La goera co l'ISIS (e co l'Ixlam ?)

Re: La goera co l'ISIS (e co l'Ixlam ?)

Messaggioda Berto » gio mar 10, 2016 11:03 am

Che cosa vuole davvero il Califfato? Conquistare il potere sulle anime
di Aldo Cazzullo *
(Il Corriere della Sera, 10 marzo 2016)

http://www.corriere.it/cultura/16_marzo ... cb64.shtml

Maurizio Molinari analizza la minaccia del fondamentalismo islamico (Rizzoli)

«Al- Baghdadi non si cura troppo di fedelissimi eliminati e di villaggi perduti, ciò che conta per lui è restare protagonista di una guerra permanente. Riuscire a portarla in Europa, in Russia o negli Stati Uniti significa dimostrare ai propri seguaci di essere il vero Califfo: inarrestabile e feroce».
Maurizio Molinari parte da queste premesse per spiegare perché non solo non stiamo vincendo, ma non riusciamo a combattere davvero e forse neppure a pensare la guerra contro l’Isis. Il suo ultimo libro 'Jihad. Guerra all’Occidente' (Rizzoli) dà una visione d’insieme che parte dal Medio Oriente, cuore del conflitto, e man mano si allarga al teatro complessivo dello scontro, le potenze regionali del Golfo, l’Europa, l’Asia centrale, la mezzaluna islamica da Timor Est al Marocco, e infine il grande nemico, incubo e sogno di ogni estremista islamico: l’America, dove forse soltanto un nuovo grande attentato potrebbe volgere la partita delle presidenziali del novembre 2016 a favore di Donald Trump contro la vincitrice annunciata — ma debole — Hillary Clinton.
Quella che stiamo fronteggiando, e che Molinari racconta nel suo saggio, non è una guerra tradizionale; è un’epoca. È anche l’epoca della proliferazione nucleare, delle bombe «sporche». E gli integralisti islamici hanno già dimostrato di essere disposti a sacrificare la vita, pur di spegnerne molte altre insieme con la loro. Si aprono scenari di fronte a cui è in utile tapparsi occhi e orecchie; bisogna invece studiare, prepararsi, informarsi. Perché la storia ci riguarda. Come scrive Molinari, il primo e più facile obiettivo dell’Isis è l’Europa: i Balcani «terre musulmane» nel linguaggio del Califfo, l’Andalusia «da liberare» perché apparteneva al Saladino, Roma «capitale della cristianità» e la Francia «delle prostitute e delle oscenità», colpita non a caso il 13 novembre 2015.
La scena si apre sul territorio dello Stato Islamico, dalla periferia di Aleppo, martellata per settimane dall’aviazione russa, a quella di Ramadi. Si estende al Kurdistan, nella versione irachena con capitale Erbil e in quella siriana nell’enclave del Rojava; alla striscia di Gaza in mano ad Hamas, con Hezbollah padrone del Libano meridionale e della valle della Bekaa, a chiudere Israele — l’unica democrazia della regione — in una morsa estremista sciita; e poi la mappa delle milizie e dei gruppi etnici quasi sconosciuti nell’Occidente che minacciano, Fajr Libia in Tripolitania, la tribù degli houthi nel Nord dello Yemen, mentre a Sud Mukallah è in m ano ad al -Qaida, «senza contare le aree di territorio controllate da Isis nel Sinai, dagli al-Shabab in Somalia , da tuareg e tebu nel Fezzan e da Boko Haram in Nigeria, sulle rive del lago Ciad».
È il nuovo «grande gioco » della diplomazia e della politica contemporanee, che l’autore conosce bene sia per gli anni trascorsi come corrispondente da Bruxelles e da Washington, sia per l’esperienza sul campo in Medio Oriente. La differenza rispetto al l’Ottocento e al Novecento è che oggi non c’è un impero anglosassone — prima quello inglese, poi quello americano — capace di tenere sotto controllo il Great Game. E così le potenze regional i — Egitto, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran — perseguono ognuna il proprio obiettivo, incapaci di elaborare una strategia comune per fermare la guerra civile islamica, in cui gli estremisti tentano di trascinare l’Occidente, colpendolo per ragioni insieme di strategia e di propaganda. Il Califfo e quelli che ragionano come lui vogliono il potere sulle anime del loro campo; e per prenderlo non esitano a spargere sangue innocente (ma non ai loro occhi) nelle città europee. Molinari traccia anche i ritratti dei protagonisti, spesso poco conosciuti. Al-Baghdadi e la sua strategia dei bayat, il giuramento di fedeltà tribale imposto a miriadi di fazioni in angoli della terra che non abbiamo mai sentito nominare, Africa compresa. Il generale iraniano Qassem Soleimani, braccio armato del leader supremo Ali Khamenei, convinto assertore della necessità di «annichilire», «dissolvere» e «rimuovere» Israele. Salman, il re guerriero dell’Arabia Saudita, e il suo uomo Bin Nayef, il «controrivoluzionario» sunnita, che ha eradicato al -Qaida dalla sua terra d’origine. Ahmed El-Tayyeb, il grande imam della moschea di al-Azhar. L ’emiro del Qatar Tamim a lThani , «la sfinge del Golfo », che consente i finanziamenti privati per Isis e invia gli aerei per combatterlo. L’emiro dell’Oman Qaboos bin Said a lSaid , il negoziatore segreto … Alla fine della lettura avvincente del libro, se ne esce con una convinzione: di questa guerra forse non vedremo la fine; l’Isis non si ferma soltanto con le bombe occidentali, un intervento armato della comunità internazionale, meglio se con truppe arabe, non è rinviabile; se anche si riuscirà a uccidere al-Baghdadi come si è fatto con Bin Laden, non è affatto escluso che nasca un mostro ancora peggiore, così come oggi lo Stato Islamico è più potente di al-Qaida . Ci possono salvare solo la cultura , la democrazia, la consapevolezza, la coesione: i valori di cui Molinari parlava nel suo l ibro del 2013 L’aquila e la farfalla. Perché il XXI secolo sarà ancora americano. Valori che non dobbiamo considerare acquisiti per sempre, e vanno difesi a maggior ragione nella difficile epoca che abbiamo davanti. ©
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Messaggioda Berto » gio mar 10, 2016 8:42 pm

Il capo Isis in Libia: Italia fra i crociati, prego per la conquista di Roma
2016-03-09
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=ACw6HKlC

«Ci sono preparativi per la creazione di una nuova coalizione di crociati finalizzata a condurre una guerra contro lo Stato islamico» in Libia e i suoi «Stati principali sono Francia, Gran Bretagna e Italia, sostenuti da fazioni combattenti interne che rafforzeranno tale coalizione»: lo ha detto in un’intervista al settimanale Al-Naba quello che è considerato il nuovo capo dell'Isis in Libia, Abdel Qader Al-Najdi. «Questa coalizione - ha sostenuto ancora il capo terrorista - fa parte di una catena già creata dai loro antenati, grandissimi criminali, che hanno combattuto i primi musulmani». «Il numero di traditori giudei e crociati s'è moltiplicato - ha detto ancora Al-Najdi - hanno annunciato chiaro e tondo che non autorizzeranno né la creazione di un califfato e nè la sharia». L’esponente jihadista ha persino evocato la conquista di Roma da parte dello Stato islamico. «Preghiamo Dio di essere fedeli pii e di essere coloro che conquisteranno Roma», ha aggiunto nell'intervista intitolata proprio con questa frase.
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Messaggioda Berto » sab mar 19, 2016 11:25 pm

BRUTTE NOTIZIE DALLA TURCHIA

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 2232029173

Questa mattina c'e' stato un attentato in Turchia,ad Istanbul. La Turchia ha annunciato che tre israeliani sono stati uccisi durante l'attacco terroristico e 11 sono rimasti feriti.Tra gli israeliani feriti,2 sono in condizioni gravi,2 in condizioni medie e altri sette in condizioni lievi.
MDA e ZAKA atterreranno a Istanbul per soccorrere i feriti israeliani e riportarli a casa per ricoverarli negli ospedali.

Inoltre la notizia che un personaggio governativo turco, del partito di Erdogan, ha twittato l'augurio che tutti i morti dell'attentato di questa mattina ad Istanbul siano israeliani.


Turchia, kamikaze dell'Is si fa saltare a Istanbul: cinque vittime nella via dello shopping
19 marzo 2016
http://www.repubblica.it/esteri/2016/03 ... -135831236

L'esplosione nella parte europea della città. L'attentatore suicida è il sesto morto. Il governo prima accusa del Pkk, poi corregge: è stato un turco membro dello Stato Islamico. La cantante Skin testimone dell'attentato: "Sono scioccata"

ISTANBUL - Un attentatore kamikaze dello Stato Islamico si è fatto esplodere in una via pedonale della parte europea di Istanbul, causando la morte di cinque persone e ferendone 36. L'esplosione è avvenuta su viale Istiklal, strada dello shopping. Alcuni dei feriti sono in gravi condizioni.

Il kamikaze è stato identificato come Savas Yildiz, 33 anni, originario di Adana nel sud del Paese. È un militante turco dello Stato Islamico che faceva parte della lista dei sospetti potenziali attentatori suicidi. Il governo in un primo momento aveva accusato il Pkk curdo dell'attentato, ma poi è stato costretto a correggere il tiro.

La detonazione è stata avvertita intorno alle 09:55 locali, nel centro della città. Secondo alcuni testimoni, gli ordigni addosso al terrorista sono esplosi mentre l'uomo camminava su Balo Sokak, una stradina all'angolo con viale Istiklal, a pochi metri dalla piazza di Galatasaray e dal centro commerciale Demiroren, il più grande della zona, davanti a una rosticceria.

Secondo la prima ricostruzione della polizia, l'obiettivo dell'attacco era una stazione di polizia, ma l'attentatore non sarebbe stato in grado di raggiungerla e - preso dalla paura - si è fatto esplodere comunque. I morti sarebbero due cittadini americani, due israeliani e un iraniano. I feriti sono almeno 36, un terzo dei quali stranieri.

Tensione alle stelle. La tensione in Turchia è altissima. Domenica scorsa, ad Ankara, un attentato ha causato la morte di 37 persone. Giovedì e venerdì le rappresentanze diplomatiche tedesche nel Paese sono rimaste chiuse per la minaccia di un attacco dell'Is. Le forze di sicurezza sono inoltre in allerta per le celebrazioni del capodanno curdo Newroz, che culmineranno lunedì a Diyarbakir, nel sud-est, ma sono state vietate in quasi tutta la Turchia.
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Messaggioda Berto » lun mar 21, 2016 12:13 am

Intervista a Robert Spencer: “Ci hanno convinto che criticare il terrorismo jihadista sia sbagliato”
Niram Ferretti
20 marzo 2016

http://www.linformale.eu/intervista-a-r ... -sbagliato


Robert Spencer il combattivo direttore-fondatore del sito Jihad Watch, (L’osservatorio sul Jihad) e co-fondatore con Pamela Geller della SIOA (Stop Islamization of America), è un personaggio scomodo. Fa parte di quel gruppo di autori e studiosi occidentali i quali rifiutano la vulgata corrente dell’Islam come religione della pace e ne mostrano un volto assai meno confortante.

Autore di numerosi libri sull’argomento-in italiano è stato tradotto, “Guida politicamente scorretta all’Islam e alle Crociate”,-pochi sanno padroneggiare con altrettanta micidiale competenza (la sua conoscenza della letteratura religiosa islamica e della storia dell’Islam è formidabile) un dibattito sull’argomento. Ne sanno qualcosa i musulmani ortodossi che si sono confrontati con lui.

Naturalmente, Robert Spencer è considerato “islamofobo” come tutti coloro i quali, andando contro corrente, criticano l’Islam. Non a caso, insieme a David Horowitz ha scritto un opuscolo dal titolo emblematico: “Islamofobia, il reato totalitario del nuovo millennio”.

Mr. Spencer, oggi intorno all’Islam è stato creato un cordone sanitario. È l’unica religione mondiale che non si può criticare se no si viene immediatamente accusati di “islamofobia”. Come mai, secondo lei, si è creata questa situazione?
Gruppi filo-islamici di solito legati a Hamas e ai Fratelli Musulmani, insieme ai loro alleati di sinistra si sono uniti in uno sforzo comune per stigmatizzare qualsiasi critica nei confronti dell’Islam e la possibilità di discutere sulle radici del jihadismo nei testi e negli insegnamenti islamici. Di fatto sono riusciti a convincere la gente che sia in qualche modo moralmente sbagliato criticare il terrorismo jihadista e l’oppressione che consegue dalla sharia.

Non si può certo affermare che tutti i musulmani siano a favore del jihad. Eppure è anche l’unica religione che fa una grande fatica ad elaborare un discorso critico e di condanna esplicita della violenza che nasce al proprio interno. Perché?
La critica dell’Islam è proibita dalla legge islamica. Siccome i jihadisti usano i testi e gli insegnamenti dell’Islam per giustificare la violenza e l’oppressione e per reclutare musulmani pacifici, molti musulmani ritengono che persino criticare la violenza del jihad significhi criticare l’Islam medesimo e dunque si sottomettono all’interdizione nei confronti di questo tipo di critica.

In uno dei suoi libri, il grande islamologo tedesco del secolo scorso, Goldziher, ha scritto, “Maometto è il profeta della lotta e della guerra…Ciò che egli fece inizialmente nell’ambito arabo vale come testamento per i suoi seguaci: lotta contro gli infedeli, estensione non tanto della propria fede quanto della propria sfera di potere, che è la sfera di potere di Allah. I combattenti dell’Islam devono innanzitutto sottomettere più che convertire gli infedeli”. Quanto è vero oggi?
Lo è al 100%. L’esempio di Maometto resta quello principale per i musulmani in quanto nel Corano (33:21) il Profeta è ritenuto il modello supremo da emulare. Come ha scritto Goldziher il Corano ingiunge la sottomissione degli infedeli e l’estensione su di loro della sfera di potere dell’Islam, non la loro conversione.

Da diversi decenni assistiamo a un fenomeno singolare, l’adesione di molti intellettuali, prevalentemente di sinistra, sia in Europa che negli Stati Uniti a una ben precisa narrazione secondo la quale il terrorismo islamico non è veramente islamico ma è un prodotto di cause esterne e fondamentalmente dell’Occidente. Quali sono secondo lei i motivi di questo atteggiamento?
Questi intellettuali seguono le orme degli antenati che respingono e aborrono. Hanno adottato inconsciamente un paternalismo da “fardello dell’uomo bianco” nel ritenere che i musulmani non possano agire spontaneamente e in virtù delle loro credenze ma solo reagire alle depredazioni dell’Occidente. Secondo la loro supposizione inconscia solo gli occidentali non musulmani sono in grado di agire responsabilmente e razionalmente.

Recentemente Ayan Hirsi Alì ha proposto la seguente distinzione in ambito musulmano, tra i musulmani di Medina e quelli della Mecca. I primi, circa 48 milioni, sarebbero coloro i quali sono a favore dell’imposizione con la forza della sharia e a favore di un Islam immutato rispetto al VII secolo, i secondi, quelli che vivono in una tensione con la modernità e in uno stato di ‘dissonanza cognitiva”. È d’accordo?
No. Penso che ci siano molto più di 48 milioni di musulmani i quali sono a favore dell’imposizione della sharia e di una versione dell’Islam immutata dal VII secolo. Questo non significa, tuttavia, che siano disponibili o in grado di agire in base a queste convinzioni.

In un discorso che ha fatto scalpore all’università del Cairo di Al Azhar, il presidente egiziano Al Sisi davanti a una platea piena di autorità religiose ha affermato che la violenza islamica è legata alla religione. Come vede Al Sisi e ritiene che ciò che ha detto abbia importanza?
Le sue parole sono vere e necessarie. Ciò che colpisce, tuttavia è che nessuna autorità religiosa musulmana in Egitto o altrove abbia accolto la sua richiesta per una riforma e si sia messa a lavorare per raggiungere questo obbiettivo.

Nel suo libro “Jihad and Jew hatred”, Matthias Kuntzel ha scritto, “La divisione del mondo in una sfera islamica e una non-islamica spiega in parte l’odio che il musulmano ortodosso prova per Israele…Molti musulmani vedono la situazione in Palestina come una versione moderna dell’originario antagonismo tra Maometto e gli ebrei, con il risultato che considerano l’espulsione e l’uccisione degli ebrei del settimo secolo il modello per la politica corrente nei confronti di Israele”. Ritiene che abbia ragione?
Sì, del tutto. L’antagonismo di Maometto nei confronti degli ebrei per i musulmani è storia sacra e un paradigma per la loro interazione con loro e Israele.

Solo interpretando il Corano letteralmente è possibile giungere alla sua verità. Così affermano i rigoristi, i “puri” salafiti e wahabiti. Così afferma e mette in pratica l’ISIS. Il problema dell’Islam è fondamentalmente un problema di adesione alla lettera?
Sì. Qualsiasi riforma dell’Islam verso il pluralismo e una coesistenza pacifica ed egualitaria con gli infedeli dovrebbe incardinarsi su un esplicito rifiuto del letteralismo coranico.

Come ultima domanda veniamo agli Stati Uniti, il suo paese. Abbiamo visto come l’Amministrazione Obama abbia costantemente mitigato fino di evitare accuratamente di nominarlo ogni riferimento tra il terrorismo di matrice islamica e la sua origine religiosa. Sappiamo che gli Stati Uniti hanno un legame economico importante con l’Arabia Saudita, un regime si stretta osservanza wahabita. Cosa deve cambiare secondo lei nel rapporto tra Stati Uniti e mondo arabo-musulmano?
Le alleanze che promuovono le ideologie che danno vita al terrorismo jihadista vanno spezzate (come, ma non solo, quella con l’Arabia Saudita) e vanno formate nuove alleanze con quei paesi i quali, come gli Stati Uniti, si confrontano con la minaccia rappresentata dal jihad.
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Re: La goera co l'ISIS (e co l'Ixlam ?)

Messaggioda Berto » lun mar 21, 2016 6:46 am

Ai mussulmani, in Europa e in tutto l'occidente, andrebbe riservato lo stesso trattamento che l'Islam, Maometto e gli stati a prevalenza islamica riservano ai non islamici, agli ebrei, ai cristiani, agli yazidi. Questa è giustizia fare a loro quello che loro fanno agli altri. Niente chiese e sinagoghe alla Mecca bene allora niente moschee a Roma e in tutta Europa. Cosi imparerebbero a loro spese e sulla propria pelle cosa vuol dire non rispettare gli altri. I mussulmani andrebbero trattati tutti da dhimmi. Si riconosca ai mussulmani soltanto i diritti che nei paesi islamici vengono riconosciuti agli ebrei, ai cristiani e a tutti i diversamente religiosi. Nell'occidente laico si applichi ai mussulmani quello che Allah per bocca di Maometto ha ordinato di applicare agli ebrei, ai cristiani, ai politeisti e agli zorooastriani.
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Re: La goera co l'ISIS (e co l'Ixlam ?)

Messaggioda Berto » lun mar 21, 2016 10:43 am

Isis, svelati i dati personali di 22mila jihadisti: i documenti trafugati da un ex miliziano "pentito"
di Federica Macagnone
Giovedì 10 Marzo 2016

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/e ... 01834.html

Nomi, indirizzi, numeri di telefono, contatti familiari, un archivio con 22mila dati personali di presunti jihadisti dell'Isis originari di 51 Paesi: migliaia di documenti sono stati consegnati a Sky News da un sedicente pentito dell'organizzazione indicato col nome di Abu Ahmed, un ex membro della polizia per la sicurezza interna del gruppo terroristico.

L'uomo, inizialmente un ex combattente dell’Esercito Libero Siriano, uno dei gruppi ribelli più moderati che combattono il presidente siriano Bashar al Assad, ha poi deciso di entrare nelle fila dell'Isis. Tuttavia, dopo un periodo di militanza, pare che le sue aspettative siano state disattese dall'organizzazione: la delusione per quello che il Califfato è diventato nel corso del tempo lo ha spinto a passare le informazioni a Sky News attraverso una chiavetta Usb, consegnata, durante un incontro in Turchia, al giornalista dell'emittente Stuart Ramsay.

Secondo il Guardian, si tratterebbe degli stessi documenti ottenuti di recente dall'intelligence tedesca e la cui autenticità è stata confermata dal ministro dell'Interno tedesco, Thomas de Maizière, secondo cui l'acquisizione delle carte permetterà «indagini più veloci e chiare» oltre a «svelare la struttura dell’organizzazione terroristica». Un portavoce della polizia tedesca ha confermato che le autorità sono in possesso dei documenti originali, senza però spiegare come li abbiano avuti.

I documenti. I file contengono anche i questionari fatti compilare alle reclute una volta superato il confine siriano: 23 domande al quale il futuro jihadista deve rispondere rivelando, tra l'altro, il nome, la data e il luogo di nascita, il numero di telefono, il livello di istruzione, il gruppo sanguigno, il livello di conoscenza della sharia, il tipo di educazione ricevuta, le precedenti esperienze e se si ha l’intenzione di diventare un combattente o un attentatore suicida. Alcuni dei numeri telefonici nelle liste sono ancora attivi e potrebbero essere utilizzati dagli stessi jihadisti. Fra i file raccolti uno si intititola “martiri” e conterebbe i nomi dei kamikaze dell'Isis.

I nomi. Molti dei nominativi contenuti nei documenti sarebbero gli stessi diffusi in precedenza dal sito siriano Zaman Alwsl, che già a dicembre era entrato in possesso di materiale con i nomi di 122 “martiri”. Secondo l'analisi di Zaman Alwsl, i due terzi di tutti i miliziani dello Stato Islamico provengono dall’Arabia Saudita, dalla Tunisia, dal Marocco e dall’Egitto (il 25 per cento sono sauditi): i siriani sono solo l’1,7 per cento del totale dei combattenti, gli iracheni l’1,2 per cento.
Tra i nomi già noti anche quelli di foreign fighters come Abdel Bary, un rapper 26enne di Londra che si è unito all'Isis nel 2013, dopo essere stato in Libia, Egitto e Turchia. Ci sono anche i jihadisti uccisi dai raid dei droni occidentali, come Junaid Hussain, 21enne hacker di Birmingham che guidava il servizio informazioni e reclutamento dello Stato islamico in Siria. Lui e la moglie, Sally Jones, una ex punk del Kent che aveva scelto la via della jihad e si era trasferita in Medio Oriente, avevano pianificato attacchi terroristici nel Regno unito. Un altro è Reyaad Khan di Cardiff, ucciso nel corso di un attacco mirato della Raf nell'agosto 2015.

I servizi segreti. Richard Barrett, ex direttore delle operazioni antiterrorismo dei servizi segreti inglesi, ha detto che i file potrebbero rivelarsi il più grande passo in avanti fatto in questi anni nella lotta al terrorismo. «I documenti saranno una miniera d'oro di enorme importanza per molte persone, in particolare per i servizi di sicurezza e di intelligence».


I documenti trafugati sui combattenti dello Stato islamico sono attendibili?
Secondo alcuni analisti il leak di 22 mila file con i dati di migliaia di jihadisti sarebbe un "tesoro". Eppure, c'è più di qualcosa che non torna sulla loro autenticità. Un'infografica spiega la mappa dei miliziani del califfo secondo il carteggio allo studio dei servizi segreti occidentali
di Luca Gambardella | 11 Marzo 2016

http://www.ilfoglio.it/esteri/2016/03/1 ... e_c281.htm

I documenti trafugati sui combattenti dello Stato islamico sono attendibili?

Secondo alcuni analisti il leak di 22 mila file con i dati di migliaia di jihadisti sarebbe un "tesoro". Eppure, c'è più di qualcosa che non torna sulla loro autenticità. Un'infografica spiega la mappa dei miliziani del califfo secondo il carteggio allo studio dei servizi segreti occidentali

Un disertore dello Stato islamico ha fornito all'intelligence tedesca 22 mila file contenuti in una chiavetta Usb che si riferiscono a diverse centinaia di combattenti volontari dello Stato islamico. I file includono migliaia di pagine che riportano i dati personali degli aspiranti jihadisti: nome, cognome, data di nascita, paese di provenienza, lavoro, parenti, numeri di telefono. Per un totale di 23 voci compilate nel 2014 dall'ufficio dello Stato islamico che gestisce i transiti ai confini del Califfato.

Sono informazioni autentiche?

I dati sono arrivati ai media tedeschi, britannici e anche a una rivista basata in Qatar e vicina ai ribelli siriani, che li hanno pubblicati. Le informazioni diffuse sono ora al vaglio dell'intelligence tedesca, ma un funzionario di Berlino ha riferito alla Cnn che, a un primo studio, sembrano essere autentiche. Ieri però il Global Post aveva messo insieme diversi elementi che lasciavano trasparire più di qualche dubbio. Molti nominativi sembrano ripetersi riducendo così di molto il totale dei combattenti inseriti nella lista: di 22 mila file, solo 1.700 persone potrebbero essere identificate. Ricorrono anche altre anomalie: i loghi usati sarebbero inediti e, soprattutto, la dicitura araba per indicare lo Stato islamico compare in due modi diversi nel testo (e uno di questi non era mai stato riscontrato finora in altri documenti ufficiali del Califfato). Inoltre, i file includono i nominativi di 122 attentatori kamikaze deceduti, ma invece di identificarne la data del decesso con la dicitura consueta "data del martirio", nei documenti ricorre un semplice "data di morte". Secondo alcuni analisti citati dal Global Post potrebbe esserci una spiegazione per queste incongruenze: i documenti raccolti risalgono alla fine del 2013, quando il Califfato, inteso nella sua struttura burocratica, era ancora agli albori. La maggiore approssimazione e la minore attenzione al formato dei documenti potrebbero quindi essere imputabili alla scarsa dimestichezza dei funzionari che li hanno compilati.

Il Guardian ha verificato però che alcuni numeri di telefono riportati nei documenti appartengono effettivamente a combattenti dello Stato islamico o a loro famigliari. Altro dato che confermerebbe l'autenticità dei documenti è che molti dei jihadisti inseriti erano già noti ai servizi segreti occidentali. Ad esempio quello dell'ex rapper 26enne di Londra, Abdel Majed Abdel Bary; e ancora, quello di Reyyad Khan, ucciso in un bombardamento dell'aviazione britannica lo scorso agosto; o quello di Junaid Hussai, l'hacker 21enne di nazionalità britannica e considerato uno dei leader del servizio informazioni del Califfato.

Cosa dicono i dati e perché potrebbero essere importanti

Nonostante la mole imponente di documenti diffusi, le stime sulla composizione totale dei ranghi dello Stato islamico è ben superiore. Basti pensare che i file riportano i dati di soli 1.736 combattenti, mentre le stime recenti dell'istituto di ricerca Soufan Group parlavano di un numero compreso tra i 20 mila e i 30 mila uomini all'incirca. A ogni modo, come ha dichiarato a Wired Matthew Levitt, un analista del Washington Institute specializzato in controterrorismo, "questo tipo di informazioni sono un tesoro per gli analisti di intelligence". Le informazioni possono servire ai governi occidentali per tracciare i movimenti dei foreign fighter che si sono uniti allo Stato islamico, ad esempio seguendo le tracce lasciate dai cellulari usati dai miliziani.

Da dove vengono i miliziani dello Stato islamico

Nell'infografica sono evidenziate le nazionalità dei combattenti secondo i dati forniti dal leak. I miliziani provengono in totale da 51 paesi e due terzi di loro è originario di Arabia Saudita, Marocco, Tunisia o Egitto. Il 25 per cento è di nazionalità saudita e solo l'1,7 per cento è siriano. Appena l'1,2 per cento iracheno. Tra i foreign fighters i turchi, seguiti dai francesi, sono le nazionalità più rappresentate. Inoltre, due dei miliziani inseriti nell'elenco hanno avuto a che fare con l'Italia. Il primo è Rawaha al Itali, probabilmente il nome de guerre di Ana el Abboubi, un rapper bresciano di origini marocchine già indagato nel 2015 per un caso di reclutamento di terroristi. Il secondo è Abu Ishaq al Tunisi che, tra i vari paesi europei visitati negli ultimi anni, avrebbe vissuto per qualche tempo anche in Italia.
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Re: La goera co l'ISIS (e co l'Ixlam ?)

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 3:25 pm

La mia esperienza nell'Isis spiegata a mio figlio
di Gloria Riva
21 marzo 2016

http://d.repubblica.it/attualita/2016/0 ... /?ref=fbpr


Quando si parla di Europei, soprattutto donne, che si uniscono al Califfato lo stupore, l'incomprensione, regnano sovrani. A questo corto circuito culturale e morale ha provato a rispondere Sophie Kasiki, francese di 34 anni, con il libro “Fuggita dall'Isis”. Non si tratta di un'analisi a tavolino ma di un racconto di vita vissuta perché Sophie, forse troppo ingenuamente com'è capitato a molte ragazze, al Califfato ha dedicato alcuni mesi della sua vita. Sophie ha deciso di unirsi allo Stato Islamico e partire per Raqqa, in Siria, portando con sé il figlio di soli 4 anni: non per "fare la guerra" ma convinta di andare a lavorare nel reparto maternità di un ospedale.
Spaventata dall'orrore che ha toccato con mano, dopo mesi difficili riesce finalmente a scappare e, tornata in Francia, assume una nuova identità (Sophie, non è il suo vero nome) per proteggere lei stessa e la sua famiglia dall'incubo dell'Isis.
La sua storia, raccontata nel libro “Fuggita dall'Isis” edito da Tre60, è diventata un caso internazionale, soprattutto perché non sono molte le donne - sono 220 le francesi che si sono unite al Califfato - che sono riuscite a tornare indietro dall'inferno.
D.it l'ha intervistata per chiederle, prima di tutto, come è riuscita a spiegare a un figlio le ragioni della sua scelta, e soprattutto di alcuni atti di violenza che il bambino si è trovato a vivere in prima persona.

Perché se una volta "il cattivo" era alla peggio un disegno a pastello su un libro illustrato - L'uomo nero, il lupo cattivo, Barbablù - adesso è tutto diverso. La paura dei bambini si concretizza in uomini armati che sparano all'impazzata, squarciando la notte di Parigi (13 novembre 2015), di Ankara, di Istanbul, lasciando a terra ragazzi innocenti. Ne sentono parlare alla tv, li vedono sui social network e su YouTube e capiscono subito che quelli non sono cartoni animati, sono cattivi in carne e ossa. In una famiglia dove circolano giornali, è un attimo che lo sguardo di un bambino cada sulle parole Califfato, Jihad, Terrorismo, Burqa. L'attimo dopo, ecco la spinosa domanda: «Mamma, cos'è la Jihad e perché quei bambini giocano alla guerra dei grandi?».

Il figlio di Sophie, poi, in questa guerra ci si è trovato dentro. Senza saperlo. Sophie, come parla a suo figlio di quel buio periodo, durato da febbraio a novembre 2015? «È una questione molto delicata, evito di introdurre l'argomento, di parlare di quei giorni così orribili se non è lui a chiederlo. Mio figlio, che ha compiuto cinque anni da pochissimo, non ha ancora fatto domande specifiche su quell'esperienza. Forse perché quando eravamo in Siria ho fatto il possibile per proteggerlo e nascondere a lui tutto il male che ho visto laggiù, ma non è stato possibile tenerlo totalmente al riparo da quelle violenze».

Quindi, suo figlio si è reso conto di quanto stava succedendo? «Eccome. A Parigi facevo l'assistente sociale in una banlieue ed ero entrata in contatto via Skype con tre ragazzi che erano partiti per la Siria, dei ventenni che avevano deciso di unirsi all'Isis. Volevo convincerli a tornare, invece sono stati loro a persuadermi ad andare laggiù, con la scusa di lavorare nel reparto maternità di un ospedale. Mio figlio aveva già conosciuto quei ragazzi a Parigi ed erano molto gentili con lui, ci giocava spesso. Quando li ha rincontrati in Siria, inizialmente, mio figlio ha continuato a giocare con loro, ritenendoli amici. Poi, quando ho manifestato apertamente il desiderio di tornare a casa, il loro atteggiamento è diventato aggressivo nei miei confronti, mi hanno portato via il telefonino e isolato. Da lì, mio figlio ha capito che quelle persone erano malvagie e ha smesso di giocare con loro, ha cominciato ad avere paura».

Cos'ha raccontato a suo figlio di quegli uomini? «Nonostante fossimo tornati a Parigi, continuava a essere spaventato da quegli uomini, temeva potessero tornare, e così ho pensato fosse meglio raccontargli che quelle persone non esistono più, scomparse, morte e non sarebbero mai più tornate, non gli avrebbero mai fatto del male».

Gli ha dovuto spiegare altro? «Quando siamo fuggiti dalla prigione in cui ci avevano rinchiuso ha cominciato a essere molto turbato, non capiva cosa stesse succedendo, dove stessimo andando. Gli ho chiesto di essere coraggioso, perché avremmo intrapreso un viaggio per tornare a casa, da papà e dai nonni. E lui ha capito».

Suo figlio le ha mai fatto domande su quello che accadeva laggiù? «Durante tutto il periodo vissuto a Raqqa ho fatto il possibile per creare intorno a lui delle abitudini e una cintura di protezione. Il giro al parco, i giocattoli, il suo tablet per vedere i cartoni animati non sono mai mancati. Era molto piccolo, quasi non parlava e forse è per questo che non mi ha domandato come mai le donne erano bardate dalla testa ai piedi, perché soffrissero così tanto, perché i bambini, poco più grandi di lui, giocassero alla guerra. Ma forse un giorno me lo chiederà».

E a quel punto cosa gli racconterà? «Gli dirò che ci sono delle persone, cattive e pericolose, che non hanno alcun rispetto per la vita degli altri esseri umani e che considerano le donne come degli oggetti e che tutto questo è male. Che ci sono donne costrette a vivere una vita da schiave, per colpa di queste persone malvagie che pretendono di imporre le loro idee agli altri. Gli dirò che queste cattive persone hanno spinto i bambini a fare la guerra, mettendogli fra le braccia un fucile, e che anche questo è sbagliato. Perché quando si è bambini non si può fare la guerra dei grandi. Gli dirò che nella vita la cosa più importante è imparare a rispettare il prossimo».

Qual è la reazione di suo figlio quando oggi incontra una donna velata? «Spesso le vede per le strade di Parigi, ma un velo che copre il capo è ben diverso da un burqa. Non credo che ci trovi alcuna somiglianza».

Qual è la cosa più difficile che dovrà spiegargli? «Il perché l'ho portato in quell'inferno. Prima o poi dovrò raccontargli perché la sua mamma l'ha preso e l'ha portato a Raqqa. Ho deciso di non nascondergli la verità, perché sono convinta che un bambino abbia gli strumenti per capire e il diritto di sapere. Proverò a spiegargli che mi trovavo in un momento difficile, che mi sono fatta ingannare da quei ragazzi che mi hanno convinta a raggiungerli in Siria. Gli dirò cosa mi è passato per la testa in quel momento e spero che lui possa perdonarmi».

Sophie, lei è nata con un'educazione cristiana. Poi si è convertita all'Islam, ma dopo quell'esperienza tremenda ha scelto di non essere più musulmana. E suo figlio? «È stato battezzato quando era un bebè, ma abbiamo deciso che sceglierà da solo, quando sarà grande, se vorrà coltivare una religione. Io non farò nulla per influenzarlo, ma sicuramente gli spiegherò che la religione è una questione personale, che non c'è bisogno di professare a tutti e a tutto il mondo quale sia il proprio credo, perché si tratta di una questione privata, personale. E gli dirò anche che dovrà accettare e rispettare chi avrà una fede diversa dalla sua o non l'avrà affatto».

Se suo figlio dovesse chiederle se i jihadisi possano arrivare fino a Parigi a portare terrore e guerra anche lì, cosa risponderà? «Gli dirò che le persone cattive sono ovunque nel mondo e che dobbiamo lottare contro le loro idee. Che non dobbiamo lasciarci spaventare, perché nel mondo ci sono anche tantissime persone buone e dobbiamo fare fronte comune contro la pericolosità delle persone malvagie».

Ha conosciuto delle donne siriane? Come spiegavano ai loro figli quello che stava accadendo? «Quelle donne erano così impaurite che non avevano neppure la voce per raccontare ai loro figli quello che stava succedendo. Penso che in cuor loro avessero un immenso senso di colpa per averli messi al mondo, in quel mondo così osceno e senza prospettive. Restavano mute di fronte allo straniero che prendeva i loro figli e li portava via per arruolarli, per insegnargli a fare la guerra. E cosa avrebbero mai potuto dire? Spero solo che un giorno le donne siriane possano dire ai loro figli che quegli islamici cattivi, che uccidono, non ci sono più».

Cos'altro spera? «Che i bambini e le bambine di oggi siano più intelligenti dei grandi e che tutto l'orrore toccato a loro non capiti a quelli che un giorno saranno i loro figli e nipoti».
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Re: La goera co l'ISIS (e co l'Ixlam ?)

Messaggioda Berto » gio apr 07, 2016 7:34 am

L'Isis ha armi chimiche ed è pronta a colpire in Europa
Abdelhak Kihame capo dei servizi segreti marocchini ha spiegato che l'Isis è in possesso di armi chimiche e che sta programmando attentati in Gran bretagna e Europa
Daniele Bellocchio - Mer, 06/04/2016

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lis ... 43139.html


'' La Gran Bretagna e l' Europa devono stare attenti a possibili attentati con armi chimiche da parte dell'Isis'' a lanciare l'allarme e mettere in guardia l'occidente è Abdelhak Khiame, direttore del Bureau central des investigations judiciaire del Marocco.

Il leader dei servizi segreti del Paese nord africano in un'intervista rilasciata al quotidiano britannico The Sun ha infatti spiegato che il rischio di un'azione terroristica con armi chimiche è quanto mai concreto. Abdelhak Kihame ha così illustrato la minaccia: '' I terroristi dispongono già di brigate fatta da ragazzi addestrati specificatamente per commettere attentati in Europa, inoltre i materiali con cui produrre armi chimiche sono liberamente in circolazione e quindi è facile pensare che siano anche in loro possesso''.

Le riflessioni del capo della sicurezza arrivano dopo che il 18 febbraio le autorità del Marocco hanno scoperto una rete terroristica legata all'Isis che stava proprio progettando un'azione suicida con materiale tossico nello stato del Maghreb. Il piano degli islamisti era quello di colpire, tramite un suicida sedicenne, un edificio governativo o un' area turistica. La polizia è riuscita però a sventare l'azione e ha rinvenuto nel covo degli jihadisti tre grosse bottiglie contenenti una sostanza neurotossica estremamente pericolosa, che se utilizzata anche in minime dosi provoca la paralisi quasi immediata dei muscoli respiratori.


Caro Papa arxentin se dovese capitar a te dimandaremo conto.
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Re: La goera co l'ISIS (e co l'Ixlam ?)

Messaggioda Berto » mar apr 26, 2016 7:56 pm

Inchiesta: Cosa vuole il sedicente Stato islamico?
MANUEL GIANNANTONIO
19/04/2016

http://www.2duerighe.com/esteri/71798-71798.html

Questa grande inchiesta pubblicata da The Atlantic offre un piano dettagliato senza precedenti sugli obiettivi e sui fondamentalismi ideologici dello Stato islamico. Quanto segue è un estratto essenziale

Che cos’è lo Stato islamico [ISIS, IS e Daesh in arabo]? Da dove arriva questa organizzazione e quali sono le sue intenzioni? La semplicità di queste domande può essere ingannevole e sono rari i dirigenti occidentali che conoscono le risposte. Nel dicembre del 2014 “The New York Times”, l’autorevole quotidiano della grande mela, ha pubblicato alcune affermazioni confidenziali del generale Michael K.Nagata, comandante delle operazioni speciali per gli Stati Uniti in Medio Oriente che ammetteva di essere ancora lontano dal comprendere l’attrazione esercitata dallo Stato islamico.

L’organizzazione si è originata a Mosul in Iraq nel giugno del 2014 e regnava già su una zona più vasta del Regno Unito. Il capo è da maggio 2010, Abou Bakr Al-Baghdadi, che il 5 luglio 2014 si è presentato al mondo dalla Grande Moschea di Al-Nour, a Mosul, come primo califfo dopo generazioni. In seguito si è concretizzato un afflusso di massa mondiale di jihadisti senza precedenti per proporzioni e rapidità.

Le nostre lacune sull’IS sono in un certo modo comprensibili: l’organizzazione ha fondato un regno isolato. Al Baghdadi si è espresso soltanto una volta di fronte a una telecamera. Il suo discorso così come innumerevoli video e brochure di propaganda dello Stato islamico sono accessibili su internet dove i simpatizzanti dell’IS si sono dati da fare per divulgare il loro progetto.

Non abbiamo capito la natura dello Stato islamico per due ragioni. In primis, abbiamo la tendenza ad applicare la logica che Al Qaeda ha un’organizzazione che è stata eclissata. I simpatizzanti dell’IS fanno sempre riferimento a Bin Laden che chiamano “Sceicco Osama”, ma lo jihadismo è evoluto dall’era di Al Qaeda (dal 1998 al 2003) e sono numerosi i jihadisti che disprezzano le priorità e i dirigenti attuali dell’organizzazione.

Osama Bin Laden considerava il terrorismo come un prologo al Califfato. La sua organizzazione era informale, costituita da una rete diffusa di cellule autonome. L’IS, al contrario, ha bisogno di un territorio per stabilire la propria legittimità, così come di una struttura gerarchizzata per regnarci. In secondo luogo, siamo stati indotti all’errore a causa di una campagna ben intenzionata ma mirata a negare la natura religiosa medievale dell’IS.

Peter Bergen, che ha realizzato la prima intervista con Bin Laden nel 1997, ha intitolato il suo primo libro “Guerra santa, multinazionale”, soprattutto per affermare che il leader di Al Qaeda era un prodotto del mondo laico moderno.

Bin Laden ha organizzato il terrore sotto forma di impresa costituita da franchising. Esigeva concessioni politiche precise, come il ritiro delle truppe americane dall’Arabia Saudita. L’ultimo giorno della sua vita, Mohamed Atta [uno dei responsabili degli attentati dell’11 settembre 2001], ha fatto la spesa a Walmart e cenato da Pizza Hut.

Maometto alla lettera

La verità è che l’ISIS è islamico. Molto islamico. Certo, il movimento ha attirato psicopatici e gente in cerca di avventura, spesso provenienti dalle zone più difficoltose del Medio Oriente e d’Europa. Ma la religione che predicano i più accesi sostenitori dello Stato islamico è frutto di coerenza.

Ogni grande decisione o legge proclamata dallo Stato islamico obbedisce a quello che chiamiamo la “metodologia profetica”, che implica di seguire la profezia e l’esempio di Maometto alla lettera. I musulmani possono rifiutare l’IS, come lo fa la stragrande maggioranza. Tuttavia, pretendere di pensare che non sia un’organizzazione religiosa millenaria la cui teologia deve essere compresa per essere affrontata equivale a sottostimare l’organizzazione. Dobbiamo conoscere meglio la genealogia intellettuale dell’IS se vogliamo reagire.

Devozione

Nel novembre del 2014, l’IS ha diffuso un video promozionale che rintraccia le origini di Bin Laden. Il film, menzionava Al Zarquawi, il violento boss di Al Qaeda in Iraq dal 2003 fino alla sua morte, nel 2006. Citava ugualmente altri due capi che hanno preceduto il Califfo. Nessuna menzione, invece, per il successore di Bin Laden e attuale dirigente di Al Qaeda, il chirurgo egiziano Al-Zawahiri.

Al-Zawahiri non si è alleato con Al-Bagdhadi ed è sempre più odiato dai suoi fratelli jihadisti. Il suo isolamento è rinforzato dalla sua mancanza di carisma. Ma la rottura tra Al Qaeda e l’IS è in atto da tempo.

Un’altra figura importante oggi in disgrazia è Abbu Muhammad Al Maqdisi, un religioso Giordano di 55 anni. Uno dei più grandi architetti intellettuali di Al Qaeda. Sulla quasi totalità della dottrina, Al-Maqdisi e l’IS sono d’accordo. Sono estremamente legati all’ala jihadista di una branca di sunnismo chiamato salafismo, secondo l’espressione araba al Salaf al Salih. Questi predecessori sono il Profeta stesso insieme ai suoi primi discepoli, che i salafisti onorano ed emulano.

Al-Maqdisi è stato il mentore di Al Zarquawi, che è andato in Iraq con i suoi consigli in testa. Con il tempo, l’allievo ha superato il maestro, che ha finito per criticare. Il loro contrasto riguardava la propensione di Al Zarquawi per gli spettacoli sanguinosi e da un punto di vista dottrinario, e il suo odio per i musulmani non salafisti.

Nell’islam, il takfir, è una pratica pericolosa da un punto di vista teologico. Se l’accusatore ha torto, allora, è lui stesso colpevole, un atto punito con la morte. Eppure, Abu Muhammad Al-Maqdisi ha scritto al suo ex allievo che doveva mostrarsi prudente e non emettere “proclamazioni di Takfir” o “dichiarare persone colpevoli di apostasia in ragione dei loro peccati”. La distinzione tra apostasia e peccato è uno dei disaccordi fondamentali tra Al Qaeda e l’IS.

Né la santità del Corano o le profezie di Maometto rivelano chiaramente l’apostasia. Ma Al Zarquawi e la sua organizzazione stimano che numerosi atti possono giustificare di escludere un musulmano dall’islam, come vendere alcol e droghe, indossare vestiti occidentali, radersi la barba o votare durante le elezioni.

Essere sciita è un altro motivo di esclusione, in quanto l’IS stima che lo sciismo sia un’innovazione, del Corano che nega la sua perfezione iniziale. Così, circa 200 milioni di sciiti sono minacciati di morte, anche capi di Stato di tutti i paesi musulmani, che hanno elevato il diritto delle donne al di sopra della Sharia concedendo loro la possibilità di votare o applicando leggi che non hanno origine divina.

Conformemente alla sua dottrina, lo Stato ilslamico si impegna a purificare il mondo sterminando numerosissime persone. Le pubblicazioni sui social lasciano presagire che le esecuzioni individuali si verifichino più o meno continuamente e che vengono organizzate esecuzioni di massa.

Un ritorno all’Islam “antico”

Sono trascorsi secoli dalla fine della guerra delle religioni in Europa. Da allora, gli uomini hanno cessato di morire in massa per oscure differenze teologiche. È forse per questa ragione che gli Occidentali hanno accolto la teologia e le pratiche dell’IS con tantà incredulità.

Numerose organizzazioni musulmane tradizionali hanno affermato che l’IS fosse“contrario all’Islam”. Tuttavia, ”i musulmani che affermano questa idea sono spesso imbarazzati e politicamente corretti, con una visione naif della loro religione”come suggerisce Bernard Haykel, ricercatore di Princeton di origine libanese ed esperto sulla teologia dell’IS.

Tutti i musulmani riconoscono che le prime conquiste di Maometto sono state caotiche e che le leggi della guerra trasmesse dal Corano insieme ai racconti sul regno del Profeta erano adatti a un’epoca turbolenta e violenta. Bernard Heykel, stima che i combattenti dell’IS rappresentano un autentico ritorno a un islam vecchio che riproduce fedelmente le sue pratiche. Ciò ingloba un certo numero di pratiche che i musulami preferiscono non riconoscere come parte integra dei loro testi sacri.

I combattenti dello Stato islamico sono “nel pieno della tradizione medievale ma la trasportano in tutta la sua integrità nell’epoca contemporanea”. Il Corano precisa che la crocifissione è una delle sanzioni permesse contro i nemici dell’islam. Le tasse imposte ai cristiani sono chiaramente legittimate dal nono capitolo del Corano, che intima ai musulmani di combattere i cristiani e gli ebrei”.

Quando l’IS ha iniziato a ridurre la gente in schiavitù, alcuni dei suoi simpatizzanti hanno esitato. Tuttavia, il califfato ha continuato a praticare la crocifissione e la schiavitù. “Conquisteremo Roma, bruceremo le vostre croci e schiavizzeremo le vostre donne”, ha promesso Al Adnani, portavoce dell’IS attraverso uno dei messaggi indirizzati all’occidente.

II. Territorio

Nel novembre del 2014, mi sono recato in Australia per incontrare Musa Cerantonio, un trentenne identificato come una delle novità spirituali più importanti nel guidare gli stranieri a raggiungere l’IS. Per tre anni, è stato televangelista su Iqraa TV, al Cairo ma è partito quando il canale ha contestato i suoi appelli frequenti che evocavano la creazione di un califfato. Ora, predica su Facebook e via Twitter.

Musa Cerantonio, un uomo di grande statura ha l’aria da studioso serio, che odia vedere i video delle decapitazioni. Detesta la violenza, anche se i simpatizzanti dello Stato islamico sono costretti a praticarla. Ha una folta barba che ricorda alcuni personaggi del “Signore degli anelli” e la sua ossessione per l’ideologia apocalittica dell’islam mi era famigliare.

Nel giugno 2014, Musa Cerantonio e sua moglie tentarono di emigrare – non ha precisato dove – (“è illegale partire dalla Siria”, precisa con sospetto) – ma sono stati arrestati per strada, nelle Filippine, ed espulsi verso l’Australia. In Australia tentarono di raggiungere lo Stato islamico dove recarsi sul suo territorio è un’infrazione; il governo ha quindi confiscato il passaporto di Musa Cerantonio. Fino ad oggi, tuttavia, è libero.

Ci siamo dati appuntamento per colazione a Footscray, una periferia multiculturale molto popolata a Melbourne. Musa Cerantonio è cresciuto proprio lì, in una famiglia italo-irlandese. Mi racconta la gioia che ha provato quando Abu Bakr al Baghdadi è stato dichiarato califfo, il 29 giugno 2014, così come l’attrazione che ha iniziato a provare per l’Iraq e la Siria. “Ero in un hotel [nelle filippine] e ho visto la dichiarazione alla televisione. “Mi sono detto, cosa ci faccio chiuso in questa stanza?”

Musa Cerantonio – Foto: theage.com

L’ultimo califfato storico è l’Impero ottomano che ha conosciuto il suo periodo d’oro nel XV1° secolo, prima di subire un lungo declino fino alla sua sparizione nel 1924. Ma Musa Cerantonio, come numerosi simpatizzati dell’IS, mette in dubbio la legittimità di questo califfato, poiché non applica integralmente la legge islamica, che richiede lapidazione, schiavitù e amputazioni, e perché i suoi califfi non discendono dalla tribù del Profeta.

Al Baghdadi ha lungamente insistito sull’importanza del califfato nel sermone che ha pronunciato a Mosul. Ha spiegato che far rinascere l’istituzione del califfato, che non ha avuto un nome per circa mille anni, fosse un obbligo comune. Lui e i suoi fedeli erano “ansiosi di dichiarare il califfato e di nominare un imam”, ha dichiarato. “È il dovere dei musulmani, un dovere che è stato negato per secoli… “.

Come Osama Bin Laden prima di lui, al Baghdadi si esprime con enfasi, utilizzando numerose allusioni coraniche e dimostrando grande destrezza nella retorica classica. Ma contrariamente a Bin Laden e ai falsi califfi dell’Impero ottomano, è discendente della tribù del Profeta.

Il califfato, mi ha spiegato Musa Cerantonio, non è unicamente un’entità politica ma ugualmente un veicolo di salvezza. La propaganda dell’IS lega regolarmente i sermoni di bay’a (fedeltà) ad altre organizzazioni jihadiste. Musa Cerantonio mi ha citato un proverbio attribuito al Profeta secondo il quale morire senza avere fatto giuramento di fedeltà equivale a morire jahil (ignorante) e quindi morire senza fede.

Per essere califfo, occorre soddisfare le condizioni precisate dal diritto sunnita: essere un uomo musulmano adulto discendente di Quarych (la tribù del Profeta), manifestare una probità morale, un’integrità fisica e dare prova di ’amr, ossia autorità. Quest’ultimo criterio secondo Musa Cerantonio, è il più difficile da soddisfare, esige che il califfo abbia un territorio sul quale regna la legge islamica.

Dopo il sermone di Abu Bakr al Bagdadi, i jihadisti hanno iniziato ad affluire quotidianamente in Siria, più motivati che mai. Jürgen Todenhöfer, autore tedesco ed ex figura politica che si è recato nei territori controllati dall’IS nel dicembre 2014, ha dichiarato di aver visto un afflusso, in soli due giorni, di 100 combattenti al posto di reclutamento ubicato nella frontiera con la Turchia.

A Londra, nella settimana che ha preceduto la mia colazione con Musa Cerantonio, ho incontrato tre ex membri di un gruppo islamico chiamato Al-Muhajiroun (gli emigrati): Anjem Choudary, Abu Baraa et Abdul Muhid. I tre si auguravano di emigrare per raggiungere l’IS, ma le autorità hanno sequestrato i loro passaporti. Come Musa Cerantonio, considerano il califfato come l’unico governo legittimo. Durante la nostra conversazione, il loro principale obiettivo era di spiegarmi cosa rappresenta l’IS e come la sua politica rifletta la legge di Dio.

Anjem Choudary, 48 anni, è l’ex capogruppo. Appare spesso nelle trasmissioni d’informazioni televisive, è l’unica persona di cui le emittenti sono sicure difenderà con veemenza l’IS fino a quando il suo microfono non sarà spento. Nel Regno Unito, ha una reputazione di detestabile fanfarone, ma lui e i suoi discepoli credono sinceramente nell’IS e diffondono la sua dottrina. Anjem Choudary e i suoi discepoli sono molto presenti su Twitter mentre Abu Baraa gestisce un canale su YouTube per rispondere alle domande sulla sharia.

Domicilio gratis per tutti

Prima del califfato circa l’85% della sharia non era applicata”, mi spiega. Queste leggi erano sospese finché non abbiamo avuto un califfato. Senza califfato, per esempio, non c’è l’obbligo di amputare le mani dei ladri presi in flagrante. Con l’instaurazione di un califfato, tutti i musulmani sono obbligati a emigrare verso il territorio dove il califfo applica le sue leggi.

Anjem Choudary afferma che la sharia è mal concepita in ragione della sua applicazione incompleta per via di regimi come l’Arabia Saudita, che decapita gli omicidi e amputa le mani ai ladri. “Il problema, spiega, è che paesi come l’Arabia saudita applicano unicamente il codice penale e non mettono in atto la giustizia socio-economica della sharia”. Questo insieme di misure, secondo lui, include l’alloggio gratis, cibo e vestiti, anche se tutto il mondo ha il diritto di lavorare per arricchirsi.

Abdul Muhid, 32 anni, ha continuato questa riflessione. Portava un elegante tenuta mujaheddin, l’ho trovato in un ristorante: barba folta, cappello afgano. Aveva iniziato a parlami degli aiuti sociali. Lo Stato islamico applica forse sanzioni medievali contro i crimini morali, ma il suo programma di aiuti sociali è sufficientemente progressista per piacere ai sostenitori della sinistra. Le cure mediche, afferma, sono gratuite. Fornire aiuti sociali non era secondo lui una scelta politica, ma un obbligo verso Dio.

III. L’apocalisse

Tutti i musulmani riconoscono che Dio è l’unico a sapere di cosa è fatto il futuro. Sono d’accordo anche nel sostenere che ci ha offerto un’anteprima nel Corano e nelle parole del Profeta. L’IS, tuttavia, si allontana da quasi tutti gli altri movimenti jihadisti attuali poiché pensa di essere l’attore principale dei testi sacri.

Bin Laden menzionava raramente i testi dell’apocalisse, e quando l’ha fatto, sembrava partire dal principio che sarebbe morto da tempo quando la gloriosa punizione divina si sarebbe infine compiuta. “Bin Laden e Al Zawahiri sono cresciuti in famiglie sunnite appartenenti all’élite, che disprezzavano queste speculazioni che vedevano come preoccupazione di massa”, afferma Will Mc Cants, che lavora per la Brookings Institution e sta scrivendo un libro sul pensiero apocalittico dell’IS.


Negli ultimi anni dell’occupazione americana in Iraq, i fondatori dell’IS vedevano, al contrario, numerosi segni della fine dei tempi. Si attendevano entro un anno l’arrivo di Mhadi, la figura messianica destinata a condurre i musulmani verso la vittoria prima della fine del mondo.

Per alcuni credenti – coloro che sognano battaglie epiche contro il bene e il male – le visioni dei massacri apocalittici rispondono a un profondo bisogno psicologico. Tra i simpatizzanti dell’IS che ho incontrato, c’è Musa Cerantonio, l’Australiano, che ha espresso l’interesse più grande per l’apocalisse. Alcuni aspetti di questa previsione non hanno ancora lo status di dottrina. Altri elementi arrivano dalle fonti sunnite tradizionali e appaiono sempre nella propaganda dell’IS. Si tratta della credenza che si sono solo 12 califfi legittimi (Al Bagdhadi è l’ottavo), che le armate di Roma si rassemblano per affrontare l’islam nel nord della Siria e che la grande battaglia finale dell’islam contro un anti-messia, si svolgerà a Gerusalemme dopo l’ultimo periodo della conquista islamica.

La battaglia di Dabiq

L’IS accorda un’importanza cruciale alla città di Dabiq, nei pressi di Aleppo, e ha chiamato così il magazine della sua propaganda organizzando folli celebrazioni dopo aver conquistato (non senza difficoltà) le piane di Dabiq, che strategicamente sono inutili. È qui che gli eserciti dell’islam li affronteranno e Dabiq sarà per Roma l’equivalente di Waterloo.

I propagandisti dell’IS sono sicuri che questo evento accadrà a breve. La rivista dell’IS cita al Zarquawi che avrebbe dichiarato. “La scintilla è stata accesa, qui, in Iraq, e il suo calore continuerà ad intensificarsi fino a bruciare gli eserciti delle crociate a Dabiq”. Ora che si è impossessato di Dabiq, lo Stato islamico attende l’arrivo di un esercito nemico, la cui sconfitta scatenerà il conto alla rovescia per l’apocalisse.

“Sotterreremo il primo crociato americano a Dabiq, e attenderemo con impazienza l’arrivo del resto dei vostri eserciti”, ha proclamato un boia mascherato in un video di novembre 2014 mostrando la testa tagliata di Peter Kassig, lavoratore umanitario tenuto in ostaggio dal 2013.

Dopo la battaglia di Dabiq, spiega Musa Cerantonio, il califfato ingrandirà i suoi eserciti e le sue armate saccheggeranno Istanbul. Alcuni pensano che si lanceranno alla conquista della Terra, ma Musa Cerantonio, spiega che non oltrepasseranno il Bosforo. Dajjal, un anti messia della letteratura musulmana apocalittica, arriverà nella regione del Khorasan, nell’est dell’Iran, e ucciderà un gran numero di combattenti del califfato fino a farne rimanere 5000, intrappolati a Gerusalemme. Mentre Dajjal si prepara a eliminarli, Gesù –il secondo profeta più venerato nell’islam- tornerà sulla terra con le sembianze di Dajjal, e condurrà i musulmani alla vittoria. Dio ha praticamente ordinato la distruzione del suo popolo.

IV. La lotta

A Londra, Anjem Choudary e i suoi studenti mi hanno descritto in dettaglio il modo in cui l’IS deve condurre la sua politica estera ora che ha fondato un califfato. Ha già intrapreso la Jihad offensiva conformemente alla sharia, ossia l’espansione attraverso la forza nei paesi che non sono governati da musulmani. “Fino ad oggi, non facciamo altro che difenderci”, dichiara Anjem Choudary. Senza il califfato, la jihad offensiva è un concetto inapplicabile. Al contrario, fare la guerra per ingrandire il califfato è un dovere cruciale del califfo.

Abu Baraa, confratello di Anjem Choudary, mi ha spiegato che la legge islamica autorizza trattati di pace temporanea solo per un decennio. Nella stessa maniera, accettare delle frontiere è peccato maledetto, già dichiarato il Profeta proprio come ripetuto nei video di propaganda dell’IS. Se il califfo consente una pace a lungo termine o a una frontiera permanente, sarà un errore. I trattati di pace temporanei sono rinnovabili, ma non possono applicarsi a tutti i nemici contemporaneamente: il califfo deve condurre la jihad almeno una volta all’anno.

Occorre insistere sul fatto che lo Stato islamico potrebbe essere paralizzato dal suo radicalismo. Il sistema internazionale moderno, nato dalla pace di Westfalia, nel 1648, stabilisce che ogni Stato deve riconoscere le sue frontiere. Altre organizzazioni islamiche, come i Fratelli musulmani e Hamas, hanno ceduto alle lusinghe della democrazia e alla prospettiva di un invito presso la comunità delle nazioni. Per l’Is, non è fattibile: sarebbe apostasia.

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno reagito conto l’IS tardivamente. Le ambizioni dell’organizzazione e le loro strategie erano già manifestate nelle dichiarazioni e sui social network dal 2011, quando l’IS era soltanto un movimento tra i numerosi gruppi terroristi presenti in Siria e in Iraq. Nel 2011, Abu Bakr al Baghdadi si era già qualificato come “comandante dei credenti”, un titolo abitualmente riservato ai califfi.

Se abbiamo identificato le intenzioni dell’IS e compreso che il vuoto politico in Sira e in Iraq gli concederà tutto lo spazio necessario per metterle in pratica, avremmo dovuto spingere l’Iraq a rinforzare la sua frontiera con la Siria e a negoziare degli accordi con la sua popolazione sunnita. All’inizio del 2014, Barack Obama ha dichiarato al New Yorker che vedeva l’IS più debole di Al Qaeda. “Se una squadra di cestisti junior, indossa le magliette della NBA, non diventano certo Kobe Bryant”, ha ironizzato.

I risvolti dell’esecuzione di Peter Kassig

La nostra incapacità di comprendere la rottura tra l’IS e Al Qaeda, così come le differenze cruciali che li separano, hanno comportato diverse decisioni pericolose. Nell’autunno del 2014, il governo americano ha accettato un piano disperato per salvare l’ostaggio Peter Kassig. Questo piano prevedeva l’interazione delle figure fondatrici dello Stato islamico e di Al Qaeda.

L’obiettivo era che Abu Muhammad Al-Maqdisi, mentore di Al Zarquawi e figura di spicco di Al Qaeda, contattasse Turki Al-Binali, principale ideologo dell’IS ed ex studente di Al-Maqdisi. I due uomini si erano scontrati poiché quest’ultimo aveva criticato lo Stato islamico. L’erudito giordano aveva già chiamato lo Stato islamico a mostrare clemenza verso il britannico Alan Henning. Nel dicembre del 2014, The Guardian ha rivelato che il governo americano, attraverso un intermediario, aveva già chiesto ad Al Maqdisi di intervenire con lo Stato islamico in favore della liberazione di Peter Kassig.

Al-Maqdisi viveva liberamente in Giordania, ma gli era vietato di comunicare con i terroristi all’estero ed era strettamente sorvegliato. Quando la Giordania ha autorizzato gli Stati Uniti a organizzare un incontro con Turki Al-Binali, il Giordano ha comprato un telefono con denaro americano e ha potuto conversare con il suo ex studente per qualche giorno prima che il governo giordano non ha posto un termine alla conversazione servendosi di questo pretesto per arrestarlo. Qualche giorno dopo, la testa tagliata di Peter Kassig è apparsa in un video filmato a Dabiq.

Intenzioni di genocidio

La morte di Kassig è stata una vera tragedia, ma il successo del piano degli Stati Uniti sarebbe stato una catastrofe. La riconciliazione di Al-Maqdisi con Turki Al-Binali avrebbe ridotto la distanza tra le due più grandi organizzazioni jihadiste del mondo. È possibile che la Casa Bianca abbia solamente voluto far dialogare Al-Binali per ottenere delle informazioni o per assassinarlo. Multipli tentativi mirano ad ottenere una risposta dall’FBI su questo soggetto.

Puniti per la nostra indifferenza iniziale, attacchiamo ora lo Stato islamico sul campo di battaglia sostenendo curdi e iracheni. Alcuni osservatori hanno evocato un’intensificazione della risposta, soprattutto diversi sostenitori della destra conservatrice e interventista in favore dell’impiego di decine di migliaia di soldati americani.

Questi appelli non devono essere frettolosamente respinti: un’organizzazione che non nasconde le sue intenzioni di genocidio si trova a due passi delle sue vittime e commette quotidianamente atrocità sul territorio già sotto il controllo. Inoltre, se il sedicente Stato islamico per la sua influenza sui territori siriani e curdi, cesserà di essere un califfato. Non potrà più essere nel cuore della sua propaganda, eppure i rischi di un’escalation di violenza sono considerevoli. Un’invasione rappresenterebbe una grande vittoria per la propaganda jihadista nel mondo intero. L’ascesa dell’IS, dopo tutto, è stata possibile solo attraverso la nostra occupazione in Iraq che ha aperto uno spazio per Zarquawi e i suoi successori.

Considerando tutto quello che sappiamo sull’IS, continuare a farlo sanguinare con raid aerei e battaglie via terra, sembra essere la più pessima delle soluzioni. Il costo umanitario che comporta l’IS è alto, ma la minaccia che rappresenta per gli Stati Uniti è limitata. Il nucleo di Al Qaeda è una figura di eccezione tra le organizzazioni jihadiste in ragione del suo interesse per il “nemico lontano” (l’Occidente). Le principali preoccupazioni della maggioranza delle organizzazioni jihadiste riguardano questioni più vicine. Al Baghdadi ha chiesto ai suoi agenti sauditi di “regolare prima la questione dei rafida [sciiti], poi quella dei Al- Sulul [simpatizzanti sunniti della monarchia saudita], prima di affrontare le loro basi”. I combattenti stranieri (così come le loro donne e i loro bambini) si recano nel califfato con uno scopo semplice: vogliono vivere secondo la vera sharia e molto di loro cercano di diventare martiri.

Il fascino del califfato

Alcuni lupi solitari sostenenti l’IS hanno attaccato obiettivi occidentali e altri attentati si verificheranno. Tuttavia, la maggior parte degli aggressori si sono dimostrati amatori frustati, incapaci di emigrare verso il califfato. Anche se l’IS gioisce per gli attentati, specialmente attraverso la propaganda, non ha pianificato né finanziato nessun colpo. (L’attacco contro Charlie Hebdo era essenzialmente un’operazione di Al Qaeda).

È probabile che l’IS stesso causi la propria caduta. Non è alleato con nessun paese e la sua ideologia garantisce che la situazione non cambierà. Le terre che controllano, alcune vaste, sono sostanzialmente aride e disabitate. Con il tempo, stagnerà e la sua pretesa di essere il motore della volontà di Dio perderà valore. Con l’aumento delle informazioni sulla miseria che vi regna, gli altri movimenti islamici radicali saranno screditati: nessuno ha mai cercato a questo punto di applicare strettamente la sharia ricorrendo alla violenza.

