Bosnia, Kosovo e Albania cavalli o navi di Troia dell'Islam?

Bosnia, Kosovo e Albania cavalli o navi di Troia dell'Islam?

Messaggioda Berto » lun mar 30, 2015 11:46 am

Bosnia, Kosovo e Albania cavalli o navi di Troia dell'Islam ?
Bosnia e Kosovo cavalli o navi di Troia de l'Islam ?
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =92&t=1502


Le bandiere nere dell'islam sventolano già in Europa
Viaggio nella roccaforte di salafiti al confine tra Bosnia e Croazia In tanti si sono già arruolati per la "guerra santa" in Siria e Iraq
Fausto Biloslavo - Lun, 30/03/2015
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 11011.html

Le bandiere nere sventolano in Bosnia, ad un passo dall'Italia, ben più vicine rispetto alla Libia. Il viaggio fra le comunità dei 3mila estremisti salafiti annidati nel cuore dei Balcani inizia ad Osve, un ex villaggio serbo sperduto fra le colline nella Bosnia centrale. Per raggiungerlo c'è solo una strada sterrata neppure segnata sulle mappe. Sembra desolato, a parte la bandiera nera che sventola con la professione di fede musulmana, molto simile a quelle di Al Nusra, la costola di Al Qaida dei ribelli siriani.

«Non sono certo contento della perdita di mio figlio, ma con la sua morte si è compiuta la volontà di Allah» spiega Hamdo Fojnica offrendoci tè e biscotti nella spartana stanza della preghiera del villaggio. Suo figlio Emrah, 23 anni, nome di battaglia Khattab, si è fatto saltare in aria in Irak. Il papà del kamikaze con il barbone salafita ammette: «È terribile perdere un figlio, ma se Allah decidesse che pure i suoi due fratelli devono andare in Siria non potrei oppormi».

Dalle poche case della zona, molte ancora distrutte dalla guerra di 20 anni fa, sarebbero partiti per la guerra santa una ventina di mujaheddin bosniaci. Appena arrivati una macchina nera senza targa ci ha superato.
Contenuti correlati
All'interno c'erano due giovani barbuti, uno in mimetica. Quando hanno capito che siamo forestieri sono sgommati via a tutta velocità. Fra le stradine polverose di Osve sembra di vivere in un emirato talebano con le donne coperte dal velo nero dalla testa ai piedi.

«La Bosnia non fa eccezione alla minaccia jihadista dei foreign fighters (i combattenti islamici europei in Siria e Irak nda )» spiega, Ruggero Corrias, l'ambasciatore italiano a Sarajevo. Le stime ufficiali parlano di 160 bosniaci partiti per la guerra santa, ma gli americani pensano che siano 340. «Prossimità geografica, stato di diritto fragile e una profonda crisi economica sono elementi che, in Bosnia impongono doppia attenzione - sottolinea il diplomatico - Il Governo italiano ne è consapevole e agisce su due piani: sicurezza e prospettiva europea del Paese».

L'Europa non attecchirà mai a Gornja Maoca, la più famosa enclave salafita nella Bosnia orientale. Agli inizi di febbraio era apparso il simbolo del Califfato, poi cancellato. Adesso sono rimaste le bandiere nere con la scimitarra, che sventolano fra le case e sulla moschea. La comunità isolata dal resto del mondo è nata con i combattenti stranieri della guerra fratricida degli anni novanta, che hanno ottenuto in cambio la cittadinanza bosniaca.
Il problema è che da queste semplici case sperdute fra i boschi sono andati in Siria personaggi del calibro di Nusret Imamovic, uno dei leader stranieri fra le fila di Al Qaida inserito nella lista dei «terroristi globali» dagli Stati Uniti. Da Gornja Maoca era passato anche Mevlid Jašarevic condannato a 15 anni di carcere per aver sparato con un kalashnikov contro l'ambasciata Usa a Sarajevo, nel 2011.

I barbuti non amano farsi fotografare, ma si dimostrano amichevoli. L'unica «arma» che si vede in giro è un kalashnikov di legno per i bambini, che ti salutano con il dito indice rivolto verso l'alto per indicare Allah.

«È apparenza: Sono convinti che conquisteranno Roma. Non vi rendete conto che il vero pericolo è più vicino rispetto alla Libia. La minaccia non riguarda solo la Bosnia, ma anche l'Italia e l'Europa» sostiene Esad Hecimovic, un giornalista di Sarajevo esperto dell'estremismo islamico.

Nella Bosnia occidentale, l'area di Velika Kladusa era la roccaforte del predicatore Bilal Bosnic finito dietro le sbarre lo scorso settembre per incitamento e reclutamento alla guerra santa. Ancora oggi in città ci sono 150 salafiti e nel cantone sarebbero almeno 500. L'imam moderato, Selvedin Beganovic, ha denunciato di essere stato assalito cinque volte da dicembre. Beganovic si è schierato contro il reclutamento di volontari in Siria: «Quella non è la nostra guerra. La jihad in Bosnia è la lotta contro la disoccupazione e la crisi economica». Da più parti c'è qualche dubbio sulla sua versione, ma lui racconta che la terza volta stavano per ucciderlo e mostra la ferita di un coltello vicino al cuore. «L'assalitore era mascherato e prima mi ha colpito alla testa - spiega Beganovic - Sono semi svenuto e ricordo solo che mi diceva “adesso ti sgozzo”».
Bosnic viveva in una grande casa a Buzim, dove una delle giovani mogli ci fulmina con lo sguardo, che si intravede sotto il velo integrale. «Non ho niente da dirvi se non che dovreste abbracciare l'Islam - sbotta - Mio marito è in carcere ingiustamente. Noi viviamo per Allah e siamo pronti a morire per lui».

Da queste parti Bosnic si è fatto fotografare lo scorso anno con i suoi accoliti ed una bandiera nera e bianca dello Stato islamico alle spalle. A casa sua ha ospitato due mujaheddin balcanici partiti dalla provincia di Belluno verso la Siria. Uno dei due, Ismar Mesinovic, è morto in combattimento nel gennaio 2104. Prima di partire passando per la Bosnia gli avevano ordinato di «reperire un drone radiocomandato da impiegare nel teatro di guerra», secondo le indagini del Ros di Padova.

