Bosnia, Kosovo e Albania cavalli o navi di Troia dell'Islam?

Bosnia, Kosovo e Albania cavalli o navi di Troia dell'Islam?

Messaggioda Berto » mar feb 16, 2016 7:37 am

Bosnia, esplode la protesta: oltre 200 feriti. Palazzi del potere in fiamme
Decine di arresti in tutto il Paese. In prima linea gli operai di diverse aziende privatizzate sull'orlo del fallimento. Demolite e incendiate le sedi dei governi locali nelle 4 città principali
7 febbraio 2014

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02 ... mme/873667

Esplode la protesta sociale in Bosnia e i palazzi del potere vengono dati alle fiamme. Oltre 200 feriti a fine giornata, decine gli arresti. Un anno senza stipendio e senza assicurazione sanitaria, 14 anni senza un solo giorno di contributi versati, 15 anni con 25 euro al mese: queste sono solo alcune delle storie dei partecipanti alle manifestazioni. Cominciati a Tuzla due giorni fa, i tumulti si sono man mano estesi ad altre città compresa la capitale Sarajevo. In prima linea gli operai di diverse aziende locali che in passato davano lavoro a migliaia di persone, e che oggi, dopo sospette privatizzazioni, sono sull’orlo del fallimento.

Le manifestazioni con migliaia di persone in piazza, mai così massicce nella Bosnia del dopoguerra, oggi sono dilagate in tutta la Federazione BH (entità a maggioranza croato-musulmana di Bosnia) e sono sfociate in disordini, scontri con la polizia e distruzioni, con un bilancio ancora provvisorio di quasi duecento feriti e decine di arresti. I manifestanti, dopo lanci di sassi e uova, hanno demolito e poi incendiato le sedi dei governi locali a Tuzla, Sarajevo, Zenica e Mostar. A Sarajevo in serata è stato appiccato il fuoco anche alla sede della presidenza collegiale.

Le frustrazioni e la rabbia dei manifestanti si è rivolta contro le amministrazioni cantonali, particolarmente costose e che non esistono nell’altra entità bosniaca, la Republika Srpska (Rs, a maggioranza serba), poiché, secondo i manifestanti, non si fa nulla per risolvere i problemi e salvare i posti di lavoro. Una dura protesta sociale era da molti annunciata come inevitabile rivolta della gente in un Paese che, devastato dalla guerra (1992-95), non ha ancora raggiunto nemmeno il livello dello sviluppo precedente al conflitto, con la disoccupazione al 46% – solo nel cantone di Tuzla vi sono 100mila disoccupati contro gli 80mila che hanno un lavoro – e il Paese è ancora molto lontano, a differenza delle altre ex repubbliche jugoslave, dalla prospettiva di adesione all’Unione europea a causa dell’indifferenza dei leader politici verso i problemi della gente.

La violenza degli scontri con la polizia – gli agenti feriti sono più numerosi dei civili – dimostra, come dice il politologo Sacir Filandra, “che la crisi sociale è causata da una profonda crisi politica”, motivo per cui molti sperano che stia iniziando una “primavera bosniaca“.

Anche per il presidente di turno della presidenza tripartita bosniaca, Zeljko Komsic, i responsabili dei “problemi che si accumulano da anni” sono i politici, nessuno dei quali ha oggi avuto il coraggio di affrontare i manifestanti. Solo il premier del cantone di Tuzla e il governo cantonale di Zenica si sono dimessi questo pomeriggio.

I disordini in alcune città continuano anche stasera: a Mostar sta bruciando il municipio e sono state date alle fiamme molte automobili; a Sarajevo vengono saccheggiati i negozi ed è stato dato l’assalto anche all’edificio sede della presidenza bosniaca, mentre il palazzo cantonale sta ancora bruciando: scene che ricordano la guerra e non certo i Giochi olimpici invernali, che si sono svolti esattamente trent’anni fa nella capitale bosniaca.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » ven mar 25, 2016 10:41 am

Viaggio in Kosovo, al monastero assediato dall'Islam e difeso solo dai soldati italiani
Sono 25 i monaci serbi rimasti a Decani. Su di loro la minaccia degli albanesi musulmani che nel 2004 distrussero 25 chiese prima di essere fermati dalla "Folgore"
I custodi della tomba di Santo Re Stefano possono essere considerati il simbolo del lavoro del contingente italiano del Kfor Nato
Viaggio in Kosovo, al monastero assediato dall'Islam e difeso solo dai soldati italiani
di Salvatore Garzillo
09 Dicembre 2013

http://www.liberoquotidiano.it/news/est ... liani.html

Sono le 9.30. Padre Petar offre ai visitatori scortati dai militari italiani un bicchierino di grappa fatta in casa. Brucia come fuoco. «Si chiama rakija, la produce il nostro confratello Marco a Velika Hoca, è l’unico che vive lontano dalla comunità», racconta, e intanto invita a buttar giù il cicchetto trasparente. È il benvenuto offerto nel monastero trecentesco di Visoki Decani, dodici chilometri a sud di Pec, nel Kosovo occidentale. Terra di albanesi musulmani dove resistono con fatica 25 monaci serbo ortodossi diventati i custodi della tomba di Santo Re Stefano e che possono essere considerati il simbolo del lavoro del contingente italiano del Kfor Nato.

«Ci proteggono dagli assalti dal 1999, siamo fortunati ad avere i militari italiani, per noi sono come angeli - spiega padre Petar, 40 anni e una folta barba che non riesce a invecchiare il suo viso dalla pelle liscia -. Senza di loro il monastero sarebbe in gravissimo pericolo; secoli di storia, di cultura, di radici, sarebbero spazzate via dalla mano degli albanesi musulmani. Lo scorso febbraio sono state profanate cento tombe serbe nel nord perché qualcuno, a sud, ha distrutto un altare dedicato a un soldato dell’Uck (acronimo di «Ushtria Çlirimtare e Kosovës», lo storico esercito di liberazione del Kosovo, ndr). Cento tombe in un solo giorno. Immaginate cosa potrebbero fare se fossimo indifesi».

Mentre pronuncia l’ultima frase lancia uno sguardo al portone che separa il suo piccolo mondo dall’esterno. Fuori, a pochi metri dalla targa dell’Unesco che dal 2004 ricorda a tutti che il monastero è patrimonio dell’umanità, c’è una garitta con militari italiani armati che vigilano l’ingresso. Più avanti, c’è un check point, che invece ricorda ai pellegrini che il monastero è anche un obiettivo sensibile.

Negli ultimi 14 anni gli albanesi hanno provato ad abbatterlo per tre volte. «Nel 2000, nel 2004 e nel 2007», racconta Petar, che accompagna il ricordo a un involontario sospiro di sollievo. L’episodio più grave è stato quello del 2004, durante il pogrom albanese che distrusse in un solo mese 18 monasteri serbo-ortodossi e 7 chiese cristiane.

Decani avrebbe dovuto fare la stessa fine ma grazie all’opposizione dei militari della Folgore i musulmani dovettero desistere, rinunciando (per allora) al desiderio di annientare il più importante baluardo religioso ed etnico della regione e, secondo molti, dell’intero Kosovo.

Il rapporto con i soldati italiani è consolidato, c’è rispetto e riconoscenza. «Sono sentimenti costruiti col tempo, gli italiani sono speciali, il nostro legame è saldo e duraturo. Ci hanno protetto anche durante la seconda guerra mondiale dai nazisti... aspettate».

Si allontana e sparisce in una stanza riservata ai frati, attraversa una porta bassa con un decoro tradizionale che la rende a tutto sesto. Il pavimento di legno scricchiola a ogni suo passo. Sui termosifoni ci sono due foto ingiallite, una delle quali ritrae lo zar Nicola II e la zarina. Due minuti dopo Petar torna con un librone nero con un’aquila di metallo in copertina. «Questo è il nostro libro degli ospiti del 1941».

La polvere che invade l’aria mentre lo sfoglia potrebbe essere considerata anch’essa patrimonio dell’umanità, o almeno la dimostrazione del filo mai spezzato tra l’Italia e la comunità serba ortodossa. «Leggete qui: “La tradizionale ospitalità degli uomini che vivono in convento, qui trova la più bella espressione. Io che sono il primo ufficiale italiano che ha visitato questo convento e che ha fatto quanto era nella sua possibilità per evitare il saccheggio, so di venire qui ed essere considerato sempre come un amico. Firmato da Vittorio Chimenti, tenente dei carabinieri reali Kosovo, 25 maggio 1941”».

Sorride soddisfatto e ripone con cura il prezioso documento. Oltre mezzo secolo dopo le parole del tenente arrivano agli artiglieri del 5° «Superga» di Portogruaro e del 52° «Torino» di Vercelli impegnati nell’operazione «Joint Enterprise». La loro base è nel «Villaggio Italia» a Belo Polje, ma il monastero è una seconda casa.

Petar offre un altro giro di rakija, racconta di essere arrivato dodici anni fa dal Montenegro ma non va oltre. Tradisce il silenzio che avvolge il monastero solo per descriverne la vita. «Abbiamo un allevamento di 200 capre, 30 mucche, un’area riservata allo studio della calligrafia, produciamo miele e vino che poi vendiamo al nostro negozio. Non usciamo mai da qui, abbiamo tutto ciò che ci serve e ognuno ha il suo ruolo. Un monaco si occupa della cucina, un altro è addetto alla falegnameria, un altro ancora alla biancheria».

Una comune di 25 monaci dai 30 ai 40 anni, che ha deciso di comunicare con il mondo solo accogliendolo all’interno. «Arriva gente da ogni parte (lo dimostrano le guide illustrate in dieci lingue diverse, tra cui il giapponese, ndr) eppure le scolaresche serbe non si avvicinano, hanno ancora paura di essere aggredite. Se gli italiani vanno via, per noi è finita».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » ven mar 25, 2016 11:21 am

La guerra nei Balcani: ispirata al principio di pulizia etnica e di strupro
apr 24, 2015
Oggi sembra incredibile ricordare che appena venti anni fa ci sia stata una guerra tanto feroce in un paese confinante con l’Italia. Eppure, durante il conflitto interno che ha interessato la Jugoslavia abbiamo visto perpetrare un altro genocidio che nessuno avrebbe mai pensato accadere in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale.

http://oubliettemagazine.com/2015/04/24 ... di-strupro

La guerra civile Jugoslava, ispirata al principio di “pulizia etnica”, è stata una delle più sanguinose e disumane; milioni di persone sono state uccise e orrendamente mutilate, milioni di donne sono state stuprate e violentate, migliaia sono stati deportati in campi di concentramento e costretti ad abbandonare le loro case e le loro proprietà.

Nel 1918 dopo la caduta dei grandi imperi era nato il Regno degli sloveni, croati e serbi, successivamente chiamato Jugoslavia. La Jugoslavia, era uno stato costituito da sei repubbliche e due province autonome, dove si parlavano almeno sette lingue ed erano in uso due alfabeti, latino e cirillico. Convivevano fedeli di quattro religioni.

Durante la seconda guerra mondiale nell’aprile del 1941 la Jugoslavia fu invasa da Germania e Italia nel giro di soli 11 giorni. In Croazia e in Bosnia venne costituito un governo fantoccio guidato dagli ustascia, i fascisti locali, che avevano come obiettivo quello di creare una Croazia di soli Croati. A questo scopo gli Ustascia avviarono uno sterminio sistematico dei serbi. I serbi subirono abusi e violenze di ogni tipo, furono uccise migliaia e migliaia di persone, altre migliaia espulse o costrette a convertirsi al cattolicesimo.

Il governo croato, nato durante la guerra, di fatto non ammetterà mai i massacri interetnici avvenuti durante la seconda guerra mondiale verso i Serbi. Forse è proprio questa una delle cause che porterà alla guerra dei Balcani.

Dal 1945 in poi serbi, croati e musulmani vivono in uno stato di relativa pace sotto il pugno di ferro del regime comunista di Tito, che stronca sul nascere ogni possibile tensione etnica. Ma alla morte di Tito, in un contesto di crescente crisi economica e stallo istituzionale, crescono i contrasti interni fra le varie componenti della federazione e gli antichi risentimenti sono tutt’altro che sopiti. La fine della guerra fredda e il crollo dei regimi comunisti avevano portato, in Jugoslavia, all’emergere di leadership nazionaliste.

La guerra nei Balcani

I Balcani vengono così travolti da un nazionalismo estremo che i leader dei vari gruppi etnici alimentano con il doloroso ricordo del passato, dei massacri dei secoli precedenti. Senza nessuna disponibilità a negoziare soluzioni per dividere il paese, i nazionalisti vogliono creare stati omogenei sulle spoglie di una popolazione composita dal punto di vista etnico. Di lì a poco comincia la disgregazione della Jugoslavia; una dopo l’altra, dal 1991 Slovenia, Croazia, Macedonia e Bosnia, che male avevano sopportato il predominio serbo, dichiarano la loro indipendenza.

In Slovenia, repubblica etnicamente omogenea, gli scontri con l’esercito federale durano alcuni giorni. In Croazia invece ha inizio una lunga guerra che continuerà fino all’estate del 1995. Qui la consistente minoranza serba che si era opposta con le armi alla secessione dalla Jugoslavia alla fine è costretta alla fuga.

Terminata in Croazia, la guerra si sposta in Bosnia-Erzegivina dove un Referendum sull’indipendenza nel 1992 darà inizio alla spaccatura della repubblica più multietnica della federazione. La comunità musulmana e croata votano a favore della secessione mentre i serbo-bosniaci boicottano la consultazione. In quella regione relativamente piccola, scoppia la guerra più cruenta della dissoluzione Jugoslava che provoca circa cento mila vittime, oltre due milioni di rifugiati e sfollati e un nuovo genocidio in Europa. L’assedio di Sarajevo da parte dell’esercito serbo diventerà il simbolo di una guerra atroce e assurda nella quale il maggior numero di vittime si contò fra i civili. Ogni mezzo fu ritenuto valido: violenze fisiche sulle persone, torture, distruzione di villaggi, espulsione oltre confine e internamento in campi di concentramento.

Questi massacri erano rivolti per lo più contro le minoranze croate o musulmane come a Srebenica, lì migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi l’11 luglio del ‘95 da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic, che fu poi arrestato per crimini contro l’umanità. Nel novembre dello stessi ‘95 vengono firmati gli accordi di pace che pongono fine alla guerra in Bosnia ma non risolvono i problemi del paese che viene posto sotto la tutela internazionale per assicurarne la ricostruzione e facilitare il ritorno dei profughi. Il compromesso garantiva l’integrità territoriale della Bosnia ma non poteva assolutamente cancellare rancori e desideri di vendetta provocati da una guerra intestina che lasciava dentro di sé decine di migliaia di morti e crudeltà di ogni genere. La Bosnia fu così divisa in due parti una amministrata dai serbi l’altra dai musulmani.

La guerra nei Balcani

Nel frattempo in Kosovo provincia autonoma della Serbia con una maggioranza albanese, la comunità albanese rivendica una propria autonomia e indipendenza cancellata dal presidente serbo Milovic nel 1999 con violente oppressioni.

Così l’aumento di violenze ai danni della comunità albanese del Kosovo provoca il coinvolgimento della comunità internazionale. Dopo alcuni tentativi di soluzioni diplomatiche nel 1999 la Nato scatena una campagna di bombardamenti su Serbia, Montenegro e Kosovo. L’intervento internazionale aumenta il numero di morti e distruzioni ma anche il ritiro dell’esercito Jugoslavo dal territorio Kosovaro, dove verrà successivamente creato un protettorato internazionale.

La guerra in Kosovo destabilizza la vicina repubblica di Macedonia indipendente dal 1992. Anche lì le rivendicazioni di maggiori diritti da parte della minoranza albanese sfociano nel 2001 in scontri armati. Dopo alcuni mesi di guerra la comunità internazionale spinge le parti a firmare degli accordi di pace, con qui si pone fine al conflitto. Ma ancora una volta l’esperienza della guerra lascia ferite aperte ed un contesto politico instabile. Nel 2006 anche Serbia e Montenegro le ultime due repubbliche della Jugoslavia rimaste unite fino a quel momento si separano. Da ultimo il 17 febbraio 2008 il Kosovo si dichiara indipendente dalla Serbia.

Quindici anni di conflitti hanno duramente colpito la natura multietnica della regione provocato la morte di almeno 150.000 morti, spinto alla fuga milioni di profughi e comportato enorme distruzioni. Una guerra di tutti contro tutti, che coinvolse sia le etnie che le fedi religiose. In quei posti non vi è famiglia senza morti e vittime. Si tratta di un complesso concatenato di cause, come sempre poi avviene nella storia.

Ma questi sono i frutti della guerra e dell’odio, quando si scatenano le vendette purtroppo ci vanno di mezzo quasi sempre chi non c’entra nulla. In Jugoslavia dapprima i serbi avevano subito massacri e persecuzioni e poi a loro volta, grazie alle propagande di odio, ne perpetrano tanti altri. In Jugoslavia i serbi non accettavano di essere una minoranza, seppur egemone, negli altri stati. Milosovic diceva: “dovunque vi è un serbo quella è Serbia”

La guerra nei Balcani

Ogni guerra lascia una lunga ombra dietro di sé soprattutto le guerre fra i popoli che condividono lo stesso territorio. Nel caso di Ratko Mlavic, quello che fu il capo dell’esercito serbo, per esempio entrambi i suoi genitori furono massacrati dagli Ustascia Croati, quando lui aveva solo due anni. I rischi sono ancora maggiori quando dalla fine di un conflitto sono passati solo dieci o vent’anni. Una nuova generazione di giovani cresce alimentandosi di racconti pieni di odio e si sentono in dovere di vendicare ciò che è successo. E questo purtroppo va avanti per generazioni.

Slobodan Milosevic, il leader nazionalista serbo, rinfocola antichi sentimenti antislamici ricordando ai serbi una battaglia per assurdo avvenuta seicento anni prima, un odio tramandato in modo distorto ma sufficiente perché una persona sia spinta che niente di simile accada nel futuro. Molti serbi erano convinti che i musulmani avessero massacrato bambini cristiani per il semplice piacere di farlo, questo diceva la propaganda. Naturalmente questa leggenda non aveva nessun riscontro nella realtà così come non esisteva fondamento a molte delle paure che i musulmani avevano riguardo ai serbi. Ma queste fantasie su improbabili massacri ebbero grande diffusione prima degli inizi dei veri massacri, era un modo per prepararli e giustificarli.

Ma quel che più indigna è l’uso dell’arma dello stupro durante la guerra per distruggere le minoranze musulmane. I serbi e i bosniaci conoscevano molto bene le loro vittime, i loro valori e la loro cultura. Questo perché molto spesso erano stati vicini di casa con cui, durante gli anni di Tito, avevano vissuto in pace. Colpendo le loro donne gettavano sulla loro famiglia la vergogna e il disonore.

Purtroppo la violenza sessuale verso le donne durante un conflitto armato era una pratica diffusa, considerata per molto tempo come un inevitabile atto di guerra, un po’ come il saccheggio e le razzie. Ma nella guerra dei Balcani e in particolare in Bosnia, la violenza sessuale divenne a tutti gli effetti una tattica militare pianificata e coordinata. Gli stessi soldati serbo bosniaci di quello che facevano alle donne bosgnacche (bosniaco musulmane). In totale si stima che nei tre anni di conflitto in Bosnia siano state violentate dalle venti mila alle cinquanta mila donne. Le ragazze venivano usate come oggetti violentate in gruppo e rinchiuse nei cosiddetti campi di stupro, dove diventavano schiave sessuali o domestiche. Oppure venivano vendute come schiave nei bordelli, dove tra l’altro vi si recavano anche i soldati dell’Onu che erano in Bosnia per la missione di peacekeeping. Non solo ma venivano anche usate come scudi umani durante le operazioni militari. Tutto questo accadeva in Europa a ridosso del ventunesimo secolo.

La guerra nei Balcani

Fra le tattiche di guerra dei militari serbo bosniaci c’era la studiata intenzione di mettere incinta le donne bosgnacche, tenerle imprigionate finchè la gravidanza non potesse essere interrotta e solo dopo rimetterle in libertà. In una società come questa nella quale il nascituro prende l’etnia del padre, la strategia era quella di far partorire a donne musulmane un figlio serbo, per impiantare il loro seme nella popolazione nemica.

Le conseguenze sono ancora impossibili da superare, tante donne sono morte per le violenza o per l’aver cercato di abortire in avanzato stato di gravidanza. Altre si sono suicidate o sono impazzite. Tante altre hanno abbandonato i figli concepiti da un assassino o hanno accolto l’appello di papa Giovanni Paolo II che chiedeva alle vittime di stupro di non abortire e di” trasformare l’atto di violenza in atto d’amore”. In tutti i casi sicuramente la maternità è stata vissuta come un dramma.

