Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » lun ago 30, 2021 6:34 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » lun ago 30, 2021 6:34 am

8)
Chi è causa del suo mal pianga se stesso!

Non sono i talebani il problema ma l'Islam, l'Islam che anche tu professi e promuovi con quel velo che indossi, come lo professano e lo promuovono tutti gli afgani compresi quelli che scappano come rifugiati o finti rifugiati.
Il problema è l'idolatra e criminale profeta Maometto, il suo mostruoso idolo dell'orrore e del terrore Allah e il Corano ove è prescritto e codificato il nazismo maomettano.
Se voi afgani, se tu Sahraa Karimi segui Maometto, Allah e il Corano siete parte del problema, siete voi stessi la causa del vostro male e del male islamico del mondo e i vostri migranti e rifugianti, le vostre donne afgane con il velo spargono l'infezione maomettana per il mondo.



Il grande equivoco su "buoni" e "cattivi"
Fiamma Nirenstein
28 Agosto 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1630127611

L' attacco terroristico di giovedì è la prova che l'Afghanistan è di nuovo pericoloso come al tempo di Bin Laden. Una fonte variegata di terrorismo, un'orchestra di bombe, mitra, missili, terroristi suicidi che adesso suona con la direzione dei talebani.

L' attacco terroristico di giovedì è la prova che l'Afghanistan è di nuovo pericoloso come al tempo di Bin Laden. Una fonte variegata di terrorismo, un'orchestra di bombe, mitra, missili, terroristi suicidi che adesso suona con la direzione dei talebani. Isis oggi non si può muovere se i talebani non glielo permettono. Come quando Hamas dice che è stata la Jihad Islamica a lanciare i missili: ridicolo. Chi controlla il territorio? Chi lascia che Isis si armi anche se è spezzettata ormai in mille segmenti? Ed è infantile immaginare che i talebani non siano così cattivi se c'è qualcuno più cattivo di loro, l'Isis appunto, per esempio, o Al Qaida che è carne e parte della famiglia più stretta dei talebani stessi. Se a centinaia di migliaia gli afghani e gli stranieri nel Paese, a rischio della vita, si riversano nell'unico aeroporto (assediato dal terrorismo) in condizioni spaventose pur di fuggire, ecco che da noi qualcuno immagina che invece ci sia qualcosa in loro di mutato, di diplomatico, di pronto al compromesso. È un punto di vista che serpeggia fra i politici e sulla stampa: nasce complementare all'idea «antimperialista», molto popolare, secondo la quale gli americani in realtà hanno ambito a Kabul ad affermare brutalmente il loro potere, molto più che a combattere gli alleati di Bin Laden, i persecutori di chiunque anelasse a uno spiraglio di libertà fra le spaventevole sbarre della sharia. Adesso, questa idea suggerisce che da Doha in avanti i talebani siano cambiati, grazie all'esperienza che li avrebbe dirozzati, urbanizzati, dotati di telefonini, allenati a parlare inglese. Ma la verità è sotto gli occhi di tutti: i talebani hanno di nuovo la condotta degli anni '90, i loro leader attuali sono ancora quelli o i loro rampolli, la loro brigata più accurata e moderna, la Badr 313, dotata di divise da paracadutisti invece che di galabye è fatta di «martiri» pronti, come dichiarano, al terrorismo suicida, i Mushashsid, «cacciatori di martirio», dicono, che si proclamano «custodi di valori». Valori di persecuzione e condanne a morte. È così che è ricominciata una campagna di esecuzioni sommarie, aggressioni alle donne, chiusura di scuole. L'eccidio di massa, completo della preda dei morti americani, è di fatto un nuovo simbolo della sconfitta e delle umiliazioni del nemico in fuga. Anche se Isis rivendica l'attentato, questo può convenire all'uno, per avere il suo spazio nell'empireo degli Shahid, ma anche all'altro, i talebani, che accusano gli americani di inettitudine dicendo che l'aeroporto è sotto il loro controllo. Ma chi ha dato il via libera agli uomini dell'Isis liberati dalle carceri, e chi di fatto causa la situazione di caos all'aeroporto per cui i terroristi, specie da amici dell'ormai padrone di casa, si fanno avanti? È uno spazio che l'incompetenza di Biden ha creato. Se è vero che prima dell'affannoso ritiro di Biden, i talebani, come ripetono, non avevano sparato un colpo, è perché l'accordo con Trump, (peraltro non il primo ma il secondo, dopo Obama, a decidere lo sgombero) era condizionale, e anche minaccioso, come ha spiegato il segretario di Stato Mike Pompeo, e comunque Trump intendeva evacuare i civili prima delle forze militari. Adesso «la minaccia del terrore proveniente dall'Afghanistan prende piede col supporto dei maggiori Paesi ignorando le attività delle organizzazioni terroriste più violente, e questo richiede la solidarietà per fronteggiare la minaccia talebana e di Al Qaida», dice Monir Adib, esperto egiziano su Al Ain. Oppure «Russia, Cina, il Pakistan e naturalmente l'Iran rimpiazzeranno gli Usa che hanno aperto la porta ai nemici», scrive Jameel Al Theyabi su Okaz, Arabia Saudita. Il mondo arabo, più vicino, capisce meglio di noi cosa sta succedendo.




Khaled Hosseini
Khaled Hosseini (in dari خالد حسینی; Kabul, 4 marzo 1965) è uno scrittore e medico afghano naturalizzato statunitense.
https://it.wikipedia.org/wiki/Khaled_Hosseini
https://www.facebook.com/363589373994/p ... 379458995/
“Tutti i cittadini devono pregare cinque volte al giorno. Se durante l’ora della preghiera verrete sorpresi in altre attività, sarete bastonati. Tutti gli uomini devono portare la barba. La lunghezza prescritta è di almeno un palmo sotto il mento. Se non vi conformerete a questa disposizione, sarete bastonati.
Tutti i ragazzi devono portare il turbante. Gli scolari delle scuole elementari porteranno il turbante nero, quelli delle scuole superiori bianco. Tutti gli studenti devono indossare abiti islamici. Le camicie devono essere abbottonate sino al collo.
È proibito cantare. È proibito danzare. È proibito giocare a carte, giocare a scacchi, giocare d’azzardo e far volare gli aquiloni. È proibito scrivere libri, guardare film e dipingere. Se tenete in casa dei parrocchetti, sarete bastonati e i vostri uccelli verranno uccisi.
Se rubate, vi sarà tagliata la mano al polso. Se tornate a rubare vi sarà tagliato il piede. Se non siete musulmani, non dovete praticare la vostra religione in luoghi dove potete essere visti da musulmani.
Se disubbidite, sarete bastonati e imprigionati. Se verrete sorpresi a convertire un musulmano alla vostra fede, sarete giustiziati.
Donne, attenzione: dovete stare dentro casa a qualsiasi ora del giorno. Non è decoroso per una donna vagare oziosamente per le strade. Se uscite, dovete essere accompagnate da un mahram, un parente di sesso maschile.
La donna che verrà sorpresa da sola per la strada sarà bastonata e rispedita a casa. Non dovete mostrare il volto in nessuna circostanza. Quando uscite, dovete indossare il burqa. Altrimenti verrete duramente percosse. Sono proibiti i cosmetici. Sono proibiti i gioielli.
Non dovete indossare abiti attraenti. Non dovete parlare se non per rispondere. Non dovete guardare negli occhi gli uomini. Non dovete ridere in pubblico. In caso contrario verrete bastonate.
I colori del giorno lentamente si sciolsero nel grigio e le cime delle montagne lontane divennero sagome confuse di giganti accovacciati.”