Deterrenza

Sarebbe facile evocare in problema con l’IS evocando l’IS. La religione autorizza numerose interpretazioni e i simpatizzanti dell’IS sono moralmente responsabili di quello che hanno scelto. Tuttavia, creare un’istituzione contro l’islam può essere contro produttivo.

I musulmani possono affermare che la schiavitù non è più legittima oggi, e che la crocifissione è condannata a questo punto della storia. Numerosi islamisti affermano e tengono a precisare questo discorso. Al contrario, non possono condannare la schiavitù e la crocifissione in assoluto senza contraddire il Corano e l’esempio dato dal Profeta.

L’ideologia dello Stato islamico esercita un’attrazione potente su queste popolazioni. Le ipocrisie e le incoerenze della vita svaniscono di fronte ad essa. Musa Cerantonio e i salafisti che ho incontrato a Londra sono inamovibili: nessuna delle mie domande ha catturato la loro attenzione. Loquaci, mi hanno esposto le loro idee. Giudicarle contrarie all’islam equivale a invitarli in un dibattito che secondo me vincerebbero.

I non musulmani non possono dettare ai musulami il modo in cui praticare la loro religione. Ma i musulmani hanno lanciato questo dibattito da tempo. Esiste un’altra branca dell’islam che offre una soluzione radicale all’IS: ed è anch’essa intransigente, ma fornisce conclusioni opposte.

“Non è il mio califfato”

Al-Baghdadi è salafista. Il termine “salafista” ha acquisito un significato sempre più negativo, soprattutto perché molti criminali hanno lanciato battaglie in nome di questa scuola di pensiero. Ma la maggior parte dei suoi sostenitori non sono jihadisti e aderiscono generalmente a movimenti religiosi che rifiutano lo Stato islamico. Sono determinati come fa notare Bernard Haykel, ad accrescere il Dar dell’islam, la terra dell’islam, anche attraverso pratiche mostruose come la schiavitù e l’amputazione, ma non subito. La loro priorità è la purificazione personale e l’osservanza religiosa. Per loro, tutto ciò che minaccia i loro obiettivi è vietato, come provocare una guerra o problemi che rischiano di perturbare le loro vite, la preghiera o gli studi.

Nell’autunno del 2014, sono andato a Philadelphia nella moschea che ha come direttore Breton Pocius, 28 anni, un imam salafista che si fa chiamare Abdullah. Si è convertito all’inizio degli anni 2000 dopo essere cresciuto in una famiglia cattolica polacca a Chicago. Come Musa Cerantonio, parla come fosse un libro aperto e mostra grande famigliarità con i testi antichi.

Mentre al Baghdadi fece la sua scomparsa, Breton Pocius ha adottato lo slogan “non è il mio califfato”. “L’epoca del Profeta era bagnata dal sangue, mi ha spiegato e sapeva che le condizioni di vita peggiori per qualsiasi popolo sono quelle del caos soprattutto per l’umma [comunità musulmana]”. Per questa ragione, prosegue Breton Pocius, la scelta buona dei salafisti non è quella di seminare la discordia creando fazioni e riducendo gli altri musulmani come apostati.

Uccidere la coscienza tranquilla

Al contrario, Breton Pocius pensa – come la maggioranza dei salafisti – che i musulmani dovrebbero ritirarsi dalla politica. Questi salafisti sono d’accordo con l’IS nell’affermare che la legge di Dio è l’unica valevole. Rifiutano anche le pratiche come le elezioni e la creazione di partiti politici. Tuttavia, l’odio del Corano per la discordia e il caos significa per loro che devono sottomettersi a qualsiasi dirigente, anche se alcuni sono peccatori.

Tutti i testi classici mettono in guardia contro i problemi sociali. Vivere senza prestare giuramento, afferma Breton Pocius, rende effettivamente ignoranti o ignari. Ma la bay’a non implica di allearsi con il Califfo. Ciò significa, in una prospettiva più ampia, aderire a un contratto sociale religioso e impegnarsi per una società musulmana, che sia diretta o meno da un califfo.

Breton Pocius prova molta amarezza nei confronti degli Stati Uniti a causa del modo in cui è trattato – “meno di un cittadino”, secondo le sue parole (afferma che il governo ha pagato delle spie per infiltrarsi nella sua moschea). Pertanto, il suo salafismo è un antidoto islamico al jihadismo secondo il metodo di al Baghdadi.

I dirigenti occidentali dovrebbero senza dubbio astenersi di fornire il loro parere sui dibattiti teologici islamici. Barack Obama stesso ha affermato l’anno scorso che l’IS non è islamico. La maggior parte dei musulmani ha apprezzato l’intenzione del presidente americano: era al loro fianco contro al Baghdadi. La maggioranza dei musulmani, tuttavia, non è suscettibile nel raggiungere lo Stato islamico. Gli Stati Uniti mentono sulla religione per servire i propri interessi.

Non sottovalutare il carisma dell’organizzazione

Nell’ambito limitato della sua teologia, lo Stato islamico gode di energia e creatività. Al di fuori di questo contesto, difficilmente potrebbe essere più austero e misterioso: la sua visione della vita è fatta di obbedienza, ordine e sottomissione al destino. Musa Cerantonio e Anjem Choudary sono capaci di passare dalla questione dei massacri e delle torture a una discussione sul caffè vietnamita, dimostrando lo stesso interesse per entrambi le cose. Ho apprezzato la loro compagnia, in qualità di esercizio intellettuale ma solo fino a un certo punto.

Mentre criticava il Mein Kampf, nel marzo del 1940, George Orwell ha confessato “non sono stato capace di odiare Hitler”. Qualcosa in lui percepiva l’immagine di un outsider, anche se gli obiettivi erano destestabili.

Il fascismo, prosegue Orwell è “psicologicamente ben più solido di qualsiasi altra concezione edonista della vita. […] Il socialismo e anche il capitalismo hanno affermato al popolo: “Posso offrirvi dei tempi buoni”. Da parte sua Hitler ha dichiarato: “Vi propongo la lotta, il pericolo e la morte”, in seguito una nazione intera si è gettata ai suoi piedi […] Non dobbiamo sottostimare la sua attrazione emozionale”.

Nel caso dell’IS, non bisogna sottostimare la sua attrazione religiosa o intellettuale. Il fatto che l’IS si schiera per un dogma della realizzazione imminente di una profezia ci indica almeno il temperamento del nostro nemico. Gli utensili ideologici possono limitare gli orrori che l’IS commette. Ma su un’organizzazione impermeabile alla persuasione, non ci sono altre misure suscettibili di avere un impatto. Anche se non durerà fino alla fine dei tempi, la guerra rischia di essere lunga.

Graem Wood, ha iniziato a lavorare al suo articolo pubblicato da “The Atlantic” nell’agosto del 2014. Intervistato sulle numerose critiche che l’articolo ha suscitato, Graemme Wood ha dichiarato che “si aspettava delle critiche” ma non si aspettava che fossero così distaccate dallo Stato islamico. Piuttosto vertono sul fatto che lo Stato islamico sia o meno la migliore rappresentazione dell’islam. Una domanda che lo stesso Wood ha liquidato rispondendo: “Una questione che davvero non mi interessa”.
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Re: La goera co l'ISIS (e co l'Ixlam ?)

Messaggioda Berto » dom ago 14, 2016 8:59 pm

Manbij, nella roccaforte siriana liberata dall'Isis le donne bruciano il velo e gli uomini tagliano la barba
L'Huffington Post
Pubblicato: 13/08/2016

http://www.huffingtonpost.it/2016/08/13 ... 92166.html

Le donne tolgono il velo, gli uomini tagliano la barba in pubblico mentre i bambini giocano finalmente liberi. Sono le immagini che arrivano da Manbij, la roccaforte siriana strappata all'Isis dopo una strenua battaglia combattuta dalle Forze democratiche siriane guidate dai battaglioni curdi.

I 2000 ostaggi in mano ai guerriglieri del Califfato sarebbero stati liberati, secondo i media locali. E mentre i soldati di Al Baghdadi abbandonano Manbij, lungo le strade in macerie le donne esultano abbracciando le soldatesse dell'Ypg curdo, si strappano il burka e lo danno alle fiamme.

La battaglia di Manbij conta però 438 morti tra i civili, 205 dei quali uccisi dai bombardamenti della Coalizione internazionale a guida americana che ha messo fine a un assedio contro l'Isis cominciato a maggio. Il numero delle vittime è confermato dall'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). L'ong, con sede in Gran Bretagna ma una vasta rete di informatori in Siria, aggiunge che l'Isis si è ritirato dai quartieri settentrionali ancora nelle sue mani in seguito ad un accordo mediato da notabili locali, che ha consentito alle cosiddette Forze democratiche siriane (Sdf) di prendere l'intero controllo della città senza ulteriori combattimenti. I miliziani dell'Isis si sono ritirati verso nord, in un convoglio di circa 500 veicoli, in direzione del valico di confine con la Turchia di Jarablus.

LIBIA, RIPRESA RADIO DELL'ISIS. Le milizie libiche di Al-Binyan Al-Marsous oggi hanno annunciato di aver preso il controllo della stazione radio di Sirte. Lo riferisce il sito al Wasat. Le milizie fedeli al governo di unità nazionale, che combattono per strappare all'Isis la sua roccaforte, hanno spiegato che l'edificio che ospita la radio, vicino al complesso Ouagadougou (il quartier generale Isis da poco riconquistato), è uno dei maggiori centri di propaganda dello Stato islamico, da cui venivano diffusi i messaggi di al Baghdadi e del portavoce al Adnani.
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