Nell'area sperduta di Bosanska Bojna, a pochi chilometri da casa sua, Bosnic ha comprato almeno 8 ettari di terra per costruire una majid, un centro di preghiera salafita. La procura di Sarajevo ha accertato che nel giro di due anni gli sono arrivati 200mila dollari da un misterioso benefattore in Qatar. Non aveva scelto il posto a caso. Oltre ad essere isolato è ad un chilometro dallo sguarnito confine europeo della Croazia. Nonostante la sbarra con il cartello «alt polizia», i posti di controllo sono chiusi e non si vede in giro una sola guardia di frontiera. Infiltrare nell'Unione europea armi o terroristi sarebbe un gioco da ragazzi.

http://www.gliocchidellaguerra.it
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » ven lug 17, 2015 9:09 am

L'INCONTRO A MOSTAR
https://www.facebook.com/giuseppe.ragog ... nref=story

Batlak Semsudin è un anziano bosniaco, di Mostar, che parla molto bene l'italiano. E' stato per decenni una guida della sua città e di Sarajevo. Ci siamo incontrati casualmente davanti al suo negozio di oggettistica. Abbiamo passato un paio d'ore assieme parlando della Bosnia Erzegovina di oggi, dell'ex Jugoslavia, della maledetta guerra degli anni '90. Ha accettato di registrare un intervento di un paio di minuti, ricco di dati per capire il massacro. "A Mostar, otto parchi per bambini sono diventati cimiteri di guerra. Hanno usato le religioni per spartirsi il territorio dell'ex Jugoslavia. E ne ha fatto le spese la Bosnia Erzegovina, il Paese più povero, il meno nazionalista rispetto a Serbia e Croazia perché è fieramente multietnico e multireligioso".

42% musulmani
41% catoleghi
17% ortodosi
17 moskee
5 cexe cristiane

Lù lè musulman, ela lè catolega e i fioli no li xe né musulmani né catoleghi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » mar ago 11, 2015 8:31 pm

Predicatori, imam e “balcanici” nel mirino del pool anti Jihad

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udin ... hfmvudel-1

Il Friuli è considerato la Lampedusa del Nord, rischia di diventare la porta d’ingresso dei fondamentalisti. A scoperchiare la nuova frontiera la scomparsa di un imbianchino residente a Belluno arruolatosi in Siria di Cristian Rigo

UDINE. La nuova minaccia del terrorismo islamico arriva dai Balcani. E il Friuli Venezia Giulia, che ormai viene considerato la Lampedusa del Nord per i continui “sbarchi” via terra di clandestini provenienti dall’Ungheria, rischia di diventare anche la porta di ingresso privilegiata del fondamentalismo. Ecco perché, entro la fine dell’anno, anche a Trieste (dopo Napoli, Padova e Firenze), entrerà in funzione la prima squadra speciale anti-Isis della polizia.

Agenti scelti e addestrati ad affrontare eventuali attacchi: forze speciali in grado di intervenire prontamente anche in scenari di elevata criticità, con l'obiettivo primario della messa in sicurezza delle persone. «Saranno dieci polziotti selezionati dalla questura su base volontaria - spiega il questore di Udine, Claudio Cracovia -, ma anche su precisi requisiti psicofisici e attitudinali, da arruolare tra il personale più giovane della Squadra volanti, del Reparto prevenzione crimine e del Reparto mobile.

Dopo uno specifico corso di addestramento a Nettuno, alla Scuola superiore di Polizia, le unità saranno immediatamente operative per presidiare la sicurezza di luoghi considerati sensibili, pronti a intervenire in caso di attentati, così come prevede il piano del ministero dell’Interno partito lo scorso marzo». Squadre operative di pronto intervento insomma che potranno contare anche su un equipaggiamento ad hoc con camionette blindate e fucili mitragliatori. L’attività di intelligence invece resta in capo alla Digos che insieme ai carabinieri del Ros, in Fvg tiene sotto controllo un centinaio di persone.

A “scoperchiare” la nuova frontiera dell’Isis è stata un’indagine avviata dopo la denuncia della scomparsa di Ismar Mesinovic, un imbianchino residente a Belluno che lo scorso anno ha lasciato la moglie cubana ed è partito con il figlioletto di tre anni per la Siria (dove poi è stato trovato morto, lasciando il bambino nelle mani dell’Is).

Nell’agosto del 2014 è infatti finito in carcere in Kosovo l’imam estremista wahabita Husein Bilal Bosnic, che secondo gli investigatori «è stato determinante nel processo di radicalizzazione di Mesinovic».

Bosnic era stato infatti “ospite” delle moschee di Pordenone e Belluno e aveva girovagato per tutto il Nord Est predicando il fondamentalismo islamico e cercando di reclutare nuovi combattenti da indirizzare alla jihad.

Come il foreign fighter bosniaco residente nel bellunese, Mesinovic. Sempre nell’ambito di quella indagine, nel maggio scorso, i carabinieri del Ros hanno eseguito a Pordenone un decreto di espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo, emesso dal Ministro dell’Interno, nei confronti di Arslan Osmanoski e un analogo provvedimento era stato emesso nei confronti di Anass Abu Jaffar, cittadino marocchino che però all’epoca era già rientrato in patria.

La terza espulsione eseguita dalla polizia è di alcuni giorni: il 31enne kossovaro Mevait Kokora che da alcuni anni frequentava la moschea di Udine, è stato rimpatriato e non potrà fare ritorno in Italia per i prossimi dieci anni sempre su indicazione di Alfano. Secondo gli investigatori, Kokora aveva frequentato un campo di addestramento in Turchia e avrebbe voluto combattere in Siria. Non solo. Il suo obiettivo era quello di coinvolgere nella sua “missione” altri estremisti che cercava di reclutare nella moschea di via San Rocco.

A Pordenone invece ha fatto tappa il bosniaco Nusret Imamovic, che è considerato il successore di Bilal Bosnic: anche lui sembra essere impegnato in tour di reclutamento per il Califfato e anche lui arriva dai Balcani.

Non è un caso infatti se buona parte dei 37 sospettati che dall’inizio dell’anno sono stati espulsi dal nostro Paese arrivano da Kosovo, Serbia e Bosnia. Sono tutti considerati musulmani estremisti, dediti al proselitismo su internet o alla predicazione della jihad e al reclutamento di foreign fighters all’interno di cellule organizzate.