Sulle ceneri della Jugoslavia, sulle violenze e sui massacri sono stati creati sette nuovi stati di questi solo la Slovenia è membro dell’unione Europea, gli altri attraversano ancora la difficile “transizione” alla democrazia. Alcune nelle loro fragilità economiche ed istituzionali sono tuttora sotto tutela internazionale. In questi stati della ex Jugoslavia, che vorrebbero chiudere questo conflitto in un “dimenticatoio”, queste donne sono invalide del tutto e non vengono tutelate o aiutate perché sono come un “ostacolo”, un problema per dei paesi che la guerra la vogliono dimenticare.

È questa guerra che introduce un uso comune di “pulizia etnica”. L’idea è semplice, gli esecutori dei massacri ritengono che la propria terra vada ripulita da tutti coloro che in qualche modo sono “estranei” e “diversi per cultura o etnia, dimentichi che tutte le culture sono multiculturali, prodotto di continui scambi secolari.

E questo è tanto più vero nei Balcani dove la cultura è in fondo la stessa, come lo è la lingua, pur declinata a varianti locali. Eppure su questa apparente divisione si è costruita una guerra, un conflitto ancora vivo e recente.


Il terrorismo islamico di questi ultimi anni ci dimostra che la paure dei serbi e dei cristiani non erano immotivate e prodotte da fantasmi o da ossessioni patologiche.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 6:55 am

???

“Mancavano uomini e ragazzi. Così mi accorsi di Srebrenica”
Emma Bonino: nel ’95 ero lì vicino, denunciai, nessuno mi ascoltò
Emma Bonino, ex Commissario Ue per gli Aiuti Umanitari
10/07/2015
antonella rampino

http://www.lastampa.it/2015/07/10/ester ... agina.html

«Era l’11 luglio 1995. Me lo ricordo benissimo. Arrivò la notizia, secca, che migliaia e migliaia di persone erano in marcia da Srebrenica verso il campo profughi dell’Onu Tuzla. Quel giorno, di rientro da una missione nella regione dei Grandi Laghi in Africa, ero a Strasburgo, e stavo facendo la mia relazione al Parlamento europeo». Emma Bonino, ai tempi del più grave massacro accaduto sul suolo europeo dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, di cui ricorre il ventennale e che oggi chiamiamo genocidio, era da pochi mesi Commissario Ue per gli Aiuti Umanitari. E le «capitò» di scoprire il massacro di Srebrenica. Questo è il suo racconto.

«Quando abbiamo saputo che migliaia e migliaia di persone erano in cammino verso Tuzla, abbiamo deciso di andare subito a vedere cosa stesse succedendo. In piena guerra nella ex Jugoslavia, e con le milizie serbe di Mladic che da tempo avevano sotto tiro le enclave serbo-bosniache musulmane, l’Onu aveva allestito sei “safe area”, zone di sicurezza presidiate dai Caschi Blu che però non avevano il mandato atto a proteggere la popolazione. All’epoca, ancora si credeva che la bandiera dell’Onu potesse essere un deterrente. Srebrenica era una di quelle “safe zone”, una enclave in territorio serbo, Tuzla il campo profughi più vicino.

Atterriamo in elicottero, e percorriamo il campo. In un silenzio spettrale, passiamo in lungo e in largo tra le tende, la mensa, l’astanteria, gli uffici, l’ospedale da campo. E a un certo punto mi accorgo di aver visto solo donne, vecchi e bambini. Quante persone ci sono qui?, chiedo. Ero certa, perché mandavamo aiuti, che a Srebrenica ci fossero 42 mila cittadini. A Tuzla fanno i conti, due volte, e ci accorgiamo che ne mancano 8 mila. Tutti uomini, o adolescenti maschi, in età per combattere. Torniamo in mezzo alle tende, parliamo con le donne, e loro ci raccontano che i serbi li hanno divisi, donne vecchi e bambini da una parte, uomini e ragazzi da un’altra. Penso che devo tornare a Roma e denunciare la cosa. Saliamo sull’elicottero, ma si scatena un temporale, “rischiamo di sfracellarci sulle montagne”, dice il pilota, e torniamo indietro. Da Tuzla, mentre aspettiamo di ripartire, mi metto in contatto con la Croce Rossa.


Il rapporto a Bruxelles

Un paio di giorni dopo, quando riesco a rientrare, scrivo un rapporto che da Bruxelles viene mandato a tutte le capitali europee. Incredibilmente, segue la più totale indifferenza. Silenzio. E se qualcuno mi rispondeva, era per dirmi “chissà, magari gli uomini e i ragazzi si sono nascosti nelle foreste”. Foreste? Ma se non ci sono più foreste, la guerra le ha cancellate tutte, rispondevo inutilmente io... Bisognerà aspettare un mese, quel 10 agosto del ’95 in cui il Segretario di Stato americano, Madeleine Albright, che pure avevo subito informato di quello che era accaduto a Tuzla, rende pubbliche le foto satellitari di Srebrenica nelle quali si vedono chiaramente le fosse comuni. Quegli ottomila uomini e ragazzi serbo-bosniaci e musulmani separati da vecchi, donne e bambine dai serbi non erano nelle foreste. Erano morti nel massacro delle truppe del generale Mladic».

«Per quasi un mese, del massacro di Srebrenica non si sa niente e nessuna capitale reagisce al rapporto che avevo inviato. Ma anche dopo le foto della Albright, la negazione pressoché totale da parte degli europei continuò a lungo. Per i Caschi blu olandesi che avevano lasciato passare i militari di Mladic senza colpo ferire cadde poi il governo olandese. Solo nel 1993, grazie agli italiani, al governo di Giuliano Amato che con i francesi si fa promotore di una apposita risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, era nato un tribunale ad hoc per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia, dal quale parte una campagna che porterà alla nascita del Tribunale Penale Internazionale. Nel 1996 sono tornata a Srebrenica, per la commemorazione, e ancora l’anno dopo con Hillary Clinton e l’ex ministro degli Esteri italiano Susanna Agnelli per il progetto di riconciliazione dell’Institute for Inclusive Security, centrato sulle donne che saranno alla commemorazione anche per questo ventennale, un progetto che nacque proprio in quei giorni lontani. Ma da allora, le cose non sono cambiate molto. Nessuna capitale reagì allora, nessuna pensò di coinvolgere l’Europa».


Le colpe di Usa e Ue

Qualche giorno fa, l’«Observer» ha pubblicato un’inchiesta nella quale si dice che Francia, Inghilterra e Usa non intervennero militarmente a Srebrenica per non indisporre Milosevic che doveva sedersi, di lì a pochi mesi, al tavolo degli accordi di Dayton. Lei che ne pensa, si aveva sentore di qualcosa del genere, in quei giorni? «Perché, qualcuno pensò mai di coinvolgere l’Europa? No. Le cose vanno così ancora oggi. Pensiamo all’intervento francese in Mali. Parigi non ha comunicato a nessuno la sua decisione, tantomeno alla Ue. Si è limitata a farla ratificare, due mesi dopo, alla riunione Ue dei ministri. E il tutto, alla faccia del Trattato di Lisbona, e del previsto coordinamento della politica estera. Da quell’11 luglio del 1995 sono cambiate molte cose. Ma non in Europa. La Ue continua a non funzionare, per carenze proprie, ma soprattutto per le precise volontà dei governi nazionali».


Comento de mi:
No Bonino, Bruxelles è figlia dell'orrendo Islam e del criminale Maometto suo fondatore. Non farti complice di questa mostruosità disumana. L'Islam non rispetta i Diritti Umani Universali come fai anche tu, ultimamente, non hai rispetto per i Diritti Umani Universali degli europei, degli indigeni e nativi europei. Caino va toccato, non si deve più permettere a Caino di farla sempre franca e di dominare la terra. E' da seicento anni che questa brutta gente assassina attacca l'Europa e i conflitti nei Balcani sono colpa loro, non degli europi, sono loro gli invasori e non noi. Via l'Islam dall'Europa.


Endoe ke riva l'xlam, sel deventa forte megnoransa o majoransa, el desfa i paexi
viewtopic.php?f=188&t=1895
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 7:04 am

???

Srebrenica, Olanda complice del massacro
Trecento musulmani si erano affidati ai caschi blu del “Dutchbat”: ma furono consegnati a Mladic
Migliaia di bosniaci a Srebrenica per la commemorazione di oltre settemila musulmani vittime del massacro del 1995
stefano giantin
27/10/2015

http://www.lastampa.it/2015/10/27/cultu ... agina.html

Avevano cercato scampo in quella che pensavano fosse, nell’afoso luglio macchiato di sangue del 1995, l’ultima oasi relativamente sicura attorno a Srebrenica, la base Onu di Potocari. Avevano implorato i caschi blu olandesi di non essere consegnati agli aguzzini del generale serbo-bosniaco, Ratko Mladic. Non era servito a nulla.

E diciannove anni dopo, Amsterdam dovrà pagare per il comportamento disonorevole dei propri soldati, di quel «Dutchbat» che forse avrebbe potuto se non evitare almeno ridurre le orribili dimensioni del massacro di Srebrenica. E che avrebbe senza dubbio potuto salvare da morte certa almeno trecento maschi musulmani rifugiatisi nel compound olandese.

E per quei trecento e più, Amsterdam sarà obbligata a pagare un risarcimento ai familiari delle vittime. Così ha deciso ieri, con una sentenza importante e allo stesso tempo controversa, un tribunale distrettuale con sede all’Aja, a un passo dalla più celebre Corte penale per l’ex Jugoslavia, dove alla sbarra anche per Srebrenica siedono proprio Mladic e il suo protettore politico, Radovan Karadzic. Tribunale che ha stabilito che lo Stato olandese deve ritenersi responsabile per la condotta ignominiosa dei suoi caschi blu.

Due giorni dopo la caduta dell’enclave, il 13 luglio 1995, i militari di Amsterdam, «agendo in modo contrario alla legge» e pur consapevoli «della possibilità che quegli uomini avrebbero potuto essere vittime di un genocidio», cooperarono «nella deportazione», nella consegna a Mladic di centinaia di maschi bosgnacchi che avevano confidato di trovare asilo all’interno del perimetro della base Onu. Se avessero avuto invece il permesso di rimanere nel compound, «sarebbero sopravvissuti», ha rilevato il tribunale, con una decisione che ricalca le orme di quella presa l’anno scorso dalla Corte suprema olandese.

Pronunciamento che però ha lasciato l’amaro in bocca ai sopravvissuti, in testa le «Madri di Srebrenica», promotrici della causa contro Amsterdam, che hanno parlato di «assenza di senso di giustizia». Questo perché per gli altri settemila e più trucidati non ci sarà alcun risarcimento, né assunzione di responsabilità. Per loro non si poteva fare più nulla, hanno però stabilito i giudici, l’Olanda non è responsabile per gli altri morti, caduti sotto i colpi dei serbo-bosniaci.

Soddisfazione dunque parziale per i familiari e i sopravvissuti, ma «si tratta in ogni caso di una sentenza storica», precisa a La Stampa uno degli avvocati del team che ha rappresentato la causa dei familiari delle vittime, Semir Guzin, perché «per la prima volta uno Stato è stato giudicato colpevole per il comportamento dei suoi peacekeeper». E «continueremo a batterci per tutte le vittime di Srebrenica», la promessa finale. «Ero in contatto con i sopravvissuti di Srebrenica, dopo la sentenza ho colto pena e delusione», racconta invece da Sarajevo il politologo Almir Terzic.

Delusione, perché «nella base c’erano più di trecento persone» considerate dai giudici, in tutto erano 5 mila, e soprattutto perché tutti i civili uccisi, anche quelli fuori dalla base, «speravano nella protezione dell’Onu». Protezione mai arrivata, anche per l’inettitudine dei soldati olandesi. Inettitudine sottolineata da vecchi video circolati ieri sui media on line bosniaci, che ritraggono i caschi blu di Amsterdam mentre lasciano la base dopo la strage. A rendere loro onore, lo stesso Mladic, sorridente. «Buon viaggio», il saluto del boia, «e grazie per la vostra collaborazione nell’operazione». Un’operazione di morte, con la complicità dell’Occidente intero, non solo di Amsterdam, rimasto a osservare inerte la mattanza.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 7:08 am

???

Nikolic: “Chiedo scusa per Srebrenica” Solo un anno fa negava il massacro
Il presidente serbo posta un video su Youtube: «Ma il genocidio deve essere dimostrato». L’accelerazione per entrare nell’Unione Europea
AFP
Il presidente serbo Tomislav Nikolic
25/04/2013

http://www.lastampa.it/2013/04/25/ester ... agina.html

Il presidente serbo Tomislav Nikolic chiede perdono per il massacro compiuto dalle forze serbe a Srebrenica, in Bosnia, ma mette in discussione il fatto che si sia trattato di un genocidio. «Mi inginocchio, chiedo perdono per la Serbia e per il crimine di Srebrenica. Mi scuso per qualsiasi crimine perpetrato in nome del nostro stato e del nostro popolo», ha detto Nikolic in un’intervista alla tv bosniaca Bhrt, che andrà in onda in versione integrale il 7 maggio. Per Nikolic però «il genocidio deve essere dimostrato». Pressato dalle domande dell’intervistatore, per il quale tutte le uccisioni di massa e le deportazioni hanno il marchio del genocidio, Nikolic ha replicato: «Tutto quello che è accaduto (durante la guerra, ndr) nella ex Yugoslavia aveva il marchio del genocidio».

A Srebrenica, nel luglio 1995, 8mila maschi musulmani civili furono sterminati dalle forze armate serbo-bosniache al comando di Ratko Mladic, oggi alla sbarra al Tribunale penale per l’ex Jugoslavia.



Ecco perché gli inglesi tornano a parlare di “genocidio”
Sta per uscire un’inchiesta-choc in cui si sostiene che GB, Francia e Usa non fermarono il massacro di Srebrenica per non irritare Milosevic alla vigilia degli accordi di Dayton. L’ultima proposta di risoluzione all’Onu è il tentativo di Cameron di ristabilire l’onorabilità del suo Paese
10/07/2015
antonella rampino

http://www.lastampa.it/2015/07/10/ester ... agina.html

Che cosa può aver spinto la Gran Bretagna di David Cameron a presentare alle Nazioni Unite, e con ben quattro diverse stesure, una proposta di risoluzione nella quale si definisce “genocidio” il massacro di Srebrenica‎ dell’11 luglio 1995? L’interrogativo deve tener conto che la definizione di genocidio, oltre che essere già entrata nella consapevolezza delle pubbliche opinioni, è giuridicamente e multilateralmente stata codificata già dal 2004, in una apposita sentenza del Tribunale Penale Internazionale (nato sulle ceneri del tribunale Onu per i crimini nella ex Jugoslavia, a sua volta sorto da un’iniziativa presso il Palazzo di Vetro di un governo italiano italiano, quello di Giuliano Amato). E poi del fatto che era scontato ai limiti della banalità che la Russia di Putin usasse il proprio potere di veto, a scudo della Serbia.

Quel che ha spinto l’Inghilterra di Cameron a tanta tenacia si comprende se , come riferisce alla Stampa un’alta fonte diplomatica, si tiene presente quel che è accaduto nei giorni scorsi. Quando l’inglese Observer - il domenicale del Guardian - ha pubblicato i risultati di un’inchiesta: Inghilterra, Francia e Stati Uniti potevano e stavano per intervenire bloccando manu militari il massacro di Srebrenica, ma non lo fecero per non irritare il serbo Milosevic, che di lì a poco si sarebbe dovuto sedere al tavolo di quello che poi, a dicembre di quello stesso 2011, sarebbe diventato “l’accordo di Dayton”. Sacrificarono insomma, vergognosamente, la vita di oltre 8mila bosniaci musulmani per raggiungere la pace nei Balcani.

Se si considera che quelle dell’Observer sono le rivelazioni contenute in un libro di prossima pubblicazione, “Il sangue della Realpolitik, il caso Srebrenica”, scritto dopo 15 anni di inchiesta da Floreale Hartman, la stessa autrice dell’articolo dell’Observer (con il giornalista Ed Vulliamy), si comprende che con quella tentata risoluzione all’Onu il governo del tory Cameron voleva solo ristabilire l’onorabilità della nazione. Prendendo anche le distanze dalla politica del laburista Blair, al governo negli anni dei più tragici errori inglesi in politica estera, a cominciare dalla partecipazione alla guerra in Iraq.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 7:15 am

L’estremismo della Bosnia
Mar 22, 2015
In Bosnia Erzegovina ci sono almeno 3000 estremisti islamici secondo le autorità di Sarajevo, ma la stima è al ribasso.

http://www.occhidellaguerra.it/minacce- ... a-sarajevo

La presenza jihadista risale ai tempi della guerra di vent’anni fa che ha provocato oltre centomila morti, quando i mujaheddin provenienti addirittura dall’Afganistan avevano formato un battaglione a Zenica. Oggi a Sarajevo è in corso un’udienza del processo contro Bilal Bosnic, l’imam itinerante, che si era fatto le ossa da giovane proprio nell’unità Al mujaheddin durante il conflitto. Bosnic ha aderito al Califfato ed è accusato di aver reclutato volontari per lo Stato islamico anche dall’Italia. Un’inchiesta della procura di Venezia è in corso e le indagini sono affidate ai carabinieri del Ros di Padova.

La Bosnia Erzegovina fa parte a pieno titolo della “Balkan connection”, nome dell’operazione antiterrorismo condotta oggi in Italia ed Albania. “I bosniaci andati a combattere in Siria o Iraq sono 160. Oltre il 90% ha aderito allo Stato islamico e vivono a Raqqa o Aleppo. Trenta sono morti ed una trentina è rientrata in patria” dichiara, Dubravko Campara, il procuratore che sostiene l’accusa contro Bosnic.

Oltre all’estremismo salafita la Bosnia è infiltrata da una possente penetrazione araba e turca. Nell’ambasciata di Ankara c’è addirittura un consigliere religioso e non mancano i nuovi minareti pagati dai turchi. Mai come i sauditi, che hanno finanziato a Sarajevo la più grande moschea dei Balcani dedicata allo scomparso re Fahd. Per filmarla avremmo bisogno di un permesso dell’ambasciata saudita. Quasi tutti dai guardiani, ai venditori all’ingresso portano il barbone lungo ed i baffi rasati tipico dei salafiti. La moschea è un centro wahabita, i duri e puri dell’Islam del regno del Golfo. Sulle bancarelle vendono il velo per le donne, copie del Corano, ma espongono pure con orgoglio la bandiera verde con la scimitarra dell’Arabia Saudita.

A Sarajevo gli sceicchi di Riad hanno investito nel più grande centro commerciale, Al Shiddi, aperto un anno fa. La pubblicità è di taglio occidentale, ma all’interno non si vende alcol.

Ad Ilidza, sobborgo della capitale, i ricconi del Golfo si sono comprati una collina con una trentina di villette bianche della società Ard Al Jazeera. Si fanno vedere ogni tanto con le donne velate di nero dalla testa ai piedi, che parlano solo arabo. I ristoranti si sono adeguati con i menù nella lingua del Golfo.

Per gli arabi la Bosnia è un punto d’ingresso dell’Europa nel cuore dei Balcani. Non a caso negli ultimi due anni i kuwaitiani hanno aperto 200 società a Sarajevo e dintorni.

In Bosnia vivono anche 430mila cattolici, che attendono con gioia la visita del Papa fissata il 6 giugno. “Francesco vuole portare a Sarajevo un messaggio di pace, ecumenico e viene per non dimenticare noi cattolici, che siamo una minoranza” spiega il cardinale Vinko Puljic al Giornale.it. E senza peli sulla lingua lancia un j’accuse: “Ci sentiamo dimenticati da parte dell’Europa, non solo in Bosnia, ma in Nigeria, Pakistan o India. L’Europa non grida, non alza la voce più di tanto se ci sono di mezzo i cristiani”.




Mujaheddin in Bosnia
Esad Hećimović | Zenica
1 marzo 2004
Sarajevo

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosn ... snia-25346

La storia di un immigrato, operaio della Fiat, che nel 1992 parte da Torino per andare a combattere con i Musulmani bosniaci. Prima tappa di un percorso di approfondimento che Osservatorio propone ai suoi lettori sulla questione dell'Islam bosniaco.

L'Islam bosniaco si è caratterizzato all'interno della tradizione europea per il suo orientamento dialogante e aperto al confronto con le altre religioni. Oggi, a seguito della guerra 1992-95, e del processo di avvitamento identitario che ha attraversato tutte le principali comunità nazionali e religiose della regione, quali sono le sue caratteristiche? Quale è stato - se c'è stato - l'effetto di lungo termine dell'arrivo nel Paese di mujaheddini stranieri negli anni del conflitto?
Dopo l'11 settembre, la rappresentazione mediatica tende a semplificare la vicenda dell'Islam dei Balcani, mortificando sul nascere un dialogo che presenta caratteristiche estremamente importanti alla luce dell'attuale processo di costituzione europeo e di integrazione della regione.
Questo articolo è il primo di una serie di tre sull'argomento. Con questo articolo, inizia la collaborazione con Osservatorio sui Balcani il giornalista Esad Hećimović, del settimanale sarajevese Dani, cui la redazione di Osservatorio dà il più caloroso benvenuto!

