Apostati dell'Islam, eroi dell'umanità

Apostati dell'Islam, eroi dell'umanità

Messaggioda Berto » lun mar 22, 2021 9:11 pm

Anche Averroè può essere annoverato tra gli apostati infatti sosteneva che la teologia e subordinata alla fiolosofia e che il sapere filosofico è superiore alla fede religiosa



https://it.wikipedia.org/wiki/Averro%C3%A8
Averroè, nome con cui nell'Europa medievale era conosciuto Abū al-Walīd Muḥammad ibn Aḥmad Ibn Rušd (arabo: أبو الوليد محمد ابن احمد ابن رشد), latinizzato come Aven Roshd e infine come Averrhoës o Averroës (Cordova, 14 aprile 1126 – Marrakech, 10 dicembre 1198), è stato un filosofo, medico, matematico, giudice e giurisperito berbero, considerato, insieme al suo precursore Avicenna, il più influente filosofo musulmano del Medioevo.
Averroè affermò che tra religione e filosofia non vi è alcuna conflittualità, poiché le eventuali divergenze sono riconducibili solo a differenze d'interpretazione, o meglio le due discipline perseguono due strade per raggiungere la stessa verità: quella religiosa si basa sulla fede, non può essere dimostrata (?) e non richiede una particolare formazione per capirla (?), mentre quella filosofica è riservata a una élite di pochi intellettuali, capaci di approfondire studi difficili.
Nel modello di pensiero metafisico averroista, è stato contemplato il concetto di esistenza che precede l'essenza, chiave di lettura fondamentale dell'interpretazione esistenzialista, in reazione al concetto avicenniano di essenza anteriore all'esistenza.
I filosofi, sostenne Averroè, hanno il pieno diritto di studiare la religione utilizzando gli strumenti della ragione, perché l'Islam non lo vieta.
Nella sua disquisizione sull'anima, si soffermò sulla duplice natura di quest'ultima, suddivisa in una parte individuale non eterna, e in una divina, condivisa da tutti gli esseri umani.
I suoi scritti furono tradotti in ebraico da Jacob Anatoli nel XIII secolo e influenzarono la filosofia ebraica da Maimonide fino a Spinoza.





Di Giovanni rilegge Averroè, filosofo della doppia verità
Armando Torno
Matteo Di Giovanni, “Averroè”
Carocci, collana “Pensatori”
pp. 284 -euro 19


http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/ ... d=AExM8reB


Che cosa può dire all'uomo d'oggi Averroè, un pensatore arabo vissuto tra il 1126 e il 1198? Un filosofo che si poneva alte questioni su Dio, l'anima, il mondo? Anche se il nostro è tempo di leggerezze e di comunicazioni inutili, Averroè continua a suscitare ammirazione. Non soltanto vale la pena rileggerlo, o ripercorrerne la fascinosa opera, ma le sue problematiche sanno arricchire le sensazioni che circolano nell'era di Internet.

Già, Averroè. In tal modo il medioevo chiamò Abū l-Walīd Muhammad ibn Abmad ibn Muhammad ibn Rushd, un filosofo che fece conoscere all'Occidente Aristotele e che Dante pose nel castello degli spiriti magni, nel Limbo o primo cerchio dell'Inferno. Così il sommo poeta nel IV canto della cantica dedicata ai dannati: «Averoìs che 'l gran comento feo».

Quando gli asini sono umani

Dante parla di Averroè anche in altre sue opere (nella «Monarchia», nella «Questio de aqua et terra»); nel XXV canto del Purgatorio respinge la tesi, cara all'arabo, dell'intelletto separato: «sì che per sua dottrina fé disgiunto / da l'anima il possibile intelletto, / perché da lui non vide organo assunto».

Bene: chiunque non si accontenti delle recite televisive della “Commedia” dantesca o chi non crede alla stupida tesi che le filosofie del passato siano soltanto dei ruderi archeologici, ha ora a disposizione un saggio su Averroè degno della massima considerazione.

Lo ha scritto Matteo Di Giovanni, professore di filosofia antica e araba presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Lo ha pubblicato l'editore Carocci di Roma nella collana “Pensatori” (giunta al 42° volume). Il titolo: “Averroè” (pp. 284, euro 19).

Di Giovanni ha vergato il suo saggio su questo pensatore, per il quale «supremo comandamento per il filosofo è l'indagine scientifica del reale», con un linguaggio chiaro e con pagine ricche di documentazione di prima mano. All'esposizione fa seguire una sinossi delle opere che sarà preziosa per chi desiderasse accostarsi alle innumerevoli problematiche trattate nelle opere di Averroè, il quale lasciò anche testi di medicina, o meglio dei commenti a Galeno e ad Avicenna. Ovviamente nel suo corpus non mancano problematiche teologiche o di diritto islamico.

Giudice, medico, filosofo, Averroè nel mondo latino fu noto per la dottrina secondo la quale dinanzi a una questione filosofica si schiuderebbe la possibilità di attivare due distinte verità: l'una razionale o filosofica, l'altra di fede o religiosa; tra loro forse in contraddizione, tuttavia valide allo stesso tempo nel proprio ambito. Era la cosiddetta dottrina della doppia verità. Ma qui il problema si amplia a dismisura e occorre aggiungere ben più di qualche precisazione. Fidatevi e cominciate da Di Giovanni e dal suo ampio profilo. Il resto è storia troppo lunga.



Chi pensa resta immortale, chi non pensa muore». Per un profilo di Averroè

http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/chi- ... di-averroe

Abū l-Walīd Muhammad Ibn Ahmad Rushd, conosciuto in Occidente come Averroè, è stato uno dei filosofi più complessi della storia della filosofia. Medico e giurista, egli s’interessava anche di astronomia, di politica e di sociologia. Con Averroè la filosofia islamica ha forse toccato la sua vetta più elevata, ma ha trovato anche la sua conclusione. Il suo pensiero si è diffuso nell’Occidente medioevale, soprattutto grazie ai suoi commenti alle opere aristoteliche che hanno contribuito alla alla conoscenza del pensatore greco fino a quel momento molto limitata ed è proprio in Occidente che Averroè ha ricevuto l’appellativo di Commentatore. Dopo la fine del Medioevo, il suo pensiero ha continuato ad avere ancora una certa fortuna, anche se solo per poco, tanto che bisognerà attendere l’Ottocento perché fosse nuovamente riproposto dallo studioso francese Ernest Renan. Uno dei paradossi che ha avvolto la figura di Averroè e che in un certo senso ha accresciuto intorno a lui un certo alone mitico è stato proprio questo estremo contrasto fra momenti di altissimo interesse da parte degli studiosi, sia favorevoli sia contrari al suo pensiero, e periodi di eclisse quasi totale come se egli non fosse mai esistito. Lo si potrebbe paragonare al genio (gin) del celebre racconto, La Lampada di Aladino, che appare solo quando è invocato. Profetiche in questo senso sembrano le parole di Jorge Luis Borges (1998:83) alla fine del suo racconto La ricerca di Averroè: «Nell’istante in cui cesso di credere in lui, Averroè sparisce».

