Sharia o leje xlamega par Maometo e el Coran, on cremene

Re: Sharia o leje xlamega par Maometo e el Coran, on cremene

Messaggioda Berto » lun dic 19, 2016 8:33 am

Una sharia "abbellita" per le musulmane in Ontario
di Gianni Verdoliva

Una donna islamita rivela i retroscena della comunità canadese:
segregazione fra ragazzi e ragazze, il velo per le donne, la proibizione per queste ultime di praticare attività sportive, la poligamia


http://www.poliziaedemocrazia.it/live/i ... ticolo=983

Homa Arjomand non si sarebbe mai immaginata di avere di nuovo a che fare con la sharia. Lei, che nel 1989 era scappata dall’Iran in groppa ad un cavallo, col marito e i due figli. In fuga dall’orrore iraniano, dagli imprigionamenti e dalle esecuzioni sommarie. Dall’incubo di vivere sotto la sharia, la legge islamica. Grazie ad una soffiata la Arjomand aveva saputo che sarebbe stata arrestata di li’ a poco. La sua “colpa” era lottare per la democrazia e i diritti delle donne. L’unica via di salvezza la fuga. Verso l’occidente e la libertà. E ora, come in un sequel di un film del terrore, la sharia ha rischiato di arrivare in Canada, il paese di adozione della Arjomand.
Una sharia abbellita, non cosi’ crudele come la versione originale, quella nigeriana, quella di Amina e Safya. Una sharia animata dalle migliori intenzioni. Dare alla comunità musulmana la possibilità di regolare le diatribe familiari secondo le usanze dell’islam. In maniera legale. Attraverso la Arbitration Act del 1991 che concede, in Ontario, questa possibilità anche ad altre comunità. Con tutte le garanzie del caso. I propugnatori dell’iniziativa, abilissimi oratori, hanno assicurato che non ci sarà taglio delle mani, né lapidazione. Nulla di cui inquietarsi perchè nessuna donna sarà obbligata a regolare le questioni familiari col tribunale islamico e, in caso non fosse soddisfatta, potrà sempre rivolgersi al tribunale civile. Eppure la Arjomand e i suoi sostenitori non sono stati affatto soddisfatti di queste assicurazioni. Perché i conti non tornano. Alla conferenza stampa “Rendere la mia comunità sicura” incentrata sulla lotta alla violenza sessuale, Homa Arjomand ha rivelato i retroscena della questione. “Vorrei descrivere la situazione delle donne e delle ragazze che vivono nelle comunità islamiche in Ontario. Le ragazze sono segregate dai ragazzi da giovanissime, sono costrette ad indossare il velo e non possono praticare alcuna attività sportiva. Alcuni genitori danno in matrimonio le figlie persino a tredici anni. La poligamia, attraverso l’adozione dei costumi della sharia, sta diventando la norma in queste comunità. Una donna che disobbedisce alle regole è disconosciuta dalla famiglia e maltrattata dalla comunità. E la cosa triste è che il governo dell’Ontario, attraverso il suo silenzio, sta legittimando l’oppressione, l’ineguaglianza e l’ingiustizia nel nome del rispetto delle altre culture. Cosi’ il governo dell’Ontario ha già generato un’atmosfera di paura e di indottrinamento religioso tra le donne musulmane.
E sta giustificando due sistemi di valori e di diritti per i cittadini nell’Ontario”. La Arjomand sa bene di cosa parla. Lei che lavora per l’inserimento delle donne immigrate e si batte per la difesa delle donne maltrattate. La Campagna contro la corte della Sharia in Canada ha generato un acceso dibattito anche all’interno della stessa comunità musulmana. A condurre la battaglia sono le stesse donne musulmane, le prime interessate. Ma il governo provinciale, in un primo tempo, non ha sentito ragioni. “Le persone possono risolvere i loro contenziosi in qualunque modo sia accettabile e se decidono di farlo attraverso i principi della sharia usando un imam come giudice, questo è possibile ed accetabile secondo l’arbitration act” ha dichiarato Brendan Crawley, portavoce del procuratore generale dell’Ontario. Anche lo stesso Dalton McGuinty, premier dell’Ontario, ha dichiarato che le donne non hanno nulla da temere dal riconoscimento dei tribunali islamici. Una dichiarazione infelice. Alla quale gli oppositori della sharia hanno risposto in maniera sferzante. “Non ci parli della sharia, Signor McGuinty. Vengo da un paese dove lo stupro coniugale è protetto dalla legge islamica” ha ribattuto Mahmud Ahmadi della Federation of Iranian refugees. Altre risposte sono arrivate col silenzio. Quello delle tre donne musulmane che avrebbero dovuto partecipare lo scorso 8 settembre alla giornata di protesta contro la sharia. Vittime delle decisioni del tribunale islamico e di mariti violenti, queste donne non hanno potuto raccontare la loro testimonianza.
