Bretagna Albionahttp://www.treccani.it/enciclopedia/bri ... taliana%29di Giovanni PINZA - Léopold Albert CONSTANS
BRITANNIA. - Gli antichi Greci e Romani chiamarono con questo nome la grande isola settentrionale dell'Europa.
1. La Britannia preromana. - Il nome. - La forma più antica del nome tramandata dai testi, quella che l'esploratore Pitea (v. più avanti) trasmise ai geografi greci, è Πρεττανά (Diod., V, 21, 28; Strab., II, 75, 117; IV, 200), Πρεττανική (Artemidoro, in Strab., IV, 198, 199; Strab., I, 63; II, 75, 93, 114); presso gli scrittori greci recenti, βρεττανοί, βρεττανία, βρεττανικαί νήσοι; presso i Latini, Britannia, Britanni, Britannicus. La forma Britannia appare solo sporadicamente. Però la parola Brittones, scritta sempre con due t, indica ordinariamente gli abitanti della Britannia nei documenti militari e presso gli scrittori del Basso Impero. Circa l'origine del nome alcuni la collegano con la voce celtica Buit, che significa Picti, cioè dipinti, altri, forse con maggiore probabilità, con la radice phret, che si ritrova nel latino fretum "stretto"; secondo quest'ultima etimologia i Britanni sarebbero i "popoli dello stretto", cioè del canale della Manica: così si spiegherebbe perché lo stesso nome ritorna su ambedue le rive del canale.
Alcuni hanno sostenuto che Brittones fossero i Bretoni del coniinente e Britanni i Bretoni dell'isola (Borghesi, Øuvres, V, p. 5; De Vit, Opuscoli, serie 2ª, vol. X, pp. 42-70, 193-214; Hirst, Archaeol. Journal, XL, 1883, p. 80 segg.; Hübner, in Hermes, XVI, 1881, p. 53). Questa opinione veniva basata sulla menzione che un diploma militare dell'anno 85 faceva di una Cohors I Britannica milliaria accanto ad una cohors I Brittonum milliaria (Corp. Inscr. Lat., III, p. 855). Ma probabilmente qui non si tratta che della inserzione fatta da un incisore di una variante proposta sul testo che gli serviva di modello. Difatti gli abitanti della Britannia sono chiamati Brittones in Giovenale, XV, 124; in Marziale, XI, 21, 9 e in genere dal sec. IV in poi (p. es. Auson., Epist., 108-113; Procop., Bell. Goth., IV, 20). Nella Notitia Dignitatum i secundani Brittones (Occ., VII, 8) sono equivalenti alla legio secunda Britannica (Occ., V, 241), i iuniores Britanniciani (Occ., VII, 154) ai iuniores Brittones (Occ., VII, 127). Infine in un'iscrizione si menzionano i Brittones Anavionenses (Corp. Inscr. Lat., XI, 5213) e Anavio è una città della Britannia il cui nome si trova su una colonna miliare a Derby (Eph. Epigr., VII, 1102). Si può ammettere che il nome Brittones, che è più vicino alla forma popolare indigena, si sia conservato nella lingua militare, e di là sia passato, sotto il Basso Impero, nella lingua degli scrittori, mentre Cesare introdusse nella lingua letteraria il nome Britanni, che meglio corrisponde alla Britannia.
La Britannia fu pure designata anticamente sotto il nome di Albion. Sembra anzi che questo nome sia stato il primo ad essere usato; poiché appunto di quello si servì nel sec. V a. C. il cartaginese Imilcone, il cui Periplo ha ispirato dopo nove secoli l'Ora Maritima di Avieno. Dice Plinio (Nat. Hist., IV, 102) che Albione è il nome dell'isola principale del gruppo di isole dette Britanni(c)ae insulae. Questa parola forse dovrà essere messa in rapporto con la radice ligure del nome di due città della Liguria, Albium Ingaunum e Albium Intemelium, e anche con quello di due fiumi chiamati Albis, cioè l'Elba della Germania e l'Aube della Gallia.
Preistoria. - Le più antiche testimonianze di vita umana nelle isole britanniche, poiché nel tracciare il quadro della civiltà preistorica non si può separare la Britannia propriamente detta dalla Scozia e dall'Irlanda, sono offerte dagli strumenti amigdaloidi di tipo chélleano, restituiti dalle ghiaie dell'Inghilterra meridionale. L'uomo doveva allora abitare nelle caverne, alcune delle quali hanno dato selci di tipo moustériano e aurignaciano insieme con ossa di specie animali ora scomparse. L'associazione sembra originaria, gli strati umano-paleontologici essendo talora sigillati da un cappello stalagmitico intatto. Contrariamente alle osservazioni fatte finora altrove, uno strumento amigdaloide chélleano sarebbe stato trovato nella caverna di Reut presso Torquay (Devonshire), che conteneva strati dell'età delle renne. Altre testimonianze di questa medesima civiltà sono apparse in altre caverne dell'Inghilterra meridionale.
Nell'età neolitica ed eneolitica, cui spettano selci finemente lavorate e armi e ornamenti di rame, d'oro e d'argento, l'uomo, pur continuando a ricoverarsi in caverne, costruì le prime capanne fatte di rami, di frasche e d'argilla, il cui fondo è rimasto ad attestarne l'esistenza. Una mola a mano di pietra, trovata in un fondo di capanna, sta a provare che in quel tempo era già sorta l'agricoltura, e quindi verisimilmente anche l'allevamento del bestiame.
Il rito funerario era quello dell'inumazione; i cadaveri si seppellivano normalmente rannicchiati, e disposti su un fianco; ma se ne sono rinvenuti anche alcuni messi verticalmente o seduti. Il cadavere appare deposto normalmente entro una cassa di pietra o un tronco cavo di albero, affondato in un pozzo o in una fossa aperta nel suolo e protetta superiormente da un piano di legno o da un solaio di tronchi distrutti dal tempo. Sulla fossa si erge il tumulo, il barrow dei paletnologi inglesi, formato di terra o di pezzi di calcare (cairn); la pianta è discoidale, ellittica, ovoidale, con margine marcato da pietroni o muretti a macera; talora uno, talora diversi tumuli piccoli si ergono in un'area circolare, recinta da un murello terragno. Ogni tumulo contiene un solo o molti seppellimenti contemporanei o successivi, nel quale ultimo caso i cadaveri sono interrati ad altezze diverse. Vi sono tumuli eccezionali per dimensioni, accuratezza di costruzione e forma spesso allungata (long barrow), i quali contengono delle stanze di struttura dolmenica o megalitica disposte sull'asse del corridoio di accesso o in croce; sono notevoli quelli a New Grange e a Dowth (contea di Meath), di Maeshowe nelle Orkneys, di Wiltshire nel Somerset e di Ulev nel Gloucestershire.
Queste ultime costruzioni mostrano il nesso tra barrows e dolmens. Di dolmens ve ne sono a cella semplice, di grandezza molto varia, o a corridoio, con camere successive disposte egualmente sull'asse del corridoio, come ad Uley, o a croce. La questione se siano stati sempre visibili, come ora per la maggior parte, o se in origine li avesse ricoperti un tumulo, è da risolversi caso per caso. Gli esempî di Uley e di Wiltshire provano l'uso di ricoprirli con tumuli, che poterono andare disfatti col tempo, ma il Fergusson ha addotto buoni argomenti per mostrare in uso anche l'altro sistema: decisivo è l'accertamento di dolmens costruiti sopra un tumulo che i cromlechs circostanti mostrano intatto. Tutti hanno l'ingresso tra sud ed est.
Richiedono un cenno speciale le gigantesche costruzioni di Avebury e di Stonehenge. Alla prima si accede da uno stradale lungo circa 1200 m., fiancheggiato da pietroni infitti verticalmente nel terreno: esso adduce a un 'area approssimativamente circolare, di circa 300 m. di diametro massimo, limitata da un aggere di terra e internamente da un circolo di pietroni, nella quale furono eretti due cromlechs eccentrici rispetto all'area, ciascuno a doppio cerchio di pietroni. I confronti con il circolo di pietre che racchiude le tombe reali di Micene, con i "circoli" di Vetulonia racchiudenti parecchie tombe a pozzo, e con quelli, trovati, talora con altri più piccoli iscritti, nella necropoli di Golasecca, fanno pensare che il monumento di Avebury sia stato un sepolcreto reale, di età forse neolitica o dei primi tempi dell'età del bronzo; giacché con la seconda età del bronzo questa architettura megalitica decade rapidamente. A Stonehenge alla costruzione principale si accede da uno stradale molto più breve, limitato da un aggere, come l'area circolare alla quale esso adduce, e nel cui centro sorge la costruzione a pietroni, in parte squadrati. Si crede che fosse un tempio; recenti confronti tra i palazzi caldei, ittiti, minoici e micenei e le costruzioni maltesi tipo Hagiar Kim fanno supporre che, come le costruzioni succitate, anche Stonehenge possa essere stato un palazzo regio. Lo stradale a pietroni laterali ricorda tanto quelli fiancheggiati da sfingi, che adducevano ad alcuni templi egizî dell'Antico e Nuovo impero, quanto quelli fiancheggiati da rappresentazioni di animali diversi che conducono alle tombe dei Ming in Cina.
Sono comuni in Inghilterra i circoli di pietre e i menhirs (v.)
Durante il fiorire di queste forme architettoniche è copiosamente rappresentata l'industria della selce. A Grime Grave presso Brandon, a Cissbury e altrove sono state trovate le cave dalle quali i neolitici estraevano il materiale da lavorare; a Cissbury restavano sul terreno anche le tracce di un'antica officina litica. Dai nuclei abbozzati a scheggiatura, rifiniti a levigatura, si ricavavano asce piatte o conoidi, simili a quelle di rame provenienti dal Mediterraneo; da nuclei e da schegge furono fabbricate lame di coltello, punte di lancia con peduncolo, punte di giavellotto e di freccia a mandorla, a rombo, a triangolo, con base rettilinea incavata o peduncolata per l'inserzione del calamo. Le pietre dure, abbozzate a scheggiatura e rifinite a levigatura, spesso anzi portate a polimento, servivano alla manifattura di mazze e di martelli-picchi, a strozzatura centrale per l'immanicatura, di asce, martelli-asce con foro per l'immanicatura, conformati e ornati in modo da assomigliare ai corrispondenti strumenti fusi in bronzo; sono comuni le teste di mazza sferoidali e piriformi, simili a esemplari italiani eneolitici ed egizî dell'antico impero. I raffronti recati mostrano che le industrie della pietra levigata e della selce fiorirono contemporaneamente alla prima introduzione di oggetti in metallo e alla prima loro produzione locale, ma persistettero parzialmente, anzi raggiunsero il massimo grado di perfezione durante la più antica età del bronzo, della quale riprodussero, per sostenere la concorrenza, i tipi più caratteristici.
Gli oggetti di rame più antichi sono delle asce piatte, identiche a quelle cipriote; ciò prova che l'industria del metallo deve essere stata introdotta dai commerci col Mediterraneo.
La ceramica dei barrows dell'età della pietra è assai grossolana; la decorazione è punteggiata, a solchi. ad impressioni fatte col dito o con lo stecco, a graffî.
Al neo-eneolitico succede l'età del bronzo, che può all'ingrosso ritenersi corrispondente alla prima età del ferro mediterranea. Dall'esame comparato degli oggetti se ne possono delineare tre periodi: uno più antico, caratterizzato dall'ascia a margini rialzati e dal pugnale triangolare, uno medio caratterizzato dalle spade micenee, uno più recente, in cui i bronzi si sviluppano ormai secondo gusti locali.