Per la formazione culturale di Averroè ha avuto notevole importanza l’ambiente in cui è vissuto. Nacque nel 1126 a Cordoba, città dell’Andalusia (Al-Andalus), che a quel tempo era sotto la dominazione araba e precisamente sotto la dinastia degli Almohadi. Al-Andalus era il cuore della cultura islamica in Occidente: qui poté proseguire il suo sviluppo la falsafa, una corrente filosofica islamica che affondava le sue radici nella filosofia greca, in particolare in Platone e in Aristotele. Fra gli esponenti più importanti di questa corrente di pensiero, si segnalano Al-Kindi, Al-Farabi e Ibn Sina, conosciuto in Occidente come Avicenna. In Al-Andalus sono cresciuti filosofi come Ibn Tufayl, Avempace e per l’appunto Averroè.

La famiglia di Averroè era una delle più influenti di Cordoba: sia suo nonno che suo padre furono qadì, cioè giudici. Averroè studiò l’umanesimo arabo, il diritto e la medicina. Si ipotizza che a introdurlo nei grandi ambienti della cultura araba non sia stata tanto l’importanza della sua famiglia, quanto il filosofo Ibn Tufayl che lo presentò al sultano, molto appassionato di filosofia. Nominato medico di corte, Averroè in seguito fu eletto gran qadì di Siviglia e di Cordoba (Cruz Hernandez 2000: 596-597).

Il filosofo di Cordoba si dedicò soprattutto allo studio di Aristotele, tanto da diventarne il più grande interprete. Egli analizzava le opere aristoteliche utilizzando come metodo il Commentario che consisteva nello spiegare il significato dei testi, parola dopo parola, aggiungendo a conclusione la propria interpretazione. Nonostante Averroè non conoscesse né il greco antico né il siriaco e quindi studiasse sulle traduzioni dell’epoca, è riuscito a sopperire a tale mancanza con un’analisi molto accurata, tanto da intuire talvolta addirittura gli errori che potevano nascondersi in quelle traduzioni (Averrois, in Illuminati 1996:152; 214).

L’accuratezza e la precisione delle analisi sui testi filosofici caratterizzavano il pensiero razionalista di Averroè, teso a cercare la verità tramite l’indagine del creato: secondo lui, solo attraverso l’indagine razionale della natura, i filosofi possono ottenere la conoscenza e raggiungere la perfezione. Per Averroè, come per Aristotele, la felicità perseguita dai filosofi coincide infatti con la perfezione (Leaman 1991: 254). Ciò a cui ambiscono i filosofi è quindi una sorta di beatitudine intellettuale, una visione di Dio che si otterrebbe nella vita terrena innalzando il proprio intelletto, oltre i propri limiti, attraverso l’apprendimento di tutto lo scibile umanamente possibile (Gagliardi 2002: 18).

Nonostante il suo razionalismo, Averroè si è professato credente, fedele all’insegnamento coranico e rispettoso della legge islamica. Poiché nell’Islam la legge si basa sull’interpretazione del Corano, proprio citando le Sacre Scritture, egli ha tentato di dimostrare che studiare la filosofia e il pensiero dei filosofi greci non allontanava dalla via tracciata dalla fede, ma al contrario aiutava a riconoscere i segni dell’opera di Dio. Questa sua teoria è sviluppata in una delle sue opere oggi più celebri, L’accordo della legge religiosa con la filosofia (Kitāb Fasl al-maqāl), il cui intento è mostrare ai teologi e ai giuristi musulmani che lo studio della filosofia è giudicato lecito dalla Rivelazione (Averroè 1994:113). Anzi, la religione esorta all’indagine razionale della natura, e questo è mostrato menzionando alcuni versetti del Corano (ibidem: 114-115). Il Commentatore sostiene che la filosofia non è responsabile del fatto che alcuni studiosi abbiano perduto la via della fede. Perciò paragona chi impedisce alle persone idonee di studiare la filosofia, per il timore che possano perdere la via della fede, a colui che si rifiuta di dare da bere a un assetato, perché qualche altro si è affogato ed è morto (ibidem: 122). Nella stessa opera, egli afferma che filosofia e religione ci mostrano l’unica verità, ma ci sono tre diverse vie per aderire ad essa e ogni via corrisponde al livello di apprendimento di ciascun individuo. Averroè sostiene che la filosofia è una delle tre vie per cercare la verità e non è in contraddizione con quanto è scritto nel Corano, anzi ne dimostra l’autenticità. Egli, infatti, scrive che «la filosofia non può essere contraria alla verità, ma anzi si accorda con essa e testimonia in suo favore» (ibidem: 124).

Le accuse di una parte dei capi religiosi islamici contro i filosofi erano in atto ancora prima che Averroè si affacciasse nel panorama della filosofia. La corrente più intransigente dei religiosi musulmani era quell’ash’arita il cui più importante esponente, il teologo Al-Gazali, aveva scritto L’Incoerenza dei Filosofi (Tahāfut at falasifa), opera nella quale condannava le tesi dei filosofi ritenute contrarie alla religione. Contro quest’opera Averroè scrisse per difendere la ricerca filosofica l’Incoerenza dell’Incoerenza (Tahāfut al-tahāfut) (Averroè 2006).

La parabola discendente della fortuna di Averroè nel mondo islamico non è iniziata solo perché le sue idee erano considerate empie, ma soprattutto per motivi di carattere politico. Molte delle sue opere furono pertanto bruciate ed egli fu esiliato a Lucena dallo sceicco Al-Mansur, che però lo richiamò a Cordoba due anni dopo (Cruz-Hernandez 2000:597-608). Poco dopo Averroè si ammalò gravemente e nel suo libro di medicina, Kitāb al-Kulliyyāt fī al-Tibb, descrisse i sintomi della sua malattia in modo tale che essa fosse riconosciuta da coloro che sarebbero venuti dopo di lui (ibidem: 603). Tale operazione non è nuova nel mondo della letteratura poiché già lo storico ateniese Tucidide, nella sua celebre opera poi intitolata La Guerra del Peloponneso (2004: 341), ha descritto i sintomi della peste affinché potesse essere riconosciuta e curata dai posteri. Non c’è dato sapere se Averroè si sia ispirato a Tucidide, ma certamente viene dimostrato come il suo acume lo abbia condotto a preoccuparsi degli altri lasciando a loro disposizione il proprio sapere. Egli morì a Marrakech nel 1198 e con la sua morte si concluse anche l’esperienza della filosofia nell’Islam.

