Apostati dell'Islam, eroi dell'umanità

Apostati dell'Islam, eroi dell'umanità

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 9:09 pm

Apostati dell'Islam, eroi dell'umanità
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Ixlam = dotrina połedego rełijoxa de l teror e de l'oror

Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi
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Enfedeł, miscredente, eidołatra, kafir, apostata, ridda
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El tenpio o ła caxa de ła lebartà e de ła no credensa, de ła raxon e del spirto ogniversal, dedegà a Ipasia, a Bruno Jordan, Jrołamo Savonaroła, Arnaldo da Brèsa, a Oriana Fallaci, a łi apostati e a tuti łi raxianti/ereteghi (tra cu Cristo, no dexmenteghemose ke anca Cristo el jera n'eretego, n'ebreo raxiante):
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 9:12 pm

Enfedeł, miscredente, eidołatra, kafir, apostata, ridda
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https://it.wikipedia.org/wiki/Ridda
Ridda (in arabo: ردة‎) è un termine lingua araba che significa "apostasia dall'Islam".
La ridda, secondo le interpretazioni date dalla maggioranza degli esegeti del Corano, è sanzionabile con la pena di morte: questa, per essere esplicitamente indicata nel testo sacro, è definita "hadd" (nel senso che Dio impone un "limite" all'operato umano). Altre pene che per lo più sono considerate meritevoli di morte sono l'omicidio di un musulmano e l'adulterio conclamato. L'apostata (murtadd), una volta catturato, ha di fronte a sé la scelta tra la morte e il pentimento con ritorno alla fede islamica.
A mitigare la severità della sanzione del testo sacro dei musulmani sono però i diversi dispositivi di applicazione della pena elaborati dalle scuole giuridiche islamiche (madhhab, pl. madhāhib), che possono prevedere una breve reclusione "di riflessione" o anche una reclusione a tempo non determinato.


L’apostasia Islamica nel periodo classico e contemporaneo

Scritto il 23 agosto 2014
http://islamicamentando.altervista.org/ ... temporaneo

L’apostasia, ovvero l’abbandono della fede islamica, costituisce un tema interessante, nella nostra epoca, in quanto è oggetto di molteplici interpretazioni riguardanti la sua applicazione, spesso, praticata in modo arbitrario e contraddittorio. C’è da notare che, se a livello legislativo le sanzioni sono state attenuate nel tempo (salvo alcune eccezioni), l’atteggiamento ostile di ogni islamico verso l’apostata è rimasto invariato. Perché? Al di là delle conseguenze e delle sanzioni, come viene percepito questo abbandono e perché viene considerato reato? Le risposte a queste domande vanno ricercate all’interno dei fondamenti islamici.

Lo Stato islamico, lungi dall’essere laico, si fonda tutto sulla religione per cui l’abbandono della fede significa, in primo luogo, il tradimento politico. Dal punto di vista religioso, poi, l’Islam concepisce l’uomo come un musulmano, Allah è il suo creatore, dunque l’apostata, con l’abbandono di questa verità di fede, è un traditore verso Dio e verso la sua stessa natura di musulmano. Sarebbe come negare l’uomo.1
C’è, poi, un’importante considerazione da fare: quando parliamo dell’Islam dobbiamo abbandonare il concetto di religione con le sue connotazioni sacerdotali e ritualistiche. L’Islam è, prima di tutto, una cultura, un modo di vivere, un insieme di comportamenti, una politica, una legge che regola la vita del musulmano. Da una parte i liberali cercano di modernizzare l’Islam, dall’altra i conservatori gridano per il ritorno alla fonte originaria dei testi islamici e per la visione di un modello politico inteso come piena realizzazione della Sharia (la legge sacro dell’Islam) nello stato. I riformatori tentano di far convivere l’Islam con i tempi moderni cercando di reinterpretare i principi islamici e in particolare la Sharia in modo tale da adattarne i contenuti alle linee più moderne, considerando però immutabili i principi di base, cosa estremamente difficile.
I fondamentalisti, invece, considerano la Sharia come sacra in quanto fonte ispirata ed immutabile, valida in ogni tempo e in ogni luogo, ed attaccano la posizione liberale.2
Da sempre i fondamentalisti hanno avuto molta più forza sulle posizioni intermedie ed il dialogo, sostanzialmente non è mai esistito (vedere ad esempio lo scontro avvenuto tra Averroé e Al-Ghazali. Il primo morì da esiliato, il secondo ricevette molti titoli come il Sharaf al-Aʾimma ossia “onore degli imam”).

L’origine più antica della parola apostata in arabo è murtadd; chi diventa apostata è chiamato “artadd ‘an dinihi” (colui che gira la schiena alla religione). Due parole sono usate per l’apostasia nella legge musulmana: ”irtidad” e “ridda”. Il primo termine sottintende il passaggio dall’Islam ad un’altra religione, ad esempio il Cristianesimo, mentre il secondo il passaggio dall’Islam alla miscredenza (kufr). Al di là dei termini tecnici appena enunciati, è necessario considerare il fatto che la fattispecie in questione è sempre stata oscura, non definita e quindi aperta a molteplici interpretazioni.
Infatti, il reato di irtidad si è sempre affiancato ai concetti di miscredenza, bestemmia ed eresia, il tutto identificato con il termine kufr, anche se la bestemmia e l’eresia sono tecnicamente sotto categorie di questa; entrambe, infatti, sono ”distinte fattispecie penali” dette in arabo kafir 3.
Alcune autorità elencano all’incirca trecento atti diversi che potrebbero fare di una persona un murtadd, lasciando però la possibilità di classificare con tale termine anche soggetti che siano semplicemente oppositori politici o comunque personaggi scomodi che vadano eliminati, giustiziandoli nel processo noto come takfir.4

Alla luce di questo possiamo ribadire che il concetto di ridda è molto vago; esso può esprimersi in vari modi: come negazione dell’esistenza di Dio o associando a Lui altre divinità, come negazione della condizione di Maometto quale definitivo messaggero di Dio, come negazione del valore vincolante della sunna (detti o comportamenti del profeta oralmente tramandati), come rifiuto della preghiera cinque volte al giorno o della pratica del ramadam (pellegrinaggio); può anche esprimersi con una diversa valutazione della “sharia“, aggiungendo ad essa altre norme e schernendo un qualsiasi aspetto dell’Islam con atti o espressioni più o meno intenzionali. Il termine apostata è stato usato persino per indicare la rivolta delle tribù beduine dopo la morte di Maometto.

Secondo la cultura islamica gli apostati, abbandonando l’Islam, perdono il proprio diritto alla dignità e al rispetto; le loro famiglie esercitano pressione su di loro con minacce e violenze per spingerli a ritornare all’Islam; a volte i parenti medesimi preferiscono non riconoscerli come figli della Comunità (Umma) e spingerli a lasciare il paese sotto minacce di morte. Si registrano casi di giustizia sommaria in cui i colpevoli vengono assassinati dai membri della famiglia o dagli stessi amici in molti paesi tra cui l’Egitto e il Pakistan, senza che questi subiscano conseguenze legali da parte delle autorità.5
Quanto ai fondamentalisti, essi rifiutano ogni dialogo con i non musulmani arrivando al punto di condannare, per delitto di apostasia, coloro che lavorano a favore del dialogo interreligioso; così, per esempio, ogni rapporto con gli ebrei è considerato una prova di tradimento della Umma.

Detto questo si può affermare che la problematica della conversione dall’Islam si inserisce all’interno della tematica più ampia riguardante la libertà religiosa.
La questione più importante che immediatamente salta agli occhi in questa vicenda è la seguente: cosa s’intende per libertà di religione?
Mentre il mondo occidentale, generalmente laico, prevede la possibilità di abbracciare un credo, poterlo abbandonare e poi riprenderlo di nuovo, il mondo islamico accetta la conversione al proprio credo ma non il suo abbandono. Inoltre sulla questione della libertà religiosa è importante il giudizio che ne danno i musulmani stessi. Per alcuni l’incontro tra varie religioni si può realizzare soltanto tra i fedeli che adorano un unico creatore, per altri la libertà religiosa è un diritto fondamentale solo all’interno dell’Islam e riguarda solo la pratica dei culti.

Dopo questa panoramica sui punti di vista delle varie fazioni, può essere illuminante la dottrina enunciata dallo sceicco Muhammad Hamidullah, originario dell’India, docente all’università d’Istanbul e vissuto in Francia dove ha animato un gruppo d’Amitié islamo-Chrétienne, che afferma: “Basandosi sulla lettera del Profeta a Eraclio in cui lo invita ad abbracciare l’Islam, o almeno a non violare la libertà dei suoi sudditi che lo volessero fare, si può affermare che quando non vi sia ne tolleranza religiosa, ne libertà di coscienza in un paese non musulmano e quando tutti i tentativi per migliorare questa situazione siano falliti, è permessa nell’Islam l’instaurazione di questa libertà con la forza delle armi.”6

Dunque la libertà religiosa e la relativa libertà di coscienza, per le quali si può lottare anche con le armi, è semplicemente libertà di poter cambiare liberamente il proprio credo verso l’Islam. Quanto invece alla possibilità, per i musulmani, di lasciare la fede, sia nei paesi musulmani che in quelli non musulmani, non è assolutamente ammesso. Si può notare che il nodo del problema risiede nel fatto che le fonti islamiche che trattano del tema sono molto contraddittorie tra loro e non delineano in maniera chiara i contorni di questo istituto.

Una tradizione (hadit) molto conosciuta nel Medioevo (qui una piccola raccolta di hadith su questo tema), affermava che è vietato versare il sangue di un musulmano (cioè ucciderlo) tranne che in tre casi: se si tratta del sangue di un musulmano che ha ucciso un musulmano, di quello dell’adultero e di quello di un musulmano apostata. Questa tradizione era certamente molto accreditata nel Medioevo quantunque sia tutt’altro che sconosciuta anche attualmente. Infatti una notazione, in proposito, dell’islamologo libanese Add Theodor Khoury S.J recita: “la Tradizione prevede la pena di morte per il peccato di apostasia ma, nella legislazione attuale della gran parte degli Stati a maggioranza islamica, questa pena non è stata confermata; tuttavia ancora oggi, in molte società musulmane, l’apostata deve scontare la prigione, l’esilio o può essere ucciso dai suoi stessi familiari”.7

A conferma di ciò, nel 1994, non nel Medioevo quindi, Sami Awar Aldeeb Abu-Sahlieh8 affermò: “Esistono (…) musulmani che si convertono al cristianesimo (…)”; questi convertiti, secondo i musulmani, sono passibili della pena capitale.
Inoltre, dopo aver segnalato resistenza di formali garanzie della libertà religiosa consacrate nelle Costituzioni dei paesi arabi dal 1923 al 1973, il docente notò come nei codici penali non sia compresa nessuna disposizione relativa al delitto d’apostasia, fatta eccezione per il codice penale della Repubblica del Sudan del 1991, che, all’articolo 126, comma 2, prevede che: “chi commette il delitto d’apostasia è invitato a pentirsi in un tempo determinato dal tribunale. Se persiste nell’apostasia e non si è convertito di recente all’Islam, sarà punito con la morte”; e per il codice penale della Repubblica Islamica di Mauritania del 1984 che prevede la stessa pena per lo stesso crimine all’articolo 306, pena estesa nel medesimo articolo a “ogni musulmano maggiorenne che rifiuta di pregare pur riconoscendo l’obbligo della preghiera”; dal canto suo il codice penale del Regno del Marocco, all’articolo 220, comma 1, punisce, con una pena detentiva e con un’ammenda, chi induce all’apostasia e tace riguardo alla sorte riservata all’apostata.

Un aspetto importante da considerare, giustamente sottolineato dallo studioso palestinese, è il fatto che qualunque sia la formulazione adottata dalle Costituzioni arabe, la libertà religiosa garantita da queste Costituzioni può essere compresa solo nei limiti islamici. Per esempio nella carta fondamentale della Repubblica Araba d’Egitto, della Repubblica Araba Siriana, dello Stato del Kuwait, dello Stato del Bahrain, dello Stato del Qatar, della Repubblica dello Yemen e del Regno Hashemita di Giordania si afferma che ” (…) il diritto musulmano è una fonte principale di legislazione, o, la fonte principale di legislazione”.9 Questa attenta considerazione spiega come il concetto di religione e Stato nell’Islam combacino perfettamente e inoltre dimostra ancora una volta che la considerazione del concetto di libera religione che hanno in Islam, sia nettamente diversa da quella che “abbiamo noi occidentali, religiosi o meno.

Nel corso della storia poi, il concetto di apostasia, dopo la morte di Maometto, si è rapidamente allargato per comprendere sia quanti abbandonino l’Islam sia quanti ne abbiano una concezione diversa o si pongano come oppositori politici. Così la pena di morte per apostasia è divenuta applicabile anche a persone che, in buona fede, si credono buoni musulmani; questa conseguenza vale anche per i codici penali che non abbiano una disposizione riguardante l’apostasia. Il discorso porta inevitabilmente a concludere che l’assenza di una disposizione penale non significa assolutamente che il musulmano possa lasciare liberamente la sua religione. Infatti, le lacune del diritto scritto vanno colmate con il diritto musulmano, secondo le disposizioni legislative dei vari paesi. A sostegno di ciò, Sami Awar Aldeeb Abu-Sahhlieh cita appunto un caso sudanese di condanna a morte, verificatosi nel 1985, malgrado l’assenza di disposizioni relative a questo delitto nell’allora vigente codice penale del 1983; si tratta dell’impiccagione del l’architetto in pensione Mahmûd Muhammad Tâhâ, fondatore e animatore in Sudan del circolo dei Fratelli Repubblicani, la cui testa era già stata chiesta dall’università egiziana di Al-Azhar nel 1976 e poi dalla Lega del Mondo Musulmano, con sede in Arabia Saudita; le due istituzioni, dopo l’esecuzione, si sono felicitate con il presidente allora in carica, generale Ga’far Mohammed an-Numeirî. Sami Awar segnala inoltre che: “in paesi come l’Egitto non si procede all’esecuzione dell’apostata ma viene comunque messo agli arresti.” Infine descrive sinteticamente, escludendo il caso estremo già segnalato, le conseguenze dell’apostasia relativamente al matrimonio, ai rapporti fra genitori e figli e alle successioni ritenendo la situazione dell’apostata caratterizzata da “una libertà a senso unico: libertà d’entrare, divieto d’uscire“.
Afferma inoltre che: “ogni individuo ha il diritto di adire i tribunali statali per chiedere il giudizio sull’apostata ma se lo Stato o questi tribunali si rifiutino di mettere a morte quanti siano accusati di apostasia, ogni musulmano si crede in diritto di assassinarli, e certi legislatori permettono allora anche al singolo di uccidere il colpevole”.

La considerazione conclusiva che si può trarre dall’intero discorso è che il soggetto apostata, a prescindere dalle conseguenze legali più o meno severe a cui è assoggettato per il suo comportamento, rimane un soggetto tagliato fuori dalla comunità e considerato un traditore sotto tutti i punti di vista alla pari di un individuo di seconda categoria.

__________________________

1. Classe Cyril “The Concise Encyclopaedia of Islam”, Revised Edition. Stacey In temati onal, London, 2001, p.271.

2. M.Najjar Fauzi, “Islamic Fundamentalism and the Intellectuals: The Case of Nasr Hamid Abu Zayd”, British Journal of Middle Esterm Studies, Vol. XXVII, Num. 2, November 2000, pp. 177-200.

3. Tamimi Azzam “Human Rights, Islaimic and Secular Perspectives”, in The Quest for Sanity, The Muslim Council of Britain, 2002, pp.229-235.

4. Esposito L. Jhon, ‘The Oxford Encyclopedia of the Modem Islamic World”, New York: The Oxford University Press, 1995 pp. 439-443.

5. Sookhdeo Patrick, “A People Betrayed: The Impact of Islamization on the Chrisdan Commmiity in Pakistan , Fearn, Ross-shire, pp.278-281.

6. M. Hamidullah, “Le Prophète de l’Islain”, vol. II, “L’incontro con l’imperatore Eraclio”, pp.587-588. 7. Khoury S.J Adel Theodor, “I fondamenti dell’Islam”, trad. italiana di C. W. Troll S.J. e Michela Galati, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 1999, p.181.

8. Cristiano di origine palestinese, laureato in giurisprudenza a Friburgo, in Svizzera, e in Scienze Politiche a Ginevra, in passato ricercatore in Diritto Arabo e Musulmano e tuttora collaboratore scientifico del’Institut Suisse de Droit Comparé di Losanna nonché docente di Musulmano all’Institut de Droit Canonique nell’Université de Sciences Humaine di Strasburgo, in Francia.

9. S. A. Aldeeb Abu-Sahlieh “le délit d’apostasie aujourd’hui et ses conséquences en droit arabe et musulman” p.98


La punizione dell’apostasia nell'Islam
Right Islam
11 Agosto 2013

http://www.r-islam.com/it/ii-vero-islam ... zione-dell


Molti sostengono che la punizione per chi commette apostasia violi il moderno concetto di diritti umani che assicura a ciascun individuo la libertà di culto. Sostengono inoltre che questa punizione sia in contrasto con quanto Allah l’Altissimo afferma nel Sublime Corano: " Non c’è costrizione nella religione." [Corano2:256].

Risposta :

La Shari'ah decreta la pena dell’esecuzione per chi diviene apostata dopo avere accettato come metodologia di vita l’Islam e rifiuta la fede e le leggi islamiche. Una ben nota tradizione del Profeta (pace e benedizione su di lui) afferma:

"Il sangue di un musulmano è inviolabile eccetto che in tre casi: la persona sposata che commette adulterio, una vita che viene riscattata per un’altra vita, e chi abbandona la sua religione (l’Islam) e la comunità". Trasmesso da Bukhari n. 6935 e Muslim n. 6524

L’Inviato di Allah (pace e benedizione su di lui) disse inoltre:

"Chiunque cambia la sua religione (l’Islam) uccidetelo". Trasmesso anche da Bukhari e Muslim

Rifiutare il modello di vita islamico dopo averlo accettato, implica una propaganda negativa nei confronti della religione e ignominia per la comunità musulmana in cui l’apostata risiede. Un tale rifiuto non solo scoraggerà la gente ad accettare l’Islam, ma favorirà anche ogni tipo di criminalità ed empietà.

Infatti, una situazione di questo tipo indica che la persona che in precedenza aveva accettato l’Islam e le sue regole non l’avevano fatto seriamente, ma stava semplicemente ‘mettendolo alla prova’; attacchi all’Islam e ribellioni intestine potrebbero esserne conseguenze dirette. Questa è la ragione per cui è stata stabilita questa punizione. E Allah ne sa di più.

Dichiarare il proprio generale rifiuto e miscredenza è inaccettabile secondo le leggi della Shari'ah, perché un tale individuo non rende onore all’impegno sacro preso nei confronti della fede. Egli è più pericoloso e peggiore di chi non crede per niente e che non si è mai convertito all’Islam.

Allah afferma nel Sublime Corano: "Coloro che credettero e poi negarono, ricredettero e poi rinnegarono, non fecero che accrescere la loro miscredenza. Allah non li perdonerà e non li guiderà sulla via." [Corano4:137].È necessario analizzare i seguenti punti sull’apostasia nell’Islam.

Perché venga portata a termine l’esecuzione capitale dell’apostata, è necessario che egli abbia violato le regole basilari dell’Islam e lo abbia apertamente e pubblicamente attaccato con empietà e in maniera sleale.

In tal caso, egli minaccia la base stessa dell’ordine morale e sociale. Questo tradimento può scatenare una rivoluzione e una pericolosa ribellione all’interno della società islamica. È, questo, il tipo di crimine più serio e, in ogni società, è chiamato ‘Alto Tradimento’.

L’apostata che viene condannato ha la possibilità, per tre giorni consecutivi, di rientrare tra i fedeli; studiosi qualificati si siedono con lui per spiegargli il grave peccato che sta commettendo contro la sua anima, la sua famiglia e la comunità e per rimuovere ogni idea sbagliata che l’ha portato a una tale situazione.

Se questa persona ritorna a essere un fedele dell’Islam, allora verrà rilasciato e non subirà nessuna punizione.

In realtà, l’esecuzione capitale di chi commette apostasia comporta la salvezza degli altri membri della società dal male e dalla violenza che si diffonderebbe se un tale individuo fosse lasciato libero di propagare la sua miscredenza ed empietà fra la gente.

Se, però, egli relega il suo stato di apostata e la sua non credenza a un livello privato e personale e non lo afferma pubblicamente e nemmeno lo diffonde, allora il giudizio spetta solo ad Allah e gli saranno applicate le punizioni dell’Aldilà.

Allah conosce meglio di chiunque altro chi crede e chi rifiuta la fede, chi è sincero e chi è un ipocrita. Le autorità musulmane applicano i loro giudizi e le sentenze soltanto su dati di fatto esterni e pubblici e rimettono le realtà intime dell’anima ad Allah.

D’altra parte, questa regola indica che accettare o rinnegare l’Islam è una questione molto seria.

Ogni persona che desideri convertirsi ha il dovere di studiare, ricercare, valutare ed esaminare tutti gli aspetti di questa religione come modello di vita prima di accettarla e di impegnarsi a rispettare le sue norme e i suoi regolamenti.

Una punizione così severa non lascia nemmeno la più piccola possibilità a coloro che vogliono prendersi gioco dell’Islam, sperimentare e comportarsi perfidamente e compiere il peggiore dei tradimenti.

L’Islam non considera il rifiuto della fede come una questione privata, ma piuttosto come qualcosa che nuoce all’intero sistema. Rinnegare è come il seme della rivolta interna e dell’istigazione della ribellione nella società e l’Islam non condona ciò che reca danno e crea confusione nella comunità.

Questa legge contro l’apostasia è in un certo modo simile e allo stesso tempo più moderata di molti sistemi politici moderni che considerano illegale ogni attività di rovesciamento di regime o di governo e quindi la trattano come massimo tradimento, punibile con l’esecuzione capitale, l’esilio, l’imprigionamento e la confisca dei beni personali di tali individui.

Spesso anche i familiari sono sottoposti ad abusi e sanzioni. Al contrario, l’Islam punisce soltanto l’apostata, con un semplice, diretto e decisamente efficace deterrente.



Miscredenti, apostati, atei, łebertà rełijoxa e de pensiero
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 9:13 pm

Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi
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https://it.wikipedia.org/wiki/Apostasia
La Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani riconosce l'abbandono della propria religione come un diritto umano legalmente protetto dal Patto internazionale sui diritti civili e politici poiché la libertà di avere o di adottare una religione o credo necessariamente implica la libertà di scegliere e il diritto di modificare il proprio credo o religione corrente con un altro o con un pensiero ateo.
L'articolo 18 della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo recita: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti.»
Malgrado la carta dei diritti umani lo vieti, in alcune nazioni l'apostasia è punita, talvolta è prevista anche la pena di morte.
«Il Comitato osserva che la libertà di «avere o adottare» una religione o credo implica necessariamente la libertà di scegliere una religione o un credo, incluso il diritto di rimpiazzare la propria attuale religione o credo con un'altra o di adottare una visione atea [...] L'articolo 18.2 esclude la coercizione che danneggerebbe il diritto di avere o adottare una religione o un credo, incluso l'uso o la minaccia della forza fisica o delle sanzioni penali per costringere i credenti o i non-credenti ad aderire alle loro credenze religiose e congregazioni, ad abiurare la loro religione o credo o a convertirsi.»
(CCPR/C/21/Rev.1/Add.4, Commento generale Nr. 22., 1993).

Convension enternasional so i diriti çeviłi e połedeghi de l'omo
https://it.wikipedia.org/wiki/Convenzio ... e_politici
La Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (meglio noto come Patto internazionale sui diritti civili e politici), è un trattato delle Nazioni Unite nato dall'esperienza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo del 1976. Le nazioni firmatarie sono tenute a rispettarla.
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 9:22 pm

Mahmoud Mohamed Taha

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https://it.wikipedia.org/wiki/Mahmoud_Mohamed_Taha
Mahmoud Mohamed Taha (in arabo: محمود محمد طه‎, Maḥmūd Muḥammad Ṭāhā) (Rufa'a, 1909 o 1911 – Khartum, 18 gennaio 1985) è stato un teologo, politico e architetto sudanese riformista e fondatore di un movimento politico filo-democratico.
Fu impiccato come apostata dal regime militare di Ja'far al-Nimeyrī per aver affermato la necessità della separazione tra religione e Stato e che le sure medinesi, le più politiche del Corano, corrispondono ai quadri mentali e psicologici di una società operante nel VII secolo e, per questo, modificabili in funzione delle dinamiche storiche.
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 9:46 pm

Ayaan Hirsi Ali

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https://it.wikipedia.org/wiki/Ayaan_Hirsi_Ali
Ayaan Hirsi Ali, nata Ayaan Hirsi Magan (Mogadiscio, 13 novembre 1969), è una politica e scrittrice somala naturalizzata olandese, nota soprattutto per il suo impegno in favore dei diritti umani e in particolare dei diritti delle donne all'interno della tradizione islamica.

Figlia del signore della guerra somalo Hirsi Magan Isse, ha vissuto in Somalia, Etiopia, Kenya e Arabia Saudita. A cinque anni fu sottoposta ad infibulazione. Nel gennaio 1992 il padre conosce in moschea un giovane somalo (residente in Canada e tornato in patria per procurarsi una donna da sposare) e in un'ora decide di dargli in moglie Ayaan che aveva 22 anni. La ragazza rifiuta, ma le nozze si combinano ugualmente. Il marito appartiene al clan Osman Moussa, uno tra i più in vista nella società somala. Dopo le nozze organizza il viaggio in aereo alla volta del Canada, per la giovane moglie. Giunta in Germania per uno scalo intermedio, Ayaan decide di scappare. Prende un treno per i Paesi Bassi e chiede asilo politico come rifugiata. Motivo: essere stata costretta ad un matrimonio combinato che l'ha privata della libertà. Per non essere rintracciata dalla famiglia, sceglie di non usare più il suo vero cognome, Magan, ed opta per Ali (il nome originario del nonno).
Ottiene lo status A, il migliore, che comprende il diritto di rimanere in Olanda per tutta la vita e di richiedere la cittadinanza dopo cinque anni. Ayaan si iscrive all'Università e consegue la laurea in Scienze politiche. Un giorno dell'estate del 2001 guardando il telegiornale apprende che in una scuola alcuni insegnanti gay sono stati molestati da allievi musulmani. Il servizio mostra anche un imam che li difende: secondo lui l'omosessualità è una malattia contagiosa in grado di infettare gli studenti. Di getto scrive una lettera e la indirizza ad uno dei quotidiani più letti in Olanda, NRC Handelsblad. Nella lettera sostiene che quell'atteggiamento non appartiene a un solo imam, ma è molto diffuso nel mondo islamico e spiega che l'islam è una religione che non accetta la libertà individuale, fino a giustificare i soprusi contro le donne e contro i diversi.
...
Idee in materia di religione

Hirsi Ali si è considerata musulmana fino al 28 maggio 2002 quando scelse l'ateismo. Riguardo all'abbandono della fede, in una intervista alla rivista svizzera Das Magazin nel settembre 2006 dichiarò di averla persa quando, bevendo un bicchiere di vino in un ristorante italiano nel maggio 2002 "... mi chiesi: perché mai dovrei bruciare all'inferno solo per aver bevuto questo? Ma ciò che mi spronò ancor di più fu l'osservazione che gli attentatori dell'11 settembre credevano tutti nello stesso Dio in cui io stessa credevo." Comunque ancora il 12 settembre 2002 nel programma televisivo Rondom Tien si riferì all'Islam come "la mia religione".

In una sua lezione alla Kennedy School of Government di Harvard, citata dalla rivista della scuola stessa, così si è espressa:
« le bambine muoiono quando partoriscono perché sono troppo giovani [...] L'insorgere dell'islam radicale gioca un ruolo importante in tutto questo. Sento l'obbligo morale di discuterne le cause. Sono dell'opinione che se pensassi che stai rendendo il dibattito più ricco con le tue domande, non sei il nemico dell'Islam. Possiamo guardare altrove usando la ragione per scoprire la risposta a questi problemi, senza per questo abolire la religione. Ma dobbiamo farlo trovando un equilibrio." »
L'islam

Hirsi Ali descrive l'Islam come una "religione retrograda" ed incompatibile con i diritti umani e la democrazia tanto da sfidare sul canale televisivo pubblico olandese Nederland 2 gli studenti di una Scuola elementare islamica a scegliere tra il Corano e la Costituzione olandese.[senza fonte] Hirsi Ali è contraria alla circoncisione

In una intervista sul quotidiano londinese Evening Standard, la Hirsi Ali giudicò l'Islam come:
« il nuovo fascismo. Proprio come il Nazismo iniziò con le idee di Hitler, la visione islamica è un califfato — una società governata con la legge della Shariʿa — dove le donne che hanno rapporti sessuali fuori del matrimonio sono lapidate a morte, gli omosessuali picchiati e gli apostati come me uccisi. La legge della Shariʿa è nemica alla democrazia al pari del Nazismo. »

Nella stessa intervista chiarì anche di non ritenere che sia solo "una frangia di musulmani radicali ad aver deviato l'Islam e neppure che i moderati siano la maggioranza dei musulmani. [...] La violenza è insita nell'Islam — è un culto distruttivo e nichilista della morte. Legittima l'assassinio". Ayaan Hirsi Ali ha espresso opinioni e giudizi molto netti su Maometto. In un'intervista rilasciata al quotidiano olandese Trouw nel gennaio 2003.

Citando gli hadit che riferiscono del matrimonio celebrato tra il cinquantaduenne Maometto con Aisha di soli sei anni, consumato dal principale profeta islamico tre anni dopo, dichiarò che "Maometto è, per i principi morali occidentali, un pervertito".

A seguito di ciò alcuni musulmani l'hanno denunciata per aver diffamato Maometto[senza fonte], accuse rigettate dal tribunale civile de L'Aia che però l'ha redarguita perché "usando quelle parole, si è avvicinata troppo al limite del consentito".

Nella stessa intervista descrisse, inoltre, Maometto come « un tiranno. Era contro la libertà di espressione. Se non ti adeguavi al suo volere, eri punito. Penso a lui come ad uno dei megalomani del Vicino Oriente: Bin Laden, Khomeini, Saddam. Credete proprio che sia così strano che esista un Saddam Hussein? Maometto è il suo modello. Maometto è un modello per tutti gli uomini musulmani. Credete che sia strano che molti uomini musulmani siano violenti? »

Il 31 agosto 2006, parlando con la stampa olandese prima di partire per gli Stati Uniti ed iniziare la sua collaborazione con l'American Enterprise Institute, un importante centro studi, Hirsi Ali ha detto: "...con persone che la pensano in quel modo non si può discutere. Con persone che hanno quella mentalità si può solo partecipare a servizi religiosi e, com'è noto, non mi piacciono i servizi religiosi." In un intervento a Berlino nel 2006 difese il diritto di satira in riferimento alle Caricature di Maometto sul Jyllands-Posten. Condannò, inoltre, giornalisti della stampa e della televisione che non avevano mostrato ai loro lettori le vignette, accusandoli di "mediocrità intellettuale" e di tentare di nascondersi dietro "parole che suonano nobili quali 'responsabilità' e 'sensibilità'"[senza fonte].

Pregò, inoltre, gli editori di tutta Europa di mostrare le vignette e di non lasciarsi spaventare da quella che chiamò l'intolleranza di molti musulmani in tutto il mondo.[senza fonte] Durante un discorso tenuto a Berlino nel febbraio 2006 affermò: "Io non cerco di offendere il sentimento religioso, ma non mi sottometterò alla tirannia. Chiedere a chi non accetta gli insegnamenti di Maometto di astenersi dal ritrarlo non è una richiesta di rispetto ma un ordine di sottomissione."

Opposizione a scuole confessionali o religiose

In Olanda circa metà dell'istruzione è a carico di scuole legate ad una qualche religione, in particolare, per ragioni storiche, cattoliche e protestanti. Ayaan Hirsi Ali affermò nel novembre 2003 che nessuna scuola religiosa dovrebbe ricevere fondi governativi[senza fonte] scontrandosi, per questo, con Hans Wiegel, in passato un importante esponente del VVD.

Sull'argomento si è spinta anche oltre in un'intervista alla rivista londinese Evening Standard del 2007, esortando
« si chiudano le scuole di fede islamica oggi. [...] La Gran Bretagna si sta incamminando senza accorgersene verso una società che può essere regolata dalla Shariʿa entro alcune decadi a meno che le scuole islamiche non siano chiuse ed i giovani musulmani portati ad integrarsi e ad accettare i valori liberali occidentali. [...] Dobbiamo mostrare alla prossima generazione di musulmani, i bambini, che hanno una scelta e per farlo — per avere una qualche speranza — dobbiamo chiudere le scuole di fede islamica. »

aggiungendo anche
« io non ho visto nessuno uscire da una scuola cattolica o ebraica appoggiare la violenza contro donne o omosessuali o voler uccidere gente innocente nel nome della loro religione »


Eretica, Ayaan Hirsi Ali torna a far discutere: “L’Islam va riformato: non è una religione di pace”
di Davide Turrini1 luglio 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07 ... ta/1832163

“La religione islamica è a un bivio – scrive l'ex deputata olandese – I musulmani, non a decine o a centinaia, ma a decine e centinaia di milioni, dovranno decidersi consapevolmente ad affrontare, dibattere e in ultima istanza respingere gli aspetti violenti contenuti nella loro fede”

L’Islam non è una religione di pace e per questo va riformata. Lo spiega in un ficcante e denso saggio “illuminista” – Eretica – Cambiare l’Islam si può (Rizzoli) – l’ex deputata olandese di origine somala, oggi giornalista, Ayaan Hirsi Ali. La 46enne che collaborò anche con l’artista Theo Van Gogh, ucciso da un estremista islamico ad Amsterdam nel 2004, si è gettata a capofitto nel tema a lei più caro: la violenza e la brutalità insita nei versetti coranici trasformata in dettame politico della quotidianità di molti stati islamici, nonché di una fetta di musulmani che in nome del Corano decapitano e uccidono in mezzo mondo.

Già nella precedente autobiografia – Infedele (2007) – aveva raccontato la sua storia di ragazzina somala ricoperta fino alla punta del naso con hijab, guantini e attivista dei Fratelli Musulmani, prima di migrare in Europa e negli Usa. Ora, però, non è più tempo dell’epica del passato o della sensibilizzazione sull’oppressione della donna nel mondo islamico: “Senza la radicale alterazione di alcune delle concezioni fondamentali dell’Islam, non potremo risolvere lo scottante e sempre più globale problema della violenza politica perpetrata in nome della fede”, spiega la donna. Ed è un parlare fuori dai denti, nella speranza che qualcuno la segua in questo ribaltamento organico del dogma criticato: “È sciocco dire, come fanno spesso i nostri leader politici occidentali, che le azioni violente degli islamisti radicali possano essere separate dagli ideali religiosi che li ispirano. Dobbiamo invece riconoscere che tali azioni sono mosse da un’ideologia politica, un’ideologia insita nello stesso Islam e nel suo libro sacro, il Corano, come pure nella vita e negli insegnamenti del Profeta Maometto, contenuti negli ahadith”. Tra l’altro, Eretica è un libro, a detta proprio dell’autrice, che vuole scuotere anche molte certezze dei liberali occidentali, quelli che l’hanno accusata di “islamofobia” e che le hanno revocato una laurea ad honorem nel 2014 all’università Brandeis negli Usa: “Cerco di mettere in discussione l’idea, quasi universalmente condivisa tra i liberali d’occidente, che la motivazione per la quale sempre più musulmani si stiano unendo alla frange più violente dell’Islam, risieda nei problemi economici e politici del mondo musulmano.

Ciò significa attribuire un’importanza eccessiva a forze esogene, come la politica estera occidentale”. L’ex deputata scrive dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, dopo le stragi di Parigi, in Nigeria, in Australia, i morti in Danimarca, tanto che nella prima pagina del libro, quando lascia spazi bianchi tra le righe di un simil lancio d’agenzia che descrive un attacco terroristico islamico sembra di scorgere tutte quelle funeste tappe appena passate, ma anche le più vicine, tragiche e recenti avvenute in Tunisia e nel sud est della Francia: “Dopo gli attentati a Parigi il portavoce della Casa Bianca si è dato gran pena di distinguere tra una “religione pacifica” e i “messaggi violenti ed estremisti dell’ISIL (…) ma se la premessa fosse sbagliata? Perché non sono solo Al-Qaeda e l’IS a mostrarci il volto efferato della fede e della pratica dell’Islam” – spiega Ayaan Hirsi Ali. E via con tutti quegli stati come il Pakistan (“dove la blasfemia è punita con la morte”); l’Arabia Saudita (“dove chiese e sinagoghe sono considerate fuori legge e la decapitazione è una pena come le altre al punto che nell’agosto 2014 ce n’è stata una al giorno”); all’Iran (“dove la lapidazione è considerata accettabile e e gli omosessuali vengono punti con l’impiccagione”) e il Brunei (“dove il sultano sta reintroducendo la sharia e la pena di morte per gli omosessuali”).

Tre le categorie di musulmani distribuite in percentuali differenti tra stati islamici e non, l’autrice ne delinea tre: i “musulmani di Medina”, “i musulmani della Mecca” e i dissidenti, “i musulmani in trasformazione”. I primi, non proprio un’irrisoria minoranza (“48 milioni”) sono quelli “che considerano un dovere religioso l’imposizione con la forza della sharia e sono a favore di un Islam immutato rispetto a ciò che era nel settimo secolo”; i secondi “la netta maggioranza”, quelli “che vivono uno stato di difficoltosa tensione con la modernità” e che stando in Occidente dove l’Islam è una religione minoritaria vivono quello che “si potrebbe definire uno stato di dissonanza cognitiva”. Ed è con questi ultimi che i musulmani “in trasformazione”, gli eretici di cui Ali dice di far parte, vorrebbero dialogare. Cinque i punti della riforma sui precetti religiosi che la scrittrice mette sulla pubblica piazza: “Le personalità religiose dell’Islam devono riconoscere che il Corano è solo un libro; devono ammettere che tutto ciò che facciamo nella nostra vita terrena è infinitamente più importante di qualunque cosa possa accaderci dopo la morte; che la sharia ha un ruolo circoscritto ed è subordinata alle legge delle nazioni in cui il musulmano risiede; devono porre fine alla pratica di imporre per legge ciò che è giusto e ciò che è sbagliato che infligge il conformismo a spese della modernità; devono respingere in toto il concetto di jihad inteso alla lettera come chiamata alle armi contro i non musulmani e musulmani considerati eretici o apostati”.

“L’Islam è a un bivio – conclude l’autrice – I musulmani, non a decine o a centinaia, ma a decine e centinaia di milioni, dovranno decidersi consapevolmente ad affrontare, dibattere e in ultima istanza respingere gli aspetti violenti contenuti nella loro religione”. Un processo che per essere realizzato ha bisogno di una leadership di dissidenti “con il sostegno degli stati occidentali”: “Immaginiamo cosa sarebbe cambiato se durante la guerra fredda l’Occidente avesse dato appoggio non ai dissidenti dell’Est europeo – come Havel e Walesa – ma all’Unione Sovietica, in quanto rappresentativa dei comunisti moderati”.
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 9:47 pm

Magdi Cristiano Allam

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -Allam.jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Magdi_Allam
Magdi Cristiano Allam (in arabo: مَجْدِي علام‎, Maǧdī ʿAllām; Il Cairo, 22 aprile 1952) è un giornalista, politico e scrittore egiziano naturalizzato italiano.
Magdi Cristiano Allam l'apostata
viewtopic.php?f=188&t=1854


Na ediołoja e na dotrina połedego-rełijoxa rasista, miłe òlte pexo del nasixmo

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Coran e storia de l'ixlam
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 10:06 pm

Condannato a morte per tortura perché vuole la libertà: abbiamo diritto a denunciare l’islam!

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... badawi.jpg

http://www.ioamolitalia.it/blogs/il-pol ... islam.html

Raif Badawi, un giovane cittadino saudita, è stato condannato a una crudele punizione: mille colpi di frusta –“dati molto duramente”, recita la sentenza– 50 alla settimana per 20 settimane, ossia per cinque mesi; seguiti da 10 anni di carcere e da un’ingente ammenda. Di fatto una condanna a morte per mezzo di tortura. La sua vita è in pericolo.

Raif Badawi è uno scrittore 31enne, un “blogger” e attivista per i diritti umani, che risulta abbia solo tentato pacatamente di proporre concetti di pensiero illuminista al governo e all’élite religiosa dell’Arabia Saudita, dalla sua casa di Gedda.
Lo ha fatto soprattutto attraverso un sito web e un forum pubblico chiamato “Free Saudi Liberals”. La pena che gli è stata inflitta è stata motivata per aver scritto, ad esempio:
“Il mio impegno è (...) rifiutare ogni oppressione in nome della religione (...) un obiettivo che raggiungeremo in pace e nel rispetto della legge”.
Pare sia a causa di pensieri “sovversivi” come questi che le autorità saudite lo hanno punito con una tale crudeltà da farsi così giudicare in tutto il mondo moderno come un branco di miserabili primitivi bigotti e sadici.
Raif Badawi ha ricevuto il 9 gennaio 2015 la prima delle venti “rate” di frustrate: 50 colpi ogni volta, inflitti su schiena e gambe al termine della preghiera di mezzogiorno del venerdì a Gedda davanti alla moschea di al-Jafali, dall’altra parte della strada in cui si trova il Ministero degli Esteri, circondato da una folla di invasati urlanti.
Ferito gravemente –è diabetico e fisicamente gracile– rischia di morire prima della fine della pena.
I medici hanno consigliato di rimandare la successiva sessione, e per ora non risulta sia stato sottoposto a ulteriori fustigazioni.
Nel frattempo, è stata avviata una campagna internazionale di pressioni “civili” per il suo rilascio. Rete Informatica, quotidiani, riviste, radio, televisioni in vari Paesi dell’Occidente si sono occupati della sua vicenda. Tutti concordano nel dire che la punizione inflittagli è crudele, disumana, degradante, e che le frustrate equivalgono alla tortura = illegale secondo il diritto internazionale.
Le critiche mosse contro questa oscena barbarie dei sauditi stanno raggiungendo livelli elevati in Europa e nel Nord America.
Il verdetto, in effetti, è una lenta, sanguinaria e straziante condanna a morte di un uomo la cui sola preoccupazione era quella di parlare garbatamente e onestamente a suoi concittadini, in un paese così retrogrado da preferire gli oltraggi, le ingiustizie, le vergogne le crudeltà dell’Arabia del VII secolo a qualsiasi principio etico (come ad esempio la civiltà e la clemenza) del XXI secolo – della cui tecnica i sauditi sono tuttavia ben felici di avvalersi.
I sauditi non possono avere entrambe le cose. Per certi versi, sono molto contenti del mondo moderno, disposti a costruire enormi grattacieli, beneficiare delle tecnologie, dei lussi e delle tante moderne comodità che il mondo occidentale offre loro, e che possono permettersi in cambio dell’unica merce di valore che possiedono: il loro petrolio (che tuttavia non durerà in eterno…). Da un altro punto di vista, rifiutano tutto ciò che rende forte l’Occidente = la libertà di coscienza, di pensiero, di parola e di comunicazione, la democrazia, un ruolo paritario delle donne nella società, il rispetto di “religioni” e filosofie diverse (purché non sovversive…), l’accettazione del diritto internazionale e il rispetto dei più elementari diritti umani.
Se Raif Badawi sarà nuovamente frustrato, e se di conseguenza dovesse morire, la reputazione dell’Arabia Saudita, già trascinata nel fango da questa trista vicenda, sprofonderà a un livello oltre il quale non potrà mai più riconquistare la fiducia o l’appoggio di alcuno.

Anche noi privati cittadini italiani possiamo fare qualcosa: ad esempio escludere ogni e qualsiasi rapporto con i sauditi musulmani “veri” e con i loro sostenitori.

La vicenda di Raif Badawi è un valido monito per chiunque sostenga la infondatezza della “islamofobia” (avete finalmente capito, o rinnegati compagni progressisti ?!) = anche una vicenda come quella pienamente la giustifica.
di Giancarlo Matta 14/07/2015
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » lun ott 19, 2015 10:13 pm

Meriam Yehya Ibrahim

https://it.wikipedia.org/wiki/Mariam_Yehya_Ibrahim
Mariam Yehya Ibrahim Ishag (Gadaref, 3 novembre 1987) è una dottoressa cristiana ortodossa condannata a morte nel maggio 2014 in Sudan con l'accusa di apostasia. Educata alla fede cristiana dalla madre, non ha voluto infatti seguire la religione del padre musulmano, assente fin da quando era piccola.
A Mariam Yehya Ibrahim, all'ottavo mese di gravidanza al momento della condanna, sono state inoltre inflitte 100 frustate con l'accusa di adulterio, in quanto ha sposato un uomo cristiano del Sud Sudan, matrimonio non riconosciuto valido secondo i precetti della Sharia[3].
Dopo quasi un anno di prigionia, grazie anche alle proteste internazionali, Mariam è stata infine liberata.

Apostaxia o ridda o … entel vecio ebraixmo e l'ixlam
viewtopic.php?f=24&t=1327

L’Islam non perde il vizio, condannata a morte una cristiana
http://www.lindipendenza.com/lislam-non ... -cristiana

di GIANNI GIANGI

Meriam Yehya Ibrahim, la 27enne cristiana incinta di otto mesi condannata a morte per impiccagione da un tribunale sudanese con l’accusa di apostasia, avrà un nuovo processo e la nuova sentenza non prevederà la pena di morte. Lo ha annunciato l’ong ‘Sudan change now’ secondo quanto riferito dall’organizzazione Italians for Darfur. Il giudice aveva inflitto a Mariam anche la pena di 100 frustate per adulterio. A difesa della donna nei giorni scorsi erano scese in campo numerose ambasciate dei Paesi occidentali e organizzazioni in difesa dei diritti civili che ne avevano chiesto l’immediato rilascio.

Amnesty International ha ricordato che Mariam Yehya Ibrahim è stata cresciuta come cristiana ortodossa, religione della madre, in quanto il padre, musulmano, era assente fin dalla sua nascita. Successivamente la donna si era sposata con uno straniero cristiano, ma il tribunale di Khartoum l’ha condannata anche per adulterio perché il suo matrimonio con un uomo cristiano non è considerato valido dalla ‘Sharia’ e viene per l’appunto considerato un adulterio. Inoltre secondo la Sharia se il padre è musulmano, la figlia è automaticamente musulmana.
Nel corso dell’udienza al tribunale di Khartoum il giudice ha chiesto alla donna di rinunciare alla fede per evitare la pena di morte: “Ti abbiamo dato tre giorni di tempo per rinunciare, ma tu continui a non voler tornare all’Islam e dunque ti condanno a morte per impiccagione”, ha detto il giudice Abbas Mohammed Al-Khalifa rivolgendosi alla donna.

Amnesty International (Ai) ha definito “ripugnante” la sentenza con cui oggi un tribunale sudanese ha condannato a morte per “apostasia” e alla fustigazione per “adulterio” una donna cristiana all’ottavo mese di gravidanza. ”Il fatto che una donna sia condannata a morte a causa della religione che ha scelto di professare e alle frustate per aver sposato un uomo di una presunta religione diversa è agghiacciante e orrendo”, ha dichiarato Manar Idriss, ricercatore sul Sudan di Amnesty International. “L’adulterio e l’apostasia – ha proseguito – non dovrebbero essere considerati reati. Siamo in presenza di una flagrante violazione del diritto internazionale dei diritti umani”. Amnesty International che considera Meriam Yehya Ibrahim una “prigioniera di coscienza, condannata solo a causa della sua fede e identità religiosa”, ne ha chiesto il suo rilascio “immediato e incondizionato”.
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » mar ott 20, 2015 7:31 am

Abdul Rahman

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https://it.wikipedia.org/wiki/Abdul_Rahman
Abdul Rahman (persiano: عبدالرحمن; Kabul, 1965) è un pacifista afghano naturalizzato italiano come rifugiato cristiano.
È stato arrestato nel febbraio 2006 rischiando la pena di morte per essersi convertito al cristianesimo. Il 26 marzo 2006, sotto forte pressione da governi stranieri, il giudice ha restituito il suo caso ai pubblici ministeri, citando "le lacune investigative". È stato rilasciato dal carcere alla sua famiglia la notte del 27 marzo. Il 29 marzo, Abdul Rahman è arrivato in Italia dopo che il governo italiano gli ha offerto asilo.



Il dibattito sull'apostasia e l'Islam politico
di Samir Khalil Samir, sj 14/04/2006

http://www.asianews.it/notizie-it/Il-di ... -5915.html

Il dibattito sull'apostasia sollevato nel mondo islamico dal caso di Abdul Rahman mette in luce lo sconcerto esistente nel mondo islamico, non solo sulla questione apostasia, ma su tutti i punti: i kamikaze, il terrorismo, il diritto familiare, l'amore.


Roma (AsiaNews) - Il peccato di apostasia di Abdul Rahman, che rischiava di portarlo alla condanna a morte, si è concluso in modo diplomatico con il suo espatrio in Italia. Ma la storia della conversione di Rahman al cristianesimo ha sollevato nel mondo islamico moltissime reazioni. Ho potuto leggere alcune centinaia di queste in alcuni forum di lingua araba, con commenti che venivano da tutte le parti del mondo.

Più precisamente, ho letto quasi 400 interventi del sito di al-Arabiya, con base nel Dubai, e dal sito arabo della Bbc, dove sono riportati diverse centinaia di interventi.

Leggendo questi interventi, ci si accorge che circa il 50% afferma che Rahman dovrebbe essere ucciso perché così è la sharia. Fra questi, per almeno uno su quattro, il motivo essenziale per comminare la pena di morte ad un apostata è questo: se si permette la conversione a un'altra religione, sarà fitnah (sedizione), spingerà altre persone a seguire questa strada, facendo divenire tutti cristiani. Per interrompere questa corrente, perché non sia considerata una via "normale" è meglio uccidere. Il tema della fitnah è coranico (s'incontra 30 volte nel Corano) e spesso giustifica la violenza.

Ma vi è una minoranza, un 15%, dice che non è giusto ucciderlo, con i motivi che sappiamo (il Corano non dice nulla a riguardo, vi sono solo degli hadith che parlano di condanna a morte; ecc…); alcuni affermano anche che non è giusto uccidere Rahman perché ciò "è contrario ai diritti umani".

Di rado si afferma una specie di dovere della reciprocità. Qualcuno afferma: "noi ammettiamo che un cristiano si converta all'Islam, quindi in buona logica, dovremmo anche accettare il contrario".

Molti interventi però rifiutano questa opinione dicendo che "l'Islam è l'unica vera religione, l'ultima religione rivelata, che ha cancellato tutto ciò che le altre religioni hanno detto prima. Lasciare l'Islam sarebbe un tornare indietro nell'errore".

C'è anche la bellissima testimonianza di una donna, che si firma come "una credente musulmana egiziana". In uno scritto ben articolato, questa donna spiega che nel Corano vi è la libertà di scelta. In effetti vi sono versetti che dicono "Chi vuole creda; chi non vuole, non creda". Oppure: "Sei tu [Maometto –ndr] che costringerà la gente a credere?". Ma l'argomento della donna credente va oltre: "Se costringiamo la gente a credere nell'Islam, ella dice, allora avremo dentro la nostra comunità degli ipocriti, che non credono e questo fa più male che bene. Allora non si saprà più cos'è l'Islam, ma si ridurrà a un espediente politico". "Non ci serve – conclude la donna – aumentare il numero dei musulmani di nome, ma che non sono musulmani nel cuore e nelle azioni".

Motivi di conflitti e crisi nell'islam

Questo dibattito mette in luce lo sconcerto esistente nel mondo islamico, non solo sulla questione apostasia, ma su tutti i punti: i kamikaze, il terrorismo, il diritto familiare, l'amore, ecc. Vi è sempre una parte molto fondamentalista, soprattutto gli imam, che difendono la sharia, il jihad, che giungono fino alla brutalità. Poi vi sono i musulmani moderati che non approvano queste cose e sono in disaccordo su tanti punti: il valore della donna, il matrimonio, … Questa è la vera e profonda crisi dell'Islam: la gente non sa più cos'è il vero islam, non sa più a cosa credere perché per ogni elemento di fede vi sono tante interpretazioni.

Si cercano delle soluzioni, ma il problema fondamentale è il confronto fra il pensiero tradizionale – costituitosi nel IX-X secolo – indurito poi nei secoli seguenti (nel Medioevo l'Islam era molto più aperto di oggi) e la realtà che vivono i musulmani nei Paesi arabi, dove vi è un'evoluzione dei costumi.

Il secondo motivo di conflitto è dovuto all'immensità del mondo islamico, che abbraccia popoli poveri ed arretrati e popoli molto moderni. Paragonare un tribale dell'Afghanistan ad un uomo di Beirut o Tunisi, significa paragonare mondi molto diversi fra loro.

Tutto ciò causa una perdita di fiducia e di identità nel mondo musulmano. Il fatto che i Paesi islamici non siano fra i Paesi leader nella comunità internazionale; il fatto che non vi sia un'autorità riconosciuta da tutti i musulmani, dopo la fine del Califfato (nel 1924) ad opera di Kemal Ataturk.

Le autorità religiose sono sempre meno aperte alla vita dei musulmani.

False soluzioni a questa crisi

Vedere il mondo musulmano che grosso modo fa parte del terzo mondo, spinge a tante soluzioni per riaffermare l'Islam.

- Il primo tentativo è stato il nazionalismo arabo, cominciato con Nasser nel 1954 e continuato in Libano, Siria, Iraq, che non ha dato alcun risultato né economico, né politico;

- poi venne il panislamismo (nel '69 è nata l'organizzazione internazionale dei Paesi islamici), assolutamente inconcludente. Noi Arabi diciamo che i Paesi islamici si sono messi d'accordo solo su un punto: quello di non essere d'accordo tra di loro. Questa ironia la dice lunga sulla nostra sfiducia;

- negli anni '60-70 è venuta l'ondata del socialismo e anche questo è fallito e concluso con gli anni '90.

Nei Paesi islamici, l'opposizione era stata sempre di sinistra: affermavano che l'Islam è "da sempre" e per natura socialista. Anche queste ideologie sono cadute.

A far fallire le pretese islamiche ha anche contribuito lo stato d'Israele: un piccolo stato è riuscito sempre a contrastare il blocco di tutti i Paesi arabi ed islamici.

Da tutti questi fallimenti è emerso come soluzione quasi disperata, il motto dei Fratelli Musulmani, da Hassan al-Banna: l'Islam è la soluzione (al-Islâm huwa al-hall)! A qualunque problema si accenni, si afferma che l'Islam è la soluzione. Nel Corano e nella tradizione si cercano risposte ai problemi politici, economici, culturali, sociali, di famiglia… Questa specie di panislamismo estremista non ha altra visione che applicare la legge islamica come modo per far vincere l'Islam e per salvarlo dall'annegamento. Così vi è stato il recupero della religione, soprattutto il ricorso alla religione come argomento ideologico per la politica. Situazione che non serve né la politica né la religione!
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Re: Apostati de l'Ixlam, eroi de l'omanidà

Messaggioda Berto » mar ott 20, 2015 7:32 am

Il caso Hegazi: l’ossessione dell’Islam per le conversioni
di Samir Khalil Samir, sj
29/08/2007

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http://www.asianews.it/notizie-it/Il-ca ... 10161.html

Il caso di Mohammad Hegazi, giovane egiziano convertito al cristianesimo, che vuole essere riconosciuto tale anche dal punto di vista legale, ha aperto nel mondo islamico un nuovo dibattito sulle conversioni, viste spesso come un’azione di apostasia che merita la morte. È emersa anche una vera e propria ossessione dell’Islam per le conversioni personali, essendo questa religione ridotta più a una sottomissione di tipo etnico e sociologico. Vi è chi parla perfino di un disegno per convertire all’Islam l’Europa e il mondo, al quale i governi europei danno una mano. La Prima parte di un’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam.

Beirut (AsiaNews) - I fatti sono noti: un giovane egiziano di 25 anni, Mohammad Ahmad Hegazi, (nella foto) si è convertito al cristianesimo diversi anni fa (alcuni dicono 9, altri 6 anni fa, la versione islamica invece dice da pochi mesi!). Poi si è sposato con una donna che si chiama Zeinab, anch’essa divenuta cristiana, col nome di Cristina. In questi mesi egli ha chiesto che la sua conversione venga riconosciuta anche sui suoi documenti.

In Egitto, la carta d’identità riporta obbligatoriamente la religione e la sua finora è l’Islam. Ciò significa che egli apparirà come musulmano in varie questioni: diritto, successione, i figli, ecc.

La sua richiesta è stata rifiutata dall’amministrazione, che non ha dato seguito alla richiesta. Hegazi si è perciò rivolto direttamente al governo.

Come mai ha chiesto questo cambiamento solo ora, dopo anni dalla sua conversione? Forse perché la coppia aspetta un bambino. E se essi appaiono come musulmani, il bambino dovrà essere registrato obbligatoriamente come musulmano, indipendentemente dalla volontà dei genitori.

Al rifiuto dell’amministrazione, Hegazi ha cominciato una causa legale per esigere i suoi diritti, aiutato da un avvocato, membro di una ong.

Il fatto è importantissimo, più di quanto appaia, anche perché la cosa si è diffusa in molti media mondiali e ora anche tutta la stampa in Egitto discute il suo caso.

Dapprima vi sono state le reazioni degli ulema, poi quelle della gente comune. La stragrande maggioranza afferma che Mohammad Hegazi deve essere ucciso come apostata. Solo qualcuno osa citare il Corano - che afferma che “non c’è costrizione in materia di religione” – e si esprime a favore della sua libertà.

La carta d’identità

Da decenni il mondo liberale in Egitto chiede la soppressione di questa voce nei documenti ufficiali. Essa serve solo a discriminare la gente, i non musulmani.

Io stesso ho fatto esperienza di questa discriminazione tante volte e devo dire che, al di là delle promesse di tanti politici, non si riesce ancora a cancellare questa dicitura dalla carta d’identità. Vi sono per esempio seminaristi cattolici che sulla carta d’identità appaiono come “musulmani”. All’anagrafe egiziana, quasi per “default”, chiunque nasce è registrato come musulmano. Se poi uno vuol cambiare, gli si dice che “è complicato” e che “essere musulmano è un vantaggio”.

Tutto ciò non è solo un problema di burocrazia. C’è la volontà, da parte di alcuni uffici amministrativi, di approfittar della loro posizione per “islamizzare” i cristiani, o semplicemente una ripugnanza a fare questo cambiamento. Tale ripugnanza non è però dovuta alla lentezza della burocrazia egiziana. La prova è che, in senso contrario, non c’è mai difficoltà a cambiare la carta d’identità di un cristiano che si fa musulmano, e lo si fa subito! Vi è dunque una lobby e una tendenza dell’amministrazione pubblica a islamizzare la gente a partire dai documenti ufficiali.

Una cosa simile avviene addirittura in Turchia - nella Turchia laica! – in cui per cambiare il proprio nome in un nome cristiano, come mi ha attestato un mio confratello , si deve aspettare per anni.

Il fenomeno è generalizzato ed è volto ad islamizzare il più gran numero di cristiani (che in Egitto sono almeno 7 milioni). Una mia parente, cristiana da 3 generazioni, rimane con tutta la famiglia con la dizione “musulmana”. I figli, che vanno a messa tutte le domeniche, sono registrati come “musulmani”. Questo rende difficile il loro matrimonio con cristiani e spesso sono costretti a fuggire dal Paese per sposarsi con rito cristiano.

Il problema è che questa situazione è difesa dalla legge. La legge egiziana stabilisce che i figli “appartengono alla religione migliore” e cioè l’Islam. Affermare questo in un corpo di leggi spiega tutte le discriminazioni. Ad esempio, una musulmana non ha il diritto di sposare un cristiano: i figli infatti appartengono al padre, e perciò i figli di un cristiano sono “cristiani”. Tutta la legislazione è fatta per islamizzare.

Questo ha conseguenze anche in Italia. Lo scorso anno ha fatto scalpore il caso di una tunisina che voleva sposare un italiano, cattolico battezzato, ma non praticante. Per lo stato italiano la donna doveva presentare un documento di stato civile libero, richiesto all’ambasciata tunisina. Per tutta risposta il consolato tunisino ha chiesto un documento sul fidanzato per verificare che il futuro sposo fosse “musulmano”!

E pensare che la Tunisia è uno dei pochi Paesi musulmani “moderati” e assai laicizzante! Tuttora la coppia non è sposata per il rifiuto del consolato tunisino a consegnare il documento di stato libero. Ogni anno in Italia ci sono decine di casi simili. Ciò sta ad indicare la forte intromissione della religione islamica nelle scelte personali. Purtroppo l’Italia e l’Europa non si accorgono di essere presi in giro da questi Paesi.

Proprio in questi mesi in Egitto è in corso un grande dibattito giuridico, per il caso di 12 cristiani: essi si sono convertiti formalmente all’islam per poter divorziare, ottenendo subito una nuova carta d’identità con la menzione della nuova religione. Subito dopo si sono dichiarati di nuovo cristiani e chiedono il ritorno alla vecchia carta d’identità. La faccenda sembra prendere una piega positiva per loro e dovrebbe essere risolta favorevolmente nel settembre 2007.

Come si vede, la questione della “carta d’identità” ha un importanza politica assai grande, e ciò spiega la forza del dibattito in corso nel mondo islamico. Si tratta infatti di un passo che dovrebbe portare verso un certa neutralità dello Stato verso la religione.

L’ossessione dalle conversioni

Nel mondo islamico vi è una vera e propria ossessione verso le conversioni. Almeno 7 Paesi islamici applicano la pena di morte per i convertiti dall’Islam. In Sudan, Iran, Arabia Saudita, Nigeria, Pakistan, Mauritania ….. si uccide. Ma gli altri stati – come l’Egitto – condannano alla prigione, non in quanto apostata ma per aver compiuto un oltraggio all’islam, come lo spiega Hossam Bahgat, membro dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali.

Secondo il quotidiano del governo Al-Massa’, tutti gli imam sono unanimi sulla necessità di uccidere l’apostata Hegazi. Dicono che la sharia (non il Corano) va applicata ed essa esige la pena di morte.

Chi è più moderato dice: se l’apostata nasconde la sua conversione, non diffonde la sua decisione, allora non è necessario ucciderlo, ma potrà vivere. Se invece lo fa sapere, allora produce scandalo (fitna) e deve morire.

Per caso ho aperto il sito del “Forum dell’aviazione araba”. Nella sezione “islamica” del sito, si parla di questo unico tema, la conversione di Hegazi. Tutte le 8 reazioni registrate affermano che egli deve essere ucciso. Alcuni dicono più velatamente: “Il governo deve prendere la decisione più dura per eliminare questo problema”, ma tutti gli altri citano il Corano: “La fitna è peggiore che l’uccisione” (Corano 2,191 e 2,217) ; altri citano che “L’Islam è la religione migliore”; altri ancora: “Uccideteli affinché non ci sia fitna”(8,39); altri: “Chi vuole una religione diversa dall'Islàm, il suo culto non sarà accettato, e nell'altra vita sarà tra i perdenti” (3,85). Nessuno cita la frase coranica che afferma la libertà di coscienza, quella citata dal papa a Ratisbonna il 12 settembre scorso: “non c’è costrizione in materia di religione” (2,186); neppure quell’altra che dice: “La verità viene dal tuo Signore. Chi vuole, creda ; e chi vuole, non creda” (18,29).

E così a decine e decine in molti siti islamici nella sola scorsa settimana.

In genere, su 10 che vogliono la sua uccisione, vi è solo uno che dice: “Credo che Hegazi dovrebbe essere libero di scegliere”.

Altri ancora dicono che sì, nel Corano esiste il versetto “non c’è costrizione…”, ma esso è stato cancellato (nusikha) dal famoso “versetto della spada” (âyat al-sayf) che avrebbe cancellato decine di versetti, ma che nessuno sa identificare: se il versetto 5 del capitolo 9 (detto della “penitenza”, al-tawbah), o il versetto 29, o il 36, oppure il 41: tutti questi parlano di uccidere l’altro, e sono spesso applicati agli apostati. [1]

Morte per l’apostata

Ad ogni modo contro Hegazi vi sono le opinioni di 3 famosi imam. Il primo è l’imam Yusuf al-Qaradawi, molto esperto nel suo campo, che cita decine di referenze dei primi secoli e conclude che Hegazi deve essere ucciso perché c’è pericolo per il gruppo e il gruppo ha priorità sull’individuo. L’idea è: se costui comincia a parlare e dice che egli è contento di essere cristiano, e anzi appare nelle foto sorridente e con in mano un vangelo, ciò è insopportabile ed è una propaganda non musulmana, che non è ammessa ufficialmente né in Egitto, né in altri Paesi islamici. E siccome Hegazi sta facendo propaganda cristiana, egli deve essere ucciso.

Suad Saleh, giudice musulmana e decano della Facoltà di scienze islamiche dell’università Al-Azhar, ha dichiarato: sì, in materia di fede non vi è costrizione, ma Hegazi sta facendo propaganda e quindi bisogna applicare la legge. La giudice consiglia di dare all’apostata 3 giorni di tempo perché si penta e si riconverta all’Islam (istitâbah), poi di “applicare la legge” (e cioè l’uccisione).

Il Gran Mufti d’Egitto, Dr. Ali Gomaa, massima autorità religiosa egiziana, nel mese di giugno aveva dichiarato al Washington Post che l’apostasia “non dovrebbe” essere punita con la morte, sollevando tante reazioni da parte dell’Azhar. Dopo che molti si sono espressi a favore dell’uccisione, lui ha ritrattato in modo confuso e tuttora non si capisce la sua posizione. Visibilmente, egli voleva rassicurare l’occidente usando formule ambigue, come quella che ripete: “L’apostasia va punita quando rappresenta una fitna o quando minaccia le fondamenta della società”.

In realtà, come abbiamo detto, non c’è nel Corano nessun castigo previsto in questo mondo per l’apostata. Ma gli imam si appoggiano su un hadith del Profeta dell’islam trasmesso da Ibn ‘Abbas: « Chi cambia la sua religione, uccidetelo ». E s’appoggiano al fatto che Maometto ha applicato questo castigo contro Abdallah Ibn al-Ahzal, il quale per non essere ucciso, aveva cercato protezione nel santuario della Kaaba, ma Maometto ordinò ai suoi compagni di ucciderlo.

A tutto questo occorre aggiungere le reazioni dei genitori di Hegazi e della sua sposa. Interrogato dai giudici islamici, il padre di Hegazi ha negato che suo figlio si sia convertito al cristianesimo. La sua madre si è messa a gridare in modo isterico: “Mio figlio è morto, non ci sarà mai più relazione tra di noi fino al giorno del giudizio!”. Ali Kamel Suleiman, il padre di Zeinab, la ragazza, è stato più esplicito. Egli ha dichiarato al quotidiano indipendente al-Dustûr: “Portatemi mia figlia in qualunque modo, anche morta”. Nella nostra mentalità egiziana questo significa: uccidetela, oppure portatemela viva e la uccido io.

A causa dell’atteggiamento dei genitori, Mamduh Nakhla, copto, direttore del Centro «al-Kalima» per i Diritti Umani, che aveva depositato presso la giustizia amministrativa una richiesta di riconoscimento della conversione cristiana di Hegazi, l’ha poi ritirata per 2 motivi: “non voler rompere i legami di Hegazi con la sua famiglia” e per la “mancanza di un certificato di conversione [di Hegazi] presso la Chiesa copta”. Ciò è stato confermato da padre Morcos, un vescovo vicino al patriarca Shenouda, che ha dichiarato “La Chiesa non fa proselitismo”.

In tutte queste faccende di conversioni, la Chiesa copta è di solito molto prudente, perché deve tener conto del “bene generale”, per non compromettere altre trattative che ha col governo. Rumani Gad el-Rabb, un altro responsabile del Centro al-Kalima, ha invece dichiarato all'Afp che il gruppo ha ritirato la richiesta dopo aver ricevuto delle minacce.

(Domani: "Il caso Hegazi: proselitismo islamico e cristiano")

[1] In realtà secondo gli studiosi questa lettura non è esatta. Va precisato: nell’esegesi coranica vi è un principio secondo cui un versetto può cancellare altri versetti (Cfr. Corano 2,106). Ma per sapere quali versetti sono cancellati, deve essere chiaro nel Corano, o deve esserci unanimità nella comunità delle origini. Ad ogni modo gli studiosi dicono che in questo caso non c’è per nulla unanimità. Secondo il più grande studioso medievale, Jalal al-Din al-Suyuti (m. 1505), solo 21 versetti coranici rispondono a questi criteri (cfr. il suo libro Mu‘tarak al-Aqrân, p. 118).



Il caso Hegazi: proselitismo islamico e cristiano
di Samir Khalil Samir, sj 30/08/2007

http://www.asianews.it/notizie-it/Il-ca ... 10171.html

Mohammad Ahmad Hegazi, il giovane egiziano convertito al cristianesimo, che vuole essere riconosciuto tale anche dal punto di vista legale, rischia una condanna a morte per apostasia. Il mondo islamico si difende dalle conversioni anche con leggi che esaltano la propaganda musulmana e proibiscono quella delle altre religioni. Almeno 10 mila cristiani ogni anno divengono musulmani. Ma quasi nessuno per motivi religiosi. La malattia dell’Islam: la mancanza di spiritualità e la riduzione della religione a elemento etnico, sociologico, politico. La Seconda parte di un’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam.

Beirut (AsiaNews) – L’Islam si difende dalle conversioni attraverso la condanna a morte o l’imprigionamento dell’apostata. Ma l’ossessione delle conversioni va di pari passo con una serie di privilegi dati all’Islam. In tanti paesi musulmani, anche quelli “laici”, il diritto di propagare l’Islam è un diritto naturale e non vi è bisogno di alcuna legge; il diritto di propagare un’altra religione è considerato di fatto o per legge inaccettabile.

La propaganda islamica è un dovere dello Stato: in Egitto ogni settimana vi sono canzoni, preghiere, film, rubriche tutti inneggianti all’Islam e deprecativi del cristianesimo. E questo senz’altro suscita conversioni all’Islam.

Invece la propaganda cristiana (tabshir) è proibita per legge. Di recente in Algeria è stata varata una nuova legge che condanna chi propaganda la fede cristiana e chi si converte. Certo, qualcuno dice: questa legge è solo contro il proselitismo protestante. È vero, ma i musulmani non fanno proselitismo? Se vi è una legge, non deve essere uguale per tutti?

Il Paese dove lo squilibrio dei due pesi e due misure è più evidente è l’Arabia Saudita. Perfino il sito della Saudi Arab Airlines porta scritto con chiarezza che sui suoi voli sono proibiti bibbie, crocifissi, ecc. Ogni segno religioso non islamico viene requisito. Nel Paese, perfino due pezzi di legni incrociati per terra sono considerati un segno religioso e chi vi è vicino è costretto dalla polizia a calpestarli.

La propaganda anticristiana si vede anche nell’uso delle parole. In arabo i cristiani si chiamano “massihi”. In Arabia si usano altri due termini: la prima è “salībi”, che significa “crociato”. Va notato che all’epoca dei crociati, gli storici musulmani non chiamavano “crociati” i cristiani, ma “farang”, franchi. Un’altra parola usata è “nasrami”, nazareno. La più frequente poi è “kuffar”, miscredenti, quelli che devono essere uccisi. Così tale linguaggio deprecativo e ostile si diffonde in tutto il mondo musulmano da circa 30 anni.

In Egitto si dice che negli ultimi decenni, le conversioni di cristiani all’islam sono state di circa 10.000 all’anno. Quasi sempre per motivi pratici: per divorziare o sposare una musulmana (o un musulmano), o per motivi di lavoro; raramente per motivi religiosi. Più recentemente, si è parlato molto di migliaia di convertiti dell’islam al cristianesimo. Si dice che vi sono delle “centrali” di missionari protestanti, formati in America (qualcuno parla dell’Istituto Zwemer, famoso missionario protestante[1]), che offrono soldi, appartamenti, passaporti, ecc in cambio dell’adesione alla fede cristiana. In questa faccenda di Hegazi, la stampa islamica ha ripetuto spesso queste accuse. La parola “tabshīr”, che significa “evangelizzazione”, in arabo ha preso ormai un significato negativo, e l’atto è passibile di prigione o d’espulsione in Egitto come in altri Paesi musulmani. Invece la parola “da’wa”, che significa “chiamata” ad aderire all’islam, è considerata come positiva ed è un obbligo per ogni musulmano, al punto che molti Paesi musulmani hanno un “ministero della da’wa”, cioè della propaganda islamica (potremmo dire analogo al dicastero vaticano “De propaganda fide”).

Quando avremo un Islam spirituale?

La conversione dall’Islam è vista come uno scandalo religioso, sociale e politico. Dal punto di vista religioso si abbandona l’unica vera fede per una falsa. Il Corano afferma: “La vera religione presso Dio è l’Islam”(Corano 3,19) e anche: “Chi cerca un’altra religione avrà una conclusione tragica nell’aldilà” (Corano 3,85) .

Dal punto di vista sociale, se uno si converte al cristianesimo, incoraggia altri a seguirlo e allora diviene una piaga per la società.

L’aspetto politico, sempre messo in luce è che l’Islam è una comunità, la Ummah. Se uno lascia l’Islam, diviene come un traditore e una spia contro la propria nazione e perciò merita la morte.

Il governo egiziano, ad esempio, dice che chi si converte a un’altra religione, “attenta all’unità nazionale”. E’ probabile che il governo non ucciderà l’apostata. Di solito essi cercano di mettere a tacere la cosa o di far emigrare l’apostata. É avvenuto così per lo scrittore Nasr Hamed Abu Zaid, che ha ricevuto la fatwa per essere ucciso ed è stato fatto fuggire in Olanda.

Uno studioso musulmano francese, Abdennour Bidar, in un libro edito di recente[2], afferma: “L’Islam deve arrivare ad essere non più una religione, ma una corrente spirituale e una questione di scelte personali”. Il fatto grave dell’Islam è che l’adesione all’Islam oggi significa aderire ad un gruppo politico e sociologico: non significa aver fatto una scelta religiosa e spirituale. Questa è la grande malattia dell’Islam di oggi: se non si compie questa profonda conversione, l’Islam rimarrà sempre nemico del mondo moderno. Quest’ultimo è basato sulle libertà individuali, sulla persona più che sul gruppo, sulla libertà di coscienza, ecc. E i musulmani vogliono questo, ma non capiscono che tutto è collegato. Finché non si arriva a considerare che l’Islam è una scelta personale e non una questione di gruppo o di partito, si rimarrà indietro.

Fino ad oggi tutto l’insegnamento islamico è basato sulla “sottomissione” (Islam). Tale sottomissione è il contrario della libertà. Anch’io come cristiano riconosco la sottomissione a Dio, ma rimango figlio e libero! Anche Cristo è stato obbediente (Filippesi 2, 8); anche un religioso fa i voti di obbedienza, ma si aderisce e si rimane legati alla propria libertà di coscienza.

Invece nell’Islam l’insegnamento più classico che si diffonde nelle famiglie e nei media è che la sottomissione deve essere totale, annientando la personalità e ogni differenza.

E noi cristiani e gli occidentali, dobbiamo aiutare l’Islam a fare questo passo: capire che la libertà personale non è contro l’islam né contro Dio, ma al contrario per Dio che ha creato l’uomo dotato di discernimento e di libertà, a differenza di tutto il creato, perché senza libertà di scelta non c’è amore. Come dice Cristo ai discepoli: “Non vi chiamo servi, ma amici” (Giov 15,15).

[1] Samuel Marinus Zwemer (12 aprile 1867 – 2 aprile 1952), soprannominato “l’apostolo dei musulmani” è stato missionario in Arabia dal 1891 al 1905, e in altri Paesi musulmani, ha diretto a lungo la rivista “The Moslem World” e ha formato centinai di missionari protestanti. Il suo metodo consisteva nel convincere il musulmano partendo dal Corano e confrontandolo col Vangelo. Più che convertire i musulmani, la sua grande opera è stata di spingere cristiani a annunziare il Vangelo ai musulmani.

[2] Abdennour BIDAR, Self islam. Histoire d’un islam personnel, coll. « Non conforme » (Parigi : Seuil, 2006). Vedi l’ultimo capitolo, intitolato “Self islam” (p. 205-235).

( Domani: Il caso Hegazi: un disegno mondiale di conversione all’Islam?)
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