I modi di abitare sono ancora quelli del periodo precedente; a quest'epoca tuttavia appartiene anche una palafitta con pietrame, esplorata a Barton More presso Bury St. Edmunds. L'arte delle grandi costruzioni megalitiche decade sotto l'influenza delle nuove idee sulla vita dell'al di là.
Anche i riti funebri si trasformano: va cessando l'uso di porre i cadaveri in posizione rannicchiata, e si sostituisce la posizione supina; comincia a diffondersì il rito della cremazione. In un sepolcro a inumazione del primo periodo dell'età del bronzo il Batemann notò i resti di una pelle che avvolgeva il defunto, i cadaveri erano dunque vestiti, e così dovevano essere posti sul rogo, poiché gli spilloni d'osso trovati nelle tombe a cremazione sono calcinati, mentre rimasero intatti quelli che servirono a trapuntare il tessuto utilizzato nell'ossilegio. Il barrow seguita ad essere il tipo comune di sepoltura. I bronzi di corredo portano normalmente tracce d'uso, le selci sembrano invece nuove, fatte cioè per il seppellimento.
Le asce del primo periodo hanno forme e decorazioni lineari incise, simili a quelle dei coevi prodotti mediterranei; a esse succede l'ascia ad alette, scarsamente rappresentata in Inghilterra; numerosissimi sono invece gli esemplari del tipo posteriore ad alette e risalto trasversale, col tallone distinto dalla lama, e provvisto talora di uno o due occhielli laterali per le legature al manico, tipo caratteristico in Italia della prima età del ferro. Il pugnale a lama triangolare del primo periodo si sviluppa nel secondo in spade a lama lunga e sottile, a stocco, con tallone espanso per una solida inchiodatura al manico; l'impugnatura è sagomata, a guance di legno o d'avorio o di bronzo, con pomello sferoidale o piatto e discoidale. Varie località hanno restituito splendide lame di diversi tipi micenei, del tipo di Ronzano e del tipo ad antenne, diffusi in Italia e in tutta l'Europa centrale durante l'età del ferro. Nei tumuli dell'età del bronzo avanzata si trovarono resti di scudi in lamina di bronzo sbalzata, di forma circolare, con impugnatura centrale, simili a quelli tirreni dell'età del ferro; ad essi spettano anche dei vezzi in doppia lamina stampata, d'oro, trovati a Bircham, Dipton Lovel e altrove, simili a esemplari ceretani e vetuloniesi. Collane di vezzi di ambra furono trovate presso il lago Wilts. I rasoi trovati nei barrows spettano alcuni al tipo miceneo nordico, altri, i più numerosi, sono a doppio taglio, simili a quelli delle palafitte della Svizzera e dell'Italia, principalmente durante l'età del bronzo. La ceramica non si differenzia molto da quella neolitica.
Alla civiltà del bronzo succede quella del ferro. Essa è strettamente simile a quella del Finistère e delle Côtes du Nord, e contiene molti elementi della civiltà gallica di La Thène.
Di questa età sono alcuni esempî di case in tronchi d'albero rivestiti di mota, e forse anche i crannogs d'Irlanda; le sepolture sono ancora sotto tumuli, e si trovano praticate insieme l'inumazione e la cremazione. I Britanni erano in quest'ultimo stato di civiltà quando vennero a contatto con i Romani; invece gli ultimi navigatori fenici, che a cognizione di Erodoto venivano qui a ricercare ambra e stagno, e poi Pitea, il primo dei visitatori greci della Gran Bretagna, trovarono gli abitatori dell'isola nell'ultimo periodo della locale età del bronzo o al principio di quella del ferro; le loro indicazioni servono quindi a completare il quadro di questa età.
Una fonte greca di Diodoro (V, 21) dice che gli abitanti dell'isola si credevano aborigeni, e conservavano gli antichi costumi. Ancora ai tempi di Pitea usavano in guerra dei carri, gli esseda di Cesare, abitavano case basse di terra e strame, ponevano nei granai sotto tetto il grano in spighe, e i vecchi mondavano giornalmente il necessario. Sempre secondo Diodoro i Britanni avrebbero praticato l'antropofagia (V, 32), della quale il Phurnam credette di avere trovato prove archeologiche. La fonte greca di Strabone (IV, 5, 2) descrive i Britanni di statura maggiore dei Galli; dall'etimologia data da taluni della voce Britanni e dell'equivalente Picti si dovrebbe dedurre che essi avevano l'uso di colorirsi il viso, probabilmente in circostanze solenni, come tuttora molti popoli primitivi; aggiunge Strabone che erano meno chiomati dei Galli, meno forti, e, per quanto simili a loro per cultura, la qual cosa è confermata dalle scoperte archeologiche, alquanto più rozzi di essi. Le loro relazioni di commercio, oltre naturalmente che con i Galli, erano soprattutto con i Fenici di Gades (Cadice).
Bibl.: J. Evans, The ancient Stone implements, Londra 1872; id., L'âge du bronze: Instruments, armes et ornements de la Grande Bretagne et de l'Irlande, Parigi 1882; Greenwell, British Barrows, Oxford 1877; W. Boyd Dawkins, Early Man in Britain, Edimburgo 1880; J. Fergusson, Les monuments mégalithiques, Parigi 1878; J. Déchelette, Manuel d'archéologie préhistorique, celtique et gallo-romaine, I-II, Parigi 1908, 1913-14; B. C. A. Windle, Remains of the prehistoric Age in England, Londra 1905; British Museum, A Guide to the antiquities of Bronze Age, Oxford 1904; A Guide to the Stone Age antiquities of British Museum, Londra 1902; T. Rice Holmes, Ancient Britain, Londra 1907; O. Montelius, The chronology of the British Bronze Age, Londra 1908 (estr. da Archaeologia); G. Coffey, The Bronze Age in Ireland, Dublino 1913; J. Abercromby, A Study of the Bronze Age pottery of Great Britain and Ireland, Oxford 1912; R. Munro, The lake-dwellings of Europe, Londra 1890; id., Prehistoric Man in Scotland and its place in European civilisation, Edimburgo-Londra 1895; E. Hübner, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., III, Stoccarda 1899, s. v. Britanni. Numerosi articoli sono sparsi in Archaeologia or miscellaneous tracts relating to Antiquities; nei Proceedings of the Society of Antiquaries in London; nel Journal of the anthropol. Inst. of Great Britain and Ireland; M. Ebert, Reallex. der Vorgesch., II, s. v. Britische Urbevölkerung.
I popoli. La questione della razza. - Quale era la più antica popolazione della Britannia? Cesare (Bell. Gall., V, 12, 1) distingue i Britanni dell'interno, che si dicevano autoctoni, da quelli della costa che erano venuti dal Belgio. Tacito (Agr., 11) si mostra scettico sulla loro autoctonia. Sì è parlato dei "Celti di primo bando" (D'Arbois de Jubainville, Les premiers habitants de l'Europe, II, pp. 282-3), o anche, secondo una teoria comune in Inghilterra, dei Celti Goidelici, che sarebbero gli antenati dei Gaeli della Scozia, di Man e dell'Irlanda. Il Jullian (Hist. de la Gaule, I, p. 321), conformemente alla sua seducente teoria panligure, crede che la Britannia, come tutto l'Occidente europeo, fosse popolata dai Liguri. Questa questione rimane tuttora oscura.
Durante il sec. II a. C., avvennero migrazioni successive di Belgi in Inghilterra. Essi si stabilirono sull'isola Wight e nella contea di Kent, e occuparono un po' alla volta tutto il bacino del Tamigi. Fondarono stati potenti; quello di Cantium (Caes., Bell. Gall., V, 22, 1; V, 14, 1), che fu diviso ai tempi di Cesare fra quattro re: Cingetorice, Carvilio, Taximagulo e Segovace; quello dei Trinovanti (Caes., Bell. Gall., V, 20, 21) nelle contee di Suffolk e di Essex; al nord del Tamigi, in una regione mal definita, quello che fu governato ai tempi di Cesare dal re Cassivellauno (Caes., Bell. Gall., V, 11, 8; 18,1; 21, 2). Si è potuto dire (Jullian, op. cit., p. 324) che "dall'invasione belga cominciano a delinearsi quelle contee che sono ancor oggi gli organi essenziali della vita pubblica del popolo inglese".
Oltre ai popoli che abbiamo nominati, Cesare ne nomina altri cinque che gl'inviarono deputati con offerte di sottomissione: i Cenimagni, i Legontiaci, gli Ancalites, i Bibroci e i Cassi (Bell. Gall., V, 21, 1). Verso la metà del sec. II d. C., Tolomeo ha fatto una lista delle popolazioni della Britannia, che contiene 34 nomi (Ptol., II, 3), cui vanno aggiunti altri tre, che egli nomina in precedenza.
Fra queste popolazioni non è sempre facile distinguere quelle che appartengono alla parte antica fondamentale (ligure o goidelica?) da quelle che provengono dal Belgio.
Nel sud, i Cantii abitavano nella contea di Kent, i Regni nella regione di Chichester (l'antico Regnum). Proseguendo verso ovest, vi erano i Durotriges nella New Forest, poi, nella penisola della Cornovaglia, ì Dumnonii. I Belgae, conservando il nome etnico del grande popolo invasore, erano stabiliti al nord dei Durotriges. Gli Atrebates, che erano distaccati dagli Atrebates dell'Artois, abitavano nelle contee di Berks e di Surrey, tra le foreste di Speen e quelle dell'Oxfordshire. Al nord dell'estuario del Tamigi abitavano i Trinovantes; ancora più a nord, fino al golfo di Wash, gli Iceni; all'ovest di questi i Catuvellauni e i Coritani; ancora più all'ovest, fra Peal Forest e il mare d'Irlanda, i Cornavii. Il paese di Galles era occupato al nord dagli Ordovices, nel centro e al sud dai Silures, che, secondo Tacito (Agr., 11), avevano i visi bruni e la capigliatura crespa. La Britannia settentrionale era occupata dai Brigantes, potente confederazione di tribù che si stendeva da un mare all'altro, dalla Mersey e dal Humber fino agli altipiani della Scozia. In una regione paludosa, allo sbocco del Humber, vivevano i Parisii, fratelli dei Galli di Lutezia. Le popolazioni della Scozia non sono ben note: nella parte meridionale vivevano i Selgavae, i Novantes, i Dumnonii; nel nord, altri popoli che i Romani designavano sotto il nome generico di Picti. Il popolo più conosciuto era quello dei Caledonii, il cui nome designava tutto il paese, la Caledonia. Tacito (Agr., 11) credeva a torto che essi fossero di origine germanica, dal colore rosso dei loro capelli e dalla loro alta statura.
Costumi e religione. - Le testimonianze degli antichi scrittori sui costumi dei Britanni sono difficili a interpretarsi. Fra di loro vi sono molte discrepanze, che dipendono probabilmente dal fatto che per lo più questi scrittori parlano di epoche diverse e di popoli diversi; e a noi per lo più è molto difficile fare le chiare distinzioni cronologiche e regionali necessarie. Sembra che la popolazione primitiva, sia che la si consideri come preceltica sia come protoceltica, fosse una popolazione pacifica. Una specie di comunismo primitivo faceva della terra il possesso comune di tutto il clan, e le donne appartenevano a più d'uno (Diod., V, 21, 5-6; Caes., Bell. Gall., V, 14, 4; Dione, LXXVI, 12). Cesare (Bell. Gall., V, 14, 2) e Mela (III, 6, 51) raccontano che esse si dipingevano il viso col pastello. I Romani li giudicavano di contegno fiero di fronte agli stranieri (Hor., Carm., III, 4, 33; Tac., Agr., 11); ma l'accoglienza che essi fecero a Pitea mostra che sapevano essere ospitali verso chi non si presentava davanti a loro con le armi alla mano. Quel che sappiamo dei costumi guerreschi dei Britanni è senza dubbio da attribuirsi ai Belgi invasori più che agl'indigeni primitivi.
Quel che soprattutto colpiva gli antichi era l'uso che essi facevano del carro da guerra. Cesare ha descritto minutamente la loro maniera di combattere, usando questi carri: cominciavano la battaglia col lanciare in varie direzioni le loro frecce dall'alto dei carri; poi penetravano nelle file nemiche e, dopo aver affidato le redini al servo che li accompagnava (v. Tac., Agr., 12), saltavano giù dal carro per combattere a piedi (Bell. Gall., IV, 33; V, 15 e 16). Cesare chiama i carri bretoni esseda; Mela (III, 6, 52) chiama covinni certi carri armati di falci, e Tacito dà lo stesso nome ai carri del Caledoni. Il loro uso era antico, perché ne parlava Pitea nel sec. IV (Diod., V, 31, 3, secondo Timeo). Essi possedevano pure una forte fanteria (Tac., Agr., 12: in pedite robur), che era armata però in modo molto primitivo: la spada era troppo grande, troppo pesante, lo scudo troppo piccolo (Tac., Agr., 36). L'elmo doveva essere riservato ai soli capi (v. fig.).
I Britanni dei tempi antecedenti alla conquista romana erano inciviliti in grado disuguale. Quelli del Cantium, che erano in continue relazioni coi Galli ed erano immigrati prima dei Belgi invasori, avevano una civiltà molto simile a quella dei Galli (Caes.. Bell. Gall., V, 14,1). Gli oggetti di bronzo che sono stati trovati in questa regione mostrano un vero senso artistico (v. fig.). Anche gli abitanti di Cornovaglia, che da più secoli erano in rapporti coi popoli Mediterranei, i quali venivano in cerca di stagno al promontorio di Belerium, si erano molto umanizzati (Diod., V, 22,1). Invece nel centro e nel nord i popoli erano rimasti molto vicini alla barbarie primitiva. Dice Cesare che generalmente essi non seminavano il grano, che si nutrivano di latte e di carne e si vestivano di pelli (Bell. Gall., V, 14, 2). Il bestiame costituiva la loro ricchezza principale (sulle risorse dell'isola v. appresso). Sono stati trovati alcuni loro oppida nel paese di Galles e nella Scozia. Ma la civiltà era rurale, le case generalmente isolate.
Siamo molto scarsamente informati sulla religione dei Britanni. La loro pretesa all'autoctonia (Diod., V, 21, 5; Caes., Bell. Gall., V, 12,1) sembra indicare un culto della Terra Madre. Le iscrizioni dell'epoca romana ci fanno conoscere un numero molto grande di divinità locali, il nome delle quali è spesso associato a quello di un dio romano: p. es. Apollo Maponus (Corp. Inscr. Lat., VII, 1345; v. 332), Apollo Anextiomarus (Dessau, 4636), Iupiter Tanarus (Corp. Inscr. Lat., VII, 168), Mars Belatucader, o Cocidius, o Corotiacus (ibid., Index, pp. 330 e 331), la dea Sulis Minerva (ibid., 39, 42, 43). Però molti fra gli dei nominati nelle iscrizioni sono dei germanici adorati dalle coorti ausiliarie (p. es. Mars Thingsus e i due Alaisiagae, Dessau, 4742, 4760, 4761; Harimella, Corp. Inscr. Lat., VII, 1065; Ricagambeda, 1072; Virade(c)this, 1073). Il fatto di cui parla Cesare (Bell. Gall., V, 12, 6), che la religione proibiva loro di mangiare la lepre, il pollo, l'oca, sembra essere una sopravvivenza di totemismo. D'altra parte il druidismo, come si vedrà, passava per essere nato in Britannia, e i Galli venivano ad istruirsi nella loro religione presso i druidi britanni (Caes., Bell. Gall., VI, 13,1). Insomma, anche qui, bisogna distinguere fra la religione dell'antica popolazione indigena e la religione propriamente celtica dei Belgi invamori.
11. La Britannia e 1 Romani. - Le esplorazioni della Britannia prima di Cesare. - La Britannia, o per lo meno quei punti della Britannia dove si trovava lo stagno, fu conosciuta presto dai popoli del Mediterraneo. I Fenici facevano un commercio importante di questo metallo; nei poemi omerici è spesso menzione dello stagno come ornamento delle armi e dei carri. Gli autori antichi parlano spesso delle Cassiteridi, o isole dello stagno (Herodot., III, 115; Diod., V, .38 [da Posidonio]; Strab., 120, 129, 147, 175 [da Posidonio]; Mela, III, 6, 47; Plin., IV, 119; VII, 197). Non si sa se si tratta delle isole Scilly, che si trovano presso la penisola di Cornovaglia, o se queste parole sono una designazione mitica dei giacimenti di stagno dell'occidente europeo.
Nel sec. V l'ammiraglio cartaginese Imilcone fece un ardimentoso viaggio di esplorazione in Irlanda e in Inghilterra, sul quale disgraziatamente siamo informati solo dal poema latino di Avieno, scritto nel sec. IV d. C. (Ora Marit., 112 segg.; 380 segg.; 404 segg.). Molto più celebre, per quanto molto imperfettamente conosciuto, è il Periplo di Pitea, navigatore marsigliese, contemporaneo di Alessandro. Uno dei prodotti più preziosi che Marsiglia avesse ricevuto dai paesi celti fu lo stagno della Gran Bretagna. Veniva accumulato nell'isola di Wight e di là trasportato in Gallia, e, caricato su cavalli, arrivava in 30 giorni a Marsiglia (Diod., V, 22 e 38). Fu per trovare una linea di comunicazione più rapida col paese dello stagno che Pitea intraprese il suo viaggio meraviglioso. Egli approdò in Britannia, probabilmente al capo Belervon (Land's End), sulla costa della Cornovaglia, dove si scavava il prezioso metallo; di là, andando lungo la costa meridionale, arrivò al capo Kantion (Kent), e, dopo aver girato attorno all'isola, ritornò per il canale d'Irlanda. Egli poté conoscere con esattezza la forma dell'isola, che è quella di un triangolo (Diod., V, 21, 3). Se anche ha esagerato affermando di aver percorso tutta la Britannia a piedi (Strab., II, 4,1), si può ritenere per certo che sia sbarcato in varî punti. Egli raccolse sulle risorse del paese e sui costumi degli abitanti molte notizie che riferì in una relazione del suo viaggio; e questa relazione, celebre nell'antichità, fu per più secoli fonte di tutto quel che si sapeva sulla Britannia.
Molto tempo dopo Pitea, un romano, P. Licinio Crasso, fece alla sua volta un viaggio nelle isole Cassiteridi (Strab., III, 5, 11, pp. 175-176). Chi fu questo Crasso? Il Mommsen (Röm. Geschichte, III, p. 269) e Rice Holmes (Ancient Britain, p. 498) lo credono figlio del triumviro Crasso, e cioè lo stesso che, come legato di Cesare, conquistò l'Aquitania nel 57-56 a. C. Se fosse così, sarebbe strano che Cesare non abbia fatto alcun cenno della spedizione del suo luogotenente. È possibile che questo P. Licinio Crasso sia stato non il legato di Cesare, ma quel Crasso che era governatore della Spagna nel 96 (Unger, Rhein. Museum, XXVIII, p. 164).
I Galli avevano con la Britannia del sud-est un commercio attivo e relazioni d'ordine politico e religioso, che appaiono chiaramente da alcuni passi di Cesare. I Veneti del Morbihan avevano una flotta che assicurava un traffico regolare con la Britannia (Bell. Gall., III, 8, 1). Quando essi insorsero contro la dominazione romana nel 56 a. C., i Britanni inviarono loro aiuti (ibid., 9, 10). Diviziaco, re dei Suessioni, poco prima della guerra gallica, aveva esercitato una specie di sovranità sulla Britannia (Bell. Gall., II, 4, 7); nel 57, si vedono i capi Bellovaci, che sono stati istigatori della rivolta contro Cesare, rifugiarsi in Britannia (ibid., 14, 4). Dal punto di vista religioso, poi, i legami fra la Britannia e la Gallia erano particolarmente stretti; i Galli credevano che la dottrina dei Druidi fosse stata portata dalla Britannia in Gallia, e quelli che volevano studiarla più a fondo andavano a istruirsi presso i sacerdoti britanni (Bell. Gall., VI, 13, 11-12).
Le due spedizioni di Giulio Cesare - In tale stato di cose non c'è da meravigliarsi che Cesare abbia trovato i Galli poco propensi a secondarlo nei suoi preparativi di una spedizione in Britannia. Non volendo esporre l'isola, culla della loro religione nazionale, ai negotiatores italici, essi si sottrassero con molta abilità alle informazioni da lui chieste e gli fecero credere d'ignorare quasi tutto ciò che riguardava la Britannia (Bell. Gall., IV, 20, 2-3).
La prima spedizione fatta da Cesare nel 55 a. C. ebbe soprattutto il carattere di una ricognizione. Egli cominciò con l'entrare in rapporti con un certo numero di città britanne per mezzo dell'atrebate Commio; poi partì da Portus Itius (identificato da molti con Boulogne), verso la fine di agosto, con due legioni, la VII e la X, sbarcando al nord di Douvres, fra Walmer Castle e Deal Castle, dopo aver sostenuto un combattimento vivissimo. I Britanni chiesero la pace e consegnarono ostaggi. Ma dopo quattro giorni una tempesta disperse la flotta di 18 navi che portava a Cesare la cavalleria e danneggiò seriamente le navi sulle quali egli era venuto con le sue legioni. In seguito a questo i Britanni stavano per riprendere la lotta; ma Cesare seppe riparare le sue navi; e prima dell'equinozio, nel cuor della notte, egli levò l'ancora e raggiunse il continente (Bell. Gall., IV, 20-36; Dione, XXXIX, 50-52; Strab., IV, 5, 200; Plut., Caes., 23; Suet., Caes., 25, 47).
L'anno dopo Cesare intraprese una spedizione molto importante. Egli la preparò con molte cure durante l'inverno del 55-54. Sul principio dell'estate era pronta una flotta di 600 navi da trasporto, di un tipo speciale, a vela e a remo; 28 navi da guerra dovevano servirle di scorta. Egli si imbarcò a Portus Itius (6 luglio 54) con 5 legioni e 2000 cavalieri. Uomini d'affari di ogni specie seguivano l'esercito; essi presero a nolo apposite navi che speravano far ritornare cariche di bottino. Si partiva per la conquista della Britannia come per impossessarsi di qualche tesoro favoloso. Lo sbarco ebbe luogo senza dubbio a Sandown Castle, al nord di Deal. I Britanni, in vista di tante navi - ve n'erano più di 800 - abbandonarono qualunque resistenza. Dopo aver lasciato un distaccamento per la difesa delle navi, Cesare avanzò per circa 20 chilometri, probabilmente fino a Canterbury, e là, presso il passaggio della Grande Stour il nemico lo attaccò, ma fu respinto. La notizia del danno prodotto alla sua flotta dalla tempesta obbligò Cesare a ritornare verso la costa; egli fece tirare a secco le sue navi e le fece rinchiudere in un accampamento. Poi ritornò a Canterbury, dove i Britanni si erano riordinati sotto il comando del re Cassivellauno. Dopo alcuni combattimenti Cesare poté attraversare il Tamigi e saccheggiare il paese di questo re. Intanto i Trinovanti inviarono dei deputati a Cesare chiedendo che mettesse loro a capo Mandubracio, il cui padre, re del loro paese, era stato ucciso da Cassivellauno. Cesare li prese sotto la sua protezione e ristabilì Mandubracio. Seguì la sottomissione di altri popoli, incoraggiati da questo esempio. Cassivellauno fu sloggiato dalle foreste dove si era trincerato; e fallì anche il tentativo fatto dai quattro re del Cantium contro l'accampamento romano. Allora il capo della resistenza chiese la pace; Cesare chiese degli ostaggi e "fissò il tributo che la Britannia doveva pagare ogni anno al popolo romano". Poi si affrettò a raggiungere la Gallia con tutti i suoi eserciti (Bell. Gall., V,1-24; Liv., Ep., 105; Dione, XL,1-4). Il tributo, che consisteva in una somma di denaro (Cic., Ad Att., IV, 18, 5), non deve essere stato pagato a lungo sicché il bottino tanto desiderato fu nullo (Cic., l. c.; Plut., Caes., 23). Quel che si ottenne fu che Cesare lasciò presso i Trinovanti un re di sua scelta e la politica romana poté in seguito trovare un appoggio nell'alleanza con questo popolo per uno sforzo ulteriore di penetrazione.
La conquista. - Cesare infatti volle far credere ai Romani di aver loro conquistato una nuova provincia, ma non poteva farsi illusioni sulla realtà di questa conquista. Secondo Tacito (Agr., 13) "egli la designò ai suoi successori, ma non la trasmise loro". Difatti fino al 43 d. C. i Britanni rimasero indipendenti. Augusto pensò per due volte, nel 34 e nel 27, di fare una spedizione in Britannia (Dione, XLIX, 38; LIII, 22 e 25; Orazio, Carm., I, 21, 15; 35, 29; III, 5, 3); ma ne fu stornato da altre guerre, e dalle difficoltà dell'impresa. Nel monumento ancirano parla dei re Britanni che "si rifugiarono supplici presso di lui"; uno di essi, Dumnobellauno, era re dei Trinovanti (Corp. Inscr. Lat., III, p. 796, 5, 54 e 798, 6, 1; Mommsen, Res Gestae, p. 138 segg.), che già nel 54 si erano messi sotto la protezione di Cesare. I principi di questa casa rimasero fedeli all'alleanza coi Romani, e furono veduti inviare sotto Augusto ambascerie a Roma e doni per il tempio capitolino (Strab., IV, 5, 3, p. 200).
Nel 40 d. C. Caligola preparò una spedizione contro i Britanni ma questa ebbe la stessa sorte dei preparativi fatti da lui nell'anno precedente contro i Germani (Tac., Agr., 13; Suet., Calig., 19, 44, 46; Dione, LIX, 21 e 25).
L'onore di avere stabilito la dominazione romana in Britannia appartiene a Claudio. Dione Cassio (LX, 19) racconta di un suo intervento in aiuto di un re britanno di nome Berico; ma certamente non era che un pretesto. La vera ragione pare sia da cercarsi nel cambiamento dei rapporti fra Roma e i Trinovanti. Alleati fedeli al tempo di Cesare e di Augusto, essi mostrarono col loro re Cunobelino un atteggiamento più indipendente; un figlio di questo re, Adminio, fu cacciato da suo padre e si rifugiò presso Caligola (Suet., Calig., 44). Pare che egli non sia stato l'unico principe britanno che abbia cercato rifugio a Roma, e vi è luogo a pensare che attorno all'anno 40 nascessero presso i Trinovanti, e forse anche presso altri popoli, discordie intestine fra i partigiani e gli avversarî dei Romani. Caligola, e poi Claudio, sollecitati a consegnare i profughi, risposero con un rifiuto, e ciò provocò una certa agitazione nell'isola (Suet., Claud., 17). Insomma vi era in Britannia in questi tempi un movimento di nazionalismo celtico, ostile a Roma; questo movimento, sostenuto dai Druidi, poteva avere ripercussioni pericolose in Gallia, e fu questa, senza alcun dubbio, la ragione che spinse Claudio a intervenire. Il comando della spedizione fu affidato ad Aulo Plauzio, antico legato della Dalmazia e della Pannonia. Egli aveva soao i suoi ordini più di quattro legioni nonché le forze ausiliarie: la II Augusta, la XIV Gemina, la XX Valeria Victrix, che fu richiamata dalla Germania; probabilmente la IX Hispana dalla Pannonia, e un distaccamento della VIII Augusta, che era pure una legione proveniente dalla Pannonia. Comprese le forze ausiliarie, l'esercito era di circa 50.000 uomini (Tac., Agr., 13, 7, 26; Ann., XIV, 32, 34, 37, 38; Hist., I, 60; III, 22, 44; Dione, LX, 20; Corp. Inscr. Lat., III, 6809; V, 7003). Le truppe, scontente sulle prime di essere state trasportate su un'isola sconosciuta, s'imbarcarono nella prima metà del 43, probabilmente nel Portus Itius. Il nemico si nascose nelle paludi e nelle foreste; dopo penose ricerche A. Plauzio raggiunse e sconfisse i due figli del defunto re Cunobelino, Carataco e Togodumno (Dione, LX, 19-20). La lotta continuò cruenta per ambedue le parti. Al momento d'intraprendere una nuova campagna decisiva, e 16 giorni dopo lo sbarco nell'isola, Claudio poté ritornare a Roma, dove egli celebrò il trionfo e ricevette il soprannome di Britannicus (alla fine del 43; Dione, LX, 23; Suet., Claud., 17; Corp. Inscr. Lat., VI, 920 et add.). Fra gli ufficiali che si erano distinti maggiormente figura il futuro imperatore Flavio Vespasiano (Suet., Vesp., 41; Tac., Agr., 13). Dopo la partenza di Claudio molti re si sottomisero. Plauzio rimase in Britannia dal 44 fino al 47 in qualità di governatore della nuova provincia. Questa comprendeva la parte sud-est dell'isola, avendo per centro il paese dei Trinovanti. Dopo la partenza di Plauzio, successivi accrescimenti l'estesero verso nord fino al golfo di Wash e all'estuario del Humber, al sud-ovest fino al Devonshire.
Il successore di Plauzio fu Ostorio Scapula, che era stato console suffectus sotto Claudio. Egli ebbe prima a combattere con gl'Iceni, che sconfisse completamente in una battaglia, in cui suo figlio M. Ostorio si meritò la corona civica (Tac., Ann., XII, 31). Dopo volse le sue armi contro un popolo dell'ovest, i Ceangieni, ma la sua spedizione dovette essere interrotta per causa dei torbidi scoppiati fra i Briganti. Però Ostorio ebbe ad affrontare presto un'insurrezione ben più terribile, quella dei Siluri. Se si deve credere a Tacito (Ann., XII, 32), per preparare la creazione di una legione sul territorio di questo popolo, Ostorio fondò presso i Trinovanti la colonia dei veterani di Camuloduno. A capo dei Siluri era Carataco. Questo personaggio, figlio di un re dei Trinovanti, aveva combattuto otto anni prima contro A. Plauzio, ed era stato un avversario accanito dei Romani. Egli trasportò la guerra nel nord, presso gli Ordovici. Una battaglia cruenta ebbe luogo su un terreno scelto e fortificato con molta cura da lui, a ridosso di una montagna e difeso da un profondo corso d'acqua. Ma la vittoria fu di Ostorio (51 d. C.; Tac., Ann., XII, 33-35). Carataco, che si era rifugiato presso Cartimandua regina dei Briganti, fu consegnato da essa ai Romani. Egli figurò nel trionfo di Claudio, che dopo lo liberò (Tac., Ann., XII, 36-37; Dione, Fragm., 90). Dopo che Ostorio si fu liberato da questo suo principale avversario, non fu come prima favorito dalla fortuna: un prefetto di campo e alcune coorti di legionarî, rimasti presso i Siluri per costruirvi un forte, furono accerchiati e i Romani subirono perdite gravi. Poco dopo Ostorio morì, schiacciato sotto il peso di tutte queste difficoltà (Tac., Ann., XII, 38-39).
A lui succedette Didio Gallo, dal 52 al 57. Questi seguì una politica prudente e si dedicò soprattutto all'amministrazione. Dopo di lui Q. Veranio fece qualche incursione presso i Siluri, ma morì dopo due anni (nel 59; Tac., Ann., XIV, 29; Agr., 14). Con Svetonio Paolino (59-61) la dominazione romana acquistò di nuovo un carattere ambizioso e provocò la rivolta del sentimento nazionale. Svetonio volle sottomettere l'isola di Mona, dove trovavano asilo i ribelli e i profughi e che era il centro del culto druidico. I soldati romani ebbero un'accoglienza delle più strane: in mezzo alla folla degl'indigeni armati si vedevano donne scapigliate, che come tante furie agitavano torce; e i Druidi, con le braccia alzate, rivolgevano al cielo feroci preghiere. Questo spettacolo sconcertò sulle prime i legionarî, ma presto essi si rimisero e caricarono il nemico. Svetonio era intento a stabilire una guarnigione nell'isola e ad abbattere i boschi sacri, dove i Druidi celebravano i loro misteri, quando gli venne la notizia che la provincia era in rivolta. Le cause di questa rivolta erano molte: la violazione dell'asilo dei Druidi di Mona, le violenze commesse dai veterani di Camuloduno, le estorsioni degli agenti del governatore e del procuratore Cato Deciano, gli arruolamenti forzati nell'esercito. Una donna, Budicca, regina degli Iceni e insieme anche sacerdotessa, fu la mirabile animatrice di questa formidabile insurrezione (Tac., Ann., XIV, 31 seg.; Agr., 15-16; Dione, LXII). I Britanni armati non erano meno di 120.000. Essi attaccarono le tre città dove erano soprattutto concentrati i Romani: la colonia di Camuloduno, dove era stato eretto un tempio al divo Claudio, simbolo particolarmente odioso di una religione straniera unita alla conquista, Londinium, centro di commercio molto popolato, e il municipio di Verulamium. Tutto fu bruciato e saccheggiato; 70.000 Romani coi loro alleati furono massacrati in quelle città o sacrificati nei boschi agli dei britanni. Il legato Petilio Ceriale tentò venire in soccorso con la IX legione. ma questa fu distrutta completamente. Il procuratore Cato cercò di mettersi in salvo nella Gallia. Intanto Svetonio venne in tutta fretta da Mona. Con la XIV legione Gemina, un distaccamento della XX e le forze ausiliarie, in tutto 10.000 uomini, egli attaccò l'insieme delle forze britanne, almeno 10 volte più numerose (Dione, LXII, 8, parla, esagerando, di 230.000 uomini), animate da Budicca montata su un carro. Ma le eccellenti disposizioni tattiche prese da Svetonio e la superiorità delle armi romane assicurarono la vittoria al legato. Seguì un gran massacro dei Britanni: ne sarebbero stati uccisi 80.000 secondo Tacito (Ann., XlV, 37). Budicca si avvelenò. Da allora fino al regno di Vespasiano non vi furono più guerre serie in Britannia.
II parte