Laicità

Laicità

Messaggioda Berto » dom feb 15, 2015 2:24 pm

Laicità
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 183&t=1410



Prima veneti e dapò cristiani
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =24&t=1088


Quando che Cesare è il Papa cattolico romano

L’indipendenza da Cesare non è solo un fatto economico. Per Dio!

http://www.lindipendenzanuova.com/lindi ... co-per-dio

di DAVIDE LOVAT

La laicità dello Stato non coincide con il concetto di “laicismo” di matrice giacobina e non significa che lo Stato debba essere ateo, perché se lo Stato fosse ateo smetterebbe di essere laico in quanto farebbe una precisa scelta, l’ateismo, in rapporto alla religione. Va detto anche che la “aconfessionalità” delle istituzioni, ammesso e non concesso che sia necessaria, non obbliga a una legislazione che tratti tutte le religioni allo stesso modo.
La separazione fra sfera spirituale e sfera temporale è connaturata alla civiltà cristiana, essendo stato addirittura Gesù di Nazareth a proclamarla per primo nella storia dell’umanità, durante il processo al cospetto di Pilato, narrato nel Vangelo di Giovanni. Fu quello, e solo quello, il momento originario del concetto puro di laicità delle istituzioni; non, come taluni erroneamente credono, quello della disputata questione circa la legittimità del tributo a Cesare, perché chiunque abbia studiato la dottrina patristica sa che quel passo evangelico ha tutt’altra portata e si collega bene alle istanze indipendentiste, tanto che la riflessione su quel brano è attualissima e opportuna per capire le differenze tra autonomismo e indipendentismo. Ragioniamoci sopra attualizzando, con anche un po’ d’ironia francescana nell’esegesi testuale del Vangelo.
Il popolo d’Israele si lamentava dell’occupazione di Roma ladrona, da cui voleva rendersi indipendente, ma era diviso in troppe fazioni che non facevano sintesi e si delegittimavano reciprocamente; chi era per la trattativa con Roma per avere concessioni, come i sadducei, chi voleva l’indipendenza ma consigliava prudenza per lo squilibrio militare, come i farisei, chi era per la lotta armata, come gli zeloti. Tutti concordavano solo sul fatto che le tasse fossero eccessive: “basta schei a Roma, basta tasse, Roma ladrona, secessione, indipendenza”. Vedendo Gesù che trovava favore crescente presso il popolo, vollero metterlo alla prova chiedendogli se fosse legittimo il pagamento del tributo a Cesare, per delegittimarlo: se avesse detto sì, lo avrebbero definito un collaborazionista; se avesse detto no, lo avrebbero denunciato come cospiratore. Sappiamo come Gesù risolse la questione: fattasi consegnare una moneta, chiese di chi fosse l’effigie ivi raffigurata e, saputo che apparteneva a Cesare, sentenziò: “Sia dato a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
Qual è l’insegnamento, allora, per noi indipendentisti? Finché la questione sarà posta in termini di denaro, tasse, amministrazione, gestione delle risorse, non se ne uscirà mai. Non è una questione di soldi quella che può legittimare le istanze indipendentiste per la libertà. Le questioni di soldi si risolvono in termini di autonomia, rimanendo però soggetti a Roma. L’autonomia difatti si risolve in una mai definita linea di contrattazione tra potere centrale originario e potere locale derivato, sempre revocabile. Ma per poter reclamare invece l’indipendenza, bisogna saper dimostrare l’assoluta specificità e diversità di un popolo, residente storicamente su un preciso territorio, rispetto allo Stato che esercita la sovranità su di esso.
Facciamo un esempio concreto e mi si perdonerà se uso quello che gli italiani chiamano Nordest o Triveneto, mentre per me è e resta, da sempre, la Venetia già conosciuta dagli antichi Romani o, meglio ancora, la Repubblica di San Marco. Il motivo è che si tratta di un caso che si presta a fare da esempio di scuola.
Se le lamentele dei Veneti dipendessero dall’uso dissennato delle risorse fiscali da parte di “Roma ladrona”, la questione dovrebbe risolversi sulla base di alcune concessioni da ottenersi con la rappresentanza politica, organizzata in partiti che rivendichino al centro le ragioni della periferia; ma sarebbe assurdo, oltre che illegittimo da ogni punto di vista, primo tra tutti il Diritto Naturale, chiedere l’indipendenza per una questione di soldi. La libertà non è un valore economico, né la Patria è qualcosa che sta bene soltanto finché si ha la panza piena… L’indipendenza invece è un diritto quando a un popolo non viene permesso di “dare a Dio quel che è di Dio”, cioè vivere secondo i propri usi, costumi, consuetudini, valori etici, sociali, religiosi, politici ed economici; quando cioè Cesare, lo Stato, vuole prendersi anche l’anima del popolo che governa.
In un caso del genere, da dimostrare ovviamente, il diritto all’autodeterminazione è tanto automatico quanto sacrosanto. Esistono queste condizioni in Veneto (e, mutatis mutandis, magari anche in Nordovest, o Padania che dir si voglia)? Cioè: se avvenisse la secessione, la Costituzione del nuovo Stato sarebbe completamente diversa nei valori di fondo rispetto a quella italiana? Solo se la risposta fosse sì, allora il ragionamento potrebbe continuare; e io lo farò seguendo tale ipotesi, limitandomi a 3 principi costituzionali cardinali per la convivenza associata: la famiglia, la proprietà, la religione.
La Repubblica Italiana si fonda su valori illuministici che stridono con i valori del popolo di San Marco e nei tempi recenti, con la presa netta del potere da parte del Partito (che è espressione del Centro Italia marxista), la corda si sta tendendo oltre ogni limite accettabile. Primo, l’attacco all’istituto matrimoniale e alla famiglia tradizionale attraverso l’introduzione del divorzio breve, della fecondazione assistita anche eterologa (leggi adulterio legalizzato) e la promozione della sodomia di Stato attraverso il riconoscimento di diritti economici a unioni non coniugali, è già una ragione antropologica sufficiente a rifiutare la sovranità di un popolo straniero sulla propria terra. Secondo, la tassazione della prima casa è un delitto contro il diritto naturale alla proprietà dell’abitazione e dei mezzi minimi di autosostentamento del nucleo familiare, e questo è un motivo socioeconomico sufficiente a protestare l’indipendenza. Terzo, la parificazione di tutte le religioni, comprese quelle che contrastano con l’art.8 della Costituzione o che incitano alla conquista militare, alla sottomissione (“islam” è parola che in arabo significa “sottomissione”) del mondo, può andar bene a tutti, ma non al popolo di San Marco che continua a celebrare la Festa del Redentore Gesù Cristo e ha memoria di migliaia di suoi martiri nel contrasto a queste che, per noi, sono eresie.
Avere il coraggio di affermare che “l’ateismo è un fatto privato e lo Stato è laico nelle istituzioni, ma il popolo della Repubblica è di tradizioni e cultura forgiate dalla fede cristiana” te lo hanno fatto sembrare un anacronismo o una follia bigotta, ma era sostanzialmente così nello Statuto Albertino fino al 1946 (articolo 1, peraltro) ed è il modo migliore con il quale proclamare l’incompatibilità territoriale con moschee, pratiche alimentari inaccettabili, pretese smisurate, abusi contro le donne, immigrazione incontrollata. Non ha forse fatto così, in fin dei conti, l’ex capo del KGB sovietico, W. Putin, con la confessione ortodossa del cristianesimo, incentivandone la riaffermazione in Russia? Putin, ne sono certo, a casa sua o nel suo cuore continua a essere la stessa persona che comandava il KGB, ma, come insegnava Macchiavelli su questa materia, ha capito che la religione è un ottimo “instrumentum regni” quando i suoi valori tradizionali incontrano il favore della netta maggioranza della popolazione. Poi, in privato, ognuno pensi ciò che vuole. In Svizzera, come è noto, hanno bloccato definitivamente la costruzione di moschee con un referendum relativo all’incompatibilità dei minareti con il paesaggio alpino; ma è stato possibile perché la Costituzione Elvetica ha un rapporto molto diverso con la religione rispetto a quello della Repubblica Italiana.
In breve, solo rompendo radicalmente con i valori dello Stato occupante, solo se si vuole edificare uno Stato completamente, o fortemente, diverso da quello da cui ci si stacca, può legittimarsi la rivendicazione indipendentista. Si deve giungere a dire “meglio avere le pezze al culo da indipendenti che nuotare nell’oro da concittadini”, perché non sono i soldi la questione essenziale del patto di convivenza civile. Vale per il sentimento indipendentista della Repubblica di San Marco, vale per eventuali simili desideri in Padania, ma vale anche nell’edificazione dell’Europa politica, dove all’efficienza economica va preferita la libertà e l’effettivo esercizio della sovranità dei popoli che, per essere riconosciuti come tali, devono avere un comune sentire fatto di memorie, sentimenti, usi e costumi, credenze e altare, ethos (i valori morali) ed ethnos (l’ascendenza, l’appartenenza e la discendenza), lingua e radicamento nel territorio, nell’ambiente, nella venerazione dei morti, il tutto riunito in una simbologia a tutti riconoscibile, fatta di feste e riti comunitari. Fuori da queste caratteristiche un popolo non è tale. Per esserlo, deve saper sostituire i simboli dello Stato occupante con simboli propri e diversi, perché un popolo senza simboli non è un popolo, ma solo un’accozzaglia di individui dispersi, senza dignità né nome.