Il centro per donne maltrattate che le ospita non è stato in grado di assicurare la loro incolumità. Un incidente che ha mostrato anche a chi non voleva vedere, il vero rischio della sharia. Le donne musulmane si sono trovate quindi nella condizione paradossale di dover lottare non solo contro i propugnatori della corte islamica ma anche contro il governo provinciale che, almeno in teoria, dovrebbe garantire la separazione tra lo stato e la chiesa e la parità di diritti tra uomini e donne. Come accade nella provincia della Columbia Britannica il cui procuratore generale, Geoff Plant, ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di riconoscere tribunali religiosi e che le dispute inerenti al diritto di famiglia continueranno ad essere seguite dalle corti civili dello stato. Una decisione accolta con gioia e sollievo dalle donne musulmane. “Siamo molto contente che il procuratore generale della Columbia Britannica non abbia accettato di riconoscere la sharia perché crediamo che questo violerebbe i diritti delle donne in Canada” ha affermato al Vancouver Sun Razia Jaffer, del Canadian Council of Muslim Women. E come accade anche nello stato del Quebec, dove Fatima Houda Pepin, deputata musulmana, ha condotto la battaglia legislativa contro la sharia, il cui riconoscimento è stato respinto. A votazione unanime. Fatima ha denunciato gli islamisti spinti e finanziati dall’Iran e dall’Arabia Saudita. Le comunità musulmane, accresciutesi notevolmente nell’ultimo decennio, contano circa 600.000 persone, un gran numero dei quali vive in quartieri musulmani con scarsi o inesistenti contatti col mondo esterno.
Il governo canadese, che ha una politica molto aperta nei confronti dell’immigrazione, ha fatto dell’approccio multiculturale una religione. Ora, con la questione della sharia e le conseguenti polemiche, stanno venendo fuori quelli che sono i risultati poco calcolati della politica multiculturalista ad oltranza. Rispettando tutte le culture indiscriminatamente e creando spazi particolari in cui le varie comunità etniche si autogestiscono, si sta venendo meno a uno dei principi base della democrazia: la parità uomo-donna. E’ quello che denunciano a chiare lettere la Arjomand e i suoi sostenitori. “Si stanno sacrificando le donne sull’altare del multiculturalismo, c’è una mancanza di coraggio da parte del governo e anche una paura di offendere la sensibilità dei musulmani. Ho scelto di venire in Canada proprio per il multiculturalismo. Ma, una volta arrivata qui, ho capito quanto danno questa politica sta facendo alle donne. Ora sono contro. Sta diventando una barriera ai diritti delle donne.” Spesso infatti, nel nome del rispetto delle diversità e delle altre culture i leader politici danno spazio ad espressioni quanto meno inquietanti. Come è accaduto a Londra, quando il sindaco Ken Livingston, peraltro di idee progressiste, ha ricevuto vari leader islamici noti per sostenere che “gli ebrei sono peggio dei porci e delle scimmie”, che “gli omosessuali devono essere uccisi”, che i mariti possono picchiare le proprie mogli e che nella sfera pubblica uomini e donne devono stare in spazi segregati. In nome della tolleranza, si arriva a tollerare l’inverosimile. Contro tali derive Homa Arjomand ha avuto due alleate d’eccezione: Irshad Manji e Hirsi Ali. Due paladine dei diritti delle donne. Irshad, la giornalista autrice di “The trouble with Islam today” e fautrice del Project Ijtihad, il cui obbiettivo è riformare la fede islamica attraverso il coinvolgimento delle donne. L’autrice, lesbica dichiarata, è una delle voci dei musulmani progressisti. Hirsi, l’apostata, la deputata olandese di origini somale, autrice del documentario Submission e di tanti articoli in cui denuncia la violenza alle donne commessa nel nome della fede islamica. Tutte, nella conferenza tenutasi all’Università di Toronto lo scorso 12 agosto, hanno denunciato i rischi dei tribunali islamici. Appoggiate anche dalle donne cristiane. A dare il sostegno contro la sharia anche la Young Women Christian Action e il Canadian Unitarian Council, gruppi progressisti che non hanno tradito i propri ideali. Come molte femministe canadesi, accorse alle manifestazioni organizzate contro la sharia. E uomini musulmani illuminati e coraggiosi. Come Tarek Fatah, del Canadian Muslim Congress, che desidera che le proprie figlie vivano secondo la legge dello stato canadese. Protette quindi da ingerenze e discriminazioni.
Finalmente l’11 settembre, McGuinti, ha posto la parola fine alla polemica. “Non ci sarà nessuna sharia in Ontario. Ci sarà una legge uguale per tutti.” Una decisione improntata al rispetto dei valori canadesi di laicità e uguali diritti. E al buon senso. Mostrato dal sondaggio del Globe and mail che ha rivelato che il 94% dei cittadini canadesi è contrario alla sharia. Finalmente la Arjomand e i suoi sostenitori hanno potuto tirare un respiro di sollievo.
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Re: Sharia o leje xlamega par Maometo e el Coran, on cremene

Messaggioda Berto » dom gen 15, 2017 10:12 pm

L’islam è un muro che imprigiona le società
Scritto il 4 settembre 2016

http://islamicamentando.altervista.org/ ... na-societa

Nel’islam lo sforzo più razionale che un musulmano possa compiere é quello dei mutakalimmun, gli esperti della scienza del kalam (teologia dogmatica) e del fiqh, i quali studiano come applicare correttamente ciò che é scritto sul Corano. Essi, a livello esteriore, indicano cosa si può fare e cosa non si può fare in base alla speculazione teologica, dando un ordine esauriente ad ogni ambito della società musulmana.
In tutte le scuole islamiche di diritto l’interesse centrale è per la giustizia e per l’ortoprassi. Le pratiche giuste e quelle sbagliate vengono così fissate nella sharia.