«L’attenzione è massima - assicura Cracovia -, l’obiettivo è quello di prevenire situazioni potenzialmente pericolose per la sicurezza. Ci sono molti predicatori la cui attività viene monitorata costantemente».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » gio nov 26, 2015 8:20 pm

Adolescente austriaca si arruola nell'Isis. Poi ci ripensa: "Uccisa a martellate"
2015/11/25
Immagine

http://www.unionesarda.it/articolo/cron ... 47513.html

Ad aprile dello scorso anno due adolescenti austriache avevano lasciato il loro Paese per unirsi all'Isis, in Siria.
Ed erano state utilizzate più volte dalla propaganda dello Stato Islamico, sempre in cerca di "foreign fighters" da esibire con tanto di velo e le kalashnikov in mano.
Ma, riportano alcuni media austriaci, una delle due adolescenti - Samra Kesinovic, di 17 anni - si sarebbe pentita e avrebbe chiesto di poter tornare a casa.
I miliziani, però, non gliel'hanno fatta passare liscia.
Sempre stando a quanto riferito dai media d'Austria, la giovane sarebbe infatti stata picchiata fino alla morte a colpi di martello.
Una vera e propria, truce e brutale rappresaglia per aver cercato di fuggire da Raqqa, roccaforte jihadista.
Con lei aveva lasciato Vienna per unirsi all'Isis anche Sabina S., 16 anni.
E anche lei sarebbe morta, nei mesi scorsi, ma in combattimento.
Le autorità austriache non hanno commentato la notizia.
Entrambe erano figlie di bosniaci musulmani emigrati a Vienna.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » dom dic 27, 2015 10:03 am

Bosnia, procura: islamisti pianificavano carneficina a Sarajevo
26 dicembre 2015

https://it.notizie.yahoo.com/bosnia-pro ... html?nhp=1

Roma, 26 dic. (askanews) - Un procuratore bosniaco incaricato di terrorismo ha denunciato che un gruppo di fondamentalisti islamici arrestati recentemente pianificava la realizzazione di un attentato a Sarajevo in occasione delle feste di fine anno e di uccidere un "centinaio di persone". Lo ha riportato un'emittente televisiva pubblica.
Undici sospetti membri del movimento islamista, tra i quali predicatori radicali, sono stati arrestati martedì in diverse zone di Sarajevo in un'operazione di polizia. Un tribunale di Sarajevo ha ordinato la custodia cautelare per trenta giorni di otto di questi undici sospetti, ha riportato l'emittente Rtrs.
Il procuratore Dubravko Campara, citato dall'emittente, ha dichiarato durante un'audizione di fronte a questo tribunale che il gruppo intendeva commettere "un attacco terroristico durante le feste di fine anno". Minacciavano "di compiere un attacco con esplosivi durante il quale un centinaio di persone sarebbero state uccise", ha dichiarato Campara, citato da Rtrs.
Gli avvocati dei sospetti hanno parlato da parte loro di una "semplice farsa" e che i loro clienti "non facevano che professare la propria religione".
(fonte AFP)



Bosnia, sventato un maxi attentato terroristico a Sarajevo: 11 arresti
26 dicembre 2015

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=ACzlJ6zB

Sventato un maxi attentato terroristico a Sarajevo in cui, in occasione delle feste di fine anno, avrebbero dovuto essere uccise un centinaio di persone. Lo ha reso noto il procuratore anti terrorismo bosniaco Dubravko Campara dando notizia dell'arresto, il 22, di undici persone in diverse zone della città.

Dall’Austria allerta attentati in Europa entro Capodanno
Intanto la polizia austriaca ha reso noto che è stata comunicata un'allerta di «servizi di intelligence amici» a diverse capitali europee per possibili attacchi terroristici con bombe o armi da fuoco che potrebbero avvenire prima di Capodanno.
articoli correlati

All'erta terrorismo in diverse capitali europee: «possibili attacchi prima dell’ultimo dell’anno»

Si incontravano in un appartamento alla periferia di Sarajevo
I presunti terroristi si incontravano per pregare in un appartamento in affitto alla periferia di Sarajevo. Il tribunale di Sarajevo ieri ha disposto la carcerazione preventiva per 30 giorni per otto di loro.

Minacciavano un attacco con gli esplosivi
Il procuratore Dubravko Campara, citato dall'emittente Rtrs, ha dichiarato durante un'audizione di fronte a questo tribunale che il gruppo intendeva commettere «un attacco terroristico durante le feste di fine anno». Volevano «compiere un attacco con esplosivi durante il quale un centinaio di persone sarebbero state uccise», ha dichiarato Campara, citato da Rtrs. Gli avvocati dei sospetti hanno parlato da parte loro di una «semplice farsa» e che i loro clienti «non facevano che professare la propria religione».

Sequestrate prove materiali di contatti con lo Stato Islamico
Gli indagati frequentavano una moschea ricavata in una casa presa in affitto alla periferia di Sarajevo. Dopo gli arresti, gli inquirenti hanno diffuso una fotografia in cui si vede una bandiera nera dell'Isis affissa sui muri del luogo di culto. «Sono state sequestrate prove materiali di contatti con lo Stato Islamico», ha dichiarato Campara, e ha specificato che, comunque, durante le perquisizioni non sono stati trovati esplosivi. Gli arresti sono stati eseguiti in diversi quartieri di Sarajevo, tra cui Rajlovac, dove due militari in novembre sono stati uccisi da un uomo che poi si è fatto saltare in aria.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » ven gen 01, 2016 2:08 pm

Balcani, il sogno malato di un «Califfato»
31 dicembre 2015

http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/L ... ropa-.aspx


«Non ho mai visto così tante moschee, tutte nuove e anche molto belle». L’espressione di sorpresa di un profugo yemenita, abituato ai minareti e ai muezzin, spiega bene l’avanzata dell’islam wahhabita nella penisola balcanica, dove i ponteggi intorno ai centri di culto fanno ombra ai villaggi sgarrupati dei poveri contadini. Il “Balkan Caliphate” non è più il trascurabile vaneggiamento di qualche predicatore radicale. Per quanto improbabi-le, l’incubo di un Daesh alla porte d’Europa si materializza ogni volta che un imam in Macedonia o Kosovo viene arrestato. Le autorità, di solito, minimizzano per rassicurare l’opinione pubblica e gli investitori esteri. Ma le operazioni antiterrorismo raccontano un’altra storia.

Baki Keljani, portavoce della polizia di Pristina, ha confermato che sono almeno 120 i jihadisti che hanno fatto ritorno in Kosovo dopo aver combattuto dal 2011 nelle file dello Stato islamico in Siria e Iraq. Che Daesh li abbia lasciati rientrare è più di una notizia. Per l’intelligence questo significa due cose: alcuni sono mercenari che hanno concluso la loro parte di lavoro; ma molti sono ideologizzati e non se ne staranno tutto il giorno a guardare verso la Mecca. Solo nello scorso maggio si è appreso di un ventiquattrenne albanese emigrato in Grecia con moglie e bambino.

Rimasto senza lavoro, piuttosto che tornarsene a Tirana ha convogliato la rabbia e si è arruolato in Siria, trascinando con sé la famiglia. Ma la guerra non faceva per lui. Ervin Hasanaj, indicato dalle autorità di Tirana come uno dei 90 jihadisti albanesi identificati come mujaheddin che si sono uniti al Califfato, è stato ucciso l’1 aprile mentre tentava di fuggire dal Daesh. Tornare indietro non si può. A meno di non avere una missione da compiere.