Da Zenica, scrive Esad Hećimović

Karray Kamel bin Alì, noto come Abu Hamza, sta scontando una condanna a sette anni di carcere nel penitenziario di Zenica per l'omicidio di una persona di nazionalità araba non identificata con certezza, ma conosciuta come Abu Velid. L'Italia ha chiesto la sua estradizione nel 2002 per «associazione sovversiva con la finalità di terrorismo», ma il governo bosniaco ha respinto la richiesta.

L'Italia aveva richiesto, precedentemente a questo caso, la estradizione di almeno 15 persone di nazionalità araba e bosniaca, per la stessa imputazione - associazione in organizzazione criminale - a Bologna. I tribunali cantonali di Travnik e Sarajevo hanno respinto nel 1999 la richiesta di estradizione per Salih N. Nidal e Khalil Jarray, in base alla motivazione che non era possibile estradare un cittadino bosniaco.

Karray, Jarray e Nidal sono tra le centinaia di Arabi giunti in Bosnia durante la guerra tra il 1992 e il 1995, per aiutare i Musulmani bosniaci a difendersi dal genocidio. Nel 1992 Karray lavorava a Torino, alla Fiat, in attesa di un permesso di soggiorno permanente. «Un giorno, mentre facevamo le preghiere del mezzogiorno, l'Imam ha chiesto di tornare nel pomeriggio, per la preghiera pomeridiana, per ascoltare, se lo volevamo, la conferenza di uno sceicco che ritornava dalla Bosnia. Un uomo anziano ci ha raccontato quello che stava accadendo ai Musulmani in Bosnia, e piangeva. Io ho cominciato a piangere con lui. Non ho mai sofferto tanto nella mia vita come quel giorno. Abbiamo guardato una video cassetta in cui si vedevano ragazze violentate, vecchi assassinati, moschee e case date alle fiamme in Bosnia... Non sono potuto stare fermo. Già tre giorni dopo ero a Spalato, diretto a Travnik. Lì mi hanno messo con alcuni Arabi nel villaggio di Mehurići. Dopo due, tre settimane di addestramento, sono stato inviato sul campo di battaglia. Sono stato ferito tre volte in combattimenti contro i Serbi e i Croati - racconta Abu Hamza."

Nel gennaio del 1997, di fronte al centro islamico "Balkan", a Zenica, fondato da tre Arabi provenienti da Milano, Abu Hamza ha assassinato un altro Arabo, soprannominato Abu Velid. Sfuggito alla polizia, avrebbe presumibilmente soggiornato in Italia e Germania, da dove è stato infine estradato in Bosnia Erzegovina nel settembre del 2000. In questo periodo, Abu Hamza è stato interrogato in carcere dalla polizia bosniaca e tedesca. Afferma che tutte le accusa contro di lui sono false e inventate, e che a Zenica lui ha ucciso solo per legittima difesa.

Come Abu Hamza, nella Bosnia centrale sono giunti numerosi volontari islamici stranieri dalle città dell'Europa occidentale e del nord America, così come dall'Arabia Saudita e da altri Paesi del Golfo Persico, dal Pakistan, dall'Afghanistan. All'inizio combattevano in gruppi più piccoli, nei pressi di città come Bugojno, Travnik, Zenica, Tešanj e Zavidovići. Nel luglio del 1993, poi, un decreto dello Stato Maggiore dell'Armija BiH (l'esercito bosniaco musulmano, ndr) ordinò la costituzione del reparto "El Mudžahedin", all'interno del quale questi gruppi furono riuniti sotto uno stesso comando. Questa unità dell'esercito contava all'incirca 1.800 volontari, tra Bosniaci e stranieri. Le battaglie più importanti condotte da questo reparto sono state nei territori di Zavidovići e Maglaj, nel maggio e nel settembre del 1995. Il giorno della firma degli accordi di Dayton, il 14 dicembre del 1995, in un incidente sulla strada tra Zenica e Maglaj, vicino a Žepče, reparti speciali croati hanno ucciso 5 comandanti del reparto "El Mudžahedin". La persona più conosciuta tra i cinque era l'egiziano Anwar Shaban, già direttore del centro culturale islamico di Milano. Lo sceicco Shaban era la personalità principale, dal punto di vista religioso, all'interno di questa unità. I servizi di sicurezza egiziani, americani e italiani erano sulle sue tracce, mentre il governo bosniaco riteneva che lui non fosse nel Paese.

Alla fine della guerra, i gruppi di volontari locali e stranieri si sono stabiliti con le loro famiglie in case di profughi serbi nel villaggio di Donje Bočinje, sulla strada regionale tra Maglaj e Zavidovići. Nel villaggio vivevano circa 160 famiglie. L'ambasciata americana a Sarajevo ha avvisato per la prima volta nel settembre 1996 i cittadini americani rispetto a minacce per la loro sicurezza in quella zona. Nel novembre del 1995, la polizia bosniaca ha aperto nel villaggio una propria stazione. Il territorio era tenuto sotto controllo sia dalla brigata Polo Nord dell'esercito Sfor (la forza presente in Bosnia sotto egida Nato, ndr), sia dalla polizia internazionale dell'Iptf, che faceva base a Zavidovići. Sono stati sollevati molti sospetti sul fatto che in quel villaggio esistesse un campo di addestramento terroristico, ma questi dubbi non hanno mai trovato un riscontro. Tra la fine del 1999 e l'inizio del 2000 si sono registrati una serie di incidenti tra Sfor e mujaheddini nel villaggio di Bočinje presso Maglaj. Nel corso di una ispezione nel villaggio, il 26 dicembre del 1999, un generale norvegese è stato aggredito, per aver condannato un Sudanese. Nell'agosto del 2000, il comune di Maglaj ha cominciato a sgomberare gli occupanti abusivi, per permettere il ritorno dei profughi serbi. Nel corso del 2001, 131 famiglie sono state sloggiate. Nel frattempo, 7 proprietari hanno venduto le loro case a Bosniaco Musulmani. "Nel villaggio oggi vivono 15 famiglie di Bosniaco Musulmani e 70 di Serbi - ci dice Semin Rizvić, che ha sostituito alla guida di questa comunità locale Abu Hamza, un Palestinese che era arrivato nella ex Jugoslavia prima della guerra come studente. Tutte le case del paese, serbe e bosgnacche, sono state perquisite alcuni giorni fa, il 16 febbraio, dai soldati turchi in forza alla Sfor.

Nel novembre del '97, nella zona del monte Ozren presso Vozuća, è stata scoperta una fossa comune con 17 cadaveri, la maggior parte dei quali in uniforme militare e con la testa mozzata. I morti sono stati identificati come soldati serbi che erano stati fatti prigionieri. Ad oggi, nessuno è stato accusato per questo crimine. Per la responsabilità di comando in altri e simili delitti commessi contro civili nella Bosnia centrale, è stato incriminato dal Tribunale dell'Aja il generale Enver Hadžihasanović, ex comandante del terzo corpo d'armata dell'Armija BiH a Zenica. I crimini avvenuti nell'area di Zavidovići e Maglaj nel corso del 1995 devono ancora essere indagati.

I volontari e i missionari islamici stranieri hanno avuto numerosi scontri con la popolazione locale e con le locali comunità islamiche. Già nel 1993, l'egiziano Imad Al Misry ha pubblicato un libretto programmatico, "Le opinioni che dobbiamo correggere", nel quale si citano i presunti "errori" dell'Islam bosniaco. Tra questi errori ci sono, ad esempio, l'accettazione del nazionalismo e della democrazia. Questi tentativi di revisione dell'Islam bosniaco, tuttavia, non hanno avuto successo. Ciò nonostante, nel corso dell'addestramento militare durante la guerra e della educazione islamica dopo la guerra, più di un migliaio di giovani bosniaci, ragazzi e ragazze, sono passati all'insegnamento religioso condotto o ideato da questo Egiziano. Imad Al Misry era subentrato nel ruolo che già era dello sceicco Shaban, come principale leader religioso del movimento. E' stato tuttavia arrestato e deportato in Egitto nell'ottobre del 2001, dove doveva scontare una pena che gli era stata inflitta in quel Paese prima del suo arrivo in Bosnia.

Le forze della Nato presenti in Bosnia Erzegovina hanno condotto nel corso degli anni una serie di operazioni preventive di antiterrorismo, il cui obiettivo era quello di impedire la possibilità di attacchi terroristici. Lo scioglimento del reparto militare dei mujaheddini rappresentava una delle condizioni per l'aiuto economico e militare americano. Già negli accordi di Dayton era stabilito l'obbligo di ritiro dal territorio bosniaco entro un termine di 30 giorni di tutte le forze straniere, e in particolar modo dei consiglieri, volontari e addestratori. Gli aiuti non sono stati approvati fino a quando il presidente americano Clinton non ha confermato, con una propria lettera al Congresso del 26 giugno 1996, che tutte le forze straniere avevano lasciato la Bosnia Erzegovina e che la collaborazione a livello militare e di scambio di informazioni con l'Iran era stata interrotta. "Malgrado alcuni individui si siano integrati nella società bosniaca e abbiano assunto abiti civili, non ci sono prove che sia rimasta una qualsivoglia unità organizzata di mujaheddini", scriveva allora Clinton. Dopo la guerra, in Bosnia Erzegovina, sono state condotte numerose indagini antiterroristiche a livello nazionale e internazionale, ma questo giudizio di Clinton non è stato messo in discussione. (1-continua)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 8:07 am

CRIMINI E CRIMINALI DI GUERRA IN BOSNIA ERZEGOVINA - CONTABILITA' DEL "MACELLO BOSNIACO" TRA MEMORIA E RIMOZIONE
aprile 2001, di Ilario Salucci

http://www.ecn.org/balkan/0104bosniacrimini.html

La guerra bosniaca, dopo esser stata al centro di intensi dibattiti e iniziative nella sinistra italiana per i tre anni e mezzo della sua durata, è oggi una guerra dimenticata, se non addirittura rimossa.

A livello editoriale, a parte la traduzione dell'ottimo volume di Malcolm (un libro uscito originariamente nel 1994!) (1), questi ultimi cinque anni hanno visto l'uscita di ben poco, e di diseguale valore (2). Non mi sembra che le varie pubblicazioni della sinistra abbiano dato spazio a riflessioni e dibattiti retrospettivi su questa guerra, neppure in occasione di quella in Kosovo e dei bombardamenti della Nato sulla Federazione Jugoslava. Anzi in quell'occasione fu un lapsus generalizzato l'affermare che "per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale, paesi dell'Europa occidentale hanno direttamente partecipato a una guerra sul suolo europeo".
La cancellazione delle due settimane di bombardamenti Nato in Bosnia a partire dal 31 agosto 1995 fu la spia di una rimozione generalizzata dell'esperienza della guerra bosniaca. Questa dimenticanza e rimozione riguarda naturalmente anche l'aspetto dei "crimini di guerra" compiuti in Bosnia, delle loro vittime e dei loro carnefici.
In Italia, ad esempio, a differenza della Francia, della Gran Bretagna e degli Usa, della Germania, dell'Olanda, non un volume è stato pubblicato sul massacro di Srebrenica del luglio 1995. Quando a livello giornalistico (e non solo) si discute del Tribunale penale per i crimini di guerra commessi nell'ex Jugoslavia sicuramente si troverà il nome di Milosevic per quanto avvenuto in Kosova, ma molto probabilmente non si troveranno più quelli di Karadzic e Mladic.


Gli usi politici dei crimini di guerra in Bosnia

In Bosnia il discorso sui crimini di guerra è invece un terreno più che scottante. Da parte bosgnacca il ricordo dei massacri di massa e delle deportazioni subite viene pesantemente utilizzato dal SDA, che ha, con un impatto simbolico importante, messo come capolista alle ultime elezioni politiche Amor Masovic, il presidente della Commissione di Stato per gli scomparsi(*). Il discorso del SDA si snoda lungo i percorsi del martirologio musulmano, ritmato dalla scoperta ancora oggi quasi settimanale di fosse comuni, e molte volte si riduce a far rivivere in modo diretto i momenti traumatici della guerra e dei massacri, con una talvolta implicita e talvolta esplicita colpevolizzazione collettiva della parte serba. Quando a Tuzla è stato recentemente invitato per un festival musicale un gruppo rock di ragazzi della Republika Srpska, il SDA gridò allo scandalo, perché "questi prima ci sparavano e ci massacravano e adesso li invitiamo a suonare le canzonette". Questa assunzione politica da parte nazionalista bosgnacca, assunzione sventolata e gridata, fa da pendant al "settore democratico", dove la memoria dei massacri viene vista come un pericolo per l'avvicinamento tra le due entità della Bosnia, perché inaccettabile alla parte serba. La memoria delle vittime bosgnacche diventa davvero solo "capitale politico" del SDA ­ per taluni addirittura l'unico "capitale politico" che gli consente di avere un radicamento di massa.

Diversamente dalla parte croata e serbo bosniaca, nel campo bosgnacco ampio spazio è dato ai crimini di guerra di cui si rese a suo tempo responsabile l'Armija. Praticamente ogni caso rilevante è oggetto di copertura giornalistica in cui si succedono rivelazioni, accuse e controaccuse, dove la responsabilità personale di Izetbegovic viene sollevata apertamente. È una vera e propria guerra sotterranea che si sviluppa sulla questione dei crimini di guerra, anche a colpi di falsi(*), sul caso di Grabovica, di Uzdol, di Miletici, di Bugojno, di Zirovac, dei serbi di Sarajevo, di Srebrenica nel dicembre 1992 ­ gennaio 1993, del gruppo Seve, ecc. (3). Questo non impedisce che il discorso ufficiale tenuto dal SDA sia sostanzialmente negazionista: i crimini di guerra dell'Armija sarebbero totalmente insignificanti e determinati solo dalla rabbia e dalla volontà di vendetta di singoli gruppi di soldati (4).

Ai clamori, per un verso o per l'altro, di Sarajevo si oppone il silenzio di Banja Luka e di Mostar. Per entrambe ogni incriminazione da parte del Tribunale internazionale ai danni di propri concittadini è una "colpevolizzazione collettiva del popolo serbo" o "del popolo croato". La posizione del HDZ bosniaco è semplicemente la negazione che vi siano stati crimini di guerra commessi da parte croata ­ solo la conduzione della guerra patriottica. Da parte della Republika Srpska la tematica dei crimini di guerra è invocata a sostegno della lettura che viene fatta della guerra del 1992-1995, che sarebbe stata una guerra civile, etnica: a dimostrazione le atrocità che tutti i contendenti, e non una sola parte, hanno commesso. Ma al di là di questo discorso il silenzio è totale: non sono state fornite stime da parte serba delle proprie vittime durante la guerra; quando il giornale Nezavisne Novine, nonostante l'approccio comunque "patriottico", sollevò nel 1999 alcuni specifici casi di crimini di guerra compiuti ai danni dei musulmani, venne piazzata una bomba nella autovettura del suo direttore, Zeljko Kopanja: si salvò per miracolo, ma dovette subire l'amputazione di entrambe le gambe (5). A Banja Luka il discorso dei crimini è fondamentale per sostenere la propria lettura della guerra passata ­ purché questo discorso rimanga nei confini della semplice evocazione.


La guerra vista dall'Italia

Vi è una imbarazzante sintonia tra questo atteggiamento di Banja Luka e quello che fu durante (e dopo) la guerra bosniaca l'atteggiamento di molta sinistra italiana. Anche in Italia il paradigma di lettura degli avvenimenti bosniaci fu quello della "guerra etnica" (6), e venne pesantemente utilizzato l'argomento che "vittime e carnefici stanno da tutte le parti". Ed infine anche qui in Italia il discorso dei crimini di guerra, pur se utile per una certa argomentazione, rimase ad un livello evocativo.
Che quella bosniaca fosse una "guerra etnica" fu un dogma generalizzato. Secondo le parole di Giulio Marcon, quella bosniaca fu "una guerra interetnica, civile e nazionale non si può in modo semplicistico colpevolizzare solo le leadership nazionaliste [c'era] responsabilità e consenso di vaste parti delle comunità a un nazionalismo che affonda nella cultura e nelle coscienze delle popolazioni [c'è stato un] ricorso automatico alla violenza e [la] degenerazione di un conflitto determinato dall'odio nazionale [con] forme autistiche, gratuite, autodistruttive di violenza" (7).
In questo la sinistra si trovò in sintonia con l'opinione dei maggiori circoli dirigenti italiani. Venivano usate, dalla sinistra e dal governo, le stesse parole per dipingere la situazione bosniaca. Così il ministro della difesa Fabbri, dopo l'uccisione di tre volontari italiani in Bosnia, afferma il 1° giugno 1993 che c'è "un clima avvelenato e intossicato dalle fazioni in lotta, un ginepraio pericolosissimo e gravido di sangue". Matteo Moder su Il Manifesto di pochi giorni dopo (il 12 giugno) dice lo stesso concetto quasi con le stesse parole: c'è un "formicaio di fazioni e controfazioni, bande e controbande, che sparano su tutto ciò che si muove dai pacifisti italiani a chi attraversa la strada è un ginepraio inestricabile" (8). In quegli anni il termine più utilizzato negli articoli che trattavano della guerra bosniaca fu quello delle bande paramilitari, bande irregolari di tutti i colori e le specie - era la loro presenza, le loro azioni che disegnavano questo ginepraio bosniaco.
In realtà non esistevano bande paramilitari fuori controllo ­ ma formazioni militari ciascuna con precise linee gerarchiche. Oggi sappiamo con esattezza, ed al di là di ogni dubbio, che i crimini di guerra commessi furono pianificati dalle varie gerarchie militari e politiche, ed eseguite dai subordinati (9). Le cosiddette "unità speciali" che operarono in Bosnia furono formazioni militari che avevano altre linee gerarchiche rispetto alle unità standard: rispondendo direttamente allo staff di divisione (o gruppo operativo) o a quello del corpo d'armata, o alla direzione centrale del Ministero della Difesa, o a quella del Ministero degli Interni. Le linee gerarchiche potevano essere anche particolarmente complesse, come sembra sia stato il caso della strage di Ahmici (più di cento civili musulmani trucidati nell'aprile del '93), dove a un certo livello i personaggi chiave erano membri dei servizi di sicurezza croati che rispondevano direttamente a Tudjman e a Susak, a Zagabria (10). Ma per quanto complesse queste linee gerarchiche fossero, esistevano e inquadravano tutti i vari attori militari della guerra bosniaca.
Qui risiede l'elemento critico. Il fatto che crimini di guerra siano stati commessi da tutte le parti in conflitto sostanzia la visione di una guerra civile, di una guerra etnica popolare. Ma una volta che si analizzano i massacri terribili che sono stati commessi in Bosnia, il dove, il quando, il come, il perché, e con la responsabilità di chi, un'altra logica emerge, ben diversa.
Per questo i crimini e i criminali di guerra per qualcuno andrebbero sempre evocati, ma mai indagati.