Comenti ==============================================================================================================================


Alberto Pento 19 agosto 2014 at 7:21 am #
PRIMA VENETI E DAPO’ CRISTIANI
Secołi pasà, co ła Repiovega Veneto-venesiana ła jera ricatà da łe scomouneghe dei papi romani, me par ke ghe sipia stà on cao połedego veneto de l’arestograsia venesiana, forse on doxe, kel ga dito forte, ciàro e lanpro ke i veneti łi xe veneti vanti de esar cristiani.
E sto dir oltre ke mostrar ła laiçetà del Stado Veneto de ke łi ani el da ła mexoura de ła spertoałetà, del sentimento rełijoxo e de ła cosiensa de come ła rełijon ła sipia anca na edeołoja con funsion połedega.
Çitasion (no me sovien pì ki ke ga scrito sto toco):

34 –
“Prima veneziani e po cristiani!” – overossia la vera storia de l’Interdito che gavemo patìo el 17 de avril de l’ano 1606
Cara la me carissima Venezia! Cristianissima in t’una maniera de un suismo, cussì completo e genuin che tanto el deve essarghe piasso a’l bon Dio, siben (come se vedarà in sto fato che stago per contarve e che’l ga le so raise ne la storia documentada) no’l ghe piase gnentafato a i Vicari de so Fio in tera.
Andé pur a notiziarve su l’antiga “Cronaca Veneta”, opur su la storia de Venezia de Cesare Cantù e vedaré co i vostri oci che sta frase “Prima Veneziani e po Cristiani” la xe stada dita a sacrosanta nostra rason, in t’un momento che la serenissima e el Papato s’à messo a sbarufar tal qual Nicoloti e Castelani, par via de certe question terene che el popolo ne tramanda in sta maniera s’ceta, senza vèli de coretezza diplomatica in te’l frasario, come desso ve contarò.



Albert 18 agosto 2014 at 10:00 pm #
Elementare , ( mio caro Watson ! ) avere la consapevolezza di una propria cultura ,di propri valori , di un idem-sentir ( che non vuole dire uniformita ! ) è il crogiolo delle specificita di un popolo . Ma ,….. ciliegia sulla torta ,senza pensare che nuoteremo nell’oro da indipendente , ” le pezze al culo ” le avremo di sicuro da concitadini !


Alberto Pento 18 agosto 2014 at 8:30 pm #
Ente ła Repiovega Veneta e no de San Marco (drento n’Ouropa federal/confederal) ke mi sogno a garia da esarghe el divorsio curto (par ki ke vol), l’aborto regołamentà (…), ła łebertà relijoxa regołamentà (da ła creansa par tuti), ła procreasion asistia, ła łegałixasion co regołamentasion de łe droghe, ła lebertà terapeotega, l’eutanaxia par ki ke vol, anca ła fameja coki (o gay, co na oneon çivil, ma gnente maremogno), …
come ente ła Xvisara.


Alberto Pento 18 agosto 2014 at 8:41 pm #
Cogna ver na gran creansa par łi atei, ke tante ‘olte łi xe mejo de tanti teisti e de tanti baxabanki e sigadori de preghiere; dapò no se confonda ła spertoałetà nadural ke a ghè ente tute łe creadure e ente tuta ła creasion co ł edeołoje e i culti rełijoxi (o rełijoni); esar atei el pì de łe volte vol dir: no ver edeołoje rełijoxe e nò esar sensa de ła spertoałetà ogniversal. Dio lè dapartuto e en tute łe so creadure.
Ła rełijon łè na spertoałetà połitixà.
RISPONDI
Alberto Pento 18 agosto 2014 at 8:54 pm #

Xe anca màsa na coestion de skei, de vita o de morte, ke no se pol resolvar co n’aotonomia ( ? se no ła xe almanco come coeła del Südtirol e ke par verla cognaria conbatar tanto coanto par l’endependensa) ma lomè co l’endependensa total da ła Tałia ente n’Ouropa federal/confederal pitosto ke enperial (a ła romana o a ła sovietega).
Màsa demognocristiani fiłoromani (poco cristiani e tanto romani) a ghè tra łi “endependentisti veneti”.


AndreaD 18 agosto 2014 at 4:16 pm #
Io mi ritengo miscredente e non praticante, tuttavia concordo con il senso di questo articolo: ho sempre trovato ridicolo e controproducente il tentativo di minimizzare la questione dell’indipendenza inquadrandola solo nei termini dei famosi “20 miliardi di residuo fiscale che ogni hanno ci rubano da Roma” (e aggiungerei alla citazione anche: “maedeti ‘taliani indipendensa e basta!”).
L’indipendenza è una rivoluzione basata su valori, valori molto forti: morali, storici, culturali e anche religiosi. Il denaro di contro è un non-valore: 2000 euro (o qualsiasi altra valuta) guadagnati in un mese di duro lavoro oppure con una veloce rapina ad un pensionato valgono sempre la stessa cifra….
La rivoluzione giacobina, che era partita col presupposto di forti valori “illuminati” (vedi Liberté, Égalité, Fraternité) – che si contrapponevano allo spirito dell’Ancienne Regime – è implosa in una sorta di buco nero nichilista, materialista, edonista.
Certo: per essere indipendenti bisogna prima di tutto essere liberi, ma liberi “dentro” dalla nostre debolezze e idiosincrasie di moderni cittadini borghesi. Mi viene quasi spontaneo citare Massimo Fini quando dice che “un vero ribelle è ribelle prima di tutto verso se stesso”.
Ai futuri popoli indipendenti servono valori, non soldi. Il guadagno e il benessere sono solo la conseguenza di un comportamento che può essere onesto e laborioso oppure meschino e opportunista. La libertà è un’altra cosa.


davide 18 agosto 2014 at 4:38 pm #
appunto lo dice lei …forti valori “illuminati” (vedi Liberté, Égalité, Fraternité) – che si contrapponevano allo spirito dell’Ancienne Regime …non contrari alla fecondazione assistita contro favorevoli
..posto che tutto questo “filosofeggiare” non so quanto sia produttivo auspicherei che in un ipotetico nuovo stato che dovesse nascere ci possa essere posto anche per chi pratica la fecondazione assistita (o per gli omosessuali) …mi impaurirebbe il contrario pur non avendo nessuna posizione a riguardo


AndreaD 18 agosto 2014 at 9:31 pm #
Caro Davide, francamente non ho capito bene questa storia del “filosofeggiare”: qui si sta solo discutendo in merito ad un articolo, non stiamo mica scrivendo la “Carta dei Diritti dell’Uomo della Repubblica Veneta”, per carità :)
Ad ogni modo presumo che ai tempi dela Rivoluzione Francese non esistessero ancora tecnologie mediche quali la fecondazione assistita e quanto agli omosessuali penso che non se la passassero bene neanche con i giacobini, lei fa riferimento a questioni emerse molto di recente, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso.
L’autore dell’articolo ha semplicemente detto che uno stato laico non deve essere per forza “ateo”, può benissimo tener conto delle istanze storiche, culturali e religiose del Popolo che rappresenta pur garantendo a tutti i cittadini un trattamento paritario. La mia posizione a riguardo è altrettanto semplice: io non sono cattolico praticante e ho una certa avversione per la Chiesa Romana intesa come entità puramente politica, tuttavia riconosco nella Cultura Veneta una componente fondamentale di valori che fanno riferimento ad un paleo-cristianesimo arcaico e popolare, valori che hanno influenzato anche me che sono un miscredente.
Lei sostiene che uno stato che si fonda su tali valori (che rappresentano la maggioranza della popolazione) è di fatto uno stato totalitario. E io chiedo: perchè?
La nuova Repubblica Veneta è nata sotto il segno della democrazia diretta perchè è stata legittimata da un plebiscito digitale che non ha discriminato nessuno, quindi per quale motivo non si dovrebbe garantire pari dignità a tutti i cittadini? Quando sarà il momento di decidere in merito a questioni molto importanti e delicate (come quelle che pone lei) queste necessariamente passeranno al vaglio della democrazia diretta, e quindi diventeranno questioni che dipendono dalla coscienza personale dei cittadini e non dall’ideologia del partito di governo.
Concludo raccontandole questo episodio: quando il marzo scorso gestivo il seggio per il voto digitale venne da me un ragazzo dichiaratamente omosessuale (perchè mi confidò che conviveva con il suo compagno) e per giunta costui non era neanche nativo del Veneto. Egli votò per l’indipendenza e io gli diedi la mano come ho fatto con tutti coloro che si sono presi la briga si alzare il deretano e venire a votare al mio seggio. Ora le chiedo: c’è un qualche remoto motivo per cui io avrei dovuto rifiutargli il diritto al voto solo perchè in Veneto la maggioranza della popolazione si dichiara cattolica? Io penso proprio di no…


davide 18 agosto 2014 at 4:14 pm #
..non so se questo commento verrà pubblicato perché non contiene solo le parole “grazie tanto, bellissimo articolo” ..ma nel 2014 pensare che uno stato debba fondarsi anche su un comune sentire (di tutti immagino i cittadini) verso questioni che attengono alla sfera più intima della persona (riguardanti la visione su temi etici o religiosi o addirittura spirituali) mi sembra sia di possibile realizzazione solo in una forma di governo dittatoriale…se è questo che auspica per il Veneto ci faccia sapere…


caterina 18 agosto 2014 at 5:26 pm #
davide, il pensiero è libero ed è questo che caratterizza l’uomo, che viene prima della sua condizione di cittadino/suddito/schiavo… e consolati comunque che il mondo è grande!


caterina 18 agosto 2014 at 2:38 pm #
grazie! senza remore, senza peli sulla lingua, mettendo nero su bianco le cose da considerare…per essere indipendenti, per essere ancora la Repubblica Veneta indipendente e sovrana, col vessillo di San Marco!
in privata sede ciascuno pecchi e si penta o giustifichi sè stesso, ma non conviene a nessuno e tanto meno ad una società abiurare ai principi a cui si ispira e sono stati nei secoli le fondamenta e l’humus su cui è cresciuta..

Aldo 18 agosto 2014 at 8:23 am #
Bellissimo questo articolo !!!
Perche o si è liberi dentro o non lo si è affatto.
WSM Aldo
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Laeçetà

Messaggioda Berto » dom feb 15, 2015 2:49 pm

Çitasion (no me sovien pì ki ke ga scrito sto toco):

34 -
"Prima veneziani e po cristiani!" - overossia la vera storia de l'Interdito che gavemo patìo el 17 de avril de l'ano 1606
Cara la me carissima Venezia! Cristianissima in t'una maniera de un suismo, cussì completo e genuin che tanto el deve essarghe piasso a'l bon Dio, siben (come se vedarà in sto fato che stago per contarve e che'l ga le so raise ne la storia documentada) no'l ghe piase gnentafato a i Vicari de so Fio in tera.
Andé pur a notiziarve su l'antiga "Cronaca Veneta", opur su la storia de Venezia de Cesare Cantù e vedaré co i vostri oci che sta frase "Prima Veneziani e po Cristiani" la xe stada dita a sacrosanta nostra rason, in t'un momento che la serenissima e el Papato s'à messo a sbarufar tal qual Nicoloti e Castelani, par via de certe question terene che el popolo ne tramanda in sta maniera s'ceta, senza vèli de coretezza diplomatica in te'l frasario, come desso ve contarò.


...

Ciò, no xe da farse de maravegia, perché quelo antigo gera el tempo in te'l qual i Papi fava i Re de corona, i se tegniva in bon de figurar galanti ne l'aspéto; ghe piaseva de dar)n te l'ocio de'l publico co l'esercizio pomposo de la so sovranità, propio come, metemo, un ambizioso Re de Franza o de Inghiltera.
Gera anca el tempo che'l Capo de la Religion el voleva esser tegnuo in conto de "Re de i Re" e parfin agiutà senza proteste da tute le Nazion Cristiane, quando che'l se sentiva ispirà a far guera a chi che ghe pareva a lù, secondo el so interesse che po ben de spesso el fava passar per interesse de la Cesa Catolica. La usanza antiga la portava a credar che i Papi trasmetesse diretamente el voler de Dio, e xe per questo, gnente per altro, che i gera respetai, temùi e ubidìi.
Cussì xe 'ndà a finir che anca a Venezia, quando el Papa s'à messo a sigar "Dio lo vuole.!", insieme a altri popoli europei de fede catolica, la s'à trovà ne l'intrigo de le "Sante Crociate" che per ani e ani le ga portà spini e triboli a tuta la cristianità. Ciò, cossa gogio da far se el popolo la intende in sta maniera?
No xe per tirarla in longo scomenzando da Adamo, ma toca per forza menzionar le Crociate per farve capir come mai na Republica come la nostra, che gaveva cussì cara la indipendenza, la gera moralmente obligada (o la gavarìa dovesto essarlo) a sotostàr, per çerte robe a l'autorità de i Papi. Usanza de quei tempi, ve replico.
Cossa gerele po mai ste famose Crociate? Ben, ve dirò, che da quel che ga capìo i nostri popolani, pararìa che a un çerto momento i Papi gabia trovà giusto de spenzar cristiani de tute le razze a deliberar da man infedeli, quel sepolcro vodo che Cristo, dato che no'l ghe serviva altro, el gaveva sbandonà lazò in Palestina tra i so copaesani ebrei. Altri dise che la vera rason de le Crociate la gera tuta difarente e manco confessabile da la Sacra Romana Chiesa.
Sia come la sia, fatostà che anca Venezia, come zà dito, per onor de firma, ma tanto mal volenti era che mai, ga mandà a la Prima Crociata un pocheti de i so omeni e un campion de le so galeazze a rinforzar l'esercito papalin che, a quei tempi, el gera armà più de simitare e de cortelazzi copa-omeni che de libri de orazion e de amor fraterno per i so nemiçi.
Certo che Venezia a'l so primo intro in sto miscugio de soldai de difarenti stati la deve essarse dita: "A remengo anca la Crociata!" Ma ciò, èo'l passar de'l tempo, quando che la ga visto tornar indrio da la "espugnata Gerusalemè" i genovesi e i pisani carghi come mussi de ori, arzenti e strepitose richezze de ogni sorte, bisogna dir che ... la ga subito voltà la brasiola' e no la xe stada più cussì descontenta de parteçipar a sta meravegiosa aventura sepolcral tanto renditizia. Anzi, delongo la se ga sentì o infogàr de amor ardente per la tomba de Nostro Signor, calcolando che, ciò, per mal che l'andasse, dopotuto ste Crociate le gera na bona ocasion che ghe cascava a balìn per ingrandir i comerçi levantini che Venezia praticava zà da un toco per conto suo, co piena sodisfazion da na parte e da st'altra.
Ste robe le andava dite come sfondo per capìr el quadro che desso ve presento e che'l xe la vera storia de quel famoso "Interdito" che Roma, dando segno de ignoranza granda, ga gomità5 sora Venezia, ma senza nissun costruto, come vedaré in seguito.
Dunque, pàssa ani, continua le "Sante Crociate" co relativo descargo in Patria de tesori palestinesi e moreschi (vizieto questo che i nostri veci marcanti, naveganti e soldai veneziani i gaveva ciapà in cuna, mantegnindoselo caro infin a la cascada de la Serenissima) e tuto pareva 'ndar lisso come l'ogio. Ma dopo tante vitorie de le armi cristiane, sucede che, per na volta, anca i soldai musulmani xe rivai a dar na tremenda mastruzzada a la flota papalina.
Tera verzite! Imbilà da no dirse per sto fato fora de l'ordenario, el Papa Clemente ve ga zurà de vendicarse. Delongo el ga sbragià a tuti i popoli européi cristiani che nissun de lori, per nissunissima rason a'l mondo, el doveva mai più far trafeghi, comerçi o aver contati de afari co quei fioidecani de zentagia infedel, e guai se qualchidun de credente in Dio se fusse azardà de disubidir a sto ordene che'l gera detà da na giustizia che lù ciamava umana.
Quà semo finalmente rivai a'l punto indove sucede un patatrache intra el Lion de San Marco e la cussì dita "Catedra de San Piero", per na rason de nostri interessi veneziani che ben se poi capìr e giustificar.
Va subito dito che, co sto ordene, più pezo malora no podeva capitar a la nostra Dominante che la viveva de'l comerçio co l'Oriente e che da sempre la gaveva vua usanza (Crosade a parte) de praticar cortesemente co sti infedeli, doparando co lori tute le regole de la bona creanza comerçial e civil. Figureve che parfin la li façeva, sti infedeli, intrar ne la nostra çità per scambio mercanzie, senza 'ndar a savariar se i gera ebrei, turchi, armeni e de fede antipapista.
Venezia gera cussì zentil co i so boni clienti, da lassar anca che sta zente praticasse in libertà anca le so difarenti religion e la pareciava "Fondeghi" (magazen, casa, botega) apositamente per logar sti foresti ben spartii per paese de provenienza. Defati esiste ancora, desso destinai a altri usi, el Fondego de i Turchi, quelo de i Todeschi, el gheto de i ebrei ecc. Insoma, tuti i stranieri gaveva un tratamento come megio no podaria far un moderno Ente Provinçial de'l Turismo.
Per sorazonta, sto arivo de marcanti foresti nò solo el gera per Venezia fonte de gran guadagno, ma anca, semo giusti, un luminoso esempio de çivil toleranza, qualità questa che de quei tempi no la gera ancora conossua da le altre Corti italiane e manco che manco, roba questa che dovaria far gran meravegia, da'l Stato Pontificio.
Parcossa mai Venezia gavaressela dovesto farghe de colpo in bòta cativa çiera a chi che ghe portava in casa drapi de oro, veludi, sede e quele benedete "spezie" che po i nostri mél;rcanti rivendeva a prezzi sora la broca? Figureve dunque, creature, el gran sconquasso che ga portà a Venezia sto ordene papalin. In su le prime tuti xe restai insemenìì da la sorpresa.
Po el Dose xe corso a conçertarse co i nobili de la Signoria, per deçider su'l da farse. Intanto che el popolo e i marcanti i tirava saràche in tuti i cantoni de la çità a'l preciso indirizzo de Clemente ve e de la intiera preteria mondial, le povare donete veneziane, sentindo ruzàr tempesta su Venezia, le se portava de presenza in Cesa indove, tociando i deolini in te la piléla de l'acqua santa, fandose un desìo de segni de crose le pregava Dio de sfantar l'ira papal che menazzava de destruzer la çità se no la gavesse ubidìo a i so ordeni.
Passada la prima scossa de sorpresa, el Lion de San Marco (ossia Venezia tuta co Dose, Signoria, nobili, marcanti, femene, putei, tuti ingrumai insieme) co tuta la energia che ghe permeteva la creanza, de çerto magari co forma un pochetin più diplomatica, ma in sostanza precisamente come ne lo ga tramandà i nostri veci, cussì el ga ragià contro el Roman Pontefice:
- "Ciò, vecio, scherzemio dasseno? Te averto che quà semo e sempre saremo "prima venexiani e po cristiani!"
Dopo, come se gnente fusse sucesso, Venezia ga continuà a trafegar co l'Oriente. Ossia xe stà un, come sol dirse, lassar andar le cosse fin che le andava, ma ne'l contempo la se tegniva pronta co le armi, caso mai ghe fusse stada na qualche reazion romana a la so risposta.
Ve podé ben imaginar se dopo un smàco de sto genere el Vicario de Cristo, poco usà a riçever ste rispostasse, no'l s'à ciapà na imbilàda co i fiochi e franze! Core el dito che parfin el sia morto de rabia, ma de questo no se ga mai vua prova. Senoché sta el fato che a ritacar discorso co Venezia poco dopo, xe stà el so sucessor Benedeto XII, la qual cossa ne lassa ben sperar che la notizia fusse vera.
Sto benedeto XII, un fià manco sproto de'l so predecessor, quando che'l ga visto l'andamento de la question, el s'à pensà na stratagema per refarse de quela buzarada data da i veneziani a la Sacra Santità papal cussì el ga mandà a dir a'l Mazor Consegio de i X:
- "Sentime ben, tosi, per conto mio de mì sò anca ben disposto a serar un ocio su i vostri trafeghi co l'Oriente, ma, per dover de la carica, bisogna per forza che a cospeto de la Cristianità mi resta solidal co me compare Clemente ve testé defunto. Alora, metemola in sti termini che desso ve digo: Mì fenzarò de no vedar la vostra desubidienza e vualtri (senza fenzar, sinò ve fulmino!) mandaré anualmente ne le casse de la mia Santità a Roma quel mucio de bezzeti, in contanti, che ve precisarà el mio imbassador. Intanto che speto la vostra risposta, finirò de dir suso quele orazion che nomadesso scominçio perché Dio ve ispira a mandarme la risposta giusta che vogio mì, sinò ve garantisso ... "
Da là un poco torna a Roma l'imbassador co la risposta de i veneziani:
- "Va ben, nualtri faremo anualmente ed desborso esoso de i bezzi patuì; ma nel contempo, se la Vostra Santità no ghe incresse (e se ghe incresse a nualtri no ne importa un figo marzo) metaremo na tasseta su le possession private de'l clero che quà, ostrega, el ga el bruto vizio de viver a màca e sarìa de bon esempio che'l pagasseel so tantunque come fa tuti i boni cristiani. Po, ghe daremo na repassadina de tasse anca a quei monteseli sostanziosi de richezze terestri che i siori Cardinai de la Vostra Santità, no parendo, se inmucia ne la nostra béla tera veneta. Se questo no bastasse a rimborsarne le spese "Crociate" che sostignemo per difender Candia, a l'ocorenza faremo na lege che abolisse el mantegnimento de i preti co i bezzi de la Republica. Po, vedaremo quale altre ispirazion ne passarà per la testa. per desso sempre per respeto de Nostro Signor Gesù Cristo, e gnente per altro, ve basa co riverenza la papuzza la vostra sempre poco afezionada- Venezia.
A sentir sta nova resistenza insolente, a'l Papa ghe bàte el cuor, ghe tremola i zenoci, el se sente la testa in rebalton e, metendose a osar pezo de un màto el ga dito a i so ministri: - "Ah, cussì la xe? Alora spéta mi che desso ghe scrivo a quei malnati un qualcosseta co'l mio nome sù!"
Defati, subito el te combina na BoIa Papal e precisamente quela che se ciama "In Coena Domini" indove che se parla de antighi privilegi clericali che la Serenissima no poi cambiar senza far sacrilegio ... Che guai farghe malegrazie a i preti drento i confini de la Republica ... Che le propietà terestri de i Cardinai le xe sacre ecc. ecc. Insoma, tuta na lagna de sto genere in difesa de le intocabili richezze de i Ministri de Dio.
E Venezia? Gnente paura mii amati conçitadini! EI cristianissimo Mazor Consegio el ga léta la "Bolla" scoconandose da'I rider, ben savendo zà da prima che menazzando i preti de mandarghe a domicilio l'impiegato de le tasse ... tuto el Clero se sarìa messo a far più cocodessi de na còca6• Po, senza scomporse, el ga proibia la difusion de la Boia papal su tuto el teritorio veneto. A quei pochi cristiani che la ghe fusse rivada de foravia (la furbità de çerti preti no la ga limiti) se consegiava de tegnirla in conto de gnente, perché Venezia no tolerava intromission de eclesiastici ne'I Governo de la Republica.
Cussì, fioi cari, xe propio stà come se la Boia no la fusse esistia.
Ciò, co le robe portae a sto punto, co sto continuo darse indrioman bòta per zocolada, le cosse se ga messo maleto dasseno e na guera 'sorda la ga scomenzà a circolar intra preti e veneziani.
Gera propio un tirarse a çimento uno co st'altro, tal qual, come zà dito, intra Castel ani e Nicoloti.
Quà bisogna dir s'ceto che in sta barafùsola el bon Dio no ghe pativa per gnente: Venezia no gera in lota co la religion ma solamente co i preti intrigabisi, e questo xe tuto un altro pàro de maneghe che ga la so importanza de ben specificar.
Per megio farve un quadro de quela che gera la situazion, ve darò un tipico esempio: Vignui a saver che in casa de un çerto Nunzio Apostolico se façeva, de scondon, discorsi contrari a l'autorità de'l Dose, i nostri inquisidori i ga fato saver a sto prelato che tuti i eclesiastici che andava ne la so casa i saria stai tegnui de ocio e che se no i ghe molàva de slenguazzar contro el Governo, i gavaria vuo el castigo merità, compreso quelo famoso de "La Cheba" che'l gera stà inventà aposta per punir i preti che se comportava malamente co la Republica. Po, tanto per scominçiar na musica dimostrativa, i ga ciapà un frate maldisente, sgnacandolo in preson drito de filato. Adiritura xe stà fato giustiziar tra Marco e Todaro un prete marchigian per le so nefandezze spionistiche e condanà a'l romitorio perpetuo un moscardin de Monsignor napolitan che l'onorava de ociae impertinenti, co massa frequenza, un bel toco de popolana canaregiota, onesta e timorata de Dio.
Per farvela curta, gera da credar che se le cosse le fusse seguitae in sta maniera, preti e veneziani i gavarìa fata pase soltanto quando el turco basarà la Crose, come sol dirse.
Per sorazonta, tuta la popolazion marciava lassandose drio le recie, ossia çercando de sentir i discorsi de quei che ghe stava a le spàle (anca questa la xe na espression tuta nostra) caso mai ghe fusse da rancurar, cussi no parendo, parolete dite de sbrisso, che le podesse portar a la descoverta de un secretissimo comploto clerical. Gera insoma na vita da no credar: ogni çitadin se trasformava volontariamente in sbiro e ogni sbiro no destacava mai l'ocio da le cèreghe de i preti.
El fatidico sigo: "Prima i Veneziani e po i Cristiani!" come un rabioso refolo de vento, sconvolzeva Campi, Cali, Salizade, fermando per ultimo la so corsa in Piazza, per zogatolar, co na tenerezza cocolona, intra le grespe de i stendardi de San Marco, dadrio de i quali la splendida religion de'I popolo venezian, in ogni tempo respetosa de Dio e de i Santi, gaveva custodio, bocon a bocon el più magnifico tempio de tuta la cristianità. Altro che' 'Bolle papali"! Venezia gaveva in oror ste piavolàe.
No ocore dir che sta maniera superbiosa de rebaltarse, sempre più la instizzava el papato, tantoché Paolo ve, sucesso intanto a Benedeto XII, visto che no andava a segno le menazze verbali e le "Bolle" intimidatorie , el ga volesto far un ato de forza e de autorità.
Ciò, el ga lanzà su la Serenissima gnente de manco che na furibonda scomunica, dita anca "Interdito", proibindo a i preti catolici de dir Messa e de soministrar i Sacramenti a quei nati decani de zentagia lagunar (che saressimo nualtri, a sentir lù!) che cresseva senza creanza e senza respéto per il Vicario de Cristo in tera.
Anca el privava in bòta, Dose e Senato, qualsiasi privilegio che ghe fusse rivà per condiscendenza papal prima de alora! Ma varda ti se questi no i xe sesti propio da mato! In sto momento gerimo a'l disiséte de avril 1606.
Ma tornaré a dimandar: E Venezia, cossa gàla fato?
Rispondo: Venezia, benedeti, da quela gran Regina che la gera, restando pacificamente sentada su'l so trono de secoli, co l'ocio che ghe rideva ancora berechin e fresco intra le rughe tanto vecie, la ga subito risposto cussi a Paolo V°:
- "Me incresse per la Vostra Santità, ma avendo el mio Governo provedùo aciò che l'Interdeto papal no'l riva gnanca a conossenza de'l mio popolo, i preti veneziani continuarà a dir Messa come sempre in tuto el teritorio veneto, co laso la permission de Dio Nostro Signor e de'I mio Dose Prinçipe regnante.
In quanto a i reverendi foresti, suditi de vostra Santità,
"se no ghe comoda el mio dir,
la porta la xe verta per partir!"
propio come che se esprime ciaramente un nostro dito popolar."
Per la verità, ciò, se capisse che le parole le gera magari un pocheto difarenti, a l'uso diplomatico, ma in struco, cari mii, se garantisse che la riposta gera questa.
Savemo da le "Cronache" che in sta barufa storica solamente i Gesuiti a'l gran completo e qualche Capuçin senza importanza i s'à messo da la parte de'I Papa. Alora el Dose ga scazzà sto ordene da Venezia, despropriandolo de le so enormi richezze e de i so conventi che i gera deventai tane de congiurati. Tuto el nostro Clero, co Paolo Sarpi in testa, fedelissimo a la Republica, ga continuà a far el so dover assistendo moralmente tuto el Veneto. Speremo che Dio ghe renda el merito.
Dopo sta ultima s'ciafa malignosa, Paolo V° el voleva a tuti i costi far guera a San Marco, ma propio na guera vera, co relativo armamento mortifero, per desterminarne tuti quanti, gnanca che fussimo pantegane schifose da negar in Canalazzo, e nò i fioi de Santa Romana Chiesa anca nualtri!
Ma subito el bon senso de le Nazion Catoliche ga sotoposto a la considerazion papal el fato che in quel momento la Serenissima la gera forte e più potente che mai, anca capaçe de darghe a l'eserçito papalin na mastruzzada da ogi santi.
Alora Paolo ve, fatose prudente, s'à chietà de colpo. Drio le bone parole de le stesse Potenze che se ga oferto de stramezar i barufanti, la pase intra i veneziani e el Papa xe stada fata: Roma ga ritirà la inutile scomunica e el Dose Leonardo Donato (novantesimo Prinçipe de Venezia) ga delibarà quel s'ciapo de preti e de frati intriganti che co tanto gusto che mai tegnivimo serai sù in preson. Ma no'l ga permesso el ritorno in çità de i Gesuiti, conossui da tuti come massa pevarini e intriganti.
Ecove infin contada, co tanta pressa purtropo (perché ghe saria tanti episodi gustosi che vorìa farve saver) la storia vera de l'antigo "Interdito" lanzà su Venezia per la rason che ve go dito e che, a i so tempi ga fato un ciasso malignaso.
Desso che xe oramai trascorsi tanti ani da quellontan 1606, el modo de pensar de i Vicari de Cristo el xe cambià e i interessi de'l Vaticano anca. Ancuo ne vien parfin da ridar pensando a'l vedo Paolo V° che, tuto ingalbanà da la rabia scomunica Venezia per el gran delito de tratar co çiviltà i ... fradéi separati!
In te sti tempi ecumenici, desso xe i catolici che se ingalbana de maravegia in te'l vedar i Papi ciapar a brazzacòlo tute le qualità de infedeli che i riçeve in Vaticano
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Re: Laeçetà/laiçità (prima veneti e dapò creistiani)

Messaggioda Berto » dom feb 15, 2015 7:17 pm

El tenpio o ła caxa de ła lebartà e de ła no credensa, de ła raxon e del spirto ogniversal, dedegà a Ipasia, a Bruno Jordan, Jrołamo Savonaroła, Arnaldo da Brèsa, a Oriana Fallaci, a łi apostati e a tuti łi raxianti/ereteghi (tra cu Cristo, no dexmenteghemose ke anca Cristo el jera n'eretego, n'ebreo raxiante):

viewtopic.php?f=24&t=1383

A mi me sta bene ła bandera storega veneta, co łi so sinbołi rełijoxi e creistiani anca se no so pì de fede creistiana e so pasà a na fede ogneversal laega (no dogmatega), atea o sensa edeołoja.
Però el stado el ga da esar laego (gnente dogmatixmi e asoloutixmi), aconfesional e verto a tute łe bone rełijon ke łe ga creansa par i diriti omani ogniversałi e par łe varianse etnego-lengoestego-rełijoxe; gnente recognosemento de łe rełijon viołente ke ente łe so credense e enpianto teo-edeołojego łe gà ła viołensa e ła goera.
Nadural ke ghe sipia na senpatia par ła tradision rełijoxa creistiana ma ła ga da esar controłà e contegnesta;
ente łe scołe pioveghe se ga far creansadura çevił, storia de łe rełixon e no endotrinamento rełijoxo; dovaria esarghe tuti i sinbołi de ła spertoałetà omana, de łe bone rełixon de ła tera anca de coełe dite pagane, fora ke coełi de łe rełixon del demogno ke predega ła viołensa e ke no łe tołerà łe varianse e łe difarense; e anca i no credenti e łi atei łi ga da poder dir ła sua.
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Re: Laeçetà/laiçità (prima veneti e dapò creistiani)

Messaggioda Berto » ven mar 13, 2015 9:43 pm

Islam teocrazia statuale, ovvero l'antitesi di uno Stato laico, come fu Venezia
https://www.youtube.com/watch?v=lF6Nuh_ ... e=youtu.be

La difficoltà dell'islam verso i concetti di libertà e di parità di diritti di genere
https://www.youtube.com/watch?v=j_9i7OkGdVM
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Re: Laeçetà/laiçità (prima veneti e dapò creistiani)

Messaggioda Berto » lun ago 24, 2015 6:45 am

Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi
viewtopic.php?f=24&t=1788
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Re: Laeçetà/laiçità (prima veneti e dapò creistiani)

Messaggioda Berto » mer nov 11, 2015 2:49 pm

https://www.facebook.com/albert.gardin?fref=ts

Comunicato stampa
per conoscenza:
al Parrocco di Arsiero
al Vescovo di Vicenza
al Patriarca di Venezia
a Presidente del Parlamento Veneto, Giancarlo Orini
al Questore di Vicenza
Il Governo Veneto invita tutti i parlamentari a presenziare con la fascia "Repubblica Veneta" domenica 15 novembre 2015, alla messa delle 10.30 ad Arsiero.

I rappresentanti delle istituzioni esporanno, davanti a loro, nella dovuta ufficiaità, il gonfalone di San Marco, la bandiera della Repubblica Veneta.
L'invito è esteso anche a tutti i patrioti della Serenissima, di venire con bandiere di San Marco per condividere con noi questa presa di posizione contro ogni sottomissione della chiesa veneta al regime occupante.
La partecipazione sarà ovviamente consona al tempio religioso e alla sacra funzione, ma ferma e decisa.

Ricordiamo che il Parlamento Veneto, all'inizio della sua seconda legislatura ha approvato il "Pater Noster" come costituzione veneta;
che i parlamentari partecipano ogni anno alla Messa solenne per San Marco nella Basilca di San Marco e che il Governo Veneto – al prezzo di molte denunce e di una condanna penale – ha ripreso nel 2013 l'effettuazione pubblica in Piazza San Marco della Processione di San Marco.

Il dialogo di domenica prossima ad Arsiero non sarà tra una repubblica non-cristiana come quella dello Stato occupante, ma tra la cristianissima Repubblica Veneta, votata alle parole dell'evangelista Marco, e la Chiesa di Cristo!
Venezia 11.11.2015
Albert Gardin – Presidente del Governo Veneto/ Repubblica Veneta

PS – Il comunicato di ieri, 10.11.2015
(Arsiero - Repubblica Veneta - 9.11.2015 - Funerali di Ermes Mattielli)
Anche il parrocco di Arsiero ha dimostrato di essere plagiato! Non ha voluto in chiesa le bandiere dello Stato Veneto, ma ha disposto in prima fila i sindaci con la fascia del tricolore straniero! Come riconoscere universale i colori del regime occupante e temere invece l'uso delle bandiere della nazione veneta occupata!
Bravo il popolo che ha disapprovato e contestato l'uso del tricolore da parte dei sindaci. La coscienza veneta dimostra ogni giorno di più la sua consapevolezza e maturità!
Siamo sempre più vicini!
Venezia 10.11.2015
Presidenza del Governo Veneto
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Re: Laeçetà/laiçità (prima veneti e dapò creistiani)

Messaggioda Berto » mar lug 04, 2017 6:54 am

???

LA TERZA VIA DI PAOLO SARPI, NE' 'LAICISMO' NE' STATO CLERICALE.
Brano tratto dal “Discorso dell’origine dell’uffizio dell’Inquisizione”.
LA VERA RELIGIONE FONDAMENTO DE' GOVERNI
lunedì 3 luglio 2017

https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.i ... cismo.html

Tra le perverse opinioni, de’ quali abbonda il nostro secolo infelice, questa ancora è predicata, che la cura della Religione non appartenga al Principe , qual è colorata con due pretesti. L’uno, che per esser cosa spirituale, e divina, non s’aspetti all’autorità temporale. L’altro, perché il Principe, occupato in maggiori cose, non può attendere a questi affari.
È certo degna di maraviglia la mutazione, che il mondo ha fatto. Altre volte li santi Vescovi niuna cosa più predicavano, e raccomandavano ai Principi, che la cura della Religione. Di nuina cosa più li ammonivano, e modestamente riprendevano, che del trascurarla. E adesso niuna cosa più si predica, e persuade al Principe, se non che a lui non si aspetta la cura delle Cose Divine, con tutto che pel contrario la Scrittura Sacra sia piena di luoghi dove la Religione è raccomandata alla protezione del Principe dalla Maestà Divina, la qual anco promette tranquillità, e prosperità a quei Stati, dove la Pietà è favorita, si come minaccia desolazione, e distruzione, a quei governi dove le cose divine son tenute come aliene. ( Il neretto è mio, seguono esempi di antichi regni dove la Religione era curata massimamente)….
La vera Religione essendo fondamento dei Governi, sarebbe grande assurdità, tenendo ciò per vero, com’è verissimo, il lasciarne cura totale ad altri, sotto pretesto che sono spirituali, dove la temporale autorità non arriva, ovvero che il Principe abbia maggior occupazione che di questa.
Chiara cosa è, che siccome il Principe non è Pretore, né Prefetto, né Provveditore: così parimente non è Sacerdote, né Inquisitore, ma è ben anco certo che la cura sua è di sovrintendere, con tener in Ufficio, e procurar che sia fatto il debito, così da questi, come da quelli: e qui sta l’inganno, chè la cura particolare della Religione è propria delli Ministri della chiesa, siccome il governo temporale è proprio del Magistrato, ed al Principe non conviene esercitar per se medesimo né l’uno né l’altro, ma indirizzar tutti, e lo star attento, perché niuno manchi all’Uffizio suo, e rimediare alli difetti delli Ministri: questa è la cura del Principe così in materia di Religione, come in qualsivoglia altra parte del Governo.


Ecco quindi il nostro grande, padre spirituale dello stato moderno cristiano, non negare la religione come fondamento dello stato, ma bensì sottolineare questa caratteristica, precisando che, a differenza ad esempio della dottrina islamica, la gestione del temporale e dello spirituale, essendo cose ben diverse, dovevano esser ben separate. Ma lo stato, per formare dei buoni cittadini, deve aiutare ed incoraggere la chiesa nella sua missione. Come la chiesa con la sua gerarchia non potrà metter mano nel governo delle cose temporali degli uomini.
Purtroppo, nell'800 specie da parte della Massoneria risorgimentale, Sarpi è stato travisato, la sua dottrina ignorata o falsificata, facendo di Lui un campione del Laicismo moderno. Basterebbe leggere queste righe per capirlo.


Alberto Pento
Paolo Sarpi era un prete cattolico veneto e credeva che la spiritualità coincidesse con le religioni ed in particolare con quella cristiano-cattolica.
Ma non è così!


Idolatria e spiritualità naturale e universale
viewtopic.php?f=24&t=2036
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Re: Laeçetà/laiçità (prima veneti e dapò creistiani)

Messaggioda Berto » ven dic 28, 2018 8:26 am

Cristo l'ebreo non era laico e non ha inventato la laicità dello stato
viewtopic.php?f=176&t=2818
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