IN ANTEPRIMA UN PROGETTO ISTITUZIONALE PER L’INDIPENDENZA DEL VENETO MiglioVerde - di ENZO TRENTIN
http://www.miglioverde.eu/in-anteprima- ... del-veneto La premessa – Nel mondo indipendentista veneto c’è chi ha pensato e lavorato per una bozza di progetto istituzionale che superi le divisioni constatate negli ultimi decenni, sfociate in personalismi di “barufanti” pseudo leader, e in partitini e movimentini autonomisti e federalisti prima, e ultimamente indipendentisti, che a nulla hanno concretamente portato.
L’avance – Lo schema proposto in calce – almeno nelle intenzioni dei proponenti – è una “gabbia” contenente le principali linee di discussione. È proprio sulla discussione (magari per mezzo di una qualche forma di assemblea costituente) che dovrebbe essere trovato il consenso all’«unione» degli indipendentisti veneti. Oggi siamo ancora intossicati dalla forma partito o movimento politico, perché la cultura corrente è quella, e questa porta ad discutibili pretese di voler il consenso elettorale per far eleggere qualche politicante alla Regione Veneto con la promessa che da lì si potrà accedere all’indipendenza.
Queste tesi sono preferite dagli ambiziosi che in realtà operano come dei Quisling, e quando parlano o appoggiano i catalani o gli scozzesi ignorano che i primi hanno cominciato a deliberare concretamente per la “disconnessione”, attirandosi le denunce della loro Corte costituzionale (Tribunal Constitucional) e possibili pesanti condanne penali; mentre i secondi sono in gran parte già indipendenti, e vogliono restare nell’UE per beneficiare dei contributi che questa elargisce. Gli pseduoindipendentisti che siedono in Regione Veneto sono assai lontani sia progettualmente che politicamente dai succitati catalani e scozzesi. Inutile ricordare le posizioni politiche italianiste della LN.
Lo schema sottostante propone Comuni indipendenti, con propri Statuti autoprodotti. I Comuni poi, con un patto federativo aderiscono alle Reggenze o Reggimenti (con una Costituzione che le/li rende indipendenti) anche senza contiguità geografica. Questo è già realtà in Svizzera. Quanto al termine Reggenza o Reggimenti, esso era utilizzato dalla Serenissima [VEDI QUI], ma si tratta di entità molto simili ai Cantoni svizzeri.
Il sistema elettorale è materia tutta da creare. Prima deve essere elaborata la Costituzione dei singoli Reggimenti, dove si prevederà la rotazione del loro Presidente. Il Presidente della federazione è cosa diversa da quello della Reggenza. La Costituzione della federazione è l’ultima cosa da redigere poiché dovrà prevedere le attribuzioni residue che non sono dei Reggimenti e dei Comuni. Insomma è una piramide che sale dal basso: molti poteri ai Comuni, qualche potere alle Reggenze, poche residue attribuzioni alla federazione. Tale schema è stato volutamente lasciato senza approfondimenti (ci penseranno le varie “Costituenti”), e la cosa primaria è che con il sistema del ballottaggio sparisce la partitocrazia. Ad Atene, patria della democrazia, solo una parte dei rappresentanti del popolo era eletta, l’altra era tirata a sorte. Come avverrà più tardi nella Repubblica Veneta. Le elezioni servono solo per l’esercizio della democrazia diretta.
Alla domanda chi sono i “ballotandi”, nello schema è indicato che i Comuni tengono un’apposita anagrafe. In teoria tutti possono accedere a tale anagrafe; tuttavia molti non sentendosi adeguati, o disponibili, non si iscriveranno per assumere incarichi pubblici (che dovrebbero essere equamente e non spropositatamente remunerati come in Italia); e a chi vuole iscriversi si potrebbe chiedere il superamento di un apposito esame. Un po’ come avviene negli USA per ottenere quella cittadinanza.
Un’altra ragione per non entrare troppo nello specifico risiede nel desiderio di evitare ogni occasione, per l’effervescente mondo indipendentista veneto, per polemizzare e frazionarsi. Non quindi l’unione per un partito indipendentista, ma l’unione su un progetto istituzionale. Ecco allora che il compito appare essere quello di indicare alcune linee guida, per stimolare l’indipendentismo più sincero a sedersi attorno ad un tavolo a progettare un nuovo assetto istituzionale seguendo le linee indicative già redatte.
Crediamo che i soli due punti che meritano ora un approfondimento siano proprio questi:
1. ballottaggio per superare la partitocrazia
2. strumenti per il facile e tempestivo esercizio della democrazia diretta
e già qui di cose da dire e fare ce ne sono a sufficienza.
Pensiamo che quanto prospettato sia utile per una o più assemblee costituenti (comunali, reggimentali ed infine federale) come contenitore per chi vuole contribuire alla futura repubblica indipendente del Veneto (ma il procedimento può essere valido anche per altri), e gli argomenti da trattare non debbano essere troppo particolari ma generali perché altrimenti ci si perde in rivoli che in questo momento non servono. Ci si dovrebbe concentrare sui concetti basilari, fondativi; poiché il resto verrà da sé.
Le argomentazioni per chiedere l’indipendenza ce le fornisce Allen Buchanan [«Secessione – Quando e perché un paese ha il diritto di dividersi» edito da Arnoldo Mondadori Editore – Presentazione di Gianfranco Miglio – Traduzione di Luigi Marco Bassani]:
La secessione come rettifica delle ingiustizie del passato. Questo è l’argomento pro secessione più semplice e più allettante dal punto di vista intuitivo, trovando svariate applicazioni nei moti secessionisti del mondo. Esso afferma che una regione ha diritto a secedere se è stata ingiustamente incorporata nella più ampia unità da cui intende separarsi. Questo caso, fornisce la prova più diretta e stringente dell’argomento fondato sulla giustizia rettificatoria che può richiedere il popolo veneto.
La forza dell’argomento deriva dalla tesi per cui in questi casi la secessione è la semplice riappropriazione, da parte del legittimo proprietario, del territorio sottratto (la Repubblica di Venezia). Il diritto a secedere, in queste circostanze, è il semplice diritto di reclamare ciò che è proprio. Questa interpretazione semplice è più evidente, com’è ovvio, nelle situazioni in cui il popolo che mira alla secessione è lo stesso che aveva titolo legittimo al territorio all’epoca dell’ingiusta annessione (ma potrebbe anche trattarsi dei discendenti di quella popolazione, ossia dei suoi legittimi eredi). Tuttavia, nel caso paradigmatico – quello in cui i secessionisti sono il gruppo che ha subito il torto, oppure i suoi legittimi eredi – l’argomento basato sulla giustizia rettificatoria costituisce una prova convincente dell’esistenza di un diritto morale a secedere.
Nel caso della Repubblica Veneta c’è una storia di oltre 1.100 anni a supporto della rivendicazione. Di contro, i circa 150 anni d’incorporamento nella Repubblica Italiana sono così pieni di conquiste immorali, coercitive e fraudolente, che non è difficile stabilire la legittimità dei confini, passati e presenti.
Per determinate circostanze, le considerazioni di giustizia rettificatoria che stabiliscono l’esistenza di un diritto a secedere sono sufficienti a dimostrare che i titolari di questo diritto lo debbano esercitare. E alcuni autori, infatti, hanno sostenuto che ogni fondata giustificazione della secessione deve sempre basarsi su una rivendicazione di giustizia rettificatoria, sull’affermazione di un diritto a riconquistare un territorio che è stato ingiustamente incorporato da altri in passato. La versione della recriminazione storica asserisce che la valida rivendicazione del territorio, inclusa in ogni fondata giustificazione per la secessione, deve basarsi su di una lagnanza storica per la violazione di un preesistente diritto al territorio.
Non si può parlare di rivoluzione in senso stretto, dal momento che non vi è alcuna intenzione di rovesciare il governo italiano, ma soltanto di liberare un territorio che documentalmente appartiene alle genti venete da circa 3.500 anni.
Naturalmente, l’affermazione che la secessione veneta è legittima, è anche dovuta alla necessità di sottrarsi ad una ridistribuzione discriminatoria: le politiche commerciali e fiscali italiane sono concepite al fine di depauperare il territorio a spese di politiche assistenzialiste fallimentari, e che nei decenni hanno fatto ritenere che questa ingiustizia si continua a perpetuare.
Vi è un altro argomento a favore della secessione laddove può essere considerata la sola alternativa, giacché le regole del gioco politico, in particolare le regole che governano la rappresentanza italiana, lavoravano sistematicamente a svantaggio delle genti venete, e non vi è alcuna aspettativa di miglioramento.
In realtà, potrebbe sembrare che l’attuale diritto internazionale tenda ad accordare legittimità soltanto a quei movimenti secessionisti che siano in grado di dimostrare la validità della loro rivendicazione storica dell’ingiusta perdita di territorio e sovranità (a prescindere dal fatto che il diritto internazionale riconosca esplicitamente o meno la tesi della recriminazione storica). Tuttavia, stabilire l’ineccepibilità del diritto internazionale esistente rientra nell’ambito delle considerazioni morali. Se vi sono valide giustificazioni per la secessione che non fanno derivare il diritto a secedere dal diritto a rettificare le iniquità del passato, allora il diritto internazionale concernente la secessione dovrebbe essere modificato. Inoltre i plausibili argomenti della giustizia rettificatoria e della ridistribuzione discriminatoria vanno affiancati dal consenso popolare, la cui importanza non ha nemmeno la necessità d’essere qui approfondita.
Gli schemi che seguono indicano un’ipotesi di governo (suscettibile di implementazioni) ispirata al pensiero di Buckminster Fuller: «Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta.»
La bozza di Progetto Istituzionale per l’indipendenza del Veneto:«Gli è facil cosa a chi esamina con diligenza le cose passate, prevedere in ogni republica le future e farvi quegli rimedi che dagli antichi sono stati usati, o non ne trovando degli usati, pensare de’ nuovi per la similitudine degli esempi.» (Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, III, 43)
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