Pulizia etnica e massacri di massa in Bosnia

La Bosnia dell'inizio anni '90 è irriconoscibile se raffrontata a quella che è emersa dalla guerra del 1992-95. Dalla fine della guerra non è stato effettuato alcun censimento e quindi non si dispone di dati certi, ma una serie di studi e di dati grezzi consentono di fare comunque tale raffronto (11).
Del centinaio di municipalità che la Bosnia contava nel periodo anteguerra, più di 40 risultano oggi divise tra le due entità in cui è divisa la Bosnia, la Republika Srpska (RS) e la Federazione di Bosnia-Erzegovina (FBH), portando a quasi 150 le municipalità oggi esistenti. Sul territorio dell'odierna RS si stima (a un più o meno il 10%) che la composizione nazionale nel 1991 fosse la seguente:

Bosgnacchi 550.000 33%
Serbi 800.000 48%
Croati 200.000 12%
Altri 120.000 7%
Totale 1.670.000

Dopo la guerra dei 550.000 bosgnacchi non ne rimanevano più di 25-30.000 ­ gli altri espulsi dalle loro case, fuggiti, o massacrati. Dei croati non ne rimanevano più di 10-15.000. Le stime sulle altre nazionalità (che nel 1991 per i due terzi erano persone che si definivano "jugoslavi", e che oggi probabilmente si identificano in una delle tre nazionalità principali della Bosnia) variano tra le 10.000 e le 50.000 persone. Le stime invece della popolazione serba in RS sono estremamente diverse, e variano dalle 800.000 al milione e mezzo (12) (questi dati includono i circa 40.000 rifugiati serbi croati presenti sul territorio della RS). A mio avviso un dato realistico è di circa 1.000.000 ­ 1.100.000 persone, comprensivo di circa 200.000 rifugiati serbi provenienti dalla FBH, ed altri 40.000 provenienti dalla Croazia.
La composizione nazionale della popolazione della RS all'uscita della guerra sarebbe quindi illustrata dal seguente prospetto:

Bosgnacchi 30.000 2,5%
Serbi 1.100.000 92%
Croati 15.000 1,2%
Altri 50.000 4,3%
Totale 1.195.000

La popolazione bosgnacca e croata nei territori della RS è quindi passata nel corso della guerra dal 45% a 3,7%, con un saldo netto negativo di circa 700.000 persone. Tutte le fonti, le testimonianze, i resoconti giornalistici, le ricerche sulla guerra bosniaca concordano nell'affermare che la grandissima maggioranza dei massacri e delle espulsioni di bosgnacchi e croati avvenne nei sei mesi che vanno dalla primavera all'autunno 1992. Se si tiene conto che successivamente, a un livello significativo, vi fu un'ondata di espulsioni a Prijedor nel 1994, le espulsioni e i massacri a Srebrenica e Zepa nel luglio 1995, e un'ondata di espulsioni di croati da Banja Luka nel settembre 1995, si può affermare che nei primi sei mesi di guerra circa 650.000 persone furono o massacrate o espulse dai territori dell'attuale RS. Per l'esattezza le vittime (quasi totalmente bosgnacche) furono in quei mesi tra le 50.000 e le 100.000 persone.
"Ripulire" la RS di tutte queste persone in un così breve lasso di tempo fu un'operazione estremamente complessa e che fu pianificata e organizzata a livello civile e militare per parecchi mesi prima dello scoppio della guerra. La logica dei massacri compiuti non fu solo di terrorizzare la popolazione civile perché scappasse, ma anche creare una definitiva frontiera di sangue e di orrori tra la popolazione serba e tutte le altre - rendere impossibile nel futuro ricreare la Bosnia d'anteguerra (13). La violenza scatenata fu solo apparentemente autistica e gratuita (e per nulla autodistruttiva), ma accuratamente pianificata ed eseguita. Vi furono sicuramente persone inequivocabilmente psicopatiche o sadiche che operarono in questa situazione (basti ricordare gli avvenimenti di Teslic denunciati da Kopanja, o i diversi massacri e uccisioni perpetrati nei campi di concentramento, su cui molto materiale è stato fornito in una serie di processi al Tribunale dell'Aja (14)), ma queste persone erano state appositamente messe in una posizione di responsabilità, perché la loro psicologia rispondeva alle esigenze politiche e militari del momento (15). Lo stesso discorso riguarda gli avventurieri e i puri e semplici gangster che operarono durante la guerra bosniaca.

Tracciare un quadro della situazione della FBH del dopoguerra è compito molto più difficile. All'aleatorietà delle stime (che riguarda evidentemente anche l'analisi della RS), si aggiungono movimenti di popolazione di grossa portata durante e dopo la guerra, che complicano infinitamente il tentativo di tracciare la composizione nazionale della FBH. La situazione al 1991 è con ogni probabilità data dal seguente prospetto (anche in questo caso con un più o meno 10%):

Bosgnacchi 1.350.000 50%
Serbi 550.000 21%
Croati 550.000 21%
Altri 220.000 8%
Totale 2.670.000

L'unica cosa che si può affermare sulla situazione alla fine della guerra è che la popolazione serba presente nel territorio della FBH era approssimativamente 80.000-100.000 persone. Delle persone rimanenti circa il 45% era rifugiato nella Federazione Jugoslava, un altro 45% nella RS ed il restante 10% in altri paesi, soprattutto europei. Sulla consistenza numerica delle altre nazionalità le stime esistenti sono troppo diverse fra loro per poter tentare una qualsiasi sintesi. Anche le stime sulla suddivisione della FBH tra i territori sotto il controllo dell'Armija e quelli sotto controllo del HVO sono troppo divergenti.
Quindi circa 450-470.000 persone di nazionalità serba, che risultavano residenti nell'attuale territorio della FBH, non risultano più vivere su questo territorio. Il processo per cui sono divenuti rifugiati è però molto più complesso di quello che ha portato all'esodo di bosgnacchi e croati dalla RS.
A differenza dell'esercito serbo bosniaco, la formazione dell'Armija è stata graduale, ed i primi due-tre mesi di guerra hanno visto la formazione di molti gruppi spontanei (16). Le strutture pre-esistenti della Difesa Territoriale e della Polizia sono state sconvolte dall'inizio della guerra e la struttura della Lega Patriottica (una formazione militare clandestina nata all'ombra del SDA nei mesi precedenti della guerra) era troppo limitata per costituire da subito lo scheletro del nuovo esercito bosniaco. Ciò ha comportato che le varie linee gerarchiche si sono via via formate e definite nel corso dei primi due-tre mesi di guerra: nell'arco di questo periodo vennero commessi dei crimini di guerra (come ad es. l'uccisione di civili serbi a Sarajevo, in una situazione di guerra strada per strada, senza ancora una precisa linea del fronte) da parte di singole unità. Questa situazione è stata tuttavia eccezionale e temporalmente molto limitata. A partire dal giugno 1992 l'elemento "spontaneo" della guerra non esiste più (17). I crimini perpetrati dalle formazioni croate sono decisi dai vertici militari del HVO e da quelli politici dell'Herceg Bosna e del HDZ. In campo bosgnacco la situazione è meno lineare. Le autorità di Sarajevo si dichiarano per una Bosnia multinazionale ed unita, e viene formato un governo di "unità nazionale" con i partiti antinazionalisti esistenti, con membri anche di nazionalità serba e croata. Secondo fonti dell'Armija, al suo nascere l'esercito bosniaco contava il 12% di ufficiali serbi e il 18% di ufficiali croati (*). All'interno del potere di Sarajevo esisteva tuttavia una potente lobby diretta dal "nucleo storico" del SDA che creò strutture parallele a quelle statali, e che si appropriò di una serie di leve di potere decisive (18). I crimini commessi da parte bosgnacca rinviano a questo "stato parallelo" creato dal SDA: le formazioni di "Caco" e "Celo" a Sarajevo, il gruppo Seve, l'unità di Zulfikar Ali Spaga, ecc. ecc. avrebbero avuto come linee gerarchiche non quelle formali date dalla struttura militare dell'Armija, ma linee gerarchiche che arrivavano direttamente ai massimi vertici politici del SDA (Izetbegovic) aggirando quelle statali. Questa lobby riuscì nel corso del tempo a controllare dapprima pezzi dell'apparato statale e militare (due punti di forza furono sempre il Ministero degli Interni ­ e quindi le relative forze di polizia, MUP - e il corpo d'armata di stanza a Zenica), e successivamente a "appropriarsene" definitivamente a partire dall'inverno '93-'94. Alcune zone significative, come Tuzla, rimasero tuttavia sotto il controllo di forze ostili al SDA e in questi territori non vi furono crimini di sorta. Alla fine della guerra tra gli ufficiali dell'Armija la percentuale di serbi e croati era scesa al di sotto dell'1%.
I crimini di guerra compiuti dalle forze croate e bosgnacche non raggiunsero comunque mai le dimensioni dei crimini compiuti dal SDS serbo bosniaco. Le vittime dei crimini compiuti dal SDS furono dell'ordine di molte decine di migliaia di persone, quelle dei crimini compiuti da HDZ e SDA nell'ordine di alcune migliaia di persone (di cui una percentuale significativa nel quadro della guerra croato-bosgnacca) (19). Questi crimini furono più legati alla dinamica militare specifica, se non addirittura a lotte politiche intestine. Anche l' HVO, che compì crimini molto più ampi di quelli commessi dalle forze bosgnacche, pur perseguendo la "pulizia etnica" delle zone sotto proprio controllo, non arrivò mai al livello dei massacri generalizzati che vi furono in RS: si "accontentò" delle stragi "strettamente necessarie" a far fuggire la popolazione che si voleva spostare.
La popolazione di nazionalità serba nei territori dell'attuale FBH subì sicuramente in alcune zone (non in tutte) violenze e uccisioni. Ma non vi fu alcun piano di espulsione preordinato attuato tramite massacri generalizzati. L'esodo in alcuni casi e la cacciata in altri di questa popolazione avvenne nel corso di tutta la guerra (l'ultimo atto furono le 50.000 persone che abbandonarono i quartieri di Sarajevo trasferiti secondo gli accordi di Dayton dall'autorità della RS a quella della FBH nel 1996), e in questo processo la progressiva conquista del potere a Sarajevo da parte dei nazionalisti bosgnacchi del SDA a detrimento dei settori contrari alla divisione della Bosnia ha avuto un peso politico decisivo.


"Vittime e carnefici" vi furono sicuramente da tutte le parti in conflitto ­ se si intende con "parti in conflitto" le popolazioni serba, croata e bosgnacca. La dimostrazione della "guerra etnica" sta nel suo stesso assunto, che le "parti in conflitto" siano le tre popolazioni bosniache.
Ma i crimini di guerra non furono il risultato "dell'odio e della vendetta", di forme "autistiche e gratuite" di violenza. Massacri e stragi erano pianificati e organizzati nella misura in cui erano funzionali a determinati fini. Indagandoli si trovano nomi, cognomi, partiti, gerarchie civili e gerarchie militari. Si scopre che quanto avvenne a Prijedor, Bijeljina, Foca non può neppure lontanamente essere paragonato a quanto avvenne a Konijc, a Sarajevo, a Zenica. Si scopre che la situazione del giugno 1992 non è neppure lontanamente paragonabile a quella del giugno 1994.
La logica della guerra civile, etnica non permette di spiegare quanto avvenne ­ la logica all'opera era un'altra.


Il Tribunale dell'Aja e la natura della guerra bosniaca

Ha ragione Danilo Zolo ad affermare che "il Tribunale dell'Aja è un tribunale che asseconda le grandi potenze occidentali" (20). La sua indipendenza è solo formale: per la nomina dei procuratori generali, per l'assenza di polizia giudiziaria, per il suo finanziamento. Le indagini del Tribunale dipendono sostanzialmente dal materiale fornito dall'intelligence delle varie grandi potenze e dal materiale che viene sequestrato dalla SFOR in Bosnia: in assenza di queste documentazioni l'attività principale del Tribunale ­ risalire le linee gerarchiche per punire chi decise dei crimini di guerra - verrebbe sostanzialmente annullata. La vicenda di Milosevic è esemplare: ancora oggi non è affatto incriminato per tutto quello che avvenne in Bosnia, dato che le potenze occidentali non han fornito alcuna documentazione a questo proposito, ma solo per i crimini commessi in Kosova. Appare scontata in questo contesto anche la non incriminazione dei vertici della Nato per il bombardamento di obiettivi civili durante la primavera del '99. Questa dipendenza è, in linea generale, di ordine strutturale, e non di ordine personale di questo o quel procuratore, presidente, investigatore o altro: le investigazioni del Tribunale finora rese note hanno un altissimo livello di professionalità, e ­ per quello che possono ­ cercano di risalire ai responsabili politici e militari dei crimini commessi. I processi ai massimi vertici politici e militari del HVO croato bosniaco e quelli ai massimi vertici dell'esercito serbo bosniaco lo dimostrano.
I processi per crimini di guerra celebrati finora in Bosnia risultano ben più condizionati politicamente: ne sono stati fatti ben pochi (in RS nessun serbo bosniaco è comparso davanti a un tribunale per crimini di guerra), per personaggi di second'ordine, senza alcuna ricerca delle responsabilità anche immediatamente superiori, con investigazioni molto approssimative e con una magistratura strettamente legata ai vertici politici (21).
Ma, al di là delle considerazioni di ordine giudiziario, solo la disponibilità delle "carte della guerra" permetterà di fare vera luce su quanto avvenne negli anni della guerra. In Croazia si è avuta con l'ascesa di Racan e Mesic una "rivoluzione in sedicesimo", e questo ha portato a un'apertura degli archivi presidenziali e dei servizi segreti di gran lunga inferiore al "sedicesimo" di cambiamento politico: ma anche solo questa limitatissima apertura ha mostrato tutta una serie di fatti e responsabilità per nulla marginali. Un discorso analogo potrebbe essere fatto per quanto riguarda la Bosnia. Le carte croate hanno provato gli stretti rapporti tra HDZ croato e SDS serbo, con il ruolo chiave di Ivica Rajic, pressoché di casa nell'esercito serbo bosniaco (22), il ruolo chiave dei servizi segreti di Zagabria nella strage di Ahmici, il fatto che il comandante in capo del HVO, il gen. Petkovic, presiedette di persona alla strage di Stupni Do. Immagino che gli archivi bosniaci possano fornire informazioni ben più importanti, e potranno permettere di vedere la guerra bosniaca in modo ben diverso dalla vulgata tradizionale ­ quella della guerra patriottica e nazionale del popolo serbo, o croato o bosgnacco, in un contesto, per gli uni, di guerra civile, per gli altri di guerra d'aggressione.
Questi archivi potranno permettere di cogliere l'ampiezza degli accordi ­ dietro il fragore delle battaglie ­ tra i tre soggetti politici principali, SDS, HDZ e SDA. Potranno permettere di tracciare la guerra politica che si sviluppò a Sarajevo e l'affermarsi del progetto di "stato dei musulmani" in piena sintonia con gli obiettivi delle leadership serbo bosniache e croato bosniache. Potranno permettere di cogliere il ruolo decisivo della cosiddetta "comunità internazionale" che fin da prima della guerra si mosse risolutamente nella direzione di una divisione della Bosnia con i "progetti Cutiliero", approvò compiaciuta la distruzione della società bosniaca nel 1992 (23), partecipò attivamente alla distruzione delle forze che si battevano per una Bosnia unita rafforzando il settore nazionalista musulmano, e risolse la guerra proclamando la democrazia e realizzando una struttura di apartheid nazionale con gli accordi di Dayton.
La posta in gioco nella guerra bosniaca fu ridisegnare la mappa degli equilibri serbo-croati nei Balcani ­ giungere a questi equilibri era nell'interesse sia di Zagabria, sia di Belgrado, sia delle maggiori capitali europee e nordamericane. In questi nuovi equilibri una piccola lobby bosgnacca poteva trovare anche qualcosa per sé. Per questo era necessario arrivare alla divisione della Bosnia attraverso la costituzione di "entità" omogenee sia dal punto di vista territoriale che dal punto di vista nazionale. Il "lavoro sporco" di distruzione nel sangue e negli orrori della società bosniaca venne assunto dal SDS e da Belgrado ­ nessuna divisione della Bosnia sarebbe stata possibile senza quest'opera preventiva - mentre le leadership croate e bosgnacche traevano i frutti di questa distruzione costruendo i loro apparati statali, e mettendoci del proprio per quello che fu loro possibile. La diplomazia internazionale ci mise i cartografi e i costituzionalisti e tutto il suo peso perché chi non accettava questa prospettiva fosse escluso dagli aiuti umanitari e dai rifornimenti militari (24). L'importante era che venissero cancellate quelle forze che fecero adottare a Sarajevo la "Piattaforma della Presidenza della Repubblica di Bosnia Erzegovina nelle condizioni di guerra" il 26 giugno 1992, dove si affermava che "la Bosnia Erzegovina non accetterà negoziati basati sulla costituzione di territori etnicamente omogenei o divisioni regionali della Bosnia Erzegovina secondo esclusive regole etniche" (25).
Il ruolo delle potenze occidentali è stato finora quello più sottaciuto o erroneamente interpretato. E' ben illustrato dal corso degli avvenimenti dell'ultimo anno di guerra (26). Fin da marzo tutti gli attori bosniaci erano al corrente che in estate vi sarebbe stato un intervento da parte della Croazia che avrebbe portato ad una "stretta diplomatica" decisiva, con una definizione della divisione della Bosnia realizzata direttamente sul terreno rispettando le percentuali fissate internazionalmente (49 vs 51%). E' in questa situazione che l'esercito serbo bosniaco decide l'offensiva alle enclaves orientali di Srebrenica e Zepa, e a Bihac a occidente (luglio 1995), e l'Armija si lancia in una (fallita e sanguinosissima (27)) offensiva per la liberazione di Sarajevo (giugno 1995). La definizione del processo negoziale che porterà a Dayton (e che presupponeva una situazione sul terreno che si realizzerà solo a settembre) viene elaborato a Washington a partire da metà giugno. La prospettiva di un intervento Nato si concretizza a metà luglio: Srebrenica è caduta, nessuno più parla di Zepa che sta per cadere e quindi non vi sono truppe dell'Onu che possono essere prese in ostaggio: si decide di cambiare il processo decisionale per dare il via ai bombardamenti e si definiscono entro i primi di agosto gli obiettivi. All'inizio di agosto vi è l'occupazione croata della Kraijna ­ non si può parlare di riconquista visto che l'esercito serbo croato non si impegnò sostanzialmente in nessuno scontro militare, e all'inizio dei bombardamenti ripiegò in Bosnia portando con sé la maggior parte dei civili (per quelli rimasti ci pensarono le truppe croate a cacciarli, compiendo massacri e radendo al suolo i villaggi). Alla fine di agosto iniziano i bombardamenti Nato su postazioni militari serbo bosniache, e all'inizio di settembre scatta l'offensiva dell'Armija e dell'esercito croato fino ad arrivare al fatidico 49-51%. A questo punto riprende il processo diplomatico.
I vari attori bosniaci e internazionali conoscevano anticipatamente le strategie altrui e le operazioni militari in preparazione, almeno quelle più importanti. La caduta di Srebrenica e Zepa furono un passaggio decisivo nel corso degli avvenimenti che portarono a Dayton, senza le quali non si sarebbero potuti realizzare i bombardamenti Nato (a causa del personale dell'Onu che sarebbe stato preso in ostaggio), senza le quali l'esercito serbo bosniaco non sarebbe riuscito a gestire l'offensiva croato-musulmana di settembre e senza le quali non vi sarebbe stato un accordo sulla città di Sarajevo. Sono stati sottolineati alcuni fatti inquietanti. I vertici di Sarajevo fin da marzo avevano richiamato una ventina di ufficiali da Srebrenica, compreso il comandante in capo dell'Armija dell'enclave. Washington fu pubblicamente accusata dal Tribunale dell'Aja per la non collaborazione sull'inchiesta per i massacri di Srebrenica. Il comandante di una delle unità che compì i massacri (la 10° unità di sabotaggio), Pelemis, ebbe successivamente relazioni strette con i servizi segreti francesi, e nel 1997 lavorò per loro, insieme a molti membri della sua unità, come mercenario nello Zaire. Ma anche se Washington, Parigi, Londra e Sarajevo non realizzarono un accordo formale e preventivo sulla caduta di Srebrenica, di certo l'operazione condotta dall'esercito serbo bosniaco fu ben accolta e vista con sollievo. Era perfettamente funzionale al successo del processo diplomatico, alla fine della guerra e alla divisione della Bosnia.


