Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omanedà

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Messaggioda Berto » gio mar 30, 2017 12:02 pm

AQIS
Paolo Palumbo
30/03/17

http://www.difesaonline.it/evidenza/app ... menti/aqis

Il 3 settembre 2014 il capo di al-Qaeda Central, Ayman al-Zawahiri annunciò al mondo islamista la nascita di un nuovo gruppo combattente il cui scopo principale era diffondere la jihad in tutto il sub continente indiano. Da diversi anni, nelle regioni del Kashmir, nel Gujarat, Assam e Burma i fratelli musulmani erano sopraffatti dalla politica discriminante dei rispettivi governi i quali li avevano condannati all’isolamento e in alcuni casi alla persecuzione. Gli affiliati qaedisti, il cui acronimo era AQIS, abbreviativo che significava Al-Qaeda in the Indian Subcontinent prendevano in carico le recriminazioni dei mussulmani in India, Bangladesh, Afghanistan e una parte del Pakistan.

Il 2014 era stato un anno impegnativo per il direttivo di al-Qaeda poiché il giovane leader dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi, con l’improvvisa proclamazione sulla nascita del Califfato, si era autoeletto a bandiera protettrice della jihad globale. Il dissenso palesato da al-Zawahiri e la mancata adesione di al-Qaeda al nuovo sedicente Stato, provocò una spaccatura tra gli islamisti, laddove proprio l’organizzazione di bin-Laden subiva il contraccolpo peggiore. Anche in Afghanistan le cose stavano precipitando: la latitanza del Mullah Omar – poi dichiarato morto l’anno successivo – aveva diviso i talebani i quali agivano ormai in piccoli gruppi indipendenti molti dei quali, per altro, stavano confluendo nelle file dell’ISIS. Secondo l’opinione di diversi analisti la nascita di AQIS era una risposta diretta di al-Qaeda Central contro l’infiltrazione dello Stato Islamico in quella parte del mondo anche se al-Zawahiri in un lungo discorso, puntualizzò come il progetto “it was the product of more than two years’ work in recruiting fighters and uniting diffrent pre-existing Jihadi groups in the Indian Subcontinent”1 .

Il subcontinente indiano e la jihad

Effettivamente AQIS raggruppava diversi nuclei di islamisti che già da tempo svolgevano azioni in quella regione; alcuni tra i più importanti erano gli Indian Mujahideen (IM) piuttosto che i pakistani di Lashkar-e-Taiba (LeT) o Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP)2. L’elezione del primo ministro indiano Narendra Modi – ritenuta responsabile della strage di Gujarat nel 2002 dove perirono 1000 musulmani – alimentò il malcontento di una minoranza oppressa, costretta a vivere in ghetti, senza dignità ed educazione. Se le condizioni di vita in regioni come il Kashmir erano la prima causa di ribellione, dal punto di vista dottrinale la guerra santa in India percorreva il sentiero tracciato da Ghazwa-e-Hind o “Battaglia per riunire l’India”, un Hadit del Profeta che divenne il testo di riferimento per tutti coloro che bramavano fondare un Califfato nella regione. Per al-Qeada l’interpretazione della Hind e la sua realizzazione fu sempre secondaria rispetto altri obiettivi, rivolti prevalentemente contro gli occidentali: Osama bin Laden, una volta perse le sue basi in Afghanistan, spostò l’attenzione verso lo Yemen commettendo, a detta di alcuni sostenitori, una scorrettezza rispetto il vero senso della jihad e dove questa si sarebbe dovuta attuare con maggior vigore. Nel 2013, ad esempio, il Mullah Fazlullah leader degli jihadisti pakistani di TTP rivendicò l’importanza della Hind, richiamando l’attenzione della comunità islamista su quali fossero le vere conquiste della Guerra Santa, vale a dire Pakistan, India, Lahore, Multan e Punjab, mentre gli altri obiettivi erano solo secondari 3.

Dal punto di vista meramente operativo, la jihad indiana e del Bangladesh era un fenomeno coevo alla formazione di al-Qaeda, o meglio, una diretta conseguenza del conflitto russo afghano degli anni Ottanta4. Le rivendicazioni musulmane nella regione subirono poi un’escalation a partire dal 2000, con un deciso aumento degli attentati contro obiettivi governativi. Il progetto AQIS e la creazione di un fronte unico jihadista nel subcontinente indiano ottenne così un duplice vantaggio, soprattutto per al-Qaeda: da un lato l’organizzazione di al-Zawahiri ribadiva la sua supremazia in un settore dove lo Stato Islamico stava cercando di insinuarsi, dall’altro i gruppi misconosciuti di quell’area potevano finalmente fregiarsi di un “marchio” che dava loro prestigio e motivazione. Per rinvigorire la credibilità di AQIS, lo sceicco egiziano nominò il giovane Maulana Asim Umar come emiro, una scelta non casuale che evidenziava come al-Qaeda Central confidasse, ora più che mai, su dirigenti non arabi. Una investitura che, secondo Husain Haqqani, rivelava ancora una volta la debolezza di al Zawahiri rispetto al-Baghdadi il quale era riuscito ad accaparrarsi la fiducia di buona parte del mondo arabo, un tempo il principale bacino di reclutamento dei qaedisti.

Asim Umar era comunque una scelta azzeccata poiché giovane (40 anni circa), colto e capace di esprimersi in Urdu, Inglese, Arabo e Pashto. Il suo radicalismo era maturato a Karachi, presso la madrasa di Jamia Uloomul Islamia uno dei più noti divulgatori della jihad in Pakistan5. Umar esordì in al-Qaeda come addetto alla propaganda giacché avvezzo all’uso di internet e valido scrittore: pubblicò ben quattro libri in lingua Urdu e numerosi articoli tra cui il più noto era The Future of Muslims in India apparso sulla rivista qaedista Resurgence. Nel testo, Umar si scagliava contro la falsa “democrazia Indiana” colpevole di schiacciare l’identità dei mussulmani: “for far too many years the Muslims of India have been fooled by the empty slogans of ‘Indian Democracy’, ‘Secular State’, ‘Land of Ghandi’, ‘Paece’, and so on. Those whose homes have been reduced to ashes by the Hindu’s deep rooted hatred will not be bluffed by these empty slogans”6. La composizione di Umar appare effettivamente come un vero e proprio manifesto di AQIS dove, dopo le solite rivendicazioni, viene promessa una vittoria sicura sugli infedeli: “Ahadith as well as recent events also portend a bright future for the Muslims of India; a future linked with the establishment of the Islamic Emirate in Afghanistan. The time has come for the Muslims of India to play a proactive rule in the Jihad in Afghanistan and benefit from the experience of forty years of Jihad so that they may build a better future for coming generations”7. Appare, inoltre, chiaro come Asim non faccia alcun cenno allo Stato Islamico, ribadendo con convinzione la vicinanza all’emirato afghano e un chiaro allineamento alle idee di al-Zawahiri. Il direttivo di al-Qaeda Central reputava Umar una pedina importante nello scenario indiano, soprattutto grazie alla rete di conoscenze da lui intessuta con i gruppi talebani che si muovevano al confine tra Afghanistan e Pakistan e con i fratelli mussulmani del Kashmir.

Dalle idee alla lotta

Il debutto degli jihadisti di AQIS risale al 2012 nel completo anonimato, quando ancora non vi era alcuna ufficialità circa l’esistenza del gruppo. Nel 2012, Aniqa Naz, blogger pakistano, fu ucciso con l’accusa di blasfemia. L’anno successivo un altro blogger, Ahmed Raijab Heider (foto) finiva nelle mire dei terroristi poiché accusato di non essere un vero mussulmano, reo di aver pubblicato alcuni articoli contro l’islamismo. Questi due omicidi furono rivendicati da AQIS soltanto nel 2015, quando gli autori godevano ormai del patrocinio di al-Zawahiri ed avevano bisogno di promuovere le loro imprese. L’assassinio di alcuni blogger non era però il tipo di azione che poteva dare ad AQIS fama internazionale, perciò serviva qualcosa di più eclatante e nel contempo rischioso.

Il 6 settembre 2014 alcuni terroristi abbordarono la nave pakistana PNS Zulfiqar: Indubbiamente attaccare una nave militare, completa di armi ed equipaggio, era un’azione davvero spettacolare e, tra l’altro, usciva dagli schemi prettamente “terrestri” del terrorismo islamista: “This attack also highlighted a new and emerging strategy of al-Qaeda to target America’s control of the sea”8. L’indagine che seguì l’attacco – per altro fallito con l’uccisione di un terrorista – portò alla luce una cospirazione ad alti livelli: la PNS Zulfiqar imbarcava otto missili antinave C-802 i quali dovevano essere usati contro il naviglio americano presente nell’Oceano Indiano. Inoltre, dato più preoccupante era il coinvolgimento di numerosi ufficiali e marinai della marina pakistana, reclutati direttamente nelle file di AQIS. Ancora una volta la rivista Resurgence aveva preannunciato l’attacco con un articolo intitolato Targeting the Achilles Heel of Western Economies firmato da Hamza Khalid. Lo stretto di Hormuz e il canale di Suez – punti di passaggio fondamentali sulle linee commerciali di tutto il mondo – dovevano diventare punti vulnerabili poiché il mare sarebbe diventato il nuovo teatro ove colpire gli interessi delle democrazie occidentali, almeno questa era la volontà di Allah: “I was presented with some of my nation who were going out to fight in the cause of Allah riding the sea like kings of thrones”9. I progetti di AQIS erano al di sopra della loro possibilità e così il 26 febbraio 2015 ripresero a puntare le armi contro la libertà di espressione, assassinando Avijit Roy, un blogger ateo di Dhaka in Balgladesh; lo stesso si ripeté per altri quattro blogger.

Segnale di forza o debolezza?

Alastair Reed, nella sua lucida analisi su AQIS, fa una riflessione sensata riguardo le loro potenzialità: sebbene siano pochi e non abbiano la capacità di sferrare attacchi sensazionali contro l’occidente, la loro esistenza pone comunque una concreta minaccia in tutta la regione, con una propensione ad espandersi. In questo senso al-Qaeda Central può mantenere pedine importanti nel subcontinente indiano con probabili prospettive di crescita, viste le difficoltà militari dello Stato Islamico. Secondariamente esistono sempre i talebani i quali, dopo la ritirata definitiva dell’ISAF, hanno ripreso vigore e “AQIS may well be able to exploit the situation to establish safe havens in Afghanistan from which it can operate”10. La presenza di al-Qaeda, o meglio di un gruppo a lei affiliato, offre dunque un’alternativa importante a chi non ha mai voluto allinearsi con i macellai dell’ISIS ed inoltre costituisce un pericoloso elemento stimolatore di quanti in India vogliano unirsi alla jihad globale contro gli infedeli. Le reclute di AQIS formano ormai quella che Abdel Bari Atwan ha chiamato la “terza generazione” dell’islamismo: giovani istruiti, aperti all’uso della tecnologia e alle comunicazioni telematiche. Se anche nel subcontinente indiano – regione notoriamente arretrata sotto molti punti di vista – al-Qaeda riuscirà a riguadagnare terreno, allora ci troveremo di fronte ad una nuova e prevedibile minaccia. Il fatto più rilevante è, infatti, che AQIS abbia rotto i confini di un terrorismo regionale e circoscritto, presentandolo sul palcoscenico internazionale ed ottenendo un effetto moltiplicatore sulle sue reali capacità offensive11.

1 - A. Reed, “Al Qaeda in the Indian Subcontinent: A New Frontline in the Global Jihadist Movement?”, ICCT Policy Brief, Maggio 2015, URL: https://icct.nl/publication/al-qaeda-in ... -a-new-f...

2 - Cfr. I. Ahmad, “Towards a Kashmiri Settlement Beyond Jihad”, SAM Center for Strategic Research,

URL: https://sam.gov.tr/towards-a-kashmiri-s ... ond-jihad/

3 - H. Haqqani, “Prophecy and the Jihad in the Indian Subcontinent”, in Current Trends in Islamist Ideology, Hudson Institute, Vol. 18, May 2015, p. 10. URL:

4 - A. Riaz, “Who are the Bangladeshi Islamist Militants?”, in Prespectives on Terrorism, Vol. 10, Issue 1, February 2016, p. 4. URL: http://www.terrorismanalysts.com/pt/ind ... e/view/485.

5 - A. Basit, “Asim Umar – ‘New Kid on the Block?’, in Counter Terrorist Trend and Analysis, Vol. 6, Issue 10, Novembre 2014, p. 8.URL:

6 - Asim Umar, “The Future of Muslims in India”, Resurgence, Issue 1, Fall 2014, p.76. URL:

7 - Ibidem, p. 77.

8 - Reed, p. 13.

9 - Resurgence, p. 95.

10 - Reed, p. 18.

11 - S. Dasgupta, “Al Qaeda in India: Why We Should Pay Attention”, in ISN ETH Zurich, 15 January 2015.

(foto: web / Erwin Lux)
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Messaggioda Berto » gio mar 30, 2017 12:09 pm

Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensanti
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Messaggioda Berto » mar mag 30, 2017 8:43 pm

La Francia elimina i jahdisti francesi direttamente in Iraq
Martedì 30 maggio
Fornita lista di trenta uomini; ministero difesa non commenta

http://www.askanews.it/esteri/2017/05/3 ... 530_111551


Roma, 30 mag. (askanews) – Da mesi le forze speciali francesi hanno arruolato soldati iracheni per dare la caccia e uccidere cittadini francesi che si sono uniti ai jihadisti dello Stato islamico (Isis). È quanto riporta il Wall Street Journal citando funzionari iracheni e francesi.

Secondo quanto riferito da comandanti iracheni impegnati a Mosul contro l’Isis, le forze speciali francesi hanno fornito alle truppe antiterrorismo iracheno i nomi e le fotografie di 30 uomini indicati come obiettivi di alto valore. Gli stessi comandanti hanno rivelato che diversi cittadini francesi sarebbero stati uccisi dall’artiglieria e dalle truppe irachene, usando coordinate e informazioni di intelligence fornite dai francesi. Obiettivo dell’operazione, ha detto un consigliere del governo francese per la politica estera, è scongiurare il ritorno in Francia di persone che hanno giurato fedeltà all’Isis. Un portavoce del ministero della Difesa di Parigi non ha voluto commentare l’operazione.

Sono circa 40 gli uomini delle forze speciali francesi che, dotati di strumenti all’avanguardia per la raccolta di informazioni, come i drones di sorveglianza e dispositivi di intercettazione radio, collaborano a localizzare i miliziani, secondo alti funzionari iracheni e francesi. “Li affrontano qui, perchè non vogliono farlo a casa loro – ha detto una fonte irachena impegnata nell’operazione – è loro dovere. Ha senso.

Gli attacchi più sanguinosi messi a segno all’estero sono avvenuti in Francia”.

Sim MAZ
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Messaggioda Berto » lun lug 10, 2017 7:30 pm

Il peso scomodo della verità
Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/intervista-mor ... lla-verita

Mordechai Kedar è oggi in Israele una delle più autorevoli voci immerse nella realtà, e come ogni voce che strappa le maschere ai fatti è nemico giurato dei luoghi comuni e delle narrative consolidate. Studioso e conferenziere noto a livello internazionale, Kedar conosce profondamente la cultura araba e islamica. La conoscenza dell’arabo gli consente di avere un accesso diretto e privilegiato alle fonti e ai documenti che la maggioranza dei suoi colleghi possono leggere solo in traduzione. La lingua come strumento per entrare nella profondità della realtà e sfatare miti e leggende, o come si dice oggi, le “fake news”.

Lo abbiamo incontrato a Ra’anana, dove si è trasferito da anni.

Secondo la studiosa europea Bat Ye’Or, “Il jihad è al centro della storia e della civiltà islamica. Da quando la dottrina venne elaborata per la prima volta nella giurisprudenza del VII e IX secolo non è più stata messa in questione“. Qual è la sua opinione?
Potrei dire con una battuta di spirito se il tema non fosse molto serio che l’Islam senza il jihad è come un gatto senza baffi. Ovviamente ci sono anche altri comandi prescrittivi ma il jihad è il modo in cui si mettono gli altri nelle condizioni di accettare l’Islam. Il jihad può essere pacifico, la parola significa infatti sforzo e lo sforzo può essere di natura pacifica. Si può essere benevoli nei confronti degli altri convincendoli, come nel caso del jihad attraverso la dawa, in altre parole del jihad che chiama i non musulmani all’Islam, attraverso la persuasione, l’indottrinamento, la benevolenza. Quindi si tratta di una pratica intesa a promuovere l’Islam, tuttavia, se si rifiuta o si agisce contro l’Islam allora il jihad può trasformarsi nel “jihad el kitai”, il jihad della guerra, e qui tutto è permesso. Per esempio, le terre degli infedeli possono essere loro sottratte insieme alle loro mogli e così via. Una volta che l’Islam ha messo in atto questo mezzo attraverso cui diffondersi, il jihad è diventato di fatto la modalità con cui l’Islam opera quando si tratta degli altri. Internamente ci sono mezzi diversi al suo operare, come i califfi, i capi, ma quando si tratta degli infedeli, gli ebrei, i cristiani, i buddisti, ecc. allora c’è il jihad.
Il Jihad è l’anima dell’Islam fin dalla sua origine, dai tempi di Maometto.

In una intervista che ho avuto l’anno scorso con lo storico Benny Morris, a una mia domanda sul ruolo della religione nel conflitto arabo-israeliano, ha risposto in questo modo, “Esiste un profondo antagonismo religioso da parte dell’Islam nei confronti dell’ebraismo ed è ancorato nel Corano in quanto quando Maometto iniziò la sua predicazione, l’ebraismo era una religione rivale. La religione è la base del persistente antagonismo dei musulmani contro ebrei e cristiani ed è la giustificazione per il jihad”. È d’accordo?
Sì, sono d’accordo, ed è molto più di questo. L’Islam e i musulmani sono ossessionati dall’ebraismo. Maometto venne accusato dai suoi detrattori che tutto il Corano non fosse altro che un copia e incolla da fonti ebraiche. C’è una espressione nel Corano, “asatir al awalin”, significa “le favole degli antichi”, o “le storie dei primi”. “Asatir”, di fatto è il plurale della parola “ushtura”, che significa favola, “ushtura”, “storia” è la stessa parola che fa il suo ingresso dall’arabo nel latino. Questa fu un’accusa che venne rivolta a Maometto dai Meccani i quali lo avevano sentito parlare del mondo creato in sette giorni, di Adamo ed Eva, di Noè e dell’Arca e del diluvio, di Abramo e Giacobbe, di Gesù Cristo e di Giovanni. La gente della Mecca lo accusò di avere composto il Corano attraverso le storie degli antichi. Questa espressione ricorre non meno di undici volte nel Corano. Undici volte il testo fa menzione del fatto che Maometto venne descritto come un plagiario il quale aveva rubato il materiale dagli ebrei e dai cristiani. Già all’epoca, Maometto era ossessionato da questa accusa perché desiderava mostrare ai Meccani che l’Islam fosse una religione originale, indipendente. A questo scopo propagò la nozione che l’Islam è la religione della verità mentre l’ebraismo e il cristianesimo sono religioni false. Questo è l’insegnamento base del Corano contro l’ebraismo e il cristianesimo. Nel Corano gli ebrei sono descritti come i discendenti di scimmie e maiali e come i maggiori odiatori dei musulmani. Gli ebrei sono coloro i quali uccidono i profeti, un’accusa presa dal cristianesimo. Secondo l’esegesi generale del primo capitolo del Corano, gli ebrei sono coloro sopra i quali risiede l’ira di Allah mentre i cristiani sono coloro i quali si sono smarriti. Nel Corano, fin dai giorni di Maometto, l’atteggiamento nei confronti dell’ebraismo è stato chiaramente molto negativo.

Nella sua Carta del 1988 e nella sua versione di quest’anno recente leggermente emendata, Hamas è molto esplicito nello specificare che tutta la Palestina appartiene all’Islam. Se uno legge o ascolta quello che Fatah dice in proposito scopre che in realtà non esiste una grande differenza tra le due fazioni. È così?
Indubbiamente. Entrambi odiano gli ebrei, odiano lo stato di Israele, odiano l’esistenza di qualsiasi entità ebraica e si diversificano solo in base a delle sfumature. Affermare che Fatah è un movimento secolare mentre Hamas è religioso è errato. Si tratta di una distinzione occidentale, europea che si cerca di imporre qui. Anche Abu Mazen, così come faceva Arafat, va in moschea ogni venerdì, dunque cosa sono, secolari o religiosi? Nell’Islam non c’è alcuna ideologia secolare, diversamente che nel cristianesimo o nell’ebraismo. Nell’Islam non c’è mai stata alcuna tolleranza nei confronti di coloro i quali mettevano in discussione la religione, non ci sono mai stati abbastanza individui sufficientemente coraggiosi da mettere in discussione la mera esistenza o la validità della loro religione, si è trattato sempre di pochissime persone. Tradizionalmente non c’è alcuna divisione tra secolare e religioso nell’Islam. Possiamo dire che Fatah basa la sua visione più su idee nazionaliste cercando di non usare troppo la base religiosa mentre Hamas si basa molto di più su una piattaforma religiosa anche se fa propria anche una prospettiva nazionalistica.

Non ritiene che una delle ragioni più persistenti del conflitto Arabo-Israeliano risieda nel fatto che per I musulmani è intollerabile che gli ebrei, i quali per secoli furono dhimmi sotto di loro, abbiano un loro stato in quella che è considerata terra islamica per sempre?
Innanzitutto, per l’Islam la terra rappresenta un biglietto di sola andata, è un modo di entrare nell’Islam, non di uscirne. Ogniqualvolta, nel passato, gli zoccoli dei cavalli si sono appoggiati su un terreno, esso è diventato di proprietà islamica. Questa è la ragione, nella visione musulmana, per la quale la Spagna dovrebbe ritornare all’Islam, la Sicilia dovrebbe ritornare all’Islam, larghe aree nei Balcani su fino a Vienna, dove i musulmani vennero sconfitti nel 1683, dovrebbero tornare all’Islam, in quanto una volta erano sotto la sua occupazione. Siccome, nella prospettiva teologica islamica, gli ebrei hanno una religione falsa, la loro punizione è quella di vivere in esilio e di vivere sotto il dominio islamico in quanto dhimmi. Bat Ye’Or, nel suo lavoro, ha descritto molto bene quale fosse la condizione dei dhimmi ebrei e cristiani quando vivevano sotto l’imperio islamico. Lo stato di Israele è, per così dire, costituito da una serie di incidenti di strada. Il primo fu nel 1948 quando gli ebrei crearono uno stato in questo paese e per doverlo fare dovettero uccidere i musulmani, e gli ebrei non hanno alcun diritto di uccidere i musulmani, se lo fanno, per la legge islamica, perdono tutti i loro diritti.
Il secondo fu nel 1967 quando gli ebrei presero, dalla Giordania che occupava il territorio illegalmente, la cosiddetta West Bank e quindi Gerusalemme Est. Ora gli ebrei potrebbero volere tornare al Monte del Tempio per rinnovarvi la vita ebraica nel luogo che fu distrutto dai romani mille anni fa. In questo modo, se ritorneranno al Monte del Tempio, l’ebraismo rifiorirà nello stesso luogo in cui per secoli è stato una religione prospera. Ciò pone un serio problema per l’Islam poiché esso è apparso nel mondo per rimpiazzare sia l’ebraismo che il cristianesimo. Dunque, se l’ebraismo dovesse rifiorire a Gerusalemme e specialmente sul Monte del Tempio, l’intera raison d’être dell’Islam verrebbe messa in questione. Questa è la ragione per la quale i musulmani si oppongono così risolutamente a che gli ebrei possano pregare sul Monte del Tempio. Ciò significherebbe il ritorno alla vita dell’ebraismo come era prima che in questo luogo venisse cancellato dall’Islam. Qui il sentimento religioso pervade tutto. Prima di ogni altra cosa, il conflitto tra Israele e i suoi vicini è un problema religioso, un conflitto religioso. Su questa fondamenta, sono sovrapposte una serie di questioni nazionali, territoriali, legali, politiche, ma la base di tutto è religiosa.

Uno degli aspetti che colpiscono maggiormente della propaganda araba-islamica contro Israele è il fatto che è profondamente radicata nell’antisemitismo coranico classico e al contempo ha ereditato i paradigmi dell’antisemitismo occidentale: Gli ebrei sono i nemici dell’umanità, dispongono di un enorme e nefasto potere, il sionismo è ontologicamente malvagio. Non è del tutto illusorio pensare che qualcosa di così forte e persistente possa cessare?
Ci vogliono intere generazioni per modificare le culture. Non è affatto facile. I tedeschi avevano una cultura molto problematica che abbiamo visto in azione durante la prima e la seconda guerra mondiale, ma il fatto che siano stati pesantemente sconfitti da altre potenze gli ha fatto modificare la loro cultura, e oggi, apparentemente, sono diversi dal passato, quindi, a meno che una nazione non passi attraverso un vero disastro non modificherà la propria mentalità. Per due millenni gli ebrei hanno avuto la mentalità degli esiliati, quella di comunità abituate a vivere sotto gli altri traendo il meglio da questa situazione svantaggiata, ma l’Olocausto convinse la maggioranza degli ebrei che non esistesse nessun altro modo di potere vivere nel mondo se non in un loro stato indipendente. Ovviamente il sionismo cominciò sessanta anni prima dell’Olocausto, ma fu a causa di questo che molti ebrei si convinsero che solo Israele rappresentava per loro un luogo sicuro, mentre altri si trasferirono negli Stati Uniti o altrove. Qui si trasferirono milioni di ebrei dopo l’Olocausto poiché fu questo evento che modificò il loro paradigma culturale di esiliati con quello di un popolo indipendente. La Siria, molto probabilmente, attraverserà un profondo mutamento a causa delle atrocità che sono state commesse nel paese. Non sarà più lo stesso paese che era prima, e questo a causa della guerra. L’assetto mentale del Giappone fu profondamente cambiato durante la Seconda Guerra Mondiale, a causa delle bombe atomiche. Il Giappone postbellico non può essere paragonato culturalmente a quello che era prima della guerra.

Da quello che dice sembra che lei sostenga che affinché i musulmani cambino la loro struttura mentale nei confronti di Israele debbano subire un trauma profondo.
La storia ha dimostrato che le atrocità di massa possono cambiare una cultura in un breve periodo. È accaduto in Germania a causa della Seconda Guerra Mondiale, è accaduto in Giappone a causa di due bombe atomiche ed è accaduto in Egitto a causa della diga di Aswan che ha distrutto l’agricoltura tradizionale e ha fatto sì che milioni di egiziani lasciassero in un paio di anni le aree rurali per trasferirsi nelle città. Le culture di questi paesi si sono modificate in un breve periodo unicamente a causa di disastri. Nelle società stabili ci vogliono intere generazioni se non secoli.

Se il conflitto non è solo un conflitto su delle porzioni di terra e sugli scambi annessi ma è profondamente radicato nell’odio religioso, non è del tutto ingenuo pensare che si possa giungere a una risoluzione pacifica?
No, non lo è, ma prima di tutto dobbiamo comprendere la definizione di pace. “Pace”, come è intesa in occidente, o “Shalom” in ebraico non sono i corrispettivi di “salam” in arabo. “Salam” in arabo significa tregua. Negoziata, documentata, ma nulla più che una tregua. Tu ti trovi qui, Io mi trovo là, non ci scambiamo nulla, non ci abbracciamo, non ci sposiamo, io vivo nel mio luogo, tu vivi nel tuo, questo è il confine tra me e te. Tu ti prendi cura di te stesso e io mi prendo cura di me. Questo è il significato del concetto di “salam” in arabo, e questo è ciò che possiamo ottenere nel Medio Oriente perché è l’unica mercanzia disponibile nel mercato mediorientale. Questo è il genere di pace che viene ottenuto quando una delle due parti rinuncia a sradicare l’altra parte essendo questa troppo potente e pericolosa e dunque le viene concessa la pace. Questa pace, questa tregua, continuerà fin tanto che l’altra parte sarà invincibile, una volta che l’altra parte si indebolirà o abbasserà la guardia, i musulmani l’attaccheranno. Tutto ciò si basa di fatto su un precedente inaugurato dal profeta Maometto, la pace sia su di lui, nel 628.
Sei anni prima, nel 622, emigrò da Medina alla Mecca, il trasferimento noto come l’Egira, e mise in piedi una piccola armata con lo scopo di occupare la Mecca, ma i Meccani, che erano gente sveglia, conoscevano in anticipo i suoi piani e misero in piedi un esercito più grande. Quando Maometto discese da Medina alla Mecca, le due armate si incontrarono vicino a un piccolo villaggio chiamato Hudaybiyyah, e quando Maometto vide l’armata degli avversari capì che non era il caso di affrontarla perché sarebbe stato l’ultimo suo atto sulla terra. Dunque si sedette con i Meccani e venne firmato un trattato per un periodo di nove anni, nove mesi e nove giorni. Dopo due anni in cui Maometto non li aveva attaccati, i Meccani ritennero che egli avesse mantenuto l’impegno e tornarono ai loro affari commerciali consueti, e quando Maometto ne fu al corrente attaccò la Mecca, uccise tutti gli uomini, catturò le donne e diede alle fiamme tutti gli idoli. Questa fu la fine della pace che era stata stipulata per un periodo di quasi nove anni. Avvenne nel 630, solo due anni dopo la firma del trattato. Ora, i musulmani imparano due cose da questo episodio, la prima è che se non puoi sconfiggere gli infedeli concedi loro una pace temporanea, come fece Maometto, che è considerato infallibile. La seconda è che se Allah, attraverso la sua misericordia, ti concede il potere e l’opportunità di sbarazzarti degli infedeli, lo fai, anche durante il periodo di tregua che hai concesso. Quindi, questo precedente di Hudaybiyyah rappresenta di fatto il meccanismo attraverso il quale i musulmani concedono la pace agli altri paesi, alle altre nazioni, alle altre religioni se la controparte è troppo potente e pericolosa da affrontare. Questo è quello che possiamo aspettarci e questo è ciò che otteniamo. Prendiamo la pace siglata tra Israele e l’Egitto nel 1979 dopo un anno e mezzo di negoziati. Un anno prima, nel 1978, Sadat si rivolse ai notabili di Al Azhar, la suprema autorità sunnita, per chiedere loro se poteva fare la pace con Israele. Siccome erano al corrente dell’iniziativa ed erano stipendiati da lui, capirono al volo cosa volesse, quindi gli confezionarono una fatwa di tre pagine nella quale gli permettevano di fare la pace con Israele così come il profeta Maometto aveva fatto la pace con i Meccani a Hudaybiyyah.
La sola menzione di Hudaybiyyah significa che si tratta di una pace temporanea la quale durerà solo fintanto che gli israeliani saranno troppo forti, troppo pericolosi e invincibili. La pace con l’Egitto si basa su questo presupposto. La stessa cosa è accaduta con gli Accordi di Oslo del 1993. Arafat non lo ha mai nascosto, lo dichiarava appena poteva che i trattati di Oslo erano come la pace di Hudaybiyyah, e che quando il tempo fosse arrivato, Israele sarebbe stato attaccato di nuovo. Accadde quando Israele smantello lo stato cuscinetto con il Libano nel maggio del 2000. A settembre, Arafat capi che Israele era debole e vulnerabile e così decise di dare il via alla Seconda Intifada il cui obiettivo era quello di costringere Israele alla resa. Questa è la Hudaybiyyah con i palestinesi, i quali non hanno mai realmente inteso ottenere una pace vera ma solo una pace temporanea, solo perché la Seconda Intifada fallì nel suo intento.

E anche con la Giordania si tratta di una pace di Hudaybiyyah?
Non ho trovato alcuna menzione di Hudaybiyyah con la Giordania, ma non mi sono neanche impegnato a investigare la cosa, quindi forse esiste, forse no, ma certamente così è stato con l’Egitto e nel caso degli Accordi di Oslo i quali vennero firmati con Israele unicamente come un trattato di pace temporanea, che di fatto potrebbe proseguire per sempre, fintanto che Israele sarà in grado di mantenere la propria supremazia militare.

Se il conflitto arabo-israeliano è parte di un quadro molto più ampio, intendo un conflitto globale tra la Weltanschauung religiosa islamica e il resto del mondo, Israele non è anche e per lo più da intendersi come un simbolo dell’odiato Occidente?
Sicuramente, ma non si tratta solo di questo. Secondo loro Israele è stato creato dall’Occidente. L’occupazione britannica dopo la Prima Guerra Mondiale, gli Accordi Sykes-Picot, lo ripartizione del mondo arabo in una settantina di entità, nella loro visuale compone il mosaico di una cospirazione occidentale il cui obbiettivo è quello di impadronirsi del mondo, soprattutto quello islamico. Per la forma mentis musulmana, l’Islam è supremo e non vi è nulla sopra di esso, dunque come può qualcuno imporre all’Islam una cosa come Israele? I musulmani credono che l’Islam sia la religione che corrisponde meglio di ogni altra alla natura umana, per loro l’unico libro reale al mondo è il Corano, quindi qualsiasi cosa venga fatta contro la loro volontà è illegittima e inaccettabile. Non vi è dubbio che vi sia in corso uno scontro di civiltà, o meglio, questo è uno scontro tra la civiltà e la barbarie, perché quando tratti gli altri come individui che non hanno alcun diritto all’esistenza e tagli loro le teste, questa non è civiltà, si tratta di pura barbarie. Non sto affermando che tutti i musulmani sono dei barbari, perché non tutti sottoscrivono queste pratiche, ma non contano, perché i musulmani moderati non possono costringere quelli radicali a rinunciare a ciò in cui credono, dunque sono del tutto irrilevanti nello scontro tra musulmani radicali e il resto del mondo. C’è un’altra cosa che mi preme sottolineare.

Prego
Viene spesso fatta una distinzione tra l’Islam moderato e l’Islam radicale. Non penso che questa distinzione sia legittima. L’Islam è una religione che si basa fondamentalmente su tre fonti testuali, il Corano, gli hadith, che rappresentano la tradizione orale, e la Sira, la biografia del profeta. Esiste solo un Corano, non c’è un Corano moderato e un Corano radicale, c’è solo un corpus di hadith e una sola biografia di Maometto. Nel Corano abbiamo versetti che sono moderati come “Non deve esserci imposizione nella religione” mentre altri fanno riferimento all’imposizione e al jihad. Anche gli hadith sono costituiti da tradizioni che invitano a un approccio moderato nei confronti degli altri e della vita mentre ce ne sono altri che incoraggiano il jihad e lo spargimento di sangue. La stessa cosa avviene con la Sira. Ci sono episodi nella vita di Maometto che mostrano che fosse un uomo moderato e ci sono altri episodi che lo mostrano come un estremista.

Il problema è il modo in cui il Corano e le altri fonti islamiche vengono recepite da diversi tipi di musulmani, ma è incontestabile che entrambi i cosiddetti musulmani moderati e quelli radicali trovano ciò che cercano nelle fonti a cui fanno riferimento. Su ciò influisce anche la cultura in cui si sviluppano.
Sì. Facciamo l’esempio di un musulmano nato in Italia, dove, generalmente parlando, le persone sono moderate, il quale assorba la cultura moderata del paese in cui vive. Sarà più probabile per questo musulmano fare riferimento a quei versetti coranici in linea con questo approccio e lo stesso avverrà con gli hadith e con la Sira di Maometto. Un altro musulmano nato in Libia, dove le persone non hanno fatto altro che uccidersi continuamente, assorbirà la cultura della Libia, e probabilmente citerà quei versetti del Corano che invitano a uccidere gli infedeli. Dagli hadith prenderà quei detti che riflettono la natura violenta di Maometto, mentre dalla Sira prenderà tutti quegli episodi che mostrano quanto fosse crudele. Quindi quello che abbiamo non è l’Islam moderato contro l’Islam radicale, ma musulmani moderati contro musulmani radicali.
Tuttavia la cosa è molto problematica. Le persone cambiano. Per esempio, un musulmano nato in Inghilterra, che ha un approccio moderato, un giorno fa un viaggio in Pakistan o si avventura in rete dove scopre una intera galassia di siti islamici radicali: improvvisamente può essere portato a pensare “Mi sono sbagliato tutta la mia vita, questo è il vero Islam. Questo è il modo corretto di essere un musulmano“ e di conseguenza si radicalizza. Quindi anche un musulmano nato in un paese moderato e che ha interiorizzato l’atmosfera del suo luogo di nascita può cambiare e radicalizzarsi. Questa è la questione problematica, specialmente con gli immigrati e i rifugiati, i quali possono apparire moderati e magari lo sono di fatto, ma un giorno si radicalizzano e cercano di imporre agli altri la loro visione delle cose attraverso la forza e il terrore. Lo abbiamo già visto accadere.

Nel 1937 la Commissione Peel propose di dare agli arabi la maggior parte della terra e una piccola parte agli ebrei. Gli arabi dissero di no e hanno continuato a dire no fino ai nostri giorni a tutte le proposte fatte da Israele. Non pensa che sia arrivato il tempo di dichiarare che non ci sarà mai uno Stato palestinese perché i primi a non volerlo sono sempre stati i palestinesi stessi?
Prima di tutto mi lasci dire che non credo che esista un popolo palestinese o una nazione palestinese. Il motivo è che il Medio Oriente moderno non ha creato nazioni, sono tutti arabi. Non c’è, per esempio una nazione siriana, ci sono in Siria tribù arabe e gruppi etnici diversi come i curdi, i turcomanni, gli armeni, gli arabi. Ci sono anche religioni diverse, gli alawiti, i drusi, i cristiani, e ci sono sette musulmane sunnite e sciite. Tutti restano leali alla loro struttura tradizionale, alla loro tribù, al loro gruppo etnico, religioso, settario. Non hanno mai interiorizzato lo stato come la fonte della loro identità, questo è il motivo per il quale il concetto di stato non si è insediato nel cuore della gente. Questa è la Siria, perlomeno la Siria che esisteva sotto Assad fino alla Primavera Araba che è cominciata nel 2011. Non c’è un popolo siriano, un popolo consolidato intorno a un concetto di nazione. La stessa cosa vale per i palestinesi. Lo si può capire da come funzionano i matrimoni. Una ragazza di Hebron non ha alcuna opzione di sposarsi con un ragazzo di Nablus in quanto “loro” non sono come “noi”. Per non parlare di Gaza che, per gli arabi non gazawi, è vista come una realtà completamente diversa dalla loro. Nella West Bank ci sono diversi episodi di discriminazione araba nei confronti dei gazawi. Non esiste alcuna nazione palestinese più che ne esista una siriana, irachena, sudanese.

Ciò detto, quale potrebbe essere secondo lei una possibile soluzione del conflitto mettendo da parte uno Stato palestinese?
Personalmente appoggio la soluzione degli emirati, perché gli emirati sono l’unica forma di stato che funzioni nel Medioriente. Gli stati moderni come quelli europei non funzionano perché non corrispondono alla cultura. Soltanto gli emirati del golfo, come il Qatar, Abu Dabi, il Kuwait, tutti questi emirati sono stati di successo, non a causa del petrolio, il Dubai non ha petrolio, ma a causa della stabilità della sociologia, perché la società si appoggia su una singola tribù. Solo quando una società si appoggia su una singola tribù, l’arena politica funziona. Le società frammentate come quella irachena sono fonte costante di conflitti e questi conflitti si trascinano anche in parlamento, come risultato di ciò le loro economie sono fallimentari. Per i palestinesi dovremmo seguire il modello degli emirati, e creare degli emirati per i palestinesi all’interno delle città. Un emirato esiste già da dieci anni, si tratta di Gaza. Gli abitanti di Gaza sanno molto bene come gestire i loro problemi interni basandosi sul modello tribale. Un altro emirato dovrebbe essere a Hebron, un altro a Gerico, Ramallah, Jenin, Qalqilya, Nablus. Questa è l’unica soluzione fondata sulla sociologia invece che su sogni di nazioni che non esistono.

Una delle principali distinzioni accademiche fatte oggi è quella che diversifica tra Islam e Islamismo. L’Islamismo, in questa visione delle cose sarebbe solo l’Islam che ha smarrito se stesso. Tuttavia, se torniamo al Corano, specialmente alla parte di esso scritta a Medina, possiamo vedere chiaramente che gran parte di quello che viene fatto dai radicali è stato insegnato e fatto da Maometto medesimo nel VII secolo. Non crede che questa distinzione sia assai fragile?
Islam e islamismo sono modelli che i musulmani, nella stragrande maggioranza dei casi, non comprendono. La differenza che conoscono è tra chi mantiene rigorosamente i precetti islamici e chi non lo fa, ma non posseggono questa distinzione occidentale tra Islam e islamismo. Pregare cinque volte al giorno e praticare il jihad per loro sono la stessa cosa, mentre in Occidente si distingue tra i precetti che un individuo applica a se stesso e quelli che egli cerca di imporre agli altri. I musulmani sono teoricamente divisi in due categorie: coloro i quali credono nell’Islam e lo agiscono su se stessi e coloro i quali cercano di farlo agire sugli altri, imponendoglielo. I primi sono compatibili con le nostre società, i secondi non lo sono, ma entrambi, lo ripeto, fanno riferimento a un’unica tradizione testuale, a un unico testo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Jihad o goera "santa" xlamega on cremene contro l'omanedà

Messaggioda Berto » sab apr 28, 2018 6:06 am

Espulso un egiziano che sosteneva lo Stato islamico
Lucio Di Marzo - Ven, 27/04/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 20337.html

29enne "pericoloso per la sicurezza nazionale" accompagnato nel Paese d'origine

Sono ragioni di sicurezza quelle per cui un 29enne di origini egiziane simpatizzante dello Stato islamico è stato espulso dall'Italia sulla base di un provvedimento firmato dal ministro dell'Interno, Marco Minniti.

L'uomo che è stato accompagnato alla frontiera era residente a Milano e già nel 2015 le forze di polizie avevano ricevuto segnalazioni sul suo conto, quando stavano approfondendo la cerchia di conoscenze di un foreign fighter marocchino che, prima di raggiungere la Siria per andare a combattere, aveva vissuto anche lui nel capoluogo lombardo.

Il marocchino era in contatto con il cittadino egiziano sui social network e lo aveva individuato come una persona che avrebbe potuto portare a termine azioni individuali in nome del sedicente Stato islamico per via delle sue visioni radicali sull'islam. Un secondo marocchino, che sarebbe morto tra febbraio e marzo del 2016 nei combattimenti nella città siriana di Homs, era tra i conoscenti dell'egiziano.

Con questo provvedimento, sono 35 le espulsioni eseguite con accompagnamento nel proprio Paese nel 2018 e 272 quelle eseguite dal 1° gennaio 2015 ad oggi, riguardanti soggetti gravitanti in ambienti dell'estremismo religioso.
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