriva da queste pratiche coloniali. E' facile mostrare che la “Nakbah” palestinese consiste esattamente in questa condizione di non essere più i padroni coloniali del Medio Oriente.

Quanto alla miseria, essa è essenzialmente autoinflitta: non c'è regione al mondo che abbia guadagnato tanto senza sforzo nell'ultimo secolo, quanto i paesi arabi del Medio Oriente col petrolio. Quel che non ha funzionato è il meccanismo di redistribuzione, di diversificazione, di investimento. I ceti dominanti arabi hanno usato questo denaro per godere di un lusso illimitato e non hanno pensato affatto a far vivere un'economia produttiva, a elevare la condizione di vita dei loro ceti popolari. I poveri arabi sono stati sfruttati, sì, ma dai loro capi, non dall'Occidente o da Israele.

Con gli ebrei è accaduto l'opposto. Oppressi per secoli in terra di Israele dai loro colonizzatori arabi, trattati come gli ultimi, oppressi spesso sterminati sia nel mondo islamico sia in quello cristiano, quando hanno potuto liberarsi hanno cercato di arrivare in Israele. Ci sono riusciti finalmente in massa a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, arrivando per lo più poverissimi, armati solo delle loro braccia, della loro intelligenza e del loro amore per la terra, aiutati in parte da donazioni degli ebrei europei più benestanti a comprare della terra che hanno sviluppato con straordinario successo.

La creazione di Israele è un atto di decolonizzazione sia dagli occupanti britannici sia dai colonialisti arabi. Il benessere attuale di Israele è la dimostrazione che un territorio desertico e desolato può essere reso fruttuoso col lavoro e che il fattore umano è almeno altrettanto importante per l'economia della ricchezza delle materie prime. L'odio arabo per Israele è in buona parte invidia, volontà predonesca di prendersi i beni che sono stati accumulati con la fatica di generazioni – invece di rimboccarsi le maniche e costruirli a propria volta. Gli ebrei sono odiati dagli arabi perché erano oppressi erano schiavi e si sono emancipati.

I progressisti dovrebbero stare dalla parte di una società di schiavi liberati (come già Israele fu all'uscita dall'Egitto). Ma la miopia ideologica impedisce di vedere le radici storiche dei problemi e ne coglie solo gli aspetti superficiali: i “poveri” palestinesi che rivendicano una terra “loro” (cioè che una volta occupavano come colonialisti, o piuttosto emanazione locali dei colonialisti turchi) e dato che l'esercito israeliano ha il torto di impedire loro di ammazzare liberamente gli ebrei, si danno, poverini, al terrorismo.


L'imperialismo ed il colonialismo della parte forte

Come spiegato qui, l'Islam nasce nella penisola arabica, che in buona parte è desertica e spopolata. Maometto conquista la Mecca con circa 10 mila seguaci nel 622 e muore dieci anni dopo, avendo preso buona parte della penisola arabica, dove vivono alcune centinaia di migliaia di persone, in parte anche cristiani ed ebrei. Nel giro di una decina d'anni le forze islamiche conquistano quel che oggi sono Israele, Siria e Libano ( http://en.wikipedia.org/wiki/Muslim_con ... the_Levant ), l'Armenia che copriva buona parte dell'attuale Turchia ( http://en.wikipedia.org/wiki/Arab_conquest_of_Armenia ), l'Egitto ( http://en.wikipedia.org/wiki/Muslim_conquest_of_Egypt ).

In altri dieci anni tutta la Mesopotamia e la Persia, il Nord Africa ( http://en.wikipedia.org/wiki/Muslim_con ... he_Maghreb ) e Cipro; nel giro di un secolo arrivano a concludere la conquista della Spagna spingendosi fino alla Francia del Nord ( http://en.wikipedia.org/wiki/Muslim_con ... he_Maghreb ) e al Caucaso fino in Georgia. Seguiranno presto l'Italia meridionale e i grandi territori dell'Asia, fino in India. Un'espansione straordinaria, senza pari nella storia, a parte forte l'effimera impresa di Alessandro Magno.

Ma in tutti questi territori non abitavano arabi. Gli arabi si trovavano solo negli immediati dintorni della penisola arabica, erano poche centinaia di migliaia, al massimo qualche milione di beduini. I conquistati erano Armeni, Greci, Turchi, Persiani, Vandali, Latini, Assiri, Persiani, vari popoli africani; se ci concentriamo sui territori del Medio Oriente erano ebrei, popolazioni di lingua aramaica, siriaci, babilonesi.