La roccaforte dell’integralismo islamico resta Gornja Maoca, villaggio nei pressi di Brcko, nel nord est della Bosnia. Uno dei fondatori della comunità, Nusret Imamovic, due anni fa si è recato in Siria e oggi è uno dei comandanti del Fronte al-Nusra. Tutti i sospetti terroristi arrestati negli ultimi anni abitavano o si recavano spesso a Gornja Maoca. Gran parte dei “pellegrini” sono originari del Sangiaccato, regione della Serbia e del Montenegro. Da lì è transitato anche Bilal Bosnic, noto reclutatore nelle settimane scorse condannato a sette anni di carcere dal tribunale di Sarajevo.

Bosnia, Kosovo e regione del Sangiaccato, nel sud della Serbia, registrano la presenza più capillare di comunità integraliste, molte delle quali legate alla corrente wahhabita. Nei villaggi, dove è difficile incontrare una donna, e meno che mai una donna che non sia completamente velata, la shaaria viene tollerata dalle autorità e applicata al chiuso delle case. E proprio dalla Bosnia, all’indomani degli attentati a Parigi, sono partite nuove minacce. I filo Daesh del sito Web in lingua bosniaca “Vijesti ummeta” (Notizie della comunità dei fedeli) hanno minacciano nuovi devastanti attacchi terroristici, come vendetta per i raid contro il Califfato, annunciando altre stragi e «fiumi di sangue»: «Sappiate che stiamo per arrivare, siamo già tra voi». Secondo l’intelligence locale il portale è diretto dal lea- der bosniaco della comunità wahhabita in Austria, Muhamed Porca che a Vienna da diversi anni finanzia con fondi dell’Arabia Saudita i wahhabiti in Bosnia.

Altro sostenitore della “web-jihad” balcanica è Bajro Ikanovic. Condannato nel 2007 per aver pianificato attentati terroristici, dopo aver scontato una pena di 4 anni è oggi tra i quadri dirigenti del Daesh in Siria. La presenza di gruppi radicali islamici in Bosnia, dove il 40% dei 3,8 milioni di abitanti sono musulmani - in larga parte seguaci di un islam che non si concede intemperanze - non è un fenomeno recente. Durante la guerra di Bosnia (1992-95) alcune centinaia di volontari arabi e islamici arrivarono nel Paese per combattere a fianco dei musulmani bosniaci. Alla fine del conflitto, con l’inizio della missione di pace Nato guidata nel settore nord di Kosovska Mitrovica (nord del Kosovo) – abitato da popolazione serba cristiana e contrapposto alla parte sud abitata da kosovari di etnia albanese musulmana – sono apparse scritte inneggianti allo stato islamico su edifici e case abitate da serbi.

Non sono segnali da trascurare. Sette kosovari di etnia albanese, presunti appartenenti allo stato islamico si trovano attualmente in Macedonia. I sette, tutti latitanti, si troverebbero in villaggi intorno alla capitale. A novembre la polizia di Skopje ha arrestato nove persone con l’accusa di essere membri del Daesh e sono alla ricerca di altri 27 indagati. Sono tutti considerati attivi, ma nessuno di loro risulta partito per le terre del Califfato.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab gen 09, 2016 8:13 am

La minaccia dell'Isis: "Un Califfato nei Balcani contro l'Europa cristiana"
Lo Stato islamico ha diffuso un video e lancia un appello agli islamici dei Balcani: "Unitevi e uccidete i cristiani"
Mario Valenza - Ven, 08/01/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/min ... ok+Interna


Lo Stato islamico ha diffuso un video in cui torna a minacciare gli "infedeli" dei Balcani e assicura che la regione è un nuovo fronte contro l'Europa cristiana.

Bisogna "rovesciare il governo traditore di Bosnia-Erzegovina, creare un califfato nei Balcani e conquistare l'Europa cristiana", recita uno dei messaggi nel video di propaganda dal titolo 'L'onore è nella jihad' dell' Isis, riportato dai media di Serbia e Bosnia. Poi si aggiunge che bisogna "avvelenare gli infedeli, ucciderli, minare le loro automobili e case". Nel filmato compaiono anche diversi combattenti provenienti da Bosnia, Kosovo e Albania.

La presenza di jihadisti nei Balcani non è una novità. In Bosnia Erzegovina, durante la guerra, comparvero milizie mediorientali armate di Corano e fucile. Formarono brigate, impegnandosi a fianco dei musulmani di Bosnia contro le forze serbo-bosniache e croato-bosniache. Alcuni di questi guerriglieri sono rimasti in Bosnia Erzegovina dopo la guerra e si sono create diverse sacche di radicalismo. Il discorso non coinvolge la sola Bosnia Erzegovina. Il fatto che anche Albania e Kosovo abbiano popolazioni in maggioranza musulmana, cosa che riguarda anche l’ovest della Macedonia e il versante meridionale della Serbia, è stato visto dai registi del jihad globale come un elemento strategico. I jihadisti dell'Isis vorrebbero creare proprio nei Balcani una roccaforte per sferrare poi un attacco al cuore dell'Europa. La minaccia del terrorismo prova ad entrare nel nostro continente cercando alleanze e mobilitando le cellule dormienti del radicalismo. Un avamposto nei Balcani segnerebbe di fatto un colpo duro per la difesa dell'Europa e della cristianità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » sab gen 16, 2016 8:13 am

Terrorismo, espulso macedone: suo figlio gridò in classe: «Viva l’Isis, a Parigi hanno fatto bene»
Il decreto firmato dal ministro Alfano. L’uomo, un macedone di 49 anni, aveva contatti con balcanici, islamici integralisti, fortemente ostili agli usi e ai costumi occidentali»
di Alessandro Fulloni
13 gennaio 2016

http://www.corriere.it/cronache/16_genn ... c117.shtml



Ljimani Redjep, il 39enne macedone residente a San Zenone degli Ezzellini (Treviso) per il quale il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha firmato la prima espulsione del 2016 (Ansa)

All’indomani della strage di Parigi suo figlio, - 8 anni, in quinta elementare - disse ad alta voce in classe: «Hanno fatto bene, adesso andiamo a Roma e ammazziamo il Papa. Viva l’Isis». Ora il padre, un macedone di 49 anni, Ljimani Redjep, residente nel Trevigiano, è stato espulso dall’Italia. Un provvedimento - il 67esimo «per motivi di prevenzione di terrorismo» - firmato dal ministro Alfano. «L’uomo come aveva contatti, sin dal 2014, con alcune persone, di origine balcanica - ha spiegato Alfano in conferenza stampa - accomunate da un credo radicale islamista, con posizioni oltranzistiche ed ideologie di stampo wahabita, fortemente ostili rispetto agli usi e ai costumi occidentali».

L’operazione del Ros

L’operazione è stata condotta dai carabinieri del Ros che, in provincia di Treviso, hanno condotto gli accertamenti sul macedone che viveva a San Zenone degli Ezzellini ed era impiegato in una ditta di imballaggi. L’espulso «era un profondo conoscitore del jihadismo e un rigoroso osservante dei rigidi dettati della dottrina salafita - scandisce Alfano - con forti pulsioni di radicalizzazione che lo avevano spinto a un progressivo cambiamento in chiave antioccidentale delle abitudini, anche a livello estetico».