La cattiva coscienza della sinistra italiana

La sinistra italiana ­ mi limito alle posizioni espresse da il Manifesto, da Rifondazione Comunista e dall'insieme di realtà riunitesi nell'ICS ­ durante la guerra si espresse sempre a favore di una Bosnia Erzegovina unita e multinazionale, con poche eccezioni (Luciana Castellina e tavolta Tommaso Di Francesco). Il problema iniziava allorquando si passava dalle posizioni di principio alle prese di posizioni politiche concrete. Infatti la guerra bosniaca venne subito vista come una guerra civile tra tre popolazioni in cui nessuna speranza concreta vi era di mantenere o ricostruire la Bosnia multinazionale ­ per cui l'unica opzione era quella di terminare un macello senza senso a qualsiasi costo. Di qui l'importanza chiave data al ruolo di interposizione (dei pacifisti nonviolenti o delle truppe dell'Onu), di arrivare a un cessate il fuoco che congelasse le linee del fronte, della condanna delle azioni militari che venivano intraprese ­ e siccome dall'estate 1992 le forze serbo bosniache erano sulla "difensiva strategica" controllando il 70% del territorio e l'Armija era all'offensiva, era quest'ultima ad essere stigmatizzata il più delle volte, eccetto naturalmente il bombardamento di Sarajevo (ma larga diffusione ebbero le fantasiose costruzioni sull' "autobombardamento dei musulmani") e la conquista e il massacro di Srebrenica. La fine della guerra poteva arrivare solo da una soluzione diplomatica tra i vari attori della guerra, e venne quindi dato un sostegno alle varie soluzioni diplomatiche che vennero elaborate a livello internazionale.
Avendo questo approccio la sinistra in Italia non solo non fornì alcun appoggio ai settori che in Bosnia si battevano per una Bosnia unita (dall'aprile al novembre 1992 lo stesso governo di Sarajevo, e dal novembre 1992 al settembre 1993 importanti settori dello stato bosniaco), scoprendo la realtà di Tuzla solo nel 1994 quando questo settore era oramai marginalizzato a livello nazionale (più volte il Manifesto stigmatizzò Tuzla nel 1992 come sede degli "estremisti musulmani"!), ma soprattutto fece proprie posizioni diametralmente opposte a quelle sostenute da questo settore, che si concretizzavano nel rifiuto della divisione esistente della Bosnia, rigettando le soluzioni diplomatiche basate su questa divisione e affidando la ricostruzione della Bosnia multinazionale alla sconfitta militare in primo luogo del SDS e dell'esercito serbo bosniaco. Questo settore richiese sempre come rivendicazione principale la fine dell'embargo militare a Sarajevo, tutta la sinistra italiana richiese sempre come rivendicazione principale il rafforzamento dell'embargo militare a tutti gli attori della guerra. Inoltre con queste posizioni la sinistra italiana non colse assolutamente la catastrofe umana e sociale che la Bosnia visse nella primavera ­ estate del 1992, e non fece nulla (anche solo a livello di prese di posizione) per opporsi a questa catastrofe - non si poteva "prendere posizione per una delle parti in conflitto".
Ebbe quindi una posizione largamente in sintonia con quella dei governi occidentali. Si oppose a ogni ipotesi di intervento della Nato e denunciò l'allineamento statunitense alle posizioni di Sarajevo ­ confondendo completamente le posizioni politiche degli attori internazionali. L'allineamento di Washington alle autorità di Sarajevo fu sempre uno specchietto per le allodole neanche troppo velato: Washington non si differenziò in nulla dalle potenze europee nella sua volontà di arrivare a una divisione della Bosnia, e mai fino all'estate 1995 un intervento Nato fu all'ordine del giorno. Il problema era che se intervento Nato ci fosse stato (come vi fu nell'estate 1995) sarebbe stato solo e unicamente funzionale agli obiettivi politici delle potenze che componevano questa struttura militare (come in effetti fu allorquando si realizzò), e quindi l'opposizione alla Nato poteva avere un senso solo per questo motivo, come conseguenza dell'opposizione alla divisione della Bosnia. Invece si fecero discorsi largamente sprovvisti di senso sul fatto che "violenza chiama violenza" e che un intervento avrebbe solo fatto precipitare il conflitto (come se non fosse già precipitato dalla primavera 1992!). Quando i bombardamenti Nato ci furono davvero per due settimane, dal 31 agosto al 13 settembre a sinistra si tacque: non ci fu l'escalation mille volte esorcizzata, ed anzi si arrivò davvero in capo a qualche settimana a quello che a sinistra si chiedeva da anni: cessate il fuoco e soluzione diplomatica. In sostanza un bel pasticcio: a sinistra ci si oppose alla Nato non per quello che effettivamente perseguiva (la divisione della Bosnia), e vi fu un imbarazzato silenzio allorquando si scoprì che la Nato perseguiva ­ e otteneva - proprio quello che la sinistra chiedeva a gran voce (una soluzione negoziale).
Questa sintonia sostanziale tra sinistra e governi occidentali si concretizzò nell'intervento sul campo. L'ICS venne formata nel maggio 1993, e dopo l'uccisione dei tre volontari italiani in Bosnia centrale si ebbe stretta collaborazione tra Ministero degli Affari Esteri e "mondo del volontariato" italiano. Su questo Luigi Marcon, presidente dell'ICS, fornisce una ricostruzione precisa di quanto avvenne nel suo volume pubblicato lo scorso anno. Naturalmente difende il proprio percorso, senza alcuna autocritica. La logica era di effettuare una serie di interventi per ricostruire "dal basso" il tessuto sociale multinazionale bosniaco in assenza di prospettive politiche o militari a livello bosniaco generale. Questo intervento si tramutò però nel suo opposto: per poter operare nelle zone interessate dalla guerra le organizzazioni di volontari dovevano arrivare ad accordi con le autorità esistenti, operando nel quadro definito dalle strutture di potere bosniache. Ciò comportò che mai nessuna organizzazione dell'ICS denunciò crimini o criminali di guerra nelle zone in cui si trovarono ad operare, o sostenne o si fece promotrice di mobilitazioni della società bosniaca contro queste strutture di potere. Il problema era quello della "conciliazione nazionale" tra popolazioni che si odiano e si massacrano vicendevolmente, "conciliazione" assicurabile naturalmente solo dall'intervento dei volontari esteri (28).

"Oggi, dopo la guerra, le ragioni per odiarsi sono più numerose che mai. Rivolgendosi verso il passato, verso le montagne di cadaveri e di rovine, ogni uomo di buon senso fremerà di collera, piuttosto che versare lacrime di dispiacere e di tristezza. Chi ha fatto questo? Dov'è? Come è potuto succedere?" (29).
Solo le popolazioni bosniache potranno dare una risposta a queste domande, svelando i segreti, le responsabilità e la logica della guerra. In questo il Tribunale dell'Aja non sarà di loro aiuto ­ un esposto fatto dalle organizzazioni delle donne di Srebrenica contro i dirigenti dei paesi occidentali come complici dei massacri è stato definito "illogico" dall'Aja. Quando le popolazioni bosniache prenderanno in mano il loro destino non vi saranno spazi per le farse odierne sui Karadzic e Mladic ricercati ma che se vanno in giro tranquillamente. Per i carnefici sarà davvero la fine.
E allora, e solo allora, gli uomini e le donne bosniache potranno ricostruire la loro Bosnia.



NOTE

(1) Noel Malcolm, Storia della Bosnia, Bompiani, 2000
(2) Nel 1996 è stato pubblicato: Zlatko Dizdarevic ­ Gigi Riva, L'ONU è morta a Sarajevo, il Saggiatore; Paolo Rumiz, Maschere per un massacro, Editori Riuniti; Mimmo Lombezzi, Bosnia. La torre dei teschi, Baldini&Castoldi; Goran Todorovic, Sarajevo. Cronaca delle illusioni perdute, Ediesse; Toni Capuozzo, Il giorno dopo la guerra, Feltrinelli. Nel 1997: Fabio Martelli, La guerra di Bosnia, il Mulino; Edgar Morin, I fratricidi, Meltemi; M. Cherif Bassiouni, Indagine sui crimini di guerra nell'ex Jugoslavia, Giuffrè. Nel 1998: Luca Rastello, La guerra in casa, Einaudi; Josep Palau, Gli ultimi Moicani del Danubio, Selene. Nel 1999: Izbjeglice/Rifugiati, peQuod. Nel 2000: Giulio Marcon, Dopo il Kosovo, Asterios e il citato volume di Noel Malcolm.
(3) Si possono consultare, tra l'altro, le versioni inglesi di articoli del croato Nacional, e dei bosniaci Dani, Oslobodenje, Slobodna Bosna.
(4) Bernard-Henry Levy, Le testament d'Izetbegovic, Le Monde, 14 octobre 2000
(5) Alcuni degli articoli in questione sono disponibili anche in inglese nel sito Ex-YU Press.
(6) Per Tommaso Di Francesco una guerra non solo etnica, ma anche religiosa. Si v. Il Manifesto, 4 maggio 1993.
(7) Giulio Marcon, Dopo il Kosovo, Asterios, 2000, pp. 94-96. La tesi della guerra etnica sviluppata a sinistra non ha naturalmente nulla a che vedere con quella che vede la causa della guerra in presunti odii secolari: "la portata violenta dei nazionalismi [è] la veste moderna dei conflitti caratterizzati dalla reazione alla modernizzazione, dalla deformazione etnicista del principio della cittadinanza e dalla crisi dei modelli economici e del fondamento laico dello stato" idem, p. 135. A sinistra vi fu anche chi sposò le tesi elaborate a Pale, l'allora capitale della Srpska: si v. Luciana Castellina, Benzina sul fuoco, Il Manifesto, 10 agosto 1995.
(8) In realtà nel caso dei volontari italiani il responsabile non fu uno degli innumerevoli capobanda che infestavano la zona, come si disse all'epoca, ma il comandante di un battaglione della 317° Brigata dell'Armija, una persona con un grado equivalente a quello italiano di colonnello, e che aveva sotto i suoi ordini dai 300 ai 500 uomini, collocato in una precisa linea gerarchica, e che in precedenza (fino al gennaio 1993) ricoprì anche la carica di comandante della polizia militare della stessa brigata, e a questo titolo fu uno dei tre uomini che costituivano il massimo vertice della brigata in questione. Questo al tempo Fabbri lo sapeva - e mentì. Incredibilmente ancora nel marzo 2000 Giulio Marcon, presidente dell'ICS, si riferisce ai fatti del maggio '93 parlando ancora di "banda irregolare di musulmani bosniaci" (Dopo il Kosovo, Asterios, p. 191).
(9) Si vedano le decine di migliaia di pagine delle trascrizioni dei vari processi tenuti all'Aja (quelli più significativi sono i processi Blaskic, Kordic e Krstic), la montagna di documentazione resa nota, le stesse battaglie giornalistiche che riempiono quotidiani e periodici bosniaci, l'analisi minuziosa che di alcuni casi è stata fatta (Srebrenica, Prijedor, Brcko, ecc.) da ricercatori e giornalisti.
(10) Si v., tra i tanti, l'articolo di Nacional dedicato a questo caso.
(11) Mi baso sugli studi di Murat Praso (Bosnia Report, july-october 1996), di Ile Bosnjovic (in: Rusmir Mahmutcehajic, The Denial of Bosnia, Pennsylvania State University Press, 2000), sui dati relativi in massima parte al 1999 forniti dall'International Centre for Migration Policy Development (sito internet: http://www.icmpd-ric.org), su quelli forniti dall'ACNUR nel corso dei vari anni (particolarmente importante è Bosnia and Herzegovina, Repatriation and Return Operation ­ 1997, april 1997), e sui dati forniti da varie organizzazioni non governative, istituzioni e fonti giornalistiche.
(12) Il dato di un milione e mezzo di residenti serbi della RS deriva dalle autodichiarazioni fornite dalle varie autorità municipali della RS (dati ICMPD), molto probabilmente sopravvalutati per ottenere maggiori quote di aiuti umanitari internazionali.
(13) La finalità è quella di recidere nel modo più implacabile i legami sociali esistenti nella popolazione. Sulla tradizione del "komsiluk" in Bosnia si v. Xavier Bougarel, Bosnie. Anatomie d'un conflit, La Découverte, Paris, 1996 e in generale Jacques Semelin, Penser les massacres, febbraio 2001.
(14) Il processo Tadic ha ottenuto un po' di pubblicità anche in Italia. Il processo per il campo di Omarska, contro cinque imputati, è iniziato nel febbraio 2000, quello per il campo di Keraterm, contro tre imputati, nel marzo 2001. In aggiunta si veda Roy Gutman, A Witness to Genocide, New York, Macmillan, 1993 (trad. fr. Bosnie: témoin du genocide, Desclée de Brouwer, Paris, 1994) e Rezak Hukanovic, The Tenth Circle of Hell, New Republic.
(15) Molto si è parlato di crimini di guerra commessi "dai vicini di casa", con migliaia di persone che si sarebbero macchiate di atrocità. Sicuramente casi del genere sono avvenuti ­ le testimonianze in merito sono incontrovertibili ­ ma tuttavia la mia impressione è che il numero di persone che hanno commesso crimini sia largamente inferiore a quanto si ritenga normalmente. In molti casi i "vicini" che commisero crimini lo fecero perché sotto la minaccia di morte da parte di comandanti militari.
(16) Non esiste a mia conoscenza uno studio approfondito dei primi mesi della guerra bosniaca. Su Sarajevo: "Study of the battle and siege of Sarajevo" (allegato al rapporto della Commissione di esperti presieduta da M. Cherif Bassiouni), Laura Silber ­ Allan Little, The Death of Yugoslavia, London, 1995, gli articoli apparsi nel '92-'93 sulla rivista "YugoFax"-"War Report". Su Mostar: Francesco Strazzari ­ Nebojsa Bjelakovic, The Sack of Mostar, 1992-1994, working paper. Su Tuzla: Muhamed Borogovac, The War in Bosnia-Herzegovina 1992-1995, The Bosnian Congress, USA. Su Srebrenica: Jan Willem Honig ­ Norbert Both, Srebrenica. Record of a War Crime, Penguin Books, 1996, Chuck Sudetic, Blood and Vengeance, Penguin Books, 1998. Su Bihac : Brendan O'Shea, Crisis at Bihac, Sutton Publishing, 1998. Sulla Bosnia centrale alcune informazioni si possono trarre dalla sentenza e dai dibattimenti al processo contro Kordic e Cerkez al Tribunale dell'Aja. Non conosco alcuno studio in lingua occidentale sulla situazione che si ebbe nella Posavina. Alcune informazioni sulla situazione di Konjic si possono trarre dalla sentenza e dai dibattimenti al processo per il campo di Celebici al Tribunale dell'Aja.
(17) Una situazione anomala sembra che si sia creata nell'enclave di Srebrenica: nel periodo dal settembre 1992 al gennaio 1993 le forze bosgnacche sotto il comando di Naser Oric allargarono considerevolmente il territorio sotto il loro controllo compiendo diversi crimini di guerra ai danni di civili serbi di vari villaggi. Questo sembra essere l'unico caso di vera "guerra etnica": le forze bosgnacche erano per lo più formate da rifugiati che avevano visto e subito gli orrori della "pulizia etnica" e che si batterono secondo schemi di guerriglia quasi all'arma bianca, massacrando gli abitanti dei villaggi che conquistavano solo perché serbi. L'unità militare di Srebrenica era di fatto isolata e rispondeva ai vertici dell'Armija solo per decisioni di ordine strategico.
(18) Si v. Xavier Bougarel, Bosnian Islam since 1990: cultural identity or political ideology.
(19) La contabilità delle vittime della guerra bosniaca è materia evidentemente di scontri politici che durano tutt'oggi. Secondo alcune valutazioni di demografi (Praso e Bosnjovic) le vittime furono in totale tra le 270.000 e le 330.000 persone. Questi calcoli implicano però un tasso di crescita della popolazione bosniaca tra il 1992 e il 1995 identica a quella del periodo d'anteguerra, che mi sembra un'assunzione improbabile. Le cifre dei due demografi scenderebbero a 200-220.000 vittime se si ipotizzasse una crescita demografica nulla nel periodo della guerra (cioè un numero di nascite pari al numero di decessi per cause naturali). Anche così rimangono incongruenze significative: almeno secondo i dati di Bosnjovic (quello più dettagliato) le vittime croate, ipotizzando un tasso di crescita demografico nullo, sarebbero circa 22.000 persone, mentre le autorità croate han parlato di circa 10.000 vittime croate in Bosnia. Le vittime serbe sarebbero 50-55.000, mentre fonti non ufficiali di parte serbo bosniaca han parlato di 30.000 vittime nel proprio campo (cifra che personalmente mi sembra comunque largamente sopravvalutata). Un po' più realistiche mi sembrano le cifre avanzate dal segretario alla difesa statunitense William Perry nel giugno 1995: 130.000 vittime nel 1992, 12.000 nel 1993, 2.500 nel 1994; a queste si devono aggiungere circa 15.000 vittime nel 1995 (si v. Tim Ripley, Operation Deliberate Force, CDISS, 1999). Secondo questi dati vi sarebbero state circa 160.000 vittime. Personalmente mi sembra sopravvalutata anche quest'ultima stima.
Per quanto riguarda il rapporto tra vittime bosgnacche, croate e serbe un'indicazione di massima può essere il dato relativo agli scomparsi. Esistono due serie di dati: quelli della Croce Rossa che accettano l'iscrizione di una persona come "scomparsa" solo dietro denuncia di un familiare, e quelli delle Commissioni statali per gli scomparsi che invece accettano anche denunce fatte da vicini o conoscenti. Naturalmente anche questi ultimi dati sono una sottorappresentazione della realtà per tutti i casi in cui non vi sono più sopravvissuti in grado di denunciare la scomparsa di qualcuno. La Commissione statale di Banja Luka denuncia comunque 2.000 scomparsi serbi; quella di Sarajevo 28.000 tra scomparsi bosgnacchi e croati. I dati della Croce Rossa parlano invece di 1.000 scomparsi serbi, 700 croati e 16.000 bosgnacchi.
(20) Si v. Danilo Zolo, Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Einaudi, 2000.
(21) La fonte migliore per seguire in lingua inglese questi processi è Bosnia Press Digest. In aggiunta si può utilmente consultare il sito internet della missione Onu in Bosnia.
(22) Slobodna Dalmacija, giornale della destra tudjmaniana croata, per difendere la tradizione della guerra patriottica croata in Bosnia è arrivata fino ad affermare che in realtà Rajic era un'agente dei servizi segreti della Federazione Jugoslava!
(23) "Dev'essere saputo, e dev'essere sempre ricordato, che i cosiddetti leaders del mondo occidentale hanno saputo nello scorso anno e mezzo cosa stava succedendo qui Possa Dio perdonarli, possa Dio perdonare tutti noi". Dichiarazione di Luis Gentile, capo operazioni UNHCR a Banja Luka, cit. in Michael A. Sells, The Bridge Betrayed, Berkeley, 1996, pag. 115.
(24) Si v., tra l'altro, Rusmir Mahmutcehajic, The Denial of Bosnia, Pennsylvania State University Press, 2000 e David Campbell, Apartheid Cartography: the political anthropology and spatial effects of international diplomacy in Bosnia, Political Geography, 1999, pp. 395-435.
(25) Ampi stralci della piattaforma sono pubblicati in appendice a Catherine Samary, La fragmentation de la Yougoslavie, Amsterdam, 1992. Queste forze erano i vari partiti derivanti dalla disgregazione della vecchia Lega dei Comunisti (e organizzazioni collegate) e del Partito delle Riforme, varie realtà associative e sindacali e buona parte della stessa Lega Patriottica, che pur essendo stata creata all'interno del SDA espresse posizioni per l'unitarietà della Bosnia. Queste forze si definirono variamente: "civiche", "antinazionaliste" o "nazionaliste bosniache".
(26) La migliore ricostruzione fattuale del 1995 bosniaco è rintracciabile in Tim Ripley, Operation Deliberate Force. The UN and NATO Campaign in Bosnia 1995, CDISS, Lancaster, 1999. La strategia dell'esercito serbo bosniaco è stata illustrata sulla base di documenti riservati del periodo nel processo per Srebrenica all'Aja. Il processo di formazione della strategia statunitense è illustrato da Ivo H. Daalder, Getting to Dayton, Washington, 2000. Per altre opere si veda la bibliografia ragionata fornita dal Bosnian Institute di Londra.
(27) Dall'estate 1992 la guerra tra esercito serbo bosniaco e Armija fu una guerra di posizione, molto simile alla situazione che si ebbe in Europa durante la prima guerra mondiale. Il sistema di trincee e di campi minati faceva sì che le offensive fossero costosissime in termini di vite umane. E' stimato che due giorni di offensiva a Sarajevo costarono la vita a un migliaio di soldati.
(28) Si v. il volume molto stimolante del gruppo Alfazeta "L'illusione umanitaria. La trappola degli aiuti e le prospettive della solidarietà internazionale", pubblicato dalle ed. EMI nel 2001.
(29) Boris Buden, L'urbanità come alibi, Balkan n. 1, febbraio 2000.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 8:42 am

Cronołoja goera boxgnaca

http://digilander.libero.it/casaculture/bih/t.htm

Aprile 1990 Croazia: prime elezioni multipartitiche; vince il partito di centro-destra di Tuðman, l’HDZ (Unione Democratica dei Croati).

2 luglio 1990 Slovenia: l’Assemblea Nazionale dichiara la propria sovranità.

Agosto 1990 Croazia: 11 distretti della Krajina, a maggioranza etnica serba dichiarano l'autonomia da Zagabria; il governo arruola 20 mila gendarmi dotandoli di armi leggere.

Novembre 1990 Bosnia: prime elezioni multipartitiche; la maggioranza del voto musulmano va al Partito di Azione Democratica (SDA) di Izetbegović, favorevole alla proposta croata e slovena di una libera confederazione di stati sovrani.

Marzo 1991 Croazia: i distretti della Krajina chiedono l'annessione alla Serbia; milizie serbo-croate creano zone franche anche in Slavonia, nel nord est.

Marzo 1991 Serbia: grandi manifestazioni a Belgrado contro il governo di Milošević, l’esercito interviene con carri armati e blindati.

Marzo 1991 Karadjordjevo: in una vecchia villa di Tito si incontrano il Presidente Serbo Milošević e il Presidente Croato Tudjman, per definire le nuove aree di influenza dei due stati e preparare la spartizione della Bosnia Erzegovina; l'accordo viene ratificato a Brioni l'8 maggio.

Aprile 1991 Bosnia: sull’esempio della Krajina diverse circoscrizioni a maggioranza serba proclamano l'autonomia (in Bosnia circa il 40% della popolazione è musulmana, il 32% serba e circa il 18% croata, mentre circa l'8/10% continua a dichiararsi "jugoslava").