Gli arabi erano una ristrettissima minoranza, molto meno del dieci per cento, che non poterono moltiplicarsi più di tanto e non solo governarono tutto questo mondo in maniera imperialistica e coloniale, ma riuscirono ad assimilarlo, imponendo alle popolazioni che non opposero una decisa resistenza la loro lingua e la loro cultura, oltre alla religione.

Resistettero e conservarono la loro identità i persiani, che però accettarono la religione e così i turchi (che allora erano ancora bande di nomadi dell'Asia) e i berberi; dall'altro rifiutarono la religione ma arabizzarono lingua e costumi i copti, gli assiri e anche gli ebrei. Per molti secoli gli arabi furono minoranza nei paesi che oggi pensiamo come loro. Ai tempi delle Crociate, mezzo millennio dopo Maometto, erano ancora minoranza nell'antica Giudea che oggi vogliono chiamare Palestina.

Ma la pressione fu feroce: ne vediamo gli esempi anche oggi, quando il primo risultato delle guerre civili in Siria e Iraq è la distruzione delle comunità locali non musulmane. Un secolo fa in Turchia c'erano molti milioni di cristiani greci, armeni e di altre etnie; i cristiani erano una forte minoranza in Siria e maggioranza in Libano fino a qualche decennio fa, per non parlare dei copti in Egitto. In un luogo altamente simbolico come Betlemme, sotto il governo della “moderata” Autorità Palestinese, i cristiani sono passati in qualche decennio da maggioranza a meno del 10% della popolazione.

Bisogna capire che queste popolazioni cristiane che l'Islam ha smantellato e continua a distruggere sono in buona parte gli abitanti originari dei luoghi: l'immigrazione è combattuta ferocemente, come è accaduto agli ebrei prima dello Stato di Israele; le conversioni dall'Islam ad altre religioni sono proibite e punite con la morte; i matrimoni misti possono avvenire solo se l'uomo musulmano si prende una donna cristiana e la converte.

Chi ha resistito in un'altra religione è lì da sempre e ha rifiutato di piegarsi alle angherie, alla disparità giuridica ed economica, alle stragi vere e proprie. Anche se per cercare di sopravvivere ha preso lingua e costumi arabi, le sue origini sono senza dubbio precedenti all'invasione: non sono arabi proprio perché non sono musulmani, sono egiziani (i Copti) , Assiri, Aramei, Armeni, Siriaci, ecc.

Residui di antiche e nobilissime culture sottomesse e distrutte da uno degli imperialismi più violenti che ci sia stato nella storia. Gli arabi si atteggiano oggi a vittime del colonialismo occidentale; ma la loro oppressione coloniale di mezzo mondo è stato molto più lungo, feroce e oppressivo di quello occidentale, paragonabile forse con la grande spinta degli Han che hanno sottomesso numerose popolazioni trasformandole in quella che è l'attuale Cina (e ancora li vediamo all'opera per esempio in Tibet), o con l'Impero romano che in un certo senso latinizzò il Mediterraneo occidentale fino a tutta la Francia, la Spagna e il Portogallo, ma anche l'attuale Maghreb.

Questi sono gli avversari di Israele, che oltre qualsiasi dubbio è la parte debole del conflitto, contrariamente a quello che la propaganda dice contro ogni evidenza.

INFINE, esiste un ottimo video che spiega bene i rapporti di forza in Medio Oriente in riferimento ad Israele: https://www.youtube.com/watch?v=V567zr2aOyc

Le verità sul medio oriente oltre la propaganda antisemita
http://veromedioriente.altervista.org
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Strika de Gaxa (e i nasirasisti xlameghi)

Messaggioda Berto » gio gen 07, 2016 9:47 am

Le verità sul medio oriente oltre la propaganda antisemita
http://veromedioriente.altervista.org

Lettera aperta a chi manifesta per la Palestina in caso di guerra a Gaza
http://veromedioriente.altervista.org/lettera2.htm

Manifestare liberamente e pacificamente (e sottolineo pacificamente) è un Diritto di qualsiasi cittadino europeo. Come era ampiamente prevedibile e previsto al primo accenno di reazione israeliana il movimento pacivendolo si è scatenato un po’ in tutta Europa riempiendo le piazze per manifestare solidarietà verso i palestinesi “aggrediti dagli israeliani cattivi” e spesso (molto spesso) odio verso Israele più che solidarietà verso i palestinesi. Quello che noi vorremmo chiedervi è: ma sapete per chi o per cosa manifestate?

Dando per scontato che tra chi manifesta per la Palestina ci sia anche chi lo fa in buona fede, magari perché poco informato, quello che ci appare chiaro è che la maggioranza di coloro che dicono di volere il bene del popolo palestinese vogliano in affetti il bene di Hamas e di conseguenza la distruzione di Israele come da statuto del gruppo terrorista. Vorremmo quindi rivolgerci a coloro che tengono veramente ai palestinesi e non a sostenere un gruppo terrorista come Hamas, perché, cari amici, non è la stessa cosa.

Vi hanno detto che la guerra a Gaza è iniziata per iniziativa di Israele e/o per vendetta per l’uccisione di israeliani. Non è vero. La guerra a Gaza è iniziata perché da mesi i terroristi di Hamas e della Jihad Islamica lanciano decine e decine di missili contro la popolazione civile del sud di Israele. Non contro obbiettivi militari o contro depositi di armi israeliane, contro la popolazione civile. Dopo mesi in cui si è tentato di risolvere tutto con la calma è diventato impossibile per Israele non reagire (sottolineo reagire). E quando pochi giorni fa è stata proposta una tregua Israele l’ha accettata mentre Hamas, infischiandosene dei civili, l’ha rifiutata continuando a lanciare missili anche quando Israele aveva sospeso ogni attività. Anche durante la tregua umanitaria Hamas ha lanciato i suoi missili.

Vi dicono che a Gaza i civili muoiono mentre in Israele no. Ogni minuto vi tartassano con il conto dei morti palestinesi a causa “della aggressione israeliana” (la reazione di cui sopra). E’ vero, c’è una enorme disparità tra il numero dei morti a Gaza e quello in Israele, ma c’è un motivo preciso per questo, un motivo che gli amici di Hamas si guardano bene dal dirvi: Israele usa le armi per proteggere la sua popolazione, Hamas usa la sua popolazione per difendere le armi e se stesso. C’è una enorme differenza tra le due cose e questa differenza genera quella disparità su cui tanto battono gli amici di Hamas. Israele prima di bombardare avvisa i residenti di lasciare l’area, Hamas li costringe a rimanere. Vi diranno che li convincono, non ci credete, sono costretti perché ogni morto civile è una vittoria per Hamas (come disse qualche anno fa Khaled Meshaal). Il sangue di quei morti è tutto nelle mani di Hamas.

Vi dicono che Gaza vive da anni un vero e proprio assedio. Vi parlano delle terribili condizioni di vita in cui versano i palestinesi di Gaza. Ma non vi dicono che secondo il quotidiano arabo Asharq Al-Awsat a Gaza ci sono almeno 600 milionari, che i boss di Hamas vivono nel lusso più sfrenato, che prima che l’Egitto chiudesse il valico di Rafah ogni giorno entravano a Gaza decine di macchine di lusso. E’ vero, queste cose non riguardano la maggioranza della popolazione ma riguardano Hamas, quello che voi state difendendo. Perché non vi parlano degli oltre 20 miliardi di dollari destinati dalla comunità internazionale a Gaza (fonti UE e FMI) ma dei quali si è persa ogni traccia? Chi li ha presi dato che i progetti a cui erano destinati (desalinatori, infrastrutture basilari come le fognature, centrali elettriche ecc. ecc.) non sono mai stati implementati? Perché non vi parlano del pizzo che Hamas pretende su tutto, compreso gli aiuti umanitari? E qualcuno vi ha mai detto che il 95% degli aiuti umanitari per Gaza arriva da Israele? Qualcuno vi ha detto che la centrale elettrica di Gaza funziona grazie al carburante fornito da Israele? E allora, chi tiene in ostaggio la Striscia di Gaza, Hamas oppure Israele?

Qualcuno vi ha mai detto che la Cisgiordania libera da Hamas cresce a livelli superiori a quelli di un qualsiasi paese occidentale nonostante la corruzione in seno alla ANP? Qualcuno vi ha detto che oltre 150.000 palestinesi della West Bank libera da Hamas lavora in Israele? Qualcuno vi ha mai detto che ogni anno oltre 180.000 palestinesi vengono curati gratuitamente in Israele? Se la Cisgiordania libera da Hamas ha tutte queste possibilità, perché Gaza non può averle? Ve lo domandate mai?

Lo Stato di Israele si e' COMPLETAMENTE ritirato da Gaza nel 2005.
Nel 2006 Hamas ha vinto le elezioni e ha formato un governo con l'appoggio del partito Fatah di Abu Mazen.
Nel 2007 a seguito di violenti scontri tra Hamas e Fatah, il primo ha preso, con la forza ed un discreto spargimento di sangue, il controllo della Striscia di Gaza ed ha instaurato a Gaza un regime integralista islamico.

Questi signori, invece di costruire il loro Stato e sviluppare la propria disastrata economia si sono preoccupati di rifornirsi di armi (attraverso tunnel sotterranei, essendo i confini presidiati da Israele ed Egitto) e di educare all'odio, anche e soprattutto nelle scuole di qualsiasi grado, le giovani generazioni.

Sebbene non vi sia alcun contenzioso territoriale con Gaza, i signori di Hamas pensano bene di utilizzare la Striscia di Gaza come rampa di lancio per i loro attacchi ad Israele. Ma perchè?
La risposta e' tanto drammatica quanto esplicita. Hamas (come ben espresso nelle dichiarazioni dei suoi leader e nel suo Statuto) si prefigge la DISTRUZIONE dello Stato di Israele e la costituzione di uno regime islamico integralista in tutta la regione.
Come puoi immaginare e' difficile parlare con tali interlocutori di PACE, TRATTATIVE, NEGOZIATI!!!
Hamas, avendo a disposizione (al momento) razzi con una gittata di circa 120 km, con i suoi lanci quotidiani mette a repentaglio la vita di milioni di persone che vivono in Israele.
Per fare un esempio, è come se dalla Francia un gruppo che ha assunto con le elezioni e con la forza il controllo della Savoia sparasse quotidianamente razzi sulla popolazione civile mettendo a repentaglio la vita di 40 milioni di cittadini italiani (diciamo fino alla Campania?).
In questo contesto, decine di giorni fa, Hamas ha deliberatamente iniziato il lancio di una pioggia di razzi in territorio israeliano senza precedenti.

Che cosa si poteva fare? Cosa avrebbe fatto qualsiasi altro Stato? Cosa avresti fatto tu?
Lo Stato di Israele ha deciso di rispondere agli attacchi tentando di indebolire Hamas colpendo militarmente le sue infrastrutture.

Purtroppo, nonostante le attenzioni dell'Esercito di Israele, ad oggi, risulta ci siano delle vittime civili innocenti.
Perché Israele riesce a limitare feriti e vittime, mentre Hamas no?
Perché Israele ha investito sui sistemi di difesa (come l’Iron Dome, sofisticatissimo sistema che rintraccia ed abbatte missili in volo), mentre Hamas preferisce usare la sua popolazione come scudo.
Nonostante i militanti di Hamas si nascondano tra la popolazione civile e nascondano i propri arsenali all'interno di edifici pubblici e nonostante che il teatro di guerra sia una delle zone maggiormente popolate della Terra, l'Esercito di Israele sta facendo quanto in suo potere per ridurre il coinvolgimento di civili innocenti. Di ieri è la notizia che Hamas chiede ai suoi cittadini di NON ABBANDONARE gli edifici (dove sono nascosti arsenali) quando gli israeliani (dopo aver avvertito) li buttano giù.
Nonostante gli attacchi alle sue infrastrutture, Hamas interrompe il lancio di razzi contro le città di Israele.
In considerazione della sua schiacciante superiorità militare, Israele avrebbe potuto costringere Hamas alla resa bombardando con maggiore intensità la Striscia di Gaza.
Tutti gli eserciti del mondo - che abbiano combattuto guerre giuste o sbagliate - per piegare i propri nemici non hanno mai esitato a utilizzare la propria superiorità militare anche a danno dei civili.
Ma Israele, in queste ore, anche al fine di limitare il coinvolgimento di ulteriori civili palestinesi innocenti e di evitare catastrofi umanitarie, ha deciso di mettere a repentaglio la vita dei propri giovani avviando le operazioni via terra, per tentare di stanare, indebolire e possibilmente sradicare Hamas.
Spero che anche tu capirai che la presenza nella Striscia di Gaza di una organizzazione estremista e fondamentalista come Hamas non solo preclude alla popolazione israeliana di vivere una vita normale ma, educando alla violenza e all'odio i propri giovani, preclude alla possibilità che anche in futuro si possa arrivare alla tanto auspicata pace tra israeliani e palestinesi.
Malgrado il desiderio di tutte le persone equilibrate, civili e razionali del mondo, del Governo di Israele e della sua popolazione, malgrado le guerre siano sempre sporche ed ingiuste, Israele, purtroppo, DEVE fare quello che sta facendo. Lo deve ai suoi cittadini, minacciati quotidianamente dai razzi di Hamas. Lo deve alle future generazioni di entrambe le parti.

Cari amici che manifestate per i palestinesi, lo fate veramente per loro oppure manifestate a favore di Hamas? Lo fate perché credete che un giorno ci possa e ci debba essere pace, due popoli in due Stati, oppure lo fate perché odiate Israele e lo vorreste vedere cancellato dalle mappe? Se manifestate per i palestinesi allora iniziate a chiedere loro di liberarsi di Hamas, la base di tutti i loro problemi. Se invece manifestate per Hamas non andate in giro a dire che lo fate per i palestinesi perché state sostenendo il peggior nemico della Palestina e dei palestinesi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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