Responsabile di associazione islamica

Dal marzo del 2012, Redjep era il «responsabile sociale» dell’Associazione Culturale Islamica «Fratellanza» di San Zenone e, in questa veste, dopo gli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi, aveva rifiutato di aderire all’iniziativa, promossa da altre associazioni islamiche della provincia di Treviso, di diffondere un comunicato di solidarietà alla Francia e di disapprovazione nei confronti. Rifiuto definito «molto indicativo» da Alfano ai fini della decisione di mandarlo via dall’Italia.

Il figlio: «Uccidiamo il Papa»

Sempre a novembre avevano fatto scalpore alcuni commenti in classe del figlio del macedone riferiti proprio alle stragi francesi: «hanno fatto bene, è giusto quello che hanno fatto, adesso andiamo a Roma e uccideremo il Papa, viva l’Isis». Parole che avevano spinto la dirigente scolastica a segnalare il fatto al ministero degli Esteri con grande risalto dei media locali. Mercoledì mattina l’uomo è stato portato in questura dove gli è stato notificato il decreto di espulsione prima di essere accompagnato all’aeroporto di Venezia dove è stato imbarcato su un aereo diretto in Macedonia. Lascia in Italia la moglie e i suoi due figli.

«Rfiutò la solidarietà a vittime»

«Per noi- sottolinea Alfano- infatti, è stato molto indicativo il suo rifiuto, dopo gli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi, di aderire a un comunicato di solidarietà alla Francia e contro l’Islamic State, promosso da alcune associazioni islamiche». Inoltre, si tratta del padre del ragazzo che, nel novembre scorso, in classe, durante una lezione, «aveva manifestato approvazione per gli attentati terroristici di Parigi con la frase: hanno fatto bene, adesso andiamo a Roma e ammazziamo il Papa, viva l’Isis», spiega.

«Questa è la nostra linea»

«Noi siamo un Paese che conosce i principi dell’accoglienza per chi fugge da guerre e persecuzioni, ma siamo un Paese che fa rispettare le proprie leggi e le proprie regole e- sottolinea Alfano- chi non le rispetta o si dimostra persino ostile alle nostre tradizioni, lo espelliamo. Questa è la nostra linea».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » lun gen 25, 2016 9:44 pm

???

Srebrenica: esce fuori la verità, il massacro fu compiuto da tagliagole bosniaci musulmani
Finalmente emerge la verità su Srebrenica: i civili non furono uccisi dai Serbi, ma dagli stessi musulmani bosniaci per ordine di Alija Izetbegovic, presidente dei musulmani bosniaci, d'accordo con Bill Clinton. Una operazione, come le bombe di mortaio sul mercato di Sarajevo, per incolpare i serbi e bombardarli. Un po' come il gas nervino in Siria.

22 Gennaio 2016

http://informare.over-blog.it/2016/01/s ... lmani.html


(Nicola Bizzi) - Dopo la confessione shock del politico bosniaco Ibran Mustafić, veterano di guerra, chi restituirà la dignità a Slobodan Milošević, ucciso in carcere, aRadovan Karadžić e al Generale Ratko Mladić, ancora oggi detenuti all’Aja?

Lo storico russo Boris Yousef, in un suo saggio del 1994, scrisse quella che ritengo una sacrosanta verità: «Le guerre sono un po’ come il raffreddore: devono fare il loro decorso naturale. Se un ammalato di raffreddore viene attorniato da più medici che gli propinano i farmaci più disparati, spesso contrastanti fra loro, la malattia, che si sarebbe naturalmente risolta nel giro di pochi giorni, rischia di protrarsi per settimane e di indebolire il paziente, di minarlo nel fisico, e di arrecare danni talvolta permanenti e imprevedibili».

Yousef scrisse questa osservazione nel Luglio del 1994, nel bel mezzo della guerra civile jugoslava, un anno prima della caduta della Repubblica Serba di Krajina e sedici mesi prima dei discussi accordi Dayton che scontentarono in Bosnia tutte le parti in campo, imponendo una situazione di stallo potenzialmente esplosiva. E ritengo che tale osservazione si adatti a pennello al conflitto jugoslavo. Un lungo e sanguinoso conflitto che, formalmente iniziato nel 1991, con la secessione dalla Federazione delle repubbliche di Slovenia e Croazia, era stato già da tempo preparato e pianificato da alcune potenze occidentali (con in testa l’Austria e la Germania), da diversi servizi segreti, sempre occidentali, da gruppi occulti di potere sovranazionali e transnazionali (Bilderberg, Trilaterale, Pinay, Ert Europe, etc.) e, per certi versi, anche dal Vaticano.

La Jugoslavija, forte potenza economica e militare, da decenni alla guida del movimento dei Paesi non Allineati, dopo la morte del Maresciallo Tito, avvenuta nel 1980, era divenuta scomoda e ingombrante e, di conseguenza, l’obiettivo geo-strategico primario di una serie di avvoltoi che miravano a distruggerla, a smembrarla e a spartirsi le sue spoglie.

Si assistette così ad una progressiva destabilizzazione del Paese, avviata già nel biennio 1986-87, destabilizzazione alla quale si oppose con forza soltanto Slobodan Milošević, divenuto Presidente della Repubblica Socialista di Serbia, e che toccò il culmine con la creazione in Croazia, nel Maggio del 1989, dell’Unione Democratica Croata (Hrvatska Demokratska Zajednica o HDZ), partito anti-comunista di centro-destra che a tratti riprendeva le idee scioviniste degli Ustascia di Ante Pavelić, guidato dal controverso ex Generale di Tito Franjo Tuđman.

Sarebbe lungo in questa sede ripercorrere tutte le tappe che portarono al precipitare degli eventi, alla necessità degli interventi della Jugoslosvenska Narodna Armija dapprima in Slovenia e poi in Croazia, alla definitiva scissione dalla Federazione delle due repubbliche ribelli e all’allargamento del conflitto nella vicina Bosnia. Si tratta di eventi sui quali esiste moltissima documentazione, la maggior parte della quale risulta però essere fortemente viziata da interpretazioni personali e di parte degli storici o volutamente travisata da giornalisti asserviti alle lobby di potere mediatico-economico europee ed americane. Giornalisti che della Jugoslavija e della sua storia ritengo che non abbiano mai capito niente.

Come ho scritto poc’anzi, ritengo che la saggia affermazione di Boris Yousef si adatti molto bene al conflitto civile jugoslavo. A prescindere dal fatto che esso è stato generato da palesi ingerenze esterne, ritengo che sarebbe potuto terminare ‘naturalmente’ manu militari nel giro di pochi mesi, senza le continue ingerenze, le pressioni e le intromissioni della sedicente ‘Comunità Internazionale’, delle Nazioni Unite e di molteplici altre organizzazioni che agivano dietro le quinte (Fondo Monetario Internazionale, OSCE, UNHCR, Unione Europea e criminalità organizzata italiana e sud-americana). Sono state proprio queste ingerenze (i vari farmaci dagli effetti contrastanti citati nella metafora di Yousef) a prolungare il conflitto per anni, con la continua richiesta, dall’alto, di tregue impossibili e non risolutive, e con la pretesa di ridisegnare la cartina geografica dell’area sulla base delle convenienze economiche e non della realtà etnica e sociale del territorio.

Ma si tratta di una storia in buona parte ancora non scritta, perché sono state troppe le complicità di molti leader europei, complicità che si vuole continuare a nascondere, ad occultare. Ed è per questo che gli storici continuano ad ignorare che la Croazia di Tuđman costruì il suo esercito grazie al traffico internazionale di droga (tutte quelle navi che dal Sud America gettavano l’ancora nel porto di Zara, secondo voi cosa contenevano?). È per questo che continuano a non domandarsi per quale motivo tutto il contenuto dei magazzini militari della defunta Repubblica Democratica Tedesca siano prontamente finiti nelle mani di Zagabria.

Si tratta di vicende che conosco molto bene, perché ho trascorso nei Balcani buona parte degli anni ’90, prevalentemente a Belgrado e a Skopje. Parlo bene tutte le lingue dell’area, compresi i relativi dialetti, e ho avuto a lungo contatti con l’amministrazione di Slobodan Milošević, che ho avuto l’onore di incontrare in più di un’occasione. Sono stato, fra l’altro, l’unico esponente politico italiano ad essere presente ai suoi funerali, in una fredda giornata di Marzo del 2006.

Sono stato quindi un diretto testimone dei principali eventi che hanno segnato la storia del conflitto civile jugoslavo e degli sviluppi ad esso successivi. Ho visto con i miei occhi le decine di migliaia di profughi serbi costretti a lasciare Knin e le altre località della Srpska Republika Krajina, sotto la spinta dell’occupazione croata delle loro case, avvenuta con l’appoggio dell’esercito americano.

Ho seguito da vicino tutte le tappe dello scontro in Bosnia, i disordini nel Kosovo, la galoppante inflazione a nove cifre che cambiava nel giro di poche ore il potere d’acquisto di una banconota. Ho vissuto il dramma, nel 1999, dei criminali bombardamenti della NATO su Belgrado e su altre città della Serbia. Ed è per questo che non ho mai creduto – a ragione – alle tante bugie che riportavano la stampa europea e quella italiana in primis. Bugie e disinformazioni dettate da quell’operazione di marketing pubblicitario (non saprei come altro definirla) pianificata sui tavoli di Washington e di Langley che impose a tutta l’opinione pubblica la favoletta dei Serbi ‘cattivi’ aguzzini di poveri e innocenti Croati, Albanesi e musulmani bosniaci. Favoletta che ha però incredibilmente funzionato per lunghissimo tempo, portando all’inevitabile criminalizzazione e demonizzazione di una delle parti in conflitto e tacendo sui crimini e sulle nefandezze delle altre.

La guerra, e a maggior ragione una guerra civile, non è ovviamente un pranzo di gala e non vi si distribuiscono caramelle e cotillon. In guerra si muore. In guerra si uccide o si viene uccisi. La guerra significa fame, sofferenza, freddo, fango, sudore, privazioni e sangue. Ed è fatta, necessariamente, anche di propaganda. Durante il lungo conflitto civile jugoslavo nessuno può negare che siano state commesse numerose atrocità, soprattutto dettate dal risveglio di un mai sopito odio etnico. Ma mai nessun conflitto, dal termine della Seconda Guerra Mondiale, ha visto un simile massiccio impiego di ‘false flag’, azioni pianificate ad arte, quasi sempre dall’intelligence, per scatenare le reazioni dell’avversario o per attribuirgli colpe non sue. Ho già spiegato il concetto di ‘false flag’ in numerosi miei articoli, denunciando l’escalation del loro impiego su tutti i più recenti teatri di guerra.

Fino ad oggi la più nota ‘false flag’ della guerra civile jugoslava era la tragica strage di civili al mercato di Sarajevo, quella che determinò l’intervento della NATO, che bombardò ripetutamente, per rappresaglia, le postazioni serbo-bosniache sulle colline della città. Venne poi appurato con assoluta certezza che fu lo stesso governo musulmano-bosniaco di Alija Izetbegović a uccidere decine di suoi cittadini in quel cannoneggiamento, per far ricadere poi la colpa sui Serbi.

E quella che io ho sempre ritenuto la più colossale ‘false flag’ del conflitto, ovvero il massacro di oltre mille civili musulmani avvenuto a Srebrenica, del quale fu incolpato l’esercito serbo-bosniaco comandato dalGenerale Ratko Mladić, che da allora venne accusato di ‘crimi di guerra’ e braccato dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja fino al suo arresto, avvenuto il 26 Maggio 2011, si sta finalmente rivelando in tutta la sua realtà. In tutta la sua realtà, appunto, di ‘false flag’.

I giornali italiani, che all’epoca scrissero titoli a caratteri cubitali per dipingere come un ‘macellaio’ ilGenerale Mladić e come un folle criminale assetato di sangue il Presidente della Repubblica Serba di Bosnia Radovan Karadžić, anch’egli arrestato nel 2008 e sulla cui testa pendeva una taglia di 5 milioni di Dollari offerta dagli Stati Uniti per la sua cattura, hanno praticamente passato sotto silenzio una sconvolgente notizia. Una notizia a cui ha dato spazio nel nostro Paese soltanto il quotidiano Rinascita, diretto dall’amico Ugo Gaudenzi, e fa finalmente piena luce sui fatti di Srebrenica, stabilendo che la colpa non fu dei vituperati Serbi, ma dei musulmani bosniaci.

Ibran Mustafić, veterano di guerra e politico bosniaco-musulmano, probabilmente perché spinto dal rimorso o da una crisi di coscienza, ha rilasciato ai media una sconcertante confessione: almeno mille civili musulmano-bosniaci di Srebrenica vennero uccisi dai loro stessi connazionali, da quelle milizie che in teoria avrebbero dovuto assisterli e proteggerli, durante la fuga a Tuzla nel Luglio 1995, avvenuta in seguito all’occupazione serba della città. E apprendiamo che la loro sorte venne stabilita a tavolino dalle autorità musulmano-bosniache, che stesero delle vere e proprie liste di proscrizione di coloro a cui «doveva essere impedito, a qualsiasi costo, di raggiungere la libertà».