In questo quadro sintetico è essenziale ricordare il ruolo della shahada (testimonianza di fede), che è la prassi essenziale con cui si attesta di sottomettersi ad Allah (islam = sottomissione). Nel preciso istante in cui una persona diventa musulmana si impone i quattro pilastri e l’osservazione della sharia. Per avvicinarsi alla perfezione su questa terra ed al paradiso nell’aldilà gli sarà sufficiente continuare ad avere fede e seguire ciecamente le indicazioni dei sapienti (taqlid).

Uno degli obblighi che ogni musulmano deve rispettare è la Hisbah (“obbligo di sorveglianza”), e consiste nell’impedire che un confratello compia azioni vietate dalla Legge, ovvero si sottragga agli obblighi prescritti dalla sharia. Si tratta dunque del noro obbligo di “comandare il Bene e proibire il Male” che incombe sull’autorità in un paese islamico, attraverso il controllo esercitato dall’autorità magistratuale del Muhtasib, una sorta di polizia dei costumi.

Se a tutto ciò aggiungiamo la negazione del libero arbitrio (come lo conosciamo noi in occidente) il cerchio si chiude, da un muro invalicabile, senza possibilità di uscita, oltre il quale c’è l’apostasia (con conseguenti condanne) ed un’esistenza vissuta nell’errore a prescindere.

Dentro questo confine abbiamo regole arcaiche prescritte nell’Arabia del VII secolo, che riguardano ogni minimo aspetto della vita del fedele: il diritto di successione, come stipulare un contratto e persino come vestirsi, come sedersi, su quale fianco dormire, qual é il modo corretto di lavarsi le parti intime etc… Tutte queste norme sono ritenute sacre e inviolabili, indipendentemente dal tempo e che, se messe in pratica, rendono le società come il deserto arabo, arido e ostile.
Proviamo a pensare alla vita quotidiana di un “buon musulmano”, il quale sa perfettamente cosa deve fare per ogni sua singola azione, ed al quale è vietato rifettere su cosa è giusto e cosa non lo è perché c’è qualcuno che lo ha già decretato al suo posto e lo ha istruito su chi si deve scegliersi per amico e persino che “con la destra devi infilarti le scarpe e con la destra prendere il cibo”.

Con questo tipo di arida casistica giuridica che si pronuncia su ogni caso della vita, viene inevitabilmente – e, oseremmo aggiungere, volontariamente – soffocata la capacità razionale. Ripetere singole norme della sharia e arrovellarsi su possibili mancanze frena la ragione e impedisce l’attenzione verso tutte quelle sfumature che determinano la vita sociale di ogni individuo. La presenza così capillare ed invadente dell’islam nella vita degli individui finisce per frenare ogni tipo di cambiamento sostanziale della società. Gli individui (i musulmani) sono portati a chiudersi tra loro, a ritenere nocivo ciò che è fuori dal “confine islam”. L’esplorazione con la fantasia è vietata. Un comune musulmano che si sforza di capire cosa possa esserci di bello nella lettura di un romanzo di Dostoevskij fa una cosa haram (proibita).

E’ per questo motivo che l’islam, in quanto impressionante sistema politico, è stato in grado di immettere la sua impronta su immensi territori di questo pianeta ma allo stesso tempo ha frenato lo sviluppo delle società presenti sul territorio conquistato.

Esistono anche differenti culture nell’islam, ma ciò è dovuto ad una maggiore o minore osservanza e al fatto che la religione viene messa in pratica in maniera differente in posti differenti, non essendoci un’autorità centrale che stabilisca cosa fare. Ciò nonostante, negli aspetti generali le culture islamiche sono praticamente tutte uguali, con differenze secondarie, e tutte accomunate da una notevole arretratezza, anche dove grazie ai “petrodollari” c’è molta ricchezza. Tramite gli ordini e i divieti, il contesto sociale derivante dalle circostanze e dalle usanze, viene conformato alla Legge fissata nel Corano e nella Sunna.
L’islam è legato rigidamente ad una determinata cultura “arabizzante” e ad una precisa organizzazione politica: togli il potere politico all’islam, e distruggi l’islam. Fai una società non teocratica e avrai distrutto l’islam in quelle regioni. Una società laica non è mai esistita nell’islam, al limite è esistito un potere che non trova la sua legittimazione nel Corano, ma comunque prima o poi ha fatto i conti con la società islamizzata, e ha dovuto lasciare tutte le questioni sociali in mano all’islam e alla sua visione del mondo. È chiaro che un potere del genere, per esistere, deve essere dittatoriale.