Tratto dal romanzo di Khaled Hosseini:
Mille splendidi soli
https://www.google.it/books/edition/Mil ... CAAJ?hl=it


L'editto. I taleban: in Afghanistan la musica sarà di nuovo vietata
giovedì 26 agosto 2021

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/af ... 1629979879

Il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid. "La musica è proibita nell'islam, ma speriamo di poter persuadere le persone a non fare queste cose, invece di fare pressioni"

La musica sarà di nuovo vietata in Afghanistan. Lo annuncia il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid. "La musica è proibita nell'islam - ha detto al New York Times - ma speriamo di poter persuadere le persone a non fare queste cose, invece di fare pressioni".

Sotto il governo dei talebani negli anni '90, ricorda la Bbc, musica, televisione e cinema erano severamente vietati e infrangere le regole poteva metterti in guai seri.

Pur cercando di presentare un'immagine più tollerante del talebani, Mujahid - considerato da più parti il prossimo ministro dell'informazione e della cultura - nell'intervista con il New York Times conferma che la musica non sarà consentita in pubblico.

Il portavoce dei talebani, nonostante la situazione tesa all'aeroporto di Kabul, si augura di poter avviare buone relazioni con la comunità internazionale e indica come possibili aree di cooperazione l'antiterrorismo, la lotta all'oppio e la riduzione dei rifugiato in occidente.


Il talebani non hanno vinto nulla ed è il popolo afgano ad avere perso.
Noi occidentali non dobbiamo nulla al poplo afgano che preferisce la sottomissione nazi maomettana alla libertà democratica, laica e ragionevole dell'uomo responsabile di buona volontà.
Agli afgani che lo desiderano trasmettiamo i nostri valori e insegnamo loro a combattere il nazismo maomettano.
Accogliamo solo gli afgani chi desiderano liberarsi dell'Islam e combattere il nazismo maomettano talebano, non finanziamo i talebani e l'Islam con demenziali aiuti all'Afganistan o al popolo afgano.


"Ho dovuto incontrare l'Islam per capire il pericolo che corre la nostra cultura"
Giulio Meotti
31 agosto 2021

https://meotti.substack.com/p/ho-dovuto ... per-capire

Già nel 1959, Claude Lévi-Strauss scriveva: “Per quasi un secolo lo studio dei problemi di parentela ha occupato un posto di primo piano negli studi etnologici... Nonostante ciò, c'è stata nelle nostre speculazioni, nelle nostre ricerche, una sorta di area riservata, direi quasi un tabù, ed è l'area costituita dai problemi di parentela e matrimonio nelle società musulmane”.

Frase fulminante del fondatore dell’antropologia moderna. Una delle tante contenute ne L'Abécédaire de Claude Lévi-Strauss, appena uscito in Francia e curato dalla moglie, Monique Lévi-Strauss, e da Emmanuelle Loyer, la celebra biografa di Lévi-Strauss.

Frase tanto più fulminante perché viene, come ha detto Elisabeth Badinter a Le Monde, dal “relativista culturale Claude Lévi-Strauss, che ci ha insegnato a guardarci dal peccato dell'etnocentrismo, a pensare che nessuna cultura è superiore alle altre”.

Lévi-Strauss non era certo un occidentalista quando è entrato in contatto con il mondo islamico. Ma con cinquant’anni di anticipo, viaggiando fra Karachi e Rawalpindi, nelle città pakistane che avrebbero costituito la culla dei Talebani tornati al potere in Afghanistan, il guru dell’antropologia e dello strutturalismo vide per primo l’orrore che i fondamentalisti musulmani avevano delle donne, il futuro integralista del Pakistan, la persecuzione dei buddisti e dei cristiani, la spaccatura tra l’Occidente e l’Islam. “I musulmani non hanno costruito che templi e tombe” scriveva nel suo capolavoro del 1955, Tristi tropici. Lévi-Strauss se la prendeva con il “puritanesimo islamico” e la sua “tolleranza ostentata” a danno di “un proselitismo il cui carattere compulsivo è chiaro”. Il contatto dei non-musulmani li mette in angoscia. “Il loro genere di vita provinciale si perpetua sotto la minaccia di altri generi di vita, più liberi e più facili del loro, che rischia di esserne alterato con la sola contiguità. Piuttosto dunque che parlare di tolleranza, sarebbe meglio dire che questa tolleranza, nella misura in cui esiste, è una continua vittoria su loro stessi”.

Il Profeta li ha condannati a una situazione di crisi permanente, scriveva ancora Lévi-Strauss. “Un giorno, a Karachi, ero in compagnia di saggi musulmani, universitari o religiosi. Sentendoli vantare la superiorità del loro sistema, fui colpito dall’insistenza con cui ribattevano su un solo argomento: la sua semplicità. Tutto l’Islam sembra in effetti un metodo per produrre nello spirito dei credenti conflitti insormontabili, salvo a liberarli poi proponendo loro soluzioni di una grande (ma troppo grande) semplicità. Con una mano li si spinge e con l’altra li si trattiene sull’orlo dell’abisso”.

E ancora: “Oggi io contemplo l’India attraverso l’Islam, quella di Buddha, prima di Maometto, il quale si erge fra la nostra riflessione e le dottrine che gli sono più vicine come un villano che impedisce un girotondo in cui le mani, predestinate ad allacciarsi, dell’Oriente e dell’Occidente, siano state da lui disgiunte. Quale errore stavo per commettere sulla traccia di quei Musulmani che si proclamano cristiani e occidentali e pongono nel loro Oriente la frontiera fra i due mondi! I due mondi sono fra loro più vicini di quanto l’uno e l’altro non lo siano al loro anacronismo (ossia all’Islam, ndr) L’evoluzione razionale è inversa a quella della storia”.

Nessun grande intellettuale europeo era finora venuto a contatti con l’indumento simbolo dell’Afghanistan dei Talebani. “Vi preoccupate per la virtù delle vostre spose o delle vostre figlie mentre siete fuori città! Niente di più semplice, velatele e chiudetele in un chiostro. Così si arriva al burqa moderno, simile a un apparecchio ortopedico (…) Di fronte alla benevolenza universale del buddhismo, al desiderio cristiano del dialogo, l’intolleranza musulmana assume una forma inconscia di quelli che la praticano; anche se non cercano sempre, in modo brutale, di attirare altri nella loro verità, sono tuttavia incapaci (ed è più grave) di sopportare l’assistenza altrui come prossimo in quanto tale. Il solo modo per essi di mettersi al riparo dal dubbio e dall’umiliazione consiste in un annientamento di questo prossimo, considerato come testimone di un’altra fede e di un’altra condotta. La fraternità islamica è il contrario di una fraternità che esclude gli infedeli; non può considerarsi tale del resto, poiché in questo caso dovrebbe riconoscere l’esistenza degli infedeli”.

Ma profeticamente, Lévi-Strauss avrebbe anche messo in guardia dalle conseguenze dello sgretolamento delle frontiere in nome di un distruttivo universalismo e multiculturalismo: “La progressiva fusione di popolazioni fino ad allora separate da distanze geografiche, oltre che da barriere linguistiche e culturali, ha segnato la fine di un mondo che è stato quello degli uomini per millenni, quando vivevano in piccoli gruppi permanentemente separati tra loro e ciascuno evolvendosi in modi diversi, sia biologicamente che culturalmente”. E Lévi-Strauss andava avanti ad attaccare il "movimento che conduce l'umanità verso una civiltà mondiale, distruttrice di questi vecchi particolarismi a cui appartiene l'onore di aver creato i valori estetici e spirituali che danno valore alla vita e che raccogliamo preziosamente in biblioteche e musei”. Per l'antropologo, “ogni vera creazione implica una certa sordità al richiamo di altri valori, che può arrivare fino al loro rifiuto, se non addirittura alla loro negazione. Perché uno non può, allo stesso tempo, fondersi con godimento nell'altro, immedesimarsi in lui e mantenersi diverso”.

Questa riflessione, di stupefacente radicalità, gli sarebbe stata a lungo rimproverata a lungo e in un momento in cui regnavano l'antirazzismo di stato e l'“assenza di confini”. Eppure, Lévi-Strauss non si fece intimidire, il contrario: “Per quanto riguarda gli immigrati - disse l’antropologo - ha ragione François Mitterrand quando parla di soglia di tolleranza”.

Nell'ottobre del 2002, in piena “doxa” multiculturale, in un'intervista al settimanale Nouvel Observateur Lévi-Strauss affermò: “In ‘Tristi tropici’ ho detto quello che pensavo dell'Islam. Non era così lontano da quello per cui è ora sotto processo Michel Houellebecq. Un tale processo sarebbe stato inconcepibile mezzo secolo fa; non sarebbe venuto in mente a nessuno”. Allora cosa è cambiato? “Siamo contaminati dall'intolleranza islamica”. Lo aveva scritto anche in una lettera al grande filosofo Raymond Aron: “I brevi contatti che ho avuto con il mondo arabo mi hanno ispirato un'antipatia inestinguibile. Ho dovuto incontrare l'Islam per capire il pericolo che minaccia oggi il pensiero francese. La Francia è in corso di diventare musulmana”.

Nel 1985, Lévi-Strauss scandì, infine, una visione apologetica, anti-ecumenica e senza precedenti dell'Occidente: “Ho cominciato a riflettere in un'epoca in cui la nostra cultura aggrediva altre culture e a quel tempo mi sono eretto a loro difensore e testimone. Oggi ho l'impressione che il movimento si sia invertito e che la nostra cultura sia finita sulla difensiva di fronte a minacce esterne, fra le quali figura probabilmente l'esplosione islamica. E di colpo mi sono ritrovato a essere un difensore etnologico e fermamente deciso della mia stessa cultura”.

È quello che aveva questo che fu “l’ultimo dei giganti” e che manca del tutto a noi nani: chiarezza di visione e dei pericoli, difesa della nostra cultura.




L'assurdo paragone tra missionari e taleban. ll rasoio sbagliato dell'ambasciatore
Gerolamo Fazzini
mercoledì 1 settembre 2021

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine ... basciatore

Se almeno di tanto in tanto Sergio Romano frequentasse ambienti cattolici, saprebbe che i missionari sono tra le persone considerate più aperte al dialogo, capaci di valorizzare le differenze, disponibili a incontrare e, persino, ad amare chi – per geografia, cultura e religione – sta letteralmente agli antipodi. Ho scritto 'ambienti cattolici', ma temo di aver peccato per difetto. Giacché è trasversale e rimane diffusa la stima per le donne e gli uomini che ancora oggi, sebbene molti meno di un tempo, partono e, in nome del Vangelo, consacrano letteralmente la vita a servizio di Dio e degli ultimi.

In Amazzonia come nel cuore dell’Africa, nel fitto delle foreste e nelle desolate baraccopoli delle periferie urbane. Se l’ex ambasciatore, insomma, i missionari li conoscesse (un po’ più da vicino di quanto appare da ciò che afferma nell'intervista uscita nei giorni scorsi su un quotidiano che di solito rifugge dai giudizi sommari e ingiusti, 'Il Riformista'), non sarebbe incorso in uno svarione incomprensibile. Romano, infatti, dopo aver ricordato che i taleban sono dei 'missionari' – e qui le virgolette sue o di chi l’ha intervistato fanno letteralmente la differenza! – conclude con una rasoiata: «Ragionare con i missionari (senza virgolette) non è mai facile, e qualche volta è addirittura inutile».

Ora: paragonare i taleban dell’Afghanistan ai missionari cristiani è un’operazione forse giornalisticamente comoda, perché semplifica una realtà complessa, ma foriera di conseguenze pericolose. Come leggiamo nel documentatissimo 'Osama e i suoi fratelli. Atlante mondiale dell’islam politico' di Camille Eid (pubblicato da PIMedit nel 2001, poco dopo la tragedia dell’11 settembre), «il 'Movimento islamico dei taleban dell’Afghanistan' è formato principalmente dagli studenti di teologia islamica ('taleban' è appunto il plurale farsi di 'taleb' che significa studente) di etnia pashtun nelle scuole coraniche del Pakistan». Detto altrimenti, la traduzione più corretta di 'taleban' sarebbe 'seminaristi' (non 'missionari'). Ma questi sono dettagli.

Quel che è più grave è la tacita equivalenza che Romano istituisce, cosciente o meno, tra la missione cristiana e la da’wa islamica. Vero è che entrambi i concetti fanno riferimento all’annuncio (nel primo caso evangelico, nel secondo dell’islam), ma tanto i contenuti quanto il metodo delle due sono abissalmente diversi. Tanto i seguaci di Cristo si spendono ai confini del mondo in modo pacifico, a tal punto disarmati da diventare essi stessi, talora, martiri, tanto i taleban utilizzano la violenza, verbale e fisica, quale strumento principe per l’affermazione del loro credo. Va ricordato, a questo proposito, che il debutto sulla scena mondiale dei taleban (termine che, poi, non a caso nella vulgata quotidiana ha assunto l’accezione di intransigente, in senso totalmente negativo) risale al 24 giugno 1994: quel giorno gli 'studenti' abbandonarono le loro madrasse (scuole), varcando la frontiera con l’Afghanistan, avvalendosi di una fatwa che autorizzava il jihad contro la corruzione e il vizio dei mujaheddin. Un anno dopo faranno il loro ingresso trionfale a Kabul dove impiccheranno il presidente destituito Mohammad Najibullah e imporranno il loro famigerato 'ordine' alla popolazione.

Nei secoli scorsi taluni missionari cristiani si sono macchiati di eurocentrismo e razzismo, facendo mostra non solo di una grave incapacità di dialogare quanto di un sentimento totalmente ingiustificato (figlio del tempo) di pretesa superiorità dell’uomo bianco. E, tuttavia, oggi possiamo affermare, senza tema di smentita, che pure nel passato esistono luminosi esempi di missionari con i quali i contemporanei hanno potuto ragionare (due nomi su tutti, anche se la lista sarebbe lunga: il domenicano Bartolomé de Las Casas e il gesuita Matteo Ricci). È anche grazie alla loro testimonianza che via via la missione cristiana, specie dopo il Vaticano II, si è purificata dei peccati di un tempo, aprendosi al mondo, ai popoli, alle culture, al 'diverso'. In una parola: al soffio dello Spirito.



I missionari ultra-talebani
Raffaele Carcano
5-09-2021

https://blog.uaar.it/2021/09/05/mission ... -talebani/

Intervistato da Umberto De Giovannangeli per il Riformista, il noto ex ambasciatore Sergio Romano ha sostenuto che i talebani «non sono una formazione politica. Sono dei “missionari”. E ragionare con i missionari non è mai facile, e qualche volta è addirittura inutile».

La dichiarazione ha provocato le dure critiche del quotidiano dei vescovi Avvenire. Gerolamo Fazzini ha infatti additato come «grave» «l’assurdo paragone», la «tacita equivalenza» compiuta da Romano, negandola drasticamente. A suo dire, «tanto i seguaci di Cristo si spendono ai confini del mondo in modo pacifico, a tal punto disarmati da diventare essi stessi, talora, martiri, tanto i taleban utilizzano la violenza, verbale e fisica, quale strumento principe per l’affermazione del loro credo».

C’è del vero in questa considerazione, al netto dell’apologia dei propri beniamini. Il problema vero è però che Fazzini, nella sua analisi del passato cristiano, si è rivelato incapace di andare al di là dell’affermazione che «nei secoli scorsi taluni missionari cristiani si sono macchiati di eurocentrismo e razzismo, facendo mostra non solo di una grave incapacità di dialogare quanto di un sentimento totalmente ingiustificato (figlio del tempo) di pretesa superiorità dell’uomo bianco». Ci sarebbero invece stati tanti «luminosi esempi» quali Las Casas e Ricci, e «la lista sarebbe lunga». E comunque, «la missione cristiana, specie dopo il Vaticano II, si è purificata dei peccati di un tempo», per cui nessuno si deve azzardare a metterla in discussione.

La storia delle missioni cristiane non è molto dissimile da quella dei talebani

Ma con quale coraggio si può ancora scrivere di «taluni missionari» – peraltro nemmeno citati per nome, a differenza dei «luminosi esempi»? La storia delle missioni cristiane non è molto dissimile da quella dei talebani, una volta che il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’impero romano: già nel IV secolo Martino di Tours ricorreva alle maniere forti e innalzava chiese cristiane sui templi “pagani” appena distrutti, eppure è venerato ancora oggi come santo, e non soltanto dalla chiesa cattolica. Quando il mondo antico fu definitivamente cancellato e venne l’epoca dei regni germanici, alla conversione dei regnanti e a quella (chissà quanto spontanea) dei loro sudditi non si accompagnò una corrispondente accoglienza di massa nei ranghi del clero e dell’episcopato: il pregiudizio cristiano assimilava infatti i “barbari” ai “pagani”.

Il razzismo istituzionale cattolico nella conquista spirituale dei continenti extraeuropei ha lasciato tracce addirittura enormi. I sinodi dei vescovi messicani ci hanno tramandato documenti in cui i nativi sono definiti esseri «deboli e ignoranti», «di scarse capacità, intellettuali e morali», caratteristiche che ne impedivano l’accesso al sacerdozio. Un rapido ripasso della storia ecclesiastica basta e avanza a demolire le tesi di Avvenire: per avere un vescovo africano si dovette aspettare il 1939, mentre il primo cardinale fu nominato nel 1960. Caro Fazzini, ci può cortesemente spiegare perché i papi attesero così tanto tempo?

perché non riuscite proprio a riconoscere i crimini commessi dalla chiesa istituzionale?

E già che c’è: perché non riuscite proprio a riconoscere i crimini commessi dalla chiesa istituzionale? Non lo fece nemmeno Giovanni Paolo II, che nelle sue scuse molto mediatizzate si limitò a chiedere perdono a dio (non alle vittime) per gli errori dei «figli della chiesa» (e non della chiesa stessa), senza peraltro fare a sua volta alcun nome. Come è possibile giustificare l’assimilazione forzata dei nativi attuata dalle scuole missionarie – un delitto che sta finalmente emergendo soltanto ora, in seguito alla scoperta di fosse comuni contenenti i corpi di migliaia di bambini nel solo Canada? Scuole che funzionavano a pieno regime ancora pochi decenni fa?

Se è vero che i missionari cristiani non ricorsero direttamente all’uso delle armi, è però innegabile che per diffondere il loro Verbo si affidarono agli eserciti più potenti del mondo: come l’inquisizione, che per difendere la fede esternalizzava il lavoro sporchissimo sul braccio secolare. La storia delle missioni cristiane mostra che, se proprio si vuole giocare alle differenze con i talebani, alla fine sono questi ultimi a farci una figura meno terrificante: legati come sono all’etnia pashtun, non sembrano granché interessati all’imperialismo religioso, anche se accolgono i foreign fighters. In ogni caso, la loro teocrazia armata non fa altro che replicare ciò che ha rappresentato per oltre un millennio lo Stato pontificio.

Se i missionari sono cambiati (e nemmeno tutti) è soltanto grazie all’illuminismo e al conseguente diffondersi di una cultura dei diritti umani. La chiesa, anche nell’epoca del presunto rivoluzionario Bergoglio, sembra molto più attenta a riscrivere la storia che a fare i conti con essa. Se queste sono le premesse, è probabile che non li farà mai.


I barnabiti in Afghanistan, una testimonianza silenziosa in mezzo alla violenza
Paolo Affatato
28 gennaio 2018

https://www.lastampa.it/vatican-insider ... 1.33973118

Il fragore dell'esplosione è un’eco lontana, ma porta con sè, già nell’immaginazione, il carico di dolore che poi si fa carne, quando la notizia dell’ennesimo attentato giunge in Ambasciata. È rinchiuso tra le quattro mura della rappresentanza diplomatica italiana a Kabul l'unico prete italiano che risiede in Afghanistan, ma soffre, prega e spera come se fosse ogni giorno in mezzo alla gente. Come è suo desiderio e come hanno fatto i missionari che lo hanno preceduto. Giovanni Scalese è il sacerdote dell’ordine dei barnabiti che vive nella capitale afgana, titolare della Missio sui iuris che la Santa Sede ha istituito nel 2002.

Confinato per motivi di sicurezza nell’area diplomatica, Scalese, nel silenzio della sua cappella, prega e affida a Dio le vittime degli ultimi attacchi terroristici suicidi: il massacro compiuto ieri, nel centro di Kabul, con un’ambulanza imbottita di esplosivo; quello al lussuoso Hotel Intercontinental di Kabul, frequentato dai giornalisti, imprenditori e cooperanti occidentali; e quello, altrettanto orribile, alla sede della Ong Save the Children a Jalalabad, nell'est del paese.


Non lo attanaglia, però, un senso di impotenza, anzi. Scalese è ben coscio di cosa significhi «tenere acceso un lumicino della fede» nel paese dei talebani: «La missione cattolica afgana - spiega - nei limiti imposti dalla situazione, tiene accesa la fiamma della speranza e della fede in un contesto, almeno apparentemente, impermeabile al Vangelo. Con le sue povere attività, rende una testimonianza evangelica, circoscritta ma significativa, di amore disinteressato per gli ultimi. Ma soprattutto, attraverso l’Eucaristia, rende realmente presente Cristo anche in questa remota regione dell’Asia centrale», osserva.

E, di fronte alla violenza bruta che insanguina la nazione, il barnabita continua «ad affidare a Dio la popolazione afgana e il futuro del paese, confidando che il Signore possa donare un tempo di pace e di riconciliazione». Nonostante tutto, non si rassegna alla violenza cieca e, come fa notare all’agenzia vaticana Fides, rileva che «l’Afghanistan è al centro di giochi di potere tra le grandi potenze regionali e mondiali».

I barnabiti sono in Afghanistan da oltre 80 anni. La loro presenza fu ammessa agli inizi del Novecento come semplice assistenza spirituale diplomatica e, dopo alterne vicende, fu poi elevata a Missio sui iuris nel 2002 da Giovanni Paolo II. Scalese è a a Kabul da tre anni, trascorsi nella prigione dorata del compound diplomatico. In passato non era così: i suoi confratelli hanno potuto svolgere un servizio pastorale ben più esteso e a contatto con la gente. Se i primi missionari Egidio Caspani ed Ernesto Cangnacci hanno girato l'Afghanistan in lungo e in largo, compilando una manuale sulla storia, la geografie e la cultura del paese, tuttora ritenuto un contributo prezioso per gli antropologi, anche solo fino a vent’anni fa la situazione era ben diversa per i preti cattolici.

Scalese racconta: «Quando, subito dopo la caduta del regime talebano, fu eretta la Missio sui iuris, la condizione del resto del paese era piuttosto instabile, ma a Kabul risultava piuttosto tranquilla. Si poteva uscire liberamente e condurre una vita pressoché normale. Nel 2015, ho trovato invece una città in stato di assedio. E, dopo l’attentato del 31 maggio 2017 all’Ambasciata tedesca (che ha provocato circa 150 vittime, ndr), la “Green Zone”, dove si trovano gli edifici del governo e le rappresentanze diplomatiche, è diventata una autentica fortezza: non è consigliabile uscire ed è ben difficile entrare».

«In questa particolare situazione, siamo obbligati a recuperare l’essenziale della vita cristiana, immersi in una popolazione a larga maggioranza islamica, vivendo una testimonianza evangelica senza ostentazioni, al di là delle guerre e degli attentati, riscoprendo l’autentica fede», spiega a Vatican Insider l’altro barnabita Giovanni Rizzi, professore ordinario di Teologia alla Pontificia Università Urbaniana e autore dei libri “80 anni in Afghanistan” e “I parroci di Kabul: dal re ai talebani”, dedicati al resoconto degli 80 anni trascorsi dai suoi confratelli in terra afgana. Rizzi specifica: «La missione dei cattolici in Afghanistan è fatta quasi esclusivamente di testimonianza cristiana silenziosa. C’è divieto assoluto per i preti cristiani di svolgere attività di proselitismo verso la popolazione locale. Sono le azioni a donare il Vangelo. Ma preghiamo e speriamo perché in futuro, se Dio vorrà, si possa costruire una Chiesa».

I missionari sognano una Chiesa cattolica fuori dall’Ambasciata, per svolgere incontri di preghiera, catechesi e attività pastorali. Anni fa ci si era andati vicini. La prima proposta per la costruzione di una chiesa “pubblica” giunse alla Missio sui iuris nel 1992 quando un rappresentante del governo di Najibullah, l'ultimo filocomunista, sottopose al barnabita Giuseppe Moretti, allora titolare della MIssio sui iuris, il piano per edificare una chiesa, che includeva un piccolo compound, con tutte le garanzie di immunità. II progetto, però, restò lettera morta dati i repentini mutamenti nella situazione politica afgana, con lo scoppio del conflitto civile, la salita al potere dei talebani e poi la guerra del 2001.

In Afghanistan semi di Vangelo e segni di una presenza cristiana, sono anche le Suore di Madre Teresa di Calcutta e l’Associazione intercongregazionale “Pro Bambini di Kabul”, attiva in ambito sociale. Fino al 2016 ci vivevano anche le Piccole Sorelle di Charles de Foucauld, arrivate in territorio afgano negli anni Cinquanta. In Afghanistan, dove l’islam è riconosciuto come religione di Stato e la conversione ad altre fedi può essere perseguita come reato di apostasia, azioni di promozione sociale rappresentano l’unica forma possibile di missione. In opere educative sono infatti impegnati, dal 2003, i gesuiti indiani del Jesuit Refugees Service, dopo l’ok del Ministro dell’educazione afgano.

La Costituzione del 2004 definisce l’Afghanistan una “Repubblica Islamica”, mentre l’articolo 2 della Carta garantisce ai non musulmani «il diritto di esercitare liberamente la propria religione nei limiti delle leggi vigenti». L’articolo 3 subordina conformità di tutte le leggi ai principi della religione islamica, rendendo dunque la sharia principale fonte di diritto.



Trucidato gruppo di medici di una OngI talebani: "Erano spie e missionari cristiani"

7 agosto 2010

https://www.repubblica.it/esteri/2010/0 ... i-6125549/


KABUL - I talebani hanno comunicato l'esecuzione di "nove missionari cristiani" che trasportavano bibbie in "dari", il nome ufficiale della lingua persiana in Afghanistan. Per il portavoce dei talebani, Sabiullah Mujahid, si trattava di "missionari cristiani", che stavano raccogliendo informazioni d'intelligence nella regione. Le vittime sono soprattutto oculisti al servizio di una organizzazione umanitaria cristiana, International Assistance Mission (Iam), con sede in Svizzera. I talebani li hanno intercettati mentre erano in viaggio dal Badakhstan alla provincia del Nouristan. L'ong ha dapprima considerato molto probabile e poi confermato che si tratta di "nostri membri, in viaggio per Kabul dopo una missione nel Nouristan su invito delle autorità locali". Il direttore di Iam, Dirk Frans, ha più tardi fornito dettagli precisi sulla nazionalità delle vittime. ''Cinque uomini, tutti americani, e tre donne, una statunitense, una tedesca e un'inglese''. Le altre due vittime sono interpreti afgani. Un terzo interprete, unico superstite, è stato risparmiato perché al momento dell'esecuzione recitava versetti del Corano.

"Abbiamo giustiziato le spie". "Erano dieci, di cui nove stranieri, quattro le donne. Il decimo era afgano". E' la descrizione dettata dal portavoce dei talebani, Sabiullah Mujahid, al'agenzia Dpa. "Si erano persi. Quando i nostri li hanno trovati, hanno cercato di scappare e sono stati uccisi. Abbiamo trovato loro addosso documenti di spionaggio, sistemi Gprs. Disegnavano le mappe con le posizioni dei nostri combattenti". Secondo Mujahid, l'esecuzione è avvenuta venerdi. Il massacro è stato rivendicato con una telefonata ai media, senza fornire motivazioni, anche dai miliziani del partito islamico radicale Hizb-e-Islami, guidato dall'ex primo ministro Bulbudin Hekmatyar.

La polizia: "Sapevano che era pericoloso". L'annuncio dei talebani segue di poco quello della polizia afgana, che trova i dieci corpi trucidati nella provincia nord-orientale del Badakhshan. Vicino ai corpi, tre fuoristrada crivellati di colpi. Sulla loro nazionalità, il capo della polizia provinciale, generale Aqa Noor Kintoz, offre una versione diversa da quella della ong svizzera. In base ai documenti ritrovati, "i cadaveri sono di due americani, sei tedeschi e due afghani". Diversamente da quanto affermato dai talebani, per la polizia il massacro sarebbe avvenuto almeno due settimane fa, ma scoperto solo ieri a causa del luogo poco accessibile. Il generale Kintoz ha chiarito che la spedizione era stata organizzata senza che la polizia ne fosse a conoscenza. Per il vice governatore provinciale Shamsull Rahman Shams, invece, il gruppo era composto da 16 persone che si erano recate in viaggio nel Nuristan dopo aver informato le autorità locali. Ancora il capo della polizia spiega che il gruppo di medici sarebbe stato avvertito dagli abitanti sulla pericolosità della zona. Ma loro avevano risposto: "Siamo medici, andrà tutto bene".

Il testimone: "Li hanno fucilati". Gli avvertimenti della popolazione ai medici emergono dal racconto dell'unico sopravvissuto, un terzo interprete afgano. Saifullah, questo il suo nome, è stato risparmiato perché al momento dell'esecuzione si è messo a recitare versetti del Corano. L'uomo ha spiegato che il gruppo, composto principalmente da oculisti, viaggiava dal Badakhstan alla provincia del Nouristan, zona dove è forte l'influenza dei talebani. L'attacco è avvenuto in una zona boscosa del distretto di Kuran Wa Munjan. "L'ultimo giorno - ha riferito il superstite -, è arrivato un gruppo di uomini armati, li ha fatti mettere in fila e li ha fucilati. Volevano i loro averi e il loro denaro".

Sollecitato sulla vicenda, il portavoce dell'ambasciata Usa a Kabul, Caitlin Haiden, ha confermato che ci sono "alcuni americani tra i cadaveri". "Ma non siamo in grado di confermare i dettagli, ci stiamo attivando con le autorità locali per sapere di più sull'identità e nazionalità di queste persone". Un responsabile locale, che ha chiesto di non essere identificato, ha detto alla stampa che "tutti gli stranieri uccisi erano medici oftalmologi e che uno di essi, americano, lavorava nell'ospedale oculistico di Kabul".




Si scrive carità. Si legge jihad
Giulio Meotti
Waheed Totakhyl, sostenitore dei Talebani, con la premier scozzese Sturgeon
5 settembre 2021

https://meotti.substack.com/p/si-scrive ... egge-jihad

Il presidente della Scottish Afghan Society in Inghilterra è un sostenitore dei Talebani. Parlando a Sky News sulla conquista dell'Afghanistan da parte degli studenti coranici, Waheed Totakhyl ha dichiarato: “Per molto tempo, il popolo afghano ha aspettato questo giorno. Questo è il giorno dell'Afghanistan indipendente, è libertà per tutti. Ora l'Afghanistan è più sicuro dell'Europa”. Totakhyl, che è stato fotografato con la premier scozzese Nicola Sturgeon, si è vantato anche che suo fratello è un comandante Talebano a Kabul. Anche il fondatore di BarakaCity, ong umanitaria francese molto popolare nelle banlieue, ad agosto ha inneggiato ai Talebani.

Fra i capi di molte ong inglesi ci sono islamisti che difendono l’Islam radicale e la “guerra santa”.

C’è una foto che ritrae Moazzam Begg, già detenuto a Guantanamo e sostenitore dei Talebani, davanti a Downing Street, sede del primo ministro britannico. E’ assieme ai sorridenti responsabili di Amnesty International. Begg era in visita come testimonial dell'organizzazione dei diritti umani. I capi di Amnesty conoscevano le simpatie del loro ambasciatore. Ma non trovavano nulla di strano…


Moazzam Begg a Downing Street con i dirigenti di Amnesty International

Asim Qureshi è alla guida di un’altra ong inglese, Cage Prisoners. Un video lo mostra durante una manifestazione davanti all’ambasciata americana a Londra. Si vede Qureshi incitare a “sostenere il jihad dei nostri fratelli e sorelle in Iraq, Afghanistan, Palestina e Cecenia”. Un altro video mostra Qureshi parlare di sharia e di lapidazione: “Sono d’accordo con i concetti islamici su come gestire le punizioni”. A domanda se sia a favore della pena di morte, Qureshi risponde: “Sì, da una prospettiva islamica”. Alle serate di fundraising di questa ong sono comparsi Vanessa Redgrave, Peter Oborne e Sadiq Khan. E tra le fondazioni che hanno elargito denaro a Cage, rivela la Reuters, ci sono il Joseph Rowntree Trust, il fondo creato dal magnate del cioccolato, e la Roddick Foundation di Anita Roddick, la proprietaria di Body Shop.

Il terrorista islamico Jamal Al Harith tornò a Manchester dal centro di detenzione di Guantanamo grazie all'attivismo di David Blunkett, ministro dell'Interno dell'allora premier inglese Tony Blair. Il Mirror e Itv gli dettero 60 mila sterline per rilasciare una intervista esclusiva sulla sua esperienza a Guantanamo. Al Harith ottenne anche un indennizzo di un milione di sterline dalle autorità. Si è fatto saltare in aria a Mosul, in Iraq, per conto dello Stato Islamico. L'uomo era anche stato reclutato da Cage Prisoners per fare da testimonial per una campagna per la chiusura di Guantanamo. Al Harith fu invitato, infine, al Consiglio d'Europa nella campagna per la chiusura di Guantanamo.

Nel 2014, filmati realizzati con telecamere nascoste della televisione inglese hanno mostrato il personale di una scuola Tauheedul che diceva che tutta la musica dovrebbe essere vietata e gli omosessuali "lapidati". Nonostante questo, Abdul Hamid Patel, direttore generale del Tauheedul, è stato nominato Comandante dell'Ordine dell'Impero britannico, un'onorificenza concessa dalla regina Elisabetta.

Una cellula terroristica inglese usava una ong, la Ummah Welfare Trust, come copertura per finanziarsi e reclutare.

Amazon ha finanziato un’altra ong inglese il cui leader sostiene i matrimoni precoci, le mutilazioni genitali femminili e la lapidazione per adulterio, rivela il Times. Nell'ambito del suo programma di beneficenza, il colosso di Internet ha effettuato donazioni alla Muslim Research and Development Foundation ogni volta che i suoi sostenitori acquistano prodotti. Il suo fondatore, Haitham al-Haddad, uno studioso islamico di origine saudita, è “uno degli uomini più pericolosi in Gran Bretagna", secondo la Fondazione contro l'estremismo Quilliam.

“La beneficenza è legata al terrorismo a livelli record”. E’ così che il Sunday Telegraph sintetizza il rapporto impietoso del capo della Charity Commission del Regno Unito, William Shawcross. Le ong sono diventate il cavallo di Troia dell’estremismo islamico.

C’è il caso dell’Aid Convoy, ong accusata di incanalare denaro verso lo Stato Islamico. La ong Fatiha-Global sulla carta si occupava di portare aiuti ai profughi siriani in fuga dalla guerra, ma in realtà dirottava i fondi allo Stato Islamico. La banca Hsbc ha interrotto i legami con una delle più grandi ong inglesi, la Islamic Relief, sui presunti timori di finanziamento al terrore jihadista. Islamic Relief riceve milioni di sterline da parte del Dipartimento per lo sviluppo internazionale. E’ sotto inchiesta anche la ong Society for the Unwell and Needy, per i legami con islamisti pachistani. E spesso ci finiscono di mezzo anche i politici inglesi. E’ successo che Diane Abbott, laburista e ministro ombra di Jeremy Corbin dal 2016 al 2020, ha ricevuto una donazione da un’altra ong sotto inchiesta per legami col terrore, il Muslim Charities Forum.

Queste ong islamiste sono arrivati anche a lavorare con l’Unicef. E 41 milioni di dollari del contribuente americano, secondo una inchiesta del Middle East Forum, sono finiti nelle mani di ong legate, a vario titolo, all’internazionale islamista.

Si scrive “carità”. Si legge “jihad”. Capolavoro della taqiya, la dissimulazione.
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Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » lun ago 30, 2021 6:35 am

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Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » lun ago 30, 2021 6:35 am

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Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » dom set 26, 2021 8:10 pm

9)
No aiuti all'Afganistan, non aiuti economici al popolo afgano con le nostre scarse risorse perché finirebbero al regime dei talebani, ai loro privilegiati di regime, poi ai nazi maomettani afgani in generale e ai nostri parassiti che gestiscono la cooperazione internazionale ricavandosi lauti compensi e una vita da nababbo.




Afghanistan, Di Maio: «Non riconosceremo il governo dei talebani»
Sabato 4 Settembre 2021

https://www.ilmessaggero.it/mondo/afgha ... 75437.html

Sarà probabilmente Doha la destinazione provvisoria dell'Ambasciata italiana di Kabul e di altre sedi diplomatiche occidentali mentre si fa remota la possibilità di un riconoscimento del governo talebano che è «molto improbabile». È stato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dall'Uzbekistan, dove è stato oggi in missione, a ribadire che nella capitale afghana «al momento non ci sono le condizioni di sicurezza per riaprirle, per questo motivo prende sempre più consistenza l'idea di ricollocarle, in maniera temporanea, a Doha». E a escludere la possibilità di un riconoscimento del neonato emirato islamico.

Una decisione, quella sulla sede delle ambasciate, che, dovrà essere presa «insieme ai nostri principali partner», ha sottolineato il titolare della Farnesina annunciando che ne discuterà con le autorità qatarine in occasione della visita a Doha, terza tappa del tour nella regione che lo porterà anche in Pakistan oltre che in Tagikistan, dove è giunto nel tardo pomeriggio.

La missione

Una missione per ribadire, tra l'altro, che le priorità dell'Italia in Afghanistan sono il «sostegno ai Paesi della regione» e il «coordinamento» con tutti gli attori, come Di Maio ha detto nel corso dell'incontro con il collega uzbeko Abdullaziz Kamilov. Dopo il ritiro da Kabul, conquistata dai talebani, la sede diplomatica italiana, guidata dall'ambasciatore Vittorio Sandalli, si è ricostituita alla Farnesina dove è operativa dal 17 agosto. Ma è evidente l'importanza di riportarla il prima possibile quantomeno nell'area, anche in vista degli sviluppi che ruoteranno attorno al costituendo governo dell'emirato. «Spero che l'Italia riconosca il nostro governo islamico e che riapra presto la sua ambasciata» aveva detto nei giorni scorsi il portavoce dei talebani Zabiullah Mijahid in un'intervista a Repubblica sostenendo di voler «ristabilire buone relazioni con l'Italia» che è un «Paese importantissimo». Un'offerta di dialogo nell'ambito di quell'offensiva diplomatica che i talebani stanno portando avanti nel tentativo di mostrare al mondo un volto presentabile e moderato. Ma «il riconoscimento del governo talebano è molto improbabile», ha scandito Di Maio intervenendo in collegamento alla festa del Fatto Quotidiano e ricordando che in alcune province si sta assistendo al «degenerare della situazione contro le donne ma anche all'uccisione di figure famose nel Paese come un comico e un musicista». In ogni caso l'obiettivo è «non permettere» che l' Afghanistan «diventi una comfort zone dei terroristi».


Corridoio aperto verso Kabul

D'altra parte si consolida il ruolo centrale del Qatar come snodo diplomatico e e corridoio aperto verso Kabul. È di oggi l'annuncio da parte dell'ambasciatore di Doha nella capitale afghana che una squadra di tecnici qatarini in collaborazione con le autorità talebane è riuscita a riparare la pista di atterraggio dell'aeroporto della capitale afghana che è quindi pronto per sbarcare aiuti e trasportare civili. E in Qatar è atteso anche il segretario di Stato Usa Antony Blinken che vedrà le autorità di Doha ma non avrà alcun incontro con i talebani che in città hanno il loro ufficio politico.


Aiuti umanitari

Intanto sono ripresi i voli interni della compagnia di bandiera Ariana Afghan Airlines e l'Onu ha ricominciato a inviare aiuti umanitari attraverso l'aeroporto di Mazar-i-Sharif al nord e di Kandahar al sud. Sulla questione degli aiuti, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha convocato una riunione internazionale a Ginevra il 13 settembre. In quella sede, ha precisato il portavoce Stephane Dujarric, l'Onu chiederà «un aumento rapido in materia di finanziamenti perché le operazioni umanitarie che salvano delle vite possano continuare». Un fronte sul quale l'Italia è impegnata, ha ricordato Di Maio, a «garantire un accesso assolutamente libero a tutte le Ong e le agenzie Onu che si occupano di tutelare i civili».




È l'economia la vera spina nel fianco dei talebani
Mauro Indelicato

https://it.insideover.com/economia/e-l- ... ebani.html

Non erano in tanti per strada a Kabul il 31 agosto a festeggiare il decollo dell’ultimo aereo americano. É stata una festa dei talebani, non degli afghani. Questo spiega perfettamente l’attuale situazione nel Paese. Gli studenti coranici non hanno subito una grande resistenza da parte della popolazione, ma nemmeno sono stati accolti come liberatori. Ai cittadini per adesso non importa chi sta al governo, interessa invece tornare ad avere più sicurezza sul fronte economico. Gli afghani sono sfiniti dopo decenni di guerra e devastazione. I talebani potranno quindi guadagnarsi l’appoggio soltanto se le famiglie avranno qualcosa da mangiare. Un’impresa al momento non semplice.


Un’economia ancora bloccata

Quando i talebani erano in procinto di avanzare verso Kabul, tutto è stato congelato. Sono state bloccate le banche e sono stati chiusi i canali di finanziamento dall’estero. I cittadini si sono ritrovati senza la possibilità di prelevare i propri risparmi. Ma non solo. Con le banche chiuse, non si possono erogare gli stipendi e non si possono pagare le merci importate. In tutte le principali città afghane stanno venendo a mancare quindi sia i soldi che il cibo. In molti posti di frontiera con il Pakistan sono presenti lunghe file di camion e autoveicoli destinati ai mercati afghani e impossibilitati ad entrare perché nessuno può acquistare la merce. Una situazione figlia ovviamente del contesto politico mutato repentinamente ad agosto. Buona parte delle riserve dello Stato afghano, circa 7 miliardi di Dollari su un totale di 9, si trovano custodite dalla Federal Reserve americana. A Washington, per impedire che le somme finiscano ai talebani, hanno deciso di congelare ogni bene.

Gli istituti di credito, prima di tornare a riaprire i rubinetti, vogliono precise garanzie dai talebani. Dunque è impossibile per il momento accedere ai canali di finanziamento ufficiali. Una grana importante nell’immediato. Il movimento islamista ha nella sua disponibilità molta liquidità, nel 2020 ha incassato 1.6 miliardi di Dollari frutto dell’export di oppio, delle donazioni dall’estero e delle tasse fatte pagare nei territori da loro controllati. Non basta però tutto questo per poter far funzionare la macchina statale afghana. Il problema è anche a medio e lungo termine. Il “vecchio” Afghanistan collassato con l’avanzata talebana si reggeva soprattutto grazie agli aiuti internazionali. Se dall’estero non dovesse arrivare più molto e se gli Usa dovessero decidere di non stornare più soldi a Kabul, le difficoltà per il nuovo emirato islamico talebano potrebbero essere tali da assistere a una destabilizzazione della situazione anche a livello sociale.


Le possibili mosse dei talebani

La Banca Centrale afghana è stata affidata dagli islamisti a quello che è possibile considerare come il loro “tesoriere”. Si tratta di Haji Mohammad Idris, di cui per la verità si sa molto poco. Alla Reuters un membro dei talebani l’ha descritto come una persona esperta di finanza, non ha compiuto però studi “ufficiali” in materia. L’ex governatore della Banca Centrale, Ajmal Ahmaty, è fuggito da Kabul poche ore dopo l’ingresso degli studenti coranici. In un’intervista rilasciata successivamente, ha dichiarato che la situazione nel Paese rischia di scivolare rapidamente verso il collasso: “Se pensate che il peggio sia passato – ha dichiarato alle agenzie occidentali a fine agosto – se pensate che la situazione all’aeroporto sia tragica, vi sbagliate di grosso. Finita la crisi militare comincerà quella economica. Con le banche chiuse, senza accesso ai finanziamenti stranieri, c’è da aspettarsi una catastrofe umanitaria e un’ondata di migranti”. Piazzare il loro economista di fiducia alla guida della Banca Centrale per i talebani è stata la prima mossa.

Ma ora i nuovi padroni di Kabul per sopravvivere devono fare ben altro e in fretta. La loro speranza più importante è riposta sulla Cina. I dirigenti del nuovo emirato si aspettano da Pechino i fondi necessari per rimettere in moto l’economia afghana, sopperendo alla mancanza degli statunitensi. C’è poi il discorso relativo al Qatar, il cui governo negli anni è stato il principale mediatore tra il movimento e la comunità internazionale. Anche da Doha i talebani si aspettano le somme necessarie per dare risposte immediate alla popolazione. Tuttavia senza l’appoggio di una buona fetta della comunità internazionale per gli islamisti non sarà semplice gestire il ramo economico. Da qui la richiesta anche ai Paesi occidentali di riaprire le ambasciate a Kabul. La partita economica sarà quella più importante. E l’impressione è che si è ancora soltanto all’inizio.


Afghanistan: Di Maio, 120 milioni per progetti umanitari

Agenzia ANSA
05 SET 2021

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnew ... b4337.html

"L'Italia, nel corso dell'ultimo consiglio dei ministri, ha convertito i 120 milioni di euro che utilizzava per la formazione delle forze di sicurezza afghane in progetti di assistenza umanitaria". Lo ha detto il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, nel corso del Forum Ambrosetti a Cernobbio, in collegamento da Doha.
"E dopo che avremo avviato la collaborazione - ha aggiunto - ad esempio con il Pakistan, potremo avviare la fase due che ruota intorno ad un piano italiano per il popolo afghano. Il nostro Piano ha già mosso i primi passi con una riunione interministeriale coinvolgendo tutte le istituzioni, le onlus e la società civile. Stiamo cercando di fare sistema per gestire una fase completamente diversa da quella che si è conclusa".
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Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » dom set 26, 2021 8:11 pm

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Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » dom set 26, 2021 8:11 pm

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Re: Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » dom set 26, 2021 8:12 pm

10)
Libanizzazione o balcanizzazione dell'Europa.
Continuare a lasciar entrare in Europa clandestini, profughi, asilanti e migranti nazimaomettani o mussulmani dall'Africa e dall'Asia comporta inesorabilmente la libanizzazione o balcanizzazione del continente europeo e degli stati europei, come è accaduto in Libano con la migrazione dei nazi maomettani impropriaamente detti palestinesi.
Questo andamento lo osserviamo in Francia, in Svesia, in Gran Bretagna, in Germania.




Libano, l'invasione nazi-maomettana e Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=2769
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 199&t=2280

Nella storia dove è arrivato l'Islam è poi sempre avvenuta la guerra civile e religiosa e lo sterminio di tutti i diversamente religiosi e pensanti
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 188&t=1895

https://twitter.com/ZemmourEric2022/sta ... 8321125376
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Messaggioda Berto » dom set 26, 2021 8:12 pm

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Nazismo maomettano e hitleriano, il caso afgano

Messaggioda Berto » dom set 26, 2021 8:12 pm

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