Come riporta Enrico Vigna su Rinascita, Ibran Mustafić ha pubblicato un libro, Caos pianificato, nel quale alcuni dei crimini commessi dai soldati dell’esercito musulmano della Bosnia-Erzegovina contro i Serbi sono per la prima volta ammessi e descritti, così come il continuo illegale rifornimento occidentale di armi ai separatisti musulmano-bosniaci, prima e durante la guerra, e – questo è molto significativo – anche durante il periodo in cui Srebrenica era una zona smilitarizzata sotto la protezione delle Nazioni Unite.

Mustafić racconta inoltre, con dovizia di particolari, dei conflitti tra musulmani e della dissolutezza generale dell’amministrazione di Srebrenica, governata dalla mafia, sotto il comandante militare bosniaco Naser Orić. A causa delle torture di comuni cittadini nel 1994, quando Orić e le autorità locali vendevano gli aiuti umanitari a prezzi esorbitanti invece di distribuirli alla popolazione, molti bosniaci fuggirono volontariamente dalla città. «Coloro che hanno cercato la salvezza in Serbia, sono riusciti ad arrivare alla loro destinazione finale, ma coloro che sono fuggiti in direzione di Tuzla ( governata dall’esercito musulmano) sono stati perseguitati o uccisi», svela Mustafić. E, ben prima del massacro dei civili musulmani di Srebrenica nel Luglio 1995, erano stati perpetrati da tempo crimini indiscriminati contro la popolazione serba della zona. Crimini che Mustafić descrive molto bene nel suo libro, essendone venuto a conoscenza già nel 1992, quando era fuggito da Sarajevo a Tuzla.

«Lì – egli scrive – il mio parente Mirsad Mustafić mi mostrò un elenco di soldati serbi prigionieri, che furono uccisi in un luogo chiamato Zalazje. Tra gli altri c’erano i nomi del suo compagno di scuola Branko Simić e di suo fratello Pero, dell’ex giudice Slobodan Ilić, dell’autista di Zvornik Mijo Rakić, dell’infermiera Rada Milanović. Inoltre, nelle battaglie intorno ed a Srebrenica, durante la guerra, ci sono stati più di 3.200 Serbi di questo e dei comuni limitrofi uccisi».

Mustafić ci riferisce a riguardo una terribile confessione del famigerato Naser Orić, confessione che non mi sento qui di riportare per l’inaudita credezza con cui questo criminale di guerra descrive i barbari omicidi commessi con le sue mani su uomini e donne che hanno avuto la sventura di trovarsi alla sua mercé. Ma voglio citare il racconto di uno zio di Mustafić, anch’esso riportato nel libro: «Naser venne e mi disse di prepararmi subito e di andare con la Zastava vicino alla prigione di Srebrenica. Mi vestii e uscii subito. Quando arrivai alla prigione, loro presero tutti quelli catturati precedentemente a Zalazje e mi ordinarono di ritrasportarli lì. Quando siamo arrivati alla discarica, mi hanno ordinato di fermarmi e parcheggiare il camion. Mi allontanai a una certa distanza, ma quando ho visto la loro furia ed il massacro è iniziato, mi sono sentito male, ero pallido come un cencio. Quando Zulfo Tursunović ha dilaniato il petto dell’infermiera Rada Milanovic con un coltello, chiedendo falsamente dove fosse la radio, non ho avuto il coraggio di guardare. Ho camminato dalla discarica e sono arrivato a Srebrenica. Loro presero un camion, e io andai a casa a Potocari. L’intera pista era inondata di sangue».

Da quanto ci racconta Mustafić, gli elenchi dei ‘bosniaci non affidabili’ erano ben noti già da allora alla leadership musulmana ed al Presidente Alija Izetbegović, e l’esistenza di questi elenchi è stata confermata da decine di persone. «Almeno dieci volte ho sentito l’ex capo della polizia Meholjić menzionare le liste. Tuttavia, non sarei sorpreso se decidesse di negarlo», dice Mustafić, che è anche un membro di lunga data del comitato organizzatore per gli eventi di Srebrenica. Secondo Mustafić, l’elenco venne redatto dalla mafia di Srebrenica, che comprendeva la leadership politica e militare della città sin dal 1993. I ‘padroni della vita e della morte nella zona’, come lui li definisce nel suo libro. E, senza esitazione, sostiene: «Se fossi io a dover giudicare Naser Orić, assassino conclamato di più di 3.000 Serbi nella zona di Srebrenica (clamorosamente assolto dal Tribunale Internazionale dell’Aja!) lo condannerei a venti anni per i crimini che ha commesso contro i Serbi; per i crimini commessi contro i suoi connazionali lo condannerei a minimo 200.000 anni di carcere. Lui è il maggiore responsabile per Srebrenica, la più grande macchia nella storia dell’umanità».

Ma l’aspetto più inquietante ed eclatante delle rivelazioni di Mustafić è l’ammissione che il genocidio di Srebrenica è stato concordato tra la comunità internazionale e Alija Izetbegović , e in particolare tra Izetbegović e il presidente USA Bill Clinton, per far ricadere la colpa sui Serbi, come Ibran Mustafić afferma con totale convinzione.
«Per i crimini commessi a Srebrenica, Izetbegović e Bill Clinton sono direttamente responsabili. E, per quanto mi riguarda, il loro accordo è stato il crimine più grande di tutti, la causa di quello che è successo nel Luglio 1995. Il momento in cui Bil Clinton entrò nel Memoriale di Srebrenica è stato il momento in cui il cattivo torna sulla scena del crimine», ha detto Mustafić. Lo stesso Bill Clinton, aggiungo io, che superò poi se stesso nel 1999, con la creazione ad arte delle false fosse comuni nel Kosovo (altro clamoroso esempio di ‘false flag’), nelle quali i miliziani albanesi dell’UCK gettavano i loro stessi caduti in combattimento e perfino le salme dei defunti appositamente riesumate dai cimiteri, per incolpare mediaticamente, di fronte a tutto il mondo, l’esercito di Belgrado e poter dare il via a due mesi di bombardamenti sulla Serbia.

Come sottolinea sempre Mustafić, riguardo a Srebrenica ci sono inoltre state grandi mistificazioni sui nomi e sul numero reale delle vittime. Molte vittime delle milizie musulmane non sono state inserite in questo elenco, mentre vi sono stati inseriti ad arte cittadini di Srebrenica da tempo emigrati e morti all’estero. E un discorso simile riguarda le persone torturate o che si sono dichiarate tali. «Molti bosniaci musulmani – sostiene Mustafić – hanno deciso di dichiararsi vittime perché non avevano alcun mezzo di sostentamento ed erano senza lavoro, così hanno usato l’occasione. Un’altra cosa che non torna è che tra il 1993 e il 1995 Srebrenica era una zona smilitarizzata. Come mai improvvisamente abbiamo così tanti invalidi di guerra di Srebrenica?».