25 giugno 1991 Croazia e Slovenia: dichiarazione di indipendenza; il 18 luglio, dopo alcuni scontri, l'Armata federale si ritira dalla Slovenia.

26 agosto 1991 Croazia: milizie serbe attaccano Vukovar, interviene anche l'Armata federale; la città cade il 18 novembre con un bagno di sangue; a fine anno le milizie serbe controllano circa un terzo della Croazia.

16 dicembre 1991 La CEE decide che il 15 gennaio riconoscerà quelle Repubbliche che lo richiederanno entro il 23 dicembre e garantiranno i diritti delle minoranze; avanzano la richiesta Slovenia, Croazia, Bosnia e Macedonia. La Germania riconosce la Croazia e la Slovenia fin dal 23 dicembre.

7 gennaio 1992 Un Mig dell'Armata Jugoslava abbatte un elicottero disarmato dell'Esercito italiano che trasporta osservatori CEE. Muoiono il tenente colonnello Enzo Venturini, i marescialli Silvano Natale e Fiorenzo Ramacci, il sergente Marco Matta.

15 gennaio 1992 L’Unione Europea riconosce la Croazia e la Slovenia.

21 febbraio '92 Croazia: l’Onu invia 14 mila caschi blu; il 26 febbraio le assemblee serbo-croate di Krajina e di Slavonia eleggono Goran Hadzić presidente della "Repubblica serba di Krajina".

29 feb./1 mar. '92 Bosnia: referendum sull'indipendenza; la minoranza serba (31%) boicotta le urne; il 99 % dei votanti è per il "si".

5 aprile 1992 Bosnia: inizia l’assedio di Sarajevo; le milizie serbo-bosniache sparano sulla popolazione; presto passeranno sotto il comando del generale Mladić, già comandante delle milizie serbo-croate in Krajina; negli stessi giorni il "Parlamento del popolo serbo" proclama l'indipendenza della "Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina"; dopo pochi mesi i serbi controllano circa il 70% della Bosnia.

A Sarajevo presto si formerà un comando di difesa unificato composto dal musulmano Halivocić, il croato Siber e il serbo Divjak, tre ex-ufficiali federali.

In Erzegovina è stato costituito l'HVO (Consiglio di difesa croato), a cui partecipano inizialmente anche molti musulmani; si profila l'idea di una spartizione della Bosnia tra serbi e croati.

6 aprile 1992 L' Unione Europea riconosce la Bosnia Erzegovina; a Graz i serbi e i croati firmano una dichiarazione sulla spartizione della Bosnia; il 7 la Slovenia, la Croazia e la Bosnia sono riconosciute dagli Stati Uniti, il 23 vengono ammesse alle Nazioni Unite.

6 maggio 1992 A Graz, in Austria, si incontrano il leader croato-bosniaco Mate Boban e il leader serbo-bosniaco Radovan Karadæić, i quali siglano un'intesa di collaborazione, dichiarano chiuse le ostilità e si pronunciano a favore della "regionalizzazione della Bosnia su basi etniche".

20 maggio 1992 L'Hvo (Consiglio di Difesa Croato), dichiara l'assunzione dei pieni poteri civili e militari a Mostar, in Erzegovina.

27 maggio 1992 Strage del pane: a Sarajevo 23 persone in coda per il pane vengono uccise da un mortaio; i feriti sono 150.

3 luglio 1992 L'Hdz, il partito nazionalista croato di Erzegovina, emanazione dell'omonimo partito al governo in Croazia, e la sua formazione militare Hvo proclamano la "Comunità Croata di Herceg Bosna" e la "Comunità Croata della valle della Sava".

2 agosto 1992 La stampa americana rivela l'esistenza di campi d'internamento serbi e atrocità a danno dei musulmani. Secondo il governo bosniaco vi sarebbero circa 100 mila persone detenute in un centinaio di campi e prigioni.

Agosto 1992 Si scatena tra i croati erzegovesi un violento regolamento di conti tra le formazioni militari dell'Hvo e le formazioni dell'Hos (guidate da Paraga, uno dei reduci di Vukovar); il 23 agosto le unità Hos accettano di sottomettersi al comando dell'Hvo.

15 agosto 1992 Un convoglio di rifornimenti dell'Alto Commissariato ONU raggiunge Goraæde dopo cinque mesi d'assedio.

23-24 agosto '92 Bombe incendiarie distruggono la Biblioteca di Sarajevo; il 26 l'Armata bosniaca subisce pesanti perdite nel tentativo di rompere l'accerchiamento di Sarajevo.

3 settembre 1992 Bosnia: viene abbattuto un G-222 dell'Aeronautica italiana in volo verso Sarajevo con un carico di coperte; muoiono i quattro membri dell'equipaggio: il maggiore Marco Betti, il tenente Marco Rigliaco, i marescialli Giuseppe Buttaglieri e Giuliano Velardi.

21 settembre 1992 La Croazia annuncia che non accetterà più profughi bosniaci ma concederà esclusivamente il visto di transito.

28 settembre 1992 La stampa americana rivela che 3.000 musulmani sarebbero stati massacrati nel maggio-giugno 1992 dalle milizie serbe nei pressi di BrËko.

16 novembre 1992 L’ONU respinge la richiesta dei Paesi islamici di levare l'embargo sulle armi alla Bosnia.

24 dicembre 1992 Bilancio ufficiale delle autorità bosniache: 130.000 morti (8.000 dei quali a Sarajevo) e 140.000 feriti. Alla fine dell’anno si contano in Croazia circa 380 mila rifugiati dalla Bosnia, circa 40 mila rifugiati dal Kosovo e dalla Voivodina, circa 380 mila croati espulsi dalle zone sotto controllo delle milizie serbe; in Serbia si trovano circa 90 mila civili serbi espulsi dalle zone della Bosnia controllate dai croati o dai musulmani; la guerra ha assunto ovunque il carattere di "pulizia etnica".

2 gennaio 1993 Vance e Owen presentano a Ginevra un piano di pace basato sulla spartizione della Bosnia-Erzegovina tra serbi, croati e musulmani in decine di cantoni etnicamente omogenei.

9 gennaio 1993 Il vice-premier bosniaco Hakija Turajlić viene assassinato vicino all'aeroporto di Sarajevo mentre è a bordo di un blindato dei caschi blu francesi. Il mezzo viene fermato ad un posto di blocco serbo e un miliziano gli spara a bruciapelo.

18 gennaio 1993 Scade l'ultimatum lanciato al governo bosniaco da parte dell'Hvo croato-erzegovese, che pretende il controllo di Mostar e altre città: iniziano i primi bombardamenti contro l'esercito governativo bosniaco.

1 febbraio 1993 Un rapporto della UE afferma che in Bosnia sono state stuprate circa 20.000 donne.

13 marzo 1993 Il generale francese Philippe Morillon, comandante dei caschi blu, decide di restare nella città musulmana assediata di Srebrenica per ottenere il libero accesso dei convogli umanitari e la cessazione dell'offensiva serba. Il primo convoglio entra il 19 marzo e il giorno dopo 600 musulmani vengono evacuati verso Tuzla.

25 marzo 1993 A New York il presidente della Bosnia Alija Izetbegović sottoscrive il piano di spartizione elaborato da Vance ed Owen. Firma anche il croato-bosniaco Mate Boban, leader della "Repubblica di Herceg-Bosna". L'accettazione è vincolata al consenso dei serbi, che però lo negano.

15 aprile 1993 Violenti combattimenti tra forze croate e musulmane in Bosnia centrale; stragi di civili musulmani; a Mostar iniziano le prime deportazioni.

6 maggio 1993 Il Consiglio di Sicurezza decide la creazione di cinque nuove zone "protette" dopo quella di Srebrenica: Sarajevo, Bihać, Tuzla, Æepa e Goraæde. La risoluzione chiede il ritiro di tutte le unità serbe da queste zone.

9 maggio 1993 Le truppe dell’HVO attaccano la parte est di Mostar dove è attestato l’esercito governativo di Sarajevo. La città è assediata ed isolata dal resto del mondo; il governo di Zagabria invia in appoggio all'Hvo circa 15 mila soldati, mezzi pesanti e aerei Mig.

29 maggio 1993 Uccisi da una banda armata musulmana presso Novi Travnik tre volontari italiani che portavano un carico di aiuti umanitari. Sono Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni.

8 giugno 1993 L'armata bosniaca riconquista Travnik. Il presidente della Croazia Tuðman protesta per l'offensiva musulmana in Bosnia centrale.

15-20 giugno '93 A Podgorica (in Montenegro) il 15 si incontrano di nuovo i presidenti di Croazia e Serbia Tuðman e Milo1eviÊ,; il 20 si incontrano il croato-bosniaco Boban e il serbo-bosniaco Karadæić, che disegnano la mappa della nuova Bosnia che sarà fatta propria dai mediatori internazionali e riproposta nei successivi incontri come "piano Invincible", dal nome della portaerei dove sarà discusso il 20 agosto successivo.

30 giugno 1993 Le forze bosniache prendono il controllo di numerosi quartieri di Mostar; prosegue l'assedio della città da parte delle milizie croate dell'Hvo.

21 luglio 1993 Centinaia di rifugiati musulmani vengono internati in Croazia sull'isola di Obonjan.

20 agosto 1993 I mediatori internazionali David Owen e Thorvald Stoltenberg elaborano un nuovo piano di spartizione che prevede uno stato denominato Federazione delle Repubbliche di Bosnia-Erzegovina, articolato in tre repubbliche fortemente autonome: serba, croata e musulmana. Alla prima andrebbe il 52% del territorio, alla seconda il 18%, ai musulmani il 30%.

26 agosto 1993 Il primo convoglio umanitario entra a Mostar est.

29 settembre 1993 Il Parlamento di Sarajevo accetta il piano Vance-Stoltenberg, subordinandolo alla restituzione dei territori a maggioranza musulmana e occupati dai serbi. Serbi e croati ritirano le loro concessioni territoriali: il piano di pace è morto.

7 ottobre 1993 Un rapporto dell'Unprofor accusa le Forze armate croate di aver deliberatamente ucciso civili e di aver compiuto distruzioni sistematiche durante il loro ritiro da villaggi abitati da serbi, nel mese precedente.

20 ottobre 1993 Bosnia: quasi 6.000 croati fuggono dalla sacca di Vare1, attaccata dalle forze musulmane, che vi entrano il 4 novembre.

26 ottobre 1993 Parte a Sarajevo una decisa azione governativa contro le organizzazioni criminali annidate dentro l'esercito; il racket che avvolge l'intera distribuzione di aiuti umanitari viene represso con durezza. Diverse di queste bande agiscono come "difensori" della città dalla primavera del '92, quando sono l'unico punto di riferimento, e vengono inizialmente inquadrate nel nascente esercito bosniaco, ma con il tempo la loro presenza diventa ingombrante; i primi scontri iniziano già nell'ottobre del '92.

9 novembre '93 Bosnia: Distruzione del ponte di Mostar: nel 4° anniversario della caduta del muro di Berlino, reparti croati dell'Hvo distruggono il famoso ponte costruito 500 anni prima da un architetto persiano.

20 dicembre 1993 L'Assemblea Generale dell'ONU approva una risoluzione in cui si chiede la revoca dell'embargo sulle forniture di armi al governo di Sarajevo. Gli Stati Uniti votano a favore, gli europei si astengono.

24 dicembre 1993 Bosnia: Violata la tregua di Natale; ucciso a Bihać un casco blu francese.

1-15 gennaio '94 Bosnia: violenti combattimenti tra le milizie serbo-bosniache e le forze governative. Nei bombardamenti di Sarajevo muoiono almeno 84 persone e 420 restano ferite.

17 gennaio 1994 Una delegazione della Conferenza Islamica composta dai ministri degli esteri egiziano, iraniano, malese, pakistano, senegalese, tunisino e turco e del vice-ministro saudita, chiede che la NATO autorizzi gli attacchi aerei e che venga revocato l'embargo sulle armi alla Bosnia.

20 gennaio 1994 Nuovo accordo di normalizzazione tra Zagabria e Belgrado.

28 gennaio 1994 Bosnia: una troupe della Rai di Trieste viene sorpresa da un bombardamento croato a Mostar est: muoiono il giornalista Marco Lucchetta, l'operatore Alessandro Ota e il tecnico del suono Dario D'Angelo.

5 febbraio 1994 Bosnia: granate serbe sul mercato di Markale, in pieno centro di Sarajevo: 68 morti e 200 feriti.

23 febbraio 1994 Bosnia: "cessate-il-fuoco" tra croati e musulmani.

1-14 marzo 1994 Bosnia: Combattimenti a Tuzla e a Maglaj; 23 morti e 75 feriti nei bombardamenti. Inasprimento della "pulizia etnica" nella regione di Banja Luka contro croati e musulmani: i serbi compiono rastrellamenti casa per casa. Prima della guerra Banja Luka era serba al 54%. Agli osservatori ONU è negato l'accesso a questa regione.

18 marzo 1994 Croati e musulmani firmano un accordo a Washington e costituiscono la Federazione Croato-Musulmana, che di fatto si limita all'istituzione di alcune istanze federali comuni (presidenza federale, governo e parlamento) e ad una cooperazione militare limitata tra esercito bosniaco e HVO. Di fatto viene reciprocamente riconosciuto il controllo dei partiti nazionalisti musulmano (Partito dell'azione democratica, SDA, diretto dal presidente della Bosnia Alija Izetbegovic`) e croato (Comunità democratica croata, HDZ) sui rispettivi territori. La formazione del primo cantone a Tuzla (agosto 1994) degli otto che dovranno costituire la Federazione, si risolve nell'emarginazione della precedente amministrazione comunale gestita dai partiti "civici" (non nazionalisti), nel dominio del SDA e nel deterioramento delle relazioni con la minoranze locali. Dal canto suo l'HDZ continuerà a governare incontrastato nella autoproclamata "Repubblica croata d'Herceg-Bosna", con uno spazio monetario e doganale distinto ed economicamente integrato alla Croazia.

1 aprile 1994 Offensiva serbo-bosniaca contro la sacca musulmana di Goraæde ("protetta" dall'ONU): 159 morti, 652 feriti.

10 aprile 1994 Raid aerei NATO sulle postazioni serbo-bosniache intorno Goraæde; per rappresaglia le milizie serbe "mettono agli arresti domiciliari" quaranta osservatori dell'ONU, il 14 bombardano Tuzla e rapiscono sedici caschi blu canadesi, il 20 abbattono un caccia francese e uno britannico. A Goraæde i combattimenti continuano.

Aprile 1994 La Croazia conosce una fase di stabilità politica interna. Stipe Mesić e Josip ManoliÊ escono dalla HDZ (Comunità democratica croata, partito del presidente Franjo Tuðman, al potere dall'aprile 1990) e costituiscono il HND (Partito dei democratici indipendenti croati); in maggio l'opposizione si rifiuta di entrare in parlamento. La politica interna croata si è strutturata in un bipartitismo imperfetto, con il HDZ che, con poco più di un terzo dei voti, grazie al sistema elettorale maggioritario controlla tutti i più importanti mezzi di comunicazione, e il Partito liberale sociale croato (HSLS), principale partito d'opposizione con il 20% dei voti alle elezioni presidenziali dell'agosto 1992. L'HSLS è appoggiato dagli elettori della Dalmazia, a eccezione dell'Istria dove ha la maggioranza assoluta "la Dieta democratica istriana". Le altre formazioni, Partito del diritto croato (estrema destra), Partito contadino, Partito socialdemocratico, ex Partito comunista e Partito nazionale serbo sono semplici comparse.

25 aprile 1994 Usa, Russia, Francia e Gran Bretagna danno vita al "Gruppo di contatto".

10 giugno 1994 Rapporto di Mazowiecki sulle violazioni dei diritti umani. I serbi sono accusati di aver seminato il terrore a Goraæde e nei villaggi dei dintorni nei mesi di marzo ed aprile e di aver diretto i tiri d'artiglieria contro gli ospedali. Molti abitanti sono stati vittime di esecuzioni sommarie, la maggior parte dei cadaveri è stata mutilata e decapitata.

14 giugno 1994 Prima visita di Tuðman in Bosnia. Mentre a Sarajevo il presidente croato denuncia l'aggressione, l'incaricato d'affari croato a Belgrado consegna un messaggio sulla ripresa dei rapporti tra la Croazia e la Serbia, nella speranza di accelerare la restituzione dei territori occupati, pari a circa un quarto dell'intera Croazia. I serbi secessionisti della Krajina faranno fallire i negoziati tra la Croazia e la Serbia.

22 giugno 1994 Bosnia: Offensiva dei governativi bosniaci nella regione di Ozren. Circa 5.000 civili serbi, in maggioranza donne e bambini, vengono "evacuati".

23 giugno 1994 Bosnia: il Parlamento vota il nuovo governo che comprende dieci ministri musulmani, sei ministri croati e un ministro senza portafogli serbo.

5 luglio 1994 A Ginevra il Gruppo di Contatto adotta un piano che attribuisce il 51% della Bosnia alla Federazione croato-musulmana e il 49% ai serbi (che in quel momento ne controllano il 71%). Il 20 la Federazione croato-musulmana accetta il piano; il 28 i serbo-bosniaci lo bocciano.

5 agosto 1994 I serbi si riappropriano del loro armamento pesante custodito dai caschi blu nella zona di Sarajevo. Il Papa annuncia la sua volontà di visitare Sarajevo l'8 settembre; la visita sarà annullata per ragioni di sicurezza.

21 agosto 1994 Le forze governative bosniache causano la fuga dalla sacca di BihaÊ del secessionista musulmano Fikret AbdiÊ, che il 23 settembre 1993 aveva proclamato quella zona "autonoma", ribellandosi a IzetbegoviÊ e avviando un riavvicinamento ai serbi.

Ott-nov. 1994 Avanzata del V corpo dell'Armata bosniaca a BihaÊ. I serbi di Croazia intervengono a sostegno dei serbi di Bosnia; il governo di Zagabria non interviene; il V corpo d'Armata è costretto a cedere la maggior parte del territorio conquistato; il 22 dicembre 1994 viene concluso un accordo economico tra il governo croato e i serbi di Croazia.

27 novembre 1994 I serbi prendono in ostaggio 164 caschi blu nell'est della Bosnia. Altri 270 si trovano accerchiati nei centri di raccolta delle armi pesanti che stavano presidiando.

1 dicembre 1994 Disastrosa visita di Boutros-Ghali a Sarajevo: la popolazione lo fischia e KaradæiÊ si rifiuta di riceverlo a Pale; missione di Jimmy Carter dal 15 al 21 dicembre: viene ricevuto con tutti gli onori dai serbo-bosniaci a Pale; dopo Carter è la volta dell'inviato speciale di Boutros-Ghali, Yasushi Akashi.

24 aprile 1995 Colpito un aereo dell'Unprofor. Il tribunale dell'Aja per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia apre un inchiesta per il reato di genocidio su Radovan Karadæić e Ratko Mladić.

1 maggio 1995 Croazia: Offensiva lampo dell'Esercito Croato che riconquista larga parte dei territori croati della Slavonia occidentale occupati dai serbo-croati all'inizio della guerra.

7 maggio 1995 Nove bambini uccisi dalle bombe a Sarajevo; il 16 cadono sulla città mille granate in un solo giorno. La NATO propone un raid aereo; l'ONU lo blocca.

25 maggio 1995 I serbi bombardano Tuzla e provocano una strage tra gli avventori del bar Korzo: 71 morti, quasi tutti ragazzi. I caccia NATO bombardano due depositi di munizioni presso Pale; il 26 per rappresaglia i serbi prendono in ostaggio circa 400 "caschi blu" e osservatori dell'ONU e si impadroniscono dei restanti depositi di armi pesanti. Alcuni "caschi blu" vengono incatenati come "scudi umani". Queste immagini fanno il giro del mondo e diventano il simbolo dell'umiliazione dell'ONU.

28 maggio 1995 I serbi abbattono sopra BihaÊ l'elicottero che trasporta il ministro degli Esteri bosniaco Irfan Lubjankic. Sette morti, tra cui il ministro.

31 maggio 1995 Sbarca a Spalato il primo nucleo britannico della futura Forza di Reazione Rapida. Continua il bombardamento di Sarajevo e l'offensiva serba contro Goraæde, "zona protetta". In una lettera al Segretario generale dell'ONU, Karadæić esige, tra le condizioni per la liberazione dei "caschi blu" presi in ostaggio, che cessi l'uso della forza da parte dell'ONU. Si dimette Lord David Owen, co-presidente della Conferenza internazionale sulla ex Jugoslavia.

3 giugno 1995 I cinque ministri della Difesa dei paesi NATO e UE che partecipano all'Unprofor, riuniti a Parigi, annunciano la creazione della Forza di Reazione Rapida. Sarà composta da 12.500 soldati inglesi, francesi ed olandesi, col compito di proteggere i "caschi blu". Il 5 giugno il ministro degli Esteri russo esprime le riserve del suo paese.

4-14 giugno 1995 Croazia: Offensiva croata sulle alture che controllano le vie d'accesso a Knin, capoluogo della Krajina tenuta dai ribelli serbi.

16 giugno 1995 L'Armata bosniaca tenta un'offensiva per spezzare l'assedio di Sarajevo. I serbi concentrano truppe intorno alle "zone protette" di Srebrenica, Æepa e BihaÊ. Il Segretario generale dell'ONU lancia un appello per un cessate-il-fuoco, che resta del tutto inascoltato.

18 giugno 1995 Strage della coda per l'acqua a Sarajevo: sette morti e quattordici feriti. I serbi liberano gli ultimi caschi blu in ostaggio in cambio di 4 miliziani tenuti prigionieri dai "caschi blu" francesi.

28 giugno 1995 Bombe sul palazzo della TV bosniaca: cinque morti e quaranta feriti.

30 giugno 1995 Il governo bosniaco dichiara l'inviato Onu Yasushi Akashi persona non gradita.

5-11 luglio 1995 Bombardamenti e combattimenti a Srebrenica, che dall'aprile 1993 è stata proclamata "zona protetta" ed è stata disarmata. I "caschi blu" olandesi che la presidiano vengono presi in ostaggio dal generale Mladić.

10 luglio 1995 Il Consiglio di Sicurezza condanna l'attacco alla "città protetta" di Srebrenica. Il giorno dopo la città cade in mano alle milizie serbo-bosniache. Tardivo raid della NATO. Un fiume di migliaia di abitanti, cui si uniscono i circa 700 "caschi blu" olandesi, fugge a piedi verso Tuzla. Inizia la "Pulizia etnica". I miliziani di Mladić separano donne, anziani e bambini dagli uomini sopra i sedici anni. A fine novembre, un rapporto delle Nazioni Unite fissa in una cifra tra 3.500 e 5.500 la stima più attendibile del numero degli scomparsi.

14 luglio 1995 Ultimatum serbo alle forze bosniache di Æepa e di Goraæde; il 15 inizia l'offensiva. I bosniaci minacciano di utilizzare i 79 "caschi blu" ucraini che presidiano la città come "scudi umani" se la NATO non interviene; viceversa i serbi minacciano di aprire il fuoco sui "caschi blu" ucraini se la NATO interverrà.

19 luglio 1995 Karadæić lancia un ultimatum ai governativi a Goraæde, anch'essa "zona protetta". Offensiva su Bihać, anche questa "zona protetta", da parte dei serbi di Krajina e dei miliziani musulmani di Fikret AbdiÊ. L'Unprofor ammette di non essere in grado di difendere le "zone protette".

21 luglio 1995 Il Gruppo di Contatto si riunisce a Londra: un attacco dei serbi contro Goraæde comporta una reazione "sostanziale e decisiva". I ministri degli Esteri dell'Organizzazione della Conferenza Islamica riuniti a Ginevra dichiarano illegale l'embargo sulle forniture di armi alla Bosnia.

25 luglio 1995 Il tribunale internazionale dell'Aja incrimina Radovan Karadæić e Ratko Mladić per crimini contro l'umanità, gravi violazioni della Convenzione di Ginevra e crimini di guerra. Accusato di crimini di guerra anche Milan Martić, sedicente "presidente" della "Repubblica serba di Croazia", cioè della Krajina. Il tribunale emette un mandato di cattura internazionale contro i tre ed altre ventuno persone.

26 luglio 1995 I serbo-bosniaci entrano a Æepa. La popolazione è stata evacuata con l’aiuto dei caschi blu ucraini; il comandate bosniaco Avdo Palić viene sequestrato durante le trattative che si svolgono sotto la "protezione" dei caschi blu; viene condotto via in elicottero dal generale Mladić e risulta tuttora disperso.

27 luglio 1995 Dimissioni di Tadeusz Mazowiecki dall'incarico di relatore speciale sulle violazioni dei diritti umani nella ex Jugoslavia, per protesta contro la passività della comunità internazionale.

4 agosto 1995 Scatta l'offensiva della Croazia "Oluja-Tempesta", per la riconquista della Krajina. Inizia un gigantesco esodo di 200 mila serbi di Krajina verso le zone controllate dai serbi in Bosnia e anche verso la Serbia; preoccupazione del governo bosniaco per l'ulteriore pressione di popolazione di origine serba.

5 agosto 1995 I croati entrano a Knin, "capitale" della "Repubblica serbo-croata di Krajina", e insieme ai bosniaci spezzano l'assedio di BihaÊ. In Bosnia, KaradæiÊ destituisce MladiÊ da comandante in capo delle milizie serbo-bosniache; il generale si ribella e resta al suo posto.

11-21 agosto 1995 L'Alto Commissariato ONU calcola in 160.000 i profughi serbi della Krajina; numerosi rapporti riferiscono saccheggi e ruberie ad opera di formazioni armate croate nella Krajina ai danni dei profughi serbi.

28 agosto 1995 Seconda strage al mercato di Markale a Sarajevo: 41 morti, 84 feriti. KaradæiÊ accusa i bosniaci di aver "messo in scena" il massacro per bloccare il processo di pace; l'ONU stabilisce "al di là di ogni ragionevole dubbio" che le granate sono state lanciate dai serbi.

30 agosto 1995 Alle due del mattino scatta la rappresaglia della NATO contro obiettivi militari dei serbo-bosniaci e infrastrutture civili di uso militare. I raid si ripeteranno fino al 15 settembre.

8 settembre 1995 Primo successo di Holbrooke. I ministri degli Esteri di Bosnia, Croazia e Serbia sottoscrivono a Ginevra un documento che prevede il mutuo riconoscimento e sancisce che la Bosnia-Erzegovina "continuerà la sua esistenza legale entro i confini internazionalmente riconosciuti". Lo Stato bosniaco sarà tuttavia una "Unione" tra due "entità": la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serba, cui spetteranno rispettivamente il 51 ed il 49 per cento del territorio bosniaco.

14 settembre 1995 Holbrooke ottiene la firma dei serbo-bosniaci ad un accordo per il ritiro delle armi pesanti dai monti intorno a Sarajevo, in un raggio di 20 chilometri. Resteranno tuttavia in posizione i calibri inferiori a 100 millimetri. Dal canto loro i bosniaci accettano di porre la loro artiglieria pesante sotto il controllo dell'Unprofor.

18 settembre 1995 Bosniaci e croati sfondano le linee serbe in Bosnia centrale, raggiungono Prijedor e la regione di Banja Luka senza incontrare resistenza. Ondata di profughi serbi, civili e militari. Il Consiglio di Sicurezza intima la fine dell'offensiva. L'offensiva si arresta a 25 chilometri da Banja Luka.

26 settembre 1995 A New York secondo accordo tra bosniaci, serbi e croati circa i "principi di base" su cui poggerà l'assetto istituzionale della Bosnia-Erzegovina.

2 ottobre 1995 L'Unprofor calcola che la federazione croato-bosniaca controlla oramai il 52% del territorio della Bosnia-Erzegovina.

12 ottobre 1995 Un minuto dopo la mezzanotte entra in vigore il cessate-il-fuoco sull'intero territorio della Bosnia-Erzegovina. Il cessate-il-fuoco tiene, tranne che nel nord-ovest, dove croati e bosniaci sottopongono ad intenso bombardamento le posizioni serbe a Prijedor.

17 ottobre 1995 Dopo un lungo lavoro di sminamento della strada, un primo convoglio umanitario dell'ONU collega Sarajevo a Goraæde. Entusiasmo degli abitanti.

29 ottobre 1995 Elezioni legislative in Croazia. Al voto possono partecipare anche i croati dell'Erzegovina occidentale, sebbene non siano in alcun modo da considerarsi cittadini croati, bensì bosniaci. Malgrado la massiccia propaganda il HDZ di Tuðman, che si aspettava un plebiscito e puntava a controllare i due terzi del Parlamento, vince soltanto con il 44,82% dei voti.

1 novembre 1995 Iniziano a Dayton nell'Ohio i negoziati di pace tra IzetbegoviÊ, Tuðman e Milo1eviÊ (che rappresenta anche i serbi di Bosnia).

9 novembre 1995 Accordo tra Bosnia e Croazia per la riunificazione di Mostar, ora divisa tra quartiere occidentale (musulmano) e orientale (croato) sulle due sponde della Neretva.

12 novembre 1995 Accordo tra Serbia e Croazia per il ritorno pacifico e graduale della Slavonia orientale e della Baranja -ultimi territori croati ancora in mano ai serbi- sotto la sovranità di Zagabria entro due anni al massimo. I serbi che abitano la regione potranno restare e i loro diritti verranno garantiti; i croati che sono fuggiti potranno tornare. Il testo viene firmato anche dai separatisti serbi.

21 novembre 1995 Dopo ventuno giorni di negoziato Clinton annuncia il raggiungimento di un accordo. Poco dopo a Dayton, IzetbegoviÊ, Milo1eviÊ e Tuðman siglano il testo: la Bosnia-Erzegovina sarà uno stato unico ma diviso in due entità; la Federazione croato-musulmana avrà il 51% del territorio e la Repubblica Sprska il 49 per cento; ci saranno un presidenza, un governo centrale, un Parlamento bicamerale (due terzi dei membri eletti nella "Federazione" ed un terzo nella "Repubblica"), una Costituzione federale, una Corte costituzionale, una Banca centrale e un'unica moneta; il governo centrale è titolare della politica estera e monetaria, del commercio estero, delle comunicazioni e del controllo del traffico aereo. Ci sono molte novità: Sarajevo è la capitale e resterà unita e aperta, all'interno della Federazione croato-musulmana; Goraæde sarà collegata alla Federazione da un corridoio territoriale; lo statuto di BrËko verrà deciso da un arbitrato internazionale entro un anno; Srebrenica e Æepa resteranno alla Repubblica serba; una forza multinazionale di pace sotto il comando NATO e guidata da un generale americano, denominata IFOR (Implementation Force), sostituirà l'Unprofor nel controllo del cessate-il-fuoco, dello spazio aereo e in altre competenze, e potrà usare la forza per prevenire la violenza e consentire la libertà di movimento; le elezioni si terranno nel 1996; rifugiati e sfollati hanno il diritto di reclamare le proprie case o di ricevere un risarcimento, e di votare nella loro città di origine; le persone accusate di crimini di guerra dal tribunale internazionale dell'Aja non potranno ricoprire cariche pubbliche.

22 novembre 1995 Il Consiglio di Sicurezza vota la sospensione delle sanzioni alla Serbia (non l'abolizione) e la progressiva abrogazione dell'embargo sulle forniture di armi alla Bosnia-Erzegovina ed alle altre Repubbliche ex jugoslave.

23 novembre 1995 Milo1eviÊ convince i dirigenti serbo-bosniaci ad accettare il piano di pace.

14 dicembre 1995 Parigi: firma dell' accordo di pace siglato a Dayton da parte di Slobodan Milo1eviÊ, Franjo Tuðman e Alja IzetbegoviÊ, alla presenza dei dirigenti del Gruppo di contatto, Bill Clinton, Jacques Chirac, Helmut Kohl, John Major e Viktor Tchernomyrdine, di Félipe Gonzales, di quaranta ministri degli Esteri, in particolare di paesi islamici, e del presidente del gruppo di contatto della Conferenza Islamica (OCI), Abdellatif Filali.

In Bosnia, su una popolazione che prima della guerra era di circa 4 milioni e 350 mila persone, si stimano due milioni di profughi e sfollati, di cui circa la metà fuori dai paesi della ex-Jugoslavia, circa 200 mila morti e 30 mila scomparsi., ancora oggi sono più di un milione i bosniaci lontani da casa.



Principali avvenimenti della storia recente del Kosovo

27 novembre 1968 Manifestazioni di studenti albanesi a Prishtina e in altre città: ci sono scontri con la polizia, uno studente muore, ci sono circa 40 feriti tra gli studenti e la polizia, 22 persone sono arrestate.

Dicembre 1968 Vengono adottati emendamenti costituzionali;

Giugno 1971 La Provincia Autonoma di Kosovo e Methoija diventa la Provincia Socialista Autonoma del Kosovo, con una propria legge costituzionale; la parola minoranza etnica viene sostituita con il termine "nazionalità".

24 febbraio 1974 Viene adottata la nuova costituzione della SFRJ, lo stato federale viene decentralizzato e le provincie diventano "elementi costitutivi della federazione"; nel decennio 1971-1981 la popolazione serba scende dal 18,3 al 13,2%; a causa della crisi economica più di 100 mila serbi e montenegrini sono emigrati dal Kosovo; il tasso di natalità della popolazione albanese è il più alto d'Europa, pari a circa il 40 per mille. Il tasso di disoccupazione cresce dal 18,6% al 27,5%.

11 marzo 1981 Inizia una nuova fase di dimostrazioni; la prima protesta è degli studenti della mensa universitaria di Prishtina, a causa della cattiva qualità del cibo. La protesta si allarga nel paese e nei temi di malcontento.

26 marzo 1981 Scontri tra studenti e polizia, ventitré dimostranti e poliziotti restano feriti; 22 persone sono arrestate.

1 aprile 1981 Le manifestazioni si estendono nella provincia e agli studenti universitari si uniscono lavoratori e altri cittadini, 8 persone restano uccise negli scontri , molti riportano ferite da arma da fuoco; viene ucciso anche un poliziotto. L'organo del Partito del Lavoro Albanese di Tirana ("Zeri I populit") a differenza di occasioni precedenti, appoggia la rivolta e la richiesta di una libera repubblica del Kosovo, attaccando la leadership serba.

1982-1983 Continua l'emigrazione dal Kossovo di circa 10 mila serbi e montenegrini.

prima metà anni '80 Sull'organo del Partito Comunista del Kossovo (Rilindja) compiano articoli "difensivi" che criticano le forzature interpretative che compaiono su alcuni giornali di Belgrado.

metà anni '80 Esce il memorandum dell'Accademia Serba delle Scienze e delle arti: secondo gli accademici già dal 1981 era iniziata in Kosovo una guerra totale contro i serbi.

Aprile 1987 Il Neo Presidente del Presidium della Lega dei Comunisti di Serbia, Slobodan Milosević tiene un discorso ad un gruppo di serbi e montenegrini di Kosovo Polje. In pochi mesi rinnova completamente i vertici del partito sostituendoli con amici più fedeli.

Estate 1987 Milosević organizza "meeting spontanei" mobilitando migliaia di persone in nome della "rivoluzione antiburocratica" per "l’orgoglio della coscienza serba"

Novembre 1988 Duemila minatori albanesi di Stari Trg organizzano una marcia pacifica lunga 55 km e chiedono di annullare il cambiamento imposto alla dirigenza politica provinciale e il reintegro del leader comunista Azem Vlasi, che si era opposto alla cancellazione dell'autonomia del Kosovo. La stessa dirigenza comunista si era pronunciata contro il nascente nazionalismo albanese.

Febbraio 1989 Mille minatori albanesi di Trepca iniziano uno sciopero della fame; si uniscono alla protesta altri lavoratori e gli studenti. Lo sciopero generale si estende in tutta la regione. La principale richiesta è di revocare il mandato alla nuova dirigenza comunista, che si dimostra arrendevole di fronte alla cancellazione dell'autonomia del Kosovo. Molti restituiscono la tessera al partito.

Marzo 1989 Il partito di Milosević diventa il primo della Serbia. Viene approvata ufficialmente la nuova Costituzione dove si sancisce la definitiva soppressione dell’autonomia del Kosovo e della Vojvodina. Gli emendamenti di modifica della costituzione vengono approvati in un parlamento circondato dai carri armati e da unità della polizia. Nelle successive proteste muoiono alcune decine di dimostranti e la polizia interviene molto duramente per riportare la calma. Quarantaquattro dirigenti politici albanesi vengono incarcerati con l’accusa di "complicità con i nazionalisti".

Giugno 1989 Slobodan Milosević organizza a Kosovo Polje una manifestazione per celebrare il sesto centenario della battaglia del "campo dei merli" contro gli Ottomani, partecipano un milione di persone.

Luglio 1989 Milosević viene eletto presidente della Serbia. In Kossovo viene proclamato lo stato di emergenza. Il comitato centrale della Lega dei comunisti di Jugoslavia lo accusa di voler diventare il padrone assoluto del paese. Il Parlamento Sloveno approva un emendamento alla Costituzione della Repubblica che prevede il diritto alla secessione attraverso referendum popolare.

Gennaio 1990 Continui scontri fra polizia ed albanesi. Almeno dieci persone vengono uccise dalla polizia.

Febbraio 1990 La Jugoslavia invia truppe di terra, aerei da guerra e 2000 poliziotti in Kosovo. Vengono uccise più di 20 persone. Imposto il coprifuoco.

Aprile 1990 Milosević cambia tattica, pone fine allo stato di emergenza e libera un centinaio di detenuti politici tra cui lo scrittore Adem Demaci, incarcerato per quasi venti anni di "attività nazionaliste".

primavera 1990 Il Kosovo è sull'orlo della guerra civile. La "nuova" dirigenza politica albanese cambia improvvisamente tattica e ha inizio il periodo di resistenza pacifica, anche se nel frattempo lo scontro tra serbi e albanesi in realtà è diventato totale, la cancellazione dell'autonomia ha favorito il rinascere del nazionalismo albanese; l'obiettivo diventa quello di una totale indipendenza del Kosovo.

settembre 1990 In seguito ad un referendum clandestino viene autoproclamata la Repubblica del Kosovo, guidata dallo scrittore Ibrahim Rugova, il quale invita all resistenza passiva. Duecento professori albanesi vengono cacciati dalle scuole, radio e TV vengono chiuse, settantacinquemila persone licenziate. Negli anni successivi non avviene nessuna manifestazione.

29 novembre 1990 Il giornale International Herald Tribune pubblica un rapporto della CIA dove dice testualmente "l’esperimento socialista è fallito, il paese è allo sfascio e lo smembramento della Federazione sarà accompagnato da violenze etniche e da agitazioni che porteranno alla guerra civile"

maggio 1992 Gli edifici ufficiali sono chiusi agli albanesi ma il Parlamento parallelo si riunisce presso la sede degli scrittori; si organizza in Kossovo una società parallela, con strutture scolastiche private, in hangar e locali di fortuna, sostenuta dal finanziamento della diaspora kosovara nel mondo. Rugova considera la resistenza passiva l'unica strada, temendo che la radicalizzazione porti invece al massacro. Continua la repressione della polizia serba, con perquisizioni alla ricerca di armi e provocazioni. La guerra nella vicina Bosnia fa "dimenticare" il Kosovo.

7 luglio 1992 Viene proclamata ufficialmente la Repubblica del Kosovo riconosciuta solo dall’Albania di Salhi Berisha.

Ottobre 1992 Dopo tre anni di scontri iniziano trattative fra serbi ed albanesi del Kosovo per una soluzione pacifica del conflitto.

Primavera 1993 La polizia arresta trenta albanesi sospettati di progettare una rivolta armata.

Luglio 1995 Un tribunale serbo condanna 68 albanesi ad otto anni di carcere con l’accusa di aver organizzato una polizia parallela.

Agosto 1995 Migliaia di profughi serbi, vittime della pulizia etnica croata apportata nelle Krajine, vengono ospitati nel Kosovo causando le proteste dei leaders albanesi in quanto accusano la dirigenza serba di voler serbizzare il Kosovo.

Dicembre 1995 Vengono firmati gli accordi di Dayton, che pongono fine alla guerra in Bosnia.

Inizio 1996 Accordo fra dirigenza serba ed albanesi kosovari per il ritorno degli studenti albanesi nel sistema scolastico ufficiale dopo sei anni di boicottaggio. Fa la sua prima comparsa l'UÇK-Esercito di Liberazione del Kosovo, che in febbraio rivendica attentati dinamitardi. nel corso di scontri con la polizia, manifestazioni e attentati, muoiono nei mesi successivi alcune decine di persone.

Autunno 1996 Ibrahim Rugova e Slobodan Milo1evic firmano un accordo. Sul sistema scolastico a cui non seguono le speranze attese; nascono i primi malcontenti e dissidi all'interno della leadership politica kosovara. Tra i leader politici che iniziano apporsi in alternativa a Rugova, emerge Demaci. Intanto nel corso del 1997 l'UÇK continua gli attentati terroristici contro i comandi della polizia serba.

Gennaio 1997 Il rettore serbo dell’Università di Prishtina viene gravemente ferito in un attentato. Il presunto capo dell’UÇK viene ucciso in uno scontro a fuoco.

Marzo 1997 Una bomba esplosa nel centro di Prishtina ferisce gravemente quattro persone.

Settembre 1997 Commandos di guerriglieri UÇK effettuano attacchi simultanei in 10 stazioni di polizia. Continui scontri fra polizia e manifestanti.

Dicembre 1997 Un attacco viene portato in un campo profughi di serbi, vengono accusati i guerriglieri dell’UÇK.

Gennaio 1998 Per rappresaglia un politico serbo viene ucciso.

Marzo 1998 Le forse di polizia serba iniziano una operazione su vasta scala contro villaggi del Kosovo considerati base dell'UÇK; muoiono più di un centinaio di persone e circa 70 mila persone fuggono verso l'Albania e la Macedonia. Si hanno manifestazioni e scontri tra polizia e dimostranti anche a Prishtina; la comunità internazionale inizia a preoccuparsi. Il leader albanese Ibrahim Rugova a sorpresa chiede che la comunità internazionale riconosca immediatamente l’indipendenza del Kosovo. Elezioni clandestine per il Parlamento kosovaro, considerate illegali da Belgrado e boicottate dall’ala estrema dei Kosovari l’UÇK.

Aprile 1998 Il 90% dei serbi votano un referendum contro l’internazionalizzazione della crisi del Kosovo considerandola una questione interna. Il Gruppo di Contatto per la ex Jugoslavia si accorda, ad eccezione della Russia, all’imposizione di sanzioni economiche contro la Serbia.

Maggio 1998 Tour diplomatico di Richard Holbrooke in Serbia e nelle principali città europee. Le forze serbe iniziano una violenta offensiva contro i separatisti UÇK.

Estate 1998 L'UÇK controlla circa il 40% del territorio del Kosovo; i combattimenti con le polizia serba provoca la fuga di circa 300 mila abitanti della zona. L’UNHCR dichiara lo stato di catastrofe umanitaria, migliaia di civili trovano rifugio nei boschi. Alla fine dell’estate l’UÇK ha la peggio sull’esercito serbo e la sua immagine si indebolisce nei confronti dell’opinione pubblica kosovara-albanese. In Albania, dove ha sede ufficialmente l’UÇK, viene ucciso il braccio destro di Berisha. La colpa viene scaricata su Fatos Nano, Primo Ministro socialista e contrario all’indipendenza del Kosovo, ma c’è chi parla anche di regolamento di conti all’interno dell’UÇK dopo il fallimento della campagna estiva. Berisha tenta un colpo di stato in Albania. Fatos Nano riprende il controllo ma viene fatto dimettere su pressione italiana ed americana mentre Berisha inspiegabilmente non viene incarcerato. Il nuovo Primo Ministro albanese è il socialista Bandeli Majko che adotta una politica pro indipendenza del Kovovo.

Settembre 1998 Le Nazioni unite adottano la risoluzione 1.199 con un avvertimento a Belgrado e minacciando l'uso della forza.

Ottobre 1998 la Nato impartisce un ordine di attivazione, poi sospeso dopo l'inizio del ritiro delle forse serbe dalla provincia.

17 Ottobre 1998 Inizia l’operazione "Eagle eye". Voli Nato di ricognizione sulla Serbia e sul Kossovo per verificare il rispetto della risoluzione Onu

Dicembre 1989 In seguito ad un accordo raggiunto dallo statunitense Holbrooke si insediano nel Kosovo circa 1500 verificatori dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). A guidare i 1500 verificatori OSCE è l’ambasciatore ed ex agente della CIA, attivo nella guerra "sporca" americana in Nicaragua, W. Walker. Più della metà dei verificatori OSCE sono ex ufficiali militari.

Gennaio 1999 Le Forze serbe attaccano il villaggio di Racak; vengono ritrovati quarantacinque cadaveri kosovari massacrati in circostanze oscure.

Febbraio 1999 Su iniziativa della Unione Europea si riuniscono a Rambouillet i rappresentanti del "Gruppo di contatto per la ex Jugoslavia", il presidente della Serbia ed i rappresentanti civili e militari della controparte albanese-kosovara per tentare di trovare una via di uscita alla crisi del Kosovo. Le trattative vengono sospese per due settimane. Entrambe le parti in lotta rifiutano di firmare il trattato di pace.

Marzo 1999 Seconda sessione delle trattative a Rambouillet sul Kosovo. La parte moderata kosovara guidata da Rugova e la parte militare dell’UÇK guidata da Thaci firmano l’accordo. I serbi non firmano. Richard Holbrooke inizia una lunga e frenetica trattativa a Belgrado per evitare l’attacco Nato. Thaci, leader politico dell’UÇK, viene chiamato negli Stati Uniti per colloqui con esponenti politici e militari americani.

24 Marzo 1999 La Federazione Jugoslava viene bombardata dalle forze Nato. Le maggiori città serbe e montenegrine sono bersaglio dell’aviazione e della marina della Nato. Le forze militari e paramilitari serbe iniziano una feroce pulizia etnica nel Kosovo.

Dall’inizio delle bombardamento Nato in Jugoslavia si calcola che circa 800.000 profughi siano stati cacciati dalle loro case con il solito corollario di stragi, campi di concentramento e fosse comuni. La maggior parte di loro sono fuggiti in Albania, Macedonia, Montenegro. La guerra, durante la stesura di queste note, continua ancora con i suoi tragici bollettini. Civili uccisi dalle forze serbe o per "errore" dalle forze Nato.

Allo stato attuale ancora non si prospetta una fine a breve termine della guerra.

Acronimi

ARMIJA Esercito Governativo Bosniaco

BiH Bosnia Erzegovina

CEE Comunità Europea

EU Unione Europea

FFR Forza di Intervento Rapida (Inglesi e Francesi)

HB Herceg-Bosna (Repubblica dei Croati di Bosnia)

HDZ Unione Democratica Croata

HND Partito dei Democratici Indipendenti

HOS Forza di Liberazione Croata

HSLS Partito Liberale Sociale Croato

HVO Consiglio di Difesa Croato (Esercito dei Croati di Bosnia)

ICS Consorzio Italiano di Solidarietà

IFOR Forza d’Implementazione Internazionale

JNA Esercito Popolare Jugoslavo

LDK Lega Democratica del Kosovo, partito indipendentista di Rugova.

NATO Forza di Sicurezza dei Paesi Occidentali

OCI Conferenza dei Paesi Islamici

ONU Organizzazione delle Nazioni Unite

OSCE Organizzazione per ls Sicurezza dell’Europa Occidentale

RS Repubblica Serba di Bosnia

SDA Partito di Azione Democratica

SDS Partito Socialista Serbo

SFOR Forza di Stabilizzazione Internazionale

SPD Partito Socialista Bosniaco

UNHCR Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati di Guerra

UNPROFOR Forza di Sicurezza dell’ONU

UÇK Esercito di Liberazione del Kossovo

ritrorna all'indice
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab mar 26, 2016 8:59 am

Cronołoja goera Kosovo

http://digilander.libero.it/casaculture/bih/t.htm


Principali avvenimenti della storia recente del Kosovo

27 novembre 1968 Manifestazioni di studenti albanesi a Prishtina e in altre città: ci sono scontri con la polizia, uno studente muore, ci sono circa 40 feriti tra gli studenti e la polizia, 22 persone sono arrestate.

Dicembre 1968 Vengono adottati emendamenti costituzionali;

Giugno 1971 La Provincia Autonoma di Kosovo e Methoija diventa la Provincia Socialista Autonoma del Kosovo, con una propria legge costituzionale; la parola minoranza etnica viene sostituita con il termine "nazionalità".

24 febbraio 1974 Viene adottata la nuova costituzione della SFRJ, lo stato federale viene decentralizzato e le provincie diventano "elementi costitutivi della federazione"; nel decennio 1971-1981 la popolazione serba scende dal 18,3 al 13,2%; a causa della crisi economica più di 100 mila serbi e montenegrini sono emigrati dal Kosovo; il tasso di natalità della popolazione albanese è il più alto d'Europa, pari a circa il 40 per mille. Il tasso di disoccupazione cresce dal 18,6% al 27,5%.

11 marzo 1981 Inizia una nuova fase di dimostrazioni; la prima protesta è degli studenti della mensa universitaria di Prishtina, a causa della cattiva qualità del cibo. La protesta si allarga nel paese e nei temi di malcontento.

26 marzo 1981 Scontri tra studenti e polizia, ventitré dimostranti e poliziotti restano feriti; 22 persone sono arrestate.

1 aprile 1981 Le manifestazioni si estendono nella provincia e agli studenti universitari si uniscono lavoratori e altri cittadini, 8 persone restano uccise negli scontri , molti riportano ferite da arma da fuoco; viene ucciso anche un poliziotto. L'organo del Partito del Lavoro Albanese di Tirana ("Zeri I populit") a differenza di occasioni precedenti, appoggia la rivolta e la richiesta di una libera repubblica del Kosovo, attaccando la leadership serba.

1982-1983 Continua l'emigrazione dal Kossovo di circa 10 mila serbi e montenegrini.

prima metà anni '80 Sull'organo del Partito Comunista del Kossovo (Rilindja) compiano articoli "difensivi" che criticano le forzature interpretative che compaiono su alcuni giornali di Belgrado.

metà anni '80 Esce il memorandum dell'Accademia Serba delle Scienze e delle arti: secondo gli accademici già dal 1981 era iniziata in Kosovo una guerra totale contro i serbi.

Aprile 1987 Il Neo Presidente del Presidium della Lega dei Comunisti di Serbia, Slobodan Milosević tiene un discorso ad un gruppo di serbi e montenegrini di Kosovo Polje. In pochi mesi rinnova completamente i vertici del partito sostituendoli con amici più fedeli.

Estate 1987 Milosević organizza "meeting spontanei" mobilitando migliaia di persone in nome della "rivoluzione antiburocratica" per "l’orgoglio della coscienza serba"

Novembre 1988 Duemila minatori albanesi di Stari Trg organizzano una marcia pacifica lunga 55 km e chiedono di annullare il cambiamento imposto alla dirigenza politica provinciale e il reintegro del leader comunista Azem Vlasi, che si era opposto alla cancellazione dell'autonomia del Kosovo. La stessa dirigenza comunista si era pronunciata contro il nascente nazionalismo albanese.

Febbraio 1989 Mille minatori albanesi di Trepca iniziano uno sciopero della fame; si uniscono alla protesta altri lavoratori e gli studenti. Lo sciopero generale si estende in tutta la regione. La principale richiesta è di revocare il mandato alla nuova dirigenza comunista, che si dimostra arrendevole di fronte alla cancellazione dell'autonomia del Kosovo. Molti restituiscono la tessera al partito.

Marzo 1989 Il partito di Milosević diventa il primo della Serbia. Viene approvata ufficialmente la nuova Costituzione dove si sancisce la definitiva soppressione dell’autonomia del Kosovo e della Vojvodina. Gli emendamenti di modifica della costituzione vengono approvati in un parlamento circondato dai carri armati e da unità della polizia. Nelle successive proteste muoiono alcune decine di dimostranti e la polizia interviene molto duramente per riportare la calma. Quarantaquattro dirigenti politici albanesi vengono incarcerati con l’accusa di "complicità con i nazionalisti".

Giugno 1989 Slobodan Milosević organizza a Kosovo Polje una manifestazione per celebrare il sesto centenario della battaglia del "campo dei merli" contro gli Ottomani, partecipano un milione di persone.

Luglio 1989 Milosević viene eletto presidente della Serbia. In Kossovo viene proclamato lo stato di emergenza. Il comitato centrale della Lega dei comunisti di Jugoslavia lo accusa di voler diventare il padrone assoluto del paese. Il Parlamento Sloveno approva un emendamento alla Costituzione della Repubblica che prevede il diritto alla secessione attraverso referendum popolare.

Gennaio 1990 Continui scontri fra polizia ed albanesi. Almeno dieci persone vengono uccise dalla polizia.

Febbraio 1990 La Jugoslavia invia truppe di terra, aerei da guerra e 2000 poliziotti in Kosovo. Vengono uccise più di 20 persone. Imposto il coprifuoco.

Aprile 1990 Milosević cambia tattica, pone fine allo stato di emergenza e libera un centinaio di detenuti politici tra cui lo scrittore Adem Demaci, incarcerato per quasi venti anni di "attività nazionaliste".

primavera 1990 Il Kosovo è sull'orlo della guerra civile. La "nuova" dirigenza politica albanese cambia improvvisamente tattica e ha inizio il periodo di resistenza pacifica, anche se nel frattempo lo scontro tra serbi e albanesi in realtà è diventato totale, la cancellazione dell'autonomia ha favorito il rinascere del nazionalismo albanese; l'obiettivo diventa quello di una totale indipendenza del Kosovo.

settembre 1990 In seguito ad un referendum clandestino viene autoproclamata la Repubblica del Kosovo, guidata dallo scrittore Ibrahim Rugova, il quale invita all resistenza passiva. Duecento professori albanesi vengono cacciati dalle scuole, radio e TV vengono chiuse, settantacinquemila persone licenziate. Negli anni successivi non avviene nessuna manifestazione.

29 novembre 1990 Il giornale International Herald Tribune pubblica un rapporto della CIA dove dice testualmente "l’esperimento socialista è fallito, il paese è allo sfascio e lo smembramento della Federazione sarà accompagnato da violenze etniche e da agitazioni che porteranno alla guerra civile"

maggio 1992 Gli edifici ufficiali sono chiusi agli albanesi ma il Parlamento parallelo si riunisce presso la sede degli scrittori; si organizza in Kossovo una società parallela, con strutture scolastiche private, in hangar e locali di fortuna, sostenuta dal finanziamento della diaspora kosovara nel mondo. Rugova considera la resistenza passiva l'unica strada, temendo che la radicalizzazione porti invece al massacro. Continua la repressione della polizia serba, con perquisizioni alla ricerca di armi e provocazioni. La guerra nella vicina Bosnia fa "dimenticare" il Kosovo.

7 luglio 1992 Viene proclamata ufficialmente la Repubblica del Kosovo riconosciuta solo dall’Albania di Salhi Berisha.

Ottobre 1992 Dopo tre anni di scontri iniziano trattative fra serbi ed albanesi del Kosovo per una soluzione pacifica del conflitto.

Primavera 1993 La polizia arresta trenta albanesi sospettati di progettare una rivolta armata.

Luglio 1995 Un tribunale serbo condanna 68 albanesi ad otto anni di carcere con l’accusa di aver organizzato una polizia parallela.

Agosto 1995 Migliaia di profughi serbi, vittime della pulizia etnica croata apportata nelle Krajine, vengono ospitati nel Kosovo causando le proteste dei leaders albanesi in quanto accusano la dirigenza serba di voler serbizzare il Kosovo.

Dicembre 1995 Vengono firmati gli accordi di Dayton, che pongono fine alla guerra in Bosnia.

Inizio 1996 Accordo fra dirigenza serba ed albanesi kosovari per il ritorno degli studenti albanesi nel sistema scolastico ufficiale dopo sei anni di boicottaggio. Fa la sua prima comparsa l'UÇK-Esercito di Liberazione del Kosovo, che in febbraio rivendica attentati dinamitardi. nel corso di scontri con la polizia, manifestazioni e attentati, muoiono nei mesi successivi alcune decine di persone.

Autunno 1996 Ibrahim Rugova e Slobodan Milo1evic firmano un accordo. Sul sistema scolastico a cui non seguono le speranze attese; nascono i primi malcontenti e dissidi all'interno della leadership politica kosovara. Tra i leader politici che iniziano apporsi in alternativa a Rugova, emerge Demaci. Intanto nel corso del 1997 l'UÇK continua gli attentati terroristici contro i comandi della polizia serba.

Gennaio 1997 Il rettore serbo dell’Università di Prishtina viene gravemente ferito in un attentato. Il presunto capo dell’UÇK viene ucciso in uno scontro a fuoco.

Marzo 1997 Una bomba esplosa nel centro di Prishtina ferisce gravemente quattro persone.

Settembre 1997 Commandos di guerriglieri UÇK effettuano attacchi simultanei in 10 stazioni di polizia. Continui scontri fra polizia e manifestanti.

Dicembre 1997 Un attacco viene portato in un campo profughi di serbi, vengono accusati i guerriglieri dell’UÇK.

Gennaio 1998 Per rappresaglia un politico serbo viene ucciso.

Marzo 1998 Le forse di polizia serba iniziano una operazione su vasta scala contro villaggi del Kosovo considerati base dell'UÇK; muoiono più di un centinaio di persone e circa 70 mila persone fuggono verso l'Albania e la Macedonia. Si hanno manifestazioni e scontri tra polizia e dimostranti anche a Prishtina; la comunità internazionale inizia a preoccuparsi. Il leader albanese Ibrahim Rugova a sorpresa chiede che la comunità internazionale riconosca immediatamente l’indipendenza del Kosovo. Elezioni clandestine per il Parlamento kosovaro, considerate illegali da Belgrado e boicottate dall’ala estrema dei Kosovari l’UÇK.

Aprile 1998 Il 90% dei serbi votano un referendum contro l’internazionalizzazione della crisi del Kosovo considerandola una questione interna. Il Gruppo di Contatto per la ex Jugoslavia si accorda, ad eccezione della Russia, all’imposizione di sanzioni economiche contro la Serbia.

Maggio 1998 Tour diplomatico di Richard Holbrooke in Serbia e nelle principali città europee. Le forze serbe iniziano una violenta offensiva contro i separatisti UÇK.

Estate 1998 L'UÇK controlla circa il 40% del territorio del Kosovo; i combattimenti con le polizia serba provoca la fuga di circa 300 mila abitanti della zona. L’UNHCR dichiara lo stato di catastrofe umanitaria, migliaia di civili trovano rifugio nei boschi. Alla fine dell’estate l’UÇK ha la peggio sull’esercito serbo e la sua immagine si indebolisce nei confronti dell’opinione pubblica kosovara-albanese. In Albania, dove ha sede ufficialmente l’UÇK, viene ucciso il braccio destro di Berisha. La colpa viene scaricata su Fatos Nano, Primo Ministro socialista e contrario all’indipendenza del Kosovo, ma c’è chi parla anche di regolamento di conti all’interno dell’UÇK dopo il fallimento della campagna estiva. Berisha tenta un colpo di stato in Albania. Fatos Nano riprende il controllo ma viene fatto dimettere su pressione italiana ed americana mentre Berisha inspiegabilmente non viene incarcerato. Il nuovo Primo Ministro albanese è il socialista Bandeli Majko che adotta una politica pro indipendenza del Kovovo.

Settembre 1998 Le Nazioni unite adottano la risoluzione 1.199 con un avvertimento a Belgrado e minacciando l'uso della forza.

Ottobre 1998 la Nato impartisce un ordine di attivazione, poi sospeso dopo l'inizio del ritiro delle forse serbe dalla provincia.

17 Ottobre 1998 Inizia l’operazione "Eagle eye". Voli Nato di ricognizione sulla Serbia e sul Kossovo per verificare il rispetto della risoluzione Onu

Dicembre 1989 In seguito ad un accordo raggiunto dallo statunitense Holbrooke si insediano nel Kosovo circa 1500 verificatori dell'OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). A guidare i 1500 verificatori OSCE è l’ambasciatore ed ex agente della CIA, attivo nella guerra "sporca" americana in Nicaragua, W. Walker. Più della metà dei verificatori OSCE sono ex ufficiali militari.

Gennaio 1999 Le Forze serbe attaccano il villaggio di Racak; vengono ritrovati quarantacinque cadaveri kosovari massacrati in circostanze oscure.

Febbraio 1999 Su iniziativa della Unione Europea si riuniscono a Rambouillet i rappresentanti del "Gruppo di contatto per la ex Jugoslavia", il presidente della Serbia ed i rappresentanti civili e militari della controparte albanese-kosovara per tentare di trovare una via di uscita alla crisi del Kosovo. Le trattative vengono sospese per due settimane. Entrambe le parti in lotta rifiutano di firmare il trattato di pace.

Marzo 1999 Seconda sessione delle trattative a Rambouillet sul Kosovo. La parte moderata kosovara guidata da Rugova e la parte militare dell’UÇK guidata da Thaci firmano l’accordo. I serbi non firmano. Richard Holbrooke inizia una lunga e frenetica trattativa a Belgrado per evitare l’attacco Nato. Thaci, leader politico dell’UÇK, viene chiamato negli Stati Uniti per colloqui con esponenti politici e militari americani.

24 Marzo 1999 La Federazione Jugoslava viene bombardata dalle forze Nato. Le maggiori città serbe e montenegrine sono bersaglio dell’aviazione e della marina della Nato. Le forze militari e paramilitari serbe iniziano una feroce pulizia etnica nel Kosovo.

Dall’inizio delle bombardamento Nato in Jugoslavia si calcola che circa 800.000 profughi siano stati cacciati dalle loro case con il solito corollario di stragi, campi di concentramento e fosse comuni. La maggior parte di loro sono fuggiti in Albania, Macedonia, Montenegro. La guerra, durante la stesura di queste note, continua ancora con i suoi tragici bollettini. Civili uccisi dalle forze serbe o per "errore" dalle forze Nato.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Islam

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti