Re: Repubblica Veneta, specificità e durata, realtà e mito
Inviato: dom ago 25, 2019 8:15 am
IL MITO, LA LIBERTA’, LA GIUSTIZIA - IL MITO DELLA SERENISSIMA
01/04/2013
Alessio Morosin
http://indipendenzaveneta.net/il-mito-l ... -giustizia
Senza timore di esagerare si può dire che la Repubblica Veneta – la Serenissima fu un vero e proprio mito ineguagliato ed ineguagliabile.
Un mito nato dalla armoniosa e straordinaria integrazione fra popolo e governo così efficace e sapiente da arricchire la Nazione in tutte le sue espressioni: dalla capitale Venezia, città unica, di incomparabile bellezza, con palazzi imponenti e sontuosi costruiti tra le acque della laguna, alle sue floride attività di commerci marittimi, dei grandi artisti (Tiziano, Tiepolo, Veronese, Tintoretto, Palladio, Vivaldi), ai grandi statisti come Andrea Gritti (doge dal 1523 al 1539), ai valorosi personaggi d’arme come il Comandante Francesco Morosini, detto il Peloponnesiaco, capitano generale da mar (1619-1694), “il più grandi di tutti” (secondo Alvise Zorzi in “La storia di Venezia” pag. 415).
La Serenissima Nazione Veneta si era data una formula di governo che potremmo qualificare oligarchica ma al tempo stesso anche democratica ove i legami tra legislatori e cittadini erano vissuti e gestiti non nel quadro di una regolazione dei rapporti fine a se stessa bensì intorno al supremo valore del Bene Comune ove la Libertà e la Giustizia non avevano un significato dichiarativo ma operativo, concreto, reale, tangibile e per questo voluto, prima ancora che accettato, dalla Comunità dei Governati e dei Governanti.
LA LIBERTÀ A VENEZIA
Nell’opera “La città e la Repubblica di Venezia”, pubblicata ad Amsterdam, l’ambasciatore francese Alessandro Limojon de Saint Didier scrive che “qui (a Venezia) la parola libertà è sulla bocca di tutti”.
I cittadini della Repubblica erano e si sentivano liberi perché nessuno a Venezia riusciva a detenere da solo tutto il potere di governo in quanto tutte le varie magistrature erano regolate da congegni elettorali assai complessi ed operavano in forza di processi e meccanismi decisionali ispirati esclusivamente al Bene Comune della Nazione e della cosa pubblica, che poi di fatto si traduceva nel Bene dei Cittadini Veneti.
Indubbiamente la continuità istituzionale della Serenissima ha rappresentato e rappresenta ancor oggi un vero unicum nella storia dei popoli.
Renzo Tramaglino, traghettando impaziente da una sponda all’altra dell’Adda per porsi in salvo, allorché tocca la riva Veneta, si sente rassicurare dal pescatore che lo accompagna perché ha raggiunto la terra della libertà: “Terra di San Marco”. Renzo risponde rasserenato: “Viva San Marco!” (“I promessi sposi” Alessandro Manzoni capitolo XVI).
LA GIUSTIZIA A VENEZIA
Le testimonianze su questo importante versante della vita della Comunità Veneta sono alquanto eloquenti.
Colpisce innanzitutto l’equilibrio del sistema giudiziario per cui chi deteneva una certa competenza giudiziaria era a sua volta sottoposto a rigoroso controllo e soprattutto le magistrature avevano durata molto breve e non erano raggiungibili con operazioni di scalata.
Poiché le Istituzioni della Repubblica Veneta erano ispirate con rigore solo al Bene Pubblico ed operavano in osservanza a spontanee regole etiche esse non consentivano la nascita, come oggi, delle vituperate caste.
L’interrogativo “Quis custodiet ipsos custodies?”, che da Giovenale in poi molti si erano posti, a Venezia è stato risolto in modo ammirevole ed efficace perché il Bene della Repubblica doveva essere anteposto ad ogni altro interesse!
Proprio nell’amministrazione della Giustizia la Repubblica Veneta aveva stupito i suoi osservatori.
L’ambasciatore francese Limojon de Saint Didier scrisse, infatti, che a Venezia “sembra si dedichi più interesse all’intera istruttoria del processo che non a trovare il colpevole. Solo quando si sono raccolte tutte le prove necessarie si procederà all’arresto” perché “… a Venezia ci si preoccupa meno di castigare che di non commettere errori giudiziari”.
E ancora, già dal 1275, il Doge doveva assicurare che i processi si svolgessero al massimo “entro un mese” dall’arresto del colpevole.
Perfino il moderno istituto della difesa gratuita dell’avvocato d’ufficio a Venezia esisteva già dal 1401.
Sul libro aperto sotto la zampa destra di un maestoso leone marciano rappresentato in una tela del 1415 di Jacobello del Fiore, si legge a proposito della Giustizia della Serenissima: “Qui si lascia da parte l’odio, ogni gelosia e impetuosità. Qui si punisce il delitto bilanciato sull’ago della verità”.
E di fronte all’errore giudiziario commesso in danno del fornaio Pietro Faciol, impiccato innocente il 22.03.1507, fu stabilito l’obbligo di ammonire i giudici, a voce e per iscritto, prima di ogni sentenza capitale con la frase: “Recordéve del povero fonaretto!”.
Alessio Morosin
Presidente Onorario di Indipendenza Veneta
Alberto Pento
Io mi preoccupo di più dei venetisti fanfaroni e venditori di illusioni, degli ingannatori, degli aprofittatori e caregari, del mitomani, invasati e fanatici, degli ignoranti presuntuosi e arroganti, degli antidemocratici e illiberali, dei filo nazi maomettani e degli antisemiti, dei bugiardi, dei falsificatori della storia.
Io poi non confonderei le ribellioni, le sollevazioni, le rivolte alle angherie o di classe con le insorgenze di un popolo contro un dominio straniero, per liberarsi, essere indipendenti e avere la sovranità politica, sono cose diverse, completamente diverse.
01/04/2013
Alessio Morosin
http://indipendenzaveneta.net/il-mito-l ... -giustizia
Senza timore di esagerare si può dire che la Repubblica Veneta – la Serenissima fu un vero e proprio mito ineguagliato ed ineguagliabile.
Un mito nato dalla armoniosa e straordinaria integrazione fra popolo e governo così efficace e sapiente da arricchire la Nazione in tutte le sue espressioni: dalla capitale Venezia, città unica, di incomparabile bellezza, con palazzi imponenti e sontuosi costruiti tra le acque della laguna, alle sue floride attività di commerci marittimi, dei grandi artisti (Tiziano, Tiepolo, Veronese, Tintoretto, Palladio, Vivaldi), ai grandi statisti come Andrea Gritti (doge dal 1523 al 1539), ai valorosi personaggi d’arme come il Comandante Francesco Morosini, detto il Peloponnesiaco, capitano generale da mar (1619-1694), “il più grandi di tutti” (secondo Alvise Zorzi in “La storia di Venezia” pag. 415).
La Serenissima Nazione Veneta si era data una formula di governo che potremmo qualificare oligarchica ma al tempo stesso anche democratica ove i legami tra legislatori e cittadini erano vissuti e gestiti non nel quadro di una regolazione dei rapporti fine a se stessa bensì intorno al supremo valore del Bene Comune ove la Libertà e la Giustizia non avevano un significato dichiarativo ma operativo, concreto, reale, tangibile e per questo voluto, prima ancora che accettato, dalla Comunità dei Governati e dei Governanti.
LA LIBERTÀ A VENEZIA
Nell’opera “La città e la Repubblica di Venezia”, pubblicata ad Amsterdam, l’ambasciatore francese Alessandro Limojon de Saint Didier scrive che “qui (a Venezia) la parola libertà è sulla bocca di tutti”.
I cittadini della Repubblica erano e si sentivano liberi perché nessuno a Venezia riusciva a detenere da solo tutto il potere di governo in quanto tutte le varie magistrature erano regolate da congegni elettorali assai complessi ed operavano in forza di processi e meccanismi decisionali ispirati esclusivamente al Bene Comune della Nazione e della cosa pubblica, che poi di fatto si traduceva nel Bene dei Cittadini Veneti.
Indubbiamente la continuità istituzionale della Serenissima ha rappresentato e rappresenta ancor oggi un vero unicum nella storia dei popoli.
Renzo Tramaglino, traghettando impaziente da una sponda all’altra dell’Adda per porsi in salvo, allorché tocca la riva Veneta, si sente rassicurare dal pescatore che lo accompagna perché ha raggiunto la terra della libertà: “Terra di San Marco”. Renzo risponde rasserenato: “Viva San Marco!” (“I promessi sposi” Alessandro Manzoni capitolo XVI).
LA GIUSTIZIA A VENEZIA
Le testimonianze su questo importante versante della vita della Comunità Veneta sono alquanto eloquenti.
Colpisce innanzitutto l’equilibrio del sistema giudiziario per cui chi deteneva una certa competenza giudiziaria era a sua volta sottoposto a rigoroso controllo e soprattutto le magistrature avevano durata molto breve e non erano raggiungibili con operazioni di scalata.
Poiché le Istituzioni della Repubblica Veneta erano ispirate con rigore solo al Bene Pubblico ed operavano in osservanza a spontanee regole etiche esse non consentivano la nascita, come oggi, delle vituperate caste.
L’interrogativo “Quis custodiet ipsos custodies?”, che da Giovenale in poi molti si erano posti, a Venezia è stato risolto in modo ammirevole ed efficace perché il Bene della Repubblica doveva essere anteposto ad ogni altro interesse!
Proprio nell’amministrazione della Giustizia la Repubblica Veneta aveva stupito i suoi osservatori.
L’ambasciatore francese Limojon de Saint Didier scrisse, infatti, che a Venezia “sembra si dedichi più interesse all’intera istruttoria del processo che non a trovare il colpevole. Solo quando si sono raccolte tutte le prove necessarie si procederà all’arresto” perché “… a Venezia ci si preoccupa meno di castigare che di non commettere errori giudiziari”.
E ancora, già dal 1275, il Doge doveva assicurare che i processi si svolgessero al massimo “entro un mese” dall’arresto del colpevole.
Perfino il moderno istituto della difesa gratuita dell’avvocato d’ufficio a Venezia esisteva già dal 1401.
Sul libro aperto sotto la zampa destra di un maestoso leone marciano rappresentato in una tela del 1415 di Jacobello del Fiore, si legge a proposito della Giustizia della Serenissima: “Qui si lascia da parte l’odio, ogni gelosia e impetuosità. Qui si punisce il delitto bilanciato sull’ago della verità”.
E di fronte all’errore giudiziario commesso in danno del fornaio Pietro Faciol, impiccato innocente il 22.03.1507, fu stabilito l’obbligo di ammonire i giudici, a voce e per iscritto, prima di ogni sentenza capitale con la frase: “Recordéve del povero fonaretto!”.
Alessio Morosin
Presidente Onorario di Indipendenza Veneta
Alberto Pento
Io mi preoccupo di più dei venetisti fanfaroni e venditori di illusioni, degli ingannatori, degli aprofittatori e caregari, del mitomani, invasati e fanatici, degli ignoranti presuntuosi e arroganti, degli antidemocratici e illiberali, dei filo nazi maomettani e degli antisemiti, dei bugiardi, dei falsificatori della storia.
Io poi non confonderei le ribellioni, le sollevazioni, le rivolte alle angherie o di classe con le insorgenze di un popolo contro un dominio straniero, per liberarsi, essere indipendenti e avere la sovranità politica, sono cose diverse, completamente diverse.