Egli ritiene che sarà molto difficile determinare il numero esatto di morti e dei dispersi di Srebrenica. «È molto difficile – sostiene nel suo libro – perché i fatti di Srebrenica sono stati per troppo tempo oggetto di mistificazioni, e il burattinaio capo di esse è stato Amor Masović, che con la fortuna fatta sopra il palcoscenico di Srebrenica potrebbe vivere allegramente per i prossimi cinquecento anni! Tuttavia, ci sono stati alcuni membri dell’entourage di Izetbegović che, a partire dall’estate del 1992, hanno lavorato per realizzare il progetto di rendere i musulmani bosniaci le permanenti ed esclusive vittime della guerra».

Il massacro di Srebrenica servì come pretesto a Bill Clinton per scatenare, dal 30 Agosto al 20 Settembre del 1995, la famigerata Operazione Deliberate Force, una campagna di bombardamento intensivo, con l’uso di micidiali bombe all’uranio impoverito, con la quale le forze della NATO distrussero il comando dell’esercito serbo-bosniaco, devastandone irrimediabilmente i sistemi di controllo del territorio. Operazione che spinse le forze croate e musulmano-bosniache ad avanzare in buona parte delle aree controllate dai Serbi, offensiva che si arrestò soltanto alle porte della capitale serbo-bosnica Banja Lukae che costrinse i Serbi ad un cessate il fuoco e all’accettazione degli accordi di Dayton, che determinarono una spartizione della Bosnia fra le due parti (la croato-musulmana e la serba). Spartizione che penalizzò fortemente la Republika Srpska, che venne privata di buona parte dei territori faticosamente conquistati in tre anni di duri combattimenti.

Alija Izetbegović, fautore del distacco della Bosnia-Erzegovina dalla federazione jugoslava nel 1992, dopo un referendum fortemente contestato e boicottato dai cittadini di etnia serba (oltre il 30% della popolazione) è rimasto in carica come Presidente dell’autoproclamato nuovo Stato fino al 14 Marzo 1996, divenendo in seguito membro della Presidenza collegiale dello Stato federale imposto dagli accordi di Dayton fino al 5 Ottobre del 2000, quando venne sostituito da Sulejman Tihić. È morto nel suo letto a Sarajevo il 19 Ottobre 2003 e non ha mai pagato per i suoi crimini. Ha anzi ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti internazionali, fra cui le massime onorificenze della Croazia (nel 1995) e della Turchia (nel 1997). E ha saputo bene far dimenticare agli occhi della ‘comunità internazionale’ la sua natura di musulmano fanatico e fondamentalista ed i suoi numerosi arresti e le sue lunghe detenzioni, all’epoca di Tito, (in particolare dal 1946 al 1949 e dal 1983 al 1988) per attività sovversive e ostili allo Stato.

Nella sua celebre Dichiarazione Islamica, pubblicata nel 1970, dichiarava: «non ci sarà mai pace né coesistenza tra la fede islamica e le istituzioni politiche e sociali non islamiche» e che «il movimentoislamico può e deve impadronirsi del potere politico perché è moralmente e numericamente così forte che può non solo distruggere il potere non islamico esistente, ma anche crearne uno nuovo islamico». E ha mantenuto fede a queste sue promesse, precipitando la tradizionalmente laica Bosnia-Erzegovina, luogo dove storicamente hanno sempre convissuto in pace diverse culture e diverse religioni, in una satrapia fondamentalista, con l’appoggio ed i finanziamenti dell’Arabia Saudita e di altri stati del Golfo e con l’importazione di migliaia di mujahiddin provenienti da varie zone del Medio Oriente, che seminarono in Bosnia il terrore e si resero responsabili di immani massacri.

Slobodan Milošević, accusato di ‘crimini contro l’umanità’ (accuse principalmente fondate su una sua presunta regia del massacro di Srebrenica), nonostante abbia sempre proclamato la sua innocenza, venne arrestato e condotto in carcere all’Aja. Essendo un valente avvocato, scelse di difendersi da solo di fronte alle accuse del Tribunale Penale Internazionale, ma morì in circostanze mai chiarite nella sua cella l’11 Marzo 2006. Sono insistenti le voci secondo cui sarebbe stato avvelenato perché ritenuto ormai prossimo a vincere il processo e a scagionarsi da ogni accusa, e perché molti leader europei temevano il terremoto che avrebbero scatenato le sue dichiarazioni.

Radovan Karadžić, l’ex Presidente della Repubblica Serba di Bosnia, e il Generale Ratko Mladić, comandante in capo dell’esercito bosniaco, sono stati anch’essi arrestati e si trovano in cella all’Aja. Sul loro capo pendono le stesse accuse di ‘crimini contro l’umanità’, fondate essenzialmente sul massacro di Srebrenica.

Adesso che su Srebrenica è finalmente venuta fuori la verità, dovrebbe essere facile per loro arrivare ad un’assoluzione, a meno che qualcuno non abbia deciso che debbano fare la fine di Milošević.

Ma chi restituirà a loro e al defunto Presidente Jugoslavo la dignità e l’onorabilità? Tutte le grandi potenze occidentali, dagli Stati Uniti all’Unione Europea, dovrebbero ammettere di aver sbagliato, ma dubito sinceramente che lo faranno.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Boxnia e Kosovo cavałi de troia de l'ixlam ?

Messaggioda Berto » mar feb 02, 2016 8:20 am

Quattro estremisti islamici arrestati in Kosovo
31 gennaio 2016

http://www.cdt.ch/mondo/cronaca/147909/ ... -in-kosovo

Quattro estremisti islamici armati sono stati arrestati davanti all'ingresso principale del monastero di Visoki Decani, in Kosovo. Come riferiscono i media a Belgrado, si tratta di quattro kosovari di etnia albanese provenienti da altrettante località del Kosovo.

L'arresto è avvenuto nella tarda serata di ieri in una operazione congiunta da parte della polizia kosovara e dei militari della Kfor, la Forza Nato in Kosovo. Nella loro auto sono stati rinvenuti un fucile Kalashnikov, una pistola e un quantitativo di munizioni, oltre ad alcuni libri di contenuto estremista islamico.

L'abate di Visoki Decani Sava Janjic ha detto che tale episodio è l'ulteriore dimostrazione che la presenza delle truppe Kfor è ancora vitale per la sicurezza del monastero, che è incluso nella lista del patrimonio mondiale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco).Is

Il direttore dell'Ufficio governativo serbo per il Kosovo Marko Djuric ha espresso grande preoccupazione, invitando le autorità di Pristina a contrastare il crescente estremismo religioso in Kosovo invece di fare polemiche e ritardare in tutti i modi la creazione dell'Associazione delle comunità serbe in Kosovo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Prossimo

Torna a Islam

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite