Scienza e tecnica islamiche (di area islamica)

Scienza e tecnica islamiche (di area islamica)

Messaggioda Berto » mer giu 27, 2018 7:17 pm

???

"Introduciamo i numeri arabi nelle scuole" e in tantissimi credono alla bufala
2018/06/26
Il post provocatorio della pagina Facebook 'PiùEuropaShitPosting' ha ingannato la maggior parte degli utenti, scatenati con commenti razzisti contro i musulmani
di PATRIZIA BALDINO

http://www.repubblica.it/cronaca/2018/0 ... /?ref=fbpr

ROMA - "Questo è Tarim Bu Aziz. Per una maggiore integrazione chiede di introdurre i numeri arabi nelle scuole italiane. Tu cosa gli rispondi?". È la domanda postata dalla pagina PiùEuropaShitposting, attiva su Facebook, che accompagna la foto di un uomo islamico in abiti tradizionali.

Provocatoria, ironica. Non fosse altro che i numeri arabi sono quelli che usiamo quotidianamente. Sono stati introdotti in Europa nel XIII secolo d.C. dal pisano Leonardo Fibonacci, che li usò per la prima volta nel suo liber abaci, in cui - per ironia - li chiamava numeri indiani.

Eppure in moltissimi, in troppi, sono caduti nel tranello scatenandosi con i commenti. "Che comandino a casa loro, non qui", "I numeri arabi se li può infilare uno a uno in quel posticino", "A casa loro si usano i numeri arabi, da noi ci sono numeri nostri, ogni Paese il suo", "Gli rispondo con una sola parola, ma molto significativa...ruspa!".

Ecco, sono solo alcune frasi che si possono leggere sotto il post, spesso ricche di errori grammaticali. Critiche feroci, al punto da spingere la pagina - che posta regolarmente bufale del genere per testare la conoscenza degli italiani - a raggruppare le più esilaranti in un video.

Ma c'è anche chi non si è fatto ingannare. Chi si è preoccupato dei commenti razzisti. "Ma che cos'è questo video pericoloso? Eliminatelo da Facebook, ecco perché innalziamo il vento a favore del razzismo", "Siamo condannati all'autodistruzione", "L'ignoranza non ha limiti, non solo leoni della tastiera, pure ignoranti!".

Il verdetto è impietoso: in pochi sanno che i numeri arabi sostituirono i numeri romani, decisamente più complicati per essere utilizzati nelle operazioni di geometria, matematica e algebra (disciplina portata in Europa proprio dagli Arabi). Come ha fatto notare un utente: "Un plauso a quello che dice che devono integrarsi: senza numeri arabi avremmo ∫dx(x^II) = I/III x^III".



Alberto Pento
I numeri detti arabi non sono invenzioni degli arabi o degli islamici, in realtà sono numeri che provengono dall'India durante il periodo dello sviluppo imperiali dell'Islam e perciò sono detti impropriamente arabi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Siensa e tenega ente l'ara xlamega

Messaggioda Berto » dom dic 30, 2018 9:24 am

Quei muri abbattuti dall’Islam medievale
Sabine Schmidtke
13/11/2018

https://www.oasiscenter.eu/it/muri-abba ... -medievale

Grazie ad alcune grandi personalità, musulmani ebrei e cristiani hanno formato in certi periodi un’eccezionale comunità culturale e intellettuale, basata sulla stessa lingua e sugli stessi testi, e consapevole delle differenze.

Tre esempi di uno scambio fecondo.

Nel mondo islamico medievale, tardo medievale e pre-moderno, musulmani, ebrei e cristiani formavano un’eccezionale comunità culturale e intellettuale. Condividevano una lingua, l’arabo, che parlavano nella vita quotidiana e utilizzavano nelle loro opere teologiche, filosofiche, giuridiche e scientifiche. Inoltre leggevano spesso gli stessi libri tanto che, più che un’eccezione, uno scambio continuo e pluridimensionale di idee, testi e forme del discorso era la norma.

Benché tutto ciò sia stato ampiamente dimostrato, soprattutto per quanto riguarda il periodo tra il IX e il X secolo, gli studiosi solitamente optano per un approccio monodimensionale scegliendo di concentrarsi, spesso in modo esclusivo, sugli scritti di un autore musulmano, ebreo o cristiano. In tutti e tre gli ambiti, per una serie di ragioni, l’indagine scientifica sulle cosiddette scienze razionali (la teologia, la metodologia giuridica, la filosofia e le discipline a esse collegate), nella loro dimensione trans-confessionale, è ancora all’inizio. L’approccio che sostengo mira invece a oltrepassare i confini che separano tre grandi discipline del mondo accademico e della ricerca, vale a dire l’islamistica, l’ebraistica e gli studi sul Cristianesimo orientale.

Tale approccio contribuisce poi a un obiettivo più ampio: in un mondo in cui i confini – nazionali, religiosi, culturali ed economici – acquistano un significato crescente, la ricerca accademica può e deve dimostrare che gli sviluppi intellettuali, per loro natura, non tengono conto di tali confini e che la simbiosi – spesso impropriamente idealizzata in termini anacronistici come “tolleranza” o “pluralismo” – è stata quasi sempre la norma piuttosto che l’eccezione. Questo vale in particolare per una delle zone di conflitto attualmente più calde, il Medio Oriente. Sostengo che una ricerca condotta con spirito aperto e disponibile ad ampliare il campo di indagine scientifica e a condividerne i risultati con un pubblico più vasto possa contribuire significativamente alla formazione di un’opinione pubblica meno distorta e più precisa.

Esporrò tre casi al fine di dimostrare come questo effetto-vortice intellettuale abbia riguardato allo stesso modo musulmani, cristiani ed ebrei. Sarebbe scorretto sostenere che i musulmani, essendo la comunità dominante, siano stati gli unici a produrre in modo esclusivo, mentre le minoranze cristiane ed ebraiche abbiano sempre e solo ricevuto. I tre casi che ho scelto rappresentano tre modelli differenti.

Il primo caso presenta un modello diffuso, cioè quello di un convertito che polemizza con la sua religione precedente, forse con lo scopo di convincere il suo mecenate musulmano della genuinità della sua conversione. Un cristiano nestoriano, convertito all'Islam con il nome di Abû al-Hasan ‘Alî Ibn Sahl Rabbân al-Tabarî (m. 865), affermato studioso di medicina, compose dopo la sua conversione due confutazioni della sua religione precedente. Un primo breve testo è una confutazione diretta del Cristianesimo. Il secondo, intitolato Il libro della religione e dell’impero, e dedicato al califfo regnante al-Mutawakkil, contiene un’approfondita discussione di brani tratti da tutti i libri della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) che, secondo l’autore, predicono la missione del profeta Muhammad, gli stessi brani che i suoi precedenti correligionari consideravano testimonianze relative a Gesù. Essendo principalmente indirizzato al lettore cristiano, pare ci siano voluti due secoli prima che il libro giungesse a conoscenza di lettori musulmani. Da allora, tuttavia, il libro è diventato molto popolare tra gli autori musulmani, i quali si sono avvalsi delle testimonianze bibliche in esso contenute per polemizzare contro il Cristianesimo e l’Ebraismo.

Il secondo caso è totalmente estraneo al modello più comune. ‘Izz al-Dawla Ibn Kammûna era nato in una famiglia ebrea della Baghdad del XIII secolo e aveva ricevuto un’approfondita formazione sia ebraica sia islamica. Poco si sa della sua vita, ma è certo che ricoprì una posizione di alto rango nell’amministrazione dell’impero ilkhanide, anche se non vi è alcun elemento che faccia pensare a una sua conversione all’Islam. Come molti studiosi musulmani del suo tempo, Ibn Kammûna ha goduto del favore del suo mecenate, il Ministro di Stato Shams al-Dîn al-Juwaynî (m. 1284) e della sua famiglia, a cui ha dedicato gran parte delle sue opere. È stato inoltre in corrispondenza con i maggiori intellettuali del suo tempo. Gli scritti filosofici di Ibn Kammûna e in particolare il suo commento al Kitâb al-Talwîhât di Shihâb al-Dîn al-Suhrawardî – pensatore vissuto nel XII secolo e fondatore di un nuovo tipo di filosofia islamica –, così come gli altri suoi scritti, nei secoli successivi hanno plasmato in modo significativo gli sviluppi della filosofia islamica nelle terre orientali dell’Islam. Il commento di Ibn Kammûna al Talwîhât di Suhrawardî – il primo commento all’opera in questione – divenne immediatamente molto popolare e fu ampiamente citato nelle opere filosofiche dei suoi contemporanei musulmani e delle generazioni successive.

Superare i confini intellettuali

Le opere filosofiche di Ibn Kammûna vennero riprodotte in centinaia di copie mentre era ancora in vita e nei decenni e secoli successivi alla sua morte. La maggior parte degli studiosi musulmani e dei copisti sapeva che era ebreo e si riferiva a lui chiamandolo al-Yahûdî” o “al-Isrâ’îlî”. Altri invece non hanno mai fatto alcun riferimento alla sua ebraicità, ciò che lascia pensare che la questione non avesse importanza per loro. Se comparata alla vasta ricezione che la sua opera filosofica ebbe tra i musulmani, la ricezione ebraica dei suoi scritti è più limitata.

Il terzo caso riguarda l’eminente studioso ebraico David Ben Joshua Maimonide (ca. 1335-1415), ultimo capo della comunità ebraica d’Egitto tra i discendenti di Mosè Maimonide. A differenza di Ibn Kammûna, la sua vita professionale si situa nell’ambito della comunità ebraica e le sue opere (tutte scritte in arabo, ma in caratteri ebraici) circolavano esclusivamente tra lettori ebrei. Nato in Egitto, David successe al padre Joshua Maimonide, scomparso nel 1355, come nagîd o capo della comunità. Per ragioni ancora ignote, lasciò la patria e si stabilì in Siria per un decennio, tra gli anni ’70 e gli anni ’80 del XIV secolo. Al suo ritorno in Egitto riprese la carica di capo della comunità, mantenendola fino alla morte.

Oltre che come autore piuttosto prolifico, David è noto anche come collezionista di libri ed eccellente scriba e grazie a lui sono sopravvissute numerose copie autografe di opere di autori ebrei e musulmani precedenti riguardanti varie discipline. Fu in particolare durante la sua permanenza ad Aleppo che David riunì un’impressionante biblioteca comprendente numerose copie di opere che aveva commissionato o che addirittura aveva copiato lui stesso. Esse testimoniano le sue capacità scientifiche e la sua erudizione sia nella tradizione letteraria ebraica che in quella islamica. È autore di un commento sul Mishneh Torah di Maimonide (un autorevole codice di diritto ebraico), oltre a numerose opere nell’ambito dell’etica, della filosofia, della logica e un poderoso manuale sul misticismo sufi. Tali opere confermano la conoscenza profonda che David vantava in diverse scienze razionali islamiche. In campo filosofico aveva familiarità non solo con il pensiero peripatetico di Avicenna, ma conosceva anche numerosi scritti del fondatore della filosofia dell’Illuminazione, Shihâb al-Dîn al-Suhrawardî, ed è possibile che sia stato in possesso di una copia del commento di Ibn Kammûna al Kitâb al-Talwîhât di Suhrawardî. David era inoltre verosimilmente a conoscenza degli scritti del celebre filosofo musulmano Abû Hâmid al-Ghazâlî (m. 1111) e del discepolo di quest’ultimo, Fakhr al-Dîn al-Razî. Cita inoltre abbondantemente la letteratura islamica a lui precedente sul misticismo ed è sicuramente versato nella tradizione astronomica islamica.

Anche se nessuna delle opere di David Ben Joshua raggiunse un pubblico così vasto come accadde con gli scritti del suo correligionario Ibn Kammûna, egli ebbe successo a un livello più personale. Durante la sua permanenza in Siria, David fece amicizia con lo studioso musulmano ‘Alî Ibn Taybughâ al-Halabî al-Hanafî al-Muwaqqit (m. 1391?), autore di un commento al Mishneh Torah di Maimonide. C’è voluto un po’ di tempo prima che gli studiosi moderni accettassero che uno studioso musulmano avesse commentato un testo di Maimonide composto originariamente in.ebraico. È ormai chiaro che ‘Alî Ibn Taybughâ s’interessò al Mishneh Torah perché influenzato dalla traduzione in arabo e dal commento che David realizzò dell’opera in questione. I manoscritti esistenti della traduzione e del commento di David e del commento di ‘Alî Ibn Taybughâ al Mishneh Torah di Maimonide costituiscono la prova del fecondo e stimolante scambio tra due illustri studiosi del XV secolo, un ebreo e un musulmano, su un testo d’interesse fondamentalmente ebraico.

Questi tre casi sono sufficienti a dimostrare che nel mondo islamico medievale, tardo medievale e pre-moderno i confini intellettuali venivano oltrepassati in modi molto vari e che lo scambio di idee e di testi era più variegato e più frequente di quanto solitamente si afferma. A mio avviso, questa realtà storica ormai ampiamente riconosciuta – almeno a livello teorico – invita a rompere radicalmente con il modello accademico monodimensionale, sostituendolo con un’interdisciplinarietà multi-dimensionale che oltrepassi non solo i confini disciplinari stabiliti ma anche quelli politici.

L’attenzione, o meglio la non-attenzione riservata fino a poco tempo fa dagli studiosi ai casi di Ibn Kammûna, David Ben Joshua e ‘Alî Ibn Taybughâ e le evidenti difficoltà incontrate dall’accademia nel trattare un pensatore ebraico che ha significativamente plasmato il corso della filosofia islamica o un intellettuale musulmano che ha commentato il Mishneh Torah di Maimonide, mostra in quale misura gli studiosi moderni siano limitati nella loro concezione di confini religiosi reali o immaginari.

Una maggiore consapevolezza del costante intreccio fra i vari “mondi” qui considerati condurrebbe gli studiosi a considerare materiale nuovo e inesplorato e ad adottare nuove prospettive. Per esempio, nel mondo islamico è andato perduto gran parte del patrimonio letterario del movimento teologico della Mu‘tazila, uno dei filoni più significativi all’interno della teologia razionale islamica nel periodo che va dall’VIII all’XI secolo. Tuttavia, grazie alla ricezione ebraica delle dottrine mu‘tazilite, gli archivi ebraici conservano vaste collezioni di copie ebraiche di molti dei testi islamici perduti, talvolta in alfabeto arabo, talvolta trascritti in caratteri ebraici. L’analisi di questo materiale (che per molti versi deve ancora essere condotta) apre agli islamologi prospettive del tutto nuove.

La maggior parte dei sostenitori dei confini religiosi, siano essi musulmani, ebrei o cristiani, chiamano in causa il passato per giustificare i confini che essi tracciano. Spetta agli studiosi mettere in luce l’altra faccia della medaglia e contribuire così a formare un’opinione pubblica diversa, meno distorta e più aperta.

Bibliografia

Camilla Adang, Sabine Schmidtke, David Sklare (a cura di), A Common Rationality. Muʿtazilism in Islam and Judaism, Ergon, Würzburg 2007.

Reza Pourjavady, Sabine Schmidtke, A Jewish Philosopher of Baghdad. ʿIzz al-Dawla Ibn Kammûna (d. 683/1284) and His Writings, Brill, Leiden 2006.

Sabine Schmidtke, Abû al-Husayn al-Baṣrî and his transmission of biblical materials from Kitâb al-dîn wa-al-dawla by Ibn Rabban al-Ṭabarî: The evidence from Fakhr al-Dîn al-Râzî’s Mafâtîh al-ghayb, «Islam and Christian-Muslim Relations» 20 (2009) 2, 105-118.

Sabine Schmidtke, Two commentaries on Najm al-Dîn al-Kâtibî’s al-Shamsiyya, copied in the hand of David b. Joshua Maimonides’ (fl. ca. 1335-1410 CE), in Intisar Rabb et al. (a cura di) Law and Tradition in Classical Islamic Thought, Palgrave, New York (in press).



Alberto Pento
Muri abbattuti dall'Islam medievale? Che razza di titolo fuorviante.
Scambio fecondo: nei paesi a dominio maomettano i cristiani e gli ebrei erano dhimmi, sudditi di serie C sempre soggetti a discriminazioni, persecuzioni e uccisione.
Gli unici a produrre scienza sono stati i cristiani e gli ebrei, non certo gli islamici.
I paesi maomettani e i mussulmani sono quelli che hanno ricevuto meno nobel per le scienze al mondo. Infatti tali paesi sono i più arretrati, sottosviluppati economicamente e civilmente.
Non si capisce poi che muri avrebbero mai abbattuti i maomettani se non quelli difendevano la libertà per instaurare e conservare la loro prigione teocratica idolatra e disumana.


Mi piacerebbe sapere cosa c'è di altamente culturale e di scientifico in questo caso, e che benefici abbia portato all'umanità questo "studioso":

... Il primo caso presenta un modello diffuso, cioè quello di un convertito che polemizza con la sua religione precedente, forse con lo scopo di convincere il suo mecenate musulmano della genuinità della sua conversione. Un cristiano nestoriano, convertito all'Islam con il nome di Abû al-Hasan ‘Alî Ibn Sahl Rabbân al-Tabarî (m. 865), affermato studioso di medicina, compose dopo la sua conversione due confutazioni della sua religione precedente. Un primo breve testo è una confutazione diretta del Cristianesimo. Il secondo, intitolato Il libro della religione e dell’impero, e dedicato al califfo regnante al-Mutawakkil, contiene un’approfondita discussione di brani tratti da tutti i libri della Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) che, secondo l’autore, predicono la missione del profeta Muhammad, gli stessi brani che i suoi precedenti correligionari consideravano testimonianze relative a Gesù. Essendo principalmente indirizzato al lettore cristiano, pare ci siano voluti due secoli prima che il libro giungesse a conoscenza di lettori musulmani. Da allora, tuttavia, il libro è diventato molto popolare tra gli autori musulmani, i quali si sono avvalsi delle testimonianze bibliche in esso contenute per polemizzare contro il Cristianesimo e l’Ebraismo. ...


Questo è solo un povero cristiano costretto alla conversione, che ha ceduto o fatto finta di cedere alla costrizione e alla minaccia.
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Re: Siensa e tenega ente l'ara xlamega

Messaggioda Berto » gio mag 14, 2020 10:35 pm

La łengoa araba de Maometo e del Coran
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2033



Note sulla grafia e la scrittura della lingua arabo-islamica
https://www.facebook.com/groups/2902168 ... 941519629/


Quando l’arabo era la lingua dei cristiani (usata contro gli ebrei)
2017

https://www.linkiesta.it/2017/12/quando ... gli-ebrei/


Le scritte in arabo più antiche? Sono state fatte da cristiani durante un regno ebraico. La scoperta risale al 2014 ma è sempre stata tenuta in sordina. Questioni di delicatezza politica e, forse, anche diplomatica: in Arabia Saudita queste cose possono provocare più di qualche imbarazzo.

Sono segni lasciati lungo i muri di sabbia di Bir Hima, a 100 chilometri da Najran, un luogo di passaggio che, nell’antichità, era molto battuto da commercianti e ufficiali. Risalirebbero, secondo gli esperti, al 469 o 470 d.C.. Il problema è che, insieme alle parole, ci sono delle inequivocabili croci.

La scritta è semplice: “Thawban, figlio di Malik”. Ad accompagnare il breve testo diversi simboli cristiani, a indicare che, 150 prima della nascita dell’Islam, la lingua araba era utilizzata in contesti religiosi molto diversi da quelli attuali. Sia chiaro: non è una novità. Il Corano stesso ricorda che, prima della predicazione di Maometto, la penisola arabica era occupata da religioni di ogni tipo, una varietà che determinava confusione e caos. Ecco, non era proprio così. La zona era meglio organizzata di quanto non sembrasse e, soprattutto, all’epoca c’era un regno molto importante, quello di Himyar.

Come ricorda il giornale israeliano Haaretz, forse anche per celebrare la recente vicinanza politica tra Tel Aviv e Arabia Saudita – contro il nemico iraniano – Himyar era un dominio ebraico. Era nato nell’attuale Yemen, con capitale a Zafar, vicino a Sana’a, ma si spinse fino all’interno della penisola, fino a raggiungere la zona della Mecca e confinare con quella che oggi è Riyadh. Una potenza regionale notevole con un’élite convertita al giudaismo. Una mossa strategica, più che confessionale: in un regno molto variegato (con copti etiopi, zoroastriani della Persia e cristiani ortodossi bizantini) la religione di Mose avrebbe funzionato come religione neutra, distante dalle diverse fazioni in lotta tra loro. E così a Zafar, dopo la conversione, avvenuta intorno al 380 d.C., sparirono da iscrizioni e testi regali tutti i riferimenti alle varie divinità pagane per concentrarsi su un dio solo, il “dio di Israele”. In che lingua lo facevano? In quella dei sabei e, in certi casi, in ebraico

E cosa c’entra il cristiano Thawban, figlio di Malik in tutto questo? Semplice. Era una vittima delle persecuzioni contro alcuni gruppi cristiani della città di Najran portate avanti dal regno di Himya. Le scritte ritrovate sarebbero state, secondo alcuni archeologi, una forma di commemorazione nei suoi confronti. E in che lingua lo fecero? In arabo, cioè o meglio nella lingua derivante dal nabateo: un modo per esprimere vicinanza alle altre popolazioni e sfidare il potere centrale.

Alla lunga, la minoranza cristiana, con l’aiuto degli etiopi, riesce a rovesciare il potere di Himyar, nell’anno 500. Seguono diverse battaglie, scontri e fughe per deserti e montagne, ma i giochi, ormai, erano fatti. Per il secolo successivo Himyar è un regno cristiano, pur mantenendo una forte componente ebraica. Poi arriva Maometto e la storia è nota.

???
Calligrafia araba
https://it.wikipedia.org/wiki/Calligrafia_araba

L'arte calligrafica araba è l'arte di scrivere in maniera codificata ed esteticamente ricercata usando l'alfabeto arabo o alfabeti di sua derivazione (persiano, turco osmanli, ecc.). L'arte della calligrafia è particolarmente considerata nell'Islam, ed è per questo che alcuni usano parlare anche di calligrafia islamica.



Da dove arriva la grafia usata per la calligrafia detta araba o islamica?
https://it.wikipedia.org/wiki/Discussio ... slamica%3F
Da dove arriva la grafia usata per la calligrafia detta araba o islamica? Credo che in una enciclopedia un po di storia delle origini non farebbe male. La grafia è preislamica e non araba e proviene dai paesi di antica scrittura dei d'intorni. Pareche la lingua araba sia stata messa per iscritto da dei cristiani che la parlavano un paio di secoli prima della nascita di Maometto durante i regno di Himyar.



Himyar (in arabo: حِمير‎, Ḥimyar) è il nome che gli Arabi musulmani dettero al regno neo-sabeo sud-yemenita attivo tra il 110 a.C. e il 520), prima della sua conquista e della conversione dei suoi abitanti a seguito della disfatta subita dalla "profetessa" Sajāḥ.
https://it.wikipedia.org/wiki/Himyar


Nabateo
https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_nabatea
Il linguaggio delle iscrizioni epigrafiche nabatee, attestato fin dal II secolo a.C., mostra uno sviluppo locale della lingua aramaica (significa che l'aramaico si era mescolato con la lingua locale pre aramaica), che aveva esaurito la sua importanza di lingua sovra-regionale dopo il collasso dell'Impero persiano achemenide (330 a.C.) che la impiegava come lingua amministrativa e di comunicazione, riservando alla lingua persiana vera e propria funzioni cerimoniali e religiose. L'alfabeto nabateo costituisce un'evoluzione dell'alfabeto aramaico.
L'uso di questo dialetto aramaico fu sempre più contrastato dal dialetto arabo settentrionale, impiegato dalle popolazioni circostanti e sempre più come seconda lingua da quelle locali. Dal IV secolo d.C., l'influenza dell'arabo parlato divenne massiccia a tal punto che si può dire che la lingua nabatea lentamente fu assorbita dalla lingua araba. L'alfabeto arabo è stato generalmente considerato come una variante corsiva dell'alfabeto nabateo nel IV secolo. Di recente alcuni studiosi hanno contestato questa diffusa teoria (???)




La scrittura dell'arabo classico si sviluppò dalla forma tardo-nabatea dell'aramaico.
https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_araba
L'alfabeto aramaico dei nabatei, con la loro capitale Petra, è un precursore della scrittura araba. La scrittura dei graffiti arabi era soprattutto aramaica o nabatea. Secondo il Kitab al-Aghani (Il libro dei canti), tra i primissimi inventori della scrittura araba ci furono due cristiani di al-Hīra (Zayd ibn Bammad e suo figlio). A Zabad (a sud-ovest di Aleppo) sono state trovate delle iscrizioni cristiane in tre lingue (siriaco, greco e arabo), degli anni 512-513 d.C., finora le più antiche testimonianze scoperte della scrittura araba.


Aramaico
https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_aramaica

L'aramaico è una lingua semitica che vanta circa 3000 anni di storia. In passato fu lingua di culto religioso e lingua amministrativa di imperi. È la lingua in cui furono in origine scritti il Talmud e parte del Libro di Daniele e del Libro di Esdra. Era la lingua parlata correntemente in Palestina (accanto al greco) ai tempi di Gesù. Attualmente, l'aramaico è utilizzato in Siria (villaggi di Ma'lula, Bh'ah, Hascha, Kamishlié), in Turchia (Tur-Abdin, Mardin) e nel Nord dell'Iraq (Krakosh, Elkosh, Erbil (la capitale della regione curda), Ankawa).
L'aramaico appartiene alla famiglia linguistica delle lingue afro-asiatiche e alla sottofamiglia delle lingue semitiche (più precisamente, il gruppo nordoccidentale di cui fanno parte le lingue cananaiche, tra cui l'ebraico).
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Re: Scienza e tecnica islamiche (di area islamica)

Messaggioda Berto » ven nov 27, 2020 10:52 am

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Re: Scienza e tecnica islamiche (di area islamica)

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2021 9:55 pm

Franco Cardini : «Quando la medicina parlava arabo: fu l'islam a curare la nostra cultura»
27 ottobre 2016

https://frammentivocalimo.blogspot.com/ ... icina.html

MA INSOMMA — si stanno chiedendo in tanti — si può sapere che cos'hanno a che fare davvero l'Occidente e l'Islam e quali effettivi rapporti ci sono tra loro, a parte quattordici secoli di pur sotto certi versi tempestosa convivenza, fatta tuttavia di soprattutto di scambi culturali e diplomatici? Già questo non sarebbe poco. Ma in sintesi c'è di più. In realtà ebraismo, cristianesimo e Islam condividono l'origine religiosa (il monoteismo fondato verso il XVIII secolo a.C. e attribuito al patriarca Abramo) e la cultura ellenistico-romana, all'interno della quale l'ebraismo ha vissuto almeno dal IV secolo a.C. e l'Islam ha prosperato dal VII d.C., da quando cioè da una parte ha conquistato la Siria e l'Egitto bizantini e dall'altra quella Persia sasanide dove a sua volta l'ellenismo era ben conosciuto e dove avevano trovato rifugio verso il 530 d.C. i dotti pagani della Scuola d'Atene, esiliati dall'imperatore Giustiniano che voleva impedir loro d'«inquinare» la cultura pagana con le loro follie platoniche e aristoteliche. Il grande filosofo e scienziato Ibn Sina che noi conosciamo come Avi-cenna testimonia che nel X secolo la città persiana d'Isfahan, dove egli lavorava, possedeva una biblioteca di libri greci. Da lì la conoscenza di Platone e di Aristotele, insieme con le cognizioni geografiche, mediche, fisiche, chimiche, astronomiche e fisiologico-medicinali tratte dalle culture indiana e cinese, in quei campi ben più avanzate di quella greca, fecero — debitamente tradotte in arabo — il giro del mondo musulmano, cui appartenevano anche Spagna e Sicilia.
E DALLA SPAGNA soprattutto (ma anche dalla Sicilia e dalla Grecia) si diffusero tra XI e XIII secolo, tradotte dall'arabo e dall'ebraico in latino, nella Cristianità occidentale. L'Europa delle università e delle cattedrali, la nostra grande Europa di Abelardo, di Tommaso d'Aquino e di Dante, è figlia di quest'immensa, meravigliosa rivoluzione culturale in cui assieme ai commerci ebbero una qualche parte anche le crociate, guerre certo ma non "totali", anzi occasioni continue di scambi. Avicenna è uno dei protagonisti di quest'epopea mozzafiato: ben conosciuta e studiatissima, per quanto i nostri media abbiano fatto di tutto, negli ultimi anni, per ignorarla o per "oscurarla". Ma Avicenna aveva un Maestro, un persiano nato a Rey presso Teheran il cui nome lunghissimo suona Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya ar-Razi: ma, che, secondo un diffuso costume musulmano, noi conosciamo soltanto come ar-Razi, vale a dire "quello di Rey". Questo dotto persiano che nel nostro medioevo ebbe fama, ovviamente, perfino di mago, visse tra 865 e 925, era in realtà uno dei più grandi geni che il genere umano abbia mai conosciuto. Scrisse ovviamente in arabo, la lingua sacra dell'Islam e koinè diàlektos di tutto il mondo musulmano. Visse soprattutto a Baghdad, che all'epoca contendeva a Còrdoba (entrambi erano sedi di due califfati sunniti concorrenti, abbaside l'uno e umayyade l'altro) e alla cristiana Costantinopoli il primato delle arti, delle scienze, della cultura e della bellezza. Si occupò non solo della sua grande passione, la musica (suonava benissimo il liuto) ma anche di logica, di filosofia, di poesia, di politica, di fisica, di astronomia e soprattutto di medicina, che poté studiare a Baghdad sotto la guida di un grande scienziato, at-Tabari.

I SUOI LIBRI sono moltissimi e tutti famosi. Ma tra essi ce n'è uno fondamentale per la stessa cultura europea: l' al-Mansuri fi t-tibb, un monumentale trattato generale di fisiologia e di medicina noto nella sua traduzione latina come Liber medicinalis Almansoris o Tractatus ad regem Almansoris, Si tratta di un'immensa opera in dieci libri il nono dei quali, conosciuto appunto come Nonus Almansoris, è servito ordinariamente come manuale nelle nostre università in tutto il medioevo. L'opera di ar-Razi fu diffusa in un numero straordinario di manoscritti in arabo e conobbe, come tutte quelle dei grandi studiosi musulmani, una quantità di traduzioni in latino: magari non perfette, anzi spesso sommarie e lacunose, comunque importanti per il progresso delle scienze. A loro volta queste traduzioni venivano più o meno divulgate nei diversi idiomi "volgari" della nostra Europa, forme arcaiche delle lingue che ancor oggi parliamo.
FIRENZE e la Toscana furono fra XIII e XV secolo attivissimi centri diffusori di queste spurie e problematiche eppur preziose opere, dette "volgarizzamenti". Uno di questi testi, opera di un anonimo medico o studioso di medicina fiorentino del primo Trecento, è conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Esso è stato recentissimamente pubblicato in due grossi volumi dall'editore Aracne di Roma in edizione critica, largamente confrontata con le versioni araba e latina del medesimo testo, da uno straordinario studioso arabo-italiano, Mahmoud Salem Elsheikh dell'Accademia della Crusca. Egiziano musulmano, Salem El-sheikh giunse a Firenze oltre 65 anni or sono. Allievo tra i migliori di Gianfranco Contini, sposato con una bella signora lucchese e cattolica, egli è incredibilmente tra i massimi, forse il massimo specialista degli idiomi volgari fiorentino e senese del basso medioevo. Si è occupato molto di storia della medicina araba, alla quale ha anche dedicato un libro in collaborazione con il dottor Luciano Sterpellone; e naturalmente è studioso appassionato di Dante a proposito del cui rapporto con l'Islam ha scritto cose originali e ben documentate. Il volgarizzamento del Liber medicinails verrà presentato oggi alle 17 nei locali della Biblioteca Medicea Laurenziana, attigua alla basilica di San Lorenzo. Sarà un'occasione unica per conoscere un autentico monumento culturale del medioevo fiorentino ed europeo; e per applaudire uno studioso straordinario come Salem Elsheikh, che alla città di Firenze e ai rapporti fra mondo europeo e mondo islamico ha dedicato con dottrina e generosità l'intera esistenza.



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Alberto Pento
Che post demenziale!
La medicina parlava arabo ma i medici erano cristiani, ebrei, zoroastriani e non arabi. Gli arabi maomettani era ignoranti e idolatri, nulla più.


Alìssiu Fìchisi Pinna
Autore
Le faccio notare solo che arabo e musulmano o islamico non sono sinonimi, per il resto purtroppo non saprei da dove cominciare

Alberto Pento
Infatti i persiani e i siriani non sono arabi come non lo sono gli egiziani e i turchi anche se tutti sono maomettani o islamici o mussulmani e una parte di loro parla arabo. I turchi, gli iraniani, gli afgani, i curdi, gli indonesiani, i pakistani e molti altri pur essendo maomettani o islamici o mussulmani non parlano arabo.

Alberto Pento
Nessun maomettano nei paesi maomettani ha mai preso un premio nobel per la scienza.
Solo qualche raro maomettano migrato nei paesi cristiani e laici dell'occidente ha potuto ricevere il premio nobel e grazie alla scienza occidentale non maomettana e sviluppatasi in ambiente cristiano.



Rossobruno cardiniano
Niram Ferretti
5 Febbraio 2021

http://www.linformale.eu/rossobruno-cardiniano/

Nel mondo di cartapesta di Franco Cardini, fu medievalista e poi ideologo e fabbricatore di fiction in cui i fatti e la realtà si dissolvono per lasciare apparire al loro posto immagini tra l’onirico e il fantastico, c’è una costante che non delude mai i suoi lettori, il cattivo, infatti, è sempre l’Occidente e il buono è sempre ciò che ad esso si contrappone.

Nulla di che meravigliarsi, già ragazzo, Cardini venne folgorato dall’ex collaborazionista e ardente ammiratore del Terzo Reich, Jean Thiriart, fondatore dell’organizzazione Giovane Europa che aveva come finalità quella di sganciare il vecchio continente dagli Stati Uniti e dal Patto Atlantico. Da allora e forse anche prima, non è dato saperlo, gli USA, agli occhi di Cardini, come a quelli del suo assai più celebre omologo americano, Noam Chomsky, sono diventati come Mordor ne “Il Signore degli Anelli”.

Tutto è buono quando si tratta di resistere all’impero del denaro, all’arrembaggio del Weltmarket. Non importa se oggi l’ex Cina comunista vi si sia convertita, sono gli USA la minaccia maggiore alla sopravvivenza del pianeta. E Cardini, che, nella sua vita è stato uomo di intersecazioni, in modo particolare quella tra gli “ismi”, di cui, l’Islam è l’ultima folgorazione dopo le amorevoli inclinazioni fascio-catto-comuniste che lo hanno preceduto, ha trovato anche in esso un buon antidoto.

Lo si comprende. L’Islam è l’approdo di tutto ciò che sanamente si contrappone alla tabe occidentale, ed è, infondo, la soluzione ultima, anche se iniziale (essendo esso, per i suoi seguaci, la religione primigenia dell’umanità), a ogni alienazione.

Lo scrisse chiaramente un eroe cardiniano, l’ayatollah Khomeini a Gorbaciov, il 1 1°gennaio del 1989: “Dichiaro chiaramente che la Repubblica Islamica dell’Iran, che è il bastione più saldo dell’Islam nel mondo, può facilmente riempire il vuoto ideologico del vostro sistema”. Ed è davvero un peccato che Cardini non sia giunto prima di ora a queste stesse conclusioni, si sarebbe risparmiato molta fatica, deviazioni e strade senza uscita.

Leggerlo fa sempre gusto. Il campionario è vintage, ma come il classici non delude mai. Così, in una intervista di un paio di anni concessa al sito, Osservatorio globalizzazione impariamo che:

“Il Patto di Varsavia, l’alleanza politico-militare tra URSS e i paesi suoi “satelliti”, è stata la necessaria risposta al patto NATO, a sua volta determinato dal fatto che gli statunitensi, rompendo una loro consuetudine politica che datava dalla cosiddetta “dottrina Monroe”, hanno preso a impegnarsi sempre di più come potenza egemone non solo sul Pacifico, ma anche sull’Atlantico. Una volta disintegrata l’Unione Sovietica, anche grazie all’impegno politico, diplomatico e culturale statunitense e allo strumento propagandistico degli ideali della “società del benessere”, vale a dire del consumismo, quella politica si è procurata altri nemici, sempre più agguerriti nella misura nella quale essa, provocando una sempre maggior concentrazione di ricchezza, determinava un generale impoverimento dei popoli”.

Nemmeno Gianni Minà o Lucio Manisco. L’URS virtuosa con i suoi alti ideali di eguaglianza e fraternità che ha dovuto soccombere contro il Weltmarket, il peggiore flagello che ha colpito l’umanità e di cui Adam Smith, Ludwig Von Mises, Friederich Hayek sono stati i sacerdoti. Esemplare.

La politica imperialista economica americana che impoverisce i popoli e arricchisce se stessa è filastrocca assai stantia, ma sempre efficace nonostante i fatti la smentiscano inesorabilmente. Basta guardare i dati concreti (ma gli ideologhi hanno sommo orrore della realtà) dal dopoguerra ad oggi per quanto riguarda il livello di povertà nel mondo. Come ha dichiarato recentemente il presidente del World Bank Group, Jim Yong Kim, “Negli ultimi 25 anni, più di un miliardo di persone sono uscite dall’estrema povertà e il livello globale della povertà è oggi inferiore a quello mai storicamente registrato. Questo è uno dei più grandi conseguimenti umani della nostra epoca ”. Ma non c’è nulla da fare, “I fatti non hanno accesso nel regno delle nostre fedi”, scriveva Marcel Proust. E la fede di Cardini è granitica, la sua ortodossia non ammette smagliature. Nella stessa intervista può infatti proclamare:

“Le potenze occidentali sottoposte all’egemonia statunitense hanno largamente provato di aver bisogno, per sopravvivere a se stesse conferendosi valori etici e culturali che evidentemente non sono più in grado di promuovere, di un “nemico metafisico”. L’Occidente contemporaneo, dopo aver battuto il “Male assoluto” nazista e l’”Impero del Male” comunista e sovietico (espressione coniata da Ronald Reagan nel 1983), aveva bisogno d’inventarsi un altro nemico, il “Terrore islamico”. Questa espressione si diffuse globalmente nel 2001, dopo l’11 settembre, e fu poi adottata dal governo di George W. Bush jr. a proposito del rais iracheno Saddam Hussein, precipitosamente derubricato da alleato nella tensione contro l’Iran a “nuovo Hitler” nella seconda guerra del Golfo.. L’adozione del passepartout ideologico costituito dal libro The clash of civilizations di Samuel Huntington e i movimenti neoconservative e theoconservative statunitensi, facilmente impiantati anche da noi, hanno fatto il resto, favorendo un ridicolo clima da “nuova crociata”.

È questo il feuiletton preferito del cantastorie rossobruno. Torvo, cupo. Un po’ Dumas, un po’ Eugène Sue. L’Occidente a traino americano che si inventa i mali, prima il nazismo, poi il comunismo, e poi, sì, poi, l’Islam nella forma del “terrore islamico”. Perché anche questa è una fola. Certo. Il jihad non fu mai praticato dai seguaci di Maometto se non come tenzone spirituale, è cosa nota. L’Islam è sempre stato pacifico e se, a volte, è stato guerriero, lo è sempre stato per reazione, per necessità, mai per vocazione. Fu solo e unicamente per reazione che nel settimo secolo il jihad detonò dall’Arabia. L’imperialismo islamico si impose solo per difesa, in Occidente come in Asia e in Africa. Certamente reazione fu, a chi non voleva e non vuole sottomettersi al Verbo del Profeta. Ma, per Cardini, le crociate sono solo state cristiane, e i cattivi da copione sono caucasici, europei in primis e poi, in seconda battuta, ameriKani. Quanto a Samuel Huntington è un vero villain, va bene per tutte le occasioni. I terzomondisti, o alterglobalisti, ne hanno fatto una caricatura, come gli atei militanti alla Hitchens e Dawkins l’hanno fatta dell’Altissimo. Colui che scrisse un libro rimasto negli annali della politologia della seconda metà de Novecento, ben sapeva che, “Fintanto che l’Islam resterà l’Islam (cosa che farà) e l’Occidente resterà l’Occidente (che è più dubbio) il fondamentale conflitto tra queste due civiltà e modi di vita continuerà a definire le loro relazioni nel futuro come le ha definite nel passato per quattordici secoli“. E a Bernard Lewis non pareva proprio che la violenza perpetrata in nome dell’Islam fosse una conseguenza della protervia occidentale, ma un dispositivo intrinseco alla sua stessa vocazione, quando scriveva: “La divisione tradizionale islamica del mondo in Casa dell’Islam e Casa della Guerra, due gruppi necessariamente opposti, dei quali il primo ha l’obbligo collettivo della lotta continua contro il secondo, ha ovvi paralleli con la visione comunista degli affari mondiali…il contenuto delle credenze è del tutto diverso, ma il fanatismo aggressivo del credente è il medesimo”.

Di nuovo nulla di tutto ciò nel dispositivo concettuale del burbanzoso fiorentino. L’Islam è solo palingenesi e umiliati e offesi, sublimi porte e angelologia. L’intervista in questione contiene altre perle.

“La grande crisi nasce nel 1979 dal susseguirsi di due eventi precisi e quasi contemporanei. Primo: l’impiantarsi in Iran della repubblica islamica nata coralmente da una grande rivoluzione di popolo contro la tirannia interna e l’umiliazione esterna imposta alla sua gente dallo shah Mohammed Reza Palhevi che aveva inaugurato un regime di dura repressione con introduzione coatta dei costumi occidentali in Iran e aveva nel contempo consentito agli statunitensi di spadroneggiare nel suo regno, provocando un sentimento di quasi unanime esasperata reazione dal quale fu cacciato a furor di popolo. Secondo: la necessità di cacciare i sovietici dall’Afghanistan e di metter fine all’esperimento socialista afghano, obiettivi che si sarebbero potuti ottenere in modo relativamente facile se gli afghani avessero accettato l’aiuto della repubblica islamica dell’Iran, vicina e disposta a muoversi (com’era nei voti del capo militare afghano comandante Massud, che pur era un musulmano sunnita mentre gli iraniani sono sciiti). Per “liberare” l’Afghanistan senza ricorrere agli iraniani, gli USA scelsero di appoggiarsi al loro principale alleato musulmano, il wahhabita re dell’Arabia saudita, che inviò in Afghanistan i suoi combattenti-missionari. Questi ultimi immisero in quel Paese un tipo d’Islam fanatico e retrivo, estraneo alle tradizioni afghane e tipico invece della setta wahhabita, fino ad allora confinata nel sud dell’Arabia. Da allora il wahhabismo ha innervato l’intero Islam, dilagando e distorcendone il carattere, fino a giungere al punto al quale siamo adesso: i wahhabiti, egemonizzati dal primo alleato degli USA nel mondo arabo, intendono egemonizzare a loro volta l’intero Islam sunnita sostenendo una guerra civile (fitna) contro gli sciiti in genere e gli iraniani in particolare. Tale guerra ha purtroppo il supporto sia degli USA, sia d’Israele, per ragioni e considerazioni di carattere politico-strategico che personalmente ritengo infauste”.

È stato necessario riportarla tutta intera questa infilata esorbitante di grotesqueries. Per Cardini è irrilevante che la guerra fratricida tra sunniti e sciiti cominci con la morte stessa di Maometto e perduri fino ad oggi. La colpa dell’estremismo islamico sarebbe solo dei wahhabiti a seguito della guerra in Afghanistan. E, ovviamente, ça va sans dire, i mandanti sarebbero loro, gli Stati Uniti, promotori anche del terribile Scià di Persia. Il fatto che il jihad, nella sua versione moderna, nasca in Egitto nel 1928 grazie ad Hassan al Banna e alla Fratellanza Musulmana, è un altro di quei fatti scomodi, che vanno doviziosamente rimossi dalla scena onde possano intaccare la fiction cardiniana. Quanto ai missionari, chi fu più missionario dell’ayatollah Khomeini il quale innestò l’Islam sull’impianto ideologico rivoluzionario marxista, la cui ispirazione trovò in Alì Shariati?. Ce lo ricorda Melanie Phillips in The World Upside Down: The Global battle over God, Truth and Power:

“Ali Shariati, un prominente ideologo della rivoluzione islamica in Iran, era un islamo-marxista che si basò cospicuamente sull’estremista anticolonialista Franz Fanon e la sua concezione di creare ‘un uomo nuovo’. Shariati mutuò da Fanon la descrizione dei ‘diseredati della terra’ e la tradusse in persiano rivitalizzando il termine coranico, mostazafin, o ‘il diseredato’. Sotto l’influenza di Shariati, gli estremisti iraniani diventarono marxisti e lessero Che Guevara, Regis Debray e il terrorista della guerriglia urbana, Carlos Marighela…Sotto l’influenza di Shariati, l’ayatollah Khomeini introdusse nel pensiero islamico radicale il fondamentale concetto marxista del mondo diviso in oppressi e oppressori…Nel 1980 Khomeini aveva stabilito una ‘rivoluzione islamica’ culturale di stile comunista per purgare ogni traccia di influenza occidentale dai licei e dalle università”.

Ma guai a incolpare l’Islam sciita, così puro e nobile e soprattutto antagonista degli amerikani, mentre, come è noto, i sunniti, soprattutto la Casa di Saud, sono intrecciati agli USA dal 1945.

Occorre fermarsi. Prendere respiro. Gli ebrei sono alle porte, ma Cardini è scaltro, evita accuratamente di cadere in un antisemitismo troppo corrivo. Gli ebrei restano in filigrana, presunti e non desunti. E sempre nella medesima intervista, a un certo punto, ecco aprirsi l’uscio su Israele:

“L’alleanza statunitense-israeliana-saudita, alla quale si sono accodati tanto la NATO quanto paesi arabi quali Egitto e Giordania, sta seriamente minacciando la pace, nel Vicino Oriente e nel mondo…La lotta ai migranti dall’Africa condotta senza combattere le vere cause della migrazione, ovvero l’alleanza tra le lobbies multinazionali che depredano suolo e sottosuolo africano, i governi locali tirannici e corrotti loro complici e la copertura internazionale che Francia e Gran Bretagna forniscono loro utilizzando sistematicamente lo strumento del veto in sede di consiglio di sicurezza ONU a tutte le risoluzioni che potrebbero fornire qualche via d’uscita al problema continentale africano, è il secondo grande problema del nostro mondo. Politica degli USA ed egemonia delle lobbies finanziarie internazionali sono le prime responsabili della situazione internazionale odierna”.

Questo è il nadir. C’è tutto, ma proprio tutto l’armamentario. Le calcificazioni, le ossidazioni della mente. Israele, gli Usa, i sunniti, le lobbies delle multinazionali, gli immigrati africani. Mancano gli Illuminati, il gruppo Bilderberg, i Savi. Sono impliciti, dentro nell’impasto. I topoi sono vecchi, stantii, puzzano di muffa, ma Cardini non demorde. La pace nel mondo sarebbe a rischio a causa di Israele, gli USA e gli arabi sunniti. Attenzione all’incastro. Non è Israele da solo che mette a repentaglio la sicurezza mondiale, rodato paradigma di antisemiti e antisionisti pluridecorati, ma lo è insieme agli USA e alla Casa di Saud. Se voglio lanciare il sasso contro gli ebrei e gli israeliani, lo lancio contemporaneamente contro altri bersagli. Mi limitassi al solo Israele, si noterebbe troppo, e Cardini non è un Blondet o un Fusaro qualunque.

Il Medioriente non sarebbe in tensione perenne da settanta anni a causa delle opposte mire arabo-islamiche, delle lotte intestine e tribali per conseguire il basto del potere, unicamente convergenti e solidali quando si tratta di unirsi nel tentativo di distruggere Israele. Il problema attuale non sarebbe l’espansionismo neo-imperiale sciita che si protende sulla Siria, in Libano, in Iraq, in Yemen, con appendice a Gaza. Non sarebbe l’impulso millenarista della rivoluzione islamica congiunto alla dichiarata intenzione di volere distruggere Israele. No. Anche qui gli sciiti sono rimossi dalla scena. I puri buoni sciiti. L’ultima frase del pistolotto brilla di luce propria.

“Politica degli USA ed egemonia delle lobbies finanziarie internazionali sono le prime responsabili della situazione internazionale odierna”.

Sembra uscita da un comunicato radio di Berlino o di Roma degli anni Trenta. Chi c’è dietro le lobbies finanziare internazionali e la politica degli USA? Chi gobierna el mundo? Cardini non lo dice, anche se in un suo feuilleton sulla seconda guerra del Golfo, Astrea e i Titani, scriveva a proposito degli USA:

“Di quale potere sovrano esso è rappresentante, di quale sovrana volontà esso è l’esecutore, al di là delle forme giuridiche preposte a legittimarlo. È sua la detenzione del potere imperiale o dietro ad esso ed altre forze, attualmente ‘in presenza’ nel mondo, si cela un ‘impero invisibile’-nel senso etimologico del termine, che cioè non è responsabile, non deve rispondere alle sue azioni-dinanzi ai suoi sudditi, i quali neppure sanno-o almeno, non con chiarezza-di essere tali?“

Basta una leggera spinta, un tocco in più, ed ecco apparire I Protocolli.

Per gentile concessione di “Caratteri Liberi”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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