Insomma, la sopravvivenza dell’islam è legata al predominio di ogni cosa. Solo Allah è il detentore della legge e non esiste alcuna sovranità popolare. Il compito dello Stato (quando c’è uno Stato) sarà esclusivamente quello di applicare il diritto musulmano.
Si capisce bene che una privazione così restrittiva e totale delle libertà e responsabilità della persona non può far altro che frenare la società in tutti i suoi aspetti. Impedire una svolta verso l’uomo come individuo libero significa privare la società di ogni possibilità di avere il suo umanesimo europeo. Nessun Rinascimento come preludio a una svolta verso la civiltà.
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Re: Sharia o leje xlamega par Maometo e el Coran, on cremene

Messaggioda Berto » sab mag 20, 2017 7:18 am

Islam e integrazione: il problema della Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani
Written by Staff Rights Reporter on Gen 25, 2015

http://www.rightsreporter.org/islam-e-i ... itti-umani

Si fa un gran parlare di integrazione da parte degli stranieri e si arriva pure a sostenere che l’aumento dell’estremismo islamico in Europa sia il frutto proprio della mancanza di una adeguata politica di integrazione.

Noi non siamo molto d’accordo con questa teoria e spieghiamo perché. Secondo il nostro modestissimo parere la mancata integrazione degli stranieri nei Paesi europei (nel nostro caso parleremo di Italia) non dipende tanto dalla situazione sociale in cui molti stranieri si vengono a trovare, che è certamente importante, ma non decisiva per una piena comprensione dei valori che alimentano le nostre democrazie, valori che dovrebbero essere proprio alla base di qualsiasi forma di integrazione. Per capire meglio il nostro ragionamento prendiamo proprio i casi più eclatanti di mancata integrazione che riguardano principalmente gli immigrati musulmani (anche di seconda e terza generazione) che in moltissimi casi rifiutano di accettare quei valori fondamentali su cui si basano le democrazie europee, valori che fanno capo a due documenti specifici che sono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In particolare, inutile negarlo, lo scontro tra la nostra cultura e quella musulmana si manifesta su tutti quegli articoli che parlano di libertà individuali e di parità di Diritti tra generi e soprattutto nel differente approccio al concetto di legge. Mentre nelle due dichiarazioni sopra citate i punti focali sono i Diritti Individuali basati esclusivamente su un concetto laico del Diritto, nella Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani il concetto di fondo è la legge islamica, la Sharia, che si basa esclusivamente su precetti religiosi.

E chiarissimo e lampante che tra le due visioni di insieme la differenza è abnorme e non conciliabile. E’ quindi impossibile che un qualsiasi residente in Europa possa accettare che i propri concetti di Diritto laici vengano spazzati via da un concetto teocratico che in molti punti fa addirittura a pugni con quanto stabilito dalle dichiarazioni dei Diritti accettate nel nostro continente in quanto stabilisce con chiarezza la supremazia della legge islamica rispetto alle leggi nazionali. In particolare nei seguenti articoli che non possono in nessun caso essere accettati in Europa e che, per dirla tutta, andrebbero messi fuorilegge:

Art. 4 – Il diritto alla giustizia

1) Ogni individuo ha diritto di essere giudicato in conformità alla Legge islamica e che nessun’altra legge gli venga applicata…

5) Nessuno ha il diritto di costringere un musulmano ad obbedire ad una legge che sia contraria alla Legge islamica. Il musulmano ha il diritto di rifiutare che gli si ordini una simile empietà, chiunque esso sia: «Se al musulmano viene ordinato di peccare, non è tenuto né alla sottomissione né all’obbedienza» ( ḥadīth )[1].

O ancora la definizione di equità di un processo e di presunzione di innocenza:

Art. 5 – Il diritto ad un processo giusto

1) L’innocenza è condizione originaria: «Tutti i membri della mia Comunità sono innocenti, a meno che l’errore non sia pubblico» ( ḥadīth ). Questa presunzione di innocenza corrisponde quindi allo «statu quo ante» e deve rimanere tale, anche nei confronti di un imputato, fino a che esso non sia stato definitivamente riconosciuto colpevole da un tribunale che giudichi con equità.

2) Nessuna accusa potrà essere rivolta se il reato ascritto non è previsto in un testo della Legge islamica… …

4) In nessun caso potranno essere inflitte pene più gravose di quelle previste dalla Legge islamica per ogni specifico crimine: «Ecco i limiti di Allah, non li sfiorate» (Cor. II:229)…

Inoltre, relativamente al libero pensiero, troviamo delle fondamentali differenze tra le due Dichiarazioni; infatti per i Paesi firmatari della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si legge:

Articolo 18

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.

Articolo 19

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

mentre nella Dichiarazione islamica troviamo:

Art. 12 – Il diritto alla libertà di pensiero, di fede e di parola

1) Ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia, fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito. Nessuno infatti ha il diritto di propagandare la menzogna o di diffondere ciò che potrebbe incoraggiare la turpitudine o offendere la Comunità islamica: «Se gli ipocriti, coloro che hanno un morbo nel cuore e coloro che spargono la sedizione non smettono, ti faremo scendere in guerra contro di loro e rimarranno ben poco nelle tue vicinanze. Maledetti! Ovunque li si troverà saranno presi e messi a morte» (Cor., XXXIII:60-61). … 4) Nessun ostacolo potrà essere frapposto alla diffusione delle informazioni e delle verità certe, a meno che dalla loro diffusione non nasca qualche pericolo per la sicurezza della comunità naturale e per lo Stato: «Quando giunge loro una notizia rassicurante o allarmante, essi la divulgano; se l’avessero riferita all’Inviato di Dio e a quelli di loro che detengono l’autorità, per domandare il loro parere avrebbero saputo se era il caso di accettarla, perché di solito si fa riferimento alla loro opinione» (Cor. 4,83).

Ora, è chiaro che se anche le seconde generazioni di musulmani crescono apprendendo che i loro Diritti sono tutelati dalla Dichiarazione islamica dei Diritti Umani invece che dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani o dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, lo scontro tra civiltà e ideologie diverrà immancabile e a farne le spesa sarà proprio quella integrazione di cui tanto si parla.

E qui sarebbe il caso anche di fare un lungo ragionamento sul concetto di integrazione, che non significa che noi europei ci dobbiamo adattare alle usanze e alle leggi di chi viene nel nostro continente ma è esattamente il contrario. Come si risolve questo problema? Si risolve dal basso, inserendo obbligatoriamente lo studio dei Diritti Umani nelle scuole e un piano di studio che compari le varie dichiarazioni e ne evidenzi le differenze in termini di Diritto. Se a una bambina musulmana viene spiegato che lei ha gli stessi Diritti di un maschio musulmano quando questa andrà a casa saprà che qualsiasi forma di costrizione nei suoi confronti è di fatto una violazione della legge, della nostra legge che è l’unica che tutti sono tenuti a rispettare se veramente vogliono essere integrati. Ed è questo il punto focale della nostra iniziativa: è impossibile accettare che la legge islamica prevalga sulle leggi nazionali e per questo che dai prossimi giorni daremo il via a due iniziative congiunte. La prima è volta a chiedere che in Italia l’insegnamento dei Diritti Umani così come enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani venga reso obbligatorio e non come semplice complemento dello studio del Diritto Civile. La seconda iniziativa è volta rendere fuorilegge la dichiarazione islamica dei Diritti Umani in quanto chiaramente incompatibile sia con le nostre leggi che con tutte le legislazioni dell’Unione Europea in quanto pone la legge islamica al di sopra delle leggi nazionali, un vero e proprio bastione contro l’integrazione. Le due iniziative, in particolare quella in Europa, verranno aperte da un dettagliato esposto che renderemo pubblico appena possibile cioè non appena verranno recepiti e messi in discussione, il che ci auguriamo avverrà prima possibile.


Preistoria e storia del diritto, fonti varie
viewtopic.php?f=205&t=2521

Diritto islamico


Shariʿah o sharia
https://it.wikipedia.org/wiki/Shari'a
Shariʿah o sharia (in arabo: شريعة‎, sharīʿa) è un termine arabo dal senso generale di "legge" (letteralmente "strada battuta"), che può essere interpretata sotto due sfere, una più metafisica e una più pragmatica. Nel significato metafisico, la sharīʿah è la Legge di Dio e, in quanto tale, rimane sconosciuta agli uomini.

Sharia o legge islamica per Maometto ed il Corano
viewtopic.php?f=188&t=1460

La Sharia non è la legge di D-o ma soltanto quella dell'idolo Allah
viewtopic.php?f=188&t=2470
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8731864964
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Re: Sharia o leje xlamega par Maometo e el Coran, on cremene

Messaggioda Berto » lun lug 02, 2018 4:17 am

La dura legge del Corano: a morte chi lascia l'islam
Fausto Biloslavo - Ven, 03/05/2013

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/du ... 13658.html

Risultati choc da uno studio pubblicato in America, la gran parte di quanti vogliono adottare la Sharia esigono di uccidere gli apostati

Il 78% dei musulmani in Afghanistan vuole la pena di morte per chi abbandona l'Islam. Egitto e Pakistan seguono a ruota con il 64%, ma pure in Malesia, Giordania e territori palestinesi la maggioranza auspica il patibolo.

Iraq e Bangladesh sono di poco sotto il 40% e la Thailandia supera il 20%. Risicate minoranze pretendono la pena capitale per gli apostati anche in Bosnia, Kosovo, Turchia ed Albania.

Non solo: a Rabat il Consiglio degli ulema, la massima rappresentanza religiosa del Paese, ha stabilito che «tutti i marocchini colpevoli di apostasia meritano la morte».
Le percentuali per paese, sul patibolo in nome di Allah, sono state pubblicate da un blogger sul Washington Post incrociando i dati di un rapporto di 226 pagine del Pew center, un forum americano specializzato in religioni e vita pubblica. Dal 2008 al 2012 i suoi ricercatori hanno condotto 38mila interviste in 39 Paesi di tre continenti pubblicando il 30 aprile un voluminoso rapporto sul mondo musulmano.

Il primo dato riguarda la sharia, la dura legge del Corano. In Afghanistan il 99% dei musulmani non ha dubbi sull'applicazione delle norme islamiche. Percentuali bulgare anche in Iraq (91%), nei Territori palestinesi (89%), ma pure nell'Africa nera, in Niger (86%) e nell'Estremo Oriente con la Malesia all'86%. In Europa il 20% della popolazione musulmana in Kosovo vuole la sharia, il 15% in Bosnia-Erzegovina e fanalino di coda Albania e Turchia a pari merito con il 12%. Fra gli islamici della Federazione russa quasi la metà, il 42%, auspica l'applicazione della legge implacabile del Corano.

Fra i musulmani che vogliono la sharia i ricercatori hanno chiesto chi è d'accordo con la lapidazione in caso di adulterio, le amputazioni per i ladri e la pena di morte agli apostati. In Europa, dai Balcani al Caucaso, il 36% è favorevole alle terribili punizioni corporali. In Kosovo e Albania un quarto dei musulmani pro sharia vuole lapidare le adultere. Nel Paese delle aquile il 43% è favorevole al taglio delle mani per i ladri. Il dato schizza all'81% nell'Asia meridionale (Pakistan, Afghanistan e Bangladesh).

L'incrocio dei dati pubblicati sul blog del Washington Post indica le allarmanti percentuali assolute dei musulmani che vogliono la pena di morte per chi abbandona l'Islam. L'Afghanistan è al primo posto con il 78%, ma colpiscono l'Egitto al 64% e i Territori palestinesi al 59%. Maggioranza assoluta a favore del patibolo anche per Giordania e Malesia. La Thailandia si ferma al 21%. In Paesi come la Tunisia, a forte maggioranza islamica, dove è iniziata la primavera araba non si supera il 16% di fan della forca di Allah ed in Libano ci si abbassa al 13%. Minoranze risicate, fra l'1 ed il 2%, vogliono il patibolo pure in Europa (Bosnia, Kosovo, Turchia ed Albania). Nelle Repubbliche musulmane della Russia si sale al 6%.

Il «moderato» Marocco non è contemplato nello studio, ma ieri è trapelata la «raccomandazione» del Consiglio degli ulema presieduto dal re, Mohammed VI. Secondo il conclave islamico «tutti i marocchini colpevoli di apostasia meritano la morte». Teoricamente la «raccomandazione» del patibolo dovrebbe venir applicata ai sudditi del regno con padre musulmano, che decidano di abbracciare un'altra religione al di fuori dell'Islam. Il Paese è spaccato in due fra i riformisti, colti di sorpresa, e i salafiti che cantano vittoria. Il re non si è ancora pronunciato, ma la «raccomandazione» degli ulema cozza con gli articoli liberali della Costituzione approvata due anni fa su spinta del monarca, che garantisce i diritti universali di pensiero e di culto.
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Re: Sharia o leje xlamega par Maometo e el Coran, on cremene

Messaggioda Berto » gio apr 30, 2020 1:21 pm

Tribunali del Regno Unito: I matrimoni della Sharia non sono validi per la legge britannica
Soeren Kern
28 aprile 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/15951 ... britannica


La Corte d'Appello, il secondo tribunale più alto nel sistema giuridico di Inghilterra e Galles, dopo la Corte Suprema, ha stabilito che il contratto di matrimonio, noto come nikah in arabo, non è valido ai sensi della legge britannica.

La storica sentenza ha implicazioni di vasta portata. Da un lato, la decisione compromette i tentativi di sancire questo aspetto della legge della Sharia nel sistema giudiziario britannico. Dall'altro lato, nega a migliaia di potenziali donne musulmane in Gran Bretagna la possibilità di ricorrere alle vie legali in caso di divorzio.

Il caso riguarda una coppia separata, Nasreen Akhter e Mohammed Shabaz Khan, entrambi di origini pakistane, che avevano contratto un nikah con una cerimonia officiata da un imam di fronte a 150 invitati, in un ristorante di Londra, nel dicembre del 1998.

Nel novembre del 2016, Akhter, un avvocato 48enne, ha chiesto il divorzio, presumibilmente perché Khan voleva prendere una seconda moglie. L'uomo un agente immobiliare di 48 anni, ha cercato di bloccare l'istanza di divorzio sostenendo che non erano legalmente sposati ai sensi della legge britannica. Khan ha dichiarato che erano marito e moglie solo "secondo la legge della Sharia" ed è ricorso in giudizio per impedire alla Akhter di pretendere da lui denaro o proprietà, come un coniuge legalmente sposato ha diritto di fare.

La donna ha detto che lei e Khan, che hanno quattro figli, intendevano far seguire alla cerimonia del nikah un'altra cerimonia civile che sarebbe stata conforme alla legge britannica. Ma non ha mai avuto luogo nessuna cerimonia civile perché, secondo la Akhter, Khan si è rifiutato di procedere in tal senso.

Il 31 luglio 2018, la Family Division dell'Alta Corte ha stabilito che il nikah rientrava nell'ambito del Matrimonial Causes Act 1973, che stabilisce tre categorie di matrimonio: valido, nullo e inesistente. I matrimoni validi possono essere sciolti con un decreto di divorzio; i matrimoni nulli con un decreto di nullità e quelli inesistenti non possono essere sciolti perché il matrimonio non è mai esistito a livello legale.

Il giudice ha stabilito che il matrimonio celebrato tra le parti doveva qualificarsi come "nullo", in quanto "celebrato in violazione di alcuni requisiti riguardanti la formazione del matrimonio"; e che quindi la ricorrente aveva diritto a un "decreto di nullità del matrimonio".

Il procuratore generale, a nome del governo britannico, ha presentato appello sul presupposto che era sbagliato riconoscere il matrimonio come "nullo" anziché come "inesistente".

Il 14 febbraio 2020, la Corte d'Appello con sede a Londra ha annullato la decisione dell'Alta Corte e ha stabilito che i nikah sono matrimoni "inesistenti" nell'ambito della legge britannica. Nella sua sentenza, la corte ha precisato:

"La Corte d'Appello ritiene che la cerimonia di nikah celebrata nel dicembre del 1998 non ha creato un matrimonio nullo perché non era una cerimonia valida. Le parti non hanno contratto matrimonio, 'secondo le disposizioni' della legge britannica (Parte II del Marriage Act 1949). La cerimonia non è stata officiata in una struttura abilitata. Peraltro, non è stata data alcuna comunicazione al sovrintendente ufficiale di stato civile, non sono stati rilasciati dei certificati e non era presente alla cerimonia nessun ufficiale di stato civile o persona autorizzata. Inoltre, le parti sapevano che la cerimonia non aveva alcun valore legale e che avrebbero dovuto celebrare un'altra cerimonia che fosse conforme ai pertinenti requisiti per essere validamente sposati. Secondo la Corte, la determinazione del fatto che un matrimonio sia nullo o meno dipende da futuri eventi, come l'intenzione di officiare un'altra cerimonia o se ci sono figli.

"Non è giustificato considerare la cerimonia civile, che le parti intendevano celebrare, come di fatto avvenuta, quando non è stato così. Questo può avere come conseguenza che una coppia risulti sposata anche se a un certo punto cambia idea durante il processo di formalizzazione del matrimonio. Ciò sarebbe in contraddizione con l'abolizione del diritto di proporre azioni per la violazione di una promessa di matrimonio come definito dalla section 1 del Law Reform (Miscellaneous Provisions) Act 1970. Le intenzioni delle parti non possono trasformare quella che altrimenti sarebbe una cerimonia non valida in una che rientra nell'ambito di applicazione del Marriage Act 1949".

La Corte d'Appello ha aggiunto: "Non è difficile per le parti che vogliono essere legalmente sposate conseguire tale status".

La sentenza, che presumibilmente la Akhter impugnerà davanti alla Suprema, è stata accolta con indignazione dagli attivisti che sostengono che migliaia di donne musulmane del Regno Unito ora non hanno alcun diritto legale in caso di divorzio.

In un comunicato stampa, Southall Black Sisters, un gruppo di sostegno per le donne sud-asiatiche, ha dichiarato:

"Abbiamo cercato di informare la Corte d'Appello che molte donne appartenenti alle minoranze, soprattutto le donne musulmane, vengono ingannate o costrette da mariti violenti a contrarre solo il matrimonio religioso, che le priva dei loro diritti finanziari quando il matrimonio finisce...

"La Corte ha rilevato che 'non è difficile per le parti che vogliono essere legalmente sposate conseguire tale status'. Ma ciò non tiene conto delle storie di molte donne appartenenti a minoranze che hanno grandi difficoltà a conseguire questo status nell'ambito di abusi domestici, di dinamiche della famiglia patriarcale e notevoli squilibri di potere...

"La sentenza odierna costringerà le donne musulmane a rivolgersi alle 'corti' della Sharia che già provocano danni ingenti a donne e minori per le soluzioni proposte visto che ora sono escluse dal sistema di giustizia civile".

Nel novembre del 2017, un sondaggio condotto per un reportage di Channel 4 — dal titolo "La verità sui matrimoni islamici" — ha rilevato che quasi tutte le donne musulmane sposate del Regno Unito hanno contratto un nikah, ma più del 60 per cento di loro non ha celebrato successivamente una cerimonia civile che avrebbe reso valido il matrimonio ai sensi della legge britannica.

Nel febbraio del 2018, una revisione indipendente dell'applicazione della legge della Sharia in Inghilterra e nel Galles, commissionata da Theresa May nel maggio 2016, allora titolare dell'Interno, raccomandava di apportare modifiche al Marriage Act 1949 e al Matrimonial Causes Act 1973 richiedendo ai musulmani di contrarre il matrimonio con rito civile prima o durante la cerimonia del nikah. Ciò renderebbe il matrimonio islamico conforme al matrimonio cristiano o ebraico agli occhi della legge britannica. Il report affermava:

"Collegando il matrimonio islamico a quello civile si assicura a un maggior numero di donne musulmane la piena protezione loro garantita dal diritto familiare e il diritto a un divorzio civile, semplificando il processo decisionale dei consigli della Sharia".

E aggiungeva:

"Il panel ritiene che gli elementi di prova dimostrano la necessità di un cambiamento culturale in seno alle comunità musulmane in modo che le comunità riconoscano i diritti delle donne nel diritto civile, soprattutto in ambiti come il matrimonio e il divorzio. Andrebbero poste in essere campagne di sensibilizzazione, programmi formativi e altre misure simili, per educare e informare le donne dei loro diritti e doveri, evidenziando altresì la protezione legale offerta loro dai matrimoni registrati civilmente".

E per finire il panel ha segnalato al governo la necessità di creare una nuova agenzia per regolamentare le corti della Sharia e pertanto legittimarle:

"Un simile organismo metterebbe a punto un codice di condotta che i consigli della Sharia dovrebbero accettare e attuare. Ovviamente, ci sarebbe un onere una tantum per istituire questo organismo, ma successivamente il sistema sarebbe autoregolamentato".

Nel marzo del 2018, l'allora segretario di Stato Sajid Javid, in un Libro verde intitolato "Integrated Communities Strategy ", ha così risposto:

"Accogliamo con favore la revisione indipendente dell'applicazione della legge della Sharia in Inghilterra e nel Galles. Le coppie delle comunità religiose sono da tempo in grado di contrarre un matrimonio legalmente valido celebrato con rito religioso, se sono soddisfatti i requisiti previsti dalla legge.

"Tuttavia, condividiamo la preoccupazione sollevata nella revisione che alcune coppie potrebbero sposarsi in un modo che non fornisce loro quelle tutele legali offerte invece dai matrimoni registrati civilmente. Siamo altresì preoccupati per le notizie che ci sono giunte di donne discriminate e trattate in modo iniquo da alcuni consigli religiosi.

"Il governo, in linea di massima, è favorevole al requisito che i matrimoni civili siano celebrati prima o durante le cerimonie religiose. Pertanto, il governo vaglierà le sfide legali e pratiche della riforma limitata relativa alla legge sul matrimonio e le nozze religiose.

"Il governo ritiene che la proposta della revisione di creare un sistema di regolamentazione agevolato e approvato dallo Stato per i consigli della Sharia conferirebbe loro legittimità come forme alternative di risoluzione delle controversie. Il governo non reputa che lo Stato abbia un ruolo da svolgere in tal modo".

Nel gennaio del 2019, il Consiglio d'Europa, la principale organizzazione di difesa dei diritti umani del continente, ha espresso preoccupazione in merito al ruolo delle corti della Sharia nell'ambito del diritto familiare, ereditario e commerciale britannico. E così ha chiesto al governo di eliminare gli ostacoli che impediscono alle donne musulmane di accedere alla giustizia:

"Sebbene non siano considerati parte del sistema giuridico britannico, i consigli della Sharia cercano di fornire una forma alternativa di risoluzione delle dispute, per cui i membri della comunità musulmana, a volte volontariamente, spesso sotto una fortissima pressione sociale, accettano la loro giurisdizione religiosa principalmente in questioni coniugali e nelle procedure di divorzio islamiche, ma anche in questioni legate alle eredità e ai contratti commerciali islamici. L'Assemblea è preoccupata del fatto che le regole dei consigli della Sharia discriminino chiaramente le donne in materia di divorzio e di successione".

Il Consiglio d'Europa ha inoltre fissato come termine il prossimo giugno 2020 affinché il Regno Unito riferisca all'Assemblea in merito alle misure atte a rivedere il Marriage Act, il che renderebbe obbligatorio per le coppie musulmane contrarre un matrimonio con rito civile – come attualmente previsto per le nozze cristiane ed ebraiche.

Un portavoce del ministero dell'Interno ha risposto alla risoluzione del Consiglio d'Europa:

"La legge della Sharia non è parte integrante della legge in Inghilterra e nel Galles. Indipendentemente dal credo religioso, siamo tutti uguali davanti alla legge. Laddove esistono i consigli della Sharia, devono conformarsi alla legge.

"Vigono leggi per tutelare i diritti delle donne e prevenire le discriminazioni, e lavoreremo con le autorità competenti per garantire che tali leggi vengano pienamente ed effettivamente applicate".

Al momento, né il governo britannico né il Parlamento britannico hanno introdotto una legislazione che imponga ai musulmani di contrarre matrimoni civili prima o durante la cerimonia del nikah.

La sentenza della Corte d'Appello, tuttavia, pone un freno all'ulteriore sconfinamento della legge della Sharia nel sistema giuridico britannico. La decisione della Corte ribadisce con efficacia il principio che gli immigrati che si stabiliscono nel Regno Unito devono conformarsi alla legge britannica, e non il contrario.

Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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