Poco dopo, il suo pensiero si è diffuso in Occidente e ha provocato un vero e proprio terremoto intellettuale nella cultura medioevale latina ed ebraica. L’enorme mole di lavoro da lui dedicata alle opere aristoteliche e il pensiero che esse contenevano contrastavano con molte delle tesi platoniche nel Medioevo cristiano in quanto si adattavano con maggiore elasticità alle verità del Cristianesimo. Secondo lo studioso francese Mandonnet c’era, infatti, chi, come gli agostiniani capeggiati da San Bonaventura, condannava le idee di Averroè perché contrarie al pensiero cristiano. Altri, come Tommaso d’Aquino e Alberto Magno, pur riconoscendo lo straordinario lavoro fatto dal Commentatore, lo accusavano di avere travisato il pensiero di Aristotele. Altri ancora, come Sigieri di Brabante e Boezio di Tracia, pur non rinnegando la propria fede cristiana, vedevano nel filosofo di Cordoba l’ispiratore del libero pensiero, sciolto da qualsiasi legame imposto da ogni autorità: questi ultimi sono stati definiti come esponenti dell’averroismo latino (Bianchi 1990: 14).

In verità, i cosiddetti averroisti latini non hanno seguito pedissequamente il pensiero del Commentatore pur ispirandosi alle sue idee. Una delle tesi di Averroè più criticata è stata l’ipotetica esistenza di un intelletto unico per tutti gli uomini al quale gli individui attingerebbero per pensare e deliberare. Tale tesi è contraria non solo alla fede cristiana, ma anche all’etica stessa perché presupporrebbe fra le altre cose che l’individuo sia sprovvisto di un proprio intelletto non considerato come anima o parte di un’anima. Questa tesi, come altre di Averroè e degli averroisti latini, provocò la dura reazione della Chiesa che le condannò per due volte, nel 1270 e nel 1277 (ibidem: 14-15).

Nonostante l’opposizione dei suoi avversari, il filosofo di Cordoba ha lasciato una traccia indelebile nella civiltà occidentale tanto da essere ricordato da celebri artisti come Dante (Inferno, v. 144) che lo colloca nel Limbo insieme agli altri filosofi che, pur non conoscendo Cristo, cercarono sempre la verità, e Raffaello che lo inserisce nel suo celebre affresco della Scuola di Atene.
Infine, se è davvero suggestiva la malinconica conclusione del racconto di Borges nel quale Averroè sparisce quando si smette di credere in lui, si può tuttavia provare a proporre un finale alternativo, aperto, quello trasmesso dallo stesso Averroè, che sosteneva con forza il valore e l’importanza del pensare, dal momento che aiuta l’individuo a conoscersi, a migliorarsi e lo spinge, se egli lo desidera, verso la perfezione. Tale insegnamento ha continuato a sopravvivere con il trascorrere del tempo e per tale ragione probabilmente Averroè non è più da considerare come un fantastico genio evocato da una lampada magica quando si ha bisogno delle sue idee, ma come colui che forse a ragione scrisse: «chi pensa resta immortale, chi non pensa, muore».

Dialoghi Mediterranei, n.12, marzo 2015
Riferimenti bibliografici
Averrois, Commentarium Magnum in Aristotelis De Anima libros, Comm. XXXVI, in A. Illuminati, Averroè e l’intelletto pubblico. Antologia di scritti di Ibn Rushd sull’anima, Manifestolibri, Roma 1996.
Averroè, L’accordo della Legge religiosa con la filosofia, trad. it e intr. a cura di F. Lucchetta, Marietti, Genova 1994.
Averroè, L’Incoerenza dell’incoerenza dei filosofi, trad. e intr. a cura di M. Campanini, Utet, Torino 2006.
L. Bianchi, Il vescovo e i filosofi, Lubrina, Bergamo 1990.
J.L. Borges, L’Aleph, Adelphi, Milano 1998.
M. Cruz Hernandez, Storia del pensiero del mondo islamico, II, Paideia, Brescia 2000.
A. Gagliardi, Tommaso d’Aquino e Averroè. La visione di Dio, Rubbettino, Soveria Mannelli [CZ] 2002.
O. Leaman, La filosofia islamica medioevale, Il Mulino, Bologna 1991.
Tucidide, La guerra del Peloponneso, trad. it. a cura di F. Ferrari, intr. di M.I. Finley, Rizzoli, Milano 2004.




Averroè
Dizionario di eretici, dissidenti e inquisitori nel mondo mediterraneo [ISBN 978-88-942416-0-0]

Ibn Rushd, conosciuto come Averroè (Cordova, 1126 – Marrakesh, 10 dicembre 1198) è stato un filosofo, teologo, medico e matematico.

http://www.ereticopedia.org/averroe

Ibn Rushd (Abû al-Walîd Muhammad ibn Ahmad ibn Muhammad ibn Ahmad ibn Ahmad inb Rushd) nacque nel 1126 a Cordova e morì a Marrakech il 10 dicembre 1198. Nel XII secolo l'Andalusia faceva parte dell'impero degli Almohadi, impero che si estendeva a tutta l'Africa del Nord e durante il quale l'Occidente arabo conobbe gloria e ricchezza. Ibn Rushd era astronomo, medico, giurista e filosofo. Figlio di giuristi, appartenente quindi ad una classe sociale elevata, vissuto nella stabilità dell'impero almohade ebbe modo di costruirsi una cultura vastissima. Durante un viaggio a Marrakech notò una stella che non si poteva vedere sotto i cieli spagnoli: Canepe.
L'osservazione di questo fenomeno gli permise di intuire la rotondità della Terra. Durante un altro viaggio a Marrakech, Ibn Rushd conobbe Ibn Tufail, medico del Califfo Yûssûf ibn Ya'qûb e questi lo incaricò di tradurre e commentare le opere di Aristotele in quanto lui era troppo vecchio per tale mansione e le traduzioni fino allora esistenti erano troppo oscure. Ibn Rushd accettò e s'impegnò in un lavoro che durò più di 15 anni, ma l'opera del grande filosofo greco fu quasi interamente tradotta. Alla morte del Califfo, Ibn Rushd mantenne un posto di primissimo piano come medico di corte e confidente del successore di quest'ultimo Ya'qûb detto al-Mansûr "Il Vittorioso" per la strepitosa vittoria di Alarcos del 1195 contro Alfonso VIII di Castiglia e i principi cristiani di Spagna sempre più minacciosi.
Poi improvvisamente cadde in disgrazia, il sovrano lo esiliò e i discepoli lo rinnegano. I sovrani Almohadi cercavano sempre la compagnia dei "falâsifa" (i filosofi), li stimavano e non avevano mai manifestato ostilità fanatiche nei loro confronti. Se Ibn Rushd cadde ingiustamente in disgrazia, fu probabilmente a causa di circostanze forzate. Le sue dottrine filosofiche dovevano indisporre non poco i teologi limitati e i giuristi pedanti incapaci di interpretazione personale dei testi. Furono quindi ragioni di stato che obbligarono al-Mansûr ad allontanare Ibn Rushd anche perché la minima debolezza del sovrano sarebbe stata immediatamente sfruttata dai principi cristiani di Castiglia e León. Ritornata la calma al-Mansûr riabilitò Ibn Rushd che ritorno a Marrakech dove mori il 10 dicembre all'età di 72 anni. Le spoglie furono trasferite nella sua città nataleCordova.Ibn Rushd non si occupò solo di medicina o dei commenti all'opera di Aristotele scrisse anche molti libri di filosofia.
In particolare ricordiamo un trattato sulla non contraddizione tra filosofia e religione che lo pone al vertice della riflessione filosofica del suo tempo e non solo. Ibn Rushd sosteneva che i testi sacri sono legittimamente interpretati in modo diverso dal filosofo dal teologo o dal profano. La "verità" può quindi essere interpretata in modo diverso secondo la formazione intellettuale dell'individuo.
Questo approccio critico poteva suscitare le reazioni di molti, era in un certo senso "rivoluzionario" e lo sarebbe ancora oggi. Se i Musulmani che vennero dopo di lui non approfittarono dei suoi insegnamenti e ebbero verso le sue opere un approccio superficiale (molte erano diffuse in latino ed ebraico), non fu così per i Cristiani e gli Ebrei dai quali fu considerato una personalità ineguagliabile.
Le sue dottrine verranno insegnate in Europa fino al XVIII secolo, in particolare il trattato del De anima nella traduzione in latino di Micael Scott del 1230 e ciò nonostante le condanne dell'Inquisizione e del Concilio di Trento che consideravano eretiche e blasfeme le teorie di Averroè, anche se l'averroismo professato in Europa è solo un pallido riflesso della sua cosmologia. Molti filosofi e teologi europei devono molto a Ibn Rushd, tra questi citiamo i più conosciuti: San Tommaso d'Aquino, Bacone, Spinoza, Leibnitz.
Combatté apertamente contro le degenerazioni del pensiero aristotelico attuate dagli integralisti teologi musulmani e da Avicenna. Punto sostanziale é l'intervento di Dio nel mondo. Dio è atto puro. Se ne prova l'esistenza con i passaggi avicenniani a contingentia mundi e dei gradi di perfezione: tali modalità di prove vennero poi accolte come terza e quarta prova da S.Tommaso. Non esiste una creazione ex nihil una volta per sempre, ma un continuo trarre le cose dalla potenza all'atto, dando per scontato che materia prima e mondo esistono ab aeterno, causati necessariamente da Dio fin dall'eternità. Filosofia e religione rivelata sono un'inscindibile verità, ma mentre la rivelazione - che è diretta a tutti gli uomini - mira al potenziamento della virtù attraverso il linguaggio semplice che colpisce il sentimento e l'immaginazione, spetta ai filosofi (non ai teologi) l'interpretazione e la dimostrazione scientifica dei dogmi forniti dalla rivelazione.
Bibliografia

Averroè, Il trattato decisivo sull’accordo della religione con la filosofia, a cura di Massimo Campanini, Rizzoli , Milano 1994
Averroè, L’accordo della Legge divina con la filosofia, a cura di Francesca Lucchetta, Marietti, Genova 1994
Massimo Campanini, Averroè, Il Mulino, Bologna 2007
Herbert A. Davidson, Alfarabi, Avicenna, & Averroes, on Intellect. Their Cosmologies, Theories of the Active Intellect, & Theories of Human Intellect, Oxford University Press, New York – Oxford 1992
Marc Geoffroy, Averroè, in Cristina D’Ancona (a cura di), Storia della filosofia nell’Islam medievale, vol. II, Einaudi, Torino 2005
Mohammed Abed al-Jabri, La ragione araba, Feltrinelli, Milano 1996
Andrés Martínez Lorca (a cura di), Al encuentro de Averroes, Editorial Trotta, Madrid 1993
Erwin I. J. Rosenthal, Political Thought in Medieval Islam, Cambridge University Press, Cambridge 19






Ribellione Nazionale: Il caso di Averroè

https://ribellionenazionale.blogspot.it ... erroe.html

Vi voglio parlare del caso di Averroè.
Questo filosofo, medico, matematico e giusperito arabo (il cui nome arabo fu Abū l-Walīd Muhammad ibn Ahmad ibn Rushd, Cordova 1126-Marrakech 1198) fu uno dei casi di personalità del mondo arabo che cercarono sinceramente di coniugare la propria fede alla ragione.
In qualche modo, egli cercò di fare quello che noi facemmo (e tuttora facciamo), ossia separare la volontà divina da quella umana, pur senza mettere l'una contro l'altra.
Per questo motivo, come sostenne il giornalista Magdi Cristiano Allam, egli fu visto come un "eretico" (se non un "apostata") da una larga fetta del mondo islamico.
Ergo, Averroè provò a fare nell'Islam quello che fecero (e fanno) le Chiese nel Cristianesimo.
Per questo, egli non fu capito in una larga fetta dello stesso mondo islamico.



Il "catechista" Magdi Allam reinventa l'idea di "prossimo cristiano" e un vescovo lo fa fare,di Giovanni Sarubbi
http://www.ildialogo.org
Editoriale

http://www.ildialogo.org/editoriali/dir ... 737445.htm

Il "catechista" Magdi Allam reinventa l'idea di "prossimo cristiano" e un vescovo lo fa fare

Un incontro ad Ariano Irpino(AV) tra un vescovo della chiesa Cattolica e Magdi Allam, tra cronaca e riflessione storica, politica, religiosa

Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete. (MT 7,15-20)

Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. (Mt 10,16)

Lo scorso 19 gennaio

abbiamo segnalato una svolta nelle attività anti-islamiche di Magdi Allam. In quei giorni egli avrebbe avuto il suo primo incontro pubblico con un vescovo cattolico, quello di Aversa(CE) Spinillo, dopo la sua dichiarazione di uscita dalla chiesa cattolica avvenuta a pochi giorni dalla elezione di Papa Francesco. Una entrata nella chiesa rumorosa e trionfale, con battesimo in mondovisione per mano dell'allora pontefice Benedetto XVI, ed una uscita altrettanto rumorosa quando egli passò la mano.

A distanza di poco meno di due mesi Allam si incontra con un altro vescovo e sempre in Campania. È accaduto il 10 marzo 2016 ad Ariano Irpino. Motivo dell'incontro sempre la presentazione del libro di Allam, “Islam siamo in guerra”, un libro nero che a guardarlo da lontano ricorda le bandiere nere dell'ISIS. Presente all'incontro, che si è svolto in un centro pastorale dedicato a S. Francesco (probabilmente dalle parti di Assisi avranno sentito il santo rivoltarsi nella tomba) il vescovo di Ariano Irpino(AV), fresco fresco di nomina episcopale, Sergio Melillo, già vicario episcopale della vicina diocesi di Avellino.

Sono arrivato all'incontro con qualche minuto di ritardo. Mi sono perso i saluti del sindaco di Ariano e quelli del Vescovo che era seduto a fianco di Allam che stava già parlando. Ho chiesto a qualcuno dei presenti che cosa avesse detto il vescovo e mi hanno riferito che aveva solo salutato l'ospite. Ho ascoltato così attentamente la relazione di Allam che ha ripetuto i soliti contenuti che va portando in giro per l'Italia. “L'Islam è un pericolo”, “vogliono invaderci”, “stanno massacrando i cristiani”,... Fra gli altri lo sento attaccare il rettore dell'Università Al-Azar del Cairo, il massimo esponente religioso dell'Islam Sunnita, accusandolo di essere “un apologeta del terrorismo islamico suicida palestinese”. Si propone più volte come “catechista” cominciando con il dare la definizione di cosa significa essere cristiano secondo lui (“credere in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo nato morto e risorto”), cancellando il Vangelo, per attaccare i musulmani ed il loro libro sacro, il Corano, che per i musulmani sarebbe “Dio incartato” perché l'islam sarebbe “la religione del Dio che si fa testo”. Egli ha affermato che “il Corano per i musulmani ha la stessa valenza che Gesù Cristo ha per i cristiani”. I musulmani, secondo Allam, “concepiscono il Corano come opera increata al pari di Allah, della stessa sostanza di Allah”. Il tutto per arrivare ad affermare che per un musulmano il Corano deve essere applicato “Letteralmente ed integralmente”. Niente uso della ragione, quindi, ma solo Corano e a supporto della sua tesi cita Averroè come esempio di filosofo illuminato che però “fu condannato a morte per eresia” per il suo uso della ragione. La cosa non è vera, come è verificabile consultando un qualsiasi manuale di filosofia[1] dove è possibile apprendere che Averroè “nel 1194 subì un processo per eresia e venne condannato all'esilio a Elisana, presso Cordoba. Riabilitato fu richiamato a corte, ma poco dopo morì a Marrakesh”. Per Allam fu invece “condannato a morte” e non all'esilio. Ovviamente nulla dice della sua riabilitazione. Allam, ancora, parla di Allah come di “uno dei 360 dei della Kahab”, di cui Allah era il Dio supremo preesistente all'islam. Parla del profeta dell'islam, chiamandolo sempre col nomignolo di Maometto[2], e non con il suo nome proprio che è Muhammad, come di “un pagano”, “di un guerriero che ha partecipato ad un centinaio di guerre personalmente o che ordinò di combatterle”, e che “lui personalmente uccise, lui personalmente sgozzò e decapitò centinaia di persone”. Dunque islam figlio di un profeta sanguinario, con un libro che contiene l'ordine “di uccidere tutti i miscredenti tutti i non musulmani”. Dunque Islam che non può essere posto sullo stesso piano di tutte le altre religioni come quella ebraica o quella cristiana. Evidentemente Allam non ha mai letto la Bibbia.

Ho riportato queste piccole perle del “catechismo Allamiano” per indicare il suo metodo pedagogico. Egli parla lentamente, cerca di dimostrare di saperne molto. Cita molte cose, come quella su Averroè, di cui però da una sua particolare interpretazione basandosi su fatti diversi o parzialmente diversi da quelli che la storia ufficiale riconosce come veri. È diverso dire “fu condannato a morte” da “fu condannato all'esilio ma poi fu riabilitato”. Sommando una serie di mistificazioni, di mezze verità o di bugie, non si ottiene una “diversa verità” ma semplicemente una mistificazione più grande. E la storia che Allam racconta sull'Islam è una mistificazione finalizzata a costruire il suo teorema sul pericolo islamico, cercando di dare un supporto “filosofico-religioso” alla sua islamofobia. Egli ha elogiato, per esempio, Benedetto XVI per il suo intervento di Ratisbona e ha attaccato tutti quelli che lo criticarono, ma poi non dice che egli si scusò per le sue parole, cosa credo mai avvenuta nella storia del Vaticano. Si definisce più volte “persona esperta” e studioso della materia. Un Sindaco di un paese vicino gli pone una domanda sui migranti in quanto lui conoscerebbe “molto più di lui in merito al Corano e all'Islam”, senza capire che da questo a definire una persona esperto e studioso ce ne passa. Tutti sappiamo in Italia qualcosa di calcio, ma pochi fanno gli allenatori di serie "A".

In sintesi bisognerebbe contestare ogni affermazione delle cose che scrive e che dice, e non è detto che qualcuno prima o poi ci provi perché tutti i suoi libri, almeno quelli che ho potuto leggere finora, sono costruiti col metodo di riferire su un singolo fatto una mezza verità o una cosa storicamente non vera o parzialmente vera per supportare una tesi che riesce ad imporsi come “verità sui mass-media” solo perché egli le può dire in genere senza contraddittorio e solo perché la maggioranza delle persone che lo ascoltano non conosce quello di cui lui parla e racconta sull'islam o sulla filosofia o su quant'altro si inventerà nel futuro.

Ed il contraddittorio è proprio il punto debole di Allam e di quelli che lo sostengono. E successo anche ad Ariano Irpino.

Alla fine del suo intervento si aprono gli interventi dal pubblico. Chiedo di parlare. Gli cito i dati di Amnesty international del 24 febbraio 2016 che ricordano come il “94% delle vittime del terrorismo è musulmano”, cosa confermata qualche giorno dopo al quotidiano La Stampa dal Patriarca e cardinale maronita Bechara Boutros Rai che ha affermato: “Non c’è un genocidio di cristiani e non ci servono protettori”. Gli ricordo che Benedetto XVI chiese scusa per le parole dette a Ratisbona e cerco di porgli la domanda sulla sua credibilità come profeta di una nuova crociata del XXI secolo. Ho cominciato a leggere un suo testo del 2005 tratto dal suo libro “Vincere la paura” (pagina 173 edizioni Mondadori 1a edizione), nel quale egli afferma:

“Come potrei scagliarmi contro l'islam che mi ha generato, che volente o nolente rappresenta il mio riferimento identitario, immaginandolo come il male incontrovertibile e irrecuperabile? Come potrei infierire contro me stesso, io che sono musulmano, percependomi come figlio naturale e degenere del male?Sai bene che non condivido la tesi dell'islam come blocco monolitico, con un'anima integralista e che permane immutato nel tempo. All'opposto sono convinto che l'islam, e ancor più i musulmani come persone, sono realtà che si coniugano al plurale sul piano della fede, dell'ideologia, della politica, della cultura, delle tradizioni nazionali e del vissuto individuale che, pur nella similitudine, assicura l'unicità del singolo”.

Vengo interrotto dal sindaco di Ariano che sedeva di fianco ad Allam. “Non è che può leggerlo tutto – dice il sindaco - , ci può dire chi è lei, come si chiama, ci lasci i riferimenti del libro poi lo leggeremo, di che religione è, e dove vuole arrivare”. Domande incalzanti. Qualcuno rumoreggia dalla sala. Il vescovo Melillo si agita sulla sedia. Rispondo, dicendo “La democrazia è bella quando la si rivendica ad altri non è bella quando la si deve praticare in proprio”. Interviene il vescovo dicendo: “Bisogna dialogare senza tensione”. Torno al mio posto. Ma il bello doveva ancora arrivare.

Allam non risponde alle mie domande, fa finta di non capire che la sua tesi sullo sterminio dei cristiani è completamente inventata. La cosa più ridicola è quando afferma che “i cristiani in medio oriente erano il 98% e ora sono il 3%”. Alzando la voce gli chiedo: “Ma quando erano il 98% duemila anni fa?”, e lui risponde: “Stai zitto, ti abbiamo ascoltato e ora stai zitto. Non duemila anni fa, ma fino al settimo secolo”. In sala non c'è stata la risata che avrebbe dovuto esserci perché egli stava parlando di una realtà di 1300 anni fa, lontanissima da quella attuale. Il sig. Allam vive come se stessimo nell'anno 700 d.c. ma siamo nel 2016. Il vescovo interviene di nuovo e conferma i dati di Allam. Dopo qualche altra domanda del pubblico interviene di nuovo il vescovo “sollecitato dal momento di riflessione”. Sembra l'intervento conclusivo. Se la prende con la secolarizzazione e il pensiero unico, che trasforma tutto in “beni da possedere” e che cancella “una fede che ci trasmette una appartenenza”. “Siamo messi male”, ripete più volte a causa di una “visione materiale della vita” e da quelle che definisce “Radici di superficie”. E tutti i mali del cristianesimo che, nella versione cattolica sarebbe priva di tratti fondamentalistici, sarebbero iniziati nel nord Europa. “Il cristianesimo – dice testualmente il vescovo - ha iniziato a naufragare nell'Europa del nord dove ha assunto i tratti della riforma protestante”. Chiude auspicando di “ritornare a noi stessi come il figliol prodigo” della famosa parabola.

L'intervento del Vescovo sembrava la conclusione del dibattito ma invece c'è un'ultima domanda. È quella del sindaco di un paesino vicino ad Ariano che pone una domanda sui migranti che il suo comune ospita. Dice che insieme ai cristiani sono arrivati anche profughi musulmani. «Fino ad oggi nessun problema con questi ragazzi – afferma -, però non rispettano le nostre regole. Non vogliono aspettare il tempo necessario che la legge italiana prevede per ottenere i documenti che gli servono per andare via dall'Italia. Noi siamo cattolici crediamo in dio e nell'ospitalità – prosegue – ma le loro richieste sono quasi delle imposizioni”. E chiede spiegazioni sul “perché loro agiscono in questo modo. È solo la voglia di raggiungere il nord Europa o è invece la voglia di dominare l'occidente che fa paura alle nostre comunità?”. Si tratta evidentemente di un problema di mettersi all'ascolto di chi fugge da guerre e miseria e dalla sicura morte. Ma l'ascolto non c'è.

Allam risponde e si esercita ancora nel ruolo di “catechista”. Se la piglia ancora con le donne islamiche ree di portare il velo che copre integralmente il loro volto violando una precisa legge. Nessuno sa ad Ariano che l'attacco al velo islamico è costato caro anche a suore cattoliche che hanno un abbigliamento simile a quello delle donne islamiche e che sono state aggredite e ingiuriate perchè scambiate per musulmane. Poi dice che bisogna distinguere tra “Regolari e clandestini cioè sprovvisti di documenti e chi entra in Italia sono clandestini”; dice che secondo i dati del Ministero dell'interno “solo il 5% acquisiscono lo stato di rifugiato o di profugo ma noi accogliamo anche il 95 percento restante”. E poi affonda i suoi colpi contro i “clandestini”, difendendo il reato di clandestinità introdotta dal leghista Maroni, che lo stesso governo attuale ritiene inutile, dannoso e da cancellare. Ma per Allam “l'accoglienza non può essere decontestualizzata” mentre essa “Cala dall'alto a prescindere dalle disponibilità di risorse e dalle disponibilità della cittadinanza”. E soffia sul fuoco della guerra tra poveri. “In Italia c'è sofferenza – afferma - L' istat parla di 12 milioni di poveri mentre 7 milioni e mezzo fanno la fila alle mense dei poveri”. Il vescovo gli suggerisce di guardare il rapporto della Caritas italiana. “Sono dati oggettivi – conclude”. E finalmente c'è stata una risata quando Allam afferma che “1/3 dei pensionati in Italia vive con meno di 500 euro al giorno”. Risate in sala. “Scusate, al mese”, si corregge e nessuno riflette sul lapus-freudiano di Allam. Poi Allam passa a dettare le regole per l'accoglienza. Sembra di essere all'asilo infantile. Il Vescovo pende dalle sue labbra, tiene il suo libro in mano e ogni tanto lo sfoglia.

«Se uno bussa alla nostra casa personale – dice Allam -, noi potremmo decidere di accoglierlo a due condizioni: uno se abbiamo le risorse per poterlo accogliere, se c'è uno spazio per ospitarlo; due se l'ospite aderisce alle regole su cui si fonda la civile convivenza. E sono queste regole che ci hanno consentito di poter acquisire un livello di benessere e di civiltà che ci porta oggi ad accogliere l'ospite. Ma la condivisone delle regole è fondamentale perché altrimenti la nostra casa cesserebbe di essere agibile sia per noi sia anche per lui”. E qui Allam si trasforma in “catechista”. Riporto integralmente quanto da lui affermato:

«Più in generale voglio dire questo e colgo l'occasione. l'Esortazione evangelica “Ama il prossimo tuo così come ami te stesso”, va applicata nella sua integralità. Ama il prossimo tuo così come ami te stesso, quel “così come ami te stesso” non è secondario rispetto al “ama il prossimo tuo”. Se non disponiamo dell'amore non possiamo donare l'amore. Quindi è legittimo che ci si voglia del bene, che ci si preoccupi del nostro bene. E il concetto stesso di prossimo va ugualmente correttamente sostanziato nei suoi contenuti. Il prossimo, nel vocabolario italiano, significa chi ci sta più vicino e chi ci sta più vicino sono i nostri figli, i nostri genitori i nostri parenti, sono i nostri concittadini, i nostri connazionali, a maggior ragione se hanno necessità e vivono condizioni di sofferenza. Ecco perché oggi si rischia di scatenare una guerra intestina tra poveri nel momento in cui si accorda ad altri ciò che non è concesso a noi stessi. Questo è il punto».

Questa è la definizione di “prossimo” secondo Magdi (non si sa se ancora) Cristiano Allam. L'Accademia della Crusca e qualche dotto linguista credo non saranno d'accordo neppure con la sua analisi logica della frase evangelica.

Il vescovo non fa una grinza, non salta sulla sedia, non dice ad Allam “guarda che la definizione di prossimo cristiano non è quella che trovi nel dizionario, neppure in quello Treccani”; "e che senso ha spezzare questa frase e capovolgerla"; “guarda che mettere come fai tu poveri contro poveri è peccato davanti a Dio e agli uomini”; “guarda che il prossimo cristiano è quello della parabola del buon Samaritano, è accogliere senza se e senza ma sempre, senza calcoli, senza regole, senza muri, come faceva Gesù nei racconti evangelici”. Niente, neppure una parola. Neppure ricordare ad Allam che se avessimo usato i criteri da lui indicati per i profughi attuali, molto probabilmente lui a quest'ora sarebbe ancora in Egitto perché anche a lui poteva accadere di non essere accolto.

La riunione finisce con questa “lezione di Allam”. Molte persone vengono ad esprimermi solidarietà stigmatizzando il comportamento del loro sindaco. Un giovane mi avvicina e si complimenta e definisce i relatori “mummie incartapecorite”. Molti i commenti negativi sulla definizione di “prossimo” fornita dall'Allam-pensiero. “Questo vuole le crociate”, dice una signora, “il prossimo che hanno insegnato a me è un'altra cosa”, dice un'altra. Certo c'è paura ed è su questa che si basa la politica di Allam che è un improbabile profeta di una nuova crociata ma che è certamente quello che il vangelo definisce un falso profeta.

Si presentano come pecore ma in realtà sono lupi, e ci scusiamo con pecore e lupi che sono certamente animali incolpevoli dei sentimenti umani che prendono a prestito la loro natura animale per descrivere il comportamento di quelli che il Vangelo definisce falsi profeti, coloro che vestendosi da animali erbivori ed indifesi sono in realtà animali carnivori che incolpevolmente di pecore si cibano. Ce ne sono parecchi in giro di falsi profeti e godono di ampi appoggi da parte dei grandi mass-media, quelli che fanno opinione. Vanno in giro per il paese a diffondere bugie su bugie sull'islam ma anche sullo stesso cattolicesimo di cui si servono per diffondere le loro bugie. Sì, questo è il dato più sconcertante su cui invitiamo a riflettere. Per mistificare la realtà di un'altra religione questi signori mistificano innanzitutto il Vangelo, in particolare proprio quello sulla misericordia, e lo fanno impunemente anche di fronte a vescovi e preti che non reagiscono e si prostrano davanti a loro e non proferiscono parola. Hanno paura, questi preti e vescovi, della bestia immonda che si materializza ogni volta che questi falsi profeti parlano e si prostrano davanti ad essa, così come viene descritto nel libro dell'Apocalisse. Bene allora fanno tutti coloro che dicono la verità, impegnandosi a parlare a chi ha paura. La paura è cattiva consigliera e i falsi profeti solo della paura si servono per rinchiudere “le pecore” in un recinto per poterle meglio sbranare. Rompere i muri e aprirsi alla vita. Questo occorre oggi. E ci scusino ancora pecore e lupi che non hanno la cattiveria e la ferocia dei falsi profeti che sanno solo promuovere odio e violenza. Giovanni XXIII li chiamava "profeti di sventura" e a loro diceva "vade retro".

Quello che si è materializzato nel Centro pastorale san Francesco di Ariano è lo scontro esistente all'interno del clero italiano (preti, vescovi, cardinali) da quando è stato eletto papa Francesco. Il clero, a tutti i livelli, è diviso in sostenitori sfegatati di Bergoglio, in suoi fieri oppositori, ed in chi non si schiera da nessuna parte aspettando gli sviluppi. E poi c'è chi fa il doppio gioco, chi è contro Bergoglio ma gli sorride ed in privato parla della sua morte e magari lo frequenta tutti i giorni e svolge per lui importanti incarichi.

Le posizioni espresse da Allam sono quelle della Lega Nord e di quella parte del clero italiano che vorrebbe la guerra santa contro l'islam e che vorrebbe addirittura la rottura delle relazioni ecumeniche con le chiese protestanti accusate, come ha fatto il vescovo Melillo, di essere all'origine della crisi del cristianesimo. Ma il cristianesimo che loro sognano e nel quale vivono, come Allam, non esiste più e non potrà ritornare neppure con un miracolo di classe AAA+++. Non ci sono santi, per quanti ancora ne verranno creati, in grado di riportare indietro le lancette della storia. E non potranno nulla neppure i molti, tanti soldi che stanno girando in questi tre anni dalla elezione di Bergoglio, per acquistare preti, vescovi e cardinali alle correnti tradizionaliste che si agitano nella chiesa. Correnti che mirano allo scisma ma che, da quello che si vede e si capisce, non avrebbe futuro. Il Vangelo di Gesù di Nazareth, liberato dei tanti dogmi che gli sono stati costruiti sopra, quello si è vivo ed è su esso che si può costruire il futuro. Poi, come direbbero i fratelli musulmani, “Dio ne sa di più”.

Giovanni Sarubbi

P.S. Tutti i virgolettati sono ripresi dalla registrazione sonora che ho effettuato durante l'incontro.

Quando ho scritto queste note non avevo visto ancora un video del sito città di ariano.it

con una sintesi dell'incontro del 10 marzo contenente le parole di saluto del Vescovo Melillo a Magdi Allam ed una sua intervista montata con immagini del convegno. Ne riproduciamo il link per completezza di informazione e affinchè ognuno possa farsi una sua idea su ciò che è successo.(G.S. 12/03/2016 ore 9:27)

NOTE

1

Philosophica, storia della filosofia, testi, percorsi e laboratori, di M. Pancaldi, M. Trombino, M. Villani, Marietti Scuola vol. 1B pag. 197
2

Nell'ultimo suo libro da “musulmano”, quello del 2005, Allam usa sempre il nome proprio del profeta dell'islam e mai il nomignolo dispregiativo di Maometto. Magdi Allam

, è persino citato da Wikipedia, pur non essendo uno specialista di linguistica e di etimologie, riportando che egli “ha espresso fermamente la sua convinzione circa l'accezione semantica negativa del nome "Maometto" nel suo Bin Laden in Italia: viaggio nell'islam radicale

(Milano, Mondadori, 2002, p. 210).


Oriana aveva ragione: l'islam è un male
Magdi Cristiano Allam - Mer, 16/09/2015

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 71453.html

Oriana ce lo ha insegnato: il problema non è il terrorismo islamico, ma è l'islam

Ho avuto la fortuna di frequentare Oriana Fallaci negli ultimi tre anni della sua vita. Ieri, nel nono anniversario della sua morte, per la prima volta, invitato da Tommaso Villa – presidente del Club Forza Italia «Giglio azzurro» -, ho reso omaggio alla sua tomba a Firenze.

La sobrietà del Cimitero Evangelico agli Allori e la semplicità della lapide con l'unica scritta «Scrittore», appaiono riduttivi rispetto alla grandiosità di un personaggio chiave della nostra storia contemporanea.

La Storia ricorderà Oriana per essere stata la voce che prima e più di altre, all'indomani della tragedia dell'11 settembre, ci ha trasmesso un concetto rivoluzionario: il problema del male non è il terrorismo islamico, ma è l'islam. Io stesso, da musulmano, faticavo a digerire la condanna assoluta dell'islam perché la percepivo come criminalizzante di tutti i musulmani, quindi in una mia autocondanna.

Nel discorso all'accettazione dell'Annie Taylor Award, nel 2005, Oriana fu esplicita: «L'islam moderato è un'altra invenzione. Un'altra illusione fabbricata dall'ipocrisia, dalla furberia, dalla quislingheria o dalla Realpolitik di chi mente sapendo di mentire. L'islam moderato non esiste. E non esiste perché non esiste qualcosa che si chiama islam buono e islam cattivo. Esiste l'islam e basta. E l'islam è il Corano. Nient'altro che il Corano. E il Corano è il “Mein Kampf” di una religione che ha sempre mirato a eliminare gli altri».

Nei miei confronti Oriana ha avuto un particolare riguardo, nella comune condivisione della denuncia sia del terrorismo islamico sia della pavidità dell'Occidente. Nell'estate del 2003, mentre era immersa nella scrittura di «La forza della ragione», mi scrisse: «Davvero, quando avrò (bene o male) concluso questo lavoretto, la primissima copia sarà per te. Più ti leggo, più ci penso, più concludo che sei l'unico su cui dall'alto dei cieli o meglio dai gironi dell'inferno potrò contare. (Bada che t'infliggo una grossa responsabilità)».

Il legame con Oriana è stato talmente forte da incentivare un cambiamento del mio pensiero anche dopo la sua morte, prendendo atto che lei aveva ragione. Se pensiamo che il 4 aprile 2002 Ahmed Al Tayeb, attuale Grande imam dell'Università islamica di Al Azhar, equiparabile al «Papa dell'islam sunnita», quando all'epoca era il Mufti d'Egitto, massimo giureconsulto islamico, legittimò il terrorismo suicida affermando: «La soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah»; e nel 2003 confermò: «Le operazioni di martirio in cui i palestinesi si fanno esplodere sono permesse al cento per cento secondo la legge islamica». Lo stesso presidente turco Erdogan ha detto: «Non c'è un islam moderato e un islam non moderato. L'islam è l'islam».

In serata a Firenze, partecipando a un convegno sulla Fallaci insieme a Vittorio Feltri e Daniela Santanché, organizzato da «Una via per Oriana» di Armando Manocchia, ho rievocato quanto ho scritto nel mio nuovo libro «Islam. Siamo in guerra»: «Sogno l'Italia libera, fiera e forte che metta al bando l'islam in quanto apologia del razzismo e del terrorismo, perché ciò che Allah ha prescritto nel Corano, ciò che ha detto e ha fatto Maometto, che sanciscono la discriminazione dei miscredenti, che legittimano l'uccisione di ebrei, cristiani, infedeli, apostati, adulteri e omosessuali, che contemplano la sottomissione e la riduzione in stato di schiavitù delle donne e dei bambini, sono in flagrante contrasto con le nostre leggi, sono incompatibili con i principi fondanti della nostra Costituzione, sono la principale minaccia alla nostra civiltà laica e liberale che esalta la sacralità della vita, la pari dignità tra uomo e donna, la libertà di scelta».

Questa è l'eredità di Oriana. Solo facendola nostra ci salveremo dalle barbarie dell'islam. Grazie Oriana!
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun mar 22, 2021 9:11 pm

LISTA DEI 200 MUSULMANI PIÙ FAMOSI CONVERTITI AL CRISTIANESIMO
Vincenzo Del Grechio Mi vergogno un po' ad essere cosi infantili ma un proverbio della Bibbia mi ricorda: "non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza che tu non venga ad essere come lui. Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza che non creda di essere saggio." Ho scelto la seconda.
https://youtu.be/cddKGNTBYcg
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun mar 22, 2021 9:12 pm

La scrittrice contro i Fratelli Musulmani
È morta Nawal El Saadawi. Lottò contro poligamia, velo e mutilazioni genitali. I suoi libri banditi, lei fu licenziata, condannata a morte ed esiliata. Sono le penne libere che mancano al mondo arabo
Giulio Meotti
22 marzo 2021

https://meotti.substack.com/p/la-scritt ... -musulmani

La scrittrice Nawal El Saadawi, icona egiziana dell'emancipazione delle donne nel mondo arabo, è morta a 90 anni.

Come medico, Saadawi aveva scritto più di cinquanta libri in cui si era espressa contro la poligamia, l'uso del velo, la disuguaglianza dell’eredità tra uomini e donne nell'Islam e soprattutto l'escissione, la mutilazione genitale che lei stessa aveva subito a 6 anni. Aveva lasciato l'Egitto nel 1993, dopo aver ricevuto minacce dagli islamisti, per riparare negli Stati Uniti. Nel 2007, l’Università di Al-Azhar, una delle più prestigiose dell'Islam sunnita, l’aveva denunciata per aver attaccato l'Islam. Un mese prima, la sua autobiografia e una delle sue opere erano state bandite dalla Fiera del Libro del Cairo. Sotto Mubarak, la dottoressa Saadawi era stata messa sotto scorta per proteggerla dalle minacce dei fondamentalisti islamici. Il suo nome era incluso in una lista di persone da eliminare pubblicata in Arabia Saudita.

Saadawi era stata criticata nel 2013 per aver sostenuto la cacciata del presidente islamista Mohamed Morsi da parte del generale Abdel Fattah Al-Sisi. La sua pièce teatrale “Dio si è dimesso nel corso del vertice” finì nel mirino di al Azhar e il Gran Muftì Mohammad Sayd Tantawi definì l’opera “un insieme di ingiurie contro divinità, profeti e angeli”. Ha lottato su tutti i fronti e contro tutti i tabù: una delle sue prime opere, “La Femme et le Sexe”, nel 1972 aveva provocato un'immensa polemica. Il libro fu bandito e Saadawi licenziata dal suo incarico di medico. "Le donne sono spinte a essere solo corpi", aveva detto in un'intervista tre anni fa, “o per essere velate sotto la religione o per essere velate dal trucco. Viene loro insegnato che non dovrebbero affrontare il mondo con la loro vera faccia”.

Era una delle penne libere che mancano così tanto al mondo arabo-islamico.
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Re: Apostati dell'Islam, eroi dell'umanità

Messaggioda Berto » sab nov 06, 2021 9:27 pm

Quattro donne uccise a Mazar-i-Sharif, tra loro l'attivista Frozan Safi
6 novembre 2021

https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo ... hp&pc=U531

Dopo un periodo di relativa tregua, è riesplosa la violenza contro le donne. A Mazar-i-Sharif, città nel nord dell'Afghanistan tornata sotto controllo dei taleban, in una casa sono stati ritrovati i corpi di quattro donne. La conferma è arrivata dal portavoce del ministero degli Interni, Qari Sayed Khosti, in una dichiarazione video. Il portavoce non ha identificato le donne, ma ha aggiunto qualche dettaglio sull'omicidio: due persone sono state arrestate e hanno ammesso di aver invitato le quattro donne a casa. "Sono in corso ulteriori indagini e il caso è stato deferito al tribunale", ha detto.

Khosti non ha identificato le vittime, ma una fonte a Mazar-i-Sharif ha detto che almeno una delle vittime era un'attivista per i diritti delle donne, Frozan Safi. La Bbc riferisce, citando una fonte, che le quattro donne erano amiche e colleghe: probabilmente sono state ingannate dai loro assassini, che le hanno attirate con la falsa promessa di portarle all'aeroporto per fuggire dal Paese dopo avere ricevuto minacce.

Frozan Safi aveva 29 anni, era scomparsa da circa due settimane, e secondo il Guardian è stata uccisa a colpi di arma da fuoco, e il suo corpo era sfigurato. La giovane era un'attivista e docente di economia

Secondo il Guardian si tratta del primo difensore dei diritti delle donne.
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